Voce per la Comunità

Page 1

VOCE per la COMUNITA´ NOTIZIARIO PASTORALE

Alleluja! Il Signore è Risorto! È veramente Risorto! Buona Pasqua!

PASQUA 2011 UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO 1


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Presentazione

Ecco a voi il Notiziario di Pasqua per le famiglie delle tre ParLicini don Raffaele, parroco rocchie di Botticino. cell. 3283108944 E’ un notiziario-documento e-mail:rafaellic@tin.it perchè non si limita a dare notizie, e-mail parrocchia:parrocchiasera@alice.it ma presenta pagine di formazione fax segreteria: 0302193343 nei vari ambiti della pastorale. Nelle prime pagine ritorna Mussinelli don Fausto tel. 3287322176 il tema della comunione, sostenue-mail : donmussi80@gmail.com to più avanti dall’approfondimenZini don Giovanni tel. 3355379014 to del documento conciliare sulLoda don Bruno tel. 0302199768 la Chiesa, sulle due encicliche del Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881 papa sull’amore e il Convegno EuOratorio Botticino Sera tel. 0302692094 caristico Nazionale con i suoi temi attuali. Alcune pagine presentano Scuola don Orione tel. 0302691141 i Giorni Santi del Triduo Pasquasito web : www.parrocchiebotticino.it e altre del Tempo Pasquale (50 Suore Operaie abit. villaggio 0302693689 le giorni). Non mancano temi attuali, Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138 in particolare “lo straniero dentro di noi”.Isidoro, che a ‘60’ anni si BATTESIMI BOTTICINO SERA prepara al Sacerdozio, con il suo Sabato 23 aprile alla Veglia Pasquale scritto ci aiuta a rendere attuale Domenica 1 maggio ore 9,30 la chiamata di Dio. Le pagine di 12 giugno ore 11,00 o ore 18,30 pastorale familiare oltre ad alcuni BATTESIMI BOTTICINO MATTINA articoli sulla famiglia,continuano la rilfessione sulla valorizzazione delSabato 23 aprile alla Veglia Pasquale la ritualità in famiglia “ il saluto” e Domenica 8 maggio ore 11,00 “la tavola”. Non mancano le pagisabato 11 giugno ore 17,30 - 3 luglio ore 11,00 ne rigurdanti la Caritas, l’oratorio, BATTESIMI SAN GALLO la scuola don Orione; iniziative in Sabato 23 aprile alla Veglia Pasquale programma e la presentazione dei 12 giugno ore 10,00 pellegrinaggi-gite per l’anno 2011. Conclude con il programma I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accor- della Settimana Santa, i giorni che darsi sulla preparazione e sulla data della celebrazio- sono a fondamento della nostra ne, il parroco personalmente o tel.3283108944 fede.

la busta per l’offerta in occasione della Pasqua

Anche in occasione della Pasqua, viene ricordato ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un offerta strordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi. Per la parrocchia di Sera i debiti, di Mattina i debiti, l’integrità e la messa in sicurezza delle campane, intervento ritenuto necessario e urgente. Per San Gallo non si è ancora potuto metter mano alla sistemazione della chiesa (sempre per danni del terrremoto) poichè la parrocchia è stata impegnata in questi ultimi anni nel pagare l’esposizione riguardante l’intervento eseguito in oratorio. . I Sacerdoti e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività. 2


e allora...

Buona Pasqua L’augurio di “Buona Pasqua” è di una profondità inaspettata e, a volte, inconsapevole. È proprio bello ritrovare tutta la ricchezza e la forza del saluto pasquale dei battezzati: “Alleluja! Il Signore è Risorto! È veramente Risorto! Buona Pasqua!”. Gesù, il falegname di Nazareth, il Crocifisso, non va cercato tra i morti, in una situazione senza speranza, chiusa ad ogni ulteriore possibilità di ripresa o di cambiamento. Questo è vero anche per la nostra vita, per il nostro cammino personale e comunitario, per la nostra storia. Non dobbiamo cercare il senso della nostra vita “tra i morti”, tra le delusioni e le mormorazioni, tra i capricci non realizzati. Siamo chiamati a “far Pasqua”, a “passare” da morte a vita, a lasciare “l’uomo vecchio” che adora il proprio “io” per “passare” al vestito nuovo della misericordia ricevuta dal Padre, al “lavare i piedi” del giovedì santo, alla missione gioiosa che “parte” dal cenacolo. Con questo Amore,la nostra vita non è più tra le cose morte, ma “tra i vivi”. È una vita che si rinnova continuamente. L’amore infinito del Risorto che pronuncia ripetutamente il suo “Pace a voi” alla comunità radunata, ci rende “vivaci”, pieni di Speranza. La ripetitività del dono dell’amore è la vera novità della vita. È solo il male che rende “vecchio e disperato” un gesto. Soltanto uno sguardo egoista non stupisce del sole che sorge ogni giorno: è troppo preso da sé per accorgersi dell’altro. Chiediamo al Signore di far Pasqua! Apriamo il cuore al dono di “passare” dalla noia di un cuore ripiegato su sè stesso alla continua novità dell’amore del Padre. E allora buona Pasqua! Buona Pasqua a chi... ha sperimentato la misericordia di Dio facendo un cammino di conversione. Buona Pasqua a chi... si è lasciato guidare dalla forza dello spirito... Buona Pasqua a chi... si è messo in ascolto della parola di Dio, che è parola di salvezza, e si è lasciato trasformare in una nuova creatura. Buona Pasqua a chi...ha fatto concreti gesti di riconciliazione. Buona Pasqua a chi... ha sentito l’urgenza di camminare sulla via del Signore. Buona Pasqua a chi... ha saputo testimoniare la carità di Cristo. Buona Pasqua... a tutti quelli che, comunque, dopo aver intravisto Cristo luce di vita eterna, si sono diretti verso di lui perché la propria vita fosse illuminata. Buona Pasqua a chi...nonostante i buoni propositi non è riuscito a vivere la fedeltà a Gesù Cristo, a causa della propria debolezza spirituale. Gesù risorto, tu ci chiami perché ci ami. Nel nostro spazio quotidiano possiamo riconoscerti come ti riconobbe la Maddalena. Tu ci dici: “Va’ e annunzia ai miei fratelli: GESÙ’ E’ RISORTO”. Gesù Risorto aiutaci ad andare per le strade del mondo, nella famiglia, nella scuola, nell’ufficio, nei tanti ambiti del tempo libero, per assolvere alla grande consegna. Questo è il giorno di Cristo Signore! ALLELUIA! ALLELUIA! Anche a nome dei sacerdoti, del diacono e delle suore, desidero rivolgere a tutto Botticino e a tutti coloro che vivono e lavorano per il bene e la crescita della comunità i più cari auguri di BUONA PASQUA! Buona Pasqua a tutti .

don Raffaele 3


parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in ca

PARROCCHIA

luogo, occasione, ambito privilegiato per tornare ad

educare

Una scelta forte ed impegnativa

di un organismo da cui attingiamo la grazia, ma insieme vitali, cioè impegnati ognuno per la sua parte per la crescita del tutto. Non c’è ancora in tutti i cristiani che partecipano all’Eucarestia domenicale questa coscienza e permane un certo individualismo nella ricerca spirituale per se stessi. “Si richiede oggi una avvertenza esplicita: fare più rete. Ci vuole maggiore collaborazione e intesa tra i diversi educatori delle comunità cristiane. Non è pensabile che i catechisti se ne stanno da una parte e gli operatori Caritas e gli animatori sportivi dell’oratorio da un’altra, quasi che non ci fosse da condividere la stessa passione educativa”. (Card. A. Bagnasco) Vi è un’altra parola di Gesù che Giovanni ci riporta nel suo vangelo: “il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Non possiamo pensare all’Eucarestia se non pensando all’umanità che deve accoglierla e trovare le occasioni per questa accoglienza. Questo ci riporta all’esortazione appassionata della Chiesa italiana sulla “conversione missionaria della parrocchia”, chiamata non solo a curare con attenzione e passione coloro che frequentano, ma a pensare e farsi carico delle tante persone che stanno fuori del sagrato e sembrano aver dimenticato Gesù Cristo pur continuando a sentirsi cristiane. Siamo chiamati a sentirci come i settantadue discepoli che Gesù manda avanti a sé per annunciare la pace e preparare la sua visita, chiamati a mettere a frutto le capacità che abbiamo di parola, di carità, di testimoLa parrocchia, ambito privilegiato per l’educazione nianza perché il Vangelo faccia la sua corsa e giunga alla mente e La Comunità cristiana, in primo luogo la Parrocchia al cuore di quanti sono amati da Dio. che è il “volto amico della Chiesa” per gli uomini e le donne che Educare tutta la persona “Senza deporre la veste del credente...” abitano il territorio in cui si colloca, casa di Dio in mezzo alle È stato forse il messaggio più forte uscito dalla Settimacase degli uomini, è un ambito privilegiato per questo impegno educativo perché ha tante occasioni di incontro con le persone. na sociale dei cattolici (Reggio Calabria 14-17 ottobre 2010). Il Deve però avere una chiara e forte coscienza di quello che essa relatore, prof.Savagnone della Diocesi di Palermo, ha fortemente è e della sua missione, una chiara identità onde non rischiare di evidenziato che se vogliamo uscire da questo periodo di crisi che ridursi a stazione di servizio del sacro o a una holding di attività tocca l’intero Paese, è necessario che i cattolici all’uscita dalla messa non lascino in chiesa le vesti del credente prima di immerpastorali che vanno ognuna per proprio conto. Ci viene incontro la felice coincidenza del Congresso gersi nella vita quotidiana, onde diventare testimoni capaci di eucaristico nazionale di Ancona (settembre prossimo), favore- portare i messaggi di verità, giustizia e carità colti nell’Eucarestia vole occasione per attingere alla Eucarestia, che “fa” la Chiesa, negli ambienti ove vivono ed operano, famiglia, scuola, politica. Questo vale anche per i cattolici che frequentano la una chiara visione della sua identità e della sua missione. Ricorda l’Apostolo Paolo: “poiché c’è un solo pane noi, chiesa che non devono “smettere” le vesti del cittadino con i vari pur essendo in molti, siamo un corpo solo: tutti infatti parteci- problemi della loro vita privata e sociale, ma saperli portare fipiamo allo stesso pane” (1 Cor 10,17). È una chiara esortazione duciosi nell’azione liturgica cosicché, rischiarati dalla luce del a sentirsi parte, a sentirsi membra di questo Corpo che ha per vangelo e trasformati dal mistero eucaristico, acquistino luce e Capo Cristo e in cui siamo membra gli uni degli altri, cellule vive coraggio per affrontarli e risolverli. Con la presentazione degli Orientamenti pastorali per il decennio 2011-2020: “Educare alla vita buona del Vangelo” la Chiesa italiana compie una scelta forte ed impegnativa, che da sempre ha caratterizzato la sua missione centrata sul proporre l’esempio e l’insegnamento di Gesù, il Maestro “seguendo il quale l’uomo diventa più uomo” (Concilio Vaticano II). Ma è anche una attesa della società civile e non solo dei cattolici perché emerge sempre più insistente il desiderio di una proposta di vita e di una prospettiva diversa da quell’atteggiamento rinunciatario per cui sembra che nessuno ha più niente da dire e da insegnare e da quella rassegnazione che coglie proprio coloro cui è demandato il compito educativo: genitori ed insegnanti, sacerdoti ed animatori giovanili. Di fronte ad un individualismo crescente che corrode le relazioni della convivenza umana e al clima di relativismo di pensiero e.di comportamento in cui nulla appare più certo e consistente, si avverte una “pressante richiesta di umanizzare l’ambiente sociale e ricostruire punti di riferimento, ... recuperando il gusto della verità e il sapore della vera libertà” (Card. Bagnasco). Tutto questo richiederà chiarezza di idee e di obiettivi, costante impegno e un tempo abbastanza disteso, come d’altra parte si propone il progetto decennale della Chiesa italiana, anche perché è almeno da 50 anni che abbiamo assistito al progressivo venir meno del compito educativo.

4


ammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie

COSTRUIRE COMUNIONE D

opo il Vangelo il primo punto di riferimento è il Concilio Vaticano II, dove troviamo un’ affermazione della Lumen Gentium: “...la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano.” (LG, 1). Una frase che non finiremo mai di meditare. L’intima unione con Dio e l’unità di tutto il genere umano sono le coordinate della comunione verticale e della comunione orizzontale, che non si ferma a quanti UNITA’ PASTORALE vivono all’ombra “S.ARCANGELO TADINI” del campanile, PARROCCHIE DI BOTTICINO ma opera come un fermento, un lievito, una primizia per tutta l’umanità. Occorre comprendere quello che è la Chiesa: segno e strumento di comunione, di unità. Il suo contrario è la divisione. È il diavolo che separa, si mette in mezzo, come dice la stessa Festive del sabato e vigilia festivita’ etimologia del suo nome. Dove c’è odio, risentimento, separaSERA CASA RIPOSO ore 16,15 zione a livello personale, familiare, comunitario è evidente la SERA VILLAGGIO ore 17,00 presenza del diavolo. MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 Questa comunione non è solo un fatto spirituale, ma anSAN GALLO PARROCCHIALE ore 18,45 che concreto. SERA PARROCCHIALE ore 20,00 La Chiesa pellegrinante sulla terra e quella che abita la F estive della domenica e festivita’ Casa del Padre non sono entità distinte, ma una unica realtà comSERA PARROCCHIALE ore 8,00 plessa, in cui tutti siamo parte facendo capo a Cristo, Redentore MATTINA SAN NICOLA ore 8,30 e Signore - una realtà vera, che è insieme umana e divina. SERA PARROCCHIALE ore 9,30 Noi confessiamo nel Credo la Chiesa “una, santa , SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00 cattolica e apostolica” diffusa in tutta la terra. SERA PARROCCHIALE ore 11,00 Nella Chiesa particolare o locale, che è la Diocesi, si maMATTINA PARROCCHIALE ore 11,00 nifesta tutto il mistero della Chiesa, come afferma il Concilio: MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 “il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote SERA PARROCCHIALE ore 18,45 del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande LUNEDI’ importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno CASA RIPOSO ore 17,00 al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale...” (SC n. 41) MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 E dato che il Vescovo non può presiedere personalmente SERA PARROCCHIALE ore 20,00 sempre e ovunque l’intero suo gregge “deve costituire necessaMARTEDI’ riamente dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente MATTINA SAN NICOLA ore 8,30 le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in SERA PARROCCHIALE ore 18,30 certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra.”(SC n. 42) MERCOLEDI’ La Chiesa è resa dunque visibile e presente attraverso SERA S.MICHELE ore 8,30 la parrocchia, che è la Chiesa “qui e ora”. Non dobbiamo mai MATTINA MOLVINA ore 16,00 dimenticare questa verità fondamentale. Qui si incontrano i criSAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 stiani, i battezzati che abitano quel determinato territorio, come SERA PARROCCHIALE ore 18,30 la loro “casa comune”. Per non ridurre la parrocchia ad una stazione di servizio del sacro dove uno passa, chiede quello che ha GIOVEDI’ bisogno e se ne va. SERA VILLAGGIO ore 8,30 La Parrocchia invece è il punto naturale di convergenza SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 per tutti i fedeli e le diverse forme associative. Questa unione si MATTINA S.NICOLA ore 18,00 riscontra soprattutto nel momento liturgico, nella celebrazione SERA PARROCCHIALE ore 20,00 dell’eucarestia. La prima scuola di comunione, il primo luogo VENERDI’ dove si impara a fare la comunione è la messa domenicale della parrocchia. È lì che si comincia. La cura della celebrazione doSAN GALLO TRINITA’ ore 17,30 menicale è di fondamentale importanza. Noi siamo quello che MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 celebriamo. E celebriamo quello che siamo. SERA PARROCCHIALE ore 18,30

ORARI S.MESSE

5


parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi

PERCHE’ SIAMO TUTTI IN CRISTO “UNA SOLA COSA”

Parlando di comunione, è utile ricordare un paragrafo della lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, che al n. 43 indica una piccola «summa» del significato della comunione. 1 “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo in concreto?... Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano... Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. “(NMI n. 43) Questo è il primo punto da cui partire: LA COMUNIONE SCATURISCE DAL MISTERO DELA TRINITÀ. Dio è comunione, è Padre e Figlio e Spirito Santo, tre Persone distinte ma talmente unite da essere un Essere solo. L’uomo è immagine di Dio e porta in sé come il “marchio di fabbrica” cioè la comunione. Così è stato creato maschio e femmina e la loro comunione è la famiglia, comunione che precede ogni altra comunità. Usiamo anche dire che la famiglia è una piccola chiesa e la parrocchia è la “famiglia delle famiglie”. Ma tutto questo lo teniamo presente nella nostra azione pastorale? Come nella famiglia non ci sono settori, anche se ognuno ha dei compiti diversi, ma tutto converge in unità, così deve essere la nostra azione pastorale. 2 “Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.”(NMI n. 43). Questo è il secondo punto: EDUCARE ALL’ATTENZIONE AI POVERI, AGLI ULTIMI. Il catechismo non può prescindere da que-

sto. E nemmeno la liturgia. Che liturgia è se non promuove la carità?...Che catechesi è se non mi insegna a guardarmi intorno?... 3 “Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto.” (NMI n. 43) Questo è il terzo punto: FAR SENTIRE L’ALTRO IMPORTANTE, RIUSCIRE A VALORIZZARLO. L’altro è un dono per noi. Qui c’è da fare un’osservazione sugli organismi di comunione che dovrebbero essere presenti in una parrocchia. A che punto sono i nostri consigli pastorali?... 4 “Spiritualità della comunione è infine saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie.”(NMI n. 43) Questo è il quarto punto: FARE SPAZIO AL FRATELLO, favorendo tutto quello che è incontro, condivisione e collaborazione. Giovanni Paolo II conclude il paragrafo in questo modo: “Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima,maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita.” (NMI n. 43) Sono le indicazioni di marcia e i passi necessari per “costruire” una comunità, quella “casa di comunione” dove si incontra la famiglia di Dio.

ULIVO E SALVEZZA

Con tanti rami d’ulivo, simbolo di pace Gesù entrò trionfante in Gerusalemme. C’era tanta gente che lo acclamava ed osannava e sincera sembrava. Ma dopo pochi giorni la stessa gente che Lo osannava si scagliò contro di Lui e Lo accusava, Lui che tanto amore e pace predicava. Penso che la grande passione di Gesù non era patire il male più grande, ma la ferita del cuore vedendo l’indifferenza, il tradimento e l’abbandono. Mandato dal Padre per fare la sua volontà, prende la croce e verso il calvario se ne va con umiltà, pur di salvare ogni uomo di ieri, di oggi e che verrà e perdonare tutta l’umanità. Sicuro che con la risurrezione in ogni cuore entrerà e chi lo segue si salverà.

Pietro Stefana

6


basilica s.maria assunta santuario s.arcangelo tadini

anno giubilare

20 maggio 2011 / 21 maggio 2012 Il 20 maggio 2012 saranno 100 anni dalla morte del parroco S.Arcangelo Tadini. Per celebrare tale avvenimento il Vescovo indice uno speciale anno giubilare che avrà inizio il 20 maggio 2011 prossimo e terminerà l’anno successivo, il 21 maggio 2012 festa liturgica del Santo. Diocesi e Zona Pastorale, Parrocchie e Comune di Botticino con le varie presenze associative, e le Suore Operaie sono tutte le realtà impegnate nell’organizzazione di tale evento. S.Arcangelo è stato un parroco impegnato nella pastorale su molti fronti: da quello religioso (proprio del ministero sacerdotale) a quello sociale ma anche quello civico. Molte sono quindi le categorie di persone che potranno beneIL LOGO DELL’ANNO GIUBILARE ficaiare di questo Anno di Grazia: -I sacerdoti (non sono molti i parroci santi, forse in Italia è l’unico) per la loro conversione e l’amore all’Eucaristia, la comunione fra i sacerdoti; -Le famiglie, in particolare per l’opera educativa dei genitori nei riguardi dei figli; -Il mondo del lavoro; -Le congregazioni religiose femminili -Le varie categorie di persone che sono proprie dell’attività pastorale del parroco - Associazioni di volontariato religiose e civili... A breve verrà presentato il calendario delle iniziative. Ora ci prepariamo all’inizio di questo anno con la Tadinifest 2011 dal titolo “Tutti per 1” per concludere con quella del 2012 dal titolo “100 per tutti”. 20 - 21 - 22 MAGGIO INIZIO ANNO GIUBILARE

DOMENICA 22 MAGGIO TADINIFEST

7

Una croce dentro il cerchio. Una parte della croce, quella a destra di colore nero, rappresenta S.TADINI, rintracciabile dall’inconfondibile ciuffo. Sono presenti nella composizione della croce due aspetti ulteriori: - la SACERDOTALITA’, rappresentata dalla talare con i bottoni, che qui costituisce il corpo del Santo; - la STOLA, che assieme alla CROCE di colore rosso costitusce il motto di S.Arcangelo Tadini “la mia forza è la stola, la mia scienza è la croce”. Il tema della COMUNIONE è rappresentato dal perimetro - colore giallo -, che forma una particola con una croce al suo interno. Cristo, pane spezzato, unisce in comunione i suoi fedeli. Inoltre è rappresentata la SANTITA’, identificabile nell’aureola sopra il capo col ciuffo di Tadini-colore giallo.


Nuove prospettive

per la presenza delle

Suore

nella Scuola Materna di S. Gallo Carissimi amici e fratelli di S. Gallo e dell’Unità pastorale di Botticino Prima che trapelino voci, più o meno corrette e fondate, credo necessario comunicare a tutti, ufficialmente e con chiarezza, alcune informazioni riguardanti la Scuola materna di S. Gallo per la quale noi Suore Operaie siamo state costrette a ripensare la nostra presenza, ipotizzando una nuova modalità che non ne pregiudichi il servizio ma lo permetta in altra forma, sia alla Scuola che alla Parrocchia. La comunità delle Suore Operaie giunge a S. Gallo nel lontano 1936, per cui da settantacinque anni siamo presenti sul territorio come educatrici e assistenti dei bambini della Scuola materna, come animatrici nella pastorale parrocchiale in tutti i suoi aspetti, come presenza buona e portatrice di speranza per le famiglie e per gli ammalati. Fino agli anni cinquanta le Suore si sono dedicate anche alla colonia estiva per i ragazzi e per molti anni alla scuola di lavoro per le giovani. La presenza delle Suore Operaie a S. Gallo è stata considerata da sempre e da tutti una componente essenziale della convivenza sociale e religiosa. Certamente tante persone di S. Gallo portano nel cuore il ricordo di alcune Suore particolarmente generose e instancabili nel servizio, attente e appassionate agli ammalati, ai poveri, ai bisognosi di ascolto e di comprensione, sorelle e madri di tutti, capaci di alleviare ogni sofferenza illuminandola con le certezze della fede. Chi non ricorda sr Carmela, sr Agnese, sr Elisa, sr Candida… sr Attilia? Penso che tanti potrebbero fare un lungo elenco di Sorelle semplici, ma meravigliose, potrebbero parlarci di tante Suore apprezzate per la ricchezza della loro umanità, donne cariche di amore e capaci di comunicare l’Amore di Dio a coloro che hanno avvicinato. Il tempo è trascorso veloce e gli anni sono passati inesorabilmente, tante Suore si sono succedute nel servizio ai bambini, agli adulti, alle famiglie… alla Chiesa. Nel maggio del 1984 la gestione della Scuola materna passa al Comune di Botticino, ma le Suore restano per continuare lo stesso servizio di educatrici/assistenti dei bambini e collaboratrici nella pastorale parrocchiale. In questi ultimi anni, anche l’impostazione della parrocchia è cambiata… e S. Gallo entra a far parte dell’ Unità pastorale di Botticino. Le Suore continuano la loro presenza nella scuola e nella pastorale, nonostante l’età e gli acciacchi che avanzano, continuano gli impegni di sempre. Alcune presenze però vengono meno per cui siamo costrette a pensare nuove forme di collaborazione. Il Consiglio della Congregazione si interroga a lungo sul da farsi e per far fronte a questa difficoltà giungiamo ad una decisione: la comunità delle tre Suore verrà ritirata da S. Gallo, ma non lasceremo né la scuola, né la parrocchia. La suora attualmente assistente, continuerà il suo servizio ogni giorno rimanendo a tempo pieno nella scuola e facendo la pendolare, farà riferimento alla comunità delle suore operaie residenti al Villaggio. Con loro collaborerà all’impegno pastorale delle tre parrocchie: S. Gallo, Botticino Sera, Botticino Mattina. Altre soluzioni non sono state possibili perché le nostre forze si assottigliano sempre di più e, pur riconoscendo di essere “privilegiate” per la presenza di Suore giovani nella nostra Famiglia religiosa, dobbiamo ammettere che non riusciamo a sostituire quelle Sorelle che per motivi di salute devono ritirarsi dalle attività. Oggi, più che in altri tempi, ci rendiamo forse consapevoli dell’importanza dell’ invito di Gesù: “ La messe è molta e gli operai sono pochi, pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe”. Chiediamo insieme al Padrone della messe il dono di nuove vocazioni per la Chiesa, chiediamolo al Padre con insistenza e con fiducia, forti della promessa di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto…” ! Con l’augurio che ogni avvenimento della vita diventi opportunità di riconoscere la presenza di un Padre che tutto dispone per il bene di ognuno, auguro a tutti Buona Pasqua! Sr Emma Arrighini Superiora generale delle Suore Operaie S.C.N. Brescia, 21 Marzo 2011 8


una nuova cooperativa di lavoro a Botticino Gli scenari del mondo del lavoro stanno ormai da alcuni anni posizionandosi su una contrazione della domanda di fronte ad una mirata professionale richiesta. Sempre di più si assiste ad un ingresso tardivo dei giovani nel mondo del lavoro e spesso con destinazione diversa dai loro studi ed indirizzi. A questo si aggiunge l’espulsione mirata di risorse che nonostante l’età non elevata (52/58) vengono ritenuti obsoleti dal mercato del lavoro.

L’Unità Pastorale “S.Arcangelo Tadini”, delle parrocchie di Botticino, vuole provare a dare alcune risposte in merito alla gestione del mondo del lavoro ed insieme ad alcuni soggetti “volenterosi “ vuole provare a costituire un soggetto giuridico di stampo cooperativo, dove iniziare a dare senso di inclusione al mondo della ricerca del lavoro, dove si provi a diminuire la disoccupazione giovanile e dove si sperimentino recuperi di risorse lavorative definite obsolete (in quanto escluse in anticipo dallo stesso mondo) dandogli speranze di nuovo corso lavorativo e sociale. Molti sono gli appezzamenti di terreno, una volta vigneto, non più coltivati; altri in via di abbandono; il patrimonio boschivo, con tutta la sua ricchezza potenziale di lavoro, a Botticino non manca; una volta Botticino era considerato il giardino di Brescia. Il segmento lavorativo, quindi, in cui si vorrebbe inserire il nascente soggetto giuridico potrebbe essere tra i seguenti elencati: • • • •

Valorizzazione del patrimonio boschivo ed agricolo (in particolare vigneti) Informativa sul lavoro agricolo Ripresa dei vecchi metodi sulle culture antiche Percorsi scuola-agricoltura per dare senso alla nostra vita

Tutti questi argomenti ed eventualmente altri che si vorranno inserire necessiteranno di passare al recupero di terreni agricoli e boschivi che potranno essere conferiti alla nascente cooperativa tramite alcune forme che di seguito vengono elencate: • • • • •

Comodato gratuito Comodato oneroso in denaro Comodato oneroso in opere Conferimento gratuito Vendita dell’appezzamento agricolo

La popolazione è invitata a dimostrare la propria disponibilità in merito alle richieste sopra elencate, per poter favorire l’inizio del percorso di attività lavorativa. Tale richiesta viene rivolta anche all’ente pubblico, chiedendo la disponibilità a conferire (modi e metodologie da definire) zone boschive incolte per poter poi insieme partecipare alla fondazione del soggetto giuridico. Quanti fossero interessati a far si che questo sogno possa diventare realtà, condividendone il progetto e le finalità, mettendo a disposizione terreni, o altro .....e chi è in cerca di una occupazione lavorativa sono invitati a rivolgersi al parroco, a Busi Avelino, a Tregambe Giuseppe e Prati Elisio che a nome del Consiglio Unità Pastorale sono i referenti del progetto. 9


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI -

Le feste della fede. L’anno liturgico riscoperto in famiglia

IL TRIDUO PASQUALE nel cuore dei 3 giorni CENA, CROCE, RESURREZIONE Nel nostro percorso sulle feste cristiane, stiamo per raggiungere la vetta dell’Anno Liturgico, il Triduo Pasquale. Come per ogni ascesa che si rispetti gli ultimi passaggi sono anche i più impegnativi. Proviamo a specificarli: · Giovedì Santo. Si conclude in mattinata, con la Messa presieduta dal vescovo, il percorso quaresimale. La sera c’è la celebrazione “In coena Domini”. Queste le note: - L’intimità della cena, l’ombra di un tradimento. - Il gesto della lavanda dei piedi, il rovesciamento di un rapporto (il maestro e Signore svolge il ruolo di servo). - La decisa volontà di donarsi a costo della vita. Tutto questo è espresso nella frazione del pane e nel far passare il calice. · Venerdì Santo. Si compiono eventi tragici: un arresto, un processo, la crocifissione. Tutto ciò è narrato dalla Liturgia della Parola. Poi tutto tace. La sposa indossa l’abito del lutto. Contempla con amore la croce. · Sabato Santo. Al mattino tutto tace, è in attesa. La sera c’è la madre di tutte le veglie. Si prepara il fuoco. Ogni fedele accende una candela a Cristo che è luce. Si narra la storia di salvezza. Si canta il Gloria. Si sciolgono le campane. Si celebrano i sacramenti dell’iniziazione che culminano nell’Eucarestia. Cristo passa da morte a vita e noi con lui.

smarrito in una misteriosa regione

Emil Nolde è stato un pittore d’avanguardia della prima metà del Novecento. Si può considerare uno dei padri storici dell’espressionismo. Come dice la parola stessa, l’idea di fondo della pittura espressionista è quella di mettere gli strumenti dell’arte a servizio del bisogno del sentimento umano di uscire dal limitato contenitore dell’esistenza, in modo da esprimersi con tutta la sua potenza sensibile. Per fare questo l’espressionismo punta molto sul colore, che usa in modo elementare, immediato, (Emil Nolde, Das Leben Christi, 1911-1912, violento. Emil Nolde negli anni dieci Particolare, Ultima Cena) del Novecento tentava di riscrivere l’iconografia cristiana con gli strumenti dell’espressionismo. In questa ultima Cena il tasto privilegiato non è certo quello della gradevolezza formale. Tutto al contrario, è costruito in modo da trasmettere un senso di intensità pungente, di gravità quasi allucinata, una specie di silenzioso incendio emotivo. Come si vede, la rude materia pittorica, incendiata dai toni acidi delle carni giallastre, immette una sospesa elettricità in questa scena in cui Gesù sembra smarrito in qualche regione parallela del tempo. I sentimenti acuminati che devono dominare un momento come questo sono perfettamente resi dai volti carichi delle maschere umane che circondano l’estasi del maestro. 10


- L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI

Dalla Pasqua Settimanale alla Settimana Santa Abbiamo più volte ricordato il fatto che, per la Chiesa delle origini, la vita della grazia si incarnasse in una costruzione rituale del tutto semplice ed elementare. La forma base della liturgia, come sappiamo, era costituita dalla celebrazione pasquale ripetuta ogni otto giorni. Diversi passi evangelici portano ancora le tracce di quella antica semplicità. Ogni domenica, il mistero cristiano veniva celebrato nella sua completa sintesi pasquale. La Messa della domenica, come ci esprimeremmo oggi, era il tutto della liturgia, l’ottavo giorno permanente della vita rinata nel nome di Cristo, la continuativa azione di grazia compiuta nel presente dal Signore Risorto. In questa elementare costruzione liturgica, in cui ogni domenica era Pasqua, persisteva come l’idea di un continuo presente tenuto vivo dall’azione dello Spirito nella liturgia. L’idea era che Gesù vive nella sua comunità, qui e ora, e la liturgia costituisce la modalità di questa presenza. La prassi liturgica delle comunità cristiane, ancora molto legate alla loro origine ebraica, ha poi sentito il bisogno di non perdere il legame di questa Pasqua continua della vita cristiana con il carattere di evento storico in cui la Pasqua si è determinata. Questo era anche un modo per conservare, nella nuova liturgia pasquale cristiana, la perenne validità dell’antica pasqua dell’Esodo.

La Pasqua annuale Nasceva così l’esigenza di vedere, nella celebrazione della Pasqua, non solo il continuo presente della grazia, ma anche la memoria dell’evento su cui questo presente si fondò. Il modo di esaudire questo bisogno è stato l’introduzione di una celebrazione annuale dedicata alla «memoria storica» dell’evento pasquale, quasi in forma di anniversario. Per molto tempo le Chiese hanno anche usato dei criteri diversi per stabilire la data in cui celebrare la Pasqua. La Chiesa di Roma e quella africana sceglievano la domenica immediatamente successiva al primo plenilunio di primavera. Le Chiese del medio oriente, più legate alla memoria ebraica della Pasqua, sceglievano il quattordicesimo giorno della prima luna di primavera. Queste due scelte rappresentavano anche delle diverse accentuazioni teologiche relative al mistero pasquale. La prima metteva in risalto l’aspetto glorioso e salvifico della pasqua. La seconda, coerente con il tema anticotestamentario del «passaggio», enfatizzava il ricordo della passione. Furono i Padri della Chiesa, in particolare la teologia di Agostino, a sintetizzare i due punti di vista teologici interpretando la Pasqua come un transitus per passionem, nel senso di una rinascita del cristiano all’autentica vita spirituale conquistata grazie al passaggio operato da Gesù nella sua passione. Nel 325 il concilio di Nicea aveva del resto già stabilito come data comune della Pasqua la prima domenica dopo la luna piena che segue l’equinozio di primavera.

Come e perché si è passati dalla domenica, come nucleo originario, alla celebrazione annuale della Pasqua, allo spartito della grazia dei tre giorni?

Un ulteriore arricchimento della memoria liturgica della Pasqua sarebbe stato generato da alcune pratiche legate alla Chiesa di Gerusalemme che, sui luoghi stessi della vita di Gesù, aveva cominciato a ricordare ritualmente i diversi momenti della Pasqua: l’ultima cena, la passione, la risurrezione. Sui presunti luoghi storici di questi fatti si erano infatti costruite altrettante chiese che erano diventate le stazioni di un percorso liturgico destinato a sviluppare in senso storico le tappe dell’evento pasquale. L’evidente suggestione di queste liturgie «commemorative», amplificata dal prestigio della Chiesa di Gerusalemme e dal fascino dei luoghi santi, avrebbero dato la spinta alla generalizzazione di questa invenzione, mettendo le basi per quella che poi sarebbe diventata la Settimana Santa.

Una riscoperta recente La Chiesa patristica aveva degli strumenti teologici formidabili per condensare nelle liturgie pasquali, ormai già articolate nella loro scansione ternaria, i grandi temi di sostanza della coscienza pasquale cristiana. In particolare, se si deve dire in sintesi, aveva trovato una stupefacente traduzione liturgica del rapporto fra memoria dell’evento pasquale e celebrazione della vita battesimale. Voleva dire che, attraverso la forza simbolica della liturgia, la nuova vita del Cristo risorto diventa il principio attivo della nuova vita del discepolo. Tutti sanno infatti come, per esempio, la grande Veglia Pasquale della Chiesa antica fosse dominata dai rituali di ingresso dei catecumeni nella pienezza della comunione battesimale. Quando la riforma liturgica del Concilio Vaticano II si è posta il problema di riportare i tre giorni della Pasqua alla loro natura specifica non ha potuto perciò che ritornare alla grande sapienza di quella tradizione, consegnandoci così il rinnovato spartito della grazia dei tre giorni. 11


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI -L

La larva umana del Crocifisso

Dopo il terrificante crocifisso dipinto da Grunewald nel 1514, è difficile, nella pittura del nord Europa, affrontare il tema senza riferirsi a quel capolavoro di arte drammatica. Anche Emil Nolde lo fa dipingendo la pala centrale del suo polittico sulla vita di Cristo. Da esso trae chiaramente una composizione nella quale la larva umana del Crocifisso si trova appesa nel vuoto, con le braccia stirate verso l’alto, mentre le dita delle mani si inchiodano con meccanica involontarietà. Al truce senso del dettaglio dell’antico pittore, Nolde però sostituisce la fosforescenza di colori allucinati che costruiscono le figure senza bisogno del disegno, rendendole così ancora più impressionanti. Si aggiunge a questa potenza grezza del colore l’insolente semplicità delle forme, il loro inquietante infantilismo, il quale tuttavia contribuisce al senso di terrore che (Emil Nolde, Das Leben Christi, 1911-1912; questa scena deve ispirare. Il dolore delParticolare, Crocefissione) le donne e del discepolo si trasforma in qualcosa di patetico. Il cinismo dei soldati diventa una sorta di celebrazione amara dell’animalità umana. Tutta l’orrenda banalità del male è impressa in questa pala stupefacente con una precisione che le edulcorate immagini sacre dell’epoca (ma anche quelle della nostra) non sanno nemmeno sospettare.

