Voce per la Comunità

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VOCE per la COMUNITA´ UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO

compagni di viaggio in comunione

NOTIZIARIO PASTORALE QUARESIMA 2011

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RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Presentazione

All’inizio della Quaresima viene portato in ogni famiglia il Notiziario per le tre Parrocchie di Botticino a servizio della pastorale in atto. E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale. Nelle prime pagine il tema sulla necessità della comunione nella pastorale; la lettera che il nostro Vescovo invia alle comunità cristiane della diocesi sulla pastorale degli immigrati:“Stranieri,ospiti,conc ittadini”. Alcune pagine presentano la Quaresima. L’inserto racconta “le donne della Bibbia”. Isidoro, che a ‘60’ anni si prepara al Sacerdozio, con il suo scritto ci invita a riscoprire in ognuno la chiamata di Dio. Sabato 23 aprile alla Veglia Pasquale Le pagine di pastorale familiare olDomenica 1 maggio ore 9,30 tre ad alcuni articoli sulla famiglia, 12 giugno ore 11,00 o ore 18,30 il corso per genitori e la BATTESIMI BOTTICINO MATTINA presentano rilfessione sulla valorizzazione delSabato 23 aprile alla Veglia Pasquale la ritualità in famiglia “ la liturgia Domenica 8 maggio ore 11,00 dei corpi”. Non mancano le pagine sabato 11 giugno ore 17,30 - 3 luglio ore 11,00 rigurdanti la Caritas (raccolta alimentari in quaresima), l’oratorio, BATTESIMI SAN GALLO la scuola don Orione, il carnevale; Sabato 23 aprile alla Veglia Pasquale iniziative in programma e la pre12 giugno ore 10,00 sentazione dei pellegrinaggi-gite I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i per l’anno 2011. figli sono invitati a contattare, per tempo, per accor- Conclude con il programma darsi sulla preparazione e sulla data della celebrazio- delle iniziative per vivere il tempo ne, il parroco personalmente o tel.3283108944 della Quaresima.

Licini don Raffaele, parroco cell. 3283108944 e-mail:rafaellic@tin.it e-mail parrocchia:parrocchiasera@alice.it fax segreteria: 0302193343 Mussinelli don Fausto tel. 3287322176 e-mail : donmussi80@gmail.com Zini don Giovanni tel. 3355379014 Loda don Bruno tel. 0302199768 Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881 Oratorio Botticino Sera tel. 0302692094 Scuola don Orione tel. 0302691141 sito web : www.parrocchiebotticino.it Suore Operaie abit. villaggio 0302693689 Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138 BATTESIMI BOTTICINO SERA

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI” PARROCCHIE DI BOTTICINO ORARI S.MESSE F estive

del sabato e vigilia festivita ’ SERA CASA RIPOSO ore 16,15 SERA VILLAGGIO ore 17,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 18,45 SERA PARROCCHIALE ore 20,00 F e s t i v e d e l l a d o m e n i c a e f e s t i v i ta ’ SERA PARROCCHIALE ore 8,00 MATTINA SAN NICOLA ore 8,30 SERA PARROCCHIALE ore 9,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00 SERA PARROCCHIALE ore 11,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 11,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

SERA S.MICHELE ore 8,30 MATTINA MOLVINA ore 16,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

LUNEDI’

VENERDI’

MARTEDI’

MATTINA SAN NICOLA ore 8,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

MERCOLEDI’

GIOVEDI’

SERA VILLAGGIO ore 8,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 MATTINA S.NICOLA ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

SAN GALLO TRINITA’ ore 17,30 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

CASA RIPOSO ore 17,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00 2

Compagni di viaggio in comunione un cuor solo e un anima sola Dal sussidio per la quaresima preparato dal centro missionario diocesano questa indicazione: “Una delle caratteristiche dello stile pastorale di S. Paolo è stato il lavoro d’equipe: egli, infatti, si è attorniato di uomini e donne, giovani e anziani, nell’annuncio del Vangelo, nel suo lavoro di fondare e organizzare le comunità cristiane e nella determinazione delle strategie necessarie a far fronte ai problemi pastorali del suo tempo e a risolverli. La missione nasce dalla fraternità nella comunità, da legami di amicizia buoni che aiutano a far crescere la fede. In missione non si può fare da soli: al tempo di Paolo, come nel mondo complesso di oggi, è importante avere compagni di viaggio con cui confrontarsi e condividere scelte, gioie e fatiche.” Diventare «un cuor solo e un’anima sola» non è una proposta di vita destinata ad una élite di persone, ma un progetto pastorale per la parrocchia intera. Occorre chiedersi se le energie da essa profuse nella sua azione pastorale sono orientate a questo progetto o non sono, molte volte, distolte altrove e sprecate. Perché tutto, in fondo, è strumentale a questo obiettivo. Ogni iniziativa ha il suo indiscutibile valore. Ma tutto serve fondamentalmente a costruire la comunità e a renderla testimone autentica del Signore risorto. Alla parrocchia spetta, dunque, il compito di educare il popolo di Dio al dialogo e all’incontro, al confronto e alla collaborazione, alla condivisione e alla solidarietà reciproca, alla costante ricerca dell’unità, ricominciando ogni giorno e rialzandosi ogni volta che si inciampa e si cade. La comunione evangelica è una comunione a caro prezzo. È quella che passa dalla croce. Perché non c’è resurrezione senza croce. Non c’è comunione senza disponibilità a spendere se stessi, a perdersi. La croce ci disturba, ci imbarazza, ci da fastidio, ci turba, ci umilia, ci pesa, ci schiaccia. Per questo la parrocchia deve spendere se stessa, svolgendo il suo improrogabile ruolo educativo. Il tempo quaresimale è un invito alla conversione. Ai fini della comunione quali conversioni? Ne indico alcune sulle quali puntare il nostro impegno: Convertirci al rinunciare a un po’ del «calduccio» del proprio recinto per uscire fuori andando alla ricerca di chi è escluso dalla comunione, per accoglierlo incondizionatamente. Convertirci al non coltivare il proprio «orticello» per imparare a lavorare insieme nella vigna del Signore. Convertirci ad ascoltare chi ha un ruolo di guida nella Chiesa, accettando orientamenti pastorali ineludibili.. Convertirci ad accogliere i carismi di tutti imparando lo stile della complementarità e della corresponsabilità.. Convertirci al rinunciare ai propri progetti per realizzare un progetto comune, cominciando per esempio ad accettare che il proprio calendario di gruppo sia subordinato a quello parrocchiale e dando quindi la precedenza ai momenti di formazione, di programmazione e di verifica comunitari Convertirci al cercare le cose che uniscono e a trascurare quelle che dividono. Convertirci alla gratuità e alla libertà del dono di se stessi, del proprio tempo, delle proprie qualità e competenze. Convertirci soprattutto al mettere al centro Cristo, la sua Persona, la sua Parola, perché è solo attorno a lui che è possibile fare unità. L’augurio è che nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie possiamo ripetere, in questa Quaresima, l’esperienza dei primi cristiani e vivere la vocazione di apostoli, insieme, come autentici compagni di viaggio che testimoniano e annunciano il Vangelo di Gesù. don Raffaele 3


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una pastorale d’INSIEME a servizio della

PARROCCHIA,

COMUNIONE

L’esperienza dell’Unità Pastorale in atto ci dice che una delle più grosse difficoltà con cui oggi il parroco deve misurarsi non consiste tanto nella responsabilità pastorale in sé che gli viene affidata, né nella individuazione o nella scelta di un progetto, né nel discer-

nimento di quali possano essere i potenziali collaboratori con i quali condividere la stessa responsabilità, quanto piuttosto nel promuovere e nel realizzare una autentica pastorale d’insieme. Il coordinamento, attorno a linee comuni, di tutti i soggetti - singoli e comunitari - che ruotano nell’Unità Pastorale sembra essere sempre più un’impresa ardua, un ostacolo talvolta insormontabile, fino al punto che il parroco che si propone di affrontarlo e superarlo, educando ad uno stile di comunione, corra il rischio di arrendersi e rinunciare. Avere dei punti di riferimento unitari - il parroco e il Consiglio pastorale ( con il gruppo di quanti esercitano un servizio nella pastorale)- sembra essere considerato, infatti, molto spesso, un inutile intralcio che mortifica la creatività e la spontaneità dei singoli e delle singole parrocchie. Ciò che accade a livello sociale, dunque, si ripresenta con le stesse caratteristiche nell’ambito ecclesiale: il soggettivismo e l’individualismo caratterizzano il più delle volte lo stile delle persone e dei gruppi; la tendenza a coltivare il proprio «orticello» e a guardare con sospetto e rivalità all’erba del vicino si afferma con sempre maggiore naturalezza; l’arbitrarietà delle decisioni e della messa in atto di iniziative le più disparate viene difesa come legittima autonomia suffragata da una personale e libera interpretazìone della democrazia nella Chiesa; inoltre un atteggiamento difensivo e a volte anche aggressivo denota il persistere di pregiudizi e di chiusura di fronte alle esigenze della conversione evangelica, dalla quale non si dovrebbe poter prescindere se si vuole vivere una vera esperienza ecclesiale. Un’altra tendenza può risultare altrettanto pericolosa e problematica: il tentativo cioè da parte di ogni gruppo,persona, o singola parrocchia di catalizzare a sé -in nome di una visione unilaterale della comunione - l’intera attenzione, esigendo che tutti esprimano consensi e sottoscrivano adesioni in ordine alle proprie «RIPENSARE» IL RUOLO personali proposte e iniziative. Nonostante le tante difficoltà, tuttavia, rimane come punto fermo e indi- DEL PARROCO E DEL LAICO scutibile la necessità di camminare - costi quel che costi - verso uno stile di vera La tensione alla alla comunìone non può essere vissuta che comunione ecclesiale, che va comunque costruito, giorno dopo giorno, attraverso un a partire da un nuovo modo di intendere il ruolo stesso del lento ma costante processo educativo che si rivela sempre più urgente e indispen- parroco ( in comunione con gli altri ministri ordinati presenti sabile. Le evidenti difficoltà non devono scoraggiare né spingere alla resa. Non c’è, nella comunità) e del laico nella parrocchia: infatti, testimonianza ecclesiale senza comunione nella pastorale. * un parroco che, per primo, creda nella priorità della dimen Forse ciò accade proprio perché «vivere nella comunione» costa qualcosa sione della Chiesa e della sua pastorale e che sia a ciascuno e nessuno può ottenere questo dono senza pagarne di persona il prezzo. anchecomunitaria E se è vero che ogni altro valore evangelico - la povertà, la speranza, la gioia, la vita; in grado di testimoniarla con le sue concrete scelte di fede, il perdono, l’amore... -può essere vissuto anche indipendentemente dalle scel- * un parroco che si converta operando il passaggio dal clerite e dalla coerenza di coloro che ci stanno accanto, la comunione con gli altri calismo alla comunità, dall’individualismo all’ascolto di tutti; non può che essere costruita insieme. un parroco che sappia guardare lontano e sappia credere nei Ma quali i criteri che dovrebbero guidare la realizzazione di una pastorale *traguardi a lunga scadenza, anche se difficili e impegnativi; organica nell’Unità Pastorale? Tra essi vengono evidenziati almeno quattro, a par- * un parroco che impari a coltivare uno sguardo d’insieme tire dalla teologia conciliare: senza perdersi in particolarismi, personalismi e ambiguità, 1) innanzitutto tutto quanto detto vale perchè ogni parrocchia al suo innello stesso tempo capace di valorizzare la persona senza terno viva questa comunione superando visioni di chiusura personale e di gruppi ma trascurare le situazioni particolari; (spiritualità di comunione); che si lasci educare dallo stile della comunione e 2) la necessità di valorizzare gli organismi di partecipazione, e in partico- *cheunaparroco sua volta diventi strumento di comunione, ed educatore lar modo il Consiglio Unità Pastorale come spazio e soggetto del coordinamento di dell’intera comunità parrocchiale. tutta la pastorale; 3) quindi il riconoscimento del ruolo di guida e di discernimento ultimo del Così anche il laicato - i singoli ma anche i gruppi - dovrà perparroco, in comunione con il Vescovo e con gli orientamenti pastorali della Chiesa; correre un suo itinerario di rinnovamento. 4) infine la presa di coscienza che esiste un progetto comune, con obiettivi Queste alcune importanti pietre miliari: pastorali chiari - in ordine alla evangelizzazione, alla catechesi, alla testimonianza, * lasciarsi educare al discernimento comunitario e all’accoalla missione, alla promozione umana, all’impegno educativo - alla cui realizzazio- glienza di due doni indispensabili dello Spirito, specie all’inne tutti, in base ai carismi di ciascuno, devono poter concorrere. terno di un Consiglio Pastorale e di quanti operano nella Ma poi nella quotidianità, valgono anche altri criteri di più immediata pastorale a ogni livello: il dono del consiglio e della saggezza; identificazione, come per esempio: chi svolge un servizio pastorale essere presenti * superare la tendenza all’autoreferenzialità che strumentaal Consiglio Pastorale e all’incontro di tutti gli animatori pastorali delle tre parroc- lizza la parrocchia in vista di un proprio tornaconto e ne morchie, per condividere le proprie iniziative e partecipare alla comune formazione, tifica l’identità e la missione; programmazione e verifica; dare la precedenza nell’organizzare appuntamenti co- *assumere alcuni importanti criteri di verifica del proprio stile muni che abbiano un respiro più ampio; non prendere iniziative arbitrarie in ordine di vita e del modo di porsi in parrocchia: il confronto con gli a scelte che investono la parrocchia nel suo insieme, ma consultare il parroco e il autentici valori evangelici, l’incidenza apostolica del proprio Consiglio Pastorale; non sprecare risorse ed energie in iniziative parallele.... operato, la testimonianza della carità resa alla comunità e al territorio.

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spenditi per diventare un cuor solo e un'anima sola

n tema come questo, inevitabilmente, passa a setaccio la vita di tutti, nessuno escluso. E anche se si è tentati di pensare che l'imperativo espresso in queste parole riguardi solo e sempre gli altri, mai noi stessi, sappiamo tuttavia che la Parola di Dio ci interpella personalmente e a nulla vale leggerla se non ci si lascia neppure scalfire da essa. L'essere «un cuor solo e un'anima sola» della Chiesa primitiva è spiegato spesso dagli esegeti più come un obiettivo ideale con il quale confrontarsi, che come la descrizione letterale di una realtà vissuta storicamente. E dobbiamo ammettere che, in fondo, ci fa anche comodo questa chiave di lettura. È meglio, tutto sommato, credere che si tratti solo di un bel progetto ideale e niente di più. L'ideale non impegna necessariamente nell'oggi e nel qui della storia. Un ideale può anche essere sognato per anni, cullato nell'intimo dei propri pensieri, purché rimanga innocuo, purché non disturbi la quiete quotidiana, gli schemi mentali, i propri stili di vita. L'esperienza dei nostri limiti e di quelli altrui, che tocchiamo con mano tutti i giorni, non ci permette di guardare più in là del nostro naso per continuare a credere in ciò che spesso non vediamo e non sperimentiamo. È comunque condivisa da molti anche un'altra interpretazione del testo biblico: la comunità delle origini non è solo un modello irraggiungibile e per questo appunto «ideale». È piuttosto una meta verso cui tendere, una strada tracciata lungo la quale camminare e correre, un programma di vita da scegliere ogni giorno e da costruire con fatica e speranza, passo dopo passo, forse senza raggiungerlo quasi mai pienamente, ma sempre coinvolgente. È questa la via della concretezza, che insegna a costruire con il sudore della fronte ciò in cui si crede fermamente. Non è la via dei sogni e delle chimere che portano a disprezzare la realtà e a prenderne le distanze. Non è un mitico ed immaginano Eldorado, meta di favolose ricchezze di cui impossessarsi a discapito degli altri, ma un tesoro che si conquista solo perdendo se stessi e di cui si può godere solo se si è disposti a condividerlo con tutti. La sua realizzazione però non dipende mai solo da alcuni, ma esige di essere desiderata, cercata, costruita, sudata da tutti per essere, raggiunta. Da soli è impossibile costruirla. Prima o poi si rischierà di abdicare o soccombere. Ma il sospetto che a volte si insinua è che forse non sempre è da tutti desiderato e cercato questo ideale di vita. C’è chi si chiede: «Perché la Parrocchia dovrebbe diventare “un cuor solo e un’anima sola”? È troppo! Non esageriamo! Basta rispettarsi e cercare di essere civili.». Sono ragionamenti simili che rendono difficile il percorso della comunione nelle nostre comunità cristiane, che ostacolano i tentativi tesi a realizzare una pastorale d’insieme, che vanificano gli sforzi profusi per costruire unità pastorali, che scoraggiano

chi cerca di costruire ponti e si vede continuamente innalzare davanti agli occhi muri e barriere. Eppure, la parrocchia non può cessare di credere che è questa la strada da percorrere. Deve continuare a crederlo se vuole essere una comunità credibile. Ma non basta solo crederlo. Occorre spendersi a questo scopo. Perché la comunione evangelica è una comunione a caro prezzo. È quella che passa dalla croce. Perché non c’è resurrezione senza croce. Non c’è comunione senza disponibilità a spendere se stessi, a perdersi. La croce ci disturba, ci imbarazza, ci da fastidio, ci turba, ci umilia, ci pesa, ci schiaccia. Se Cristo è risorto - dicono alcuni, ignorando il significato teologico della Passione - perché attardarsi tanto sulla sua morte? Eppure, fino a quando questo frammento della vita di Cristo non attraversa la nostra vita, non ci sarà mai unità di cuori e di anima, non ci saranno mai progetti di comunione, non ci sarà mai pastorale d’insieme, non ci sarà mai testimonianza di vita comune gioiosa, segno del Signore risorto. Perché solo dopo la croce si può risorgere. Solo spendendo se stessi si può fare unità, sinceramente e non solo di facciata; con tutti, e non solo con chi ci va a genio. Cosa «spendere», allora, come parrocchia? Occorre spendere interamente la propria vita, educandosi alla mentalità del dono e non dell’attesa. Ciò sarà possibile nella misura in cui si sarà capaci a rinunciare alla ricerca di se stessi, del proprio successo, delle proprie ambizioni; ma anche alla tentazione ad assolutizzare le proprie esperienze e realtà aggregative, così come alla tendenza all’individualismo che isola dalla vita fraterna, scardinandola e indebolendola; ma anche all’accanimento della critica che avvelena e inquina ogni sforzo teso alla comunione. Ma sappiamo che «spendersi» per costruire l’unità vale davvero la pena, specie se si desidera acquistare quel «campo» dove si sa che è nascosto un tesoro di inestimabile unico valore (cfr. Mt 13,44).

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FONDAMENTO BIBLICO

Gesù ha lasciato, che chiama alla comunione, nella consapevolezza che è il Signore che fa capire, che apre i cuori di altri perché si uniscano. C’è la fierezza e la decisione dell’annuncio apostolico, ma non l’organizzazione di stringenti strategie missionarie. La comunità non vuole proporre se stessa, ma il suo vivere crea simpatia intorno ed è appello significativo per altri. Nel Nuovo Testamento troviamo anche altre im I sommari degli Atti degli Apostoli che ci magini interessanti esprimere la realtà della Chiesa. La presentano le caratteristiche della comunità cristiana sono Lumen Gentium ce per ne presenta una rassegna nei numeri 6 e molto famosi. Spesso ci si ritrova a leggerli con un profon- 7. Diverse di queste possono illuminare ulteriormente il sendo senso di nostalgia, immaginando tempi ormai perduti in so della comunione ecclesiale di cui ci parlano gli Atti degli cui gli ideali si facevano realtà. Se leggiamo con attenzione Apostoli. il libro e lo accompagniamo con le notizie che ci vengono Si parla di un piccolo gregge (Lc 12,32) che si lascia dalle lettere degli apostoli e dall’Apocalisse scopriamo che raccogliere dal pastore nell’unico ovile (Gv 10,1-15), di tralpoi, in realtà, più che descrivere l’esperienza in atto questi ci che costituiscono vite ( Gv 15,1-5), di pietre vive brani vogliono aiutarci a conoscere qual era il sogno che cu- che si compongonol’unica nella costruzione edificio, stodivano i nostri padri nella fede ed allora possiamo sentirci, dell’unico tempio di Dio ( ICor 3,9-17 ;l Ptdell’unico 2,4-10 ). Sono tutcome loro, affascinati da ciò che si intuisce essere il modo te immagini in cui per esprimere il legame che deve esserci per vivere l’ideale evangelico anche di fronte ad inevitabili tra i membri della comunità si passa attraverso il richiamo al insufficienze e compromessi, che ogni tempo ha cercato più legame vitale e decisivo con la persona di Gesù. L’esperienza o meno di fare e di giustificare. comunione che si vive nella Chiesa non ha infatti la fisio La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede di nomia di un sapiente accordo ed equilibrio di tipo umano, ma aveva un cuore solo e un’anima sola è il frutto di un vero rapporto di ciae nessuno diceva sua proprietà quello scuno con l’unica persona di Gesù. È che gli apparteneva, ma ogni cosa era l’unico criterio possibile e la vera fra loro comune.(Atti 4,32-35) . È uti- Non è uno scherzo lui forza di coesione su cui può puntare far parte le leggere per intero il versetto per non la comunità cristiana. pensare che si tratti qui di una specie di di una comunità. Tale relazione è talmente profonda sintonia sentimentale o intellettuale. Il che s. Paolo può utilizzare ripetuta«cuore» fa riferimento al centro della Significa costruire mente la famosa immagine del corpo persona, a ciò che conduce il pensiero e la comunione di Cristo (es.lCor 12,1-11). L’essere le scelte, 1’«anima» a tutte le espressioni membra di uno stesso corpo, in cui con gli altri vitali, a tutto ciò che di più nobile e veraCristo è il capo fa comprendere come e investire in mente umano si può sperimentare. E che anche il cuor solo e l’anima sola che questo progetto il riferimento sia estremamente concrela Chiesa esprime sono il cuore e to lo ribadisce il fatto che si precisa che tutta la propria l’anima di Gesù, che vuole vivere in un cuor solo ed un anima sola significa esistenza. tutte le sue membra. I cristiani non anche comunione dei beni, materiali e operano la comunione cercando di spirituali. Non accordi mettersi d’accordo, ma cercando in Non c’è una difesa di sé, di ciò sieme una sempre più grande fedeltà o equilibri che può essere vantato come proprio, Signore, rendendo sempre ma una donazione completa, una fiducia di tipo umano, ma la all’unico più radicale la loro scelta di Cristo, Personadi Cristo nel consegnarsi alla vita della comunità che è uno. ed alla cura dell’apostolo che consente è l’unico criterio D’altra parte l’immagine del corpo la piena circolazione dei beni, con la possibile e la vera aiuta a comprendere come sia prezioconseguenza che «nessuno era tra loro forza di coesione. sa la tipicità di ciascuno, come le dibisognoso». È proprio tale condivisione versità siano una ricchezza insostituche provoca la simpatia di tutti, insieibile dell’unico corpo ecclesiale, che me però ad un certo timore. Si capisce gli consente di vivere in diversi ambienti, con una pluralità che non è uno scherzo entrare a far parte di una comunità di manifestazioni impensabili se si fosse in presenza di realtà del genere, non c’è molto spazio per appartenenze deboli ed uniformi. incerte, sempre pronte a tirarsi indietro. È necessario lasciarsi Da tale «rivelazione» che la Parola di Dio ci offre coinvolgere ed investire tutta la propria esistenza nel costruire sul nostro essere Chiesa derivano moltissime conseguenze, la comunione con gli altri. che possiamo qui solo accennare. Intanto la necessità di una Il passaggio attraverso la comunione dei beni è parti- forte cura del legame con Gesù, della ricerca dell’obbedienza colarmente importante, viene sottolineato dal racconto degli all’unico Maestro. E se è vera e profonda la continuità fra la Atti, perché è lì che la fiducia negli apostoli ed il legame alla persona di Gesù ed il suo ecclesiale questo significa comunità assumono una concretezza che fa crollare ogni fin- una sempre nuova capacitàcorpo di contemplazione, che lo faczione. riconoscere nel volto concreto delle nostre comunità, una In At 2,42-48 troviamo l’altro sommario famoso in cia capacità di ascolto e di confronto all’interno della cui i tratti della vita comunitaria sono descritti come assidu- costante comunità per poter discernere verso quali vie vuole condurre. ità all’insegnamento, alla comunione, alla vita liturgica e di Essere parte dello stesso corpo, come dice Paolo, preghiera. Fin dal suo sorgere la comunità cristiana riconosce comporta il gareggiare nello stimarsi a vicenda (Rm 12,4di dover vivere di questi elementi essenziali, con una fedeltà 21), nel cogliere il valore delle diversità ed il che sia capace di caratterizzare la vita, non come una serie di ruolo specifico che ad ogniinsostituibile membro compete, secondo i caepisodi straordinari, magari esaltanti, ma con la pazienza, la rismi ed i ministeri ricevuti. Da questo deve nascere un proconcretezza e forse anche il limite di ogni giorno. Ma se è la gramma comune e condiviso, intorno al quale poter stringere vita che deve lasciarsi trasformare non può essere una serie di l’unico cuore e l’unica anima in una concretezza di sintonia eventi ciò che edifica ed esprime il proprio essere. che possa esprimere la condivisione dei beni, dei La preoccupazione che emerge da questi testi è quel- operativa, tempi e delle che ciascuno sa mettere in comune, perla di vivere davvero ed insieme quel comando che il Signore ché li dona alenergie suo Signore.