LA GRAZIA DEI TRE GIORNI Giovedì, Venerdì, Sabato santo sono tre tappe di un unico evento. Pongono al centro rispettivamente la dedizione incondizionata, l’esperienzadell’invisibilità di Dio, la rilettura di una storia d’amore.

vita a scapito di quella degli altri, ma quando qualcuno, pur di prendersi cura della vita degli altri, mette in gioco la sua. Questo nuovo senso dato da Gesù al sacrificio esprime nello stesso tempo la verità dello stile di Dio e quella del destino dell’uomo. Il gesto di lavare i piedi, ripetuto ritualmente nella liturgia, per quanto edulcorato dalle nostre interpretazioni infantilizzanti, è la versione giovannea di questo principio. Su questo fondamentale Giovedì Santo: il sigillo della dedizione divina criterio di dedizione Gesù pone il suo sigillo che è nello Abbiamo cercato di capire, nel capitolo dedicato all’«in- stesso tempo la porta d’ingresso al senso della Passione. venzione» liturgica dell’Eucaristia, il senso dato da Gesù alla cena che ha preceduto la sua morte. Ci si ricorderà Venerdì Santo: eloquenza dell’indicibile che in essa Gesù dava gli strumenti spirituali adeguati per prepararsi a comprendere il senso della sua morte Il Venerdì Santo, come tutti sanno, si partecipa a una scandalosa. La liturgia del Giovedì Santo traduce quel- «azione liturgica», non si celebra l’Eucaristia. Viene le intenzioni, innanzitutto enfatizzando la naturale fon- messa in scena l’esperienza dell’invisibilità di Dio. Si dativa di quella cena. L’Eucaristia del Giovedì Santo, tratta di rivivere lo sconcerto dei discepoli di fronte allo con il linguaggio della tradizione, si chiama appunto in spegnersi dell’aura gloriosa attorno al corpo umiliato di Coena Domini. In ogni Eucaristia, nel canone, precisa- Gesù. Anche la liturgia si spoglia, depone i suoi segni, mente alle parole consacratorie, ci si riferisce all’ultima agisce nella completa nudità. Niente musica, niente Eucena. Ma quella del Giovedì Santo è l’unica Eucaristia caristia, nessuna gioia. Restano la sconcertante procladell’anno a definirsi con esplicito riferimento alla Pa- mazione di un racconto che parla di una morte ignomisqua di Gesù nel cenacolo. Nella Preghiera Eucaristica niosa e un gesto di adorazione all’ambiguo simbolo del II infatti si prescrive, per questa sola Eucarestia, l’ag- Crocifisso. Davvero noi cristiani sappiamo vedere la pogiunta dell’espressione «Egli, in questa notte». Questa tente grazia di Dio nell’esposizione terrificante di questa particolare enfasi eucaristica ha lo scopo di mettere in estrema perdita di umanità? Ma il paradosso è proprio primo piano il nuovo senso che Gesù dà al sacrificio. qui. Esiste uno splendore che emana, non dalla perfeNell’alleanza tra Dio e l’uomo, se c’è qualcuno che si zione di una forma armoniosamente intatta, ma proprio deve sacrificare, questi è Dio stesso. La dignità della vita dalla straordinaria eloquenza di una forma che accetta di risplende, non dove qualcuno mette al sicuro la propria rompersi. Ci sono gesti di sacrificio che feriscono il cor12


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TRIDUO PASQUALE- NEL CUORE DEI TRE GIORNI po, ma da cui non si riesce a staccare gli occhi. In questa esperienza si conserva qualcosa di universale. Proprio per questo, al Venerdì Santo la preghiera della Chiesa è davvero per tutti.

Sabato Santo: il riscatto di un’alleanza

La Veglia pasquale è una specie di riunione di famiglia nella quale tutti tornano a casa e per una sera stanno attorno al fuoco a raccontarsi per l’ennesima volta le storie che fanno di ciascuno un fratello di tutti. Il senso di un’alleanza promessa da Dio agli uomini che, nella morte di Gesù, sembrava infranta per sempre, appare definitivamente affidabile, chiedendo di guardarsi indietro con occhi nuovi. Tutto viene fatto vivere attraverso quattro liturgie che sono come la sintesi dell’idea cristiana del rito. Una liturgia della luce apre la Veglia facendo rivivere l’inaudita esperienza del corpo spirituale del Cristo risorto. Il cero entra nella chiesa buia come Gesù dovette sconvolgere la notte interiore dei suoi discepoli scoraggiati. La forza simbolica di questo segno, se è fatto bene, è magnetica. Basta una fiamma a distruggere il buio. Le risonanze emotive sono immediate. Con questa luce negli occhi, che è l’illuminazione della fede pasquale, prende inizio la liturgia della parola, insolitamente prolungata. Essa ha come lo scopo di riprendere da capo tutta la storia della salvezza alla luce della fede pasquale. Tutto improvvisamente diventa chiaro. Si proclamano dunque sette letture che parlano nuovamente del Dio creatore, del Dio liberatore, della sua presenza profetica nella storia, della sua atavica amicizia con le generazioni, del suo modo di annunciarsi nella storia, fino alla sua inaudita rivelazione nella risurrezione di Gesù. Dopo essersi nuovamente immersi in questa storia comune del Dio di Gesù con la storia degli umani,

una liturgia battesimale celebra, attraverso il simbolo dell’acqua, la nuova vita nella quale tutta la comunità viene trasformata dallo Spirito di Gesù. L’assemblea infatti è come il secondo corpo umano di Cristo. Come il suo capo e maestro, anch’essa muore e risorge simbolicamente, per trasformarsi in una comunità di persone che vivono già in Dio. In questa simbolica rinascita comunitaria viene ospitata anche l’azione iniziatica del battesimo dei catecumeni. La veglia si chiude con la Liturgia Eucaristica che esprime la definitiva condizione fraterna in cui ai cristiani è dato vivere nella storia, come grazia anticipatrice della sua perfetta realizzazione oltre i confini del tempo.

Tre tappe di un unico evento

Il principio della scansione cronologica dei tre giorni rischia di gerarchizzarli secondo criteri del tutto parziali. Valga su tutto la costatazione che la forza affettiva del Venerdì Santo, per delle ragioni che attengono anche alla storia del folklore, prevale normalmente sulla forza spirituale delle altre due liturgie. In realtà la grazia dei tre giorni è profondamente legata alle loro reciproche connessioni. L’evento pasquale in realtà è uno solo. Le tappe attraverso le quali per noi diventa assimilabile non devono presentarsi come prestazioni intercambiabili. Tutto è sempre in ciascuna di esse, come ognuna di esse ha la sua verità nella relazione con il tutto.

creativa-mente per attivarsi in famiglia genitori e figli Un cammino in 3 tappe 1. Apriamo gli occhi Osserviamo L’Ultima Cena dipinta da Emil Nolde: · Un cerchio di volti. Il più riconoscibile è quello di Gesù. Egli regge il calice che diventa il centro del dipinto. Si intravede una tavola. I colori accesi ci danno l’idea di un evento drammatico che incombe. Ci chiediamo: a) Quali sentimenti proviamo? b) Che cosa vorremmo dire a Gesù? Osserviamo la seconda immagine dello stesso autore: · Tre figure appese alla croce. Al centro sta Gesù, coronato di spine. · A sinistra in basso ci sono le figure della solidarietà e compassione (Maria, Giovanni); a destra quelle della derisione. Ci chiediamo: Che cosa ci comunica questo strano e impressionante dipinto? 2. Apriamo le orecchie e il cuore Le due immagini ci lasciano perplessi. Abbiamo bisogno di una rivelazione per capire. In queste pagine si racconta come si sia passati, nella storia della liturgia cristiana, dalla domenica alla Pasqua annuale, alla Settimana Santa, al Triduo. Ecco la luce che ci occorre! Dobbiamo interpretare tutto a partire da questo evento: Dio ha fatto risorgere Gesù. Proviamo allora a comprendere i riti culminanti dell’anno liturgico: · Il Giovedì Santo. Il Signore si inginocchia di fronte agli uomini. · Il Venerdì Santo. È certo giorno di lutto per la Chiesa-sposa. Le viene tolto il Signore. Ella ne rilegge la passione. Ha due volti: è sconfitta e morte; è “passione”, amore ardente per l’uomo. · La Veglia Pasquale. È il “passaggio” in tutti i sensi. Cristo risorge. È luce che illumina. 3. Attiviamo il corpo · Il Giovedì Santo portiamo all’altare il frutto del nostro digiuno. Spezziamo il pane durante un pasto di questo giorno e ricordiamo il gesto di Gesù. Lasciamoci educare dal gesto della lavanda dei piedi . Sostiamo in silenzio di fronte all’Altare della Reposizione. · Il Venerdì Santo. Prestiamo ascolto alla narrazione della Passione. Verifichiamo se in casa nostra ci sia un crocifisso. Come singoli o come famiglia sostiamo in contemplazione. Pratichiamo il digiuno o l’astinenza. · Il Sabato Santo. Eliminiamo dalla casa ciò che sa di vecchio. Prepariamoci alla Veglia con la Penitenza sacramentale. Partecipiamo alla grande Veglia. Accendiamo la candela al cero pasquale. Attingiamo dall’acqua, posta al centro del presbiterio. Ogni papà potrà poi benedire la mensa, a Pasqua. 13


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’

Giotto, Ascensione 1303-1305; Padova, Cappella degli Scrovegni

VERSO LA GRAZIA DI UN DESTINO COMUNE

Si è definitivamente spento il cielo dorato e ideale della pittura bizantina. Questo è un cielo vero, aggressivamente bluastro, una grande scatola cartesiana nella quale sia possibile tratteggiare la rotta di un corpo che la attraversa in volo. Perché anche il Mistero dell’Ascensione, metafora evangelica per esprimere l’idea di un ritorno del Verbo nell’orizzonte della vita teologale, possiede qui tutta la concretezza di una fisica del moto. Persino le nuvole servono a dire che Gesù dovrà pur appoggiare i piedi da qualche parte se non vuole cadere di sotto. Quello di Cristo difatti è un corpo vero. Sono corpi perfettamente tangibili anche quelli dei molti giusti che, prelevati direttamente dagli inferi, sulla scia di Gesù, si protendono verso il cielo, verso la grazia di un destino comune, per il quale, a nome di tutti, il Cristo ha preparato il posto. Sono corpi anche gli apostoli e Maria, combattuti fra lo stupore per la scena che li sovrasta e l’ascolto di due angeli vestiti come diaconi del Trecento. Il nimbo dorato che circonda le loro teste non fa che mettere in risalto la tornitura plastica Abbiamo parlato, nelle pagine precedenti, di arrivo in vetta (la Veglia Pasquale). Ora bisogna sostare, godere il panorama nei 2 versanti (i 40 dei loro splendidi volti umani. La terra, infine, è proprio terra, giorni della Quaresima, i 50 giorni del Tempo pasquale). bruna, bitorzoluta, irregolare. È Gesù è entrato nel mondo del Padre. Con i segni della passione vive il mondo che l’uomo sa di doimmortale. Noi celebriamo il Tempo di Pasqua. ver calpestare, anche con gli Ha queste note caratteristiche e inconfondibili: · Dura 50 giorni. · Si estende dalla Domenica di Risurrezione ai secondi vespri della Pentecoste. occhi rivolti al mondo di un Dio · È da considerarsi come una serie di giorni festivi o, per esprimerci con pieno di sorprese.

Il tempo di Pasqua

LA DOMENICA SENZA TRAMONTO

il linguaggio della liturgia, come una domenica senza tramonto. Le “attività” del Tempo Pasquale sono queste: attingere (dal costato trafitto di Cristo), rimanere (nella vite che è il Signore), gioire. · Paradossalmente è il tempo meno sentito nelle nostre comunità.

L’EMOZIONANTE ESPERIENZA DELLA PASQUA Nel Tempo Pasquale il discepolo può assimilare il senso della vita, morte e resurrezione di Gesù. Purtroppo l’attenzione resta galvanizzata su enfatiche celebrazioni di appartenenza sociale. Tanto per trasformare in pettegolezzo qualche aspetto delle abitudini pastorali delle nostre comunità, è interessante notare come, di tutti i passaggi liturgici dell’anno, il Tempo Pasquale sia quello di cui si ha meno consapevolezza e a cui si dedicano le minori cure. Esso in realtà viene consumato dall’ingombrante messa in scena delle grandi occasioni sacramentali dell’iniziazione cristiana. Si avrà anche l’occasione di riflettere, per quel che sarà possibile, sul contesto intimamente pasquale della loro celebrazione. Ma si può francamente ammettere l’oggettiva pesantezza rituale di appuntamenti liturgici abbondantemente dominati da enfatiche logiche di appartenenza sociale. La loro presenza, che dovrebbe apparire precisamente il frutto più eloquente del tempo legato alla grazia pasquale, finisce in realtà per oscurarne non solo il senso, ma anche la percezione effettiva. Chi, fra eccitate prime comunioni e 14


’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ indolenti cresime, si accorge del Tempo Pasquale? A questa prima osservazione se ne potrebbe aggiungere un’altra. Essa riguarda il Tempo Pasquale come itinerario. Mentre il nostro impegno pastorale si accanisce, con dovizia di strumenti e profusione di energie, nel dare la forma di itinerario all’Avvento e alla Quaresima, lascia assolutamente privo di una reale strutturazione pastorale il Tempo Pasquale, le cui coordinate evangeliche sono le uniche ad essere già pensate come un cammino. La Scrittura evangelica su questo è di una trasparenza totale. Il vero cammino del discepolo si apre nell’istante dell’emozionata esperienza della Pasqua, prendendo la forma di un’esigenza di assimilazione del mistero che richiede il suo tempo e richiama ai suoi punti fermi. La stessa testimonianza evangelica, nel senso proprio del Vangelo scritto, non è altro che il frutto di questo cammino. In esso il discepolo è chiamato ad assimilare lentamente, alla luce della resurrezione, il senso della rivelazione di Gesù: vita, morte e miracoli. Nel nostro organigramma pastorale invece questo tempo rimane la coda evanescente di una Pasqua già a rischio di essere semplicemente il grande titolo di coda dell’imponente impegno della Quaresima. Assimilare l’esperienza della Pasqua Eppure lo spartito liturgico sarebbe di una ricchezza esorbitante. Attraverso la scelta delle Scritture infatti esso riavvia, a beneficio del discepolo di oggi, il processo di rilettura cristologica della vicenda storica di Gesù. Vuol dire che si capisce l’identità teologica di Gesù solo riguardando la sua vita alla luce dell’evento pasquale. La convinzione che Gesù fosse davvero il Figlio di Dio è stata veramente e coscientemente possibile ai suoi discepoli solo dopo la Pasqua e solo dopo un lungo processo di rivisitazione della loro esperienza. Si saranno trovati sovente a dire cose del tipo «Adesso capisco che cosa intendeva veramente quando diceva che se il chicco di grano non muore…», oppure «Adesso capisco che cosa intendeva fare quando ha restituito la vista a quel cieco…». Il frutto di questi pensieri è la sostanza di cui è formata la fede e la materia di cui è costruito il Vangelo. Naturalmente questo cammino di rilettura non è un tempo infinito. La tradizione evangelica dice che si è trattato di cinquanta giorni. Non è il numero che conta. Tutti sanno che il cinquanta è un numero simbolico. Quello che conta è l’idea che sia un frammento di tempo determinato che ha un inizio, un processo, una conclusione. Il tempo di Pasqua, queste sei settimane che dalla Domenica in Albis arrivano fino alla Pentecoste, similmente ai discepoli di allora, ci prendono per mano e ci accompagnano alla scoperta del mistero pasquale secondo due temi precisi: il primo è la questione dell’identità del Le “attività” del Tempo Pasquale sono queste: Cristo e il secondo è la natura della nuova vita nella Grazia. Tenuti per mano dai testimoni Dovrebbe darci qualche sospetto il fatto che a dominare la Liturgia della Parola del Tempo di Pasqua, oltre ai racconti d’apparizione, sia la grande meditazione pastorale che l’evangelista Giovanni mette in bocca a Gesù durante l’ultima cena (Gv 1317). Questo lussureggiante catalogo di metafore cristologiche (io sono il pane, io sono la vite, io sono il buon pastore, io sono la via, la verità, la vita), che dà l’idea di esprimersi in una forma talvolta esoterica, involuta, coscientemente elaborata, è il documento più impressionante dello sforzo dei discepoli, e delle comunità di cui essi sono i riferimenti apostolici, di comprendere per quanto umanamente possibile il profilo del mistero di Cristo. Giovanni fa dire a Gesù quello che in realtà lui è riuscito finalmente a capire dopo un laborioso itinerario di comprensione. Questo non significa che Gesù non abbia mai pronunciato quelle parole o usato per sé quelle metafore. Vuol dire che l’evangelista le mette per iscritto in questa forma solo quando e solo perché lui è riuscito a capire il vero senso in cui Gesù le aveva usate. Ha capito cioè che in molti modi e molte volte Gesù aveva lasciato intendere di essere il Cristo. Ma allora erano sembrate metafore curiose. Solo dopo la Pasqua il discepolo intende che esse riflettevano una realtà ben più profonda. Ogni domenica la liturgia fa ascoltare la voce del discepolo diventato apostolo ed evangelista perché la sua testimonianza scritta è il binario sul quale può correre l’itinerario di assimilazione e di comprensione del discepolo di oggi. Quello che si cela dietro i grandi gesti profetici e taumaturgici di Gesù, presentati nelle domeniche di Quaresima, deve diventare chiaro grazie alla nuova coscienza data dalla Pasqua. Gesù non semplicemente moltiplica il pane per la fame della gente: Egli è il pane della salvezza umana. Gesù non solo indica delle vie di sapienza: Egli è la via. Gesù non semplicemente parla autorevolmente di Dio: Egli è Dio. Senza questo cammino di rilettura, ben pilotato dalla testimonianza evangelica, il cammino di quaresima rischia per esempio di arrestarsi su di un piano puramente morale, se non moralistico. Il compito del discepolo è giungere alla confessione di Gesù come il Cristo Figlio di Dio. Si dovrebbe diventare più consapevoli di questa logica e dare una forma corrispondente all’itinerario liturgico che la incarna. 15

attingere (dal costato trafitto di Cristo), rimanere (nella vite che è il Signore), gioire.


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L Giotto, Pentecoste 1303-1305; Padova, Cappella degli Scrovegni

LO SCAMBIO DEI DONI Ascensione e Pentecoste sono la parola ultima detta da Dio sulla trasformazione della storia. Grazie alla Pasqua, anche Dio è umano e qualcosa di Dio resta nel mondo

UNA VOLIERA APERTA ALLO SPIRITO Giotto di Bondone può essere considerato uno dei padri della pittura occidentale. Il gesto con cui inaugura il suo corso è l’esplicito abbandono dell’idealismo bizantino. Giotto, traducendo la pittura dal greco al latino, insegna alla nostra cultura a conferire volume al mondo e corpo alle figure. Il suo realismo è ciò che consente di introdurre nella pittura il prodigioso universo psicologico della natura umana. Compiendo questa rivoluzione a partire da temi sostanzialmente sacri, quella di Giotto si può anche definire una nuova incarnazione del Vangelo cristiano, come principio attivo della cultura universale. In questo affresco, Giotto mette in scena il prodigio della Pentecoste. Spalanca le pareti del cenacolo facendolo diventare una specie di voliera aperta, nel quale lo Spirito sia libero di spruzzare dal cielo le sue insanguinate lame di fuoco e l’osservatore abbia il dono di penetrare con i propri occhi la grazia sospesa di questo evento. Qualcuno degli apostoli volta la schiena senza problemi. Per la pittura bizantina sarebbe stato uno scandalo. Qui si tratta dell’ovvietà di trovarsi nel mondo reale, dove vigono le leggi fisiche dello spazio. Giotto si compiace di costruire visivamente l’illusione di un cerchio di uomini perfettamente percepibile. Lo Spirito che inonda la sala sembra il gigantesco lampadario di un designer contemporaneo.

Il Tempo Pasquale prepara anche a capire il senso ultimo della vita di Grazia garantita dalla Pasqua di Gesù alla storia umana. Esso, nel suo contenuto teologico più profondo, viene da sempre custodito e insieme esibito nelle due grandi tappe conclusive del tempo pasquale: l’Ascensione e la Pentecoste. Non va ripetuto che ad esse si sovrappone quasi sistematicamente la scanzonata euforia con cui si celebrano i sacramenti dell’iniziazione. Ma quando per miracolo rimangono libere, esse alimentano l’imbarazzo delle occasioni poco «predicabili», quelle nelle quali al «tema del giorno» non si riesce a dare una consistenza attualizzatrice, deludendo più che le attese dei fedeli le ansie di prestazione dei celebranti. Normalmente finisce che queste due splendide tappe pasquali siano l’occasione di tonitruanti coreografie rituali. Ascensione e Pentecoste potrebbero essere invece il vertice del cammino pasquale come una parola detta sulla reale trasformazione della storia da parte della nuova Alleanza stipulata nel corpo di Cristo. L’Ascensione custodisce difatti l’idea che per Gesù il corpo umano nel quale si è incarnato non è stato, come avrebbero voluto i monofisiti e i docetisti del cristianesimo antico, una sorta di travestimento tattico in vista di una migliore comunicazione con la limitatezza degli umani, di cui Gesù si sarebbe disfatto appena venuta meno l’esigenza della sua missione. La natura umana, fatta di carne e di sangue, è al contrario per Gesù un orgoglio da cui è deciso a non separarsi e che, appunto, porta con sé nel suo pieno ritorno nel grembo dei legami divini. Gesù sale al cielo, ritorna in Dio, conservando per sé il suo corpo di carne, rimanendo pienamente un essere umano. Con espressione evidentemente imprecisa, ma utile a darci l’idea dell’importanza del tema, potremmo dire che, grazie alla Pasqua di Gesù, c’è un uomo in Dio, anche Dio è umano. L’Ascensione non sollecita perciò facili ed eccitate ammirazioni per l’effetto paranormale di una sparizione miracolosa verso cieli misteriosi. Richiama il senso ultimo dell’incarnazione. Lo dichiara irrevocabile. Ne suggerisce la conseguente elevazione della carne umana a vero luogo di incontro dell’uomo con Dio. Persino Dio ha della carne umana presso di sé. 16


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI PASQUA- SEGUIRE E IMITARE GESU’ Mentre l’Ascensione dichiara che c’è qualcosa di umano in Dio, la Pentecoste testimonia che qualcosa di Dio resta nel mondo. Si tratta di uno scambio di doni. Cristo torna in Dio conservando la sua natura umana ma non senza lasciare la sua presenza di Spirito ad accompagnare per sempre la storia degli umani. C’è qualcosa di Dio nel mondo. C’è dello Spirito nell’uomo. Anche in questo caso il principio non è privo di conseguenze. La storia non è più lo spazio buio dell’assenza divina dominato dall’azione del male. Nella storia, a fianco del piccolo e coraggioso essere umano, continua ad agire la presenza del suo Dio, nella forza dello Spirito del Figlio. Non si sposterà di un centimetro quando si tratterà di infondergli coraggio e sapienza.

Ascensione e Pentecoste possono essere il vertice del cammino pasquale come una parola detta sulla reale trasformazione della storia da parte della nuova Alleanza stipulata nel corpo di Cristo.

Nel corpo e nello spirito La vita cristiana, forgiata nella misteriosa riconciliazione pasquale, possiede allora il suo principio di azione nel corpo e nello spirito. È l’intero dell’uomo che Dio ama con una passione irragionevole, non soltanto una sua parte. Così la vita evangelica, anche mediante la potenza performatrice della liturgia, non ha lo scopo di liberare le anime, ma di spiritualizzare i corpi. L’uomo nuovo, immaginato da Dio sull’immagine stupefacente del suo Figlio, non è il frutto di inumane lacerazioni, è il risultato dell’integrità che a Dio piace restituire a chiunque impari a mettere la propria vita sotto il giogo dolce e leggero della dedizione divina. Solo perché il corpo e la storia vengono eletti a essere lo spazio di congiunzione del volere di Dio e del cammino dell’uomo, i segni della liturgia non sono espedienti linguistici dell’umana propensione a simbolizzare, ma efficaci strumenti con cui la grazia di Dio modella la vita dei suoi figli adottivi.

PER VIVERE IN FAMIGLIA I 50 GIORNI DI FESTA 1. Apriamo gli occhi Nella pagina precedente c’è il dipinto che rappresenta l’Ascensione dipinta da Giotto: · Gesù è tutto proteso verso il cielo. Pare ansioso di giungere dal Padre. A destra e sinistra stanno gli angeli. Due di essi stanno in basso. Indicano ai discepoli una direzione. In basso, a sinistra e a destra, in bella evidenza stanno Maria e i discepoli. Ci chiediamo: a) Che cosa ci colpisce? b) Quali i sentimenti di Maria e di coloro che vedono la scena? Osserviamo La Pentecoste, dipinta anch’essa da Giotto. · Tutte le figure paiono contenute in una specie di cubo. Sono persone con una loro precisa identità, un peso, un volume. È’ come se vedessimo una voliera aperta allo Spirito. Tutte le figure sono raggiunte dai suoi raggi. Ci chiediamo: Quale aspetto dell’evento vuole sottolineare Giotto? Con quale di queste figure possiamo identificarci? 2. Attiviamo le orecchie ed il cuore Che cosa ci colpisce in particolare? · Proclamiamo At 1,1-11 Che cosa accade a Gesù nell’Ascensione? Come reagiscono i discepoli? · Leggiamo At 2,1-8 Ci chiediamo a) Con quali immagini viene rappresentato lo Spirito (rombo, vento, tuono)? b) Quali sono gli effetti nei discepoli? c) Che cosa ha inizio a partire da lì? 3. Attiviamo il corpo ● Già dal Sabato sera (prima della festa di Pentecoste) addobbiamo la casa, mettiamo fiori sulla mensa. ● Facciamo trovare gli auguri e la sorpresa sotto il piatto, nel giorno di Pasqua. ● Prima del pasto, il papà benedica la mensa. Oppure si proclama uno dei Vangeli della Pasqua. ● Rappresentiamo “il cielo”. Nella “casa di Dio”, nel suo giardino collochiamo anche le figure dei nostri cari. 17


DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

CONOSCIAMO LA “LUMEN GENTIUM” LA COSTITUZIONE SULLA CHIESA DEL CONCILIO VATICANO II

3^ parte

Abbiamo pensato di offrire alle parrocchie – a tutti i sacerdoti e ai laici, soprattutto quelli impegnati nella pastorale – alcune schede che sollecitino e orientino una lettura attenta della Costituzione Conciliare ‘Lumen Gentium’. La lettera pastorale che guida il nostro cammino quest’anno, infatti (“siano tutti una cosa sola”) trae la sua origine dall’insegnamento del Concilio e può essere capita appieno solo sullo sfondo del Concilio. È necessario, allora, che i documenti conciliari importanti diventino parte del patrimonio di conoscenze condiviso da tutti i battezzati.

L’UNIVERSALE VOCAZIONE ALLA SANTITÀ NELLA CHIESA

(Lumen gentium, c. V; 1Pt 2,9-12; 1Cor 1,29)

I capitoli III e IV della Costituzione svolgono il tema dell’apostolicità, ossia della Chiesa che resta ‘una nel tempo’ grazie alla sua struttura gerarchica e al suo apostolato: si tratta di due sensi diversi ma complementari, da prendere e da vivere alla luce del ‘servizio-ministero’, unica condizione in grado di unificarli, nella teoria come nella pratica. Il termine apòstolos è la traduzione greca dell’aramaico shalìah, e designa una persona inviata con la stessa autorità e con gli stessi poteri dell’inviante. Esso caratterizza la ‘prefigurazione di Chiesa’ che noi troviamo nei Vangeli con la chiamata degli apostoli da parte di Cristo e la loro formazione comunitaria, che quindi configura il ‘collegio gerarchico’ sin dagli inizi. Con la Pentecoste prende avvìo la Chiesa secondo gli Atti degli Apostoli, ma il ‘modello apostolico’ la caratterizzerà in tutte le epoche e a tutti i livelli. Le Lettere pastorali e i Padri apostolici documentano chiaramente che gli apostoli si sono scelti dei collaboratori (presbìteri e diaconi) e dei successori (vescovi) nel loro ministero: anche se la Chiesa oggi conta più di 5 mila vescovi, si tratta sempre dello stesso collegio apostolico, presieduto dal successore di Pietro,

che si dilata man mano che essa va crescendo in ogni punto della terra e la mantiene nell’unità nonostante il trascorrere dei secoli. È questa l’idea di fondo che sorregge tutto il cap. III: al n.18 si afferma chiaramente che esiste nella Chiesa una vera autorità, e che essa ha un’origine voluta da Dio nel ministero originario del vescovo (nn.19-21), la cui autorità include la collegialità (nn.22-3) e del quale si descrive la missione evangelizzatrice, santificatrice e di governo (nn.24-27). Il capitolo si conclude mostrando come il vescovo possa partecipare ai presbiteri e ai diaconi le rispettive mansioni spirituali e materiali loro proprie (nn.28-9). Il Concilio completa poi le indicazioni pratiche per l’episcopato con il decreto Christus Dominus e per il presbiterato con i decreti Presbyterorum ordinis e Optatam totius, mentre lascia il diaconato senza indicazioni dettagliate, pur optando decisamente per il suo ristabilimento. Sebbene la ‘terna ignaziana’ di vescovopresbitero-diacono esista chiaramente enunziata e praticata sin dagli inizi del secolo II, non siamo in grado di affermare fin dove essa sia vincolante per la Tradizione ecclesiale, mentre quanto alla sacramentalità dell’episcopato quale ‘ministero originario’ dell’Ordine sacro non vi è nessun dubbio per il Vaticano II. Il grosso problema che abbiamo nella recezione concreta di questo capitolo è sottolineato dal fatto che, proprio in tema di rapporti fra Primato e Collegialità esso ha visto la più pericolosa contrapposizione fra i tradizionalisti in nome del Vaticano 18


- DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II I e i progressisti nel nome di un fantomatico Vaticano III (!). È stato necessario l’intervento diretto di Paolo VI con la famosa Nota praevia per scongiurare questo pericolo e impostare la questione in termini chiari, ricordando ai padri conciliari che la collegialità nella Chiesa è gerarchica, avendo come modello il ‘collegio apostolico’, nel quale uno da solo ha il potere degli altri membri messi assieme, e non il collegium del diritto giustinianeo, che è una specie di tavola rotonda, presieduta da un primus inter pares. Tale articolazione fra autorità e collegialità si ripresenta puntualmente a tutti i livelli della via ecclesiale (Papa-vescovi, Vescovopresbiteri, Parroco-laici; il Diacono ne è per ora esente, fintantoché non gli venga affidata una por-

zione del popolo di Dio), e va vissuta con autentico spirito di fede, andando quindi ben oltre gli stretti confini politici della monarchia o della democrazia. Un caso tipico di infelice interpretazione di questo punto l’abbiamo nella posizione di Hans Küng, che rappresenta il polo opposto a quello di Lefèvre nel rigetto del Vaticano II. Egli ha sostenuto ripetutamente che della LG sono accettabili soltanto i primi due capitoli, perché conformi alla Scrittura, mentre il terzo lo «fa fremere». Purtroppo, a conseguenza del movimento sessantottino molti oggi simpatizzano per le sue tesi e si rifiutano di accettare l’autorità ecclesiale e la gerarchia nella Chiesa. Il fenomeno esige da parte di tutti riflessione, ponderatezza e saggezza.

L’APOSTOLATO LAICALE NELLA CHIESA DI IERI E D’OGGI (Lumen gentium, c.IV: I laici; Atti 18,1-4 I due titoli dai quali partiamo per la riflessione sul c.VI della LG si corrispondono specularmente, alla luce del fenomeno religioso del profetismo, che non è esclusivo dell’Antico Testamento, ma si estende anche alla vita ecclesiale. La menzione, poi, del mondo cattolico accenna alla confessione cristiana in cui la vita religiosa ha conosciuto il suo pieno sviluppo. Come è solita fare, la Costituzione chiarisce innanzitutto il concetto di vita religiosa (43-5) in due aspetti: 1°. È una scelta personale e libera di vivere il Vangelo in modo radicale, seguendo i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza; 2°. Ufficializzata in uno stato di vita approvato dalla Chiesa mediante istituzioni stabili, dottrina solida, fraternità effettiva e disciplina oggettiva. Si afferma anche qui ciò che il religioso non è: egli non appartiene alla struttura della Chiesa (gerarchia e laicato), come sosteneva la visione medioevale dei ‘tre stati’, ma in pratica risulta provvidenziale perché essa funzioni a dovere. Quindi, abbiamo qui un carisma personale, che di fatto dà origine a gruppi particolari: per evitare che essi divengano sètte, creando seri problemi alla comunione ecclesiale, l’autorità della Chiesa li indirizza verso il bene comune, con il fine di ricordare a tutti la condizione di vita inculcata da Cristo ai discepoli, che dà decisa priorità al Regno di Dio in questo mondo in vista della vita eterna. Le forme di vita religiosa sono alquanto variate. Storicamente, quella più antica è la più semplice (riferita da Tertulliano nel s.II): include solo la notifica pubblica da parte del vescovo alla comunità ecclesiale, lasciando gli interessati inseriti nel loro ambiente d’origine; viene poi alla fine delle persecuzioni il grande sviluppo del Monachesimo, prima in Oriente (Basilio) e poi in Occidente (Benedetto), che si conclude con l’esenzione dall’autorità locale e il riferimento a quella papale con Cluny (s.X); col s.XIII gli Ordini Mendicanti sostituiscono al monastero rurale il convento urbano; lo stile di vita si fa ancor più inserito nel mondo, anche femminile, con l’avvento delle Compagnie religiose moderne (assistenza, educazione, missioni) dal Cinquecento in poi; l’ultima novità è, curiosamente, una ripresa del modello più antico con le Associazioni religiose laicali. Se la storia documenta mezza dozzina di forme religiose diverse, la loro configurazione le raggruppa in tre generi (monastiche-conventuali-secolari), mentre il Codice di diritto canonico distingue

soltanto fra Istituti religiosi e Istituti secolari. Il Decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis è l’applicazione di questo capitolo, e risulta nel suo genere uno dei più indovinati con le sue 5 unità tematiche. La prima (1-6) raccomanda di dare l’assoluta priorità alla vita spirituale e alla scelta del regno di Dio; la seconda (7-11) distingue 5 generi di istituti: contemplativi, apostolici, monastico-conventuali, laici e secolari; la terza (12-14), la più importante, richiama il riferimento ai tre consigli evangelici quali ‘segni tipici’ della vita religiosa; la quarta (15-18) considera i vari fattori che dan tono alla vita religiosa; la quinta (19-25) accenna alle varie novità che ciascun istituto potrà introdurre. Nonostante l’intenso lavoro postconciliare che vi è seguito, la grave crisi di vocazioni che grava sul primo mondo ci fa riflettere sulle obiezioni odierne contro la vita religiosa (46: ostacolo allo sviluppo della persona ed estraneità ai valori terreni) e sulla risposta concreta da offrire (Henry Bergson: i mistici cristiani rappresentano l’avanguardia spirituale dell’evoluzione umana). Concludendo i due capitoli che trattano della santità della Chiesa in questo mondo, optiamo con il Simbolo per la ‘Chiesa santa’ più che per la ‘Chiesa dei santi’, come han fatto parecchie sètte: è una scelta realistica, che proclama con decisione il vero fine della Chiesa e allo stesso tempo ammette che si tratta di una ‘santità imperfetta’, che resta tale nel popolo cristiano come nei suoi specialisti, i religiosi, ma che non s’arrende mai a nessun limite. La formula più accettabile resta, allora, quella proposta da Karl Rahner: “Apparteniamo tutti alla Santa Chiesa dei peccatori”.