IL NUOVO COMANDAMENTO

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PROGETTO O IMPROVVISAZIONE?

Il volto della Chiesa del futuro è «la Chiesa della speranza» che pone l'accento in modo insistente sugli aspetti della comunione, della fraternità, dell'accoglienza, dell'apertura agli altri, fondati sulla centralità della persona e sulla valorizzazione delle relazioni umane. La parrocchia, in particolare, in forza del suo essere «chiesa che vive tra le case, vicina alla gente», è chiamata a divenire sempre più, nella vita quotidiana, testimonianza concreta di queste istanze pastorali. Tra le strade da percorrere con maggiore audacia, viene indicata dai vescovi italiani quella della «integrazione pastorale tra i diversi soggetti ecclesiali». Superando la logica «aggregativa», che tenderebbe a sopprimere le diverse identità, quella «integrativa» invece vorrebbe valorizzarle e ricomporle nell'unità a partire dalla condivisione di «progetti comuni», vincendo la tentazione di cedere a personalismi e competizioni che tradiscono la comunione ecclesiale, che è dono di Dio. La singola parrocchia ne è pienamente investita per quanto riguarda le relazioni che essa è chiamata a realizzare al suo interno. Chi ha esperienza diretta di vita parrocchiale conosce bene tutto il peso e la fatica che contiene in sé questo obiettivo pastorale. Piuttosto che «confluire entro progetti comuni», la tendenza, che non sembra purtroppo scomparire, spesso sembra essere quella di ricercare e coltivare interessi personali e di gruppo a scapito della comunione e dell'intesa con gli altri. E’ necessaria una verifica coraggiosa di come sia vissuta l'istanza della comunione nelle parrocchie, di quale sia il grado di maturità ecclesiale dei singoli e dei gruppi che operano al suo interno, di quale sia lo spazio concesso a progetti missionari e di apertura al territorio, di quali misure siano adottate per vincere le tendenze personalistiche che insidiano la comunione ecclesiale. Le parrocchie sono raramente testimonianza di quella spiritualità di comunione da cui dovrebbe scaturire ogni azione pastorale. Esse appaiono spesso come «arcipe19 GENNAIO 2011 laghi» di isole che non si incontrano e che non comunicano; come «contenitori» di una molteplicità di presenze e iniziative, molte volte senza alcun legame tra loro se non addirit- -Riprendendo i contenuti di uno scritto di mons. Tonino tura in competizione. La causa più frequente va individuata Bello, il parroco fa alcune considerazioni: come Chiesa, sicuramente nella povertà spirituale, nell'incapacità di anda- dobbiamo agire trasmettendo gioia e speranza in chi ci re alle radici della propria vocazione battesimale, nell'aver ascolta; dobbiamo operare con la convinzione di essere perso di vista il perché e l'origine dell'appartenenza ecclesia- “chiamati” e nello stesso tempo “inviati” ad essere il “porle, nell'aver dimenticato di essere stati convocati insieme da tavoce” del Signore; l’edificazione della comunità non è Cristo, di essere suoi discepoli, di essere stati investiti della compito solo dei ministeri ordinati, ma di tutti i battezzati. sua stessa missione. Ma va denunciata anche la mancanza di introduce poi l’argomento all’ordine del giorno - verifica e prospettive pastorale in atto. adesione a progetti pastorali comuni. -Occorre innanzitutto sapere che le parrocchie di Gli interventi che seguono esprimono una valutazione poBotticino hanno un progetto pastorale abbandonando l’idea sitiva della pastorale in atto incoraggiando a continuare che sia più giusto improvvisare, che si debba cioè vivere il cammino intrapreso. «alla giornata», con la scusa che lo Spirito non si può ingab- Riguardo alla realtà dell’Oratorio viene presentata l’atbiare e che occorre lasciarsi guidare di giorno in giorno dal tività catechistica, la necessità di intervenire sulla gestione suo soffio sempre nuovo. Eppure Gesù stesso, a proposito dei bar; sottolineata l’attenzione in particolare rivolta alla della decisione o meno di seguirlo, dice che nessuno può co- pastorale degli adolescenti. Necessità di favorire forme struire una torre se non si siede prima a calcolarne la spesa, di associazionismo come gli Scaut e l’Azione Cattolica e insegnandoci così la necessità della programmazione seria e prestare maggior attenzione alle attività già esistenti nelle parrocchie. Viene evidenziata la fatica che si fa nel ponderata di ogni scelta di vita (cfr. Lc 14,28). -Le modalità dell’elaborazione del progetto pasto- trovare persone disponibili per le varie attivtà in tutti gli rale. I Consigli Pastorali Parrocchiali e gli animatori (cate- aspetti della pastorale. chisti, ministri della liturgia,...) delle tre parrocchie a con- E’ allo studio, insieme agli organismi di curia preposti, alclusione dell’Anno in Missione (2006/2007), quindi dopo cune modifiche delle strutture degli oratori allo scopo di un percorso comunitario hanno condiviso e redatto questo renderli più rispondenti ai bisogni attuali. progetto. Punto di riferimento del progetto sono stati gli C’è chi propone di dedicare attenzione alla spiegazione orientamenti pastorali della Chiesa italiana e diocesana, ri- dei segni che vengono usati durante le liturgie. pensati a livello locale, contestualizzati nel proprio territorio, Si parla quindi di ANNO GIUBIULARE per il centenario calibrati secondo le reali esigenze, tradotti in un linguaggio della morte di Sant Arcangelo Tadini a tutti comprensibile, sminuzzati nel tempo perché possano Inizierà il 20/5/2011- e terminerà il 21/5/2012. Una essere effettivamente raggiunti e tutti possano sentirsene di- commissione con la partecipazione delle Parrocchie, degli rettamente partecipi. Tale progetto pastorale è stato assunto organismi diocesani e delle Suore Operaie stanno valudal nostro vescovo come linee guida dell’Unità Pastorale di tando alcune iniziative a livello diocesano (pellegrinaggi, liturgie,convegni... Per parrocchie di Botticino, in particoBotticino. -E’importante ora l’assunzione e la condivisione lare, al vaglio alcune proposte che vanno nella direziodel progetto pastorale: essere convinti della bontà di questo ne sia dal punto di vista liturgico, caritativo-sociale(posti stile ecclesiale, Le indicazioni contenute nel progetto non di lavoro e intervento caritativo in Etiopia dope opera possono essere recepite come un ostacolo, un impedimento, Isidoro), pubblicazioni e festa. Essendo S.Arcangelo diquasi una «camicia di forza», ma piuttosto come una risorsa ventato Patrono del Comune di Botticino nello stilare il per crescere nell'appartenenza alla Chiesa e nel servizio gra- programma dell’evento, verrà coinvolta l’Amministrazione comunale. Di particolare rilievo la professione religiotuito e disinteressato. sa di Erica e ordinazione sacerdotale di Isidoro Apostoli.

CONSIGLIO UNITA’ PASTORALE

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STRANIERI OSPITI CONCITTADINI

Efesini 2,19 Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio.

LETTERA ALLE COMUNITÀ CRISTIANE DELLA DIOCESI DI BRESCIA SULLA PASTORALE PER GLI IMMIGRATI

L’immigrazione in Italia è uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi anni, un fenomeno che è destinato a segnare in modo significativo il futuro del nostro paese come, d’altra parte, il futuro dell’intera Europa occidentale. Come è inevitabile, questo fenomeno produce una serie di problemi che è compito della politica affrontare e risolvere nel modo migliore. Ma il problema non è solo politico; è anzitutto un problema umano, quello dell’incontro, del confronto e dell’interazione di persone che provengono da paesi diversi, parlano lingue diverse e sono portatrici di culture diverse. Non mi è naturalmente possibile affrontare i numerosi e complessi problemi che questo fenomeno pone e che vanno ben al di là delle mie competenze. Ma come vescovo non posso non interrogarmi sul significato del fenomeno e sulla risposta che la comunità cristiana è chiamata a dare. Provo allora a dire quello che mi sembra sia l’essenziale.

ti benedirò…” Spinto da questa parola, Abramo è vissuto come (semi)nomade, ha percorso tutto il margine della mezzaluna fertile per giungere nella terra di Canaan dove ha abitato come straniero e ospite. E quando la terra di Canaan fu colpita dalla carestia, Abramo e i suoi discendenti cercarono altre terre dove poter sopravvivere e migrarono in Egitto. Diverso è il motivo della migrazione opposta, quella che dall’Egitto condusse i figli di Giacobbe verso la terra di Canaan al tempo di Mosè: fu la politica di sterminio da parte di Faraone a muovere Dio perché salvasse il suo popolo conducendolo verso un’altra terra. Ma proprio la storia dell’esodo ci dice il paradosso presente nel fenomeno della migrazione: gli Israeliti, minacciati di sterminio, migrarono verso la terra di Canaan; ma questa terra era già occupata e l’insediamento non poteva avvenire senza contrasti, guerre, sofferenze. Sarebbe ingenuo cercare nella Bibbia la soluzione ai problemi attuali dell’immigrazione; ma nell’esperienza di Israele possiamo intravedere la profondità del fenomeno, la sua complessità e anche le tensioni che inevitabilmente porta con sé. Sognare un mondo dove ciascun popolo abbia una sua terra, viva entro confini ben determinati e non abbia contrasti con altri popoli ed altre terre è illusione; e le illusioni servono solo a preparare risvegli più amari. Vale la pena prendere atto della situazione per imparare a controllarla e dirigerla al meglio; come?

1. Il fenomeno dell’immigrazione. La prima domanda riguarda le comunità cristiane: diocesi, parrocchie, gruppi ecclesiali; come debbono interpretare il fenomeno dell’immigrazione? e quale atteggiamento debbono tenere nei confronti degli immigrati? Non è difficile capire che il fenomeno delle migrazioni, degli spostamenti dell’uomo da una terra all’altra è antico quanto l’uomo stesso. Le condizioni di vita variano da un posto all’altro, si modificano col passare del tempo e l’uomo tende naturalmente a cercare quelle condizioni di vita che offrano opportunità più grandi e permettano un benessere maggiore. C’è una radicale inquietudine nell’uomo, che non gli permette mai di accontentarsi di quanto conosce e possiede e lo spinge a una conoscenza sempre più ampia, a una crescita incessante dal punto di vista economico, culturale, relazionale. Proprio per questo la storia dell’uomo è affascinante e tragica nello stesso tempo: è stata, ed è, un’immensa avventura che ha accresciuto nell’uomo la coscienza di sé e la cons pevolezza delle sue possibilità; che ha portato a una conoscenza e a un controllo maggiore sull’ambiente di vita fino a trasformarlo e a renderlo adatto alla vita dell’uomo. Basta pensare a quella straordinaria realizzazione che sono le città moderne con la loro ricchezza e complessità che permette di soddisfare un numero impensabile di bisogni e di desideri. Tutto questo, però, pagando un prezzo a volte elevato di sofferenze, paure, insuccessi. Credo che si debba vedere l’immigrazione all’interno di questo fenomeno più ampio e tipicamente umano: la ricerca di condizioni di vita sempre migliori, l’impulso ad allargare gli interessi e le relazioni fino a comprendere, al limite, tutte le persone. D’altra parte, la storia della salvezza inizia con una migrazione, quando il Signore disse ad Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti mostrerò. Io

2. Comunità cristiana e immigrati. È giusto anzitutto chiederci che cosa ci domanda il Signore attraverso questo imponente fenomeno. Giungono nella nostra terra persone che provengono da altre Chiese: cattolici provenienti dall’America Latina, ortodossi che vengono dall’Europa orientale, cristiani cattolici e protestanti che vengono dall’Africa e dall’Asia. Come comportarci? Ogni comunità cristiana è una realizzazione particolare dell’unica Chiesa santa, cattolica e apostolica. Ogni comunità cristiana è quindi chiamata ad accogliere i credenti battezzati da qualunque parte essi provengano: sono a pieno titolo membri delle nostre stesse comunità – come noi e non meno di noi. Questo richiede una sensibilità attenta sia da parte di chi arriva sia da parte di chi accoglie. Un cattolico che viene dall’America Latina arriva in una comunità cristiana organizzata, che ha una sua identità e una sua storia. Proprio perché identità e storia della Chiesa bresciana sono ricchissime è molto facile che chi viene da fuori si senta estraneo e abbia, all’inizio, l’impressione di essere respinto dalla nuova comunità: quanto più una comunità è ‘strutturata’, tanto più alta appare la soglia di ingresso. È necessario impegnarsi attivamente per offrire un’accoglienza calda; ci vogliono persone che prendano l’iniziativa di andare incontro ai nuovi arrivati, di interessarsi di loro, di introdurli poco

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alla volta nei diversi luoghi e alle diverse iniziative della parrocchia. Si tenga presente che una rete pastorale così fitta come quella presente a Brescia è abbastanza rara nel mondo e che quindi un certo senso di disorientamento diventa molto facile. Per questo non possiamo lasciare all’iniziativa degli immigrati tutta la fatica di inserirsi nella comunità; deve essere anche la comunità che se ne fa carico in modo esplicito. Anche nel caso più felice, però, i nuovi arrivati non potranno integrarsi immediatamente; hanno alle spalle tradizioni proprie, soprattutto pensano e parlano spontaneamente in una lingua propria. Anche se apprendono l’italiano, sarà difficile che riescano davvero a ‘pensare italiano’. Per questo la diocesi ha eretto una missio cum cura animarum, con il suo centro alla Stocchetta, che opera in vari luoghi del territorio diocesano grazie all’apporto di missionari di varie etnie. Alla Stocchetta viene celebrata regolarmente l’eucaristia nelle principali lingue (inglese, polacco e spagnolo); in altre chiese vengono celebrate Messe in francese, inglese (per gli Africani e per i Filippini), cingalese, ucraino. Partecipare a queste eucaristie celebrate nella lingua nativa permette ai cristiani immigrati di sentirsi a proprio agio, di comunicare con connazionali, di pregare secondo forme loro usuali. Sono convinto che per la prima generazione di immigrati questo servizio sia indispensabile; pur con le poche forze di cui disponiamo, dobbiamo cercare di garantirlo. Tutto questo non significa che le parrocchie di residenza possano disinteressarsi degli immigrati cattolici delegando tutto alla ‘Migrantes’. Anzitutto perché non tutte le domeniche sarà possibile per gli immigrati raggiungere questi centri etnici; ma soprattutto perché è importante che i nuovi arrivati si integrino nel territorio in cui risiedono. Ciò richiede che si creino legami di conoscenza e di stima con i cristiani residenti; che si vivano momenti di preghiera comune, di festa comune. Se un immigrato si sente cercato e accolto, si integrerà più facilmente nel territorio; e soprattutto avrà chiara la percezione che la fede crea tra tutti i battezzati un legame saldissimo, maggiore di quello che nasce dalla medesima cultura. Non sto esagerando. A chi gli annuncia: “Ecco tua madre e i tuoi fratelli ti cercano”, Gesù risponde: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?... Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre.” Gesù vuole dire che la condivisione della medesima fede crea tra le persone un legame più forte dello stesso legame di sangue, di parentela. Davvero la Parola di Dio ci rigenera; davvero a motivo di questa parola siamo figli di Dio; davvero l’essere figli di Dio fa di noi dei fratelli e delle sorelle in senso reale. Questo legame di fraternità manifesta tutta la sua forza proprio nel rapporto con persone che non abbiamo mai visto né conosciuto prima e che tuttavia riconosciamo vicine a motivo del medesimo battesimo che ci unisce realmente a Cristo, del medesimo Spirito che anima i nostri sentimenti. In questa linea vanno valorizzate tutte le occasioni per introdurre i cristiani immigrati nella vita della comunità: feste, incontri di caseggiato, gruppi di ascolto della Parola di Dio, devozione mariana; e vanno colte le occasioni di incontro e di aiuto reciproco. Un ragionamento analogo andrà fatto per i cristiani ortodossi e per i protestanti o evangelici. A livello della carità, della comunione della collaborazione e dell’aiuto reciproco non ci sono limiti; a livello dell’espressione della fede (cioè per la partecipazione ai sacramenti) bisogna che tutto sia fatto con chiarezza e senza ambiguità; la confusione non giova a nessuno. Per i particolari rimando ai diversi documenti della Santa Sede nonché al prezioso “Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici” pubblicato dalla Cei.

Un problema nuovo e complesso riguarda i movimenti, le sette, le molteplici comunità religiose che, nate in Africa e in America Latina, si stanno impiantando anche in mezzo a noi e attirano numerosi seguaci. Da una parte, questi movimenti sono il segno del forte bisogno religioso che è presente nella nostra società; dall’altra parte, però, si tratta di esperienze radicalmente lontane dalla fede cattolica. Alla loro origine non sta la rivelazione concreta, storica di Dio in Gesù di Nazaret, ma la soddisfazione di un bisogno psicologico soggettivo. Per questo è necessaria una grande cautela. Bisogna che i nostri fedeli siano avvertiti del pericolo che questi movimenti rappresentano per la fede; e bisogna che la nostra prassi pastorale sia chiara, non ambigua. Non deve passare l’idea che si possa essere cristiani mettendo insieme esperienze religiose contraddittorie. È per questo motivo che non si debbono offrire (o affittare) gli ambienti parrocchiali per incontri di questi movimenti o per pratiche psicologiche che sconfinano nel religioso.

3. Il dialogo con credenti di altre religioni.

Naturalmente i problemi più difficili si presentano nel rapporto tra la comunità cristiana e immigrati di altre religioni: musulmani, induisti, buddisti… Con tutti questi non c’è evidentemente una comunione di fede. Possiamo allora disinteressarcene? Naturalmente no. Dobbiamo partire dalla convinzione che tutti gli uomini formano una famiglia unica, voluta e creata da Dio. C’è dunque un amore eterno e generoso di Dio che si rivolge verso ogni creatura umana; e se Dio ama ciascun uomo, lo stesso amore aperto a tutti è chiesto a ciascuno di noi. Non possiamo disprezzare nessuno, non possiamo essere indifferenti all’esperienza di nessuno; siamo chiamati ad amare tutti e cioè a volere e difendere la vita di tutti. Su questo non ci sono dubbi o incertezze. Naturalmente questo non significa essere relativisti e cioè pensare che tutte le religioni siano

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uguali e che tutte le appartenenze religiose si equivalgano. Può confondere le religioni in una miscela indistinta solo chi non le conosce o chi ritiene che nell’ambito della religione non ci sia questione di vero e falso, ma solo di preferenze personali. Non è certo questo la concezione cristiana della religione. Noi siamo convinti che Dio si è rivelato in pienezza nella vita, nella morte e nella risurrezione di Gesù di Nazaret; siamo quindi convinti che la rivelazione dell’amore di Dio che ci è data in Gesù e che il comandamento dell’amore fraterno siano ‘veri’ e cioè comandino la sottomissione della nostra intelligenza, l’obbedienza della nostra vita. Ma questo non ci porta a disprezzare le altre religioni e gli altri credenti. Anzitutto perché tutte le religioni conoscono e proclamano alcuni aspetti veri di Dio e dell’uomo e possono favorire la crescita della convivenza umana nel rispetto reciproco. In secondo luogo perché la persona umana è un soggetto cosciente di sé, libero e responsabile; è un dovere etico rispettare il cammino di libertà responsabile che ciascuno riesce a percorrere. L’unico atteggiamento personale davvero disprezzabile è quello inautentico, cioè quello che non si lascia guidare dalla verità conosciuta, ma che ‘bara al gioco’ e cioè rifiuta per interesse o per capriccio quello che pure sa essere vero; insomma, quello che non è pulito nella coscienza. Ma il giudizio sulla coscienza delle persone solo Dio è in grado di darlo. Noi possiamo solo vedere l’esterno, ipotizzare i processi che stanno dietro ai comportamenti, ma senza dare giudizi definitivi. Per questo è doveroso verso tutti quell’amore che accetta cordialmente l’esistenza dell’altro, considera questa esistenza una ricchezza per il mondo e per se stessi, prende posizione a favore della vita dell’altro in modo da proteggerla, per quanto è possibile. Con tutti gli uomini i cristiani condividono l’esistenza, con tutti sono destinatari dell’amore di Dio; di conseguenza sono chiamati a collaborare insieme con tutti nelle cose che favoriscono il bene sociale: si pensi all’attività economica, alla vita politica, al volontariato, alle diverse iniziative che possono essere prese a favore della pace, della concordia tra i popoli, della difesa dell’ambiente e così via. Spesso accade che bambini e ragazzi di altre religioni partecipino alla vita degli oratori e costruiscano nell’oratorio rapporti sinceri di conoscenza, di rispetto e di amicizia. Sono esperienze da incoraggiare perché creano fiducia e contribuiscono a migliorare il clima stesso della convivenza sociale. L’unica avvertenza è che la presenza di ragazzi di altre religioni non affievolisca l’impegno di fede, di maturazione ecclesiale dei gruppi di ragazzi. L’oratorio è luogo aperto a tutti, ma con una proposta forte di impegno umano ed ecclesiale. È positivo che la comunità cristiana organizzi o partecipi a momenti di dialogo, confronto, festa insieme con tutti. Questi momenti, se sono compiuti correttamen-

te, favoriscono l’incontro tra le persone, sciolgono alcuni sospetti e timori istintivi, creano ponti di collegamento che superano l’isolamento e diminuiscono la paura. Certo, bisogna avere coscienza delle diversità culturali, dei modi diversi nei quali le singole culture si esprimono, dei valori che vengono messi in gioco. Non è con il cosiddetto ‘buonismo’ che si matura; col termine ‘buonismo’ intendo l’atteggiamento che si preclude per principio di vedere le cose negative, di individuare gli ostacoli e gli errori; che giustifica ogni cosa e vuole omogeneizzare le culture senza prendere seriamente coscienza delle diversità e a volte delle opposizioni che sono presenti. Il dialogo ha bisogno di una grande apertura di orizzonte e quindi di studio accurato, di equilibrio nell’interpretazione, di saggezza nelle decisioni; un buonismo irenico finisce per produrre danni maggiori. Per questo motivo bisogna essere prudenti a organizzare momenti di preghiera insieme. Si tratta di cosa buona che può favorire il rispetto reciproco; ma è necessario evitare i rischi di sincretismo o di relativismo, come se le diversità di fede e di preghiera fossero irrilevanti. È vero che Dio è più grande di tutte le nostre idee e di tutte le nostre immagini. Ma non è vero che, per un cristiano, qualsiasi idea o immagine di Dio sia accettabile.