19


DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

L’ECCLESIOLOGIA DEI SEMPLICI (Lumen gentium, c.VIII: La BVM Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa; Lc 1,26-38

L’ultimo capitolo della LG è in realtà una costituzione suddivisa in 5 parti, a suggello conclusivo della Cost. dogmatica sulla Chiesa; concretamente, si propone di riassumere con l’icona della devozione mariana quanto si è affermato nei 7 capitoli precedenti sulla sua realtà, spesso con linguaggio difficile e complesso. Tale decisione è prevalsa rispetto a quella che si proponeva una costituzione conciliare autonoma, perché è parsa preferibile ai Padri la tendenza mariana ‘ecclesiotipica’ rispetto a quella ‘cristotipica’. I due termini impiegati mostrano il cambiamento di prospettiva indotto dal Vaticano II nel culto mariano: prima del Concilio c’era stato il rischio di porre la Madonna su di un piano concorrenziale rispetto a Cristo (“Di Maria, non s’è mai detto abbastanza”), mentre la prospettiva conciliare mette al sicuro la dottrina mariana dalle critiche dei Protestanti: Maria è il modello insuperabile della Chiesa. L’esposizione adotta lo schema della Storia di salvezza, per mostrare i fondamenti biblici della dottrina e della devozione mariana. Il proemio (52-4) chiarisce che non è intenzione del Concilio esporre una mariologia completa, ma soltanto mostrare l’intima relazione fra la Madonna e la Chiesa, perché entrambe hanno ‘accolto nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio’: l’Annunciazione resta paradigmatica in ciò. La prima parte (55-9) descrive la funzione di Maria nella strategia divina di salvezza in modo ‘cristotipico’, perché dall’Annunciazione alla Croce ella partecipa con fede (11 v.) al mistero di Cristo, assecondandone l’atto redentivo. La seconda parte (60-5), invece, è ‘ecclesiotipica’: la presenza di Maria nella Chiesa sin dalle origini non sminuisce affatto l’unica mediazione di Cristo, ma l’asseconda in tutto come madre e come vergine, divenendo in tal modo ‘modello [typus] della Chiesa’ e quindi anima del suo apostolato. La terza parte (66-7) ricorda brevemente i princìpi che dal Conc. di Efeso dirigono il culto a Maria, evitando che in questo campo si pecchi di difetto o di eccesso. La conclusione (68-9) fa perno sulla comune fede mariana con gli Orientali, per concludere in modo beneaugurale che la Madonna aiuti il ‘pellegrinante popolo di Dio’ a raggiungere l’unità. Stando agli esperti, 4 sembrano i princìpi teologici che si possono dedurre da questa esposizione dottrinale e soprattutto dal n. 53: 1° Principio di solidarietà, che consiste nello stretto coinvolgimento di Maria nella vicenda umana di Cristo,

nel suo mistero di salvezza e quindi con la nostra salvezza; 2° Pr. di singolarità, dal momento che i privilegi e le prerogative della Madonna, incentrati per la loro giustificazione nella sua divina maternità, propongono una relazione unica con Cristo; 3° Pr. di eminenza: la singolarità della Figlia di Sion consiste nel rappresentare il punto più alto della rivelazione divina agli uomini, avendo dato la vita a Cristo nella pienezza dei tempi; 4° Pr. di esemplarità, perché ella rappresenta il modello da assimilare da parte del cristiano nella sua vita personale e da parte della Chiesa nelle sue strutture. Soprattutto quest’ultimo principio, che fa perno sulla causalità esemplare, ha un indubbio valore per le anime semplici, che trovano nella devozione mariana la connessione con il mistero di Cristo, e quindi una risposta reale e profonda ai loro problemi. Tutto ciò è occasione di un’ultima riflessione. Di solito si prende la teologia come un tentativo esclusivamente teorico di approfondire le verità rivelate, installando così la dogmatica in una torre d’avorio avulsa da ogni aggancio con la realtà umana. Tale espediente, molto discutibile, fallisce del tutto con la mariologia, per il semplice fatto che essa è prioritariamente una teologia pratica, che la devozione del popolo cristiano ha vissuto ed elaborato attraverso i secoli. Questo dato ‘pastorale’ consiste in una prassi concreta che dà plausibilità ai corrispettivi contenuti della fede e permette loro la riprova dei fatti da parte della sensibilità cristiana. Non si tratta a questo punto di una ‘teologia di serie B’, come si potrebbe pensare della stessa ‘teologia spirituale’ per quanto concerne la mistica. In definitiva, la secolare devozione alla Madonna, che da sempre accompagna il fatto cristiano, costituisce un fatto concreto da registrare e sul quale riflettere, una grazia da non respingere. 20


DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

INDOLE ESCATOLOGICA DELLA CHIESA PELLEGRINANTE E SUA UNIONE CON LA CHIESA CELESTE (Lumen gentium, c. VII: At 1-2 e Apoc)

Il titolo del cap. VII riporta il termine greco di escatologico, che non viene recepito nel linguaggio della gente comune, nonostante sia comparso nella nostra predicazione da 50 anni circa. Tale allergia è dovuta al malinteso che gli è insito, ma anche alla cordiale antipatia con cui noi dell’epoca del benessere (dagli anni ’60 in poi) rispondiamo a qualsiasi invito verso le ‘realtà ultime’: il materialismo sembra che ci abbia persuaso che la realtà ultima è la presente esistenza, al di là della quale non v’è nulla. Poco importa, poi, se attorno a noi si continua incessantemente a morire e se tocchiamo con mano che nessuno si porta via alcunché di materiale da questa vita; siamo tanto materialisti, da sembrarci quasi più accettabile il nichilismo che la fede in un’altra vita. Eppure il buon senso, che neppure la vuota società dei consumi ha potuto distruggere, non si rassegna alla peggiore disgrazia della vita umana, rappresentata dalla morte: anche l’uomo della strada continua a porsi la profonda domanda circa una propria sopravvivenza, che neppure il miraggio marxistico della ‘società dell’avvenire’ ha saputo soddisfare. Come sopravvivere al disastro di una vita umana che va progressivamente disfacendosi fino al suo annientamento? Sin dai tempi apostolici, la fede cristiana ha ricordato a tutti la necessità di puntare sulle realtà che si trovano al di là dei valori terreni: “Voi infatti siete morti, e la vostra vera vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Si tratta di una delle più forti convinzioni di tutto il Nuovo Testamento. Con i primi cristiani, crediamo anche noi che Cristo Risorto è la nostra vera speranza, al di là di tutte le umane illusioni, vecchie o nuove; crediamo anche che il suo Corpo, che è la Chiesa, è destinato a essere germe di speranza imperitura fra gli uomini, soprattutto perché a Lui si sono associati nella gloria la Madonna e i Santi, che costituiscono la Chiesa celeste, verso la quale siamo tutti orientati come ‘pellegrini’ (l’unica novità rispetto al passato, è che si è sostituito al termine di Chiesa ‘militante’ quello meno bellicoso di ‘pellegrina’). La Costituzione, poi, non ha atteso il c. VII per menzionare questa convinzione, che è alla base di un equilibrato concetto di Chiesa: essa accenna alla Chiesa definitiva già nei capitoli precedenti (16 volte nel c. I; 12 v. nel II; 3 v. nel III; 6 v. nel IV; 2 v. nel V e nel VI, e 5 v. nell’VIII) per riprenderlo decisamente nel capitolo che s’è riservato a questo fine, quasi per ricordarci che si tratta della Chiesa di Dio, e tutto ciò che appartiene a Dio deve quasi per forza includere la definitività di una vita meno precaria dell’attuale.

Al n. 48 si introduce, quindi, il tema della ‘devozione ai Santi’, che fanno già parte della Chiesa giunta al suo ultimo compimento. Da parte nostra aspettiamo tra le creature e le istituzioni di questa vita il compimento della nostra speranza, alla quale avremo accesso soltanto dopo la morte con il giudizio che ci attende. Saremo ammessi a questa porzione di Chiesa in tutto e per tutto Santa (non imperfettamente santa come la Chiesa dei vivi), se eviteremo l’inferno e avremo in sorte il paradiso. Quindi, la premessa è posta perché si tratti il tema della Comunione dei Santi, che è la comunione e lo scambio di bene fra la Chiesa terrena e quella celeste. Di ciò si incaricano di parlare i nn. 49-51, e non si tratta di un tema secondario, dal momento che lo riporta lo stesso Simbolo apostolico: “l’unione fra vivi e morti non è minimamente spezzata, anzi è consolidata dalla comunicazione di beni spirituali” (49); in altre parole, i meriti acquistati in terra dai morti grazie alla comunione con Cristo, unico Mediatore, possono rimediare alla nostra debolezza. Stabilito questo principio, si ricorda la prassi ecclesiale sin dagli inizi della Chiesa verso i Santi (Madonna, Angeli, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini) nei tre aspetti di venerazione, invocazione e imitazione. Tale unione fra noi e loro si realizza soprattutto nella liturgia (50). Vengono alla fine date varie disposizioni perché la comunione con la Chiesa purgante e trionfante sia portata avanti rispettando le norme date nei concili del passato (Niceno II, Fiorentino e Tridentino): l’adorazione a Dio e la mediazione di Cristo non avranno nessun scapito, se nel culto ai Santi si osserverà il dovuto equilibrio fra le deviazioni di eccesso, tipiche della devozione popolare, e quelle di difetto dei protestanti, che hanno impoverito il culto cristiano.

21


Come procede la navigazione della Repubblica Italiana? Quale ruolo svolgono, a bordo, i cattolici? Uno sguardo sorridente (ed amaro). Con una prospettiva.

La Repubblica Italiana in navigazione N el bel mezzo del Mediterraneo, c’è una nave che batte bandiera tricolore. Va avanti o indietro? Diciamo che gal-

leggia. La sirena suona in continuità. Ormai tutti si sono abituati a questo richiamo: lo considerano un normale rumore di fondo. Tutto è emergenza. Le questioni sono tutte tragiche, ma non serie. Ogni sera, vanno in scena gli psicodrammi. Qualcuno tende a motivare la fragilità, indicando la data di nascita come Stato (17 marzo 1861). Paradossalmente non si ha la sensazione di stare sulla stessa barca. In termini tecnici si direbbe che manca il senso del bene comune. Sono spariti i luoghi della politica. Le sezioni dei partiti hanno ceduto al fascino dei talk-show. C’è il parlamento, ma è anoressico. Se volete avere altre notizie precise sulle alleanze (o le divisioni), rivolgetevi a Porta a Porta, oppure frequentate il Meeting di Rimini. Soprattutto se intendete capire chi prende poi le decisioni, andate ai colloqui di Cernobbio. Gli ufficiali di bordo tendono ad usare i toni acuti. Essi sono molto consapevoli che la rotta della nave è in gran parte predeterminata (dai poteri economici, dalle alleanze internazionali, dall’appartenenza all’Europa). Gli ufficiali di bordo (i politici) hanno messo da parte la loro specifica funzione di mediare tra idealismo e realtà, tra esigenze della base e possibilità. Girano nella veste di camerieri che raccolgono le ordinazioni (Voglio un caffè, un tè, una granatina…). A bordo ci sono molti cattolici. Vari stazionano sul ponte di comando. Altri, al contrario, sono ammassati nelle stive; il loro motto è "Ci siamo, ma non fatelo sapere in giro". Pochi sono "di origine controllata". Imperversano invece i cattolici "stagionali". Nessuno mai li ha visti. Compaiono in parrocchia in prossimità delle elezioni. Infinite le variabili. Ci sono i teodem: sono lì a vantaggio della totalità o per curare gli interessi della parte cattolica? Ci sono (e militano sotto varie bandiere) i camaleonti. Risultano invisibili perché assumono i colori delle cose su cui si posano. Ci sono i "cappellani di corte". Svolgono il loro compito storico: dire che le ispirazioni dello Spirito Santo coincidono esattamente con le idee del capo. Ci sono coloro che aspettano la soluzione di tutto dal Magistero. Sono in realtà dei "passeggeri della scialuppa": la nave può anche incagliarsi o affondare, tanto loro hanno il rifugio della fede. Ci sono quelli che adoperano Presepi e Crocifissi a mo’ di corpi contundenti, salvo poi rinnegare completamente la logica di Betlemme e del Golgota. Ci sono i cattolici democratici. Sicuramente hanno un prezioso retaggio da custodire (il carattere popolare della presenza cristiana, la mediazione). Ma quanto su di loro ha gravato il peso della logica antagonista? Quali brutti scherzi ha giocato loro la fretta di un cartello elettorale? Serve una nuova generazione di cattolici impegnati in politica (Benedetto XVI, Cagliari 7 settembre 2008).

Mai una frase di un papa è stata così perentoria e chiara. In direzione di questo obiettivo la Chiesa italiana sta investendo molto. Lo testimoniano la Settimana Sociale dei Cattolici (Reggio Calabria 14-17 ottobre 2010), gli stimoli offerti da tante riviste (Civiltà cattolica, il Regno, Jesus, Coscienza…), l’opera instancabile di p. Bartolomeo Sorge, la rinascita delle scuole di formazione... Si tratta di rimettere in circolazione il "fattore Camaldoli". Ci riferiamo ad un preciso monastero. Ivi nel 1943 fu scritto il codice che servì per la ricostruzione del paese. Ivi si sono ritrovati per anni, per gli esercizi spirituali, i vari De Gasperi, Moro, Fanfani, La Pira, Dossetti… Questo fattore è un combinato di forte appartenenza ecclesiale, di spiritualità, di esercitazioni, in vista della forma più esigente della carità che è la politica. Si tratta di far emergere la carica progettuale che ha la fede. Non si parte dal nulla. Abbiamo una grande storia alle nostre spalle. I "professorini" alla Costituente non erano lì per ritagliarsi un proprio spazio. Hanno avuto la capacità di offrire un orizzonte umanistico-ideale che, di fatto, ha superato l’antagonismo inconcludente marxismo-liberalismo. Occorre avere il coraggio della semina. La situazione è ben diversa da quella del ’48. Ivi la scelta era chiara tra salvaguardia della libertà e rischio di asservimento ad un totalitarismo. Ora i cattolici sono presenti nei tre poli. Ma hanno da essere coscienza critica. Autorevolmente è stato precisato che la democrazia partecipativa per i cattolici si basa su 5 condizioni: l’agire politico nella legalità, il principio di uguaglianza, l’adeguata rappresentatività, il principio di solidarietà e quello della sussidiarietà.

22


dossier

Da stranieri Gli stranieri. Li conosciamo sempre meglio. Colorano i nostri paesi e le nostre città. Vanno a scuola con i nostri figli. Lavorano come noi nelle aziende. Ma stavolta non intendiamo parlare di "alcune persone", cioè degli emigranti e degli immigrati. Stranieri siamo noi. Stranieri e pellegrini: questi sono i tratti della condizione umana, secondo la Scrittura.

“Da stranieri” - Interrogativi

LO STRANIERO DENTRO DI NOI Cogliersi come stranieri è una sfida dell’intelligenza e del cuore. È la base per comprendere la stessa condizione umana

arroco in un paesino delle valli bergamasche, ho scoper- Lo straniero come figura P to essere un paese di emigranti da un gioco di carte, in voga solo in quella ristrettissima area montana: importato Per capire l’ordine biblico, occorre partire dal vissuto. E poi dall’Argentina per dove erano partiti agli inizi del Novecento a chiedere pane per sé e per le famiglie arroccate su monti senza futuro, prima di approdare su rive più vicine, ma decisamente meno accoglienti come la Francia e la Svizzera e il Belgio. Anni di baracche, di polizia, di disprezzo: il racconto di una vita impossibile, e tuttavia vissuta per una necessità che non aveva alternative. Una storia che non si racconta più, che alcuni oggi negano facendosi essi stessi aguzzini dei nuovi emigranti. E, non per farci del male, ma che a gridare di ributtarli a mare siano rappresentanti del popolo che si dicono cattolici... (finiti poi tra i fautori delle messe d’antan, chissà perché!). Questo dossier non entra nel merito di una analisi sociologica dell’inevitabile arrivo di albanesi, marocchini, slavi, filippini, senegalesi, in fuga da paesi miserrimi; e neppure del bisogno che si ha di loro per rivitalizzare settori produttivi e servizi: la cura degli anziani, l’edilizia, l’agricoltura; non se ne parla neppure per denunciare vergognose proposte degne di Auschwitz: formare campi di accoglienza separati per uomini, donne e bambini. Non si vuole neppure rilevare - almeno più di tanto - l’incongruenza di una sostituzione della figura del meridionale con l’islamico da impallinare, soprattutto da parte di chi si è convertito alle ragioni del nord con linguaggi all’Abatantuono: dato, e sia concesso, che sotteso permane il fumus antimeridionale, il primo grande straniero della nazione nata dall’ultimo dopoguerra. È appunto da incongruenze come queste che prende spunto la riflessione proposta in queste pagine: l’assenza della peculiarità di straniero che appartiene alla storia biblica quanto all’umanità uscita dalle mani di Dio per una provvisorietà che chiama oltre la terra che si abita.

inoltrarsi dentro quel sentire umano che fa di una terra una patria; ma anche il sentire che si possono “avere più patrie, che corrispondono ai diversi luoghi della propria vita; o avere più case: sentirsi a casa in più luoghi può essere qualcosa di magnifico; ma diventare un senza patria è un destino terribile. Un emigrante può diventare uno dei nostri, mentre per i senza patria il mondo acquista un carattere sempre più inquietante” (Josef Rovan, prestigiosa figura della costruzione europea). Dunque l’idea di una terra come patria ha a che fare con un sentirsi a casa: può uno straniero rinascere in una terra in cui emigra? Ma come può avvenire se incontra uno che si definisce uno stanziale, un padrone a casa propria, uno che a sua volta non si vede egli stesso come straniero su questa terra? Qui probabilmente si scontrano le visioni di fondo della vita: il credere, come Abramo, che nel partire si definisce un senza terra, e lo fa per obbedienza a una promessa, è dissimile da chi sta sulla terra, pur viaggiando, come fosse l’ultimo porto dell’esistere. Non si tratta di distinzioni manichee: ma di un modo per descrivere a se stessi, con l’audacia della verità che si va a snidare, la condizione umana. È la condizione di straniero che sta alla base dell’esperienza umana: “La domanda «chi è l’altro?» si sdoppia nell’interrogativo «Chi sono io?» e conduce alla consapevolezza che la paura istintiva suscitata in noi dallo straniero è lo specchio di una «stranierità» che ci abita” - come ha scritto E. Bianchi, in una sua riflessione di qualche anno fa. Sentirsi straniero è dunque il modo di vivere le relazioni con il forestiero, a partire dalla definizione di sé come di chi si cerca. Per capirsi nei desideri e nelle ansie che lo abitano, l’uomo è chiamato a cogliere e rispettare la differenza dell’altro.

23


È una sfida Cogliersi come straniero per a c co g l i e re lo straniero è una sfida dell’intelligenza e del cuore, oltre che di quel groviglio psicologico che irretisce spesso nelle paure delle diversità. “L’ascolto è un sì radicale all’esistenza dell’altro come tale; nell’ascolto le rispettive d i f fe re n ze si contaminano, perdono la loro assolutezza, e quelli che sono i limiti dell’incontro possono diventare risorse per l’incontro stesso. Ascoltare uno straniero non equivale dunque a informarsi su di lui, ma significa aprirsi al racconto che egli fa di sé per giungere a comprendere nuovamente se stessi: così lo straniero non abita tra di noi, ma abita con noi. Lo straniero, infatti, cessa di essere estraneo quando noi lo ascoltiamo nella sua irriducibile diversità, ma anche nell’umanità comune a entrambi”. E la fede cristiana educa ad accogliere e apprezzare le peculiarità culturali dei popoli, chiamando a uno scambio di beni e di culture. Se manca questo ascolto, si vive accanto: accanto non solo all’estraneo, ma anche a se stessi. Accanto e non con: genera ostilità da entrambe le parti, e una irriducibilità all’altro che genera diffidenza e scontri. E una falsa tolleranza che non permetterebbe quelle contaminazioni che arricchiscono (non sono forse gli italiani da sempre un popolo meticcio?). Occorre una sensibilità diversa, che non nasce da un buonismo senza regole, ma dalla necessità di riconoscersi per quello che si è. Talvolta nell’uso stesso delle parole si pronuncia quella irriducibilità al comandamento

del Signore: “Vi sarà una sola legge per tutta la comunità, per voi e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voi; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; come siete voi, così sarà lo straniero davanti al Signore. Ci sarà una stessa legge e uno stesso rito per voi e per lo straniero che soggiorna presso di voi”, perché anche “noi siamo stranieri davanti a te e pellegrini come tutti i nostri padri”. Contro stereotipi e pregiudizi Parole distanti da quelle che si usano incrociando lo straniero che ti chiede attenzione: parole che offendono, che mostrano disprezzo per il povero che viene da lontano - forse per mascherare a se stessi il povero che ci abita. Un percorso non facile, un cambio di prospettiva che richiede tempi lunghi. Ma soprattutto una conversione che non accetti più in sé quel cuore di pietra che si rivela nella vicinanza: non siamo forse stati tra i più generosi nel sostenere i paesi accompagnati dai missionari? Ma quando i neretti si sono fatti vicini e gli zingari hanno cominciato ad alzare la voce per essere accettati, si è dipanato quel sentimento che se non è proprio razzista, certamente si nutre di xenofobia: un sentimento irrazionale che si dovrebbe educare come altre fobie che generano risposte ansiose. Un sentimento da correggere con le categorie della carità che san Paolo descrive per ogni relazione umana. Ma serve anche un’educazione politica, la più alta forma di carità come ha insegnato papa Montini: non far passare tutti i musulmani come estremisti, né tutti gli stranieri come delinquenti. Per fortuna ci pensa il tempo a smentire i pregiudizi: ci siamo accorti, dopo un po’ che stanno tra noi, che marocchini e albanesi sono dei gran lavoratori. Ma forse non ancora che sono nostri fratelli, anche se gli uni vengono da una fede religiosa diversa dalla nostra e gli altri da una educazione atea. O forse proprio per questo: siamo stati formati ad immaginare Dio a nostra immagine e somiglianza, e non come lo Straniero che resta per ciascuno e che dunque diventa facitore di uomini fatti a Sua immagine e somiglianza; tanto diversi come i pianeti e le stelle, ma irriducibili all’omologazione nel panorama totale dell’universo. Insomma è della stessa dignità, seppure differenziata, di tutti gli uomini di cui dovrebbero impregnarsi, prima degli altri, ma non senza gli altri, i cultori del Vangelo. Sapendosi pellegrini su questa terra, loro, per la promessa di altri cieli e di altra terra.

“Da stranieri” - Dimensione biblica

ACCOGLIENDO CI SI PUÒ RIGENERARE

Personaggi, luoghi biblici Chi siamo noi secondo la Scrittura? Non Ulisse, ma Abramo. Anche noi ospitati e pellegrini. Lo straniero è debole. Non ha né terrà né diritti secondo arrivava qualcuno per mangiare e bere alla sua tavola. la Bibbia, però, è simbolo della condizione umana e figu- A chi aveva fame egli dava del pane e l’ospite mangiava beveva e si saziava. Chi arrivava nudo in casa era ra del Cristo da lui rivestito e da lui imparava a conoscere Dio, il creatore di tutte le cose”, così un midrash ebraico comAbramo, ovvero dell’ospitalità menta l’esperienza di Abramo, narrata dal capitolo 18 “La casa di Abramo era aperta ad ogni creatura umana, di Genesi. Alla quercia di Mamre, metafora dello spazio alla gente di passaggio e ai rimpatriati, e ogni giorno accogliente, Abramo vede apparire personaggi straor24


dinari e strani che all’improvviso diventano uno e poi da uno si trasformano in tre (per questa ragione Rublev ha inteso le tre figure come la rappresentazione della Trinità nel suo celeberrimo dipinto). Nel testo non si parla di esseri divini, ma di tre stranieri, tre uomini che all’improvviso passano per il deserto e sono accolti da Abramo, che offre loro tutto quello che ha. Abramo è l’uomo accogliente per eccellenza e nel midrash è descritto come colui che insegnava a conoscere Dio ospitando. Abramo vede, va incontro, si prostra e supplica: agisce prendendosi cura. In questo testo è racchiusa tutta la dinamica dell’ospitalità: tenere la porta aperta, dare il benvenuto, accorgersi di ciò di cui l’altro soffre e ha bisogno. Dall’attenzione, Abramo passa all’accoglienza e lo straniero entra nella tenda, prende il centro della scena. Tutto è per lui e gli viene offerto da bere e da mangiare. L’ospitalità riporta il tema della nascita. Lo straniero pone una domanda ad Abramo e consegna la promessa di fecondità di Sara, pur vecchia e appesantita dagli anni, non più in età per procreare; una nascita ormai ritenuta impossibile. È dunque solo accogliendo che ci si può rigenerare. Un altro testo rabbinico si chiede come mai, nell’ora più calda del giorno, Abramo sedesse all’ingresso della tenda e non si trovasse, piuttosto, al suo interno per ripararsi dal caldo. E la risposta è: per stare all’erta e vigilare perché, scorgendo qualcuno da lontano, potesse subito invitarlo nella sua tenda, offrendogli riparo al più presto. Splendida parabola di chi vegliando si risveglia dal torpore dell’io che riposa su di sé e vigila sull’altro. Di chi sa che non esiste l’io senza il tu, che non si dà identità senza relazione. Ed è interessante come, in un altro testo rabbinico, ci si interroghi sul numero delle entrate o delle porte della tenda di Abramo, che, dice il midrash, sono quattro, in corrispondenza dei punti cardinali, perché i passanti potessero entrarvi subito e facilmente da qualsiasi parte provenissero. Sempre in un’interpretazione midrashica dello stesso capitolo 18 si dice che Abramo preferisce tre stranieri a Dio, facendo intuire un modo di esprimere la relazione con Dio: negli stranieri e in quel gesto vi è la rivelazione dell’incontro con Dio. Abramo contro Ulisse Non solo. Come acutamente ricorda Carmine Di Sante, da un punto di vista linguistico, Abramo è il primo personaggio biblico appellato come straniero nella Bibbia perché egli è colui che non ha una terra, e non l’avrà mai. Per capire la radicalità di questo personaggio basti pensare a ciò che lo distingue da Ulisse, figura centrale nell’epica greca. Ulisse è colui che parte per un lungo viaggio, che durerà quasi un’intera vita, per poi tornare allo stesso punto di partenza: la sua isola, la sua terra. Ha quindi un radicamento. Abramo, invece, parte e si dirige verso una terra che non sarà mai sua e che avrà sempre e solo lo statuto di terra data, nel senso di donata. È colui che non può pronunciare “mio”. Straniero è colui che non può dire “questa lingua è mia, questa terra è mia, questa casa è mia”. È colui che non ha un luogo in cui insediarsi. Straniero è extra. Non a caso l’autodefinizione che Abramo dà di sé o la definizione che la Bibbia dà di Abramo, capostipite di Israele, è gher ve-toshav. Gher vuol dire straniero; toshav vuol dire inquilino. È un vero e proprio ossimoro di difficilissima traduzione, perché straniero vuol dire colui che non ha una terra dove radicarsi, ma che allo stesso tempo rimane toshav, cioè residente, ma nella modalità dell’ospite.

Lo straniero al centro del racconto di fondazione L’unicità della Bibbia non consiste solo in questo. Tutte le culture del Mediterraneo e tutte le culture umane hanno intuito che si diventa umani quando ci si apre all’accoglienza dell’altro e del diverso. J. Daniélou ha scritto: “Si può dire che la civiltà ha compiuto un passo decisivo, e forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes), cioè il giorno in cui la comunità umana è stata creata». Il fatto nuovo della Bibbia però è altrove. Sta nel fatto che essa ha messo lo straniero al centro del suo racconto di fondazione. Nei primi cinque libri della Bibbia, più di trenta volte è presente il comandamento di amare lo straniero. Il comandamento dell’amore, “Ama il prossimo tuo come te stesso”, è invece presente una sola volta. Nel Pentateuco, quindi, più che il comandamento di amare il prossimo, ricorre continuamente il comandamento di amare lo straniero e ne è presente la motivazione: “Tu, che sei stato straniero in Egitto e sai che cosa significa essere straniero, che cosa significa patire, essere escluso dall’ordine linguistico, sociale, culturale, economico, politico, religioso, ricordati di comportarti nei confronti dello straniero non come l’Egitto si è comportato nei tuoi confronti, ma come io mi sono comportato con te: ti ho liberato e ho asciugato le tue lacrime”. Questa è la definizione che Dio dà di se stesso: il Dio biblico è, infatti, il Dio che si è chinato sullo straniero Israele e ne ha asciugato le lacrime e chiede allo straniero Israele di accogliere gli stranieri e di asciugare le lacrime degli stranieri (Salmo 56). Hanno ragione, allora, gli esegeti che individuano in “Ama lo straniero come tu sei stato amato quando eri straniero” il vero comandamento biblico. Dio si rivela attraverso lo straniero. Un’affermazione di questo genere rappresenta, dunque, una novità assoluta. Per esempio, nel racconto mitico della fondazione di Roma, Romolo e Remo fondano la città attraverso uno scontro di forza: il fratello che ha più forza ha vinto il fratello che è più debole e l’ordine che è istituito è l’ordine del più forte. Tutte le culture sono fondate sul mito della forza, sul mito della potenza: c’è uno scontro e nello scontro si afferma chi è più forte, chi è potente e chi vince stabilisce l’ordine. Questo è l’ordine che nasce dalla forza bruta; c’è anche un ordine che nasce dalla forza della razionalità e della ragione (Socrate). Tutte le culture, quindi, mettono al 25


centro la potenza e un dio è sinonimo di potenza. Il Dio biblico d’Israele, invece, si rivela non a un portatore di potenza, ma ad un portatore di impotenza, perché non c’è nulla di più impotente di uno straniero. Non solo, nella Torah ebraica si sottolinea il valore dello straniero anche per altri due significati. Anzitutto, perché lo straniero è il simbolo della condizione umana. È una categoria che ha una valenza antropologica, che riguarda l’uomo, ogni uomo. Lo straniero - come l’uomo - può vivere solo in forza di un’accoglienza, di una mano, di una solidarietà che è donata. Ognuno di noi è mendicante, precario, è fragile e vive solo in forza di una mano che accoglie e di una mano che accarezza. Se c’è qualcuno che si china su di noi. Inoltre, lo straniero è paradigma dell’alterità, tema che oggi sta attraversando le culture mondiali. Lo straniero mette in luce che esiste un’alterità che abbraccia ogni uomo e ogni donna. L’uomo nei confronti degli altri uomini è similarità e alterità. Similarità in quanto può condividere con gli altri la lingua, le abitudini, la cultura, alterità in quanto, essendo altro, è irriducibile ai desideri, progetti, lingue dei suoi simili. Per la Bibbia c’è una dimensione di alterità che non è quella culturale, ma è l’alterità del bisogno, l’alterità come povertà, che invoca solidarietà e giustizia. L’alterità culturale è difficile, ma è superabile con un atto d’intelligenza e di tolleranza. Si accetta che l’altro abbia delle diversità culturali, ma il povero non ha bisogno di un riconoscimento intellettivo, il povero richiede un movimento di giustizia. Incontro al povero si va a mani piene, dando e accogliendo (E. Levinas). L’alterità della Bibbia è quella di cui è portatore l’orfano, la vedova, il povero, lo straniero, e caratterizza ciascuno di noi, è l’alterità del bisogno che invoca aiuto, protezione, carezza, tenerezza. Ero forestiero e mi avete ospitato Il Nuovo Testamento segna un passo ulteriore e decisivo nel rapporto con lo straniero. Il cardinal Martini ha riassunto le motivazioni che fondano il comportamento cristiano verso il forestiero e le esprime così: una motivazione cristologica, una carismatica e una escatologica. Il motivo cristologico è ricordato in Matteo 25, nella scena del giudizio finale, là dove Gesù proclama che chi accoglie il forestiero accoglie lui stesso: “ero forestiero e mi avete ospitato...Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Si dice dunque molto di più del testo del Deuteronomio (Dio ama il forestiero e tu devi imitarlo). L’accoglienza dello straniero non è una semplice opera buona, che verrà ripagata da Dio, bensì l’occasione per vivere un rapporto personale con Gesù. Il secondo motivo, che Martini chiama carismatico, sta nel primato della carità. “Aspirate ai carismi più grandi”, insegna san Paolo in 1Cor 12, 31 e, nel capitolo 13, dice che il carisma più grande è la carità. L’accoglienza dello straniero è una delle attuazioni dell’amore, amore che è la legge fondamentale del cristiano. “Ama il prossimo tuo come te stesso”, risponde Gesù a chi gli chiede qual è il primo dei comandamenti (cf Mc 12,31); e in Mt 7,12 Gesù riassume la Legge e i Profeti nella cosiddetta regola d’oro: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. La carità, dono superiore a ogni altro, si esercita verso tutti, quindi pure verso lo straniero, come sottolinea la parabola del buon samari-

tano. Costui, considerato straniero dal popolo ebraico, non ha esitato a soccorrere un ebreo ferito che si trovava sul ciglio della strada; ha superato le barriere razziali e religiose, “si è fatto prossimo” (cf Lc 10,36), ha vissuto il carisma della carità. Il terzo motivo che emerge da alcuni passi del Nuovo Testamento è di carattere escatologico, concerne le cose ultime, la destinazione dell’uomo alla vita eterna. In tale visuale, tutti i credenti in Cristo sono pellegrini e stranieri in questo mondo: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura”(Eb 13,14; cf Eb 11,10-16). Dunque, come il ricordo di essere stati migranti e forestieri in Egitto, costituiva per gli Israeliti un invito all’ospitalità verso gli stranieri, ad avere compassione e solidarietà per coloro che partecipavano alla medesima sorte, così i cristiani, sentendosi pellegrini in questa terra, sono invitati a comprendere le sofferenze e i bisogni di quanti sono stranieri e pellegrini rispetto alla patria terrena. Un cristiano dei primi secoli descriveva lo stato di “pellegrino” proprio del cristiano in un modo convincente: “I cristiani abitano la propria patria, partecipano a tutto come dei cittadini, e però tutto sopportano come stranieri. Ogni terra straniera è la loro patria e ogni patria è terra straniera” (Lettera a Diogneto). E non perché i cristiani si disinteressano della città terrena, bensì perché sanno di essere in cammino verso quella città che Dio stesso ci sta preparando. Per questo, essere stranieri - ci ricorda la Bibbia - è la strada per essere credenti.

Tu, curioso forestiero (cf. Lc 24,13-35)

Ti avvicini a noi, prendi il nostro passo, tu, curioso forestiero, mentre voltiamo le spalle a Gerusalemme. Ti lasci interrogare da noi; rallenti il cammino per dar spazio ai nostri dubbi. Ti offriamo brandelli sconnessi di una storia che ha in fondo una croce. Ci definisci “stolti e tardi di cuore”. Spieghi a noi il nostro Libro, quello delle vie di Dio. Entri nella casa, spezzi il pane per noi. Ti riconosciamo, ma tu riprendi il tuo viaggio. Ti abbiamo ospitato per un breve spazio di tempo. Per sempre ci hai aperto gli occhi ed hai riscaldato il nostro cuore. Sarai sempre con noi mentre la notte si avvicina, ma sempre un passo avanti sulle vie della Gerusalemme del cielo. Amen.

26


“Da stranieri” - Dimensione spirituale

UOMINI E DONNE IN MOVIMENTO Le “nuove” parole della spiritualità Transizione. Nomadismo. Minorità. Povertà.

Dio, quando incontra nel tempo le persone, provoca in sta conducendo verso la verità tutta intera. Mai un greco loro lo strappo dalla stabilità e l’apertura di un cammi- accetterebbe simile prospettiva. no. Ecco le note della spiritualità che induce. Nomadismo e minorità Le persone di cui parliamo sono uomini e donne in movi- Ma straniero dice anche minorità. Dice cammino in mezzo mento. Hanno lasciato la stabilità della loro terra magari ai santuari e ai templi della mondanità. Il nomadismo dei per sfuggirle e si sono portati in orizzonti nuovi e scono- padri ebrei verso la Terra promessa non si è sedentarizzato. sciuti. Ma non stiamo parlando di “alcune” persone, per Anzi: se qualche volta siamo costretti a guardare con qualesempio di emigranti e di immigrati. Lo straniero siamo noi. che apprensione quella parte dei nostri fratelli ebrei che si Stranieri e pellegrini. Il Dio di Abramo, nel quale abbiamo il sono fissati nella terra d’Israele come ogni popolo si stabidono di credere insieme alla fatica della nostra fragile fede, lisce nel territorio che con più o meno ragione dice “suo”, ci offre a priori un volto prezioso della nostra condizione: con ancora più attenta vigilanza dovremmo osservare la anche Lui, Dio, si è fatto migrante e pellegrino con noi, per vicenda delle Chiese e della Chiesa di Gesù , chiamate ad noi. E in certo senso prima di noi. Perché l’abbiamo trovato, un cammino che va al di là della morte, e che dunque non o meglio Lui ci ha trovati, non nella spaziosità immobile di ha nessun termine nel confine dell’esistenza terrena. Viviaun tempio, ma nei sentieri del tempo e nel tumulto della mo in una sottocultura preoccupata di rinchiudersi e di distoria. Questo è un dato fondamentale della nostra rela- fendersi - ma anche di aggredire - in nome di una “identità zione con Lui: un incontro non nello spazio, ma nel tempo. soffocante e soffocata. L’ “altro”, nella sua diversità, mette in questione e in pericolo la mia identità. Quindi mi chiudo per non perdermi. La nostra prospettiva è rovesciata. Transizione Solo accettando di esiliarmi nell’altro, per conoscerlo e per Nella storia Dio si rivela, parla e chiama a Sé. Getta e semi- accoglierlo, posso, proprio nell’incontro tra le diversità, rina la sua Parola, il suo Verbo eterno, nella provvisorietà e conoscere e custodire quello che più profondamente mi nella mobilità del tempo. Se mai è Lui a provocare in noi lo ha generato e mi caratterizza. Il termine “parrocchia” vuol strappo dalla stabilità e l’apertura di un cammino: da Ur dei dire una “quasi-casa”, una tenda più che una casa: oggi siaCaldei per Abramo alle barche del lago per Pietro e Andrea, mo qui, ma domani bisognerà raccogliere i teli e i pali delle per Giacomo e Giovanni, fino a noi. Ma è decisivo questo nostre tende per proseguire il cammino dietro al Signore suo mettersi nella storia. È la rinuncia di Dio alla fissità di del Vangelo e dietro al Vangelo del Signore. La verità, quauna relazione fuori dal tempo, per visitare e invadere il si per un piccolo dispetto linguistico, si dice nella lingua di frammento del viaggio breve di ogni esistenza umana. La Platone e di Aristotele con un termine “negativo”: qualche Parola viene negoziata, viene messa in gioco. Rinuncia alla cosa che “non è nascosto”. Vien voglia di pensarlo come presunta sicurezza di verità fuori dal tempo e si affatica con un processo di disvelamento, mai terminato. La verità non noi. Siamo in epoca di transizione: forse ci è chiesto di guar- si può possedere. Non perchè non ci sia. Al contrario! Ma dare con maggiore prudenza alle glorie delle filosofie del- perché è sempre più grande di ogni nostro conseguimenla classicità tradotte nella scolastica di Tommaso d’Aquino to. Di ogni nostro progresso o conquista. Solo da stranieri, e nel pensiero minore delle neoscolastiche, per guardare come giungendo da lontano, possiamo camminare nelle con più attenzione all’uomo biblico, ad un’antropologia co- vie della verità. C’è una sfida nella parabola del prossimo, struita nella misura e nell’esperienza di pastori nomadi nel quella che solo Luca annota nella sua memoria evangelideserto del Sinai. ca, per collocare il viaggio di Dio, fino a Gesù di Nazaret, e dunque fino alla pienezza della misericordia, quando riUn cammino verso terre ignote conosce lo sguardo compassionevole del Salvatore negli È un viaggio in certo senso rovesciato rispetto alle grandi occhi di un Samaritano viandante. E ama compiacersi Gesù gemme filosofiche che pure tanti doni hanno portato al pensiero e alla prassi dei discepoli di Gesù di tante generazioni. Oggi però è fatica. Si voglia con più o meno sincerità mettere al centro dei cammini formativi la Bibbia, è inevitabile accorgersi che le grandi sfide e gli interrogativi etici che ogni giorno si pongono alla coscienza cristiana trovano vie di accoglienza, di comprensione e di normatività quando si lasciano condurre dalla grande tradizione semitica scelta da Dio per comunicare, e per comunicarsi, piuttosto che lasciarsi fermare e spaventare da principi e valori gloriosi, ma forse troppo pesanti per una storia che corre vertiginosa. Il contrario del “negoziabile” è l’ozio, e se non si negozia, si mette in ozio. Si chiude tutto in un glorioso immobile armadio, che sta fuori dalla storia e non può che giudicarla e condannarla. Ma che forse anche non è in grado di capirla. Ognuno che accetti di avviarsi nelle vie di Dio sa di essere condotto verso strade che non conosce, e verso terre a lui ignote. La “via” precede la “verità” e la “vita”. Lo Spirito ci 27


di quel Samaritano che, unico tra dieci, torna a riconoscere e ad adorare Colui che l’ha liberato dall’orrore della lebbra. Ed è ancora Gesù tacciato da indemoniato e da Samaritano, Lui pronto a stupirsi della fede dello straniero nelle vicende del centurione di Cafarnao e della mamma sirofenicia che lo supplica per la sua bambina. “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme!” gli diranno due rattristati discepoli sulla strada del tramonto di Emmaus, con il cuore ancora non infuocato dalla sua spiegazione delle Scritture e con gli occhi non ancora aperti dal suo spezzare il pane. Povertà Certamente, il viaggio dello straniero esige una condizione aspra e severa: l’impossibilità di affaticare il viaggio con il peso di troppe cose. La povertà non è rinuncia masochistica, ma esigenza di leggerezza per poter seguire Colui che per noi si è fatto povero. Se ne andrà triste l’uomo troppo ricco. Ne daranno felice riscontro gli amici che al termine del grande viaggio verso Geusalemme e verso la Pasqua saranno da Lui interpellati: “Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? E loro gli risponderanno: “Nulla!”. La povertà è condizione preliminare per mettersi in viaggio, e Gesù vuole che lo si sappia prima. Per questo, a chi vuole seguirlo senza condizioni né limiti, Egli dice come avvertimento: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. E non è solo questo. C’è anche l’osservazione dell’Apostolo che, scrivendo ai suoi fratelli della Chiesa di Corinto, ricorda loro che “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono”. Ed è in nome dell’obbrobrio della Croce che Paolo ricorda la scelta divina. Per seguire il Figlio di Dio occorre ogni giorno prendere la propria croce, dolce peso e soave giogo. Dunque, la precarietà della storia, la fragilità di un viaggio

indifeso ed esposto, la povertà di chi vuol seguire Gesù, “mite e umile di cuore”. Tutto è dono E alla fine, ma poteva essere il principio, e forse l’unico bastone dell’Abramo pellegrino e l’unico sostentamento del povero discepolo, la grande figura del Dono. Tutto è dono. Tutto è grazia. Questo può intenderlo solo chi è nella beatitudine dei poveri in spirito. Chi sa di essere nessuno e di avere nulla, e ne è lieto, solo lui è capace di guardare a tutti e a tutto come dono prezioso, da accogliere, custodire e far fiorire. Allora, anche le briciole che cadono dalle tavole dei signori sono regalo stupendo. Allora, come Francesco d’Assisi, si può lodare Dio per la luce e il calore del sole, e per la terra che produce i suoi frutti, fino a lodarlo per coloro che perdonano e addirittura per sorella nostra morte corporale. Chi vive del dono, non si affatica nella ricerca dei meriti, perché anche il buono che viene da lui e dalla sua vita, è dono di Dio. Persino la povera storia del peccatore è per lui, se è povero in spirito, dono di Dio! Gemito di una vita ferita e deviata, che proprio per questo ha sedotto il Signore della misericordia. Questo strano Dio che non ci viene a premiare sulle nostre presunte vette, ma ci viene a cercare negli abissi delle nostre povertà. E dunque anche nella vicenda di noi poveri peccatori. Ci eravamo arrampicati sul sicomoro e ci eravamo nascosti tra le fronde mentre passava, ma è stato Lui a vederci, e a chiederci di scendere subito per aprirgli la porta della nostra casa. E noi - ma anche questo è stato dono - lo abbiamo accolto con gioia.

“stranieri” - L’attivazione delle comunità

ERANO IN VIAGGIO INSIEME A UN FORESTIERO L’attivazione delle comunità Ospiti e non padroni. Vivere in forza di un’accoglienza. Il cammino da percorrere. Che cosa ha provocato nei discepoli di Emmaus la presenza del “forestiero” (Lc 24,18)? Quale percorso può avviare in noi il fenomeno migratorio? Ogni cristiano si muove e lavora in mezzo agli altri, come i discepoli che vanno verso Emmaus (Lc 24,13-35). Erano in viaggio verso quel villaggio insieme ad un forestiero. Dovettero condividere lo stesso pane per riconoscere in lui Gesù. Noi che crediamo in Cristo siamo chiamati a riconoscerlo così, venuto da altrove, vicino e irriconoscibile, che arriva al di là delle nostre frontiere. Giunge proprio al di là di quelle sicurezze che cerchiamo con insistenza.

non conosciamo anche se crediamo in lui. Nello stesso tempo è misconosciuto perché non vogliamo e non riusciamo a riconoscerlo. La nostra vicenda di credenti in un Dio che è straniero, sempre al di là dei nostri sforzi di comprenderlo, definisce anche la nostra figura di credenti. Essa si comprende dentro la categoria di forestiero. Fin qui, nel dossier, abbiamo potuto riflettere sull’urgenza di coglierci noi stessi come stranieri per comprendere, la nostra condizione umana e la nostra esperienza del credere. La Scrittura ha illuminato questa esperienza. Con Abramo ospitiamo lo straniero che è in noi e accanto a noi e scopriamo che Dio ci visita. Nasce da qui la possibilità di accoglieDio: misconosciuto e straniero re l’invito della legge: “Ama lo straniero, come tu sei stato Dio resta anche oggi lo sconosciuto, lo straniero, colui che amato quando eri straniero”. 28


La condizione umana è anche spazio di incontro e di “salvezza”. È luogo teologico. “Da stranieri” è condizione di vita piena perché, chi accetta di avviarsi nelle vie di Dio, sa di essere condotto verso strade che non conosce, e verso terre a lui ignote. Essere credenti è riconoscersi serenamente stranieri a questo mondo, a questa stessa vita, sentirsi ospiti e sradicati perché tutto è nostro, ma nulla ci appartiene. Fin dall’inizio, il credente in Gesù sta nella situazione di considerare tutto come proprio, ma anche tutto come estraneo. Né dà concretezza di stile la Lettera a Diogneto, che ci è giunta come specchio della nostra realtà di seguaci di Colui che è via. I cristiani “Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Amano tutti e da tutti sono perseguitati…”(Lettera a Diogneto). Ma quale stile di vita ecclesiale ne deriva? Che cosa siamo invitati a mettere in atto? Come educare ed educarci a vivere da stranieri? E, quale impatto può avere questa nostra riflessione sul modo di stare con chi è tra noi “straniero” ? Queste e altre domande, che sono nate dalla lettura degli articoli precedenti, fanno da sfondo a questa uscita, che, mentre offre qualche suggestione, sottolinea un modo di procedere: interrogare la vita, lasciarla illuminare, per tentare percorsi di cambiamento. Proponiamo un possibile cammino che può essere utilizzato sia tra operatori pastorali: (presbiteri, catechisti, consigli pastorali), sia con adulti o gruppi di credenti che in questo nuovo tempo della Chiesa e della storia, desiderano vivere il Vangelo . 1.Lo straniero Il primo passo è una seria considerazione di chi è lo straniero. Di che cosa suscita in noi anche solo il termine, quali paure emergono, quali atteggiamenti ci sono abituali, a che cosa colleghiamo la parola “straniero”. Ecco alcune piste: a) La singola persona Straniero = colui che mi è estraneo, che non conosco, che non è come me, che viene da altri luoghi, che porta altri modi di vedere. Colui che ha un’altra religione, che emigra in cerca di lavoro, di un altro modo di vivere e di guadagnare. Ognuno di noi, nella sua considerazione dello straniero, sottolinea un aspetto di questa realtà, quello che, in vario modo, lo interroga maggiormente. Già da questo primo esercizio emergono le nostre diversità di approccio e le nostre varie esperienze. b) Il fenomeno migratorio Oggi siamo di fronte al fenomeno crescente della migrazione che ci permette molti incontri, accosta molte visioni e facce diverse della stessa umanità. La migrazione è un fenomeno antico: la natura globale è ciò che oggi la caratterizza. Sempre più persone scelgono o sono costrette ad emigrare rispetto al passato, e si dirigono verso un numero crescente di paesi. Come conseguenza, le società stanno diventando sempre più multiculturali. Individui di diverse culture non solo sono oggi a più stretto contatto, ma spesso sono anche costrette a vivere gli uni accanto agli altri. Molte delle città del mondo sono popolate da gruppi di persone di origini culturali e di appartenenza religiosa estremamente diverse. Anche i nostri luoghi quotidiani sono così! Che cosa suscita in noi questa realtà?Ci sono paure espresse o inespresse? Proviamo a dare un nome a ciò che ci abita.

2.Io straniero Il secondo passo è considerarci anche noi stranieri rispetto ad altri o ad altro. a) Scambio di esperienze Ripensiamo a quando ci siamo sentiti stranieri. In quella situazione, in quella famiglia, in quel paese, in quel momento mi sono sentito “estraneo”. Perché? Io, nella mia esperienza, sono straniero quando ………… Inoltre io sono straniero a qualcun altro, a qualcosa, a qualche situazione, a qualche idea, a questi modi di agire. Tutto ciò non è sempre solo un aspetto mancante, ma è spazio di libertà. In questo passaggio ci invitiamo reciprocamente a sperimentare e a ricordare questa estraneità nella nostra esistenza e impariamo ad ospitarla. b) Demolizione di un modello Ne consegue che ci educhiamo a vivere da stranieri cambiando modo di immaginare e pensare le relazioni, a partire da un lavoro paziente e cosciente di decostruzione del modello dominante/dominato. Concretamente, nell’ambito ecclesiale, è urgente andare al di là delle pratiche discriminatorie ed esclusive che sono alla base delle distinzioni tra clero/ laici; donne/uomini; umanità/natura; Occidentale/Orientale; nomade/sedentario. C’è qui, in questo sentirci anche noi stranieri, la chiamata a trascendere ogni forma di esclusione per assumere la fraternità e l’ospitalità non come azioni buone, ma come condizione per vivere ciò che siamo. 3.Con lo straniero Solo i primi due passaggi permettono ad ogni uomo e donna di buona volontà, ad ogni credente di vivere anche con lo straniero in una sorta di rinnovata scelta di vita pienamente umana. E’ possibile una progressiva e graduale conversione di sguardo sulle differenze, incominciando dalle più vicine. Per far questo siamo invitati a: a. sognare, immaginare nuove forme di convivenza civile che permettano il dialogo, nel rispetto e nel riconoscimento della ricchezza della diversità in cui è stata creata l’umanità e la casa in cui essa abita. 29


“Da stranieri” - Documenti

Concretamente questo avviene mettendole in atto anche nel nostro territorio, nel gruppo, nella comunità parrocchiale, nella équipe di lavoro. Ogni modo di vivere, pensare, è una apertura; ogni diversità che scomoda ci allarga l’orizzonte.

LONTANIVICINI Che cosa può significare nella Chiesa antica essere stranieri? Significa essere/essere percepiti/ percepirsi come estranei? Non c’è una sola risposta, né un solo termine dietro le risposte possibili, ma la stranierità come dimensione spirituale si può cogliere solo tenendo presente l’intera gamma di significati e sfumature.

b. Incontrarci e accompagnarci in questi processi di costruzione di cittadinanza e di ecclesialità adulta, responsabile e partecipativa per situarci nei nuovi scenari e riconoscere i temi emergenti in questi tempi di cambiamento epocale. Concretamente questo ci rende corresponsabili Xenoi, paroikoi, cittadini nella modalità di essere Chiesa, nella responsabiIn primo luogo è necessario ricordare che i cristiani delle prime lità condivisa. generazioni sono stati, all’interno dell’Impero Romano, spesso e a lungo etnicamente e politicamente stranieri, così come, 1.Nuove forme di vita all’interno del mondo giudaico, hanno spesso rappresentato Allora la comunità dei credenti, una comunità di qualcosa di altro, almeno nella misura in cui erano tenuti ad stranieri che abitano la terra con amore e creatiavere le mense (eucaristiche, almeno qualche volta) in co- vità, sarà segno della generazione di nuove forme mune con pagani non in “regola” con le prescrizioni di purità di vita. rituale. Dunque non si trattava solo di questioni spirituali, ma Tante persone oggi e tanti gruppi esigono apertura di necessità di misurarsi reciprocamente: una nuova religione, e rispetto del pluralismo. nuovi usi, “barbari”, secondo i greci. Quando leggiamo in Efesini o 1Pietro di “stranieri” è anche a questo che ci si riferisce. La comunità sarà il luogo in cui si può, ed è bello, La condizione di difficoltà diventa anche un punto di vista: si esprimere la diversità nella libertà, anche di manivedono le cose, l’impero, la vita diversamente. Fra i termini festare la propria opposizione o il proprio disacgreci a disposizione si crea così una sorta di mappa e si ten- cordo con le dottrine e le pratiche ufficiali. de a distinguere: percepiti come xenoi, stranieri/estranei, ci si Da questi passaggi sarà possibile considerare, con dice piuttosto persone che “abitano presso”, senza identificarsi immaginazione creativa, il lavoro della costruziototalmente con un territorio, ma abitandolo finché è dato far- ne dell’uguaglianza umana che si erge limpida nello. A questa modalità corrisponde il termine paroikoi, costituito la diversità, che ci struttura come persone e come proprio da “presso” e “casa/abitazione”: stranieri che risiedo- credenti. no per un tratto. Di questa prospettiva sono esemplari le frasi Aprire gli occhi al nuovo, è una condizione necesdi saluto di lettere “sub-apostoliche” : «alla Chiesa “straniera saria per percepire il soave mormorio del silenzio residente” in Corinto [scrive] la Chiesa straniera residente in Roma» (Clemente Romano ai Corinzi; cfr. Policarpo, lettera e (1 Re 19,12) in cui la Divinità si rivela a noi e ci martirio). Uno scritto del II secolo A Diogneto riprende il lessico indica nuove forme di vita. L’immagine stessa di di Efesini e introduce anche l’idea di cittadini: essere paroikoi è Dio è determinante per sperimentare, in modo inaccettare una condizione di stranierità senza rinunciare a farsi ventivo, forme alternative di relazioni tra persone carico della cosa come cittadini. Se infatti «ogni patria è terra e popoli perché cessino di essere costruite barriere straniera» altrettanto «ogni terra straniera è patria»: non estra- che allontanano. neità spiritualistica o disinteresse elitario, ma presenza attenta La sorgente intima della fede che alimenta il noanche se non disposta a confondere il Vangelo con il potere. stro esistere, il nostro amare e agire è la relazione con quel DIO Lontanivicini STRANIERO che abita dentro di noi ed Non è difficile intuire come una dimensione è così oltre noi da indi questo genere sia un modo di stare nel vitarci continuamenmondo e nella Chiesa e diventi perciò una te ad “escasarci”. La spiritualità, testimoniata anche nella forma Pentecoste spinse cristiana radicale che è il monachesimo. La fuori della casa, ove xeniteia ne è una delle caratteristiche, sia erano chiusi, i disceche si realizzi anche andando altrove, nel poli di Gesù, che poi deserto o per mare (come il mimo della Stose ne andarono in ria Lausiaca), sia che prenda solo la forma tutto il mondo. Posdi una dimensione dell’anima, “come uno siamo ancora annunche non esiste”. Ma questa libertà è anche ciare a tutti i cristiani parrhesia e questa distanza è vicinanza che lo Spirito di Dio profonda: come il monaco (Apa Aphu) che è l’ “escasatore” che vive coi bufali, ma scende a rimproverare rinnova la faccia delil papa di Alessandria, o come Evagrio che la terra e della Chiesa di essere «lontano» per essere «vicino a sa, che mette sempre tutto». Nella storia è anche diventata fraterin movimento per nità, come testimoniano i monasteri di San l’incontro, la fratelSaba, in cui vivevano latini, arabi e greci, e lanza e l’ospitalità benedettini, che hanno integrato goti come ad ogni creatura e a fratelli: ma questo esito non è scontato. tutto il mondo. 30


“Signore, da chi andremo?”

(Gv 6,68)

Messaggio d’invito del Consiglio Episcopale permanente al XXV Congresso eucaristico nazionale (Ancona, 3-11 settembre 2011)

1. “Signore, da chi andremo?” (Gv 6,68) è l’icona biblica scelta per illuminare il nostro cammino personale e comunitario in vista della celebrazione del Congresso Eucaristico Nazionale, che si terrà ad Ancona dal 3 all’11 settembre prossimi. “Signore, da chi andremo?” è la confessione che l’apostolo Pietro rivolge a Gesù, a conclusione del discorso sulla Parola e sul pane di vita. È anche la provocazione che, dopo duemila anni, ritorna come questione centrale nella vita dei cristiani. In un contesto di pluralismo culturale e religioso, il problema fondamentale della ricerca di fede si traduce ancora nell’interrogativo: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?… Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16,13.15). Riscoprire e aiutare a riscoprire l’unicità singolare di Gesù di Nazaret era già l’intento del Giubileo dell’Incarnazione del 2000, come pure degli Orientamenti pastorali per il primo decennio del Terzo millennio,... il Congresso Eucaristico Nazionale di Bari (2005), e riproposto con forza ed efficacia dal Santo Padre Benedetto XVI al IV Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (2006). Anche il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale intende collocarsi in questo cammino: riscoprendo e custodendo la centralità dell’Eucaristia e la stessa celebrazione eucaristica come il “culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù”, le nostre Chiese particolari potranno diventare autentiche comunità di testimoni del Risorto. Preparato e vissuto così, il Congresso Eucaristico non sarà certo una “distrazione” o una “parentesi” nella vita quotidiana delle comunità, ma una “sosta” preziosa per metterci di fronte al Mistero da cui la Chiesa è generata, per riprendere con rinnovato vigore e slancio la missione, confidando nella presenza e nel sostegno del Signore. 2. Anche il Santo Padre Benedetto XVI, nell’Esortazione postsinodale Sacramentum caritatis, avverte la necessità di insistere sull’efficacia dell’Eucaristia per la vita quotidiana.... È questo il punto focale del prossimo Congresso Eucaristico e il senso della proposta tematica e di approfondimento che si svilupperà sull’arco della settimana congressuale. Quale pastorale e quale spiritualità fluiscono dall’Eucaristia per la vita quotidiana? Quali sono i luoghi della testimonianza che il cristiano è

chiamato a dare di Gesù Parola e pane di vita negli ambiti del vissuto quotidiano? Quest’ultima sottolineatura non rimanda a un livello mediocre di esistenza, bensì mette a fuoco la concretezza e la profondità della vita, che ogni giorno ci è chiesto di rispettare e amare come dono e promessa e, insieme, di onorare con impegno e responsabilità. In questo modo, viene ripresa e completata la tematica del precedente Congresso di Bari, Senza la domenica non possiamo vivere. È l’invito a non dare per scontato il nucleo essenziale della fede, a tenere aperto il senso del Mistero che si celebra lungo l’anno nella pratica della domenica, “giorno del Signore”, da custodire anche come giorno della comunità cristiana e giorno dell’uomo, del riposo e della festa, tempo per la famiglia e fattore di civiltà. È forte,

Il

logo

infatti, il rischio che una pratica religiosa assidua resti rigorosamente circoscritta entro spazi e tempi sacri, senza incidere davvero sui momenti quotidiani della vita familiare, del lavoro e della professione e più in generale della convivenza civile. È doveroso preoccuparsi dei molti fedeli che non partecipano alla Messa domenicale, ma dobbiamo anche chiederci come escano dall’Eucaristia domenicale quanti vi hanno preso parte. 3. “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Il testo giovanneo rivela che Gesù è pane disceso dal cielo per la vita secondo una doppia modalità: non solo come pane eucaristico, ma anche come pane della Parola di Dio. Nella celebrazione eucaristica, questi due modi di presenza del Signore prendono la forma di un’unica mensa, intrecciandosi e sostenen-

nel suo insieme rappresenta un’importante e immediata comunicazione visiva, l’immagine stessa si integra di vari fattori caratterizzanti la cultura e l’identità cristianacattolica. Il cerchio come elemento base, uno stile “iconico” e tratti decisi permettono una precisa percezione degli elementi espressi dal logo. Uno stile pittorico con tratto pulito ed essenziale e un perfetto equilibrio tra la parte iconografica e quella testuale, uniti al tratto marcato e alla consistenza del colore, trasmettono immediatezza e semplicità. All’interno del logo sono presenti i Simboli Cristiani in grado di sintetizzare in maniera suggestiva il messaggio “Signore da chi andremo”? – Tu solo hai parole di vita eterna. Il Sole, simbolo di Giustizia divina, vuol essere una rappresentazione del “Giorno del Signore”; la Patena ritratta nell’iconografia del sole, contiene, secondo il Mistero, il Corpo di Cristo; l’Alba, biancore immacolato simbolo di purezza; la Luce del Messia che illumina gli uomini nel cammino verso la Salvezza; i Pesci, che rappresentano le anime degli uomini chiamati ad essere salvati nelle reti di Dio e dei suoi servi; il Mare, creatura la cui grandezza è al servizio della divinità; il Popolo in Cammino raffigura la via rivelata dal Padre “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6). “Accorriamo tutti, dalle diverse Chiese e Comunità ecclesiali sparse per il mondo, verso la festa che si prepara; portiamo con noi ciò che già ci unisce e lo sguardo puntato solo su Cristo ci consenta di crescere nell´unità che è frutto dello Spirito” (IM, 4); il Cerchio, figura geometrica perfetta, senza principio né fine, un simbolo di Dio; la Terra, da cui fu plasmato l’uomo e che in essa vede una madre; la Chiesa, a simboleggiare la Rivelazione e l’Incarnazione. Altrettanto importante è il linguaggio dei colori che traspare dalla lettura del logo. Il Giallo evoca regalità e luce divina; l’Oro, simbolo di luce eterna, rappresenta la ricchezza spirituale; il Blu, colore del cielo, suggerisce immaterialità e profondità infinita; il Rosso, simbolo della vita, è il colore del Sacrificio supremo, quello della croce, per questo è il colore dell’Offerta e dell’Amore; il Verde, colore equilibrato, calmo, fresco e rassicurante, simboleggia l’acqua, caratterizza il mondo vegetale ed evoca la primavera;il Bianco identifica il Mistero divino, essendo al tempo stesso assenza e onnipotenza. 31


dosi mutuamente. ... Con la Costituzione conciliare Dei Verbum, ripresa dalla recente Esortazione postsinodale Verbum Domini, la Chiesa si è prodigata perché la Parola di Dio fosse portata con abbondanza al cuore delle celebrazioni liturgiche e in una lingua percepita dal popolo con immediatezza, raccomandando al tempo stesso di incrementare la pastorale biblica non in giustapposizione ad altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’agire ecclesiale, avendo a cuore l’incontro personale con Cristo, che si comunica a noi nella sua parola. Aiutare a scorgere in Gesù, Parola e pane per la vita quotidiana, la risposta alle inquietudini dell’uomo d’oggi, che spesso si trova di fronte a scelte difficili, dentro una molteplicità di messaggi: è questo l’obiettivo posto al cuore del cammino verso il Congresso Eucaristico. L’uomo ha necessità di pane, di lavoro, di casa, ma è più dei suoi bisogni. È desiderio di vita piena, di relazioni buone e promettenti, di verità, di bellezza e di amicizia, di santità. Si apre qui un prezioso campo di lavoro, affinché, nel cammino verso il Congresso Eucaristico e nelle stesse giornate congressuali si promuovano iniziative di ascolto della Parola, di meditazione e di preghiera. Prima delle tante iniziative, che spesso affaticano e frammentano l’azione pastorale, è necessario ricuperare anzitutto l’andare e lo stare con Gesù, credendo nella sua Parola e mangiando il pane dato da lui stesso. Troviamo qui il punto nevralgico del movimento di attrazione che il Risorto esercita dall’interno della celebrazione eucaristica. Qui anche noi veniamo attirati nel dinamismo della donazione che Gesù ha fatto di sé al Padre, animando la sua intera esistenza fino alla morte in croce per i suoi e per tutti, e manifestando la sua bellezza e forza di trasfigurazione nella nostra esistenza quotidiana.... Dall’unità di Parola di Dio ed Eucaristia nasce così un atteggiamento contemplativo, in grado di dare “forma eucaristica” ai contenuti della vita quotidiana: il senso di gratitudine per i doni di Dio, la coscienza umile della propria fragilità, la capacità di accoglienza e di relazioni positive con le persone, il senso di responsabilità nei confronti degli altri nella vita personale, fami-

liare e sociale, l’abbandono in Dio come attesa e speranza affidabile. 4. Riscoprire l’unità di Parola ed Eucaristia significa tenere aperta la celebrazione alla vita quotidiana, tanto nella contemplazione quanto nell’azione. L’agire che ne consegue è soprattutto la testimonianza, l’evangelizzazione, la missione. Usciamo dalla Messa cresciuti nella fede e più responsabili. Scopriamo così il volto missionario della tematica congressuale. Sappiamo quanto i cristiani siano riconosciuti e apprezzati come uomini e donne di carità, esperti di umanità, socialmente solidali, anche da quelli che non frequentano la vita della comunità cristiana. Nello stesso tempo, la presenza cristiana nella società rischia di non essere presa in considerazione, quando addirittura non viene contestata, come testimonianza di Dio, di Cristo Risorto, di vita eterna e di valori soprannaturali. Siamo consapevoli e preoccupati del fatto che oggi si sperimenti una “distanza culturale” tra la fede cristiana e la mentalità contemporanea in tanti ambiti della vita quotidiana. Tuttavia, abbiamo compreso che questa distanza non ha da essere considerata con fatalismo, ma al contrario come sollecitazione per scelte incisive nel nostro modo di essere cristiani. Rientra in questa prospettiva l’opzione di coltivare in modo nuovo e creativo la caratteristica popolare del cattolicesimo italiano. “Popolarità” non significa una soluzione di basso profilo, ma la scelta di una fede che si fa presente sul territorio, capace di animare la vita quotidiana delle persone, attenta alle esigenze della città, pronta a orientare le forme della coscienza civile. Una sfida in particolare - confermata negli Orientamenti pastorali per il decennio, Educare alla vita buona del Vangelo, - intende raccomandare e incoraggiare la declinazione del tema eucaristico: l’agire pastorale deve concorrere a suscitare nella coscienza dei credenti l’unità delle esperienze della vita quotidiana, spesso frammentate e disperse, in vista di ricostruire l’identità della persona. Essa, infatti, si realizza non solo con strategie di benessere individuale e sociale, ma con percorsi di vita buona, capaci di stabilire una feconda alleanza tra famiglia, comunità ecclesiale e società, promuoven32

do tra i laici nuove figure educative, aperte alla dimensione vocazionale della vita. 5. L’Eucaristia per la vita quotidiana diventa così anche il luogo di germinazione delle vocazioni. La storia della Chiesa è la grande prova di questa affermazione: in ogni stagione, l’Eucaristia è stata il luogo di crescita silenziosa di splendide vocazioni al dono di sé e all’amore. La ricchezza delle vocazioni a servizio dell’edificazione comune trova nell’Eucaristia il luogo di espansione nella dedizione incondizionata al ministero ordinato, alla vita religiosa e monastica, alla consacrazione secolare, al matrimonio e all’impegno missionario. Riscoprire l’Eucaristia come “grembo vocazionale” è compito della comunità cristiana, della famiglia - valorizzando non solo i genitori ma anche i nonni -, di quanti si dedicano all’educazione dei giovani, dei credenti impegnati nel lavoro, nella professione e nella politica. Ritroviamo qui un invito implicito a impegnarci a dare forma e valore all’idea della “santità popolare”, che si manifesta nella vitalità del costume cristiano, nell’unità della famiglia, nella qualità educativa della scuola e degli oratori, nella ricchezza della proposta cristiana rivolta a tutti nelle parrocchie e offerta nelle associazioni e nei movimenti. Ciò di cui oggi si sente più bisogno è proprio rendere visibile giorno per giorno la vita credente, che è altro rispetto al modo corrente con cui si esprime il sentire diffuso nella gestione del tempo, degli affetti e della presenza sociale. Nel cammino verso il Congresso Eucaristico vogliamo impegnarci perché cresca e sia condivisa una rinnovata spiritualità della vita quotidiana. È questa la sfida che abbiamo di fronte: lo stile di vita nuovo dei credenti deve trasparire in tutta la sua bellezza e piena umanità. La nostra confessione di fede diviene persuasiva e promettente tutte le volte in cui noi, discepoli del Signore, testimoniamo con i fatti e non solo a parole la gioia, la bellezza e la passione di seguire Gesù passo dopo passo. 6. ...Sarà l’occasione di evidenziare il rapporto tra l’Eucaristia e i “cinque ambiti” della vita quotidiana, individuati a Verona: affettività, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza.... 27 gennaio 2011 Il Consiglio Episcopale Permanente


IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’Eucarestia ci educa ad accogliere e a integrare la fragilità umana

Ci sono due testi dove fragilità (creta) e preziosità (tesoro), il primo, debolezza e forza dell’annuncio evangelico, il secondo, ci offrono le coordinate per saper discernere e vivere nell’accoglienza e nell’accettazione le nostre fragilità personali e comunitarie. “Abbiamo un tesoro in vasi di creta” 2 Cor 4,7 “…quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti, quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio…” 1 Cor 1,26-31

la descrizione della situazione di “rimozione” della fragilità umana nella cultura contemporanea che viene

espressa come delirio di onnipotenza: • Eccessiva cura del corpo (fitness, palestre, centri benessere e loro diffusione sul territorio) • Cultura mediatica e modelli proposti: veline e modelli maschili • Ricadute educative nel mondo giovanile a partire dal principio che” tutto è possibile”: ricerca dell’estremo (sport estremi) • Non consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti: appiattimento della ricerca e dello studio differenziato e conseguenze nella formazione e nella scuola (cfr. università) • Nuova percezione del limite mediata dalla cultura virtuale: il” virtuale” cambia il modo di sentire • Negazione della vecchiaia: anziani alla ricerca della giovinezza passata • Censura della” preparatio ad mortem”: allontanamento del moribondo (non si muore più in casa) • Nella pastorale: incapacità a stare nell’ incompiuto, nel fallimento, nell’incerto, nel non sicuro, e a camminare con umiltà. Una prima conseguenza di questa nuova cultura è l’mergere di nuove fragilità: • Incapacità a sostenere ogni forma di dolore (la soglia si è abbassata nelle nuove generazioni con gravi conseguenze: es. aumento dei suicidi) • Depressioni latenti e bulimie e anoressie nascoste e più difficili da stanare • Ricerca del “branco” per superare la solitudine e sentirsi “forti” • Nella pastorale: burnout degli “uomini di Chiesa”

Eucarestia-fragilità-pastorale

•Eucarestia sorgente della misericordia: il perdono dei peccati è il primo atto nell’azione liturgica eucaristica •Eucarestia e Pastorale della Salute: importanza del malato come membro della comunità cristiana (visita costante dei malati e degli infermi; comunione domenicale al malato durante Eucarestia comunitaria, in alcune occasioni Eucarestia e Unzione degli infermi, Eucarestia e preghiera di guarigione) •Eucarestia e “conoscenza -custodia” della propria fragilità : educazione nella pastorale giovanile a conoscere i doni ma anche i limiti della propria vita. Mettere a confronto i giovani con il limite e la fragilità. •Eucarestia e pastorale ecclesiale: consapevolezza del limite di ogni programmazione, delle fragilità delle strutture e della tentazione di far leva su mezzi di potere umano, sulla apparenza, sul successo, sull ‘immagine

Eucarestia-fragilità-comunità cristiana

L’esperienza dell’accoglienza e dell’accettazione delle fragilità nella comunità parte dalla possibilità di comunicare le proprie difficoltà in ambienti accoglienti, dove il mostrare la propria “debolezza” non è un “mostrare il fianco” a un nemico, ma è esperienza di condivisione e di comunità. •Da questo ambiente accogliente si può partire per una lettura delle proprie fragilità alla luce del Vangelo, come condizione che ci avvicina a Cristo-Eucarestia (“quando sono debole è allora che sono forte”) e non come giogo della condizione creaturale. •Il saper creare comunità accoglienti diventa atto di testimonianza per il mondo dove sembra non esserci spazio per chi mostra le proprie debolezze e viene dunque considerato “uno sconfitto”. Su questo si può considerare come si tenda a rimuovere, come se non fossero parte dell’esperienza umana, la vecchiaia, il dolore, la morte, momenti della vita che non possono essere nascosti. •Talvolta anche il nostro essere comunità cristiana tende a “selezionare i perfetti”, adeguandosi, seppure con categorie e “criteri di selezione” diversi, alle logiche del mondo. 33


IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia ci educa alla vera relazione: autentica vita affettiva

La prima grande verità da contemplare: Dio ha un corpo. Una verità data per scontata dove in Gesù “abita corporalmente la pienezza della divinità” (Col.2,9). È questo il corpo “preparato da Dio” (Eb. 10,5-7): quello del suo Figlio, Gesù. Dobbiamo evitare di sottrarre l’immagine di Dio da ogni pensiero che non sia il suo Corpo. È questa un’azione contemplativa che ridefinisce i contorni della nostra stessa vita perché ogni brandello del nostro corpo, grazie a Lui, è trasformato. Il corpo di Cristo interpella la vita cristiana dell’apostolo, che rigenera e offre il suo corpo come “sacrificio e offerta a Dio” (Rom 12,1-2). La corporeità è “offerta”, culto vivente. La spiritualità diviene per ciò stesso correlazione dinamica e vitale degli esseri, dono di corpi, apertura dialogica e amorevole che il credente vede generata e continuamente alimentata da Dio. Il contrario dello spirito, in questo senso, non è la materia, ma la chiusura nel proprio io, l’ostinato rifiuto della relazione, l’annullamento persino del colloquio. Per questo anche la vita verginale di Gesù non congela i suoi atteggiamenti affettivi e il suo cuore. L’atteggiamento che meglio trasmette questa sua personalità è raccolto nel verbo avere compassione (Mt 9,36; Mt 14,14;Mc 1,14; Mc 8,2). Meraviglia poi la spontanea maturità umana in cui Gesù lascia spazio a tutti i sentimenti. Non appare mai asceta impassibile privo di emozioni, anzi la varietà dei suoi sentimenti si colora di passione: Lc 10,38-42; Mt 19,13; Mc 10,14; Mc. 10,16;Mt 21,12; Mt 23,13-39; Lc 7,9; Mt 15,28; Mc 12,41-44; Lc 17,17-18. La descrizione della situazione • Ambiguità dei termini e fraintendimento del loro significato: es. amore…. • Identificazione dell’affettività con la sessualità: il campo affettivo vive una restrizione (riduzione dei corsi sulla formazione all’amore al campo sessuale) • Rifiuto dell’appartenenza concepita come limite della relazione • Instabilità e fragilità della relazione (amicale, di coppia, sociale…) • Liquidità dei rapporti con risultati estremi: indifferenza assoluta (passaggio da un rapporto all’altro senza impegno e responsabilità) esigenza di fusione con il risultato della con-fusione e assenza della distanza (pretesa di rapporti empatici assoluti, assolutizzazione dei sentimenti …) • Affettività disturbate e aumento di patologie frutto anche di esperienze familiari negative

Suggerimenti pastorali

• Mostrare la bellezza e la bontà del Vangelo dell’amore in tutti gli itinerari formativi: “Amatevi come io vi ho amato” • Fondare l’esperienza comunitaria cristiana (parrocchia, unità pastorale, comunità pastorali, associazioni, movimenti, nuove comunità ecclesiali)) come frutto dell’amore reciproco (comandamento nuovo), segno della presenza vita del Cristo risorto e testimonianza evangelizzante • Curare gli itinerari di formazione affettiva in preparazione al sacramento del matrimonio, alla vita consacrata, nei seminari e nella formazione permanente del preti • Preparare uomini e donne capaci di corresponsabilità e sinergia nei diversi ambiti formativi così da mostrare concretamente la complementarietà uomo-donna • Porre attenzione preventiva alle situazioni di fragilità affettiva conclamate presenti sul territorio offrendo o indicando una rete di persone-istituzioni di sostegno ( es.centro di aiuto alla vita, centri di ascolto, centri caritas, singoli operatori) 34


IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia per il lavoro e per la festa Per il lavoro:

Esperienza dell’Apostolo Paolo: cristiano,missionario e lavoratore; Interessante l’intreccio fra vita ordinaria intessuta di lavoro e annuncio cristiano dei primi apostoli. Vita eucaristica nel lavoro. Vedi i testi biblici :At. 18,3 e 2 Tess. 3, 10. • • • • •

La descrizione della situazione

Ricaduta della crisi economica attuale sulle nostre famiglie Crisi delle piccole imprese e dell’artigianato (uomini e donne di mezza età che non trovano lavoro) Mobilità del lavoro e nuova emigrazione: fuga dai piccoli centri Studenti e immissione nel lavoro: es. neo-laureati Ricaduta: procastinazione delle scelte di vita: es. matrimonio

Suggerimenti pastorali

• Vita comunitaria ecclesiale e lavoro: consapevolezza della vita della maggior parte dei membri della comunità che lavorano ( rivisitazione degli orari della comunità: eucarestia, catechesi, incontri) • Pastorale giovanile: una pastorale fatta su misura degli studenti • Presenza cristiana imprenditoria e sindacato • Educazione ad una economia di comunione: conoscenza delle esperienze in atto • Favorire una cultura di una economia etica reale non astratta e utopica • Far maturare una solidarietà ecclesiale-diocesana stabile e non solo occasionale: es. fondi di solidarietà una tantum

Per la festa:

Preghiera sacerdotale in Gv 17: la festa è la vita della Trinità partecipata ad ogni credente. Fare festa come occasione di vivere la vita in Dio, relazione d’amore, dono reciproco, amore che custodisce, perdona, santifica e fa essere nella gioia vera. Allora la festa è un dono da accogliere e custodire prima di una conquista e di un merito-diritto acquisito. La descrizione della situazione • Aumento del tempo libero e suo utilizzo • La vita è gioco, concepito come libera invenzione; un gioco in quell’istante, senza passato né futuro. È l’apologia della distrazione, di un pensare come pulsione continua • Non esiste la festa perché tutto è festa (festa “spalmata” su tanti momenti, in più luoghi): modo di vestire, mangiare, riposare… • Nella frammentarietà degli istanti l’Homo ludicus moderno o rischia salti all’indietro nel culto della memoria, con enfatizzazione della tradizione, dei principi autoritari o fideistici, con la nostalgia del passato o del già fatto; oppure salti in vista di un varco nel futuro voluto senza nessuna continuità con quanto esiste oggi. Suggerimenti pastorali • Eucarestia e domenica: favorire l’incontro-festa-riposo. Importanza dell’ ante e post messa (accoglienza-ascolto) • Eucarestia e sacramento del perdono e della festa: disponibilità totale il sabato pomeriggio • Celebrazione dell’Eucarestia e ministero della presidenza: il prete costretto a rincorrere le Eucarestie da celebrare (quale festa riesce a vivere con la sua gente?) • Unificare la domenica come giornata della comunità che si ritrova: Eucarestia, formazione, festa, riposo, carità • Preparare una pastorale del turismo capace di accogliere i cristiani nella comunità-eucaristica:es. testi in lingua per stranieri.

35


IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia luce per la vita sociale Liturgia e Padri della Chiesa

I Padri della Chiesa condannano le ingiustizie e gli abusi a partire dall’Eucarestia. Senza vivere la giustizia non si può partecipare alla liturgia: Questa vita sociale intensa, scaturita dalla liturgia cristiana, è fedelmente descritta da A. HAMANN, Vita liturgica e vita sociale. Milano 1969; il quale scrive riassumendo: "La storia del primi secoli dimostra fino a che punto la Chiesa» lungi dal limitarsi a predicare il Vangelo della carità si sforza di viverlo nel clima fraterno delle sue comunità... Per tutti i bisogni i fratelli non si contentano di pregare nel corso dell'assemblea liturgica; si impegnano anche a prendere iniziative, a prestare soccorsi materiali. Moltiplicano le collette ordinarle e straordinarie, in un ammirevole ardore di solidarietà. Inventano pranzi di carità, cui danno il nome caratteristico di "agape"... L'esercizio della carità insegna ai cristiani che Cristo aveva spezzato le barriere sociali che separavano i ricchi dai poveri, gli uomini dalle donne... La dignità di ogni uomo era stata da lui fondata non su una situazione umana, ma sul fatto che ciascuno è stato scelto da Dio... Le diverse iniziative caritative che abbiamo visto esistere nella Chiesa antica, erano colte ad esprimere le esigenze della fede e della liturgia ... Nella Chiesa antica la solidarietà è intesa come una estensione della "frazione del pane"... Essa tende a mettere in luce ed a saziare la fame di giustizia e fraternità dell'uomo...".

La descrizione della situazione • Fede vissuta e alimentata in forma intimistica e spiritualistica • Giudizio negativo di tutto ciò che è servizio politico • Indifferenza e distacco dall’impegno sociale e politico: chiusura nel privato • Narcisismo di gruppo: solidarietà e condivisione “provinciale” e riservata agli “amici” • In ambito pastorale: assenza di una coscienza popolare, tutto è rimandato al magistero sociale della Chiesa • Ricaduta mediatica: l’intervento della Chiesa (inteso come Papa e Vescovi) viene letto come ingerenza politica in assenza di cristiani che offrono un contributo costruttivo dall’interno

Suggerimenti pastorali • Educare i cristiani di diverse correnti ad un confronto/incontro unitario circa il servizio politico e culturale • Prestare attenzione al territorio, evitare superficiali atteggiamenti che ostentano sicurezza ed esclusione di tutte le forze collaboranti in campo sociale, culturale e politico • Educarsi alla legalità che si esprima in scelte comuni di Chiesa • Vivere il proprio lavoro come espressione della volontà di Dio e come impegno a edificare il Regno. E’ implicito in un tale atteggiamento l’impegno di acquisire la massima competenza nel proprio specifico campo d’azione. Il lavoro svolto con “professionalità”, qualificata e aggiornata, accresce anche l’autorevolezza della Chiesa nell’attuare con incisività la nuova evangelizzazione. • In fase operativa coinvolgere responsabilizzare tutte le forze in campo. Il tempo investito nel fare reciprocamente conoscere, collaborare tra loro le diverse forze, le diverse realtà di aggregazione anche laiche è sempre tempo prezioso e ottimamente impegnato. Testimoniare lo spirito di lavoro in comune offrendo percorsi e iniziative maturati dalla collaborazione tra più settori. 36


IN CAMMINO VERSO IL 25° CONCGRESSO EUCARISTICO

L’ Eucarestia per comunicare la fede

La sorgente della vita della comunità evangelica primitiva sta nella triplice unità dell’azione eucaristica: l’ascolto della Parola, lo spezzare il pane e la condivisione fraterna come è descritta negli Atti degli Apostoli (At 2,42s; 4,32-35; 5, 12-16 La comunicazione della fede ha la sua fonte nell’Eucarestia. La descrizione della situazione • La tendenza alla riduzione dello spazio Le comunicazioni stanno rendendo il mondo piccolo, trasformandolo sempre più nel famoso “villaggio globale”. Le distanze del passato si vanno riducendo con lo stesso ritmo incalzante dello sviluppo tecnico. Questo fenomeno contiene immediatamente un’esigenza pratica e urgente per il campo delle azioni degli uomini: richiede la capacità di pensare in termini di mondialità, di affrontare i problemi nei vari ambiti (economico, politico, culturale…) con un’ottica planetaria e di interdipendenza. Non si può più seguire una logica di dettagli. Questa cultura però rischia di essere animata da un movimento “egologico” tendente all’affermazione egocentrica-narcisistica dell’io. Gli esiti sono di tipo ideologico-totalitario in quanto l’io (cioè una parte) pretende di ingigantirsi fino ad occupare tutto lo spazio e diventare la totalità, e questo è intrinsecamente violento. Un sociale, un collettivo, un tutto, un uno che elimina le diversità, la distinzione, in realtà nasce dalla divisione, dalla guerra e conserva in sé tutto il negativo del conflitto violento.

La tendenza alla riduzione del tempo

Non basta dire Dio, occorre interrogarci su quale volto di Lui si presenti.

Una seconda tensione presente ai nostri giorni, ancora più emblematica, è il tentativo della riduzione del tempo nella simultaneità degli istanti. Anche questo elemento, se da un lato è un profondo richiamo al fato che la vita “si gioca” realmente nell’attimo presente, dall’altro contiene il rischio che gli attimi rimangano nella totale frammentazione, avendo perso il fondamento dell’Eterno che come “filo d’oro” li potrebbe legare. Staremmo per entrare nell’epoca della “fine della storia” non tanto nel senso catastrofico di un tramonto del pianeta terra per distruzione atomica o ecologica, ma piuttosto nel senso dell’impossibilità di “raccontare una storia” sia in termini personali, sia in termini più generali, a causa della rottura stessa dell’unità del tempo nelle sue dimensioni di passato, presente e futuro. È l’attesa di un Dio che sia in rapporto con il concreto esistere dell’uomo, un Assoluto concreto. La cultura contemporanea non si è semplicemente arresa alla frammentazione e alla frattura; si è rimessa in cerca di un Oltre che poteva ridonare l’unità, ma spesso si è avviata sulla strada di un Assoluto senza volto e senza legami con la storia concreta degli uomini. Un Assoluto che non incontri mai il concreto esistere dell’uomo, non può interessare, anzi diventa una spinta verso una fuga dalla vita di ogni giorno. In questi ultimi anni il fatto nuovo del ritorno di un certo tipo di sacro presente nelle sette e nei vari gruppi gnostici ha rimesso fortemente in scena un religioso anonimo che come tale rischia di cancellare i nostri volti Suggerimenti pastorali • Una pastorale che mette al centro il Volto di Cristo A questo punto possiamo esplicitare la sfida che è posta all’evangelizzazione. Se le rotture sono esito del tentativo dell’affermarsi di una parte sulle altre, cioè di un individualismo chiuso su se stesso, prima tappa che il Vangelo ci indica per la nuova storia è l’uscire dalla fortezza dell’ego per scoprire il Volto dell’Altro. E di questo l’Eucarestia ne è manifestazione. L’io è chiamato a deporre la propria sovranità per essere custode di un’epifania, per accogliere l’irruzione di un inatteso. Il volto dell’altro richiede: • responsabilità : dare una risposta al suo appello, uscendo dall’indifferenza e dal disimpegno. • disinteresse: una visione dell’essere «ferito» interiormente dal rapporto, quindi mai riducibile a possesso • prendersi cura: che non è un sostituirsi all’altro, ma è un “farsi uno”, un far sì che l’altro sia. Ma tra tutti i volti diventa decisivo l’incontro con il Volto che in modo inatteso si fa incontro come Risorto, ma con i segni del Crocifisso, e ti domanda: «Mi ami tu?». Ed è proprio questo volto che i nostri occhi possono scoprire nell’Eucarestia. • l’evento dell’unità Un passo avanti è ancora richiesto per realizzare una pastorale evangelizzante: non fermarsi al riconoscimento del volto dell’altro, ma giungere alla reciprocità del rapporto, dell’amore. In questo spazio accade l’avvenimento di una terza realtà: l’unità. L’evento dell’unità permette ai due di uscire dalla solitudine, di non entrare in conflitto, di non fondersi in una situazione impersonale. L’unità è un evento che fa uscire sia da una logica monistica che da una duale-conflittuale e rende possibile la più grande comunione insieme alla più grande realizzazione della propria personalità e libertà. Il “gioco” dell’unità è l’irruzione sorprendente di una nuova logica: quella trinitaria che l’Eucarestia significa. Il volto dell’Assoluto che è rivelato in pienezza nella cattedra del Cristo pasquale è Trinità. Il «gioco» dei rapporti trinitari è la patria a cui ci spinge l’inquietudine del cuore umano. La testimonianza prima di tutto e poi l’annuncio di questo vangelo appare «interessante» per l’uomo perché ricrea l’unità e la bellezza: un’unità e una bellezza che nemmeno la morte può spezzare: questa è la grande nostalgia dell’uomo. 37


formazione liturgica - formazione liturgica - formazione liturgica - formazione liturgica -

I riti dal prefazio alla dossologia

Prendere tra le mani, rendere grazie

Il filo rosso del “benedire” e del “rendere grazie” collega parole e gesti dal Prefazio alla Dossologia. Siamo nel cuore della Messa. Ci vien svelato il cuore di Dio. Dopo l’Orazione sulle offerte, colui che presiede rivolge l’invito: “In alto i cuori”. Ci alziamo. D’ora in poi tutto si unifica. Risuona una sola voce, quella del presidente. Più che mai agisce “in persona Christi”. L’uno (il Signore Gesù) parla a nome dei molti. Ogni altro suono tace. Solo Gesù è altare, vittima e sacerdote. Dal Prefazio sino alla Dossologia i verbi di Gesù (e nostri) sono “benedire” e “rendere grazie”. La preghiera - è bene precisarlo - è rivolta al Padre. Il prefazio Colui che presiede allarga le braccia. È proprio il simbolo del Cristo della Pasqua il quale, nell’ora suprema della sua vita, “stese le braccia sulla croce” e così “morendo distrusse la morte e proclamò la Resurrezione” (Preghiera Eucaristica II). Il Prefazio riepiloga tutta la storia di salvezza o, più spesso, ne mette in rilievo un segmento. Anche noi abbiamo l’impressione di salire verso il cielo. Ma questo non è vero. Ce lo rivelano le tante chiese che hanno la cupola proprio sopra l’altare. Intendono dirci: il cielo è qui. Sarebbe faticoso volgere lo sguardo in su. Spesso, nelle cupole è raffigurata la Trinità e la gloria del paradiso. In realtà scendono tra di noi, il Padre, Gesù, lo Spirito, gli angeli. Sfilano, nella voce narrante di colui che presiede, i colori dell’iride delle meraviglie di Dio: la creazione, l’incarnazione, la passione, la morte, la resurrezione, la Pentecoste. In questa fase, il silenzio è il livello massimo della partecipazione. È suggerito dallo stupore, dalla riconoscenza. Epiclesi-anamnesi Il presidente impone le mani sul pane e sul vino e invoca lo Spirito. Il gesto esprime una trasmissione di forza, di potenza. Ne è autore lo Spirito. Quando egli discende, il caos diventa cosmo, gli uomini pronunciano le parole di Dio, la Vergine concepisce il Salvatore. Qui c’è l’inabissarsi di Dio. Il Verbo si fa carne. Pane e vino diventano Corpo e Sangue del Signore. Colui che presiede narra la cena, la croce, la resurrezione del Signore. La Pasqua è il capolavoro del Padre. La si racconta ed essa ci raggiunge. Vengono messe in rilievo le modalità precise: il Figlio in una data precisa si è mostrato disponibile a divenire “corpo donato e sangue versato”. Si sono incontrati il tradimento e la fedeltà. La disponibilità anche alla morte è stato il sigillo che Gesù ha impresso alla sua vita. Colui che presiede prende in mano il pane e il vino. Li riceve da Dio. Non sono suoi. Più avanti lo spez-

zerà il pane per tutti, giacché questo è il volere del Padre. C’è la totalità del dono (corpo e sangue) da parte del Signore. Ove più forte è la presenza, ivi più alta è la nostalgia. “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta”. L’offerta della Chiesa Siamo coinvolti totalmente in una maniera irreversibile nell’oblazione del Cristo: “Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione” (Preghiera Eucaristica III). Gesù ha offerto non cose né animali, ma se stesso. Così avviene per noi e di noi. Non dobbiamo cercare al di fuori di noi che cosa offrire. Viviamo il memoriale della sua Pasqua per divenirne memoriale. Intercessioni Grande momento quello in cui (con la famiglia, con gli amici) riusciamo a “mettere i piedi sotto la tavola”. Allora possiamo scorgere volti, nomi, persone. È ciò che avviene, a livello infinitamente superiore, nell’Eucarestia. La presenza del Signore ha un effetto rivelativo. Nominiamo Maria, i santi, il papa, i nostri cari, vivi o defunti. Non sono ombre o fantasmi, ma persone. Per questo le chiamiamo per nome. Il Cristo ha sfondato il muro della morte. Ora fa da ponte tra il tempo e l’eternità. Accoglie chi cadrebbe con la morte nel nulla e lo consegna al Padre (Apoc 1,17). Già il Vangelo di Luca ci mostrava che la distanza tra il cenacolo ed il cielo è minima (Lc 4,36-50). La Chiesa appare come una foresta. Ha i piedi nel tempo, ma le punte più alte sono già nell’aldilà. Sfilano davanti a noi i vari scenari: la Chiesa pellegrinante, quella “purgante”, quella gloriosa. Si manifesta anche come capofila. È preceduta, accompagnata dai giusti (Canone Romano, LG 2) (da Abele in poi). Di tutti gli uomini il Signore si fa carico: è venuto perché nessuno perisca, ma ognuno abbia la vita eterna (Gv 10,10). L’Eucarestia è la festa di Dio. Gioia del Padre è vederci tutti convocati, riuniti, commensali. Sta con noi. Nulla potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù (Rom 8,39). Dossologia Chi presiede eleva verso l’alto il Pane ed il Vino. Vanno verso il cielo. Indicano la direzione di tutte le cose. Il terminale della storia non sta in basso (il fallimento, il sepolcro, la terra) ma in alto. Dio ha fatto risorgere Gesù da morte: in lui tutto è destinato al Padre, alla sua vita eterna. “Amen” dice l’assemblea. 38


formazione liturgica - formazione liturgica - formazione liturgica - formazione liturgica Dal cuore della liturgia al cuore della Trinità Come sarebbe bello se riprendessimo a parlare di Dio a partire dalla liturgia! Essa narra la Trinità. La mostra nel suo agire. Lo fa, in modo mirabile, la Preghiera Eucaristica IV. Proviamo ad attingere ad essa. · Ci permette di narrare il Padre. È il solo che meriti l’aggettivo buono, è fonte della vita. Si muove verso il mondo partendo dal suo regno di luce infinita. Fa ogni cosa con sapienza e con amore. Viene incontro a tutti in modo che coloro che lo cercano lo possano trovare. Si lega agli uomini con legami di progressiva alleanza. Ama talmente il mondo da donare a noi, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio. Ben diversa è la fisionomia della divinità che ci viene offerta da altre religioni: il Dio adirato, che esige espiazioni o che non si occupa minimamente del destino dell’uomo. · Possiamo narrare Gesù. Egli è il Figlio di Dio fatto uomo per opera dello Spirito Santo. Nasce da Maria vergine. Condivide in tutto fuorché nel peccato la nostra condizione umana. Annunzia il Vangelo ai poveri, dà la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia. Per attuare il progetto di redenzione del Padre si consegna volontariamente alla morte. Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li ama sino alla fine. Nella cena spezza il pane e fa passare il calice: rivela il significato della sua Pasqua: divenire pane di vita, sangue di salvezza. Dal Padre riceve, nella resurrezione, il sigillo di ciò che ha detto e fatto. · Possiamo narrare lo Spirito. Egli spinge il Figlio verso il mondo. È il primo dono ai credenti fatto da colui che è morto e risorto. Porta a compimento nell’oggi, le opere del Padre e di Gesù. Trasforma il pane e il vino in Corpo e Sangue di Gesù. Rende coloro

che mangiano l’unico pane e bevono all’unico calice corpo unico del Risorto e offerta viva al Padre. La Preghiera Eucaristica IV non è una bella pagina letteraria. Narra ciò che accade, in modo sommo, nell’Eucarestia. In questo convito si concentra l’agire simultaneo delle Tre divine persone. Si vede come il Padre, per mezzo di Gesù ed in forza dello Spirito, doni “ogni bene al mondo”. La storia umana non è narrata con accenti ingenui: si parla di disobbedienza, di morte, di peccato, di sangue. Dentro questa vicenda si inserisce la linea del Figlio, punta avanzata della nostra condizione umana, con i suoi verbi: amare i suoi sino al segno estremo, offrirsi in sacrificio per noi, versare anche il sangue per tutti in remissione dei peccati, restare come eternato in questo gesto. “Prendete e mangiate; prendete e bevete, questo sono io”. In definitiva possiamo chiederci: “Dio, chi è secondo la liturgia eucaristica”? “La risposta: un Pane da condividere, una Coppa di vino da far passare tra i commensali per la loro gioia eterna.

Il senso dei riti di comunione durante la Messa

Partecipare al banchetto Con i Riti di Comunione, si passa dalla partecipazione alla condivisione. Siamo invitati al banchetto del Signore per divenire suo corpo. Tante sono le vie per comunicare. Possiamo elencarle in ordine crescente: trovarsi casualmente all’interno di una folla, abitare lo stesso palazzo e salutarsi frettolosamente, essere colleghi di lavoro, condividere un’esistenza come coniugi. A livello simbolico, il mangiare insieme esprime la massima comunione. Il cibo è ciò che più radicalmente ci unisce perché dà vita. Nei Riti di Comunione della Messa superiamo anche questo livello. Nessuna esperienza umana può farci giungere a tanto. Perché questo? Il Figlio di Dio ha voluto scendere tra di noi, divenire uno tra gli esseri umani, vivere integralmente la condizione umana; la morte e la resurrezione sono state rispettivamente sepoltura del seme e sua rinascita come grano (Gv 12,22). Dio gli ha dato, a partire dalla Pasqua, illimitate possibilità relazionali. Per chi crede in lui è

possibile mangiare di lui e vivere di lui (Gv 6,48-58). La sua carne è vero cibo e il suo sangue vera bevanda (Gv 6,55). Mangiando di Cristo diventiamo suo organismo totale (1Cor 10,14-17). Non siamo più semplicemente com-pagni (da uno stesso pane): diventiamo con-viventi. Nei Riti di Comunione passiamo dalla partecipazione alla condivisione. Condividiamo il Padre, lo Spirito, il Figlio. Il Padre nostro “Il Signore ci ha donato il suo Spirito. Con la fiducia e la libertà dei figli diciamo: Padre nostro”. L’invito che ci rivolge chi presiede fa riferimento alla Pasqua. Ne sottolinea un particolare aspetto: l’effusione dello Spirito. È il regalo che Gesù custodisce nel cuore; è rivelato dopo il colpo di lancia (Gv 19,30-34). Lo Spirito viene donato a noi da Gesù nel Battesimo, confermato nella Cresima, effuso in pienezza (Preghiera eucaristica III) nella Cena del Signore. 39


formazione liturgica - formazione liturgica - formazione liturgica - formazione liturgica Lo Spirito di Gesù ci ha resi corpo del Signore. Pos- vincitore al centro dell’adorazione, nella liturgia cesiamo quindi, parlando a Dio, usare lo stesso termine leste (Ap 12,11). Ora anche noi partecipiamo come che valorizzava Gesù “Abbà” (Mt 11,25-27; Mc 14,36). sposa alle sue nozze (Ap 19,7). Ancora ci purifica, ha Preghiamo stando in piedi. Non siamo più servi, ma pietà di noi, ci rinnova dal di dentro con l’effusione amici (Gv 15,15). Non restiamo curvi a terra come del suo Spirito. altri adoratori di Dio. Stiamo in piedi, essendo risorti in Cristo. La processione Abbiamo - come Gesù - gli occhi rivolti al cielo (Gv Colui che presiede ci invita: “Ecco l’agnello di 11,41) e le braccia allargate, quasi a voler abbraccia Dio”. Ci possono essere altre modulazioni secondo il Vangelo del giorno: “Ecco il pastore che dà la vita”, re il mondo. Preghiamo usando il “tu”. Non ci rapportiamo con “Ecco lo sposo che viene”, “Ecco colui che nasce da un “ente”, ma con il papà di Gesù. Egli è vicinissimo Maria”... Tutto è pronto e noi volentieri accogliamo l’invito. eppure diverso. Lo diciamo con l’espressione “che C’è tra: sei nei cieli”. Intendiamo dire che non nasce e non - Diol’incontro che apre la sua mano muore; attraversa e supera - Noi i figli, le creature che accedono alla mensa il tempo. Ci lasciamo mo- Facciamo nostre le parole del centurione “Signodellare da lui, dal suo nome, re, non son degno” (Mt 8,8). La salvezza, il Salvatore dalla sua volontà. Non ten- sono ora di casa. Come il funzionario del re noi postiamo di piegarlo ai nostri siamo constatare che la sua parola è stata efficace desideri. Dopo aver alza- (Gv 4,53). to gli occhi al cielo (prima Si forma una processione. Siamo come Israele parte), li rivolgiamo, (nella nell’Esodo che riceve la manna (Es 10), come Elia che seconda parte), alla terra. attraversa il deserto (1 Re 19,8). Ci guida un antico testo “Quando ti accosti, non Chiediamo 3 regali: il Pane, avanzare con le palme delle mani stese né con le dita il perdono, la salvezza. aperte; ma fai della mano sinistra un trono per la mano destra perché essa deve ricevere il re. Nel cavo Il rito della pace della mano ricevi il corpo di Cristo dicendo: “Amen” Ricevendo, a partire (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche 21-22). dalla Pasqua, lo Spirito che È importante anche la comunione al Calice (OGMR viene dal Risorto (Gv 19,34), 85;284). Rivela meglio la nostra totale partecipazioabbiamo la sua pace da con- ne: Dio è per noi pane cioè vita e vino cioè gioia. dividere (Gv 14,27). Ce la scambiamo. Non si tratta Il canto esprime la gioia comune. della riconciliazione personale: essa va fatta in altra Segue il silenzio adorante. Più volte è previsto nel rito. Ora il suo significato raggiunge il vertice. Non sede (Mt 5,23). relaziona con la Parola, ma con il Pane. È una ce Gesù venendo dai suoi dice Shalom (Gv 20,19-21). si lebrazione: lo si fa tutti e contemporaneamente. È Questa parola significa salute, gioia, abbondanza, fe- l’unico atteggiamento possibile di fronte a ciò che licità. Gesù ci mostra la sorgente della sua pace: le si compie. Possiamo dire “Non son più io che vivo, piaghe delle mani e le ferite del costato (Gv 20,20). è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Possiamo usare Lo scambio della pace è la fase in cui ci giriamo, ci l’espressione di Simone: “Rabbi, è bello per noi stare guardiamo in faccia. Non è un gesto di pura cortesia. qui” (Mc 9,5). L’ascolto è divenuto (per tutti e per Indica il principio vitale (lo Spirito) che ci rende con- ognuno) contatto, unione mistica, esperienza umano-divina. Si realizza la promessa che fa il Signore a corporei e consanguinei del Signore. nome dell’intera Trinità: “Verremo a lui e prendereLo spezzare del Pane mo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Colui che presiede spezza il pane. È il gesto del Pa- Questo carattere “culminante” è sottolineato dre, pronto a nutrire gli esseri umani con la fatica, la dall’Antifona di comunione che andrebbe cantata a resurrezione del suo Cristo. Per ognuno ci deve esse- mo’ di ritornello. Nel gustare il banchetto sta l’avverarsi del sogno di Dio: “Gerusalemme sorgi e sta in re una porzione di questo cibo. È il gesto del Risorto che ancora oggi dice: “Pren- alto; contempla la gioia che a te viene dal tuo Dio (2ª dete e mangiate; prendete e bevetene”. Sono giunti i dom. di Avvento). “Questo è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiatempi messianici; gli uomini ciuto, ascoltatelo (2ª dom. sono diventati commensali Quaresima che fa riferidi Dio. mento alla Trasfigurazio Mentre si spezza il Pane, ne). “Accosta la tua mano, si ripete il canto Agnello di tocca le cicatrici dei chioDio. Sono posti in evidenza di…” (II dom. di Pasqua, tutti i paradossi espressi dal ove si parla di Tommaso)”. Vangelo di Giovanni e della I discepoli riconobbero il Signore nello spezzare il sua scuola: la vittima divenpane” (III dom. di Pasqua; ta il Salvatore; colui che è il vangelo è quello dei due estremamente fragile prendi Emmaus, Lc 24, 13-35). de sulle sue spalle il peccato In tutte quelle figure ci ridel mondo (Gv 1,29); colui conosciamo. che è stato ucciso è il vero 40


Carità nella Verità

LE DUE LETTERE DI BENEDETTO XVI SULL’AMORE

La prima enciclica di Benedetto XVI portava il titolo “Deus caritas est - Dio è amore” (2006). A questo scritto fece seguito, tre anni più tardi, l’enciclica “Caritas in Veritate - La carità nella verità”. Non è casuale che il Papa abbia voluto indirizzare ai cristiani di tutto il mondo in così breve tempo due lettere che recano nel titolo la stessa parola “caritas”. È vero che Gesù stesso ha indicato il precetto dell’amore verso Dio e verso il prossimo come il comandamento più importante. Ma quanti fraintendimenti e quanti tradimenti in nome dell’amore! Benedetto XVI con questi due scritti ha voluto non solo richiamare l’attenzione dei cristiani di tutto il mondo sull’importanza dell’amore fraterno, ma anche spiegare la maniera più adeguata con cui il cristiano del terzo millennio può rispondere a questa chiamata. Sì, perché come dice il Papa, “l’amore non è solo un comandamento, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro” (Deus caritas est n. 1).

“Abbiamo creduto all’amore di Dio”, così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano... c’è l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che da alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. (Deus caritas est, n. 1) 41


le due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le

La Verità illumina la Carità

P

er la Chiesa, ammaestrata dal Vangelo, la carità è tutto perché.... “Dio è carità” (n. 2). Ma la carità è strettamente collegata alla verità perché questa “è luce che da senso alla carità. Questa luce è, a

un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza la verità la carità scivola nel sentimentalismo... è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distratta, fino a significare il contrario” (n. 3). Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra saperi e operatività... Nell’attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l’adesione ai valori del cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale (n. 4).

L’enciclica “Caritas in veritate”, di Benedetto XVI è stata pubblicata nel 2009 in occasione del quarantesimo anniversario della “Populorum progressio” di Paolo VI. Con questo scritto il Sommo Pontefice intende “rendere omaggio alla memoria” del suo predecessore “riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale” e collocarsi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarli nell’era presente.

***

Questo opuscolo, più che riassumere le due encicliche di Benedetto XVI sull’amore, prende da queste lo spunto per richiamare l’attenzione su alcuni aspetti della carità cristiana, perché siano punti di riferimento saldi nel cammino di crescita nella fede personale e delle nostre comunità. 42


e due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le due lettere di Benedetto XVI sull’amore -

Dio è Amore “D

io ci ha amati per primo”(1 Gv. 4,19). L’amore di Dio per l’uomo nasce nel momento stesso in cui Dio vuole coronare l’opera della creazione con un essere fatto “a sua immagine” (Gn. 1,27). L’uomo e la donna entrano così nel mondo con una missione ed una dignità che i distinguono essenzialmente dalle altre creature: saranno capaci di conoscere Dio, di stabilire con Lui un rapporto di figliolanza, di continuare l’opera della creazione con il lavoro materiale e intellettuale e con la procreazione di nuove vite umane. Ma l‘amore di Dio per ‘umanità non conosce confini. All’uomo, che con il peccato ha smarrito la vera dimensione del suo essere, viene incontro con un atto di amore che solo Dio poteva inventare: dona all’umanità il proprio Figlio come redentore. San Giovanni, nella sua prima lettera, scrive: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi. Dio ha mandato i suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima d’espiazione per i nostri peccati” (1 Gv. 4,9-10). Se la vita umana è un dono d’amore, tanto più la salvezza offerta all’uomo da Gesù, Figlio di Dio, testimonia la sovrabbondanza di questo amore.

“Prima che noi fossimo, un Cuore ci ha amati di un amore eterno e per tutta la durata della nostra vita questo Cuore ci abbraccia col più caldo degli amori... Dio ci ama, Dio ci ha amati ieri, ci ama oggi, ci amerà domani. Dio ci ama in ogni istante della nostra vita terrena e ci amerà durante l’eternità se non respingeremo il suo amore... Mio Dio, quanto ci ami, tu che per noi hai voluto essere sprofondato in quest’abisso di sofferenze e di disprezzo... Hai voluto dimostrarci il tuo amore, quest’amore inaudito al quale il Padre ha dato il suo unico Figlio e l’ha dato in mezzo a tali sofferenze e tali umiliazioni... allo scopo di indurci ad amare Dio a nostra volta”. (Charles de Foucauld, Scritti spirituali)

43


le due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le

"C

Nell’Amore il senso della Vita

reati ad immagine di Dio possiamo realizzarci solo nel dono di noi stessi e nell'accoglienza dei fratelli" (C.E.I., Documento dopo Palermo, n. 4). Oggi molte persone credono che per realizzare la propria vita occorra guadagnare molto denaro, accumulare proprietà, diventare famosi, esercitare il potere... Questo modo di pensare è diffuso a piene mani da una pubblicità sempre più martellante che, a senso unico, ci propone con i metodi più convincenti solo prodotti da acquistare e da consumare. Ma le cose, anche se possedute in grande quantità, non possono saziare la nostra sete di felicità, come non possono dare, da sole, senso alla vita. Per questo, forse mai c o m e oggi la gente si sente

non realizzata, speri¬menta la mancanza di significato dell'esistenza e, talvolta, viene tentata addirittura di rifiutare la vita stessa. Per comprendere il senso della vita umana dobbiamo metterci in ascolto di Colui che, avendola creata, può dirci l'unica parola di verità su di essa: Dio. Attraverso le parole ed i gesti di Gesù, Dio ci rivela che solo attraverso l'amore, inteso come dono di sé, la vita acquista la sua vera dimensione, l'uomo sente realizzate le sue più profonde aspira¬zioni, si sente utile. Gesù esprime questa realtà con una suggestiva immagine: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, ri¬mane solo, se invece muore produce molto frutto. Chi ama la sua vita in questo mondo la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserva per la vita eterna" (Gv. 12,24-25). Occorre quindi recuperare il senso pro¬fondo della nostra vita interpretandola, alla luce delle parole e dell'esempio di Gesù, come amore-dono.