4. L’annuncio del vangelo a tutti. Tra i compiti della comunità cristiana sta necessariamente quello dell’annuncio del vangelo a tutti, nessuno escluso. Siamo convinti ch in Gesù Cristo Dio ha mostrato e donato il suo amore a tutti gli uomini; possiamo solo desiderare che tutti gli uomini riconoscano e accolgano l’amore di Dio. Per questo l’annuncio missionario del vangelo è un atto di amore; nasce dal desiderio sincero di fare conoscere l’amore di Dio e dall’amore sincero verso tutti gli uomini. Chi nel suo cuore disprezza gli altri o li considera inferiori o li esclude dalla sua amicizia, per ciò stesso diventa incapace di annunciare loro il vangelo. La missione o nasce dall’amore o non è missione. Forse proprio qui sta la distanza della missione autentica dall’indifferenza e dal proselitismo. L’indifferenza non si prende cura alcuna degli altri: vede che esistono ma volta lo sguardo da un’altra parte; si preoccupa solo di difendere il suo benessere e la sua presunta superiorità. A sua volta il proselitismo nasce dal bisogno di rendere più forte la propria parte (e quindi se stessi); considera l’altro come un patrimonio potenziale di cui appropriarsi; mette in opera tutti i mezzi per conquistare l’altro al proprio ‘partito’ religioso; non nasce dall’amore per l’altro, ma dall’affermazione di sé. Possiamo condurre gli uomini a credere nell’amore di Dio solo amandoli concretamente, con un amore sincero e generoso, con una prassi di vita che sia fraterna e accogliente. Danno di Dio una pessima immagine coloro che si mostrano fanatici o faziosi o settari; coloro che disprezzano chi non ha la loro fede; coloro che respingono con indifferenza chi non condivide il loro modo di pensare e di agire. 5. La responsabilità politica dei cristiani e l’immigrazione. Ma il problema dell’immigrazione non riguarda solo la prassi della comunità cristiana al suo interno. I cristiani sono chiamati a partecipare alla vita politica che definisce i parametri della convivenza delle persone; e debbono fare questo in un modo che sia coerente con la loro fede. Che cosa significa questo? Quali sono le conseguenze del vangelo nel modo di affrontare il problema dell’immigrazione? Vorrei stare lontano da ogni massimalismo che abbraccia una posizione, la estremizza senza sfumature, e si rifiuta di

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prendere in considerazione le opinioni e le motivazioni altrui. Per questo mi sembra insostenibile sia la posizione di chi ritiene necessario ‘accogliere tutti’ sia quella di chi vuole ‘chiudere a tutti’. L’accoglienza dell’altro che il vangelo chiede – e la chiede davvero! – deve saggiamente fare i conti con le possibilità concrete, in modo che l’accoglienza non produca danni maggiori. Accogliere tutti indiscriminatamente può provocare alterazioni traumatiche della vita economica, delle relazioni politiche, delle relazioni culturali e della coesione sociale. A soffrirne sarebbero non solo coloro che accolgono, ma anche quelli che vengono accolti e che si troverebbero in una società impoverita, incapace di dare a loro la speranza che cercano. Viceversa ‘respingere tutti’ è oggettivamente impossibile. C’è un dovere riconosciuto con accordi internazionali di accogliere i rifugiati che fuggono da condizioni di ingiustizia e di oppressione; a questo dovere nessun paese può legittimamente sottrarsi. E c’è un dovere di solidarietà di non rifiutare l’aiuto a chi vive situazioni di povertà. I beni della terra sono di tutti; debbono servire per il sostentamento di tutti. Chi (come noi) ha ricevuto in eredità una condizione privilegiata deve rendere grazie a Dio ma deve, nello stesso tempo, sentire e vivere la responsabilità verso chi è stato meno fortunato. Per di più, del lavoro di immigrati abbiamo bisogno: molti nostri anziani vivono decentemente la vecchiaia per l’assistenza di tante badanti; molti posti dell’industria e dell’agricoltura sono coperti da immigrati; molti servizi vitali dipendono da loro e così via. Rifiutare tutti gli immigrati significherebbe un abbassamento drastico del nostro stesso tenore di vita. Il fatto che nessuna delle due tesi estreme sia accettabile significa che la soluzione può essere cercata solo attraverso l’equilibrio dei valori che sono in gioco e che sono diversi: valori politici, economici, personali (sicurezza delle persone; ordine sociale; rispetto dei diritti di ciascuno; produzione di beni e loro equa distribuzione; dignità della persona; possibilità di guadagnare il necessario per vivere e per mantenere la propria famiglia e così via). È difficile avere una formula precisa che determini quanti e quali immigrati si debbano accettare, quanti e quali si possano rifiutare. Ma proprio questo dovrebbe avvertirci che il dibattito non è tra buoni e cattivi, ma tra valutazioni diverse dell’equilibrio migliore. Possiamo appassionarci per la nostra valutazione, ma non dobbiamo considerare quelli che pensano diversamente indegni di attenzione o di rispetto: questo altererebbe il confronto e lo trasformerebbe in conflitto, anzi in un conflitto non risolvibile. Bisogna piuttosto imparare a riflettere sui dati concreti e sulle motivazioni reali: su questi il confronto può essere fecondo e può condurre a giudizi più intelligenti, a decisioni più sagge. Non sono quindi in grado di risolvere una volta per tutte il problema. Credo però si possano ugualmente dire alcune cose. La prima è che chi lavora presso di noi e contribuisce in questo modo al nostro benessere ha il diritto di vedere riconosciuta la propria attività e di essere messo in regola. Se un’immigrata accudisce un anziano italiano e compie in questo modo un reale servizio al benessere della nazione italiana ha il diritto di essere regolarizzata. Certo, l’Italia può scegliere di fare a meno di immigrati e provvedere da sé ai suoi bisogni; ma se non riesce a fare questo e i suoi cittadini fanno ricorso a immigrati per compiere un servizio utile, che migliora il benessere degli Italiani, l’Italia non può rifiutare a queste persone il riconoscimento giuridico e la garanzia di quei servizi che noi abbiniamo coerentemente al lavoro (sanità, scuola). Quando una coppia di Italiani mette al mondo un figlio, lo Stato riconosce a questo figlio tutti i diritti propri dei cittadini italiani. Quando un Italiano fa lavorare un

operaio per la sua ditta – il cui profitto va a beneficio di tutta la nazione – oppure gode di un servizio alla persona che lo Stato non è in grado di garantire, il riconoscimento giuridico è, mi sembra, moralmente doveroso. E un politico che voglia dirsi cristiano è chiamato a favorirlo. Così mi sembra da migliorare la norma che toglie automaticamente il permesso di soggiorno a chi perde il lavoro. La logica di questa norma appare del tutto egoistica: “Finché mi servi, ti tengo e faccio uso della ricchezza che produci; ma, appena la tua presenza smette di servirmi, ti caccio.” Un meccanismo di questo genere è non solo ingiusto in sé, ma giustifica nel sentire comune un modo di ragionare egoista e perciò pericoloso. È illusione credere che questo sentimento possa essere controllato e diretto solo verso gli immigrati; una volta ammesso per gli immigrati, tende necessariamente a diffondersi in tutte le direzioni e contribuisce ad avvelenare anche il tessuto sociale italiano. Si provi anche solo a immaginare il carico di insicurezze che produrrebbe questa logica quando venisse applicata alle diverse dimensioni della vita sociale. Va ricordato anche il problema dei bambini nati da genitori stranieri (che non hanno la cittadinanza italiana) in Italia e che da sempre risiedono in Italia. A loro la legge attuale, riconoscendo solo lo ius sanguinis, non riconosce la cittadinanza italiana. Il problema è spinoso perché questi bambini sono, dal punto di vista culturale, italiani: parlano la nostra lingua, frequentano le nostre scuole e vivono i rapporti di amicizia e di dialogo con ragazzi italiani; godono e soffrono le nostre ricchezze e le nostre povertà. Costringerli a essere cittadini di uno Stato che non conoscono (quello dei loro genitori) e rifiutare la cittadinanza dello Stato che li ha educati, mi sembra illogico. Il rischio è fare di loro delle persone culturalmente apolidi: che non appartengono al paese dove abitano e non hanno niente a che fare col paese di cui hanno la cittadinanza. Per questo chiedo ai politici di fare il possibile perché questi bambini siano ammessi a pieno titolo nel nostro paese: sono una delle ricchezze che possono aiutarci a superare l’handicap del declino demografico; i nostri figli hanno interesse (anche economicamente) ad averli come compagni di lavoro e di vita. È evidente che la persona non può essere pensata senza la sua famiglia. Bisogna quindi cercare di favorire i riavvicinamenti familiari. Se accogliamo un emigrato, non possiamo rendere impossibile per la sua famiglia raggiungerlo; e, nello stesso modo, dobbiamo favorire l’inserimento scolastico dei suoi figli. Bisogna considerare che un immigrato è, dal punto di vista economico, un guadagno significativo. Per condurre un bambino ita-

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DIOCESI DI BRESCIA: LA LETTERA DEL VESCOVO - DIOCESI DI BRESCIA: LA LETTERA DEL VESCOVO - DIOCESI DI BRESCIA: LA LETTERA DEL VESCOVO - DIOCESI DI BRESCIA che la comunità cristiana può correre non si può immaginare che l’uomo sia porto si riduce a mero sfruttamento. liano all’età in cui può lavorare e produrre, la famiglia spende un patrimonio significativo e lo stato impegna servizi e in “soccorso” della quale arriva ap- senza sentimenti negativi. Il problema Per questo la ricchezza costruita ancostosi. Ricevere come operaio un giovane di venti, trent’anni significa godere il frutto del lavoro di un adulto senza punto “Stranieri, ospiti, concittadini”. sta proprio nel riuscire a riconoscerli, che col lavoro di tanti immigrati accoaver dovuto spendere nulla per formarlo. Quello che lo Stato può spendere per la sua famiglia e per la scolarizzazione Diversi sono i livelli da cui il Vescovo a capirli e a modificarli in modo che glienza giuridica nei loro confronti”. dei suoi figli è, in un certo senso, il pagamento di un debito. affronta il tema della presenza de- diventino più umani. Diritti dei bambini, ricongiungi Infine un politico è chiamato a evitare e impedire qualsiasi forma di discriminazione. Con questo termine gli stranieri nella comunità bresciana. Nella Lettera pone la domanmento familiare, lotta contro ogni formi riferisco a comportamenti vessatori che trasformano i diritti in scelte di compiacenza; che usano le lentezze buDiverse chiavi di lettura su cui mons. da delle conseguenze del Vangelo nel ma di discriminazione: nella sua Lettera rocratiche per sfiancare le persone e costringerle alla rassegnazione o alla rinuncia; che usano due pesi e due misure Monari affronta in questa intervista. modo di affrontare il problema dell’im- ribadisce alcuni concetti su cui in passaa seconda della nazionalità o del colore della pelle. Non è lecito a un cristiano approfittare della condizione di deboLa prima è quella del rapporto con migrazione. Una questione sicuramente to ha fatto sentire in modo chiaro la sua lezza del contraente immigrato per imporre contratti non equi (penso naturalmente ai contratti di affitto o di lavoro). Discriminare può sembrare una scelta vantaggiosa, se si considera solo il profitto economico; in realtà si tratta di un gli immigrati cristiani e con quelli di scomoda… voce… comportamento che usa l’altro come fosse una cosa e finisce – per una specie di effetto-boomerang – per corrodere altre religioni. “Sicuramente e rimanda a “Sì, quella centralità della l’anima di chi lo compie. È un veleno sottile che s’insinua nella coscienza delle persone e distrugge la loro sensibilità Eccellenza, nella sua Lettera un atteggiamento di fondo che è nel famiglia che molte volte viene proumana: quando so, anche se esternamente lo nego, di avere umiliato deliberatamente una persona, perdo la stima indica in questo caso una prospettiva cuore dell’etica cristiana e non solo. clamata nella vita sociale non può esdi me stesso, del mio valore di persona e questo produce in me insicurezza e pastorale che, probabilmente, è diversa È quell’ama il prossimo tuo come te sere rivendicata solo per le famiglie senso di privazione. Quando impongo un contratto non equo, inevitabilmente dalla quotidianità in cui la Chiesa locale stesso, cercare di vedere nel volto del italiane e non per quelle immigrate; sono portato a pensare che l’equità sia illusione e finisco per sentirmi io stesso agisce… prossimo l’immagine di quello che ogni pensare che è bene che ci sia attenin balia dell’arbitrio e dell’interesse egoistico degli altri. Insomma, l’ingiusti “Sarebbe sorprendente il uomo è, con le sue speranze, i suoi de- zione alle famiglie italiane mentre ci zia non solo priva chi la subisce di un diritto che gli compete, ma priva chi la contrario perché è difficile realizzare sideri, i suoi progetti. Ogni uomo deve si possa disinteressare di quelle degli commette della nobiltà che gli appartiene come ogni persona umana. perfettamente il Vangelo in tutte le cercare di superare quella tendenza immigrati è un errore perché anche diverse circostanze della vita. Bisogna istintiva a creare una distanza rispetto queste entrano a pieno diritto nel tes6. Conclusione. Ho voluto scrivere questa lettera per aiutare le co munità cristiane a prendere in considerazione e affrontare con serenità un imparare a integrare cristiani di altra all’altro. Deve invece cercare di fare suto della società. È quindi interesse fenomeno oggettivamente complesso. Il contenuto di questa lettera può locultura, e gli immigrati dentro le nostre entrare l’altro dentro il proprio peri- di tutti favorire il ricongiungimento devolmente essere ripreso e discusso nei Consigli pastorali per vedere quale comunità che, per parte loro devono metro di interesse, di attenzione. Cre- famigliare degli im-migrati e l’attensia la situazione concreta nella parrocchia (o unità pastorale), che cosa si stia essere accoglienti nei loro confronti. do che questa sia la conversione gros- zione nei confronti delle generazioni facendo e che cosa sia utile fare perché la comunità risponda efficacemente La Chiesa locale deve imparare sem- sa da compiere e una volta raggiunto future, di quei bambini, figli di immia ciò che il Signore si attende da lei oggi. Ogni situazione che viviamo è per pre di più a riconoscere in ogni uomo questo traguardo diventa meno ar- grati che pure crescono in mezzo a noi una domanda alla quale dobbiamo cercare di rispondere alla luce del vanuna creatura di Dio con un suo destino duo trovare ricette concrete che pure noi”. gelo. Quanto ho scritto è solo un piccolo capitolo del racconto che dobbiamo eterno, con un significato personale saranno sempre da modificare per- Chiudendo la Lettera ricorda scrivere insieme, mossi dallo Spirito del Signore. proprio e quindi stabilire con ogni per- ché non c’è nessuno che sappia esat- come il suo scopo sia di “aiutare le Brescia, 15 febbraio 2011 sona un rapporto di rispetto, di aiuto, tamente come ci si deve comportare in comunità cristiane ad affrontare con Solennità dei SS. Faustino e Giovita, di responsabilità reciproca. Questo è ogni circostanza”. serenità un fenomeno oggettivamente patroni della città e della diocesi il cammino della Chiesa di oggi come Lei afferma che quando uno complesso”. È convinto che quello della + Luciano Monari anche della Chiesa di sempre: un cam- straniero svolge un ruolo di rilevanza serenità sia oggi un sentimento che le Vescovo mino progressivo perché le situazioni sociale dovrebbe avere il diritto a un comunità possono realisticamente macambiano di anno in anno e chiedono riconoscimento giuridico. “E – scrive nifestare su questo tema? di adattare il nostro comportamento ancora nella Lettera – ogni politico che “Quello della serenità nell’affacendolo rispondere alle situazioni voglia dirsi cristiano è chiamato a favo- frontare un tema complesso come nuove che si presentano”. rirlo”. Tutto questo è qualcosa in più di quello dell’immigrazione è un attegINTERVISTA AL VESCOVO C’è un secondo piano, per al- un semplice appello, suona quasi come giamento necessario, perché solo la tro da Lei ricordato nel passaggio del- un dovere… serenità consente di avere delle vala Lettera quando scrive che “chi nel “Sì, è un dovere di cui biso- lutazione corrette e di prendere socuore disprezza gli altri o li considera gna prendere consapevolezza. A noi luzioni sagge. Se ci si lascia portare Presentata in occasione della festa di San Faustino la lettera “Stranieri, ospiti, concittadini” che il Vescoinferiori diventa incapace di annunciare viene sicuramente più facile pensare o da una spinta ideologica o da una vo ha indirizzato alle comunità cristiane della diocesi sulla pastorale per gli immigrati. Il documento non è una il Vangelo”. Eccellenza, non è infatti un l’accoglienza degli immigrati come paura psicologica dell’altro si corrisposta della Chiesa bresciana a recenti fatti che hanno riaperto la discussione sulla presenza degli stranieri. mistero che, anche nelle nostre comuni- un atto di amore nei loro confronti. La re il rischio di imboccare una strada tà, siano in tanti, per diverse ragioni, a loro accoglienza, però, risponde an- senza via d’uscita. Le scelte compiute Il testo era stato steso da riaperto il dibattito sull’immigrazione. L’ultimo documento del vescovo Monutrire i sentimenti di chiusura, di paura che a un nostro interesse economico, sono, giocoforza, squilibrate. Per potempo, ben prima che Brescia “balzas- Un dibattito a cui la comunità cristiana nari è dunque di carattere pastorae diffidenza verso il fenomeno immi- il lavoro degli stranieri ha contribuito ter compiere scelte corrette è invece se agli onori della cronaca nazionale” può, probabilmente deve, prendere le e in quanto tale indica una progratorio... ad arricchire il nostro Paese. Prendere necessario trovare una certa distanza per la protesta degli immigrati sulla parte ma, come ricordato dal Vesco- spettiva in cui la Chiesa locale deve “Sarebbe anche bene che i coscienza di questo aspetto significa dal problema in sé e quella serenità gru in San Faustino. Erano riflessioni vo, da una prospettiva particolare: muoversi, senza negare, in un campo sentimenti, tutti i sentimenti, venissero riconoscere l’esistenza di un debito interiore necessaria per poterlo afche il vescovo Luciano Monari aveva quella del Vangelo. “Noi – afferma complesso come quello del fenomeno in superficie per poterli analizzare e morale nei confronti de¬gli immigrati. frontare correttamente; disposto cioè voluto fissare sulla carta per aiutare la il Vescovo – siamo espressione del- migratorio, l’esistenza al suo interno vedere se sono coerenti e corrispon- Non è più possibile usare il loro lavoro a pagare anche un prezzo, se richieChiesa locale a trovare risposte a que- la Chiesa a Brescia per annunciare il di tensioni che possono essere fecondono alla realtà del Vangelo e della per far crescere il Pil nazionale, per sto dalla situazione, senza sentirsi imgli interrogativi che una presenza evi- Vangelo che invita tutti gli uomini ad de se portano a un progressivo camidentità umana oppure se, al con- dare respiro al benessere e rafforza- paurito per il futuro incerto che si va dente come quella di un numero sem- accogliere il dono dell’amore di Dio. biamento dei modi di pensare e agitrario, nascono dal nostro egoismo o re lo stato sociale. Bisogna assumere stagliando. La paura è sempre stata pre maggiore di cittadini stranieri nel La presenza degli immigrati impone il re. “Il problema – afferma ancora il dalle nostre paure. Il problema è non precise responsabilità nei confronti una cattiva consigliera”. Bresciano poteva sollevare. “Stranieri, dovere di tenere conto anche di loro Vescovo – si registra quando si tenta negarli e correggerli, cercare di ca- degli immigrati, diversamente il rapospiti, concittadini”, la lettera alle co- in questo nostro annuncio e nello stile di negare la tensione, fingendo che il pire da dove arrivano, se sono sani o munità cristiane della diocesi sulla pa- di vita che da questo discende”. La problema non esista, rimanendo così scorretti. Questo è il lavoro da fare; storale per gli immigrati, non è e non Lettera, ribadisce con forza, nasce bloccati nello statu quo senza alcun deve essere letta come una risposta solo e soltanto da questo desiderio. tentativo di creare, immaginare o reo una presa di posizione della Chie- Parole chiare, che tarpano le ali ad alizzare qualcosa di nuovo, equilibri sa bresciana ai recenti fatti che hanno ogni possibile strumentalizzazione. più profondi, più efficaci”. Un rischio

Da stranieri a concittadini

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attualità

Lo straniero, quest’ uomo Anche noi siamo stati stranieri. Non conserviamo memoria di questo. Il paese è spaccato sul tema immigrazione.

E’

vero, oggi è in atto uno ‘scontro di civiltà’, ma non tra Occidente e Oriente, o tra Cristianesimo e Islam. No, il vero scontro di civiltà si gioca in Parlamento e nelle piazze. Temi della contesa, l’accoglienza e il rispetto della persona straniera. A prendere il sopravvento è il principio dell’indesiderabilità. Irregolari e clandestini sono da espellere. Sì, ci sono, ma non dovrebbero esserci. Non li vogliamo. Anche quando vivono come bestie, come a Rosarno, nessuno muove un dito. Se vogliono un’altra possibilità, la cerchino altrove. In altri Paesi, non in Italia. Per un Paese come il nostro, che si dichiara cattolico, è difficile capire come si possa discriminare gli stranieri e atteggiarsi poi a difensori del crocifisso”. A parlare in questo modo deciso è don Antonio Sciortino, dal 1999 direttore di Famiglia Cristiana, autore di un libro coraggioso - “Anche voi foste stranieri. L’immigrazione, la Chiesa e la società italiana” (Laterza) - su un tema controverso, quello dell’immigrazione, che paga troppi silenzi e omissioni, ingenuità e pregiudizi. Di mondo e di Chiesa.

tando paure e tensioni... E chi, invece, capisce che una soluzione va trovata. Nell’accoglienza e nella legalità. La politica dello struzzo non paga. La chiamata alle armi per sbarrare il passo allo straniero è un terribile boomerang. Un’illusione, che crea più problemi”. Così inizia il suo libro. Qual è il costo di questa spaccatura? Nel Paese c’è chi alimenta le tensioni, le paure e il senso dell’illegalità. Il fenomeno dell’immigrazione ci ha colti impreparati. Ma oggi non abbiamo più il tempo di poter decidere se vogliamo o no una società multiculturale, multietnica e multireligiosa. Questa lo è già nei fatti. L’ultimo Rapporto della Caritas italiana ci dice che sono circa cinque milioni gli stranieri presenti nel nostro territorio. Certo, sono una “scomodità”, pongono dei problemi. Ma è una “scomodità” che, se ben gestita e governata, si trasforma in risorsa. Senza il loro lavoro il Paese non starebbe in piedi un solo istante. In ogni settore: dall’industria all’economia, dall’agricoltura all’assistenza dei nostri anziani. Noi li sfruttiamo perché ci servono le loro braccia, ma facciamo fatica a riconoscergli gli stessi diritti dei nostri connazionali. Tutto ciò, oltre che poco civile, è contro i nostri stessi interessi. Non dimentichiamo che gli stranieri sono pure una risorsa demografica, per un Paese vecchio come l’Italia, che ha il tasso di natalità più basso al mondo. E senza ricambi generazionali non c’è speranza né futuro. Chi ostacola l’integrazione degli stranieri blocca la stessa crescita del Paese. Posizione an “Il tema dell’immigrazione spacca il Paese tistorica e antieconomica. ed eccita gli animi. Due Italie si contrappongono. A Questa spaccatura è presente pure all’interno torto o a ragione. C’è chi soffia sul fuoco, alimen- della stessa comunità ecclesiale. Non sempre, infatti, la sensibilità di fronte ai cittadini stranieri è la stessa. Che cosa ne pensa? La comunità ecclesiale è spaccata tra chi accentua gli aspetti di sicurezza e legalità e chi promuove l’accoglienza e l’inserimento degli stranieri. I cristiani dovrebbero, invece, distinguersi per una migliore predisposizione all’accoglienza. Nell’antico Testamento e, soprattutto, nel Vangelo c’è una particolare attenzione verso lo straniero. Il titolo del mio libro Anche voi foste stranieri si rifa, appunto, a un versetto biblico, che ammonisce il popolo eletto a non far patire ad altri le sofferenze che loro stessi hanno subito durante la schiavitù in terra d’Egitto. Nel Vangelo di Matteo, al capitolo 25, leggiamo che, tra le altre cose, saremo giudi14

cati su questo: “Ero forestiero e mi avete accolto”. Giuseppe, Maria e Gesù, che sono stati profughi in Egitto per sfuggire alla persecuzione del re Erode, con le leggi in atto oggi in Italia avrebbero avuto serie difficoltà. Il Vangelo va annunciato nella sua interezza. E anche nella sua scomodità. I cristiani sono chiamati ad andare controcorrente rispetto all’attuale società, che si caratterizza per provvedimenti venati di xenofobia, che alimentano la discriminazione verso gli stranieri. Come mai, se i dati continuano a dimostrare il ruolo fondamentale dei lavoratori immigrati nel tessuto produttivo italiano e la falsità dell’equivalenza immigrato uguale criminale, la percezione nei loro riguardi è sempre fortemente negativa? Qual è il ruolo dell’informazione? I mass-media hanno una grave responsabilità, perché ogni volta che parlano di immigrazione, danno sempre un quadro negativo. Alimentano paure, pregiudizi, stereotipi e luoghi comuni. Basti solo vedere con quale enfasi evidenziano la nazionalità straniera, quando autore di un delitto è un immigrato. Giornali e Tv non raccontano più la vita reale. Non dicono, ad esempio, che il lavoro degli stranieri concorre a produrre il dieci per cento della ricchezza del Paese. O che le nostre pensioni sono, in parte, pagate con i contributi del loro lavoro. Ed essendo questi lavoratori giovani versano più di quanto ricevono in cambio. Coi loro contributi hanno risollevato le sorti dell’INPS. Così come i mass media non raccontano le tante esperienze positive di integrazione, che pur esistono nel nostro territorio. Dei fatti di Rosarno si sono occupati solo quando i nordafricani hanno risposto con violenza alle tante gravi violenze subite da parte della malavita locale. Ma nessuno ha raccontato e denunciato la condizione di schiavitù in cui vivevano quegli immigrati,ammassati come bestie, se non peggio, in capannoni fatiscenti, senza acqua, luce e un minimo di igiene. C’è tanta ipocrisia: quegli stranieri ci servono e li sfruttiamo per raccogliere i pomodori nei campi, ma non li vogliamo tra i piedi. Una buona informazione, a servizio della verità e dei lettori, deve aiutare a smontare tanti pregiudizi. Come, ad esempio, che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani. O che gli immigrati sono tutti delinquenti. La realtà ci dice, invece, che gli stranieri fanno i lavori che i nostri connazionali non vogliono più fare. E che delinquono tanto quanto gli italiani. Anche se la percezione, alimentata dai mass media, è ben differente. Ma chi racconta più la realtà e la verità? Ripartire dai volti: questo sembra essere l’appello del suo libro. Nel testo alterna pagine di analisi a storie di donne e uomini, di volti e racconti che solitamente non fanno notìzia. Eppure, molti sostengono che questo approccio al problema sia “buonista”, incapace di fare i conti con la complessità e i veri problemi che nascono dal fenomeno migratorio. Come risponde a questa accusa? 15