“La gioia proviene dal dare e condividere, non già dall’accumulare e sfruttare”. (E. Fromm, Avere o essere)

Inno alla Carità Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante. Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo per essere arso, e non avessi la carità, non mi gioverebbe a nulla. La carità è paziente, è benigna la carità; la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. (1 Cor. 13,1-8) 44


e due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le due lettere di Benedetto XVI sull’amore -

Amatevi come Io vi ho amato L

ro, il malato, lo straniero, a Chiesa è chiamata a portare agli uomini di il carcerato ogni tempo un annuncio di gioia e di speranza: è infatti far“Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo gli spazio è via, verità e vita”. Un messaggio che non deve nel proprio essere trasmesso solo a parole ma con la testi- tempo, nelmonianza della vita, sull’esempio di Gesù, che la propria dimostrò di essere il volto di Dio che ama l’uomo, casa, nelle che si china sul dolore fisico e sul male morale proprie amiper guarirli. cizie, nella L’amore di Gesù per l’uomo si manifestò innanzi- propria città, nelle proprie leggi. tutto nel riconoscere dignità ad ogni persona che La carità è molto più impegnativa di una beincontrava. Prendere come modello l’amore che neficenza occasionale: la prima coinvolge e Gesù ha testimoniato vuol dire soprattutto imitar- crea un legame, la seconda si accontenta di lo in questo. I Vescovi nel documento “Evangeliz- un gesto”(E.T.d.C., n. 39). zazione e testimonianza della carità” esprimono Queste parole ci riportano direttamente al cuore questa convinzione con parole chiare ed inequi- della carità cristiana che è fondata sull’accoglienvocabili: “La carità evangelica poiché si apre alla za e la condivisione, chiarendo una volta per tutte persona intera e non soltanto ai suoi bisogni coin- che l’elemosina, specie quella fatta “per tenere volge la nostra stessa persona ed esige la conver- tranquilla la coscienza”, se non ci coinvolge con sione del cuore. Può essere facile aiutare qualcuno i problemi degli altri ha poco a che vedere con la senza accoglierlo pienamente. Accogliere il pove- vera carità cristiana.

Saremo giudicati sull’amore L

a Chiesa vive e opera nel mondo, ma sa che il suo destino non si compie quaggiù. Il passaggio dal tempo all’eternità sarà segnato dall’ultimo giudizio nel quale, come descrive l’evangelista Matteo, Gesù giudicherà tutti gli uomini sull’amore (Deus caritas est, n. 15).

“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si sederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e ‘porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: «Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avere dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti

a visitarti?». Rispondendo, il re dirà loro: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Poi dirà a quelli alla sua sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». Anch’essi allora risponderanno: «Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?». Ma egli risponderà: «In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me». E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla Vita eterna”.

(VANGELO DI MATTEO 25,31-46) 45


le due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le

La Carità in PARROCCHIA Q uando si parla di Parrocchia alcuni pensano che si tratti di qualcosa che sta fuori di noi e che non ci riguarda se non in determinate circostanze della nostra vita (battesimi, prime comunioni, matrimoni...). Eppure il Concilio Vaticano II ed i documenti successivi dicono con chiarezza che la Parrocchia è “la Chiesa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie” (Christifideles laici, n. 26). Essere Chiesa vuol dire essere comunità di persone unite dalla stessa fede in Dio, fede che diventa visibile nelle scelte e nei comportamenti che la vita di ogni giorno ci chiama a fare. È innanzitutto nella Comunità Parrocchiale che il Vangelo della carità deve essere vissuto e annunciato perché è lì che il cristiano vive la sua vita di ogni giorno e il suo cammino di fede. La Parrocchia diventa testimone della carità di Dio quando: - ANNUNCIA il Vangelo di Cristo nella sua integrità, consapevole che trasmettere la Parola di Dio è il primo e fondamentale atto di carità verso l’uomo, bisognoso innanzitutto di conoscere la verità sulla vita umana e sul destino dell’uomo. - CELEBRA con gioia la liturgia - in special modo l’Eucaristia domenicale - riconoscendo un intimo legame tra Sacramenti e vita di ca-

rità. Per questo le celebrazioni nelle quali partecipiamo alla vita di Cristo risorto, dovrebbero essere un momento intenso di educazione alla carità. - TESTIMONIA la carità diventando la “casa comune”, caratterizzata dall’accoglienza reciproca, dalla valorizzazione di tutti e, specialmente, delle persone a rischio di emarginazione e di oblio, dall’impegno attivo sui problemi del territorio che creano sofferenze e preoccupazioni nelle famiglie, in particolare in quelle più povere. Riguardo alle povertà, pur non dimenticando quelle tradizionali, occorre acquisire una nuova sensibilità nei confronti delle “povertà post materialistiche” che “se affliggono soprattutto i giovani, toccano in genere i più deboli e indifesi, come gli anziani soli e non autosufficienti, le persone in grave e cronica malattia, le vittime dell’alcool, della droga, dell’Aids, i morenti abbandonati, i malati di mente e disadattati, i bambini in vario modo oggetto di violenza fisica o psicologica da parte degli adulti” (E.T.d.C., n. 47).

“La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende d’intromettersi nella politica degli stati. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione”. (Caritas in veritate, n. 9).

Eucarestia e Carità O

re l’unico pane eucaristico sono premesse per “fare comunione” anche una volta usciti dalla gni domenica i chiesa: nelle strade, nelle case, nei luoghi di cristiani si riuniscono ritrovo e di lavoro: “L’unione con Cristo è allo per celebrare in manie- stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali ra solenne l’Eucaristia. egli si dona (Deus caritas est, n. 14). EucariMa questa non può ri- stia e carità hanno un rapporto strettissimo che manere una celebra- Gesù stesso ha voluto mettere in risalto duranzione fine a se stessa. te la cena del Giovedì Santo, quando istituì il Ascoltare insieme la sacramento dell’Eucaristia. I Vangeli sinottici Parola di Dio e mangia- (Marco, Luca, Matteo) ci riferiscono che Gesù 46


e due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le due lettere di Benedetto XVI sull’amore quella sera prese il pane e, dopo averlo benedetto, lo spezzò e lo diede agli apostoli dicendo: “Questo è il mio corpo”. Lo stesso fece con il vino: “Questo è il mio sangue della nuova alleanza”. Poi aggiunse: “Fate questo in memoria di me”. Il vangelo di Giovanni, invece, racconta un altro episodio avvenuto durante quella cena. Gesù si cinse di un asciugatoio, prese dell’acqua e lavò i piedi agli apostoli. Dopo aver compiuto questo gesto, che voleva significare un atteggiamento di servizio, disse: “Fate anche voi come ho fatto io”. Nell’ultima cena Gesù non solo consegna agli apostoli, e dunque alla Chiesa di ogni tempo, l’ Eucaristia, ma anche il comandamento dell’amore-servizio. E per ambedue raccomanda: “Continuate a fare così come io ho fatto”. Se anche noi vogliamo rimanere fedeli all’insegnamento di Gesù dobbiamo riconoscerlo presente nell’Eucaristia come anche nel nostro prossimo.

La Caritas Parrocchiale

L

a carità non può essere considerata come una delle tante attività della Parrocchia da delegare ad un gruppo ristretto di fedeli, ma deve diventare l’atteggiamento, lo stile di vita di tutta la comunità, che vive come una comunità d’amore e in tal modo si rende riconoscibile e credibile al mondo: «Da questo vi riconosceranno come miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv. 13,15). Per realizzare questo ideale all’interno della Parrocchia è utile un’agile struttura pastorale, la Caritas parrocchiale, che non ha il compito di assistere qualche categoria di poveri, bensì quello di animazione di tutta la comunità alla carità: • portando a conoscenza le situazioni di povertà presenti nel territorio; • suggerendo e promuovendo iniziative di impegno caritativo nelle quali tutta la Parrocchia sia coinvolta; • aprendo spazi alla presenza e alla partecipazione dei poveri nelle attività della vita parrocchiale; • individuando le strade attraverso le quali la carità non si limiti all’elemosina ma esprima l’ansia di giustizia e diventi impegno sociale; • aiutando quanti si impegnano nel volontariato o lavorano nei servizi sociali (sanità, assistenza...) a realizzare il loro servizio con vero spirito cristiano. La Caritas Parrocchiale deve quindi tendere a che tutta la comunità acquisisca una sensibilità nuova e una partecipazione diffusa al servizio.

“Auspichiamo che le Caritas diocesane incoraggino e sostengano le varie e benemerite espressioni del servizio caritativo e ne curino il coordinamento. Evidenzino inoltre la loro “prevalente funzione pedagogica” promuovendo ed attivando la Caritas parrocchiale in ogni comunità”. (E.T.d.C., n. 48)

47


le due lettere di Benedetto XVI sull’amore - le due lettere di Benedetto XVI sull’amore -

L

Carità, giustizia e impegno socio-politico

a fede non distoglie il cristiano dai suoi doveri sociali, anzi è proprio dal Vangelo che vengono nuove motivazioni e nuove energie per un impegno più consapevole nella storia. Infatti, se Dio tra gli uomini ha prescelto e preso le parti dei più deboli, degli indifesi, degli emarginati, dei poveri, degli oppressi, dei malati, dei peccatori, il cristiano deve agire di conseguenza. Il primo dovere che nasce dalla sequela di Cristo è quello di impegnarsi per la giustizia nel mondo e per la liberazione dell’uomo da tutto ciò che ne limita la dignità e ne viola i diritti fondamentali. Come ammonisce il Concilio “siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia” e “non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia” (Aa. n. 8). Ma la giustizia da sola non basta. A volte potrebbe degenerare nel burocratismo, nell’anonimato, nel legalismo. Per diventare giustizia autentica deve essere alimentata e vivificata dalla carità che immette “un’ impronta di gratuità e di rapporto interpersonale nelle varie relazioni tu“La caritelate dal diritto” tà” - scrive (E.T.d.C, n. 38). Benedetto Inoltre la carità sa XVI° - ecceindividuare e dare de la giustirisposta ai bisogni zia, perché sempre nuovi che amare è la rapida evoluziodonare, offrire del “mio” ne della società fa all’altro; ma non è mai senemergere. za giustizia, la quale induÈ compito sopratce a dare all’altro ciò che tutto dei fedeli è “suo”, ciò che gli spetta laici realizzare in ragione del suo essere e nella società una del suo sperare”. maggiore giusti(Carìtas in veritate, n. 6) zia animata dalla

carità in modo che sia la comunità cristiana, nel suo insieme, a testimoniare l’amore e la giustizia. Di qui l’impegno socio-politico che opera prima di tutto nelle strutture che devono essere trasformate per garantire una sempre maggiore giustizia e per promuovere l’autentico bene della persona e della società. Bisogna tenere in grande considerazione il bene comune... è il bene di quei “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale” (Civ n. 7). La ricerca e il perseguimento del bene comune è chiamato da Benedetto XVI come “esigenza di giustizia e di carità” a cui è chiamato ogni cristiano nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità di incidenza nella società. Naturalmente le scelte dei cattolici in ambito sociale e politico non possono non essere coerenti con la visione cristiana dell’uomo e con la dottrina sociale della Chiesa, specie per quanto riguarda quei valori fondamentali quali la persona, il rispetto della vita umana, la famiglia, la libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. Infine, coloro che sono chiamati ad esercitare una pubblica autorità lo devono fare non come si trattasse di gestione di potere o privilegio, ma con spirito di servizio autentico al bene comune.

Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’ edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano. È necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita “nei quali ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti”. Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazioni nelle relazioni sociali. (Caritas in veritate, n. 51) 48


Lo zoccolo in fiore RACCONTO DI PASQUA A CURA DI AVELINO BUSI Era là, davanti al Sepolcro. Era là con dentro il grano delicato e bianco. Era là lo zoccolo, davanti all’altare della piccola chiesetta di montagna. Il ragazzo era incantato, gli pareva di sognare ma era proprio il suo. Era partilo di buon’ora con i suoi compagni, trascinando le catene dei caminetti per viottoli e sentieri e passando davanti alla Chiesa aveva approffittato di un attimo di sosta per entrare furtivamente a pregare Gesù deposto nel Sepolcro, fuori i ragazzi lo chiamavano: Giovanni, noi andiamo. Così è finito davanti a Gesù, sopra un tappeto ricamato, in mezzo ai vasi di fiori, in mezzo alle primule, alle viole e ai rami di pesco in fiore. La Chiesa odorava di cera e d’incenso, c’era un silenzio misterioso, rotto soltanto dal rumore di qualche tarlo che abitava nei banchi vecchi e scoloriti dal tempo. Al ragazzo basta un’attimo per correre col pensiero a ritroso nel tempo, si ricorda benissimo sette mesi prima, quando la sera del nove agosto suo padre disse a lui e alle sorelle Marta e Maria: domani vi porto alla fiera di S. Lorenzo.Chi ha dormito quella notte? Giovanni no di certo e nemmeno le sorelle. E così la mattina dopo, prima dello spuntar del sole, giù di corsa verso il piano, passando per viottoli e scorciatoie con il padre davanti che faceva passi da sette leghe. Che meraviglia la fiera, quante bancarelle, con zucchero filato, caramelle, frutta candita, mandorlato e altre leccornie che facevano venire l’acquolina in bocca ai ragazzi che si fermavano ad ammirare tutto questo ben di Dio. Giovanni pensava: forse mio padre mi comprerà lo zufolo, da tanto tempo lo desiderava; e alle mie sorelle un bambola ciascuna. Ma non fu così. Dopo aver acquistato una grossa anguria, comperò due cappellini di paglia per Marta e Maria e un paio di zoccoli per lui. Giovanni apprezzò talmente quel regalo da indossarli subito all’istante. Verso le undici riprendono la strada del ritorno, nuvole nere e minacciose si accavallano in fondo alla pianura spinte da un forte vento, il tuono si sente a breve distanza. Suo padre davanti, quasi di corsa e loro dietro ansanti, e dopo circa venti minuti di cammino tra scorciatoie e capitanie vengono sommersi da un forte acquazzone. Ansanti arrivano a ripararsi sotto il portico di un cascinale situato a circa mezz’ora di strada da casa. Ed è lì che Giovanni si accorge di aver perduto uno zoccolo, nella corsa si era sfilato dal piede ed era rotolato giù per il canalone, che gonfiato dalla pioggia torrenziale l’aveva trascinato a valle. Ed ora dopo tanto tempo eccolo lì ancora lucido. Veronica è appena entrata silenziosamente in chiesa, vede il ragazzo e in un attimo capisce tutto, si avvicina, gli accarezza la bionda testa sudata e sorride. Era lei che lo aveva trovato impigliato nei cespugli che costeggiano la valle, era lei che all’inizio della quaresima vi aveva seminato il grano, era lei che lo aveva deposto davanti al sepolcro di Gesù. Se vuoi: disse Veronica quasi sussurrando, se vuoi leviamo il grano e te lo puoi riprendere. Giovanni si guardò i piedi nudi e rispose: ormai è arrivata la Primavera, posso farne benissimo a meno, lui sta bene lì, dove l’hai messo tu, farà compagnia a Gesù. Uscì di chiesa sorridente e contento!

Rilanciamo l’Azione Cattolica

Il gruppo “storico” dell’Azione Cattolica Adulti di Botticino Mattina si è ritrovato nei giorni scorsi per pensare al proprio futuro anche in vista del rinnovo dei consiglio e delle cariche annesse: da questo incontro è uscita una proposta: perchè non estendere la realtà associativa a tutta l’unità pastorale? Inoltre in quest’anno pastorale ha mosso i primi timidi passi l’Azione Cattolica Ragazzi che ha coinvolto un gruppo di bambini del 2° anno dell’Iniziazione Cristiana con l’intezione di proseguire su questa strada anche il prossimo anno... Per questi due motivi si prevede un’azione di rilancio dell’Azione Cattolica: all’inizio del prossimo anno pastorale si intende programmare una serie di incontri formativi per far conoscere meglio questa realtà associativa e poter così avviare un nuovo cammino a livello dell’intera unità pastorale; in questa estate dei giovani saranno invitati a partecipare ai campi formativi diocesani così da favorire la prosecuzione del cammino per i bambini. Tutto questo ci pare una scommessa che vale la pena fare e per la quale invitiamo tutti a crederci e partecipare. 49


LA GIORNATA DELLE CARITAS PARROCCHIALI Il mandato: riscoprirsi comunità nella quotidiana prossimità In quest’anno pastorale, la Caritas Diocesana invita ogni parrocchia a celebrare una “Giornata delle Caritas parrocchiali”, come occasione per richiamare all’attenzione della comunità il mandato della Caritas. Nel solco della continuità con il messaggio dello scorso anno, “Tessere la carità in parrocchia”, la proposta 2010/2011 recita: “per riscoprirsi comunità nella quotidiana prossimità, so-stare”. Un so-stare avvalorato dalle parole del Vescovo Luciano,e del diacono Giorgio - responsabile diocesano della caritas - nei messaggi inviato ai sacerdoti e agli uomini e donne della carità. Cari confratelli, Cari uomini e donne della carità, dopo la lettera sulla Parola di Dio e sulla Eucaristia, veniva naturale completare il ciclo attraverso una riflessione sulla comunità cristiana. Perché insieme le tre Lettere Pastorali vorrebbero richiamare quelli che sono gli elementi essenziali della vita pastorale: la vita pastorale tende a edificare una comunità cristiana che sia testimone nel mondo dell’amore di Dio e questa edificazione dipende dall’eucaristia che viene celebrata insieme e dalla Parola di Dio che ci illumina, ci orienta, ci mette in comunicazione personale con Dio. In questa prospettiva, la Giornata delle Caritas parrocchiali mi offre l’occasione di sottolineare l’importanza che le nostre comunità abbiano come regola fondamentale quella dell’amore reciproco, vivificato attraverso “atti di amore” quotidiani. Durante l’ultima cena Gesù si alza da tavola, si cinge un asciugatoio attorno alla vita, versa acqua in un catino e passa a lavare i piedi ai suoi discepoli, l’uno dopo l’altro. Gesù si è fatto servo dei discepoli, li ha voluti amare in modo concreto, attraverso un servizio che è un servizio da servi. Ma non importa: è un “atto d’amore”. E’ fare qualcosa perché i discepoli vivano, perché l’uomo possa vivere, perché l’uomo si senta amato, accolto, perdonato. A noi, Gesù non dice solo: amatevi come io ho amato, ma anche amatevi siccome io vi ho amato. L’amore di Gesù non è solo un modello da riprodurre ma un dono da ricevere e trasmettere; nell’amore fraterno sarà operante l’amore di Gesù stesso. Moltiplichiamo dunque nelle nostre comunità gli “atti di amore”: quel Tutti siano una cosa sola si farà allora esperienza quotidiana. Con le parole “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.” (Mt 5,14-16), invoco su tutti Voi, la benedizione di Dio Padre. + Luciano Monari

NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO

GIORNATA CARITAS PARROCCHIALE DOMENICA 5 GIUGNO

50


CARITAS PER RISCOPRIRSI COMUNITÀ NELLA QUOTIDIANA PROSSIMITÀ Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sotto il monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. Mt 5,14-16

Alle donne e agli uomini della carità

Carissimi, nel convegno diocesano delle Caritas parrocchiali “Nella carità…RISCOPRISI COMUNITA’” (17 aprile 2010), il nostro Vescovo, a partire dalla meditazione dei due sommari degli Atti degli Apostoli (At 2, 42-47; At 4, 32-35), ci ha indicato quelle “tracce” capaci di favorire presenze di comunione e relazioni di prossimità: “dobbiamo fare in modo che la comunione che abbiamo tra di noi, che c’è perché la fa il Signore, si esprima in gesti. In concreto, torna fuori il concetto della rete, della conoscenza reciproca: noi non riusciamo a fare questo discorso di comunione piena con gli sconosciuti; non è una specie di regola del diritto, è una esperienza che può nascere quando abbiamo una serie di legami concreti con delle persone, che ci guardano in faccia, che noi guardiamo in faccia”. In questa prospettiva la proposta dell’Avvento di carità ci ha invitato a porci come “volti rivolti” verso gli ultimi, riscoprendoli come briciole lucenti, forza della comunione. E’ in questo tempo propizio per “diventare una cosa sola” che il mandato per le Caritas parrocchiali trova rinnovato vigore attraverso quel “so-stare” nella prossimità quotidiana. Un “so-stare” che richiama l’immagine delle costellazioni: le stelle, unite da vincolo di reciprocità, sembrano simboleggiare una rete di fraternità compiuta. Come nel cielo stellato ciascuna stella, anche quella apparentemente più piccola, trova significato nell’insieme e nel suo convergere verso la stella polare, così le nostre comunità sono chiamate a rinnovare l’essere e l’operare della carità attraverso gesti di quotidiana prossimità, vivificate dalla Parola e dall’Eucarestia. Mi unisco a voi nella preghiera perché le nostre comunità siano sempre più una “costellazione d’amore”, perché “Tutti siano una cosa sola”. diacono Giorgio Cotelli

Servizio alle famiglie per ricerca colf, badanti e baby-sitter

L'associazione Centro Migranti mette a disposizione uno spazio dedicato all'incontro tra le esigenze di assistenza e sostegno ai bisogni delle famiglie e la disponibilità di persone straniere al soddisfacimento di tali bisogni. Il servizio è gestito da tre operatrìci che hanno il compito di raccogliere i nominativi e le caratteristiche di persone idonee. Tutti i mercoledì pomeriggio dalle 14,30 alle 17,30 Contatti : 030/42467030/41356 - centromigranti@diocesi.brescia.it ASSOCIAZIONE CENTRO MIGRANTI Onlus, via delle antiche mura 3 - Brescia 51


Isidoro,prete a ‘60 anni’

CARTELLINI ROSSI e… PATERNITA’ Una d’Etiopia, tra le tante che traggo dal mio bagaglio…

Partita di campionato in uno stadio. Sono allenatore. Non mi ricordo bene, ma è probabile che stiamo perdendo. Un giocatore della nostra squadra, rapido per talento naturale ma nervosetto, ti fa un’entrata di quelle che non sono ammesse da nessuna parte nel calcio. L’arbitro, stranamente perché in genere quegli arbitri fanno penare le squadre delle missioni, non sanziona il fallo. Intervengo io e chiamo fuori il giocatore. Un “cartellino rosso” invisibile così non è politically correct.. Non ne sono cosciente neanch’io, ma la cosa funziona. E il nostro giocatore se ne esce, mogio e salutarmente mortificato. Magari pensa che non posso farlo. Però esce. Le autorità ‘Fifa’ mi dicono qualcosa nel dopo-partita, ma ormai hanno perso l’attimo.

Una d’Italia, tra le poche che prendo dalla scarsa borsa di questi mesi… Calcio a 7 tra bambini. Il gioco viene sospeso. L’allenatore entra in campo ad allacciare le stringhe della scarpa a un ‘suo’ giocatore-bambino. Visto più volte,in partite diverse; e allora è un vizio, penso. L’arbitro naturalmente benedice. Adesso, se avete bisogno di un minuto di pausa nella lettura di questi scarabocchi, concedetevelo. Forse ci sta. A me, da salesiano di don Bosco, e quindi forse per deformazione professionale, una cosa del genere “scarpa-slacciata-del-bambino-e-allenatore-inginocchiatoai -suoi-piedi” riesce indigesta. Nello sport, poi! I nostri avi buttavano in acqua e abbandonavano chi doveva imparare a nuotare. Da qualche parte usa ancora mettere i bambini sul balcone a sentire un pochino di freddo perché vi si abituino. Morale? I cartellini rossi quando ci vogliono bisogna estrarli. E magari bisogna contemplarli anche per gli allenatori-animatori dei nostri oratori che stanno a bisticciare indecorosamente con certe stringhe. Ma da dove viene ‘sta storia? Dall’humus culturale (o sub-culturale?!) occidentale?

Allora me ne torno, e invito anche voi a farlo, ad altre riflessioni d’Africa.

Lasciamo però perdere i pre-giudizi e i complessi di superiorità di cui soffriamo più o meno colpevolmente nei suoi confronti altrimenti il canale reciproco di dialogo si chiude subito qui. Spesso, laggiù, gli anziani hanno ancora peso. “Meno male!”, mi dico. Innanzitutto perché così si possono considerare ancora prioritari rapporti veramente umani, non troppo asettici o cloroformizzati e democraticamente corretti. Dire “gli anziani contano” significa che culturalmente <il padre> funziona ancora, cioè <fa il padre>. Grandi questioni di riconciliazione passano attraverso gli anziani, rispettati e importanti. Da noi in occidente, invece, sembra che la figu-

ra del padre non debba più funzionare. Ognuno fa i cavoli suoi. La bacchettata non ci sta. E’ antidemocratica, va contro l’autonomia del soggetto, la libertà individuale deve regnare sovrana. Nessuno più deve predicare. La Chiesa men che meno. Non c’entrano i suoi duemila anni di storia. Le regole ognuno se le fa. E’ un diritto. A parte, poi, che di regole ci subissiamo perché ci vogliono paletti ad ogni passo per garantire i diritti che facciamo spuntare come funghi in ogni settore della vita sociale umana e… animale (!). Persino alla TV si deve applaudire a bacchetta, che tu condivida o meno. E’ il momento! E’ lì che ti realizzi. Torniamo agli anziani, anzi, entriamo in famiglia, quella antropologicamente ben definita, ben fondata e sana. In Africa come in Italia. E’ più facile capirci se parliamo di famiglia. In essa i rapporti non sono mai perfettamente simmetrici, di parità e democrazia. Il padre è padre. Il figlio è generato e dipende originariamente da padre e madre. Il figlio senza di loro non esisterebbe neanche. Qualcuno lavora e guadagna; altri possono così studiare. Mamma e papà dirigono. Niente da dire. Trasmettono fede e valori e garantiscono una crescita disciplinata. L’amore è proprio una cosa seria, non post-modernamente ‘liquida’. E’ bello che il rapporto in famiglia si basi istintivamente sulla fiducia. Il bambino crede, si affida. Dopo il rimprovero torna a cercare l’affetto o un’espressione visibile che lo rassicuri del perdono e dell’amore che comunque percepisce non essere mai venuto meno. E i più grandicelli accettano, vedendo con naturalezza il rapporto vero dove sta e che alla fonte c’è vero affetto, non interesse. Ecco, la famiglia si modella sulla Trinità. Pensiamola bene allora la Trinità. Nelle chiacchiere, che vi ho unilateralmente offerto per farmi conoscere negli articoli precedenti, parlavo di sorrisi come mezzo e segno della tranquillità interiore, della gioia anche, nel sentire gli interventi di Dio nella nostra storia. Vi invitavo a scoprire questi buoni interventi. Dio è Padre e noi ci dovremmo rapportare con Lui come figli. Gli dovremmo concedere quella fiducia che non è altro che il nome giusto della nostra fede. Il suo agire spesso non lo capiremo, ma la fede-fiducia entra in azione proprio qui, perché sappiamo per esperienza, o è ora che ce ne convinciamo, che il suo è comunque un agire da padre-madre che vede un po’ più in là, e ci ha da sempre sognati e modellati per un destino di felicità

52


e comunione con Torniamo due passi indietro, per ragionare pasqualLui. Senza di Lui mente fino in fondo: al Getsemani, quando il Figlio è non ci saremmo angosciato per la prospettiva che gli si affaccia, chiede neppure. al Padre se per caso non ci sia un altro modo di conclu E allora dere la propria storia. Il Padre sta zitto. <Sta zitto>. Il perché la soffe- Figlio capisce, si fida e obbedisce. Obbedendo è Figlio. renza? La sua obbedienza è ben più che una virtù. E’ la sua Ci erava- identità stessa di Figlio. Anche sulla croce si sente come mo fermati pro- abbandonato dal Padre, ma come ultimo atto Gli conseprio qui: “Ma, gna lo Spirito, cioè tutto se stesso. Fiducia totale, anche Isidoro, è proprio senza capire. La nostra fede funziona così. Ci fidiamo. tutto bello?” Anche nel mistero. Ma ragionevolmente, perché abbia Gli esem- mo conosciuto, abbiamo sperimentato, sappiamo che è pi ‘sportivi’ di Padre. Siamo della famiglia, noi. Buona Pasqua! cui sopra e quello Isidoro – sdb. - da Torino degli anziani in Etiopia entrerebbero nella linea di comprensione anche della Pasqua, l’evento massimo che ci rivela il Padre, il Il 30 di aprile a ISIDORO suo modo di amare. viene conferito il ministero La nostra natura è stata ferita. Siamo entrati in un intreccio di solidarietà col male, purtroppo. Ma è come dell’ACCOLITATO eravamo stati pensati quello che conta. E’ questo che viene prima. Eravamo stati sognati in Gesù, nostro prototiUltima tappa nel persorso istituzionapo. Dovremmo diventare come Lui, Gesù, veri figli. le verso il diaconato e il presbiterato è Nel disegno grande del Padre era stato previsto il caso (poi accaduto, purtroppo) che noi rifiutassimo la sua l’Accolitato. Il termine «accolito» deproposta. Ne sono venute le tragiche perdite di armonia riva da un verbo greco che significa e di pace tra marito e moglie (Adamo-Eva), tra fratel- «seguire» o anche «servire». L’accolito quindi è il ministero li (Caino-Abele), tra uomo e cosmo, dell’uomo con se affidato a coloro che, nella Chiesa, sono chiamati a seguistesso ecc. re i pastori, cioè a collaborare strettamente con loro nella A questo rifiuto è dovuto subentrare un aggiustamen- specifica missione ad essi affidata e a offrire ai fratelli to nella dimostrazione del suo amore per noi. Il patatrac, il male del mondo, le tragedie enormi e un servizio ispirato ad una sincera carità, soprattutto nel le sofferenze individuali fino alle torture degli inno- momento in cui questa carità si manifesta e si celebra, cioè centi (frutti della malvagità dell’uomo che sono sotto durante la celebrazione eucaristica. gli occhi di tutti) hanno scatenato in Lui, innamorato Nella Chiesa cattolica il ministero dell’accolitato viene condi noi, una strategia di riscatto: sono disponibile a dare ferito in modo ufficiale e permanente dal vescovo; tuttavia la vita, a donare mio Figlio, perché il sospetto dell’uo- quasi tutte le funzioni dell’accolito vengono di solito svolte mo su di noi, Padre Figlio Spirito S., venga meno. Le dai ministranti. parabole del vangelo ci raccontano questa sua strate- L’accolito è un laico a tutti gli effetti chiamato ad essere il gia. Del riscatto Gesù se ne è assunto l’onere. La croce promotore della vita liturgica di è lì a dircelo. Dio ci ama fino a subire una comunità e a un più vasto e una morte violenta. Adesso tocca anche dal rito di istituzione degli accoliti: profondo esercizio della carità a noi la parte di coloro che vedono il verso i poveri, i sofferenti, i maPadre clementissimo, significato della Croce, ne raccolgono il che per mezzo lati, gli emarginati. messaggio e si decidono liberamente a del tuo unico Figlio, L’esortazione che il vescovo rirealizzare la primitiva somiglianza che hai messo l’Eucaristia volge agli accoliti, mentre conci era stata destinata. Quella somigliannelle mani della Chiesa, ferisce loro il ministero, definisce za si recupera nella croce, che è dare la benedici questi tuoi figli vita per, voler bene fino a, fidarsi a col’identità propria: «L’esercizio di sto di… Quando risorgeremo le ferite ci eletti al ministero di accoliti. questo ministero vi stimoli ad atFa’ che, assidui rimarranno trofeo di gloria, come anche tingere dal sacrificio del Signonel servizio dell’altare, Gesù ci mostra le sue dopo la Resurrere una vita spirituale sempre più zione. Sono quelle la sua vera gloria. E’ distribuiscano fedelmente intensa, e a conformarvi semproprio dal legno a cui è stato inchiodail Pane della Vita pre più perfettamente a questo to che regna. La croce è ormai il nostro ai loro fratelli stesso sacrificio; procurate anmarchio di fabbrica. Il nostro rifiuto, il e crescano continuamente che di penetrare il senso intimo male è una cosa troppo seria perché la nella fede e profondo delle mansioni a soluzione si trovi in acqua e sapone. Il e nella carità voi affidate, in modo da offrimale e la sofferenza non verranno meno per l’edificazione re ogni giorno voi stessi a Dio in nella loro misteriosità, ma almeno nella del tuo Regno. Croce acquistano un senso. In mezzo al sacrificio spirituale a lui gradito, mondo anche questo è il nostro compito. per Cristo Gesù. Questi vostri Quello che Gesù si è assunto non lo pretende da noi, ma compiti vi ricordino che dovete formare con i fratelli un solo collaborazione sì. corpo, come partecipare con essi all’unico pane dell’Eucari Anche nella linea dei cartellini rossi. Alla paternità stia. Amate di sincero amore il popolo di Dio che è il Corpo vera non si rinuncia. Apocalisse 3,19-20: “Io tutti quel- mistico di Cristo, amate specialmente i deboli e gli infermi: li che amo li rimprovero e li castigo (…). Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, attuerete così il comando dato dal Signore agli apostoli cenerò con lui ed egli con me”. Chi è che non ci sta a nell’ultima cena: amatevi l’un l’altro, come io ho amato voi». questa cena? 53


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni Famiglia:

Progetto genitori

palestra di umanità

Percorso di formazione permanente a cicli per genitori - anno 2011/2012

BIENNIO DI BASE: CONOSCERSI PER EDUCARE

quattro cicli di sei incontri ciascuno 1° ciclo: primavera 2011 CONOSCERSI PER EDUCARE 2° ciclo: autunno 2011 VITA DI COPPIA 3° ciclo: primavera 2012 RELAZIONI FAMILIARI 4° ciclo: autunno 2012 CRESCERE CON I FIGLI

BIENNIO DI APPROFONDIMENTO EDUCARE IN FAMIGLIA

quattro cicli di quattro incontri ciascuno LE STAGIONI DI VITA DELLA COPPIA 1° ciclo: primavera 2011 LE GIOVANI COPPIE SENZA FIGLI 2° ciclo: autunno 2011 I GENITORI DI BIMBI DA 0 A 6 ANNI 3° ciclo: primavera 2012 I GENITORI DI RAGAZZI DA 6 A 11 ANNI 4° ciclo: autunno 2012 I GENITORI DI PREADOLESCENTI E ADOLESCENTI Dal mese di marzo 2011 è a disposizione dei genitori, singoli o in coppia, e degli insegnanti uno sportello, gestito da una psicopedagogista, per colloqui di

CONSULENZA EDUCATIVA. Per informazioni: telefonare al cell 3883686585 o scrivere alla e-mail: puntofam@infinito.it 54