L’accusa di “buonismo” per chi si impegna a favore dell’accoglienza, è un alibi per chi, invece, non vuoi affrontare e risolvere i problemi dell’immigrazione. O di chi vuole lavarsene le mani, dicendo che è meglio aiutarli nei loro Paesi, per evitare che vengano da noi a cercare un futuro per sé e le proprie famiglie. Salvo che, alle parole, non fanno seguire i fatti. Come dimostrano i pesanti tagli alla Cooperazione o il fallimento degli obiettivi del millennio per ridurre la povertà nel mondo. Paradossalmente, se non vogliamo aiutare gli immigrati per ragioni umanitarie, facciamolo per il nostro stesso interesse. Perché il Paese ha necessità della loro presenza e del loro lavoro. Non vengono da noi per una gita di piacere, ma perché fuggono da fame, carestie, persecuzioni o guerre. E poi, come ci ricorda Benedetto XVI nella Caritas in veritate, il fenomeno migratorio si deve affrontare a partire da un principio basilare: sono persone come noi, portatori di diritti inalienabili, con una storia, una tradizione, una cultura e un credo religioso, che vanno rispettati. L’integrazione è un cammino reciproco. Non riguarda solo gli stranieri. Anche noi dobbiamo integrarci. Nel senso che dobbiamo rispettare gli altri, da cui abbiamo qualcosa da imparare. Giovanni Paolo II ricordava che quando un popolo si apre alle migrazioni non può che averne in cambio grandi vantaggi sociali, culturali e anche economici. Come spiega la crescita, in termini di consenso elettorale, di partiti che promuovono una politica di chiusura, ostile verso i migranti?Molti loro elettori sono cattolici, praticanti, magari perfino inseriti in gruppi parrocchiali. Gli stranieri sono il “capro espiatorio” di tanti nostri malesseri. Quando si parla alla “pancia” e non alla testa e al cuore della gente, è facile coagulare malumori, insicurezze e paure dei cittadini, allo scopo di lucrare voti e consensi elettorali. A ridosso dei passaggi elettorali c’è sempre la gara a chi è più cattivo verso gli stranieri. Lo stesso avviene con gli sgomberi dei campi rom nella Milano che si prepara alle elezioni amministrative. Pazienza se tutto ciò avviene calpestando la dignità delle persone o se si violano diritti umani. E quando sono coinvolti cattolici, e anche praticanti, c’è davvero da interrogarsi se non abbiamo dimenticato il Vangelo nel cassetto o se non l’abbiamo scolorito. Che formazione cristiana abbiamo ricevuto? Come ricorda il cardinale Tettamanzi: “Smettiamola di dirci continuamente cristiani: cominciamo ad agire da veri cristiani”.


L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI QUARESIMA - ACCUDIRE LA PASSIONE - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO DI QUARESIMA - ACCUDIRE LA PASSIONE

Le feste della fede. L’anno liturgico riscoperto in famiglia

IL TEMPO DI QUARESIMA Accudire la passione

ESERCIZIO DI UMANIZZAZIONE

Parliamo della Quaresima. Ha queste note: · Inizia con il mercoledì delle Ceneri e termina con la celebrazione del Giovedì Santo mattina. · Si estende per 40 giorni. La cifra ha, nell’esperienza biblica, mille richiami: i 40 giorni di Mosè sul Monte, i 40 anni del cammino del popolo nell’Esodo, i 40 giorni di Gesù nel deserto. · È come una triplice cordata verso la Pasqua. Conferisce un’identità ai catecumeni, la fa recuperare ai paenitentes, permette di riscoprirla ai fedeli. È un periodo di esercitazione. Educa alla dedizione di sé mediante preghiera, digiuno, elemosina. Hieronimus Bosch, I sette peccati capitali, 1480, Madrid, Prado, Particolare, La superbia

Quando si esiste solo allo specchio

Hieronimus Bosch mette in scena l'allegoria della Superbia. Siamo in un interno domestico, ricco, ammobiliato, disseminato di oggetti da decoro. Al centro troneggia un canterano di legno con uno sportello semiaperto. Una figura di donna è intenta a contemplare la propria immagine in uno specchio che è tenuto in mano da un demone, ridicolmente agghindato con una cuffia da cameriera. Satana appare come l'astuto servitore della vanità umana. Per terra appare, vistosamente, in primo piano, un baule aperto dal quale spuntano oggetti preziosi, monili per signora, gioielli destinati alla vita galante. La donna volta le spalle all'osservatore, trasmettendo un messaggio abbastanza eloquente: il narcisismo di cui è prigioniera rende la sua identità indecifrabile. Nessuno può vedere il suo volto se non attraverso l'immagine deformata dello specchio nel quale essa stessa si contempla. Una bifora sulla sinistra manda segnali di un mondo esterno, arieggiato e limpido, ad una donna che in realtà resta rinchiusa nella gabbia domestica della propria immagine. 16

La quaresima: significati antichi e nuovi Il tempo della Quaresima risulta dalla fusione di alcune pratiche di cui la Chiesa dei primi secoli, in fasi anche relativamente diverse, aveva sentito la necessità. Fin dal II secolo, la celebrazione della Pasqua è preceduta da qualche giorno di digiuno e di preghiera. Ma solo verso il IV secolo, in una fase della storia cristiana nella quale l'appartenenza alla fede aveva perso molta della sua tensione carismatica, si era sentita l'esigenza di anteporre al Tempo Pasquale un cammino di necessario «esercizio spirituale» per ritrovare la giusta intensità della fede. Era nato così il tempo della «quadragesima», il quarantesimo giorno prima della Pasqua, che cadeva la sesta domenica precedente. Nasceva così un tempo di quaranta giorni prima della Pasqua, che, già a partire dalla scelta numerica, evocava i più noti momenti biblici del rinnovamento e della conversione (i quaranta giorni e le quaranta notti del diluvio, i quarant'anni trascorsi dal popolo nel deserto, i quaranta giorni delle tentazioni di Gesù). Durante questo tempo, ci si prendeva cura del percorso di preparazione cristiana dei catecumeni che terminava con il Battesimo durante la Veglia pasquale. Ma a questo cammino di ricostruzione spirituale in vista della Pasqua e del Battesimo si sarebbe anche sovrapposta l'«invenzione» della seconda penitenza cristiana. Per la generazione apostolica infatti la rinascita del Battesimo era nel contempo la definitiva penitenza del cristiano che, rinascendo nello Spirito, cambiava definitivamente vita ed era perdonato una volta per tutte. L'implicito di questa concezione originaria della vita cristiana era che i battezzati non sarebbero più ricaduti nei peccati rinnegati col Battesimo. Ma la storia avrebbe presto posto la Chiesa di fronte al fenomeno del peccato dei battezzati. Se il Battesimo è l'unica e non ripetibile forma di penitenza possibile, che cosa succede se a commettere dei peccati è proprio un battezzato? La Chiesa avrebbe dovuto presto concepire la possibilità di una seconda penitenza, che avrebbe preso la forma di un cammino di riammissione nella comunità e all'Eucaristia, dopo essersi nuovamente esercitato nelle esigenze essenziali della vita cristiana. La Penitenza era relativa a peccati di pubblica gravità e richiedeva una riconciliazione pubblica con la comunità. Il Tempo della «quadragesima» era diventato dunque il momento ideale nel quale collocare il cammino di «recupero» dei penitenti per questa seconda e definitiva riconciliazione. Essi si iscrivevano in un vero e proprio ordine, denunciavano pubblicamente i loro peccati, e, a conclusione del cammino penitenziale, venivano riammessi solennemente alla partecipazione eucaristica nelle liturgie pasquali. L'inizio solenne del cammino penitenziale tuttavia non poteva essere effettuato la sesta domenica precedente la Pasqua, poiché di Domenica era impensabile un rito penitenziale. Il rito di iscrizione dei penitenti al cammino della penitenza pubblica venne quindi portato al Mercoledì precedente la prima Domenica di Quaresima. Nasceva così il Mercoledì delle Ceneri. 17

La Quaresima nasce verso il IV secolo. Svolgeva vari ruoli: preparare i fedeli alla Pasqua, condurre i catecumeni alla celebrazione del Battesimo, riammettere i penitenti

Un appello alla responsabilità La progressiva stratificazione di queste esigenze, che potremmo proprio definire «pastorali», spiega la natura particolarmente intensa che ancora oggi mantiene per noi il Tempo di Quaresima. Ad esso la riforma liturgica del Concilio ha restituito la funzione di tempo del catecumenato. Nel frattempo, le forme della vita cristiana sono anche molto cambiate. Oggi quello prevalente è ancora il Battesimo dei bambini che, di fatto, non si concentra in un solo momento dell'anno. Tuttavia, nella corrente cultura secolare, si sta amplificando il fenomeno di persone il cui ambiente familiare non è stato automaticamente grembo di formazione cristiana e giungono da adulte a chiedere il Battesimo. La Quaresima è tornata quindi ad essere tempo della «gestazione» battesimale della Chiesa. In ogni caso il senso del tempo quaresimale anche per i battezzati viene proposto con questa sua intrinseca proiezione battesimale. Nella grande maggioranza dei casi le nostre assemblee sono popolate da persone il cui Battesimo è frutto per lo più della scelta dei propri genitori. Siamo quasi tutti stati battezzati da piccoli. La necessaria appropriazione personale di quella scelta è stata di fatto per tutti demandata al flusso futuro della vita cristiana. Ciascuno ha più o meno potuto confermare in proprio quell'originario atto di introduzione alla fede cristiana. Il Tempo della Quaresima si presenta ogni anno soprattutto con questa specifica funzione di appello alla responsabilità di fronte al dono battesimale. Essa si presenta infatti come un memoriale simbolico della conversione battesimale. Si struttura come se ogni credente, attraverso i riti previsti, ripercorresse tutte le tappe di trasformazione interiore richieste per la rinascita del Battesimo.


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La commedia umana del peccato Hieronimus Bosch, I sette peccati capitali, Hieronimus Bosch, 1480, Madrid, Prado

I sette peccati capitali, 1480, Madrid, Prado

Essere di qualcuno per essere qualcuno La Quaresima viene aperta da un gesto di potente semplicità, di quelli che maggiormente impegnano l'indolenza corporea dei frequentanti, che nella sua a volte imbarazzante concretezza sprigiona un'eloquenza senza confronti. Lasciarsi mettere della cenere sul capo rappresenta già una forma di consapevole sottomissione di cui è difficile non rendersi conto. Tutti capiscono che cosa vuol dire. Ma forse qualche margine di equivoco continua a permanere. La sua prossimità ai gesti della mortificazione non deve trarre in inganno, come se entrare nella sfera della fede richiedesse per necessità esplicite pratiche di mortificazione del corpo, immaginando che il cristianesimo comporti l'esaltazione della rinuncia. Il rito di imposizione delle ceneri chiede un gesto di umiltà, non di umiliazione. Sono due cose diverse. La materia, di cui quel gesto si serve, chiama direttamente in causa la fantasia plasmatrice della creazione, non l'inerzia annientatrice della finitezza. La cenere sul nostro capo serve a riportarci al fango della creazione, condurci alla sorgente originaria da cui proveniamo. La richiesta implicita è quella di deporre ogni illusorio disegno di solitaria presunzione. Nessuno si fa da sé. Non c'è nemmeno tanta gioia nell'essere solitari padroni della propria vita. Fin dal giorno in cui nasciamo, qualcosa in noi continua a dire che bisogna essere di qualcuno per essere qualcuno. Il senso della vita si può racchiudere tutto nell'umiltà di appartenere. L'inizio della Quaresima ci predispone a questa essenziale professione di fede. Solo tornando gioiosamente al gesto originario della creazione, di cui siamo parte indissolubile, possiamo scongiurare le esaltazioni del narcisi18

Con l'ossessione iperanalitica dei pittori del Nord, Hieronimus Bosch dipinge sul piano di un tavolo, destinato ad una quotidiana visione domestica, questa strabiliante allegoria dell'Onniscienza divina. Al centro di quella che chiaramente vuole essere l'evocazione di una pupilla, si trova l'immagine di un Cristo risorto. La luce che irradia dal suo corpo sembra svelare la commedia umana del peccato, raccontato, con insuperabile senso dell'ironia, attraverso il tradizionale catalogo dei vizi capitali: gola, accidia, lussuria, superbia, ira, invidia, avarizia. Il cerchio completo sembra l'occhio divino in cui si riflette con nitidezza l'evidenza di tutta la miseria umana. Altri quattro cerchi agli angoli della tavola illustrano i quattro novissimi, vale a dire gli avvenimenti ultimi, morte, giudizio, paradiso, inferno. Tutto trasmette l'impressione di una grande allegoria interrogativa rivolta all'osservatore al quale viene intimato un esame di coscienza meticoloso e completo. Il catalogo dei vizi capitali, per molto tempo, ha costituito il termine di confronto per la vita morale del cristiano. Nel clima, certamente un poco minaccioso, della spiritualità del tempo, era una forma del tutto seria di accudire le passioni della fede. smo e le tentazioni della prevaricazione. Il male e la solitudine sono parenti stretti. Per vincere il peccato occorre l'umiltà di appartenere, quella grata sensazione di dipendenza che non è asservimento. L'essere di qualcuno non è la morte della libertà. Questo è il cuore della conversione.

Il coraggio di rimanere

L'ingresso nella vita battesimale, quella mediante la quale Dio in persona ci prende per figli, è stato, per la maggior parte di noi, un dono. In termini teologici, si dovrebbe dire «Grazia». Tutto quanto entra nell'orbita della vita divina ha a che fare con la logica del dono. Il dono non è mai però, neanche tra uomini, erogazione unilaterale. Il dono vincola ad una relazione e assegna il compito di conservarla. Ci facciamo regali per questo. Ma vale persino per quella grazia grandiosa che è la vita: non si decide di essere figli, ma di rimanerlo sì. Quasi tutte le esperienze radicali dell'esistenza (la vita, l'amore, la bellezza) arrivano per una grazia imprevedibile, ma la gratuità non prevede l'inerzia del puro ricevere, assegna il compito di una riconoscenza che passa necessariamente attraverso la cura quotidiana. Innamorarsi, per esempio, è un attimo, ma tener vivo l'amore è una scelta di tutti i giorni. Il Tempo della Quaresima ci porta

precisamente nello spazio di questa necessaria opera di «manutenzione spirituale». La vita cristiana è una grazia che ha bisogno di una cura vigilante per non svanire nella formalità di un'appartenenza inconsapevole. Ma per questo ci vuole appunto l'esplicito coraggio di rimanere. Restare nel perimetro della famigliarità con la vita divina richiede l'esercizio paziente del tenere vivi i sentimenti che la animano.

Accudire la passione

La passione va accudita, altrimenti muore. Ma accudire la passione non significa eccitare artificiosamente le emozioni: significa darle sostanza onorando le responsabilità a cui essa ci chiama. Non si tratta di amplificare i sentimenti, ma di rispettare quei patti che fondano un legame. A quella forma di relazione che è la fede viene perciò chiesto di rimanere in quello spazio di fedeltà che tiene acceso il tepore della passione. Per poterlo fare occorre esercitarsi in ciò che è indispensabile, in ciò che nel tempo può affievolirsi, ma che, svanendo, può compromettere tutto. I campi di esercizio di questo lavoro sembrano, a un primo sguardo, luoghi comuni di una devozione ormai fuori dal tempo: preghiera, digiuno, elemosina. Ma se si guarda bene, quelle tre parole rappresentano i fondamentali della relazione, perciò i capisaldi di una passione senza la quale la fede è un termine astratto. La preghiera è fondamentalmente cura della parola: non esiste amore che sopravviva al silenzio, all'assenza di comunicazione, a lontananze taciturne. Il digiuno mette in risalto la trascendenza del sé rispetto a qualsiasi altro bene del mondo: l'uomo, se accetta di coincidere con i suoi appetiti, muore con la loro incapacità di essere soddisfacenti. L'elemosina riporta al principio della dedizione che è lo stile stesso del Dio di Gesù: quello che non è diviso, prima o poi finisce per dividere. Dunque la

verità di ogni passione passa attraverso l'addestramento in questi fondamentali della vita: l'ascolto, il senso del limite, la condivisione. Senza di essi, non è che si è meno religiosi, semplicemente non si è uomini. La Quaresima è perciò nello stesso tempo cura della fede e esercizio di umanizzazione. Non sono poi due cose diverse. Anche se in gioco non c'è semplicemente una cara, ma in fondo limitata, relazione umana, ma la nostra adozione a figli da parte del Dio della creazione. Dalla quale dobbiamo imparare a non sentirci ricattati, come se la paternità di Dio dovesse significare l'eterna soggezione ai suoi arbitrari imperativi, ma pienamente riscattati da quella finitudine che spesso scambiamo per difetto di fabbrica. La fede è appunto questo: essere persuasi (a differenza di Adamo ed Eva) del buon regalo della nostra creazione: libero, sincero, spassionato. Ma questa appassionata persuasione va accudita ogni giorno. Proprio come faceva Gesù.

I gesti che compiamo in Quaresima ci rivelano che siamo creature. Ci attestano anche che la vita cristiana è grazia, ma ha bisogno di cura

PER VIVERE LA QUARESIMA IN FAMIGLIA

1. Apriamo gli occhi Senza leggere né anticipare nulla, facciamo emergere ciò che sappiamo già sul tema. Proviamo a fare un gioco. Ognuno può aggiungere qualche cosa a questo inizio : La Quaresima è un tempo che…: Raccogliamo ciò che emerge su di una striscia di carta. Ci chiediamo poi: a) Quali i riti che caratterizzano questi 40 giorni? b) Quali sono da noi vissuti in famiglia? 2. Apriamo le orecchie ed il cuore Chiediamoci: a) Quando e perché è nata la Quaresima? b) Che significato ha l'imposizione delle Ceneri? c) Quali degli scopi che hanno caratterizzato la Quaresima lungo i secoli sentiamo più nostri? Leggiamo Mt 6,1-6.16-18. Confrontiamo due situazioni: - C'è chi prega, chi ascolta la Parola ed è cosciente dell'identità e dignità che ha di fronte al Padre. - C'è chi è ricerca l'approvazione, il consenso. È come se indossasse una maschera. 3. Celebriamo · Partecipiamo insieme, come famiglia, al rito delle Ceneri. Appendiamolo in casa, in luogo visibile, il programma parrocchiale. · Recitiamo insieme il Padre nostro. Riscopriamo così la nostra identità di figli. · Leggiamo il Vangelo della I domenica: Mt 4,1-11 (anno A). Gesù sceglie le vie della vita (nutrirsi della Parola, restare dentro la normalità, non strumentalizzare il potere). · Come parrocchia, come singola famiglia, esercitandoci nella dedizione al prossimo: identifichiamo un obiettivo, priviamoci di qualcosa, diamolo a chi ne ha bisogno. 4. Attiviamo il corpo · Componiamo una speciale carta di identità. Oltre gli elementi soliti, inseriamo il luogo e la data del Battesimo e la paternità-maternità (figlio di Dio Padre e della Chiesa-madre). · Andiamo, come famiglia, a visitare il fonte battesimale: ricerchiamo le foto di quel giorno. · Guardiamo insieme la tavola di Bosch, I sette peccati capitali. Quale di questi aspetti fanno parte del mio modo di essere? Posso trovare in Gesù la possibilità di viverli come occasione di bene? 19


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LA MESSA: UN PANE DA SPEZZARE

Portare pane e vino SIGNIFICATO DELLA PRESENTAZIONE DEI DONI "Preparazione dei doni": così viene definita nell'Ordinamento Generale del Messale Romano (nn. 73-76) la fase di cui ci occupiamo. Quale significato ha? A quali atteggiamenti conduce?

Tutti attorno alla mensa In ogni famiglia c'è il rito della preparazione della mensa. Talora lo compie uno dei genitori. Talvolta è coinvolta l'intera famiglia. Si pone al centro un tavolo, lo si copre con la tovaglia, si apparecchia. Si dispongono piatti e posate, si portano i fiori. Tutto deve essere pronto per accogliere e mettere a loro agio le persone. Questo avviene in una precisa fase della liturgia. Si attivano dei gruppi di servizio o delle famiglie. Si prepara l'altare o Mensa del Signore. D'ora in poi sarà al centro di tutta l'azione liturgica. Vi si pongono sopra la tovaglia, il corporale, il purificatoio, il messale e il calice. Dal fondo della Chiesa si muovono dei fedeli, uomini e donne, grandi e piccoli. Portano le "offerte". Il presbitero (o il diacono) le ricevono e le depongono sull'altare (OGMR n. 73)

Corpo eucaristico di Cristo, corpo ecclesiale Va portato, secondo le regole liturgiche: - tutto ciò che serve per la celebrazione liturgica (pane, vino, acqua…) - tutto ciò che serve al povero (OGMR 73). Lo sguardo verso Dio non può dimenticare la storia. Accedere all'Altissimo comporta il farsi prossimo all'uomo (Lc 10,33). Il far memoria del Signore è indissolubilmente legato al riconoscere il suo "corpo vivo", ecclesiale. È ciò che dimenticavano i cristiani di Corinto (1Cor 11,17-37). Siamo noi, per la terra, la provvidenza di Dio. Se qualcuno ha 20

fame, o sete, o soffre, la nostra responsabilità è chiamata in causa. A Dio è gradito il sacrificio della misericordia (Mt 9,13). Primo atto di culto, che precede il recarsi al tempio, è la compassione (Lc 10,25-37).

Il Dio di Gesù Ecco il ritratto di Dio in una preghiera di questa fase: Benedetto sei tu, Signore Dio dell'universo. La benedizione è la voce della riconoscenza. La preghiera ci conduce nell'orizzonte del Dio della grazia. Il Padre di Gesù precede l'uomo su tutti i piani. È felice di dargli il suo fiato. Lo costituisce vice dio per l'universo. Consegna a lui ogni cosa perché viva. Si compiace per averlo creato e avergli dato il contesto giusto, armonioso, bello (Gen 1,1-31). È quel Dio che Gesù - vera suprema voce della riconoscenza - chiama Papà (Mt 11,25-27). Egli è il Signore del cielo e della terra. Dice al suo popolo che si appresta a rendergli culto: 8Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici, i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti. 9Non prenderò vitelli dalla tua casa né capri dai tuoi ovili. 10Sono mie tutte le bestie della foresta, animali a migliaia sui monti. 11Conosco tutti gli uccelli del cielo, è mio ciò che si muove nella campagna. 12Se avessi fame, non te lo direi: mio è il mondo e quanto contiene. 13Mangerò forse la carne dei tori? Berrò forse il sangue dei capri? 14Offri a Dio come sacrificio la lode

e sciogli all'Altissimo i tuoi voti [Sal 50, 8-14]. Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane…questo vino. Ciò che noi offriamo è suo regalo. Un'Orazione sopra le offerte (I dom di Avvento) lo specifica "Accogli Signore il pane ed il vino, dono della tua benevolenza." Questa parola designa l'unico movente dell'agire di Dio (Ef 1,9). Nei suoi doni, Dio manifesta il suo volto. Il pane è elemento fondamentale per la sussistenza. Il vino è simbolo della gioia (Sal 103,15) e dell'amore (Ct 2,4). Questi due elementi ci parlano anche di Cristo perché sono ottenuti attraverso dei processi che implicano una morte. Sono lì come cibo e bevanda per noi che proviamo fame e sete. Sono lì per preannunciare il Cristo integrale, Corpo e Sangue, cioè totalità di vita donata.

Il rapporto vita-Eucarestia Frutto della terra e del lavoro dell'uomo. Né il pane né il vino esistono in natura. Sulla terra non si dà possibilità di vita se l'uomo non si attiva. Il lavoro è la firma dell'uomo. Non esiste una divinità che sostituisca l'essere umano o che, in modo magico o automatico, provveda a lui. Questo è detto - a scanso di equivoci - nel cuore stesso del culto cristiano. La trasformazione della natura a favore degli esseri umani è atto gradito a Dio. È il modo per cui noi siamo, a nostra volta, vita per i fratelli. Una volta questo era anche più chiaro, visto che la "materia" del sacrificio era il prodotto stesso della terra ("Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il proprio pane e vino destinati alla liturgia" OGMR73). Era certo più evidente il rapporto vita-Eucarestia. Perché diventi per noi cibo di vita eterna… bevanda di salvezza. Tutto ricade a nostro vantaggio. Nulla rimane in possesso di Dio. È il prodigio della sua prodigalità. C'è una trasformazione operata dalla fantasia del Padre, lo Spirito santo. Non c'è paragone tra ciò che noi offriamo e ciò che ci viene restituito. "Il pane e il vino che tu hai creato, Signore, a sostegno della nostra debolezza, diventino per noi sacramento di vita eterna" (Orazione sulle offerte della V domenica del Tempo Ordinario). La sorpresa è espressa in una maniera

splendida in un altro testo: "Accogli i nostri doni Signore: in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza, noi ti offriamo le cose che tu hai dato e tu donaci in cambio te stesso (Orazione sulle offerte della XX domenica del Tempo Ordinario).

L'orazione sulle offerte Le religioni parlano di sacrificio. Come si qualifica quello che noi celebriamo nell'Eucarestia? Le Orazioni sulle Offerte ci danno tutte le variazioni sul tema. Chi viene offerto? L'orazione dell'Epifania ci risponde in modo chiaro: "Guarda o Padre, i doni della tua Chiesa che ti offre non oro, incenso e mirra, ma Colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto, Gesù Cristo nostro Signore". Abbiamo quindi quella coincidenza che s. Agostino sottolinea tra sacerdote , altare e vittima. Tutto è sotto il segno dell'ecce venio di Gesù (Eb 10,1-10). Tra poco la Preghiera Eucaristica II ci dirà: "Egli offrendosi liberamente alla sua passione". È un pontefice che, vedendoci nel pericolo, si espone in prima persona, è un pastore che perde la sua vita per salvaguardare i suoi (Gv 10,11). Siamo in un'epoca nuova. Non più capri o agnelli. Non più tanti tentativi di "espiare", di compensare un Dio insaziabile, bensì un'oblazione definitiva e volontaria del Figlio. "O Dio che nell'unico e perfetto sacrificio del Cristo, hai dato valore e compimento alle tante vittime della legge antica, accogli e santifica questa nostra offerta… (XVI domenica del Tempo Ordinario). La liturgia della croce non è un sacrificio che sa di espiazione, ma di libertà e solidarietà. Uno si offre: tutti sono salvi (Gv 11,52). E quale è il nostro ruolo? "Invochiamo il tuo nome, Signore su questi doni che ti presentiamo: consacrali con la tua potenza e trasforma tutti noi in sacrificio perenne a te gradito (Santissima Trinità). Oppure "Santifica, o Dio, i doni che ti presentiamo e trasforma in offerta gradita tutta la nostra vita in unione alla vittima spirituale, il tuo servo Gesù, unico sacrificio a te gradito" (XVIII Domenica del Tempo Ordinario). Liturgia e vita appaiono intimamente connesse proprio in forza del sacramento. C'è la fase rituale del nostro servizio sacerdotale e c'è la fase esistenziale. Il sacramento è fonte per quella liturgia di cui parla Paolo: 1Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1). Alla base di ambedue c'è lo Spirito. Il gradimento da parte del Padre non avviene perché abbiamo realizzato prestazioni liturgicamente esatte, ma perché, in Gesù, accettiamo di divenire vita spesa per i fratelli. La logica che sovrintende alla liturgia, non è quella del "Io ti do se tu mi dai", ma quella del "dono contro dono".

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

CONOSCIAMO LA “LUMEN GENTIUM” LA COSTITUZIONE SULLA CHIESA DEL CONCILIO VATICANO II 2^ parte

Abbiamo pensato di offrire alle parrocchie – a tutti i sacerdoti e ai laici, soprattutto quelli impegnati nella pastorale – alcune schede che sollecitino e orientino una lettura attenta della Costituzione Conciliare ‘Lumen Gentium’. La lettera pastorale che guida il nostro cammino quest’anno, infatti (“siano tutti una cosa sola”) trae la sua origine dall’insegnamento del Concilio e può essere capita appieno solo sullo sfondo del Concilio. È necessario, allora, che i documenti conciliari importanti diventino parte del patrimonio di conoscenze condiviso da tutti i battezzati.

LA CHIESA SI FONDA SULLA TRADIZIONE APOSTOLICA

(Lumen gentium c. III: Costituzione gerarchica della Chiesa; Mc 3,13-19

I capitoli III e IV della Costituzione svolgono il tema dell’apostolicità, ossia della Chiesa che resta ‘una nel tempo’ grazie alla sua struttura gerarchica e al suo apostolato: si tratta di due sensi diversi ma complementari, da prendere e da vivere alla luce del ‘servizio-ministero’, unica condizione in grado di unificarli, nella teoria come nella pratica. Il termine apòstolos è la traduzione greca dell’aramaico shalìah, e designa una persona inviata con la stessa autorità e con gli stessi poteri dell’inviante. Esso caratterizza la ‘prefigurazione di Chiesa’ che noi troviamo nei Vangeli con la chiamata degli apostoli da parte di Cristo e la loro formazione comunitaria, che quindi configura il ‘collegio gerarchico’ sin dagli inizi. Con la Pentecoste prende avvìo la Chiesa secondo gli Atti degli Apostoli, ma il ‘modello apostolico’ la caratterizzerà in tutte le epoche e a tutti i livelli. Le Lettere pastorali e i Padri apostolici documentano chiaramente che gli apostoli si sono scelti dei collaboratori (presbìteri e diaconi) e dei successori (vescovi) nel loro ministero: anche se la Chiesa oggi conta più di 5 mila vescovi, si tratta sempre dello stesso collegio apostolico, presieduto dal successore di Pietro, che si dilata man mano che essa va crescendo in ogni punto della terra e la mantiene nell’unità nono-

stante il trascorrere dei secoli. È questa l’idea di fondo che sorregge tutto il cap. III: al n.18 si afferma chiaramente che esiste nella Chiesa una vera autorità, e che essa ha un’origine voluta da Dio nel ministero originario del vescovo (nn.19-21), la cui autorità include la collegialità (nn.22-3) e del quale si descrive la missione evangelizzatrice, santificatrice e di governo (nn.24-27). Il capitolo si conclude mostrando come il vescovo possa partecipare ai presbiteri e ai diaconi le rispettive mansioni spirituali e materiali loro proprie (nn.28-9). Il Concilio completa poi le indicazioni pratiche per l’episcopato con il decreto Christus Dominus e per il presbiterato con i decreti Presbyterorum ordinis e Optatam totius, mentre lascia il diaconato senza indicazioni dettagliate, pur optando decisamente per il suo ristabilimento. Sebbene la ‘terna ignaziana’ di vescovo-presbitero-diacono esista chiaramente enunziata e praticata sin dagli inizi del secolo II, non siamo in grado di affermare fin dove essa sia vincolante per la Tradizione ecclesiale, mentre quanto alla sacramentalità dell’episcopato quale ‘ministero originario’ dell’Ordine sacro non vi è nessun dubbio per il Vaticano II. Il grosso problema che abbiamo nella recezione concreta di questo capitolo è sottolineato dal fatto che, proprio in tema di rapporti fra Primato e Collegialità esso ha visto la più pericolosa contrapposizione fra i tradizionalisti in nome del Vaticano I e i progressisti nel nome di un fantomatico Vaticano III (!). È stato necessario l’inter-

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vento diretto di Paolo VI con la famosa Nota praevia per scongiurare questo pericolo e impostare la questione in termini chiari, ricordando ai padri conciliari che la collegialità nella Chiesa è gerarchica, avendo come modello il ‘collegio apostolico’, nel quale uno da solo ha il potere degli altri membri messi assieme, e non il collegium del diritto giustinianeo, che è una specie di tavola rotonda, presieduta da un primus inter pares. Tale articolazione fra autorità e collegialità si ripresenta puntualmente a tutti i livelli della via ecclesiale (Papa-vescovi, Vescovo-presbiteri, Parroco-laici; il Diacono ne è per ora esente, fintantoché non gli venga affidata una porzione del popolo di Dio), e va vissuta con autentico spirito di fede, andando quindi ben oltre

gli stretti confini politici della monarchia o della democrazia. Un caso tipico di infelice interpretazione di questo punto l’abbiamo nella posizione di Hans Küng, che rappresenta il polo opposto a quello di Lefèvre nel rigetto del Vaticano II. Egli ha sostenuto ripetutamente che della LG sono accettabili soltanto i primi due capitoli, perché conformi alla Scrittura, mentre il terzo lo «fa fremere». Purtroppo, a conseguenza del movimento sessantottino molti oggi simpatizzano per le sue tesi e si rifiutano di accettare l’autorità ecclesiale e la gerarchia nella Chiesa. Il fenomeno esige da parte di tutti riflessione, ponderatezza e saggezza.

L’APOSTOLATO LAICALE NELLA CHIESA DI IERI E D’OGGI . (Lumen gentium, c.IV: I laici; Atti 18,1-4 Non dimentichiamo che lo ‘ieri’ della Chiesa equivale a quasi venti secoli, ossia che il modello della nostra tradizione è abbastanza esteso in fatto culturale-temporale. Ebbene, in duemila anni di storia ecclesiale il Vaticano II è il primo concilio che dedica una vera attenzione al laicato: esso ha in comune con la gerarchia il cap. II della costituzione LG, ha nel IV capitolo della stessa e nel decreto Apostolicam actuositatem una specifica trattazione teoretica e pratica rispettivamente, e nella costituzione Gaudium et spes l’esposizione più completa circa il proprio raggio d’azione nel mondo. Tutto sommato, il capitolo che stiamo considerando resta fondamentale per capire quale visione del laico abbia la Chiesa, alla luce della tradizione risalente agli stessi Apostoli. Innanzitutto, per tutto il capitolo ricorre la raccomandazione che i rapporti fra gerarchia e laicato siano costantemente improntati alla più schietta carità, che è “l’anima di ogni apostolato”, a una ministerialità reciproca e complementare, alla collaborazione e cooperazione nella comune impresa dell’edificazione del regno di Dio (nn. 30, 32cd, 33abc, 35d, 37abcd): tutto questo si riassume oggi con il termine di corresponsabilità, come di un dovere che accomuna clero e laicato in virtù del sacerdozio comune, che ricevono da Cristo con l’iniziazione cristiana. Se questa sintonia è il vero punto di partenza e di arrivo, tutto il resto viene da sé; altrimenti, nulla resta in piedi. Il punto di partenza è la nozione di laico (n.31), stabilita dapprima negativamente (né chierico, né religioso) e poi positivamente (cristiano della secolarità), sfruttando soprattutto i notevoli chiarimenti raggiunti dall’Azione Cattolica nei decenni centrali del Novecento, in consonanza con una tradizione ecclesiale risalente a Clemente Romano e agli stessi apostoli. Il suo ruolo è sia all’interno che all’esterno della Chiesa (32-3), soprattutto laddove la gerarchia non può giungere, e si esplica secondo la triplice funzione sacramentale (34: consacrazione del mondo a Dio), profetica (35: specialmente nella vita coniugale e familiare) e regale (36: affermazione dello spirito di Cristo contro il peccato e i vizi). E’ in questo modo che è avvenuta l’evangelizzazione delle 65 generazioni cristiane precedenti alla nostra (19802010). Conclude il capitolo il tema delle relazioni dei laici con il mondo (38), decisamente qualificanti per gli stessi.

Quest’ultima tematica è trattata esaustivamente per tutta la Costituzione pastorale sulla Chiesa, mentre il Decreto sui laici si limita ad approfondire in ben 6 capitoli l’apostolato laicale nei suoi ambiti specifici. Per la stessa assimilazione del Concilio è importante che i laici personalizzino i documenti brevemente menzionati, dal momento che ciascuno dovrebbe partire da quanto lo concerne più da vicino, per giungere poi anche a realtà lontane dal proprio raggio d’azione. Seguendo tali indicazioni positive, è possibile maturare quella sintonia fra gerarchia e laicato, grazie alla quale la Chiesa ha potuto affermarsi e svilupparsi in passato, come aveva ben capito il santo vescovo Agostino: “Camminiamo alla vostra testa, ma soltanto se contribuiamo al vostro vero bene (Praesumus, si prosumus)”. Se essa al presente si trova in un mare di difficoltà, è indispensabile affrontarle con coraggio, alla ricerca di soluzioni adeguate. La principale di queste difficoltà consiste in un vago anticlericalesimo che porta a buttare la colpa di quanto non va su di una ‘casta clericale’, considerata all’origine di troppi inconvenienti. Nella recente intervista riportata da un giornale si affermava candidamente: “Come cattolico, sono piuttosto anticlericale...”, senza fornire ragioni precise. Tale moda può provocare la perdita secca non soltanto di valori cattolici, ma soprattutto di valori umani. Cercando una migliore sintonia con il mondo odierno, il Vaticano II invita tutti i cattolici a posizioni positive e creative, che nascono soltanto da incontri felici fra persone. Sarebbe incoerente praticare l’ecumenismo con movimenti, tendenze, culture e religioni esterne al mondo cattolico, e rimanere poi incapaci di praticare il dialogo all’interno dello stesso.

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PARROCCHIE DI BOTTICINO

FESTA DELLA DONNA martedì 8 marzo 2011

ore 18,30 : Celebrazione della S.Messa

presso la Basilica-Santuario S.Arcangelo Tadini ore 19,15 : incontro con Renzo Taglietti

“Sulla naturale superiorità delle donne”

comprendere le diversità è più un guadagno che una perdita

ore 20,00: Festa con polenta e spiedo... Prenotazioni presso segreteria 0302692094 Silvana 0302199893 Tecla 3404179216

(iscrizioni entro domenica 6 marzo quota di partecipazione E 15,00 - in alternativa allo spiedo su richiesta arrosto da segnalare al momento della prenotazione )

Il sito web dell’Unità Pastorale di Botticino.

La realtà del web è ormai entrata all’interno della nostra vita. L’ Unità Pastorale è presente in internet con una propria pagina web. L’indirizzo del sito è www.parrocchiebotticino. it. Potete trovare informazioni sulle tre realtà parrocchiali, i vari gruppi con i referenti, associazioni, espressioni della comunità, una galleria fotografica e con l’andar del tempo tante nuove informazioni.. Nel sito è possibile trovare anche una newsletter, un sistema utile per tenersi aggiornati alle varie iniziative, e un forum per poter condividere le proprie idee. Chi volesse partecipare a questa iniziativa o volesse contribuire con materiale può mettersi in contatto attraverso l’indirizzo di posta elettronica web@parrocchiebotticino.it

Servizio alle famiglie per ricerca colf, badanti e baby-sitter L'associazione Centro Migranti mette a disposizione uno spazio dedicato all'incontro tra le esigenze di assistenza e sostegno ai bisogni delle famiglie e la disponibilità di persone straniere al soddisfacimento di tali bisogni. Il servizio è gestito da tre operatrìci che hanno il compito di raccogliere i nominativi e le caratteristiche di persone idonee. Tutti i mercoledì pomeriggio dalle 14,30 alle 17,30 Contatti : 030/42467030/41356 - centromigranti@diocesi.brescia.it ASSOCIAZIONE CENTRO MIGRANTI Onlus, via delle antiche mura 3 - Brescia 24

Le DONNE o rt e s n i della Bibbia Le donne di cui si racconta in queste pagine non sono immaginarie, sono reali. Hanno vissuto nella storia, tuttavia sono nostre contemporanee per le loro aspirazioni e i loro problemi, per le speranze e le ambizioni che le animano. La conoscenza di queste donne vi affascinino. La differenza essenziale che caratterizza ciascuna di queste donne non è la posizione sociale. Importa poco che una sia ricca, come una regina, e l’altra sia povera; poco importa se una era persona rispettata o un’altra disprezzata; o, ancora, se sposata o nubile. Tali segni esteriori non hanno importanza. Conoscendo queste storie, scoprirete che ognuna è condizionata dal posto accordato da Dio nella sua vita. Da questa scelta dipende per ciascuna di esse, la gioia e la felicità. Questa è la motivazione essenziale che determinerà il corso della vita di queste donne. Quando Dio occupa il legittimo posto in una vita, questa diventa attraente e utile per il suo fascino e la sua efficacia.


LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA -

Sara e le sue figlie Sara

I

I suo nome significa «principessa» e doveva essere assai bella per invaghire il Faraone (cf Gen 12,10-20). Ma il suo ingresso nella storia al fianco di Abramo porta il segno dell’umiliazione: «Sara era sterile, non aveva figli» (Gen 11,30). Perché questa enfatica ripetizione del concetto? Non bastava dire che era sterile? Quel «non aveva figli» se non aggiunge nulla sul piano del concetto, mette bene in evidenza una situazione che Sara avrebbe preferito tener nascosta tanto la feriva dentro. A che serve uscire «da Ur dei Caldei» (v 31) se da lei non può uscire vita? A che serve partire alla volta di Carran? E tuttavia parte. La carovana guidata dal vecchio Terach sembra sfidare la morte. L’anziano patriarca prende con sé Lot, che gli ricorda il figlio più giovane morto misteriosamente «alla sua presenza» (11,28), e Abram, il primogenito che non ha prospettive di futuro perché sua moglie è sterile. Ma si parte, e quella carovana segnata dalla morte aprirà un cammino di vita, come afferma l’autore della lettera agli Ebrei: «Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava... Per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare» (Eb 11,8.11-12).

La sposa che si fa sorella

II primo che sperimenta il dono benefico di Sara è proprio Abramo. Spinto dalla carestia in Egitto, si fa scudo della bellezza di lei per salvarsi la vita: « Vedi - le dice - tu sei donna di aspetto avvenente. Egiziani ti vedranno, penseranno: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. Dì dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua. e io viva per riguardo a te» (Gen 12,11-13). Abramo gioca sul doppio senso di «sorella», parola che poteva indicare anche la «sposa», come nelle canzoni di amore egiziane e nel Cantico dei Cantici dove si legge: «Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana!» (Cf 4,9). Sta il fatto che Àbramo viene trattato bene «per riguardo di lei», che non dice una parola ma semplicemente acconsente: «la donna fu presa e condotta nella casa del faraone» (Gen 12,15). Perché questo silenzio da parte di Sara? Avremmo preferito una qualche reazione, ma a ben vedere c’è qualcosa di profetico in questo suo «lasciarsi prendere e condurre». Vi si può cogliere un tratto del Cristo, che non pose resistenza la notte della sua passione e si lasciò condurre davanti ai potenti di questo mondo. La bellezza di Sara non può restare nascosta. I potenti — allora come ora — tentano di catturarla. Ma Dio è dalla parte di Sara e difende la vita sua e del marito.

Sara e Agar, l’egiziana: quando l’amore si fa gelosia

Dall’Egitto Sara non torna a mani vuote, porta con sé una bella schiava che segnerà inesorabilmente il suo destino: Agar, una schiava speciale, un’amica prima che una rivale. E’ con lei infatti che Sara, delusa di attendere ciò che il grembo le negava, si accorda nel disperato tentativo di 2

dare futuro alla vita: «unisciti alla mia schiava — dice al marito — forse da lei potrò avere figli» (Gen 16,2). I commentatori annotano che siamo di fronte a una prassi del diritto mesopotamico: una sposa sterile poteva dare al marito una schiava per moglie e riconoscere come propri i figli nati da lei (il caso si ripete con Rachele e Lia: vedi Gen 30,1-6; 9-13). Ma dietro questa legittimazione c’è evidentemente dell’altro. Non basta il desiderio imperioso di figli, è da supporre anche un certo affetto tra la padrona e la sua schiava e il femminile intuito che la cosa è gradita al marito. Insomma, chi trama è Sara, ma Abramo non sembra affatto dispiaciuto, anche se non dice una parola. II conflitto scoppia in seconda battuta quando la schiava incinta, forte della sua nuova condizione, rivendica autonomia e libertà. Agar non riconosce più alla padrona il diritto di comandare, si sta emancipando. Per Sara è un doppio fallimento, le viene sottratta la maternità e anche l’autorità. Terribilmente umiliata se la prende con Abramo che questa volta parla: «Ecco, la tua schiava è in tuo potere: falle ciò che ti pare» (Gen 16,6). Non l’avesse mai dettol Si scatena il peggio di Sara: rabbia, gelosia, frustrazioni a lungo represse. Agar esasperata decide la fuga. Ma l’esperienza divina nel deserto la farà tornare dalla sua padrona (v 9). E bello che la storia di Dio con il suo popolo passi anche attraverso le tende delle donne, intrecciando pagine di rivalità femminile. Dove c’è l’uomo c’è l’umano, è stato detto. Perché non dovrebbe valere per la donna? Ciò che conforta è che Dio prende sul serio tutto l’umano con le sue ferite e si prende cura sia del maschile sia del femminile.

Isacco, il figlio del sorriso

Ed ecco che Dio rinnova ad Abramo la promessa: «sarai padre di una moltitudine di popoli... Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei» (Gen 17,15-16). Abramo, che abitualmente non obietta, questa volta non può trattenersi dal sorridere mentre si prostra davanti al suo Dio: «Rise e pensò: Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire?» (v 17). Gli sembra già molto se Dio gli fa grazia attraverso il figlio avuto dalla egiziana: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a tei». Ma Dio insiste: «No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la. mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo dì lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso» (w 18-20). La scena del sorriso si ripete con Sara. Un giorno, nell’ora più calda, mentre Abramo faceva la siesta all’ingresso della sua tenda, giunsero tre uomini. Egli li accolse con

squisita ospitalità, preparò per loro un banchetto e mentre mangiavano stava in piedi, attento a servirli. Quand’ebbero mangiato essi chiesero: «Dov’è Sara, tua moglie? Abramo rispose: “È là nella tenda”. “Tornerò da te fra un anno a questa data — prosegue uno dei Tre - e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”» (Gen 18,10). Sara stava dietro la tenda ad origliare, e come udì quelle parole «rise dentro di sé» (cf Gen 18,12). È il riso amaro di chi non coltiva più illusioni. Ormai aveva perso la speranza, era già vecchia. Ride dunque nel suo cuore ma forse preferirebbe piangere... Allora il Signore che legge i cuori interpella Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore?» (Gen 18,13-14). Le stesse parole -«nulla è impossibile a Dio» - sono dette dall’angelo a Maria, la vergine di Nazaret chiamata a diventare la madre dell’Altissimo (Le 1,37). Davvero nulla è impossibile a Dio. Come aveva annunciato così avvenne (cf Gen 21,1-7). La vecchia Sara concepì e partorì un figlio. E il suo riso allora fu pieno e liberatorio, un’esplosione di gioia e di meraviglia: «Motivo di lieto riso

mi ha dato Dio!». Un sorriso che si diffonde contagioso sulle labbra dei vicini e dei parenti: «“Chiunque lo saprà sorriderà di me!”. E Abramo chiamò quel figlio “Isacco”, che significa “rìso di gioia”».

Le figlie di Sara Sorprende che la prima Lettera di Pietro parli di Sara,

ma non per ricordare suo «figlio» bensì le sue «fìglie». E ancor più sorprendente è che l’essere figlie di Sara qualifichi le donne cristiane: «Di essa (Sara) siete diventate figlie - dichiara l’apostolo - se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia» (1 Pt 3,6). La bellissima madre Sara insegna una speranza che non si lascia intimidire da niente e da nessuno. Sul suo esempio le spose cristiane sono invitate a coltivare bellezza e santità tra le mura domestiche; accanto ai loro mariti anche se non credenti, conquistandoli alla Parola senza bisogno di parole, con il fascino di una bella condotta.

Quando fiorisce l’amicizia Rut e Noemi

N ella tradizione ebraica il libro, o meglio il «rotolo» di Rut, deve la sua rilevanza soprattutto all’uso liturgico. Lo si legge infatti per la festa di Pentecoste .