La felice espressione di Papa Paolo VI “Famiglia: palestra di umanità” dice bene il compito proprio e originale del mondo familiare nell’educazione e nella socializzazione primaria, quella cioè basilare, che riguarda soprattutto i figli. L’immagine della palestra, però, lascia intendere anche una dimensione di impegno e un lavoro continuo di mantenimento, fatti di scelte mirate e di fatiche finalizzate a scopi precisi. Si tratta, insomma, di un cammino graduale lungo tutto l’esistenza e alimentato dalle virtù sociali, intese come azioni e stili buoni del vivere comune: imparo in casa come si vive in società, secondo un allenamento costante, in un ambiente protetto ed educativo. La sorgente teologica e gli strumenti primi di testimonianza sono rappresentati dai genitori, dal loro legame sponsale e dalla loro intesa nell’indirizzare la crescita dei figli. Soprattutto il matrimonio sacramento si pone come forza divina nelle dinamiche umane di amore, di cura e di comunione, di vita e di fedeltà. La presenza di Cristo è roccia su cui costruire e strada in cui camminare, verso la meta della felicità e della beatitudine eterna. Però, oltre che un bene per gli sposi e per il resto del familiare, il sacramento si pone come evangelico contagio sia per la Chiesa che per il mondo intero. E’ il compito ricevuto dagli sposi nel giorno delle nozze, un servizio da vivere nella comunione con tutti gli altri doni che vivificano il vasto corpo ecclesiale, quello cioè di far crescere il Regno di Dio. La famiglia si pone come ambiente vitale a metà tra la singola persona e la società intera; in essa, soprattutto nei primissimi anni di vita, si acquistano quelle dimensioni di fondo che orienteranno poi per tutta l’esitenza e in tutte le situazioni. Tra le virtù domestiche, alcune vengono sollecitate dai vescovi italiani anche nei nuovi Orientamenti pastorali per il prossimo decennio (2010-2020) e corrispondono alla capacità di instaurare legami stabili, alla gratuità, al riconoscimento autentico dell’altro e all’ascolto. Uno dei problemi drammaticamente emergenti nel nostro tempo è proprio l’incapacità di costruire o mantenere dei lega-


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia mi stabili, seri e affidabili. Lo stillicidio di molti fallimenti (familiari, amicali, ecc.) di certo non facilita la crescita di consapevolezza e non rafforza la decisione nei giovani. Addirittura, apparentemente di segno opposto, si assiste alla fatica di chiudere definitivamente delle relazioni importanti, trascinandole in un estenuante “tira e molla”, che tiene le esistenze bloccate, sospese. La quotidianità del familiare, fatta di tanti frammenti ma di un unico quadro, deve rinvigorire le virtù della fiducia e dell’affidabilità, della responsabilità e della decisione definitiva, attraverso parole franche e scelte coerenti. La virtù del vivere nella dimensione della gratuità è quella che sostiene la famosa regola del dono e che sola sa promuovere persone, relazioni, veramente libere, liberanti. L’idea di poter ridurre tutto l’esistente, soprattutto l’essere uma-

INSIEME PER LA FAMIGLIA Verificare e progettare S. Nicolò di Val Furva 2-5 giugno 2011 2 giugno

(inizio col pranzo alle ore 13)

Incontriamoci

Relazione fondativa sulla sponsalità (Padre Angelo Epis)

no, al puro utile e al semplice quantificabile in termini di costi – benefici, ha impoverito grandemente il nostro vivere, le nostre relazioni e i vari mondi vitali. Invece, il percepirsi e riconoscersi provenienti dalla gratuità divina, ci pone nel giusto atteggiamento di ringraziamento e di libertà, di equilibrio nella gestione dei beni e di speranza verso il futuro. La persona umana non è una merce e il suo valore non è mai negoziabile; per questo, la dignità di ciascuno è prima di ogni cosa e la vita non può essere soggetta alla discrezione della volontà di nessuno. Con questi presupposti si comprende appieno che cosa voglia dire il riconoscere l’altra persona per quello che realmente è, nella sua ricchezza e povertà, nella diversità e nella somiglianza. La categoria evangelica del prossimo è l’unica che ci può far uscire dall’infernale tunnel E’ giunto il tempo di fare insieme un bilancio dell’esistente per rilanciare la speranza della buona notizia che è il matrimonio sacramento, del valore sociale della famiglia e suscitare maggiori sinergie all’interno della comunione ecclesiale. Alla luce della ricchezza di risorse per la famiglia in Diocesi vogliamo raccoglierel’invito dei Vescovi che chiedono “di procedere alla verifica degli itinerari formativi esistenti e al consolidamento delle buone praticheeducative in atto”. (Educare alla vita buona del Vangelo n.6). Destinatari: - tutti gli sposi che si vogliono interrogare sulla loro missionarietà;- tutti coloro che a vario titolo servono in diocesi la pastorale familiare;

Sede: Villaggio per famiglie “Ain Karim” a S. Nicolò di ValCondivisione sui cardini della pastorale familiare, furva (5 Km da Bormio direzione S. Caterina – SO) via sull’esistente in diocesi con il materiale illustrativo Sascin 35 23030 Valfurva (SO). Tel. 0342/945791. Il Villaggio propone per le famiglie con figli, una sedelle proposte ed esperienze di appartenenza rie di mini appartamenti per la notte (due camere più portato dai partecipanti. bagno con ingresso indipendente). Per i luoghi comuni 3 giugno (sala giochi, chiesa, sala conferenze, mensa, campo da calcetto) sono adisposizione ampi spazi, sia interni che Per conoscerci esterni. Identità e servizio Il nostro servizio nella/per la comunità Costo dell’intero soggiorno: dal pranzo del 2 giugno al pranzo del 5 giugno (comecclesiale e civile. preso il servizio di lenzuola e salviette): per adulto euro 4 giugno 110. Figli dai 3 anni compiuti ai 16 anni euro 65. Dal terzo figlio in poi si può lasciare un’offerta. Per progettare Disponibilità di camere anche singole e doppie. Il paVerso un progetto: gamento si effettua direttamente al responsabile ammimatrimonio, famiglia, comunità cristiana. nistrativo del Villaggio. è possibile partecipare anche a Come pensare e agire in comunione per il futuro? singole giornate. è prevista l’accoglienza e l’animazione dei figli, previa segnalazione del numero ed età. 5 giugno (fine col pranzo alle ore 13)

Iscrizioni: entro il 6 maggio presso l’Ufficio famiglia dioceConsegna dei propositi e ringraziamento a Dio. sano dal martedì al venerdì dalle 8,30 alle 12,30 allo 030/3722232. Mattinata di spiritualità.

Per affidarci al Signore

55


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Profili di santità coniugale

Elisabetta Canori Mora Elisabetta Canori Mora nasce a Roma il 21 novembre 1774 da Tommaso e Teresa Primoli. La sua è una famiglia benestante, profondamente cristiana e attenta all’educazione dei figli. Il padre è un importante proprietario terriero che amministra senza avidità. Nel giro di pochi anni, i cattivi raccolti, la moria di bestiame e l’insolvenza dei creditori, cambia la situazione economica e Tommaso Canori si trova costretto a ricorrere all’aiuto di un fratello che abita a Spoleto che si fa carico delle nipoti Elisabetta e Benedetta. Lo zio decide di affidare le nipoti alle Suore Agostiniane del monastero di S. Rita da Cascia, qui Elisabetta si distingue per intelligenza, profonda vita interiore e spirito di penitenza. Rientrata a Roma, conduce per alcuni anni vita brillante e mondana, facendosi notare per raffinatezza di tratto e bellezza. Elisabetta giudicherà questo periodo della sua vita un “tradimento”, anche se la sua coerenza morale non viene meno e la sua sensibilità religiosa è in qualche modo salvaguardata. Il 10 gennaio 1796 nella chiesa di Santa Maria in Campo Corleo, si sposa con Cristoforo Mora, ottimo giovane, colto, educato, religioso, ben avviato nella carriera di avvocato. Il matrimonio è una scelta maturata attentamente ma, dopo alcuni mesi, la fragilità psicologica del marito compromette tutto. Allettato da una donna di modeste condizioni, tradisce Elisabetta e si estranea dalla famiglia, riducendola sul lastrico. Elisabetta nonostante le violenze fisiche e psicologiche resta fedele alla sua vocazione matrimoniale e rifiuta di separarsi dal marito. Continua a sperare e pregare per la sua conversione. La nascita delle figlie Marianna nel 1799 e Maria Lucina nel 1801 non migliora le cose. Costretta a guadagnarsi da vivere col lavoro delle proprie mani, segue con la massima attenzione le figlie e la cura quotidiana della casa, dedicando nello stesso tempo molto spazio alla preghiera, al servizio dei poveri e all’assistenza degli ammalati. La sua casa diventa punto di riferimento per molte persone che a lei si rivolgono per necessità materiali e spirituali. Svolge un’azione particolarmente attenta alle famiglie in difficoltà. Conosce ed approfondisce la spiritualità dei Trinitari e ne abbraccia l’ordine secolare, rispondendo con dedizione alla vocazione familiare e di consacrazione secolare. La fama della sua “santità”, l’eco delle sue esperienze mistiche e dei suoi “poteri taumaturgici” hanno grande risonanza particolarmente a Roma e nelle sue vicinanze. Niente, però, incide sul suo stile di vita povero, improntato ad una grande umiltà e ad un generoso spirito di servizio ai poveri e ai lontani da Dio. Dona se stessa per la conversione del marito, per il Papa, la Chiesa e la sua città di Roma, dove muore il 5 febbraio 1825. Subito dopo la sua morte, il marito si converte, entra nell’Ordine secolare dei Trinitari e diviene, poi, frate Minore Conventuale e sacerdote, come gli aveva predetto la consorte. Elisabetta Canori Mora viene beatificata il 24 aprile 1994, Anno Internazionale della Famiglia.

del confronto – scontro amico e nemico. La sua forza è l’amore di Cristo, che ci insegna ad incontrarlo nel fratello più piccolo e debole, come degni figli del Padre misericordioso. I tempi e gli eventi che ci stanno coinvolgendo hanno bisogno di apprendere nel lessico familiare la virtù del riconoscimento e dell’accoglienza, del non percepirsi come degli assoluti, ma tutti relativi a Dio. L’amore casalingo si sostanzia, poi, di dialogo, di cura e di vicinanza; quando vengono a mancare, si chiudono le strade del bene e il futuro appare nero, senza speranza. Ascoltare, poi, è prima di tutto fare spazio, come esercizio di umiltà e di amore, di rispetto e di interesse. Proviamo nelle nostre famiglie e nelle relazioni più prossime a ritornare a questa grande virtù, forse un po’ trascurata e messa da parte da tanto rumore, da innumerevoli faccende (cfr. Lc 10,38-42).

Famiglia:

crocevia della storia Stiamo celebrando da tempo i 150 anni dell’unità d’Italia, ricordando giustamente persone, date e avvenimenti. Non ci deve sfuggire, però, che l’Italia e gli italiani rischiano di essere concetti astratti e pensieri idealizzati, se non riconosciamo il tessuto portante di un popolo e della sua patria: le famiglie e le loro storie particolari. Dietro statisti, militari, pensatori, imprenditori e artisti, ad esempio, c’è sempre una moglie o un marito, una famiglia insomma da cui si sorge e che costantemente è impegnata a supportare. Il sogno di unità del popolo italiano non può non aver trovato nella comunione domestica una straordinaria ispirazione e una tenace speranza di buona riuscita. Alla fine, la cellula fondamentale della società è il motore e la compagna affidabile di ogni cambiamento epocale, anche se raramente assurge agli onori delle cronache tra i grandi. Prendendo lo spunto dal messaggio del Santo Padre per l’annuncio ufficiale della prossima giornata mondiale delle famiglie, a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012, vorrei guardare al processo di unificazione italiana attraverso gli occhi del lavoro e delle feste delle famiglie, due elementi che scandiscono il calendario quotidiano di tutte le esistenze. “Il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita della famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (Gen. 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana” ( Benedetto XVI, Messaggio di indizione del VII incontro mondiale per le famiglie). Le influenze sono reciproche, ovviamente, sia nella direzione che la famiglia produce lavoro e vive la dimensione della festa, sia per il fatto che le attività lavorative e il modo di concepire le feste plasmano ritmi e stili familiari. Andando per sommi capi, sembra verosimile descrivere i passaggi dal lavoro principalmente agricolo, all’industria, fino al terziario, come fenomeni che hanno offerto certamente maggior benessere economico, indipendenza e sicurezza di vita, ma hanno anche ridotto, frammentato e privatizzato la famiglia. 56


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia A lato di queste considerazioni, è doveroso ricordare come anche nei fenomeni migratori, legati soprattutto alla necessità di lavoro, il tessuto delle relazioni familiari ha sempre svolto il compito di sostegno morale, traino ideale e ammortizzatore sociale. E oggi? Le feste, poi, da occasioni di riposo e di incontro informale, di tempo da dedicare a Dio e alla solidarietà, oggi si sono trasformate in eventi strutturati, dove “l’esserci “è più importante che “l’essere con”: si vive l’occasione con spiccato individualismo e con criteri di soddisfazione assolutamente legati al singolo individuo. Lavorare insieme e condividere le stesse feste sono certamente strade importanti per costruire l’identità e l’unità di un popolo, di una patria; ugualmente, però, è doveroso chiedersi, da un lato, se oggi il processo di unità è realmente concluso, dall’altro, se le modalità correnti di far vivere il lavoro e la festa creano davvero terreno favorevole alla comunione nazionale. E poi, la disgregazione del coniugale e del familiare, quanto influiscono in questo cammino di unità? Le famiglie sono diventate precarie come il lavoro: instabili nella tenuta e incerte verso il futuro. Il tanto decantato concetto di flessibilità, prima ancora che essere un necessario antidoto ad infruttuose rigidità, è diventato un modo per traghettare la perdita di aalcuni diritti lavorativi e per far meglio digerire le insoddisfazioni professionali. Le feste spesso scivolano in un indistinto tempo libero, troppo dominato da criteri economici, poco attento invece a riti e simboli di comunione umana. L’emblema potrebbe essere rappresentato dal centro commerciale, dove si affida il tempo della festa ad un luogo che riunisce, ma non unisce, instaura relazioni utilitaristiche e non facilita la gratuità dell’incontrarsi, del divertisi e alleggerire il peso della quotidianità. Anche il modo di vivere le relazioni familiari, poi, rischia di omologarsi allo stile del centro commerciale: passeggio senza impegno, spendo e occupo tempo, compro e consumo, finché... non mi stanco! Riprendere le redini dei processi lavorativi e delle occasioni di festa, significa impegnare la famiglia a riscoprire la propria identità e missione sociale, ergendosi a vero criterio etico e propulsore di comunione, integrazione e solidarietà. Lavoro e festa saranno occasioni di unità, solo se ritorneranno a promuovere la persona umana, nella sua dignità intangibile e nella chiamata alla pienezza dell’amore. don Giorgio Comini segretariato diocesano pastorale familiare

Profili di santità coniugale

Giuseppe Tovini

La sua vita fu insieme una guerra continua e una continua preghiera. Giuseppe Tovini nacque a Cividate Camuno il 14 marzo 1841, primo di sette fratelli; ebbe sin dall’infanzia un’educazione particolarmente austera e una ferrea disciplina dalle scuole elementari frequentate a Cividate e poi a Breno. Nel 1852 a 11 anni, entra nel Collegio municipale di Lovere dove rimane per sei anni, ma le condizioni economiche della famiglia non gli permettono più di restare a continuare gli studi intrapresi; interviene in aiuto uno zio sacerdote che gli fa ottenere un posto gratuito presso il Collegio per giovani poveri a Verona. Nel 1859 muore il padre e lui si trova a 18 anni con cinque fratelli minori da mantenere, con una situazione economica disastrosa. Abbandona così l’idea di farsi missionario e conseguita la licenza liceale nel 1860, si scrive come privatista alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova. Un sacerdote lo aiuta a rimanere ospite del Collegio trovandogli un lavoro presso lo studio di un avvocato; il piccolo stipendio viene arrotondato dando lezioni private. Nel 1865, si laurea brillantemente, ma la gioia è offuscata dalla perdita della mamma, avvenuta cinque mesi prima. Si mette a lavorare presso gli studi di un avvocato e di un notaio di Lovere, mentre ha anche il compito di vicerettore e professore nel Collegio municipale locale, riscuotendo stima da tutti; si distingue perché è il solo a recitare le preghiere prima e dopo le lezioni e far la Comunione ogni domenica. Nel 1867 si trasferisce a Brescia, dove divenuto avvocato, entra nello studio dell’avv. Corbolani. Il 6 gennaio 1875 sposa la fi glia Emilia Corbolani. Dalla loro unione nascono 10 figli, di cui uno diverrà sacerdote e due religiose; si dimostra padre affettuoso e premuroso, educatore attento ad inculcare nei figli i principi della morale cattolica, infiessibile nel reprimere le deviazioni. Dal 1871 al 1874 viene eletto sindaco di Cividate, promuove varie iniziative per attuare opere pubbliche, sgrava il Comune dai molti debiti; fonda nel 1872 la Banca di Vallecamonica in Breno; inizia gli studi per un collegamento ferroviario che va da Brescia ad Edolo, per risollevare l’economia della Valle, opera che sarà realizzata dopo la sua scomparsa. Partecipa alla Fondazione del quotidiano “Il Cittadino di Brescia”; sempre dal 1878 diviene Presidente del Comitato diocesano dell’Opera dei Congressi e da lì in poi, il suo ruolo nelle attività e iniziative istituite dalla diocesi, diviene di primaria importanza; percorre tutta la Provincia per promuovere ben 145 comitati parrocchiali. Si candida come cattolico alle elezioni amministrative, venendo eletto come consigliere provinciale e poi dal 1882 consigliere comunale di Brescia, incarico che terrà fino alla morte. Sono innumerevoli le iniziative ed istituzioni da lui ispirate, promosse, fondate in Brescia e Lombardia, come pure a livello nazionale, nel campo della scuola, della stampa, istituti di credito, opere pie, assistenziali, caritative, sociali. La preoccupazione di una sempre più profonda presenza della Chiesa nel mondo del lavoro, lo induce a partire dal 1881, a fondare le ‘Società Operaie Cattoliche’ che cominciando da Lovere si estenderanno in tutta la Lombardia, tanto che nel 1887 queste fiorenti Società possono celebrare il loro primo congresso. Nel 1885 propone la fondazione dell’ “Unione diocesana delle società agricole e delle Casse Rurali”; nel 1888 fonda a Brescia la ‘Banca S. Paolo’ e nel 1896 a Milano il ‘Banco Ambrosiano’. Nel 1882 fonda l’asilo “Giardino d’Infanzia di S. Giuseppe” e il collegio “Ven. A. Luzzago”; il Patronato degli Studenti nel 1889; l’Opera per la conservazione della fede nelle scuole d’Italia nel 1890. Nel 1892 promuove l’erezione di Circoli universitari cattolici, collabora alla fondazione della “Unione Leone XIII” di studenti bresciani, da cui nascerà la FUCI. Nel 1893 fonda la rivista pedagogica e didattica “Scuola Italiana Moderna”, primo periodico cattolico a diffusione nazionale per i maestri e promuove il settimanale “La Voce del Popolo”. L’educazione cristiana, l’azione pedagogica, la scuola, costituiscono la sua opera preminente, per questa si sente apostolo e missionario, affermando: “ le nostre Indie sono le nostre scuole”. Si impegna senza riserve nell’ambito educativo e scolastico, difensore dell’insegnamento religioso scolastico e del principio della libertà d’insegnamento, della scuola libera, privata, come strumento efficace per formare le generazioni a compiti di responsabilità civile e sociale. Il dinamismo di Giuseppe Tovini si rivela veramente sorprendente, se si considera la sua gracile costituzione fisica che a partire dal 1891 andrà man mano peggiorando. Fu soprattutto uomo di Dio, la sua pietà, il suo ritmo di vita devoto, il suo fervore eucaristico, la devozione alla Madonna, lo spirito e la visione francescana da terziario della vita, il profondo ‘senso della Chiesa’ si uniscono all’esercizio eroico delle virtù teologali e cardinali. Muore a soli 55 anni il 16 gennaio 1897. La sua salma il 10 settembre 1922 fu solennemente traslata dal cimitero alla chiesa di S. Luca in Brescia, dove riposa tuttora. E’ stato proclamato beato da Giovanni Paolo II il 20 settembre 1998.

57


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - p

FAMIGLIA E RITUALITA’

LA RITUALITA’ DEL SALUTO Diventare fratelli e sorelle

C

è chi ha sostenuto, come il poeta tedesco Novalis, che in fondo la storia del pensiero umano altro non esprima che una profonda ed inesauribile «nostalgia di casa»; la cultura è lo sforzo umano di far fronte alla precarietà e all’incertezza della vita. Non si tratta solo di una metafora e, meno ancora, di pensieri astratti o di disquisizioni teoriche. Le persone affrontano l’angoscia di percepirsi «gettate nel mondo» o il disagio di sentirsi «lì, per caso» proprio con il sostegno dei loro legami affettivi, ancorandosi saldamente ai mondi vitali, nei quali nasce la fiducia e la sicurezza, e creando dei significati che permettono di interpretare ed affrontare il mondo. La casa è il luogo dell’intimità, dell’amore e del dolore condivisi, dove si vivono gli affetti più cari e si conservano i ricordi più struggenti, dove si costruisce la comunione attra«L’individualismo verso il dialogo e la condivisione della società nasce quotidiana. La dalle famiglie casa acquista così che vedono spegnersi una sorta di cale loro emozioni rattere sacro che la distingue da e finiscono per creare ogni altro luogo. in sé e attorno a sé Nelle case i roun mondo chiuso dove mani onoravano “ognuno fa i fatti suoi”. gli dei della famiglia (i penati), La privatizzazione cinesi elevano della famiglia va messa il’altare familiare; in stretta connessione i cristiani d’oriente ornano le loro con l’individualismo abitazioni con icosociale, la chiusura ne sacre, quelli di degli interessi occidente appensulla materialità dono alle pareti il crocifisso. Là dove dell’esistenza, resiste l’usanza, l’apatia politica. la maggioranza Al narcisismo delle famiglie acdelle famiglie corrisponde cetta e gradisce il costume di benel’individualismo dire le case. dei cittadini, e, La prenella sfera pubblica, senza nello spazio non è solo fisica il disinteresse ma è, più ancora, per la cosa pubblica». intenzionale: at-

traverso il gesto la persona sorpassa la materialità dello spazio e il suo stesso corpo. L’orecchio ascolta, la parola interpella, la mano raggiunge, i gesti creano i significati, li incarnano, li comunicano. Il gesto è senso vissuto attraverso il corpo, come il senso è gesto allo stato nascente: il vissuto emotivo inferiore traspare immediatamente attraverso la mimica facciale che nel corpo umano raggiunge un’intensità comunicativa di grande rilievo. La persona L’attenzione umana, infatti, è ca- ai piccoli riti familiari pace di superare la materia ed il suo con- introduce alla liturgia; dizionamento; sa in- ne fa comprendere terrogarsi e divenire e vivere il senso. consapevole dell’«infinito», cosa che suppone uno sforzo di trascendenza nei confronti dei limiti che impediscono: «Attraverso lo spazio, l’universo mi comprende e mi inghiottisce come un punto; attraverso il pensiero io lo comprendo» (B. PASCAL). Il corpo fornisce al pensiero gli schemi d’ìnterpretazione del reale e le categorie concrete. I gesti, i segni, le espressioni facciali, le usanze sono gli elementi familiari con cui l’intenzionalità si esprime. La casa produce così una rete complessa di interazioni che comprendono anche l’organizzazione dello spazio, il vestiario, l’arredo e costituisce il terreno fertile delle ritualità che vi si vivono.

Il copione familiare

Non sempre, però, le emozioni si esprimono adeguatamente nel dialogo affettivo, soprattutto a motivo del difetto nella comunicazione verbale. A volte lo scambio emotivo si fissa e si standardizza, e così si innescano pericolosi «copioni» familiari: anziché persone, i componenti della famiglia appaiono «personaggi», ognuno con il suo ruolo inflessibile, con le proprie motivazioni indiscutibili, con i soliti comportamenti prevedibili. Discussioni, scontri e litigi, si replicano in termini sempre uguali, secondo un vero e proprio schema, che sì ripete nel tempo provocando sofferenza e allontanando i membri familiari l’uno dall’altro. La famiglia non è più vissuta come un’avventura appassionata e nuova ogni giorno ma una trama dove le sequenze della conversazione appaiono prefissate e le risposte prevedibili. Luogo della mediazione nell’incontro con l’altro, infatti, è la parola: quando le persone comunicano le proprie emozioni, producono una narrazione che trasfor58


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia ma il vissuto (ciò che si è fatto, visto, ascoltato...) in sentimento, dove, cioè, le parole non trasmettono solo contenuti ma definiscono e costruiscono delle relazioni. Coloro che non sanno narrare la vita, invece, chiudono l’esperienza nel cerchio della monotonia. In quanto chiusura, la monotonia è una scelta di comodo per evitare il conflitto e risparmiare la fatica che la costante esposizione alla comunicazione comporta. La si previene esercitandosi alla comunicazione verbale, all’interno di relazioni emotivamente intense. Conoscere e trasmettere tra genitori e figli quanto si vive nell’interiorità emozionale è un’esperienza di intensa gratificazione e di altrettanta fatica. Vi corrisponde una doppia tentazione, di «II saluto è molto più eccesso oppure di di un’etichetta difetto. Nel primo di buona educazione: caso le relazioni che le persone instauè un gesto umano (i rapporti di di complessa intensità». rano coppia, il legame madre-bambino, le forme autoritarie d’imposizione...) cercano di dominare o di invadere interamente lo spazio dell’altro e perseguono un’illusoria ricerca di fusione. Si vuole o si pretende di «dirsi tutto», quando invece il limite della parola non può contenere la profondità dell’intimità familiare che esige anche altri linguaggi, come quelli del corpo e dei simboli. Nel caso di difetto la chiusura in sé conduce alla negazione del punto di vista dell’altro (i capricci del bambino, l’indisponibilità dell’adulto, le diverse forme di nervosismo...). La comunicazione umana trova, invece, la sua completezza quando parola, sentimenti, simboli fanno tutt’uno, restituendo il primato alla trasmissione degli affetti e dei sentimenti (e non all’adeguamento standardizzato). L’individualismo della società nasce dalle famiglie che vedono spegnersi le loro emozioni e finiscono per creare in sé e attorno a sé un mondo chiuso dove «ognu-

no fa i fatti suoi». La privatizzazione della famiglia va messa in stretta connessione con l’individualismo sociale, la chiusura degli interessi sulla materialità dell’esistenza, ‘apatia politica. Al narcisismo delle famiglie corrisponde l’individualismo dei cittadini, e, nella sfera pubblica, il disinteresse per la cosa pubblica. Giustamente il narcisismo è descritto dalla psicologia come incapacità a provare ed esprimere veri sentimenti. L’empatia è, all’opposto, la possibilità di provare i sentimenti dell’altro, di mettersi nei suoi panni. Senza empatia il vissuto familiare va in crisi, perché ‘amore perde i suoi connotati più specifici. Può ancora manifestarsi come «virtù» in senso unidirezionale («mi sacrifico per te, anche se per «La comunicazione te non provo nulla», umana trova la sua «obbedisco per pau- completezza quando ra o per convenien- parola, sentimenti, za», «compio quanto mi è chiesto, per do- simboli fanno tutt’uno, vere»...) ma in questo restituendo il primato modo non può più es- alla trasmissione sere vissuto come valore familiare. Produ- degli affetti ce solo frustrazione, e dei sentimenti». delusione, rinuncia.

A TAVOLA COME ALL’ ALTARE L

e parole che dicono l’amore non sono quelle che ne parlano, sono le parole che lo donano. Le parole che fanno quello che dicono diventano performative: una volta pronunciate, non smettono di esistere, anzi incominciano a operare: le parole diventano fatti. La catechesi deve imparare queste parole, le uniche degne di parlare di Dio. La catechesi familiare cerca l’unità performativa della Parola di Dio, della liturgia e della vita morale attraverso le ritualità familiari, che sono le azioni quotidiane in cui si condensa la comunicazione dell’amore, che è l’esperienza umana più capace di fare cenno a Dio. Essendo unico l’amore e uno solo il comandamento nuovo (Gv 13,34), le ritualità familiari, preparano le liturgie sacramentali, le quali a loro volta rigenerano insieme alle persone anche le ritualità dell’amore. Si può considerare il pasto familiare come un model-

lo di catechesi performativa. La tavola dei pasti quotidiani è lo specchio della vita familiare e anche la palestra dove la sua unità può essere ricostruita e il dialogo ristabilito ogni giorno (come fa per analogia l’Eucaristia, immagine, fonte e culmine della vita delle comunità parrocchiali). La tavola familiare è un vero «sacrificio», dove il superamento dell’«arroganza» (la pretesa capricciosa dei piccoli come dei grandi) avviene su almeno tre versanti: la preparazione degli alimenti, lo stare a tavola e il rapporto con il cibo. Nella preparazione del cibo e della tavola vale una prima regola «sacrificale», quella della collaborazione: tutti devono dare il loro contributo, in base all’età, ad altri possibili impegni familiari. Anche un bimbo di pochi anni può portare, ad esempio, il suo tovagliolino in tavola. 59


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia

La tavola unisce la famiglia anche in quanto è opera comune. Nel consumo dei pasti esiste una dimensione di necessità (mangiare si deve) e una di piacere (il gradimento del cibo, la soddisfazione di un bisogno, l’incontro e la conversazione). La collaborazione di tutti sul primo lato permette di avere più possibilità e tempo per godere il secondo. Il mansionario familiare potrebbe attribuire ad ogni membro della famiglia il suo incarico. La liturgia partecipata non consiste certo nell’aver tutti qualcosa da fare sull’altare. Nella liturgia, infatti, è il silenzio che adora il massimo grado dell’essere presenti e partecipi. Si può fare molto, però, per migliorare la partecipazione liturgica. Ci sono dei modi d’esprimersi da correggere (non si va dal sacerdote a «ordinare» una Messa, né si entra in chiesa per assistere al sacrificio), abitudini da cambiare (stare in fondo alla chiesa, restare muti e per i fatti propri, non partecipare al canto), pratiche da perfezionare (pregare e cantare insieme, curare l’espressione dei gesti, praticare il silenzio, favorire l’attenzione). È partecipazione preparare la domenica fin da lunedì precedente, arrivare in anticipo in chiesa, salutarsi prima di entrare in chiesa e fermarsi a dialogare in piazza al termine della celebrazione, parlare a casa e agli amici della liturgia celebrata. Lo stare alla tavola sacrificale comporta poi il dovere della conversazione familiare (chiedere e rispondere in modo esaustivo alle domande, partecipare al dialogo, togliere le distrazioni, spegnere il televisore, chiudere il telefono) e nell’attenzione alle persone (riconoscere la fatica di chi ha preparato il pasto, non allontanarsi da tavola, aspettare gli altri prima della portata successiva ecc.). La liturgia partecipata richiede la massima cura per la mensa della Parola, ‘importanza da dare ai tempi di silenzio, la risposta corale e convinta alle letture e nel canto del ritornello al salmo. Il silenzio prolungato, l’attenzione con cui si è oltrepassata la soglia per entrare in chiesa, distolgono le persone da ogni distrazione e le orientano all’invisibile Presenza. Il tempo dello stare a tavola, il consumo del cibo allo stesso ritmo, la calma del dopo cena, comportano un esercizio di sacrificio di sé in favore dell’altro, attraverso l’osservanza di regole precise (aspettarsi, non alzarsi, servirsi vicendevolmente, seguire le regole fondamentali dell’igiene e delle buone maniere) che sono una disciplina indispensabile perché la tavola non sia un ulteriore caos e stress della giornata ma ricostruisca il vivere familiare, donando un po’ di pace e di riposo. Anche la liturgia ha la sua disciplina: va celebrata

come si deve, secondo le sue regole e «buone maniere» (il tono di voce, la solennità dei gesti, la cura e la bellezza dei paramenti). Anche attorno all’altare e in tutta l’aula liturgica, durante la celebrazione, si svolgono dei servizi e si fanno anche delle cose concrete e umili per il bene di tutti (portare le offerte all’altare, passare tra i banchi per la colletta, accendere i lumi), proprio come attorno alla tavola imbandita. L’Eucaristia si chiama, infatti, anche agape fraterna. Il capriccio ha oggi libera espressione e non trova resistenze soprattutto nella regolamentazione del rapporto con il cibo. Là dove l’educazione tradizionale era intervenuta in modo rigoroso (per non sprecare il cibo, consumare tutta la portata, non brontolare davanti al cibo preparato) è subentrata una liberalizzazione pressoché totale. In molte famiglie non esistono più regole e l’unico criterio è il piacere del gusto immediato. La nobile semplicità della liturgia libera di tutti i fronzoli, riduce all’essenziale ogni parola umana, regola anche le emozioni. Le sue regole sono sempre identiche (alcune resistono da duemila anni) eppure ciò che avviene è sempre nuovo, mai si ripete identico. Tempo forte in casa è anche la conclusione del pasto familiare: si finisce tutti insieme ma non si va subito via. Rimane ancora la cosa più importante da fare: non fare nulla! Godere almeno qualche istante la presenza di coloro che si amano e che nel pasto condiviso si sono conosciuti un po’ di più, apprezzando la loro persona e sopportando i loro limiti, pregi e difetti che a tavola diventano ancor più evidenti. Anche nella celebrazione eucaristica il grande silenzio dopo la Comunione è un momento breve ma di emozionante intensità. Il silenzio totale, senza neanche il suono dell’organo, esprime, in quel momento, la massima comunicazione con Dio e i fratelli. Il tavolo del pasto familiare è, innanzitutto, l’arredo del dialogo; per questo costituisce uno dei simboli della casa. Condividendo il cibo, in famiglia si condivide la vita. Attraverso il cibo distribuito, le persone della famiglia si sentono un corpo solo. Il pasto crea comunione e la parola della conversazione la esprime. Alla mensa familiare la parola ha un valore nutritivo, come il cibo, perché il pasto è tempo privilegiato d’incontro interpersonale. Sono evidenti le controprove: è sempre triste bisticciare a tavola, il pasto subito si corrompe, l’appetito si blocca, si mangia velocemente e si riparte in fretta. Nella casa-albergo mancano le motivazioni per parlarsi, interrogarsi, rispondere alle interpellanze. Contano di più le comunicazioni di fuori: si è più espansivi al telefono che nel faccia a faccia della tavola imbandita. Il tavolo della mensa eucaristica è un altare: è di pietra perché ricorda il monte Calvario. Quel giovedì santo di passione il Maestro rappresentò nel pane la sua carne offerta in sacrificio perché i discepoli, deboli e impauriti, si sentissero un corpo solo con lui. Nella comunità domenicale il corpo e il sangue di Cristo trasformano i deboli (i cristiani che sanno di dover ogni domenica ricominciare da capo la loro sequela), attraverso il dono dello Spirito, un corpo solo. Anche i bambini lo cantano: «Un cuor solo e un’anima sola per la tua gloria Signore!» (Preghiera eucaristica dei fanciulli n 2). Alla mensa eucaristica la Parola di Dio ha «valore nutriti60