Articolato in quattro capitoli, esso narra la vicenda di una famiglia di Betlemme che, spinta dalla carestia, emigra nel paese di Moab. I nomi dei personaggi e dei luoghi giocano un ruolo importante nella costruzione dell’intreccio narrativo. Il capofamiglia si chiama Elimèlech, che significa «il mio Dio è re». Egli lascia Betlemme, «casa del pane», e si trasferisce nella terra di Moab, terra di maledizione (vedi Dt 23,4), con l’intento di trovare vita. Lo accompagnano la moglie Noemi, «graziosa», e i due figli Maclon, «malattia», e Chilion, «fragilità». Essi sembrano già portare nei loro nomi il proprio destino e il morso della fame che spinge a lasciare Betlemme. Ma come cercare vita in una terra di morte? E più radicalmente, si può trovare vita lasciando la terra dove «il mio Dio è re»? In effetti la famiglia di Elimèlech anziché vita sperimenta morte nella campagna di Moab. Dopo dieci anni nessun nato in quella famiglia, ma invece lutto e morte; se ne vanno tutti e tre i maschi, prima il marito, poi i due figli. Noemi resta sola con le due nuore moabite: Orpa, «colei che volge il dorso», e Rut, «l’amica». Tre vedove la cui ricchezza è il vicendevole affetto e nulla più.

Sulla via del ritorno Noemi intraprende la via del «ritorno», incoraggiata da una bella notizia. Aveva sentito dire, infatti, che «il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane» (Rut 1,6). Ma cosa può offrire alle due nuore vedove che sono in cammino con lei? Noemi riflette sull’opportunità di congedarle perché possano rifarsi una vita e una famiglia nella loro terra: «Andate - dice loro - tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me!» (v 8). Interessante questo invito a tornare alla casa della «madre». Noemi afflitta, priva di marito e di figli, suggerisce alle sue nuore la casa e il calore materno per rifiorire nella vita. Ma le due giovani moabite non intendono affatto separarsi dalla suocera anziana: «Noi verremo con te al tuo popolo» (v 10). Colpisce questa singolare alleanza di donne, temprata dal dolore e dall’esperienza di morte. La relazione amicale sorprende ancor più perché contravviene i proverbiali conflitti tra suocera e nuora. Dunque un racconto decisamente sovversivo rispetto ai luoghi comuni. Da parte sua Noemi tratta le nuore da figlie: «Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho io ancora figli in seno, che possano diventare vostri mariti? Tornate indietro, figlie mie, andate!» (vv 11-12). Alla fine, dopo tanto insistere, Orpa «baciò la suocera e partì» (v 14). Rut invece non vuoi saperne di staccarsi da Noemi, la sua voce è ferma: «Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove 3


LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA -

Rut e Noemi, litografia tratta da una Bibbia inglese del 1890. È evidente la relazione di fiducia di Rut nei confronti di Noemi

andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te» (vv.16-17). Non ci sono parole di fronte a tanta fedeltà. Come Abramo anche Rut esce dalla sua terra, dalla casa di suo padre, dai suoi dei e il movente non è direttamente una chiamata divina, ma l’affetto per Noemi. La Bibbia, che ha pagine molto belle sull’amicizia di Gionata e Davide, racconta qui una singolare amicizia tra donne.

Una straniera per amica Come nasce un’amicizia? A volte in modo sorprendente e inatteso. Può sbocciare improvvisa come quel la di Gionata. Davide non aveva ancora finito di parlare - racconta il Primo libro di Samuele - che «l’ani-

ma di Gionata si era già talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come se stesso» (1 Sam 18,1). Indubbiamente c’è dell’eros anche nella philict, un’attrazione inspiegabile, che precede la ragione. Quale ne sia l’origine, l’amicizia chiede comunque di essere coltivata. E la storia di Rut e di Noemi ne è un magnifico esempio. Non ci sono preconcetti in questa relazione, o meglio: essi vengono superati. La differenza di età, di cultura e di religione non impedisce il sorgere di un legame che trascende questi aspetti e la stessa relazione nuorasuocera. Rut ama ormai Noemi per quello che è, indipendentemente da ciò che le può dare. Si sente legata alla suocera al punto da preferirla alla madre: questa rappresenta il passato, Noemi il futuro. Il proprio destino sarà intrecciato al suo. Rut, la vera «amica», non abbandona Noemi, «la graziosa», che avverte disdicevole il nome che porta: «Non chiamatemi più Noemi, chiamatemi Mara perché l’Onnipotente mi ha tanto amareggiata!» (1,20), dirà alle donne di Betlemme al suo ritorno. Cosa può offrire a Rut, la moabita che lascia la sua terra, il Dio che ha tanto amareggiato Noemi?

Spigolatrice nei campi di Betlemme Un’amicizia di questo calibro non può passare inosservata. La notizia corre di bocca in bocca, e in breve fa il giro di Betlemme. Quella donna moabita - razza nemica - rappresenta un modello di fedeltà e dedizione mai visto. Poi Rut, d’intesa con Noemi, va a spigolare nei campi di Booz, un ricco proprietario di Betlemme, parente di Elimèlech. Il Signore guida l’incontro: «Ascolta, figlia mia - le dice Booz - non andare a spigolare in un altro campo; non allontanarti di qui, ma rimani con le mie giovani... Quando avrai sete, va’ a bere dagli orci ciò che i giovani avranno attinto». Rut si prostra a terra, grata di tanta accoglienza: «Per qual motivo - domanda - ho trovato grazia ai tuoi occhi, così che tu ti interessi di me che sono una straniera?». Booz le rispose: «Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso un popolo, che prima non conoscevi. Il Signore ti ripaghi quanto hai fatto e il tuo salario sia pieno da parte del Signore, Dio d’Israele, sotto le cui 4

ali sei venuta a rifugiarti» (2,8-12). La storia prosegue intrecciando osservanza del diritto e seduzione. E qui Noemi rivela tutta la maestrìa: «Figlia mia, non devo io cercarti una sistemazione, così che tu sia felice... ?» (3,1). Edotta dai suoi consigli, la bella spigolatrice giace ai piedi di Booz nella notte, accanto al mucchio d’orzo appena ventilato. Pratica ciò che Noemi le aveva insegnato: avanza il diritto di riscatto in base alla legge del levirato, che obbliga a sposare la vedova di un parente deceduto. E, Booz, decisamente innamorato, tesse ulteriormente le sue lodi: «Sii benedetta dal Signore, figlia mia! Qiiesto tuo secondo atto di bontà e migliore anche del primo, perché non sei andata in cerca di uomini giovani, poveri o ricchi. Ora non temere, figlia mia; io farò per te quanto dici, perché tutti i miei concittadini sanno che sei una donna virtuosa» (3,10-11).

La straniera che costruisce la casa del Messia II quarto capitolo del libro ribalta la situazione iniziale: dalla morte alla vita. Booz non perde infatti l’occasione. Previo accordo alla porta della città con il pa rente più prossimo, cui spettava in prima istanza il diritto di riscatto, egli acquista il campo di Elimelèch e con esso l’obbligo di sposare Rut, moglie del figlio defunto. Gli anziani di Betlemme si rallegrano di tale scelta e fanno a Booz gli auguri più esaltanti: «II Signore renda la donna, che entra in casa tua, come Rache-le e Lia, le due donne che fondarono la casa d’Israele. Procurati ricchezze in Efrata, fatti un nome in Betlemme! La tua casa sia come la casa di Perez, che Tamar partorì a Giuda, grazie alla posterità che il Signore ti darà da questa giovane!» (4,11-12). Così Rut divenne la moglie di Booz, gli partorì un figlio e lo chiamò Obed, che significa «servo». Egli fu il padre di lesse, padre di Davide. Noemi sentì quel figlio come suo: se lo pose in grembo e gli fu nutrice. Lei che in terra di Moab aveva perso ogni speranza di futuro, ora ha un figlio dalla nuora moabita: l’afflitta è consolata. Dicevano a Noemi le donne di Betlemme: «Benedetto il Signore, il quale oggi non ti ha fatto mancare un riscattatore perché il nome del defunto si perpetuasse in Israele! Egli sarà il tuo consolatore e il sostegno della tua vecchiaia; perché lo ha partorito tua nuora che ti ama e che vale per te più di sette figli» (4,14-15).

Che meraviglia quando tra donne sboccia l’amicizia! Cosa può fermarle? La forza di due donne provate dal dolore e unite dall’amore supera ogni barriera. Supera pregiudizi e ostilità. Proprio la straniera è l’amica. Proprio la relazione più criticata, come quella tra nuora e suocera, diventa emblema di gratuità. Come non cogliere un senso di ironia in questa storia? Se da un lato l’aver lasciato Betlemme, «la casa

del pane», per cercare vita nella campagna di Moab si rivela una scelta di morte, d’altro lato la via del ritorno appare costruttiva proprio perché Noemi non torna da sola ma insieme a Rut, la moabita. La «graziosa» è graziata dalla gratuità e fedeltà della straniera «amica». La casa di Davide e del Messia è costruita da donne che sanno costruire ponti di amicizia, al di là dei pre-

giudizi e degli stessi dettami religiosi, come il divieto di matrimonio con donne straniere (cf Esd 9,1). La casa di Davide e del Messia non vanta razza pura, ma un miscuglio di origini (vedi Mt 1,1-16). L’Unto del Signore viene da una casa costruita da Lia e Rachele e nondimeno da Tamar e Rut. Non potrebbe essere una donna l’autore del libro di Rut, così sovversivo e solidale?

L'innamorata del Cantico dei cantici Voce e volto dell’attesa

sponsale: Yhwh è lo sposo, Israele la sposa. Dio si ostina ad amare questa sposa nonostante le sue infedeltà, e il profeta è chiamato a illustrare questo paradossale rapporto d’amore sposando una prostituta. Non l’infedeltà, ma la forza trasformante dell’amore canterà infine vittoria e l’arido scenario del deserto tornerà a fiorire: «Ecco, io l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Di là le darò le sue vigne e la valle d’Acor come porta di speranza; là mi risponderà come ai giorni della sua gioventù, come ai giorni che uscì dal paese d’Egitto» (Os 2,16-17). La simbolica del fidanzamento e delle nozze di Dio con il suo popolo è ripresa dai profeti successivi (cf Is 62,4-6) e in modo tutto particolare da Ezechiele, che narra di una trovatella (Israele) salvata, curata, munificamente nutrita, vestita e finalmente sposata dal suo Dio: «Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l’età dell’amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio; ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii di seta; ti adontai di gioielli: ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento; le tue vesti erano di bisso, di seta e ricami; fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo; diventasti sempre più bella e giungesti fino ad esser regina... » (Ez 16,8-13). Letta su questo sfondo, la storia dei due innamorati del Cantico rimanda spontaneamente oltre: parla di tutti noi, dell’unico popolo di Dio, di Israele, della Chiesa e del grande Atteso. L’apostolo Paolo vede la comunità cristiana come una vergine casta promessa allo sposo (cf 2 Coi” 11,2) e presenta il matrimonio come icona del grande amore di Cristo per la sua Chiesa (cf Ef 5,22-27). La liturgia applica all’Immacolata figlia di Sion le parole d’incanto dell’amato: «Tutta bella sei tu, amica mia, e nessuna macchia è in te» (Ct 4,7). Tota pulchra es Maria! Ma proprio lei, l’Immacolata, personifica il sogno di Dio su ciascuno di noi: «Ci ha scelti prima della, creazione

La Chiesa, come l’innamorata del Cantico, attende il suo diletto, ne desidera i baci, l’intimità. Ed egli non la delude. Viene, anzi scende dai monti, balzando per i colli, nel cuore della notte... Il Verbo di Dio viene a piantare in mezzo a noi la sua tenda (cf Gv 1,18), viene come lo sposo (cf 3,29). È mai pensabile un Dio più vicino? Libro contro tendenza e per vari aspetti imbarazzante, il Cantico dei cantici si propone come il cantico per eccellenza, il cantico dell’amore. Cosa c’è di più sublime? L’amore nella sua freschezza sorgiva, con la forte pulsione dell’eros, com-plice l’intera creazione. Corpi abbracciati in un’atmosfera rarefatta, al confine tra il sogno e la realtà, passione, ricerca, desiderio e non solo. Il Cantico include buio, solitudine, assenza, paura, senso di abbandono, ricerca angosciante nella notte... e silenzio sul nome di Dio. Solo nell’ultimo capitolo un’allusione discreta al nome che Dio rivela a Mosè nel roveto ardente del Sinai: l’amore è detto «fiamma di Yah» (Ct 8,6), e Yak è abbreviazione del tetragramma sacro (Yhwh). Sublime accostamento che riconduce ogni autentica fiamma alla sua sorgente, ovvero al fuoco eterno e incandescente dell’amore. Perché, ovunque c’è una scintilla d’autentico amore, lì c’è rivelazione di altro e di oltre, lì c’è Dio.

La simbolica sponsale

Se il raffinato autore del Cantico può tacere sino alla fine il nome divino, è perché può contare sui precedenti. Ha fiducia che i suoi lettori siano in grado di cogliere le allusioni. Altri hanno già preparato il terreno, primo fra tutti il profeta Osea. Egli rilegge con sorprendente arditezza le relazioni di Dio con il suo popolo e interpreta l’alleanza del Sinai in chiave 5


LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA del mondo, per essere santi e immacolati» (Ef 1,4). Tutta bella, infatti, è la fidanzata dell’agnello, la città sposa, la Gerusalemme nuova che scende dal cielo adorna di gioielli, risplendente della gloria di Dio (Ap21,9ss).

Baciami coi baci della tua bocca!

E lei la prima a entrare in scena, tutta sola. La giovane innamorata, prima ancora di presentarsi e dire chi sia, canta il suo desiderio di amore. Con accenti vibranti: «Mi baciasse coi baci della sua bocca!» (Ct 1,2). E così dice propriamente chi è: una che attende di essere baciata, che attende il rinnovarsi di un magico momento, di un’esperienza inebriante, «poiché più soavi del vino sono le tue coccole». Amo tradurre con «coccole» il termine ebraico dodèka, che richiama il nomignolo di lui: dodi. Il sapore dei suoi baci, la soavità delle sue carezze, l’inconfondibile suo profumo... Il ricordo è talmente vivo che lui, pur assente, è già presente. Infatti, gli parla e si rivolge a lui con il «tu». Non è difficile cogliere in filigrana il grande desiderio che attraversa la storia del popolo di Dio, desiderio vibrante in particolare nel cuore dei mistici e dei santi, e che la Chiesa ripete con le parole del salmista: «gustate e vedete quanto e buono il Signore» (Sai 34,9). Amore, tenerezza, coccole, intrecciate con la simbolica del vino e del profumo, essenziale in Oriente. Ebbene, lei canta che il suo profumo è proprio lui, l’amato (cf Ct 1,3). Un sottile gioco lessicale intercorre tra shem (nome) e shemen (profumo): il tuo nome è il mio profumo! Ovvero, il mio profumo sei tu, la tua presenza. Ed ecco che il profumo si diffonde, e il campo si allarga: non solo lei, ma anche le amiche e compagne: «Attirami dietro a te, corriamo». Portami dove si possa far memoria della nostra storia d’amore. Dammi di assaporare ciò che mi hai fatto gustare. E concedilo non solo a me, dice implicitamente passando dall’io al noi. E un contagio d’amore: «Noi correremo dietro a te! Noi gioiremo, ci rallegreremo a motivo di te; noi celebreremo le tue carezze più del vino. Di te ci si innamora!» (Ct 1,4).

Dimmi dove pascoli il gregge...

L’innamorata si presenta poi alle amiche, le fìglie di Gerusalemme (vv 5-6). Racconta di sé, della sua figura (scura e bella), della sua storia d’amore; confida alle amiche: «io, la mia vigna, non l’ho custodita». E qui la vigna è immagine della femminilità.

Gerusalemme (cf Is 40,2; Os 2,16). È la voce che si rallegra e gioisce «come lo sposo per la sposa» (Is 62,5). «Shema Israel, ascolta, Israele...» (Dt 6,4). Ecco l’Atteso che i profeti e i poveri del Signore hanno costantemente invocato. Giovanni Battista «esulta dì gioia alla voce dello sposo» (Gv 3,29). E cosa dice la voce quando si fa parola? «Alzati, amica mia, e vieni!» (Ct 2,10). Il Targum e le antiche interpretazioni ebraiche intendono questo invito pressante in chiave esodale: «Amata mia fin dal principio e bella di opere, parti! Esci dalla schiavitù egiziana!». Memoria e speranza si fondono insieme in questa scena primaverile del Cantico che lascia trasparire in filigrana la visita di Dio al suo popolo: dall’esodo alla venuta del Messia. La comunità cristiana che celebra l’Avvento mantiene viva l’attesa del «volto» e della «voce», l’attesa dello sposo. E ancora invoca: «Marana tha, vieni o Signore!» (1 Cor 16,22; Ap 22,20).

Come a dire: sono perdutamente innamorata! Ed ecco che il discorso cambia nuovamente dirczione passando dal voi al tu, ovvero dalle amiche all’amato. Egli è assente, ma l’innamorata gli parla come se fosse presente: «O tu che il mio cuore ama, dimmi dove conduci a pascolare il tuo gregge, e dove lo fai riposare sul mezzogiorno. Perché io non sia come una donna sperduta, di fronte ai greggi dei tuoi compagni» (Ct 1,7). Lei parla al tu del suo cuore, che ama con tutta l’anima. Vuoi sapere da lui quali strade percorrere per raggiungerlo là dove si trova. E disposta ad affrontare il sole nel suo pieno vigore, quello del merig gio, non teme di percorrere strade infuocate, come le piste del deserto; è disposta a tutto pur di raggiungerlo. La risposta viene dal coro che indica una pista sicura: «Segui le orme del gregge... » (Ct 1,8). Dalle orme del gregge al ritrovamento del pastore. L’amore si profila come ricerca, pazientemente sulle tracce, attraverso segni e mediazioni. Non subito direttamente sulle orme del pastore, ma sulle tracce del gregge, nel convincimento però che dov’è il gregge, lì si trova il pastore.

cia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua”voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro”» (Ct 2,8-14). Lei aveva supplicato: «Rapiscimi!» (Ct 1,4). E lui ora le dice: «Alzati, amica mia! Alzati e vieni, corri via con me!». C’è perfetta corrispondenza tra il desiderio di lei e quello di lui. Entrambi usano immagini piene di poesia. Lei vede lui come un «cerbiatto», lui la chiama tonati, «colomba mia». Anche il profeta Geremia parla della «colomba che fa il nido nelle pareti di una gola profonda» (Ger 48,28). La colomba tra la roccia è immagine di tenerezza e fedeltà. Segue l’eterna richiesta degli innamorati: fammi vedere, fammi sentire. Le parole chiave sono disposte in forma chiastica: volto -voce voce - volto. A far sobbalzare il cuore di lei è anzitutto una voce inconfondibile tra mille. E la voce più cara, che ha eletto e scelto Israele, che parla direttamente al cuore di

Fammi vedere il tuo volto!

Elisabetta era discendente di Aronne e dunque di famiglia sacerdotale, come suo marito Zaccaria. Una coppia perfetta, diremmo oggi: «Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore» (Lc 1,6). I loro nomi suonano fortemente allusivi: Zaccaria significa infatti «Dio ricorda», mentre Elisabetta significa «Dio ha giurato». Il significato di questi nomi però sembrava contraddetto nell'esistenza di questa santa coppia. Dio non sembrava affatto ricordarsi del suo devoto sacerdote, né mantenere la sua fedeltà nei confronti della giusta Elisabetta su cui pesava l'umiliazione della sterilità: «non avevano figli e tutti e due erano avanti negli anni» (Lc 1,7). La situazione di Elisabetta evoca diverse storie dell'Antico Testamento, in particolare quella della bellissima matriarca Sara e di Anna, la dolce madre del profeta Samuele. Come le grandi madri del popolo di Dio, Elisabetta è messa a dura prova nella sua speranza. Passano gli anni e ogni anno lascia un segno sul volto, linee di dolore sempre più profonde. Per gli altri sono rughe, per lei sono solchi scavati dall'attesa di colui che ha invocato e non risponde. Ma Dio, che guida la storia, sa bene che occorrono solchi profondi per far germogliare la novità che lui sta per seminare. Così una sera, al ritorno di Zaccaria dal tempio (cf Lc 1,8-23), Elisabetta concepì il suo futuro. In un amore «muto» e tuttavia mai così eloquente, fatto di sguardi e di gesti che dovevano dire l'indicibile: quello che Zaccaria aveva udito da Gabriele e che non poteva verbalizzare alla sua fé dele compagna di vita e di dolore. Ma lei comprese e si aprì totalmente. E fu gioia e trepida-zione immensa. Mi ha sempre colpito come Luca commenta la reazione di Elisabetta. Scrive l’evangelista: «Elisabetta concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini» (Lc 1,24-25). Perché mai Elisabetta, liberata dalla vergogna della sterilità, si tenne nascosta per cinque mesi? Perché questo sot-trarsi agli occhi della gente? Per la «vergogna» di essere rimasta incinta in tarda età? Ma se così fosse, sarebbe più logico attendersi il nascondimento a gestazione avanzata, anziché nei primi mesi! La ragione di questo strano nascondimento sembra dunque un’altra, che a me piace formulare così: Elisabetta si tenne nascosta per contemplare. Quando Dio parla conviene che l’uomo taccia (Zaccaria resta muto); quando Dio opera meraviglie conviene non dissolvere in chiacchiera (Elisabetta si tiene nascosta). Cosi la scena finisce come era cominciata: davanti a Dio (cf Lc 1,8). Elisabetta si ritrae dagli sguardi della gente per restare totalmente sotto lo sguardo di Dio, in religioso ascolto e canto di lode. La madre del Precursore precede la Madre del Salvatore nella confessio lau-dis, nel gioioso riconoscimento della grazia, delle meraviglie del Signore: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore!» (v 25).

Il secondo capitolo del Cantico ci ambienta in una scena stupenda di primavera (cf Ct 2,8-17). E nuovamente lei che prende la parola, o meglio, intona il canto. Attende al muretto dell’incontro, luogo dell’appuntamento segreto. Lo immagina scendere dai monti, le montagne del deserto di Giuda, saltellante come un cerbiatto, come un dolcissimo cucciolo di gazzella. Ancor lontano ne sente la voce, inconfondibile: qol dodi, «voce del mio tesoro». Troppo bello il brano per non leggerlo interamente, notando la sequenza suggestiva: la voce, i passi, gli occhi che spiano da dietro il muretto, quello dei segreti appuntamenti. E di nuovo la voce, ormai vicina, parlante, dolcissima: « Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline. Somiglia il mio diletto a un capriolo o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate. Ora parla il mio diletto e mi dice: “Alzati, amica mia., mia bella, e vieni! Perché, ecco, l’inverno e passato, e cessata la pioggia, se ne andata.; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto e tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roc6

Le donne dell’ infanzia di Gesù

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uali donne, oltre sua Madre, hanno abitato l'infanzia di Gesù? I Vangeli canonici non offrono propriamente risposta a una tale domanda. Ma Luca, nel cosiddetto Vangelo dell'infanzia, presenta due figure femminili particolarmente interessanti: Elisabetta, la madre del Precursore, e la profetessa Anna che, insieme al vecchio Simeone, accoglie Gesù nella presentazione al tempio. Due donne avanti negli anni, che manifestano un rapporto speciale con lo Spirito e con la Parola, anche se la profetessa Anna è piuttosto avvolta di silenzio. Intrigante questo intreccio di Spirito, profezia e silenzio sulle soglie del Nuovo Testamento. Di quale messaggio è portatore?

Elisabetta: la graziata che si tiene nascosta

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LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA Quando lo Spirito fa sussultare il grembo

Al sesto mese Elisabetta non è più nascosta: è il tempo della visita e della benedizione. Al saluto di Maria la sterile graziata erompe in un cantico di lode, mentre il bambino sussulta di gioia nel suo grembo: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,43-44). La voce di Elisabetta sale forte come nelle acclamazioni liturgiche: un’esplosione di gioia e di profezia accompagnano il riconoscimento della «Madre del Signore». Ma chi ha informato Elisabetta? A Maria quella visita conferma l’attendibilità del «segno» ricevuto da Gabriele. Ora può vedere con i propri occhi che davvero Elisabetta porta in grembo un bambino. Ma come fa l’anziana cugina a sapere della sua maternità? Cosa traspare dalla Vergine? Luca precisa che al saluto di Maria «Elisabetta fu piena di Spirito Santo» (v 41). È lo Spirito che fa sgorgare lode e profezia! Infatti, Elisabetta non solo riconosce il palpito di una nuova vita, ma ne riconosce la singolare natura. Si tratta di una maternità che non ha precedenti: Maria è acclamata Madre di quel Signore che Elisabetta accoglie nella fede come il Dio della sua vita: «il mio Signore». Il pensiero corre all’arca dell’alleanza che Davide accoglie con giubilo, danza e stupore: «Come potrà l’arca del Signore venire a me?» (2 Sam 6,9). Maria appare agli occhi di Elisabetta come l’arca della nuova alleanza: «A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?», esclama riecheggiando le parole di Davide, mentre il piccolo Giovanni salta di gioia nel suo grembo. Inno di giubilo e di esultanza per la Madre del Messia. L’acclamazione di Elisabetta è primizia di un canto che si rinnova nel tempo, di generazione in generazione: «Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). Nella sua acclamazione Elisabetta indica dove risiede la vera grandezza di Maria, attesta ciò che lo Spirito, e non il semplice sguardo umano, le permette di vedere e cioè il valore eminente della fede obbediente di Maria: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore» (v 45). Prima fra tutte Elisabetta proclama la felicità di Maria, una beatitudine che attraversa il tempo: «tutte le generazioni mi proclameranno beata», dirà la stessa Vergine nel suo Magnificat (v 48). Maria è davvero felice perché ha creduto. È la credente per eccellenza, la Madre di tutti i credenti.

Anna, la profetessa silente

Luca è l’unico evangelista che racconta della «circoncisione» di Gesù all’ottavo giorno, come ogni bambino ebreo, secondo la prescrizione della Legge. Maria e il suo sposo Giuseppe erano buoni osservanti della Legge e come tali si attengono anche ai riti in essa prescritti: «Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (Lc 2,22-24). Senza entrare in merito a questi riti, che peraltro andrebbero approfonditi per comprendere le origini ebraiche della nostra fede, vorrei soffermarmi sull’epifanico incontro del Bambino con il vegliardo e la profetessa. Anna e Simeone sono figure carismatiche, piena-

mente abitate dallo Spirito e perciò capaci di una parola che oltrepassa la contingenza e si fa canto e profezia. Simeone è «uomo giusto e timorato di Dio», un vero sapiente, biblicamente parlando. Tutta la vita di questo saggio vegliardo è compendiata nell’attesa: «aspettava la consolazione d’Israele» (Lc 2,25). Bellissima figura in cui, per cosi dire, prende forma e corpo la speranza e più precisamente l’attesa della consolazione messianica: «Gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio...» (vv 26-27). Quale sorpresa gli riserva lo Spirito? «Consolate, consolate il mio popolo», dice il Signore per bocca di Isaia (Is 40,1). «Prorompete insieme in canti di gioia rovine di Gerusalemme perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme» (Is 52,9). Le braccia del vegliardo, a lungo innalzate nell’ardente invocazione del Messia, stringono tremanti il Bambino. Simeone lo innalza verso il cielo mentre il suo spirito erompe in un cantico: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,29-32). Gioia degli occhi che hanno visto ciò per cui valeva la pena di vivere, hanno visto l’Atteso. Occhi che ridono, cuore che canta: «ora posso andare nella pace», shalom che viene dalla contemplazione della salvezza, preparata per tutti. Gli occhi di Simeone vedono in profondità ciò che sta «davanti al volto» di tutti. Non solo per Israele, ma per tutte le genti si compie la salvezza. «Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is 52,10), sembra dire silenziosamente Anna, la profetessa. Luca introduce questa donna in stretto collegamento con la figura di Simeone, entrambi testimoni della speranza. Anna, però, diversamente da Simeone, è presentata in maniera circostanziata: è la figlia di Fanuel, nome che richiama Penuel, «volto di Dio» (cf Gen 32,31); appartiene alla tribù di Aser, figlio della matriarca Lia: (cf Gen 30,13) e vive nel tempio in qualità di vedova. Alla morte del marito, nel settimo anno del suo matrimonio, decide di vivere a pieno servizio del Signore. Una lunga vita nell’orante attesa: «Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,37). Anna è giunta ormai a 84 anni, numero che sembra alludere a una combinazione simbolica di 7 x 12 (dove il 12 sarebbe allusivo di Israele e il 7 delle nazioni pagane). Al di là del simbolismo numerico, è difficile comunque sottrarsi al fascino di questa santa vedova che Luca definisce «profetessa» (v 36). Ma in che cosa consiste la profezia di Anna?

Quando a parlare è tutta la persona

Mi colpisce un dettaglio: questa donna «non si allontanava mai dal tempio» (Lc 2,37). Diversamente da Simeone che, mosso dallo Spirito si reca al tempio per la presentazione del bambino Gesù, Anna non accorre per la circostanza: lei nel tempio c’è già. È diventato sua stabile dimora da quando, giovanissima, è rimasta priva del marito. Il tempio del Signore è la sua casa: non solo dal punto di vista logistico, ma come dimensione spirituale. Ha fatto della lode divina il senso e la ragione d’essere della propria esistenza. Anna vive nel digiuno, nella preghiera e nel servizio liturgico: dedizione incondizionata alla presenza del Signore. 8

Tutto questo connota la qualifica di «profetessa» che Luca le attribuisce. Simeone per sé non è designato profeta, ma di fatto profetizza. Infatti parla alla Madre di Gesù rivelando il suo drammatico destino: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione, e anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinchè i pensieri di molti cuori siano svelati» (vv 34-35). Parole brucianti che Anna ascolta in silenzio, come Maria. In che cosa consiste, dunque, «l’essere profetessa» di Anna? Anzitutto nell’essere lì in quel modo: presenza amante, testimone silente, ovvero eloquenza di tutta la persona. C’è un dire profetico che non può essere comunicato a parole. C’è un dire che si esprime nella danza, come quello di

Miriam, la novantenne profetessa dell’esodo (cf Es 15,20-21). Anna, la profetessa del Nuovo Testamento, «lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (v 38). Dunque, niente affatto «donna muta», ma profetessa, donna che parla di lui a quanti attendono liberazione e salvezza. Donna che, oltre al passato, rimanda al futuro, all’opera evangelizzatrice delle discepole di Gesù, prima fra tutte Maria di Magdala, testimone del Risorto (cf Lc 24,1-11 e paralleli). Anna, cui Dio ha fatto grazia, oltrepassa la soglia dell’Antico Testamento per entrare nel Nuovo. La sua profezia diventa Vangelo: bella notizia a tutti, lieto annuncio della salvezza. In tal senso Anna è profezia che continua a interpellare.

Le discepole itineranti con Gesù E difficile, per noi che ci spostiamo con macchine sempre più veloci, che viaggiamo in aereo o in eurostar, renderci veramente conto di ciò che comportava l’opera dell’evangelizzazione per Gesù e per il suo gruppo di uomini e donne itineranti. I Vangeli per lo più tacciono delle «discepole» itineranti al seguito di Gesù. Marco e Matteo escono dal silenzio concernente il discepolato femminile solo in occasione della passione e morte di Gesù: diversamente dai discepoli che fuggirono, le donne ebbero il coraggio di seguirlo fin sotto la croce, furono testimoni del suo martirio.

Eclissi di memoria, ma non totale È interessante che si avverta il bisogno di menzionare la presenza delle donne accanto a Gesù soltanto quand’essa costituisce l’unica testimonianza possibile circa gli eventi supremi della morte e della risurrezione del Maestro. Ovviamente, le donne al seguito di Gesù c’erano anche prima. A ricordarlo è espressamente l’evangelista Luca, in un «sommario» rilevante sotto il profilo sia strutturale sia contenutistico: «Ed egli andava di città in città e di villaggio in villaggio annunciando ed evangelizzando il regno di Dio e i dodici erano con lui e alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità: Maria, quella chiamata Maddalena, e Giovanna moglie di Cusa, amministratore di Erode, e Susanna e molte altre che li servivano con i loro beni» (Lc 8,1 -3). Grazie a Luca, usciamo dall’eclissi della memoria circa le donne itineranti con Gesù, direttamente coinvolte nella fatica e nell’entusiasmo della sua missione: l’annuncio della bella notizia, il Vangelo del regno. Gesù sfida la cultura dominante, non solo perché si lascia toccare da donne peccatrici, ma molto più perché considera le donne capaci di ascoltare e comprendere la Parola di Dio, capaci di teologia. Al riguardo, oltre al racconto di Marta e Maria (Lc 10,38-42), si veda il dialogo stupendo tra Gesù e la samaritana, con punte di autentico dibattito teologico (cf Gv 4,7-26).

Discepole itineranti e residenti Non sta all’uomo (e neppure alla donna) scegliere il «come» seguire Gesù. Le modalità della sequela sono stabilite dal Maestro, sia per le vocazioni maschili sia per quelle femminili. Si ricordi la risposta all’ex-indemoniato di Gerasa, che chiedeva a Gesù di poterlo seguire stabilmente. Egli non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, e annunzia loro cosa il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato» (Mc 5,19). Perché non pensare che accada qualcosa di simile per le donne? In altre parole, è lo stesso Gesù che incoraggia, in modo concretissimo e personale, in base alla situazione, la forma itinerante o residente del discepolato femminile. In tal senso alcune donne lo seguono con i Dodici nei suoi spostamenti e si prendono cura di lui con amorevole diakonla; altre, invece, potrebbero essere qualificate «discepole residenti»: la loro casa, come quella di Marta, è sempre aperta per il Maestro e i suoi discepoli, come lo sarà, in seguito, quella di Lidia per l’apostolo Paolo e i suoi compagni. Si tratta di un’accoglienza impagabile, che conforta e incoraggia nella fatica della missione.

Donne guarite e trasformate dall’amore Qual è la posizione e il ruolo delle donne itineranti con Gesù? Chi sono e che cosa sta all’origine della loro sorprendente decisione di seguire il Rabbi di Nazaret? Luca ricorda il nome di tre donne, prima fra tutte Maria di Magdala. Le accomuna un’esperienza profonda della bontà terapeutica di Gesù, della sua capacità di ascolto e di guarigione. L’evangelista non entra nei dettagli, dice in maniera generica che «erano state guarite da spiriti maligni e da infermità», con allusione al potere esorcizzante e terapeutico 9


LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA di Gesù. A contatto con Gesù hanno sperimentato l’amore che salva e un nuovo stile di vita: la libertà che si fa servizio, la felicità di essere volontariamente serve per amore. Queste donne hanno sperimentato ciò che papa Benedetto scrive nella sua seconda enciclica: «Quando uno nella sua vita fa l’esperienza di un grande amore, quello è un momento di “redenzione” che da un senso nuovo alla sua vita» (Spe salvi, 26). Luca precisa che esse «lo servivano (diekónoun) con i loro beni». Di quale servizio si tratta? Notiamo anzitutto che il verbo utilizzato dall’evangelista è il medesimo da cui deriva il termine diàkonos. Queste donne sono pertanto le diaconesse di Gesù, ma non si limitano alla sua persona. Si tratta di un servizio ampio, che attende alle varie necessità di un gruppo itinerante. Effettivamente «l’essere in comunione con Gesù Cristo coinvolge nel suo essere “per tutti”, ne fa il nostro modo di essere» (Spe salvi, 28).

dalena l’emblema della prostituta pentita? Fin dall’antichità si è fatta una sovrapposizione tra il racconto lucano, immediatamente precedente, della peccatrice perdonata, di cui peraltro si tace il nome (cf Lc 7,37-50), e Maria di Magdala da cui erano «usciti sette demoni». Ma esegeticamente tale interpretazione non ha fondamento. Peccato e possessione diabolica non sono la stessa cosa nel Nuovo Testamento. L’equivoco ha potuto affermarsi perché probabilmente avere «sette demoni» è stato letto come avere il demone dei demoni, quella diavoleria che si esprime nel sesso: la porneia. L’identificazione della Maddalena, liberata dai sette demoni, con l’anonima peccatrice che, alla tavola di Simone il fariseo, bacia e profuma i piedi di Gesù dopo averli lavati con le sue lacrime, è avvenuta già nella Chiesa antica ed è entrata perfino nella liturgia. Ma l’esegesi delle donne sta contribuendo a fare chiarezza. Da Lc 8,2 possiamo trarre, invece, un aspetto indubbiamente rilevante per l’identità psicologicospirituale della capolista delle discepole: Maria di Magdala è una donna restituita a se stessa, riconsegnata alla propria libertà attraverso l’esodo di sette demoni che l’avevano interiormente lacerata e soggiogata. Ebbene, questa donna ricondotta all’unità del proprio essere, decide di vivere Maria Maddalena la sua libertà quale servizio d’amore, al seguito di Gesù. In tal senso è splen Maria di Magdala è la prima dida icona della libertà cristiana che ad essere menzionata, un primato rico- l’apostolo Paolo esalta nella lettera ai nosciutole da tutti e quattro gli evan- Galati: la libertà che si esprime nel sergelisti nell’annuncio della risurrezio- vizio (cf Gal 5,1-15). ne. Indubbiamente doveva essere una donna di grande spicco nella comunità Giovanna primitiva. Luca informa che, prima di La seconda donna nominata in mettersi al seguito di Gesù, era stata Le 8,3 è Giovanna. Di lei non troviaesorcizzata «da sette demoni». La possessione di sette spiriti è un caso parti- mo alcun accenno negli altri Sinottici e colarmente grave, come esplicitamen- neppure in Giovanni. Luca, invece, la ricorda nuovamente nel racconto delte detto in Lc 11,26. È possibile dare un nome ai la risurrezione ed anche in quel caso «sette demoni» cacciati dalla Mad- la pone al secondo posto, subito dopo dalena? È giusto interpretarli in chia- Maria di Magdala (cf Lc 24,10). Di Giovanna si specifica la ve sessuale, come spesso si è fatto e, posizione civile e sociale: è la moglie conseguentemente, vedere nella Mad10

di Cusa, amministratore di Erode. Proviene dunque da una situazione sociale elevata. Ed ecco allora, inevitabili, alcune domande: come mai peregrinava con Gesù? Era d’accordo suo marito? Era forse vedova? Ma in tal caso perché Luca non lo dice? Abitualmente l’evangelista non perde occasione di menzionare la vedova, che appartiene alle categorie dei poveri e oppressi, cui è particolarmente rivolto il lieto messaggio (cf Lc 4,25-26). «Se poi Cusa era vivente e aveva una eminente posizione come funzionario di Erode, la situazione appare ancora più complessa. Era d’accordo con la scelta della moglie mettendo così a repentaglio la sua carriera? Oppure Giovanna, oltre l’abbandono del suo ambiente, dovette sopportare anche il peso dell’ostilità e della perdita affettiva del marito? Dell’eventuale presenza di figli non si parla». Quale può essere stata la causa che ha spinto Giovanna a seguire Gesù? Luca non lo dice. Perciò possiamo supporre che valga anche per lei quanto detto per tutte: l’esperienza della guarigione interiore, dell’amore liberante.

Susanna

La terza donna di cui Luca fa il nome è Susanna. Ma di lei, oltre il nome, non sappiamo altro. E comunque è già qualcosa, anzi molto. Di tante altre donne dei Vangeli, che pure hanno svolto una parte importante, il nome non è stato infatti ricordato. Paradossalmente è caduto nell’oblìo perfino il nome di colei che ha versato tutto il suo profumo sulla testa di Gesù e della quale il Maestro aveva detto: «In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato il Vangelo, sarà raccontato anche ciò che ha fatto, in memoria di lei» (Mc 14,9). Ma c’è un’altra ragione per rallegrarsi che di Susanna si ricordi il nome: questo fatto è sufficiente per dare concretezza all’iniziativa più straordinaria che si possa immaginare. Con tre donne chiamate per nome, capofila «di molte altre», non si potrà concludere che l’avventura è stata immaginaria! L’eclissi della memoria è solo parziale. Le indagini condotte da Luca (cf Lc 1,1-4) danno per certo che, insieme a Gesù, coinvolte nella sua missione evangeliz-zatrice, ci sono state donne concrete, di cui si ricordano i nomi.

La casa di Marta e la casa di Lidia Donne ospitali o anche di più?

Nel contesto della sua predicazione itinerante Gesù trova generosa ospitalità nella casa di Marta, sorella di Maria e di Lazzaro. Il fatto che Luca (10,38-42) introduca Marta per prima, non è cosa marginale. Questo dettaglio indica infatti la posizione sociale e il ruolo di Marta, in quanto proprietaria e signora della casa. Luca non precisa la località, ma dall'evangelista Giovanni sappiamo che abitavano a Betania, un villaggio sul dorso orientale del monte degli Ulivi, in prossimità di Gerusalemme. Gesù doveva trovarsi proprio bene nella casa degli amici di Betania. Anche sei giorni prima dell'ultima sua Pasqua era loro ospite insieme ai discepoli. Gli avevano preparato un solenne banchetto per festeggiare, come meritava, la risurrezione di Lazzaro dai morti. Nel contesto di quel banchetto Maria compie un gesto d'amore sublime, fortemente simbolico: cosparge i piedi del Maestro con unguento profumatissimo e molto costoso, sollevando mormorio tra i commensali e aperta indignazione da parte di Giuda. Non è però su questo straordinario gesto femminile che vorrei soffermarmi, quanto piuttosto richiamare l'attenzione sul «servizio» di Marta, troppo spesso interpretato in forma riduttiva. E vorrei coglierne la rilevanza nell'ampia prospettiva lucana (Vangelo e Atti) che presenta l'intreccio donna-casa-evangelizzazione. Cosa ha potuto significare per Gesù, nella fatica dell'itineranza, la casa accogliente di Marta? E cosa può aver comportato per Paolo e per la comunità di Filippi, l'accoglienza nella casa di una donna come Lidia? Non c'è dubbio che nella Chiesa primitiva una casa accogliente costituiva un dono incommensurabile per gli evangelizzatori itineranti. Luca ne ha fatto diretta esperienza nei viaggi missionari con l'apostolo Paolo. Ma forse c'è qualcosa che va oltre la semplice ospitalità nel ruolo di queste «signore» nella cui casa si radunava la Chiesa.

A partire dalla suocera di Pietro...

La casa per eccellenza, su cui Gesù può contare quando lascia Nazaret per intraprendere la missione di evangelizzatore itinerante, è indubbiamente quella di Pietro, a Cafarnao. Il Maestro vi entrò all'inizio del suo ministero insieme ai discepoli (cf Mt 8,14; Me 1,29; Lc 4,38) ed essa divenne praticamente la «sua casa» fino a quando lasciò per sempre la Galilea. Egli inaugura la sua residenza in quella casa con un dono di guarigione a favore della signora, la suocera di Pietro che «era oppressa da una grande febbre» (Le 4,38). Gesù si chinò su di lei con affettuosa cura e ingiunse alla febbre di lasciarla. Immediatamente la donna fu liberata. Si alzò e «si mise a servirli» (v 39). Quest'ultimo dettaglio non solo conferma l'avvenuta guarigione, ma per la terminologia usata richiama la diakonia delle discepole di Gesù (Lc 8,13). In effetti è logico supporre che la suocera di Pietro, con le altre donne presenti nello stesso quartiere abitativo, continuò a servire Gesù e i suoi discepoli anche in seguito. In quella casa infatti il Maestro impartiva il suo insegnamento e una grande folla vi affluiva (cf Mc 3,20). Qui Gesù relativizza i legami parentali e proclama la sua nuova famiglia, basata sull'ascolto della Parola di Dio e la comune adesione al suo volere (Mc 3,31-35; Lc 8,19-21). Nella redazione di Marco 11

la «casa» segna chiaramente il punto di demarcazione tra i parenti che «stanno fuori» e quelli che invece stanno «dentro», seduti intorno al Maestro.

Il messaggio del Maestro nella casa di Marta

Nella fatica della missione («mentre erano in cammino», Lc 10,38) Gesù e il suo gruppo trovano generosa ospitalità in casa di Marta. L’episodio è raccontato soltanto da Luca e ha dato luogo a interpretazioni diverse, che spesso contrappongono le due sorelle come simbolo rispettivamente della vita attiva e di quella contemplativa. Il racconto può essere letto anche in un’altra prospettiva, e precisamente in quella dell’accoglienza. Secondo la Bibbia l’ospite è sempre portatore di un messaggio che va accolto. Si tratta quindi di comprendere, oltre il ruolo e il comportamento delle due sorelle, quale sia il messaggio che Gesù porta nella casa di Marta. Le due sorelle si relazionano con Gesù in modo assai diverso. Marta ritiene di fargli bella accoglienza con molti servizi. Maria, invece, preferisce stare ai suoi piedi e ascoltarlo. Così la loro figura viene spesso contrapposta e, come accennavo, c’è chi dietro il contrasto tra le due sorelle vede un conflitto presente nella comunità primitiva tra «attivisti» e «ritirati». Sul fondale del racconto ci sarebbe la seguente domanda: che cosa è più importante in seno alla comunità: la diakonia (Marta) o l’ascolto della Parola (Maria)? La questione è forse più radicale e verte sul «come» dobbiamo accogliere il Signore.

Non ti importa che mia sorella mi ha lasciata sola?

Marta si sente così onorata di aver accolto il Maestro che non sa più cosa fargli. Vorrebbe che tutto riuscisse alla perfezione, vorrebbe offrirgli il massimo dell’ospitalità. Forse è anche un po’ emozionata... si sa, quando c’è un ospite illustre l’emozione può giocare la sua parte e togliere il pieno controllo della situazione. In effetti dopo l’accoglienza iniziale, cordiale e significativa, si avverte un certo cambiamento, come se la situazione le sfuggisse di mano. La persona di Gesù non è più al centro della sua attenzione. Ovviamente sta dandosi da fare per lui, ma si lascia coinvolgere da ciò che fa a tal punto che finisce con il perdere di vista il «per chi», l’Ospite a cui il servizio è rivolto. Marta si chiedeva innervosita dentro di sé: perché mia sorella non viene a darmi una mano? Possibile che non si accorga che ho bisogno del suo aiuto? E Gesù? Neppure lui si rende conto della situazione? Non ha occhi per me? Infine decide di intervenire. Sotto


LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA - le donne della bibbia - LE DONNE DELLA BIBBIA la pressione dell’ansietà interviene in modo improprio. Anziché rivolgersi direttamente alla sorella, se la prende con il Maestro: «Signore, non ti importa che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10,40). Dov’è finita l’accogliente signora di casa? Il tono sembra quello di una padrona. Sembra esserci un’esplosione di amarezza nelle parole di Marta. Chiusa nella pretesa che la sorella dovrebbe capire la situazione, non ha la semplicità di chiedere, magari con grinta: «Maria, per favore, mi aiuti?». Anzi si sente ancor più ferita dal fatto che neppure il Signore si accorga della sua solitudine. E forse c’è anche dell’altro. Marta si sente irritata dall’atteggiamento della sorella: quel suo «stare ai piedi» di Gesù infrange le regole imposte alle donne. «Stare ai piedi di» è un’espressione simbolica per indicare l’essere discepolo di qualcuno. San Paolo dice di essere cresciuto «ai piedi di Gamaliele», uno dei rabbi più famosi. Alle donne non era consentito di «stare ai piedi» di un rabbi per apprendere come interpretare la Scrittura. In questa prospettiva Marta chiederebbe aiuto a Gesù per riportare la sorella dentro i parametri del ruolo tradizionale della donna: «Dille che mi aiuti!». Gesù non ci sta a questa richiesta di aiuto. Non intende dare una mano a Marta per riportare Maria in cucina. Egli si rivolge alla signora di casa con affetto e al contempo con fermezza, chiamandola due volte per nome: «Marta, Marta». Proprio come farà con Simo-ne nell’imminenza della grande tentazione (Lc 22,31). Marta infatti sta entrando nella tentazione di autocomprendersi in funzione dei servizi da rendere: «ti preoccupi e ti agiti per molte cose». Maria invece riconosce la visita del Signore (cf Lc 1,68), sospende ogni cosa e gioisce della sua presenza. Quel suo apparente non-fare, anzi quello stare ai piedi del Maestro, come era lecito ai maschi, coincide con la scelta della «parte migliore» che non le sarà tolta poiché Gesù non intende affatto privarla della sua conquista. La casa di Marta non può limitarsi a essere semplicemente «casa di ristoro». Per il fatto che è presente il Maestro, essa svolge anche il ruolo di scuola, o come si dice in ebraico, Bet hammidrash, «casa di studio». Ma con una novità: senza escludere le donne!