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia vo» come il corpo di Cristo: i riti performativi dell’ambone rendono corpo la stessa Parola. La disponibilità a lasciarsi toccare da quella Parola converte la comunità e la manda nel mondo, che Dio ha amato così appassionatamente da regalare suo Figlio (Gv 3,16). Nelle liturgie spente e ritualistiche, la voce contraddice ciò che le parole raccontano, il corpo impacciato dice che il cuore è assente, il mutismo è più rumore che devoto silenzio. Il grado di comunità che il pasto realizza è tanto più evidente quanto più condivisi sono i simboli che il cibo incorpora e produce. Solo i simboli, infatti, possono trasformare un atto fisiologico in un momento di comunione, possono riempire di senso condiviso il «non senso» del mangiare insieme quando il cibo è solo necessità o piacere individuale. Scopo del simbolo è «mettere insieme» (come, etimologicamente, la parola significa). Le persone si uniscono attraverso il cibo, preparato, consumato, interpretato. Il consumo del pasto che riunisce, però, non è distruzione vorace di alimenti ma rigenerazione delle persone, di cui il cibo diventa simbolo. Ogni incontro attorno alla tavola pone indirettamente delle domande di senso e non soltanto di gusto o di appetito: «chi cucina per chi?», «Perché si mangia ora e in questo luogo?», «Perché ci si aspetta tutti?», «Perché quei gusti?», «Cosa rappresenta la tradizione di quel “piatto” per quelle persone?». La risposta alle domande che il cibo rituale pone è tanto più evidente quanto maggiore è il livello dell’intimità comunicativa. Comunità e intimità emozionale sono, infatti, le colonne portanti delle ritualità che trasformano la tavola in una scena che celebra e, al tempo stesso, costruisce i legami. Le ritualità familiari sono prodigiose. Trasformano la materia in simbolo, il cibo in intermediario dell’amore: un vero cambiamento della sostanza! Infinitamente più radicale (ma simile nel processo) il miracolo eucaristico del pane che diventa Cristo. Potenza del rito sacramentale! È infatti l’altare che rende sacra l’offerta, non viceversa (Mt 23,19). Quale altro modo, più semplice e affascinante, per spiegare ai bambini i concetti «impossibili» della transustanziazione o della presenza reale nel tabernàcolo, delle metafore del pasto rituale familiare? È possibile ricostruire una storia familiare a partire dal cibo: i piatti che si tramandano, i significati di certi cibi che si conservano nei passaggi generazionali, la predilezione per certi gusti che resistono nel tempo, raccontano l’originalità di una vicenda umana intergenerazionale. Ogni famiglia potrebbe, così, disegnare il proprio genogramma a tavola: uno specchio in cui si riflette una storia di affetti e di relazioni dove il cibo è l’intermediario della storia della famiglia e delle radici di un popolo. Ogni membro familiare, insieme allo scambio del cibo, riceve il dono di un legame che dura nel tempo. Chi resta chino sul suo piatto e non pensa che al suo piacere, rimane solo: per lui il cibo è solo materia. La liturgia proviene da una storia lunga millenni che nel rjto si condensa e si attualizza. È sempre la stessa ma

si realizza in un’esplosione di forme antiche e sempre nuove. Accoglie e trasforma tutte le tonalità affettive. Diventa” di volta in volta, liturgia feriale o festiva, quaresimale o pasquale, matrimoniale o funebre, di piccolo gruppo o di grande assemblea, perché ogni esperienza umana è riportata all’unico Signore. La compagnia che si crea attorno al pane («cum panis») costruisce sempre un nucleo di comunità, perché le persone sono unite nella reciprocità dei corpi attraverso il pasto condiviso. In nessun altro luogo, forse più che a tavola, l’altro appare come il proprio simile. Adulti e bambini, adolescenti e anziani, donne e uomini sono uniti dalla medesima tavola. Il rapporto con il cibo, frutto della terra e del lavoro umano, svela il proprio modo di stare al mondo, di rapportarsi alla natura e a chi la abita. La tavola può essere, così, considerata una rappresentazione del modo specifico che la famiglia ha di intendere gli altri e il mondo. Nell’Eucaristia la compagnia diventa comunità, unione non di persone che si sono scelte ma di discepoli che sono stati scelti. L’aula liturgica racconta ogni domenica il modo specifico di quella comunità di intendere il legame fraterno e la missione nel mondo. Il cibo è anche come arte, fantasia creativa dettata dall’amore. La liturgia è bellezza, azione degna al cospetto di Dio. Imparare a stare a tavola è una buona palestra per imparare a celebrare. L’Eucaristia domenicale è anche la fonte e il culmine della catechesi intergenerazionale. Le attività catechistiche pastorali si svolgono per lo più secondo un modello di separazione (divisione per gruppi e per età) ma l’Eucaristia ricompone ogni differenza nell’unico popolo di Dio, comunità messianica, corpo di Cristo, come la tavola della sera riunisce la famiglia dispersa durante il giorno. I genitori diventano causa d’incredulità quando presentano un Gesù divinizzato che non ha nulla da spartire con la vita concreta, quando non s’impegnano a umanizzare la loro vita familiare. Sono promotori di fede quando si dedicano alle le ritualità familiari. La catechesi parrocchiale non fa altro che assegnare un nome eucaristico a ciò che genitori e figli vivono in casa, per esempio, durante i pasti.I genitori possono riscoprire la loro fede portando i figli a Messa. I bambini possono evangelizzare le loro famiglie (Evangelii Nuntiandi n 71) quando, tornando dal catechismo, apparecchiano con devozione la tavola e spiegano ai genitori perché. 61


Scuola Parrocchiale don Orione

QUI SCUOLA

ALUNNI IN ZONA D’OMBRA

Idee di una prof, che nessuno è

obbligato a condividere

Sempre più spesso capitano nelle nostre classi, arrivano con uno zaino già carico degli insuccessi accumulati nei cinque anni di scuola primaria, accompagnati dall’ansia e dalla mai sopita speranza, di genitori amareggiati che non sanno più a che santo votarsi. Sono demotivati, indifferenti, preoccupati o semplicemente rassegnati al loro ruolo ormai consolidato di ultimi della classe . Sono quelli che non sono mai attenti, che faticano a stare nel banco, che pasticciano diario, libri e quaderni, che perdono il materiale, puntualmente riconsegnato dalla famiglia; se interpellati alzano le spalle o balbettano scuse, sono quelli che non trovano mai la voglia o il momento giusto per studiare, che non… che non… che non… e potremmo andare avanti all’infinito. Per qualcuno di loro sono già stati attivati tutti possibili accertamenti, alla ricerca disperata di un perché, ad opera di pedagogisti, psicologi, neuropsichiatri, grafologi, esperti delle “zone d’ombra” che rilasciano certificazioni più o meno credibili agli occhi di noi insegnanti che di fronte al ragazzo che non “va” neppure in “carrozza” diciamo “Ma”, “E’ mai possibile che ?”. Altri arrivano sprovvisti anche di questo, allora subito pensiamo che sia opportuno interpellare l’esperto che ci dica come procedere, perché noi prof siamo pieni di zelo e vogliamo sempre sapere, conoscere tutto per fare al meglio! Ci aiutano leggi , decreti e circolari ministeriali che parlano di individualizzazione, di alunno al centro del processo di apprendimento e noi ci attiviamo con impegno e precisione, ma la zona d’ombra non ci dà pace. Che fare? Ci deve pur essere un modo per smuovere anche i più inetti, quelli che a un certo punto ci sembra stiano anche bene nelle loro ormai acquisite “non capacità”. Eppure è proprio a questi ragazzi che deve andare la nostra attenzione, indirizzare la nostra professionalità docente, ma soprattutto educante. Sono loro quelli che rompono le nostre convinzioni, che ci mettono in discussione e che mettono in moto la nostra intelligenza e creatività. Sembra assurdo, ma ci insegnano ad insegnare: ci fanno capire che non esiste nulla di predefinito e statico e che dobbiamo, come ci hanno insegnato gli antichi, procedere per tentativi e fallimenti, “provando e riprovando”, rischiando, mettendo in conto che dopo aver fatto tanto, non abbiamo ancora fatto niente e ci tocca ripartire da capo. Nell’”ombra” le etichette si confondono, si assomigliano un po’ tutte e purtroppo non esistono formule magiche o ricette che guariscono e miracolosamente trasformano quei ragazzi in alunni ideali, perché ognuno ha una storia e un vissuto completamente diversi dall’altro. A volte basta solo un piccolo barlume per indicare la strada, ma non dobbiamo stancarci di tentare , di dare non solo opportunità, ma anche strumenti che con molta umiltà possiamo imparare a costruire insieme in un pacato confronto con altri insegnanti, con genitori , con gli stessi ragazzi; dobbiamo provare ad entrare nell’ombra senza tema di sentirci per questo fallimentari o defraudati del nostro ruolo. Dobbiamo allora essere flessibili, diversificare metodi e strategie, graduare le prove, spianare il più possibile la strada, semplificare, che non significa banalizzare, dare degli appigli. Attivare risorse( e che fatica!) senza temere che chi è in piena luce possa essere oscurato dall’ombra. Dobbiamo allora sforzarci di essere fermi, non rigidi, esigenti,ma non pretenziosi,accoglienti, non pietisti, sempre aperti alla speranza, alla fidu Auguri di cia e pronti a ricominciare per non incorrere nel rischio di voler dare tutto a tutti e a tutti i costi , evitando, come diceva Don Milani, l’ingiustizia di Buona fare parti uguali tra disuguali. Non dobbiamo dimenticare infine che la scuola dell’obbligo una volta aveva una funzione formativa ed orientativa, ma se così non fosse più, allora davvero possiamo solo essere giudici integerrimi di un sistema dove chi sa procede e chi non sa o non può o non vuole( non sono tutti sintomi di uno stesso disagio ?) resta nella sua beata zona d’ombra. 62


PELLEGRINAGGIO DIOCESANO PER LE FAMIGLIE

... a piedi dal Santuario di Valverde di Rezzato al Santuario dedicato al culto di S.Arcangelo Tadini di Botticino Sera

Domenica 1 maggio 2011 Il Gruppo Galilea un cammino di fede per persone che vivono situazioni matrimoniali difficili o irregolari (es. divorziati-risposati). Gli incontri sono mensili, al centro la Parola di Dio, con ampi spazi di ascolto, riflessione e condivisione. Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare.

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896

Sulle orme e in compagnia di Sant’Arcangelo Tadini ore 9.00 Ritrovo presso il Santuario e preghiera mariana presso il luogo dell’apparizione (è possibile parcheggiare presso il cimitero di Rezzato a circa 200 metri dal Santuario) ore 9.30 Inizio del cammino con percorso in tre tappe, seguendo le lettere pastorali del Vescovo Luciano (il percorso di 4 km è pianeggiante e asfaltato, adatto quindi per tutti, anche per i passeggini) ore 10.50 Arrivo al Santuario di Botticino Sera e preghiera a S. Arcangelo. ore 11.00 S. Messa in comunione spirituale con Roma dove verrà proclamato Beato Giovanni Paolo II. ore 12.30 Pranzo in oratorio (al sacco).

“Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di difficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia chiara e stabile. Per info: info@retrouvaille.it e www.retrouvaille.it.

ore 14.30 Testimonianze di coppia e memoria del pontificato di Giovanni Paolo II con le tappe più significative a sostegno della famiglia (per i figli è prevista l’animazione a cura dei giovani dell’oratorio). ore 16.30 Saluto finale e mandato. 63


La scelta pastorale del Vescovo e il programma in oratorio Todos sean uno

tempo di Pasqua lettera del Vescovo Luciano

All’angelo della Chiesa di Oviedo

la vitaAnasce bbiamo iniziato il nostro cammino dicendo che da un dono perché nessuno può darsi la vita

da se stesso. Adesso possiamo aggiungere che anche nel progresso della vita rimane indispensabile il dono. E cioè: il cammino della vita è più grande di noi; richiede delle forze che non possediamo in noi stessi; siamo fatti per correre verso un traguardo, ma i nostri muscoli non sono sufficientemente potenti. Dobbiamo avvilirci? Siamo condannati alla depressione di chi sa di non poter concretizzare gli ideali Per dialogare non basta saper nei quali crede con tutto il cuore? No: piuttosto dobbiamo ascoltare, bisogna avere qualcosa aprire la nostra vita a un Altro, imparare a vivere con Lui, da dire. Il piano dell'incontro ci a camminare insieme con Lui, ad appoggiarci a Lui. vede attingere alla radice della Lui c’è; c’è per noi; c’è per me. Devo solo imparare a stare nostra storia e della nostra fede, ben raccontata dalla città di Oviedo davanti a Lui insieme con il mio mondo, con gli altri, con tutti i miei pensieri e i miei desideri – davanti a Lui. Lui non che conserva il Sagrado si tira indietro; nemmeno di fronte ai miei peccati e alle mie Rostro (il telo di lino che avrebbe infedeltà. Al contrario, i miei peccati lo muovono e lo comavvolto il capo di Gesù) e che fu muovono: siccome non vuole che si perde neanche uno solo tappa di inizio delle avventure del dei suoi figli, quando vede qualcuno a rischio di perdersi, guerriero Pelayo, protagonista della reconquista spagnola. mette in atto tutte le sue risorse per svegliare, correggere, aiutare, sostenere, dare fiducia e speranza. L'incontro però prevede Si chiama fede: assomiglia all’atteggiamento del bambianche un'apertura incondizionata no che affronta il mondo tenendo la mano di suo padre. Il all'altro: come comunità educativa mondo è più grande di lui, è pieno di rischi e di minacce, significa avere obiettivi da potrebbe fargli paura; ma basta la mano di suo padre per confrontare con il nostro tempo; infondergli sicurezza. Può guardare il mondo con gioia, può amare i più giovani per quello affrontarlo con sicurezza, può entravi con speranza: il monche sono, certi che anche per loro Cristo ha scritto pagine della storia do non potrà fargli del male fino a che suo padre è con lui. “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per di salvezza, significa aprirsi alle nome… Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi zonali e diocesane per essere non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, contributo, stimolo e sostegno alle comunità vicine. non ti scotterai.” Iniziare la giornata con la preghiera è come iniziare mettendo la nostra mano nella mano che Dio ci tende. Pregare durante la giornata è prendere coscienza della mano grande che ci sostiene. Pregare alla fine della giornata significa consegnare al Padre un frammento della nostra esistenza: un frammento che è passato e su cui non abbiamo più nessun potere, ma che Dio può accogliere, purificare, conservare, valorizzare. Vescovo Luciano

OVIEDO 64


-

Come una colonna del tempio una comunità che si confronta

dal libro dell’Apocalisse (3,7-13) All’angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così parla il Santo, il Verace,Colui che ha la chiave di Davide:quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre. Conosco le tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana - di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono -: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch’io ti preserverò nell’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

PHILADELFIA Fondata da Eumene II re di Pergamo nel 189 a.C. nella Provincia di Manisa, a circa 45 km da Sardi, Filadelfia fu una città funestata da terremoti, tanto che per alcuni anni i cittadini preferirono vivere al di fuori della città. Sorgeva nella vallata di Kuzuçay, ai piedi del monte Bozdaˇg, al centro di una regione agricola di grande prosperità.

Mi pare di percepire che a livello di coscienza, da parte di chi fa l’analisi, è poco presente l’influsso dei mezzi di comunicazione consumati dai ragazzi. Quante proposte vanno a tenere conto di tali mezzi e cambiamenti? Ho paura che, in termini di adulti, c’è poca coscienza: non perché non sappiano che hanno figli che navigano in internet, però non hanno conoscenze di alcuni tipi di regole che forse servirebbero in questi mondi. Quindi, come possiamo noi educarli quando la stragrande maggioranza di loro basa i propri modelli su strutture non nostre ma su elementi dettati dai media? I nostri oratori, soprattutto infrasettimanalmente, sono abitati dagli stranieri, da coloro che non hanno altre possibilità, perché l’oratorio è il luogo gratuito per eccellenza. Che cosa significa educare cristianamente coloro che non appartengono alla religione cristiana? Penso sia una sfida molto interessante da porci esplicitamente: il laboratorio culturale ed interculturale migliore è l’oratorio. La sesta tappa ci interroga su quanto la nostra comunità educativa sia aperta al mondo e al nostro tempo: con le novità e l’approccio dei giovani del nostro oratorio; con le istituzioni che si occupano di educazione del territorio. Alcune domande per la verifica: • La nostra comunità sa interrogarsi e confrontarsi sulle sfide che ci propone il nostro tempo? Riesce a proporre momenti di approfondimento anche culturale? • Riusciamo ad intercettare e dialogare con i minori stranieri presenti in parrocchia? • Le opinioni e i suggerimenti dei giovani sono lievito per la vita della nostra comunità o li accogliamo con scetticismo e diffidenza? La proposta: Il percorso di preparazione alla GMG di Madrid, che coinvolgerà alcuni giovani della comunità, può diventare un’occasione per far conoscere a tutta la comunità educativa dell’oratorio il significato e i temi di questo appuntamento. 65


grand’estate 2011 - PARROCCHIE DI BOTTICINO

GREST:Giochest - Battibaleno

Proposta di animazione e attività per i bambini e ragazzi dalla 1° elementare alla 2° media; la proposta è pensata secondo una specie di rotazione che coinvolga tutte le nostre comunità parrocchiali: sarà attivato un apposito servizio di trasporto per permettere a tutti di partecipare. L’attività si svolgerà dal lunedì al venerdì con inizio alle ore 9.00 e termine alle 17.30; sarà possibile inoltre usufruire del servizio di accoglienza dalle ore 8.00. L’estate è un tempo tutto per noi...c’è voglia di giocare, c’è voglia di esprimersi, c’è voglia di mettere tutto l’impegno possibile per riuscire a rendere l’estate un tempo davvero per noi! I bambini e ragazzi, al centro delle nostre attenzioni, del nostro tempo, saranno aiutati con giochi, attività e varie proposte a rendere prezioso il loro tempo, a non sprecarlo, a comprendere che è un dono e come tale va fatto fruttare! Per fare tutto questo c’è bisogno dell’aiuto di tutti: - degli adolescenti e giovani che con una giusta preparazione, fin dal mese di aprile, possono animare, cioè dare un’anima al tempo dei ragazzi e anche al loro! - dei genitori che fidandosi della comunità cristiana pensano ad una esperienza di crescita completa per i propri figli e si rendono partecipi con la propria attenzione, disponibilità, comprensione e, perché no, con un po’ di aiuto nei servizi necessari al buon funzionamento dell’esperienza. - di tutta la comunità pronta a sostenere, più che criticare, l’impegno e la buona volontà di chi decide di dare tempo all’educazione anche durante l’estate! Così quest’estate...sarà un Battibaleno!

SETTIMANE (da Lunedì a venerdì) ATTIVITA’ 13-24 GIUGNO ENGLISH CAMP 13-17 GIUGNO GREST-GIOCHEST 17-24 GIUGNO GREST-GIOCHEST 27 GIU-1 LU GREST-GIOCHEST 4 LU-8 LU GREST-GIOCHEST 11 LU-15 LU GREST-GIOCHEST 18 LU-22 LU GREST-GIOCHEST 25 LU - 29 LU GREST-GIOCHEST 1 AG0 - 5AGO GREST-GIOCHEST 17 LU - 24 LU CAMPEGGIO 24 LU- 31 LU CAMPEGGIO 22 AGO-26 AGO CAMPUS 29 AGO- 2 SET CAMPUS 5 SET -9 SET CAMPUS

LUOGO ORARI don Orione 9.00-16,30 SAN GALLO 9,00-17.30 SAN GALLO 9,00-17.30 ORAT.MATTINA 9,00-17.30 ORAT.MATTINA 9,00-17.30 ORAT.MATTINA 9,00-17.30 ORAT.SERA 9,00-17.30 ORAT.SERA 9,00-17.30 ORAT.SERA 9,00-17.30

DESTINATARI elem -2 media I,II,III elem ele e medie ele e medie medie medie elementari ele e medie ele e medie Meritz cresimandi Meritz adolescenti don Orione 8.00-17,30 ele.-medie don Orione 8.00-17,30 ele.-medie don Orione 8.00-17,30 ele.-medie 66


Un battibaleno per il Grest 2011

VOGLIA DI IMPARARE A CONTARE I GIORNI

Un estate che, attraverso l’impegno di molti educatori e la partecipazione di moltissimi ragazzi, proverà a toccare quattro obiettivi fondamentali: la scoperta del tempo, il tempo personale, il tempo per gli altri, il tempo della grazia “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più”. La domanda di Sant’Agostino è una sfida educativa per l’oggi: cogliere il significato del tempo, custodirne il valore, superare il “tutto e subito” per gustarne lo scorrere. Ecco alcuni temi che impastano la proposta del Grest 2011 dal titolo “Battibaleno, insegnaci a contare i nostri giorni”. “Battibaleno”, come un fulmine che indica la velocità di un’azione o del tempo che Ai bambini, attraverso passa: un tempo che vola via e a fatica ci permette di affrontare le questioni più imporl’esperienza estiva, si tanti. Eppure cogliere il senso del tempo è questione chiave del vivere, è il Salmo 90 vuole insegnare quanto a ricordarcelo: “insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”. Il tempo corre rapido: ai bambini di quest’anno - attraverso l’esperienza estiva - vorremè prezioso il tempo mo insegnare quanto è prezioso perché imparino a spenderlo bene. Un’estate quindi perché imparino che, attraverso i Grest, proverà a toccare quattro obiettivi fondamentali: la scoperta del a spenderlo bene tempo; il tempo personale (nel quale scrivo la mia biografia e realizzo la mia vocazione); il tempo per gli altri (scoperta del tempo come dono ricevuto, che diventa a sua volta dono); il tempo della grazia (luogo dell’azione di Dio nel mondo). Le parrocchie, come ogni anno,sono dotate del manuale, contenente tutta la strumentazione pastorale (letture di approfondimento, incontri di catechesi sul tema, un corso di formazione per animatori, la storia, i giochi, i laboratori e le avventure), l’agenda dell’animatore (di formato tascabile che costituisce un vero e proprio accompagnamento per i nostri adolescenti), il cd multimediale (con balli, canti, strumenti per i disegni, spartiti). La storia del Grest racconta di una fabbrica di orologi ormai in disuso e di un bambino e una ragazza che cercano di scoprire da dove viene un misterioso ticchettio che si riesce a sentire solo di notte. Una storia contraddistinta da tre ingredienti principali: un piccolo giallo, l’ambientazione notturna come tempo magico per eccellenza, nel quale è più facile confondere il reale con il fantastico e la fabbrica abbandonata, luogo che racconta l’aggancio con la vita dei genitori dei nostri bambini e ragazzi. La fabbrica è un grande labirinto, con tante porte che immetteranno in stanze dove i protagonisti scopriranno una dimensione particolare del tempo. cessi di comunità che coinvolgano gli adolescenti non solo nelle tre settimane estive: un calendario che vede le prime pagine iniziare a svolgersi in queste settimane, attraverso i primi incontri locali creativi e di progettazione. In occasione dell’Anno Giubilare S.Arcangelo Tadini i grest delle parrocchie della diocesi passeranno una giornata a Botticino.

CAMPI

AL

ESTIVI

MERITZ

dal 17 al 24 luglio per i cresimandi dal 24 al 31 luglio per gli adolescenti 1°- 4° superiore

1° MiniSunBottiGame

per i ragazzi dai 10 ai 16 anni 12 giugno Botticino Sera Pallavolo sull’acqua 19 giugno San Gallo Calcetto umano 3 luglio Botticino Mattina Pallamano

2° SunBottiGame

proposta per squadre dai 16 anni in poi: 12 giugno Botticino Sera Pallavolo sull’acqua 19 giugno San Gallo Calcetto umano 3 luglio Mattina Pallamano 67


sabato 16 - domenica 17 aprile

domenica delle palme

GIORNATA DELLA GIOVENTU’ IN DIOCESI E A BOTTICINO

IN DIOCESI A BRESCIA Il tradizionale appuntamento della Veglia della Palme partirà dal piazzale del Castello per raggiungere piazza Paolo VI dove il nostro Vescovo Luciano presiederà la preghiera per adolescenti e giovani. Un buon modo per prepararsi alla Pasqua e all'estate in vista della giornata mondiale della gioventù di Madrid.

Il sito web dell’Unità Pastorale di Botticino.

La realtà del web è ormai entrata all’interno della nostra vita. L’ Unità Pastorale è presente in internet con una propria pagina web. L’indirizzo del sito è www.parrocchiebotticino.it. Potete trovare informazioni sulle tre realtà parrocchiali, i vari gruppi con i referenti, associazioni, espressioni della comunità, una galleria fotografica e con l’andar del tempo tante nuove informazioni.. Nel sito è possibile trovare anche una newsletter, un sistema utile per tenersi aggiornati alle varie iniziative, e un forum per poter condividere le proprie idee. Chi volesse partecipare a questa iniziativa o volesse contribuire con materiale può mettersi in contatto attraverso l’indirizzo di posta elettronica web@parrocchiebotticino.it 68


TORNEO DI CALCIO

all’oratorio di Botticino Sera

feste

Le d’estate nelle parrocchie dell’Unità Pastorale di Botticino

La società Uso Botticino invita tutti 18-22 maggio a partecipare al PRIMO TORNEO NOTFESTA UNITA’ PASTORALE TURNO DI CALCIO CAT. PULCINI per bambini nati nel 2001, nelle serate di DI S.ARCANGELO TADINI 23-24-27-28-maggio e 3-4-9-11 giugno alle ore 19,45 e 20,30 . Nelle serate dell’ 8 e 11 giugno alle 10 maggio-12 giugno Botticino Sera torneo calcio bambini ore 20,15 e 21,10 si svolgera’ il memorial “Anna e Demetrio” quadrangolare di caldomenica 5 giugno cio per bambini nati nel 2000. Partecipiamo alla manifestazione per confesta inizio estate dividere la gioia dei nostri bambini e per (Oratoriamo con estensione serale) divertirsi godendo di buon calcio, sana competizione sportiva e ..buona cucina! 20 - 26 giugno San Gallo Si coglie l’occasione per porgere a torneo Street Soccer tutti sinceri auguri di una Pasqua serena. Angelo Frassine,presidente USO Botticino 30 giugno-3 luglio Botticino Mattina

festa dell’oratorio

4-8 luglio Botticino Sera torneo Beach volley

FERRO

e METALLI

La parrocchia attraverso i volontari, promuove la raccolta di materiali ferrosi. Le famiglie o ditte che hanno ferro, alluminio,ottone...ecc. che vogliono eliminare, possono contattare i seguenti numeri telefonici 3338498643 oppure 3283108944, per accordarsi sulla modalità del ritiro che può avvenrire tramite le persone incaricate o indicare il luogo della raccolta.

22-24 luglio San Gallo festa di mezza estate 15 agosto Botticino Sera festa dell’Assunta

19-28 agosto San Gallo festa patronale S.Bartolomeo 2-3-4 settembre Botticino Mattina festa S.Faustino al Monte 9-10 settembre Botticino Mattina festa S.Nicola 23-25 settembre Botticino Sera Serainsieme inizio nuovo anno pastorale

69


PARROCCHIA BOTTICINO SERA RESOCONTO ECONOMICO 2010 al 31.12.2010

ENTRATE USCITE Comp.banc.attive 97,50 Inter. e compet. bancarie. 22.796,90 Ostie-Vino-cera (arredi sacri) 7.237,90 Collette messe/candele/serv. religiosi 54.073,46 Pubblicazioni e serv. litur.sussidi 6.064,68 Goccia, mattonelle, liberalità e varie 12.501,77 Cancelleria 9.998,12 Attività 5.729,76 Contributi pubblici e privati 314.980,10 Remunerazione clero e laici 7.821,00 Tasse e Den. Redd. (+ F.24) 10,326,08 Assicurazioni 13.394,99 Utenze (gas/elettr./acqua/ Telef./ 46.398,76 Iniziative parr. 44.698,74 Attività oratorio/centr.parr ebar 162.411,52 Raccolte finalizzate 46.997,57 RATE MUTUO 115.573,46 Attività Oratorio/Centro parr. 41.081,00 Rimborso prestiti 60.000,00 Manutenz. Ordinaria 18.688,58 Rimborsi utenze 11.020,92 Opere e manutenz. straordinarie 89.100,00 Prestiti 50.000,00 Giornate Seminario/Missioni/Caritas 6.985,20 Giornate Seminario/Missioni/Caritas 7.133,51 Prestiti vari 4.250,00 Partite di giro 38.948,00 Partite di giro 38.948,00 Totale 621.384,26 Totale 625.872,49 posizione debitoria al 31.12.2010 Verso banche 677.770,90 Mutui residui 632.894,10 Per lavori pregressi 94.296,00 Scuola don Orione ha chiuso l’esercizio con un avanzo di cas- Verso privati 247.000,00 sa di € 29.611,00 a fronte del quale si deve procedere all’ac- totale debito 1.651.961,00 cantonamento del TFR e a lavori di adeguamenti impianti.

PARROCCHIA BOTTICINO MATTINA RESOCONTO ECONOMICO 2010 al 31.12.2010 ENTRATE Entrate ordinarie Affitto fabbricato Interessi Attivi Feste e oratorio Contributi Enti privati Contributi Enti pubblici Contributi Curia Partite di giro TOTALE ENTRATE

55.969,53 3.500,00 145,60 34.176,02 5.250,00 129.970,30 20.000,00 14.525,25

249.011,45

USCITE Uscite Ordinarie Imposte 2% curia Interessi passivi Saldo opere e acconto rest.organ Assicurazioni Oratorio Rate mutuo Partire di giro TOTALE USCITE SALDO conti correnti Mutuo residuo DEBITO al 31 -12-2010

46.621,46 585,00 936,45 113.197,60 7.560,00 8.679,72 45.252,26 14.525,25

208.310,06

+108.951.36 - 349.860,98

- 240.909,62

PARROCCHIA SAN GALLO RESOCONTO ECONOMICO 2010 al 31 .12.2010 ENTRATE elemosine fer.e fest. serv.liturgico straordinarie off.candele uso strutture feste (utile) bar (utile) contributi partite giro

3.954,00 1.350,00 1.823,00 2.179,00 2.130,00 21.542,00 11.460,00 4.792,00 2.460,00

totale entrate

51.690,00

USCITE tasse/imposte culto oblazioni zona past. remuneraz. sacerdoti e rel. assicurazioni (09/010) Ris.luce,ac,gas,tel. stampe. strisc.sussidi manutenzioni varie debito ristrutt. orat. progetti oratorio partite di giro totale uscite 70

762,00 1.888,00 300,00 2.425,00 7.780,00 12.628,00 2.744,00 4.294,00 8.600,00 3.544,00 2.460,00 47.425,00


UNITA’ PASTORALE PARROCCHIE DI BOTTICINO

Pellegrinaggi - Gite 2010/2011 mercoledì 18 maggio 2011

Santuario della Madonna delle Lacrime Incoronata a Pontenossa (BG) Partenza ore 8,00. Arrivo al Santuario di Ponte Nossa (BG), nel 500° anniversario della Lacrimazione Miracolosa dell’immagine della Madonna. Tempo a disposizione per la preghiera personale, la Confessione e alle ore 11,00 la S.Messa. Pranzo. Nel pomeriggio proseguimento per la visita ai luoghi di Papa Giovanni XXIII a Sotto il Monte. Iscrizioni presso Segreteria, sacrestie ... Quota € 45,00 (pullman-pranzo).

SIRIA,

Un Santuario della Madonna è sempre un “luogo di grazia”, dove il Signore si fa vicino per mezzo della Vergine santa, la quale è la più vicina a Dio e la più vicina a noi. Nei santuari della Madonna si ascolta sempre l’eco delle parole di Maria che invita a fare quello che il Signore dice: rinnovamento del cuore e della vita, riconciliazione con Dio e con il prossimo, impegno nuovo di comunione.

SULLA VIA DI DAMASCO

Un viaggio veramente affascinante e unico. settembre/ottobre

1° GIORNO:In serata itrovo all’aeroporto e partenza per Damasco. All’arrivo trasferimento in albergo pernottamento. 2° GIORNO: Partenza per Maaloula, pittoresco villaggio annidato tra le rupi dove si parla ancora l’Aramaico, e visita al Convento dei Santi Sergio e Bacco. Proseguimento per il Krack dei Cavalieri. Pranzo in ristorante. Visita della fortezza crociata e continuazione per Latakya. Sistemazione in albergo. 3° GIORNO: Colazione. Pranzo in ristorante lungo il percorso. Giornata dedicata alla visita degli importanti siti archeologici di Ugarit, città risalente al terzo millennio a.C.; di Apamea, che rappresenta un esempio di arte ellenistica-romana meglio conservato in Medio Oriente; di Ebla, nella cui biblioteca reale furono recuperate oltre quindicimila tavolette incise con i caratteri cuneiformi sumeri. Arrivo in serata ad Aleppo. Sistemazione in albergo. 4° GIORNO: . Mattina dedicata alla visita di Aleppo: museo archeologico, la Cittadella e la Grande Moschea. Nel pomeriggio escursione a San Simeone, dove rimangono resti del complesso basilicale dedicato al Santo Stilita. 5° GIORNO: Partenza verso la grande diga di Assad sull’Eufrate e continuazione per Rakka.Proseguimento per Rasafa, anticamente chiamata Sergiopoli. È la più interessante città morta del deserto, dopo Palmira: qui fu martirizzato San Sergio. Arrivo a Palmira in serata. Sistemazione in albergo. 6° GIORNO: P Colazione. Mattinata dedicata alla visita di Palmira, la regina del deserto, e dei suoi tesori: tempio di Bel, arco di trionfo, teatro, cardo massimo, necropoli. Pranzo in ristorante. Al termine partenza per Damasco con arrivo in serata. 7° GIORNO: . Inizio della visita della città con il museo archeologico, la Grande Moschea degli Omayyadi e il Gran Bazaar. Nel pomeriggio partenza per Bosra antica città nabatea. Visita dell’imponente teatro romano. Rientro a Damasco nel tardo pomeriggio. 8° GIORNO: Visita dei luoghi della conversione di Paolo: la Via Recta, la chiesa di Anania, la Porta di San Paolo. Salita al Monte Kassium.Cena in albergo e pernottamento. 9° GIORNO: al mattino presto trasferimento in aeroporto per il rientro in Italia. Quota di partecipazione a noi riservato: € 1395,00 + € 35,00 gestione pratica. Totale € 1430,00 da catalogo € 1.570,00 + € 35,00 gestione pratica. Totale 1605,00. Supplemento: camera singola € 280,00. La quota comprende: Iscrizione individuale. Passaggio aereo in classe turistica Italia/Istanbul/Damasco/Istanbul/Italia con voli di linea - Tasse aeroportuali (tasse di imbarco/tasse di sicurezza/tasse comunali/adeguamento carburante) € 150,00 - Trasferimenti da/ per l’aeroporto di Damasco in pullman - Alloggio in alberghi di 5 stelle (4 stelle ad Aleppo) con sistemazione in camere a due letti con bagno o doccia - Vitto dalla 1° colaz.del 2° giorno alla cena dell’8° giorno - Spese per l’ottenimento del visto consolare - Tasse in uscita per via aerea dalla Siria - Visite, escursioni, con guida parlante italiano per tutto il tour in pullman - Ingressi come da programma - Assistenza sanitaria, assicurazione bagaglio e annullamento viaggio Europ Assistance. N.B.: È necessario il passaporto individuale valido almeno sei mesi oltre la data di partenza. Entro un mese prima della partenza devono pervenirci i dati anagrafici e gli estremi del passaporto (numero, luogo e data di rilascio, eventuale rinnovo e scadenza). Sul passaporto non devono risultare timbri d’ingresso e/o di uscita in Israele e/o qualsiasi dogana Israele/Giordania/Egitto.

Informazioni e iscrizioni presso sacerdoti, diacono o in segreteria . 71


DOMENICA DELLE PALME

XXV Giornata dei Giovani

SAN GALLO ore 17,00 benedizione ulivi presso oratorio e S.Messa con i giovani e per i giovani di Botticino BOTTICINO SERA ore 9,30 benedizione ulivi presso il don Orione, processione e S.Messa in Basilica BOTTICINO MATTINA ore 11,00 benedizione ulivi presso parco piazza del comune,processione, S.Messa in chiesa

Giornata penitenziale Celebrazioni comunitarie della Riconciliazione con la presenza di più sacerdoti per laConfessione

SAN GALLO LUNEDÌ’ SANTO ore 16,30 e 20,30 BOTTICINO SERA MARTEDI’ SANTO ore 9,00 (villag.),16,30 e 20,30 (ch.parr) BOTTICINO MATTINA MERCOLEDI’ SANTO ore 16,30 e 20,30 (ch.parr)

***GIOVEDI’ SANTO

Solenne celebrazione della Cena del Signore

con il rito della lavanda dei piedi BOTTICINO MATTINA ore 18,00 SAN GALLO ore 19,30 BOTTICINO SERA ore 21,00

(Ogni famiglia è invitata a consegnare la cassettina-salvadanaio per le missioni frutto dell’impegno quaresimale)

segue adorazione eucaristica dopo la celebrazione e nel giorno seguente

***VENERDI’ SANTO

Durante il giorno adorazione al Santissimo Sacramento Nelle tre parrocchie Ufficio delle letture e lodi ore 9.00 .Incontro per i ragazzi in chiesa ore 10.30 Confessioni individuali ore 16-17 (Botticino Sera) .

Solenne celebrazione della passione e morte del Signore

BOTTICINO MATTINA ore 15,00 SAN GALLO ore 17,30 BOTTICINO SERA ore 21,00 Adorazione e bacio del Crocifisso. Comunione.A Bott.Sera segue processione

La Croce rimarrà espota in chiesa per la preghiera e la meditazione dopo la celebrazione e nel giorno seguente.

***SABATO SANTO Giornata di preghiera e adorazione alla Croce

Nelle tre parrocchie: Ufficio delle letture e lodi ore 9.00 Incontro per i ragazzi ore 10.30 Confessioni individuali a Botticino Sera 9,30-11,00 e 15,00-19,00 a Botticino Mattina ore 15,00 -18,00 a San Gallo 17,00-19,00

Solenne Celebrazione della Veglia Pasquale

SAN GALLO ore 19,00 BOTTICINO MATTINA ore 21,00 BOTTICINO SERA ORE 23.00

***DOMENICA DI PASQUA

*S.MESSE come orario festivo

Ore 16,00: Vespri e Benedizione a Sera e a S.Gallo Ore 17,00: Vespri e Benedizione a Botticino Mattina LUNEDÌ DI PASQUA Botticino Sera: S.Messe ore 9,00 e 11,00 (chiesa parrocchiale) San Gallo:ore 11,00 S.Messa al Monte Dragone Botticino Mattina S.Messe ore 10 in chiesa parr. e ore 16 alla Croce degli alpini monte Paine


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.