La casa di Lidia, prima cristiana europea

Ci ambientiamo nel contesto della missione paolina. Luca presenta negli Atti un’altra donna che mette a disposizione la sua casa per gli evangelizzatori itineranti e per la nuova comunità che si va formando con la loro predicazione: «Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Re stammo in questa città alcuni giorni; il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite. C’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: “Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa”. E ci costrinse ad accettare» (At 16,11-15). 12

Le informazioni iniziali sul viaggio da Troade a Filippi (vv. 11-12b) aiutano a tener presente le difficoltà che la missione itinerante comporta. L’apostolo Paolo e i suoi compagni evangelizzatori sono privi di garanzie e di appoggi umani, affidati unicamente alla Parola del Signore. Non è detto dove alloggiano quando arrivano per la prima volta a Filippi. I giorni che precedono il sabato servono loro per informarsi sui luoghi di preghiera dei giudei. Abitualmente la missione prende avvio nella sinagoga. Ma a Filippi non c’era una sinagoga. La preghiera del sabato aveva luogo lungo il fiume, a motivo dell’acqua, necessaria per le abluzioni. I nostri missionari il sabato mattino escono dunque dalla porta della città e si avviano verso il vicino Gangite. È interessante che alla preghiera del sabato trovino soprattutto (o soltanto?) delle donne. Non si fa parola di uomini in questo oratorio a cielo aperto, dove il sabato si incontravano per pregare i simpatizzanti del giudaismo, i cosiddetti timorati di Dio. Paolo si intrattiene liberamente con queste donne desiderose della Parola di Dio. Il suo comportamento rivela somiglianza con quello di Gesù, per il quale non ci sono preclusioni di genere. L’interesse del racconto si concentra subito su Lidia, una ricca e intraprendente commerciante di Tiàtira, città rinomata per l’industria della porpora (cf Ap 1,11; 2,18-29). La sua attività le consente indipendenza e prestigio sociale. Pensando a Lidia il pensiero corre all’elogio che il libro dei Proverbi tesse dell’autentica signora della casa, intraprendente e saggia amministratrice dell’economia familiare (cf Pr 31,10-31). In effetti Lidia è donna molto dotata e sensibile alla predicazione di Paolo. Luca ci tiene però a precisare che l’iniziativa della sua conversione viene dall’alto, è grazia: «il Signore le aprì il cuore» per aderire al Vangelo. Il Signore Gesù trova subito spazio nella vita di questa donna che prontamente aderisce a lui nella fede e altrettanto prontamente apre le porte della sua casa ai predicatori della Parola: «Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa». Il suo invito è un obbligo: «ci costrinse ad accettare», annota Luca. Un’espressione che vuole sottolineare la generosa ospitalità di questa donna che alla grazia della fede risponde con la pronta condivisione dei beni. Lidia apre totalmente la sua casa. Ormai ha scoperto qualcosa che vale più della porpora! Un tesoro che non può tenere solo per sé, ma che propone anche agli altri con l’entusiasmo che la caratterizza. Lidia è così persuasiva che porta anzitutto alla fede la sua famiglia. Nella sua casa nasce la prima comunità cristiana di Filippi.

Donne liberate e guarite da Gesu’ Quando Gesù opera guarigione nel corpo o nell’anima di una donna non esplica per sé un potere taumaturgico diverso rispetto a quando guarisce un uomo, e tuttavia qualcosa di altro puntualmente si verifica. Basti osservare alcuni esempi. Ne propongo tre, nella prospettiva dell’evangelista Luca. Tre storie che vedono coinvolte tre donne anonime, identificate in base al loro ruolo sociale, come la suocera di Pietro, o in base alla loro malattia: è il caso dell’emorroissa e della donna terribilmente ingobbita. Osserveremo come si comportano queste donne e soprattutto come il Maestro si relaziona con loro in modo sorprendentemente libero e liberante.

Guarita, si mise a servire: un modello per tutti Stando ai racconti evangelici, la prima donna guarita da Gesù è la suocera di Pietro. La rilevanza di questa guarigione non risiede nella gravita della malattia. Anzi, da questo punto di vista, si direbbe che è la guarigione meno sensazionale. Ciò che invece ne fa un simbolo è piuttosto il fatto che Gesù inaugura di sabato il suo ministero terapeutico, nei confronti sia dell’uomo sia della donna. Gesù entra nella casa di Si-mone e di Andrea a Cafarnao in giorno di sabato, dopo aver compiuto nella sinagoga un potente esorcismo a favore di un uomo oppresso da uno spirito impuro. La narrazione di Luca (4,38-39) segue sostanzialmente quella di Marco (1,29-31) ma con una variante di prospettiva. Nel racconto di Marco, infatti, la guarigione è preceduta dalla chiamata di Gesù e dalla pronta sequela di Simone e di Andrea suo fratello (1,16-18). Non così in Luca, dove la vocazione di Pietro avviene nel capitolo successivo (5,1-11). In tal modo Luca evita tutto ciò che potrebbe gettare ombra sulla gratuità dell’evento. Gesù non guarisce la suocera quasi a ricompensare Simone della pronta sequela, perché in realtà non lo aveva ancora chiamato. Sconcertante invece è che la guarigione avvenga di sabato, in continuità con quella operata nella sinagoga nel contesto del culto divino. Li il Maestro aveva dato inizio al suo insegnamento autorevole e aveva esercitato il suo potere di liberazione impartendo ordini al demonio e cacciandolo dal suo luogo di dominio. Fu talmente grande lo stupore che subito afferrò i presenti. Ma Gesù non si limita a operare guarigione nel luogo di culto. Ovunque egli passa fiorisce salvezza e anzitutto nella casa che lo ospita. Non ci è detta la ragione di quella forte febbre che Gesù tratta con la medesima fermezza esplicata verso il dèmone. L’evangelista registra invece la dimensione orante che caratterizza la casa di Si-mone: «lo pregarono per lei» (Lc 4,38). Gesù esaudisce prontamente questa preghiera, si avvicina al letto e si china sulla malata. Il Signore si piega sulla signora di casa e questo suo chinarsi la libera e la rimette in piedi. Il terapeuta si abbassa, la febbre esce con la velocità del dèmone e la signora prontamente si rialza per esplicare il suo servizio, ovvero il suo ministero in giorno di sabato. È noto infatti che alla donna compete un servizio speciale nella casa ebraica in giorno di sabato; è lei che garantisce l’unità tra il culto sinagogale e quello domestico. Dio chiama alla gioia del sabato non solo nella sinagoga ma attorno alla mensa illuminata dalla menorah, le luci del candelabro che la signora della casa ha preparato. Liberata dalla misteriosa febbre che la bloccava a letto, la signora si alza e da prova della sua guarigione mettendosi a servire (diékonei). Schùrmann nota che quel pronto mettersi a servire è un’indicazione dei nuovi compiti che attendono la donna nella comunità cristiana. Viene da chiedersi: questi compiti sono riservati eslusivamente alla donna, o piuttosto riguardano tutti? Non è forse il servizio la magna charta dell’essere discepoli del Signore? Non ci ha egli stesso lasciato nella sua Pasqua un esempio eminente di come vivere il servizio?

Chi mi ha toccato? Una figlia da riconoscere Solo Dio poteva conoscere il male presente in lei, quel misto atroce di rabbia, dolore e umiliazione che ormai disperatamente la abitavano. Erano dodici anni che soffriva di perdite di sangue con tutto ciò che questo comportava: esclusione dall’ambito cultuale e totale astensione dalla vita sessuale. Si sentiva morta, sporca, umiliata. L’evangelista Marco precisa che aveva speso tutto il suo patrimonio per consultare i medici e che non solo non aveva trovato vantaggio alcuno, ma si era ridotta in miseria. Luca, da buon medico, risparmia tale affronto ai colleghi e si limita a constatare che «nessuno era riuscito a guarirla» (8,43). Quale speranza poteva nutrire quella povera donna? Gliene era rimasta soltanto una: avvicinarsi al Maestro rischiando tutto, anche di venire linciata. Lui il puro, il Santo di Dio, come avrebbe reagito al suo contatto? 13


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L’avrebbe denunciata? Aveva sentito dire che toccava anche i lebbrosi, ma una donna come lei, inesorabilmente mestruata e sanguinante, «panno immondo», come l’avrebbe trattata? Si fece animo e si avventurò nella mischia. Spinta come un’onda dalla folla che camminava dietro al Maestro, si trovò quasi improvvisamente alle sue spalle. Era l’occasione da non perdere: allungò la mano e tremante gli toccò «il lembo del mantello». Un fremito l’attraversò all’istante, come una saetta. Improvviso, il flusso del suo sangue si arrestò. E si arrestò anche il Maestro che stava andando a casa di Giairo, un uomo di spicco, «il capo della sinagoga», la cui unica figlia stava per morire. Occorreva affrettarsi, ogni minuto poteva essere fatale. Eppure il Maestro si ferma e domanda: «Chi mi ha toccato?». Interviene Pietro a evidenziare il paradosso di tale domanda: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia» (Lc 8,45). Ma Gesù non si arrende: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza (dynamis) è uscita da me» (v 46). Quest’ultimo dettaglio è esclusivo di Luca ed è in perfetta linea con ciò che l’evangelista ama evidenziare, che cioè da Gesù «usciva una forza che guariva tutti» (6,19). Ma questa singolare forza terapeutica non funziona come magia. Gesù è pienamente consapevole di ciò che si muove dentro di sé e attorno a lui. Non è un taumaturgo in balìa di una forza oscura, ma il Signore che conosce i pensieri e i sentimenti che abitano il cuore umano. Non gli è estraneo neppure un leggero tocco femminile al lembo del mantello! Gesù non rimprovera la donna perché lo ha toccato, ma vuole sapere chi è, vuole conoscerla. Vuole che lei guarisca non solo

cialisti parlano di skoliosis hysterica, un forte ripiegamento su di sé, in forma spasmodica. Solo Luca racconta questa guarigione atipica, a partire dall’ambientazione. Come mai quella donna inferma è lì nella sinagoga? L’evangelista non sembra così preoccupato dell’attendibilità storica, come lo sono invece gli esegeti. La struttura del brano, articolato in tre parti (guarigione, disputa e parola conclusiva del Signore), suggerisce che l’enfasi è decisamente sul messaggio legato a questo intervento che avviene di sabato e costituisce anche un esorcismo, l’ultimo operato da Gesù secondo il Vangelo di Luca. Rappresenta dunque un buon punto di osservazione per uno sguardo complessivo sull’attività terapeutica di Gesù, tenendo conto che tra le donne che camminavano stabilmente al suo seguito, alcune erano state guarite da varie infermità e la leader, Maria di Magdala, era stata liberata da ben «sette demòni» (Lc 8,1-3). Nessuno introduce la donna ricurva al Maestro, né lei avanza alcuna richiesta. Probabilmente neppure si accorge dell’arrivo di Gesù. Lei, ingobbita com’è, vede soltanto la terra su cui poggia i piedi. Diversamente dalla suocera di Pietro, la cui guarigione è sollecitata dai familiari, questa donna sembra avere il vuoto attorno a sé: nessuno intercede in suo favore. La sua situazione richiama la solitudine del paralitico che Gesù incontra alla piscina di Betesda (Gv 5,1-9). In entrambi i casi è il Signore che prende l’iniziaDonna, sei liberata! tiva. Egli vede, ha compassione e si E le impose le mani prende cura di quel corpo femminile In Lc 13,10-17 siamo ambienta- deformato, icona di un popolo duro ti ancora una volta nella sinagoga, a convertirsi: «chiamato a guardadi sabato, esattamente come per il re in alto, nessuno sa sollevare lo primo miracolo compiuto da Gesù a Cafarnao, in favore di un uomo indemoniato. Ma in questo caso si tratta di una donna inferma da diciotto anni, numero che gioca sul simbolismo di un tre moltipllcato al quadrato e poi per due, a dire un tempo che sembra non finire mai. Uno «spirito di astenia» la rendeva terribilmente curva: «non poteva drizzarsi in alcun modo». Gli spenel corpo ma nella psiche; che si liberi dall’angoscia, verbalizzando pubblicamente la sua tremenda umiliazione. Il nostro divino terapeuta fa tutto questo senza ostentazione, con il garbo e la gentilezza che caratterizzano il suo stile. «Qualcuno mi ha toccato»... non è lui a rivelare l’identità, lascia a quel «qualcuno» il coraggio di venire alla luce, di manifestare il proprio genere, di raccontare la propria storia. Così la donna miracolata si sente ora cercata: «Vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita» (Lc 8,47). Diversamente dalla folla, lei ha toccato quel lembo del mantello non solo «fisicamente», ma con grande fede. E quel contatto stabilisce una nuova relazione, che va oltre il rapporto terapeutico. Gesù non teme di guardarla in volto, la rassicura, la chiama «figlia». Ormai si è stabilito un legame profondissimo tra i due. Lei non è semplicemente una tra le tante, ma una figlia unica, come unica è la figlioletta di Giairo che egli sta andando a risvegliare dai morti. Che meraviglia sentirsi guardate e amate da Gesù! E sentirsi dire con quegli occhi pieni di benevolenza: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace» (Lc 8,48).

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sguardo» (Os 11,7). Come agisce il Signore? Anzitutto stabilisce l’incontro personale e chiama a sé la donna inferma. In questo semplice gesto c’è tutta l’attenzione di Gesù per la persona in vario modo emarginata. Non solo, egli la pone al centro della comunità riunita per il culto, al centro dell’attenzione. Si tratta di una scelta eloquente. La comunità del Signore non può chiudere gli occhi e abituarsi alle situazioni di disagio. Chiamando a sé quella donna Gesù le restituì sce la dignità agli occhi della comunità liturgica. Egli pronuncia la parola di guarigione di fronte a tutti: «Donna, sei liberata dalla tua infermità!». «E le impose le mani». È un altro tratto caratteristico di Luca, il quale annota fin dall’inizio che Gesù imponeva le mani su «ciascuno» (4,40-41). Le mani del terapeuta han-

no un valore simbolico speciale. Imponendo le sue mani Gesù comunica ai malati e agli infermi di ogni tipo la propria energia salvifica. Egli non ha fretta, vuole avere un contatto diretto con ogni uomo e con ogni donna: la sua è una cura personalizzata. Questo divino terapeuta libera la donna, oppressa da un peso schiacciante che mortifica il senso grande delll’esistenza. E subito lei, raddrizzatesi, «glorificava Dio». Bellissimo! È finalmente libera, può tornare a guardare il cielo. Tuttavia c’è qualcuno che non gioisce affatto: è il capo della sinagoga. Egli infierisce contro la gente: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato» (Lc 13,14). Come suona oltraggiosa questa contrapposizione tra la gloria di Dio e la vita umana!

Immagino che la donna miracolata avrà continuato a lodare Iddio senza dare troppo peso allo sdegno del capo. Ma Gesù, che aveva chiesto alla donna che gli toccò il lembo del mantello il coraggio di uscire dall’anonimato, ora difende la donna guarita che loda Dio dagli attacchi del potere religioso maschilista. Argomenta a partire dall’esperienza, con le sue contraddizioni: «Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?» (vv 15-16). Il divino terapeuta si rifa alle origini. Il sabato è il compimento dell’opera della creazione e, dunque, è il giorno più adatto per le guarigioni che riabilitano l’uomo e la donna entrambi figli di Abramo - nella loro dignità sacerdotale.

Gesù e la Samaritana Sete di acqua viva Come mai Giovanni ambienta al pozzo di Sicar l’incontro di Gesù con la Samaritana? La domanda non è oziosa perché nella Bibbia gli incontri ambientati al pozzo si concludono abitualmente con le nozze. È al pozzo, sul far della sera, che il servo di Abramo incontra Rebecca, destinata a sposare Isacco (Gen 24,10-51). È al pozzo che Giacobbe incontra Rachele, la bella pastora, e fu amore a prima vista (Gen 29,9-14). E sempre al pozzo il fuggiasco Mosè incontra le pastore figlie di letro, tra cui la sua futura sposa (Es 2,15-22). Il pozzo era anche un luogo di socializzazione, come un tempo da noi la fontana del villaggio. Perché la Samaritana va al pozzo a mezzogiorno, l’ora più calda, quando tutti stanno a casa per il pranzo e la siesta? Forse proprio per la segreta speranza di non incontrare nessuno... Lui però l’aspettava.

Al pozzo di Sicar

Stanco del viaggio, Gesù siede presso il pozzo. I discepoli erano andati a comprare qualcosa da mangiare e dunque lui è solo quando lei arriva. È lui che prende l’iniziativa, che provoca e si fa mendicante d’amore: «Dammi da bere» (Gv 4,7). Sulle prime la donna sembra prendere le distanze, è sorpresa di una richiesta che suona decisamente contro le regole sociali: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una

donna samaritana?» (v 9). La domanda, insieme alla meraviglia, rivela cosa lei pensa di lui: è un «giudeo». Ma Gesù introduce il sospetto in questa conoscenza superficiale: propriamente lei non conosce chi lui sia, altrimenti sarebbe stata lei a chiedere acqua. La donna ascolta incuriosita: dono di Dio, acqua viva. Discorso interessante, ma che a lei pare senza concretezza: «Non hai un secchio e il pozzo è profondo...». Non si arrende però, continua a interrogare e lo fa bene: «Da dove prendi quest’acqua viva ? Sei forse più grande del nostro padre Giacobbe?». E ricorda ciò che narra la tradizione: il patriarca Giacobbe «ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame». Chi pretende di essere lui, che siede stanco accanto a quel pozzo? Che meraviglia questo dialogo, quale crescendo nell’intreccio di domande e risposte! Gesù non si premura di chiarire il doppio senso del suo dire, non si preoccupa di precisare cosa intenda per acqua viva, provoca ulteriormente la sua interlocutrice e così facendo spiega: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete». 15


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Alla promessa dell’acqua che placa la sete la donna reagisce prontamente: «Dammi di quest’acqua!». Gesù ha fatto centro, ha fatto breccia sull’esistenziale. Commenta S. Agostino: «Domanda da bere e promette di dissetare. È bisognoso come uno che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare. Se tu conoscessi, dice, il dono di Dio. Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma Gesù parla alla donna in maniera ancora velata, e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. Forse già la istruisce... Quale acqua, dunque, sta per darle, se non quella di cui è scritto: “È in te la sorgente della vita” (Sal 35,10). Infatti come potranno aver sete coloro che “si saziano dell’abbondanza della tua casa” (Sal 35,9)?» (Trattati su Giovanni, 15,10-12).

«Credi a me, donna...» Dalla verità di lei alla verità di lui II discorso, dal livello di superficie, una volta che ha raggiunto il cuore segna un tornante. Il Maestro avanza un’altra richiesta: «Va’ a chiamare tuo marito». Povera donna! Era uscita a mezzogiorno per risparmiarsi sorrisi, commenti e illazioni. «Non ho marito», risponde veloce. E Gesù: «Hai detto bene... infatti, hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito». Notiamo che la Samaritana non si offende, anzi. La singolare conoscenza che Gesù mostra della sua vita le apre gli occhi: «Signore, vedo che tu sei un profeta». È una furbetta - come talora si dice - che vuole cambiare discorso? Comincia a parlare di teologia per evitare di fare chiarezza nella sua vita? Niente affatto. Al contrario, proprio perché si sente conosciuta come solo Dio o un uomo di Dio può fare, ecco che allora può ardire: un profeta ha indubbiamente molto più da rivelare. Che la dinamica narrativa funzioni in questo modo lo mostra proprio il fatto che Gesù non la rimprovera di aver cambiato discorso, invece le risponde a tono. La situazione si capovolge: da interrogante Gesù passa a essere interrogato, fino al punto da rivelare 16

proprio a lei, donna samaritana - la sua identità di Messia. «Credi a me, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre... viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». «So che deve venire il Messia», replica la donna. E Gesù: «Sono io, che parlo con te» (vv 16-26). La scena si anima. Arrivano i discepoli e si meravigliano che il Maestro stia parlando con una donna. Si trattengono però dal fare domande. Lei del resto scappa via. Si dimentica perfino la brocca dell’acqua. Ormai ha bevuto l’acqua viva che Gesù le aveva promesso e non ha tempo da perdere. È in possesso di una notizia troppo bella, deve comunicarla. Corre in città e si sperimenta libera. Non deve più fuggire via dalla sua storia. Non teme gli sguardi sprezzanti e i sorrisi ironici. Racconta entusiasta la propria esperienza. Ciò che fino a ieri era motivo di umiliazione e di vergogna, oggi può essere raccontato liberamente. Anzi, diventa la base stessa della testimonianza e dell’annuncio: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». Ecco cosa significa incontrare Gesù, ecco cosa comporta lasciarsi interrogare e illuminare dalla sua Parola. Si diventa ciò che lui promette: acqua viva e fonte di vita anche per gli altri.

Unità d’Italia, i vescovi:

“E’ dovere partecipare”

Il Cardinal Bagnasco: “Il modo di ricordare l’anniversario deve alimentare la cultura dello stare insieme. Le comunità cristiane sono chiamate a fare la loro parte”. Il Presidente Napolitano: “Un contributo essenziale”. Anche i vescovi italiani intervengono nel dibattito che si è aperto per le celebrazioni sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia. La loro voce, pronunciata in un discorso ufficiale del cardinale Angelo Bagnasco, è un chiaro richiamo alla necessità di far “riemergere il senso positivo di essere italiani”. Seminare ottimismo “Servono visioni grandi - ha aggiunto Bagnasco - non per fare della retorica, ma per nutrire gli spiriti e seminare nuovo, ragionevole, ottimismo”. Il cardinale è intervenuto al Convegno per i 150 anni dell’Unità d’Italia, promosso dal Comitato per le Settimane sociali della Cei a Genova. “Il modo di ricordare questo prossimo anniversario deve alimentare la cultura dello stare insieme. In questo le nostre comunità cristiane sono chiamate a fare la loro parte. L’Italia - ha aggiunto - deve riscoprire, ancora una volta, che può contare come sempre sulla Chiesa, sulla sua missione, sul suo spirito di sacrificio e la sua volontà di dono”. “Per queste ed altre convergenti ragioni - auspica Bagnasco - la ormai prossima ricorrenza dei 150 anni dall’Unità dell’Italia dovrebbe trasformarsi in una felice occasione per un nuovo innamoramento del nostro essere italiani, dentro l’Europa unita e in un mondo più equilibratamente globale”. Napolitano: il contributo dei cattolici “Ancora una volta - afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - il contributo dei cattolici può risultare essenziale al fine di promuovere quel confronto aperto e costruttivo tra diversi orientamenti che è cruciale per l’attuazione delle necessarie riforme istituzionali e per il perseguimento di obbiettivi di inclusione sociale e integrazione culturale”. “È significativo prosegue il Capo dello Stato - che al centro della riflessione sia stata posta la celebrazione di una ‘memoria condivisa’ nella prospettiva dell’impegno per un futuro da condividere: sintesi di una capacità e volontà di coniugare fede e ragione, riconoscimento della dimensione pubblica e sociale e del fatto religioso e piena accettazione del valore del metodo democratico in uno spirito di autentica e positiva laicità”. La crescita civile del Paese. Definito “grande” il contributo che la Chiesa e i cattolici hanno dato, “spesso pagandone alti prezzi, alla storia d’Italia e alla crescita civile del paese”, il presidente Napolitano riconosce che “anche dopo la formazione dello stato unitario l’intero mondo cattolico, sia pure non senza momenti di attrito e di difficile contro, è stato protagonista di rilievo della vita pubblica, fino ad influenzare profondamente il processo di formazione ed approvazione della costituzione repubblicana”. L’apporto dei “professorini” “Ho più volte ricordato - ha detto Napolitano nel suo messaggio indirizzato al cardinale Bagnasco - l’apporto dei quattro “professorini”, come vennero chiamati i protagonisti politici maggior per parte democristiana nell’assemblea costituente: Fanfani, La Pira, Dossetti e Moro. Così come rilevanti furono i contributi di studiosi di formazione cattolica primo fra tutti Costantino Mortati, che è stato tra i principali autori ed estensori della Carta Costituzionale. In quella felice stagione istituzionale esperienze e culture diverse si sono riconosciute in un comune patrimonio di valori - libertà, centralità e dignità della persona, tutela del lavoro, solidarietà e coesione sociale - alla cui progressiva, concreta attuazione i cattolici hanno ampliamente concorso, con un corte impegno nel mondo della cultura, dell’associazionismo, del sindacato e del volontariato, 25

così contribuendo ad arricchire il rapporto tra società civile e istituzioni pubbliche”. “La intensa partecipazione dei cattolici alla vita pubblica italiana - afferma ancora il Capo dello Stato - è stata a sua volta preziosa e feconda per il rinnovamento dell’insieme del movimento cattolico e delle stesse istituzioni ecclesiali, come Ella ha voluto testimoniare richiamando figure con Don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Vittorio Bachelet, che seppero parimenti impegnarsi nella vita della chiesa e delle istituzioni statuali”.

GIOVEDI’ 17 MARZO FESTA UNITA’ D’ITALIA ore 11,00 S.MESSA a Botticino Mattina ore 20,30 Sala Tadini a Botticino Sera IL MOVIMENTO CATTOLICO NEI 150 DEL NOSTRO PAESE interviene Lucio Bregoli (acli provinciale)

Espresso

Fotograf ico

a o d ORI s s o T rom ORA p rso TRO o c N con e CE n u LI AC

Il tema del concorso è ritrarre l’Italia o gli italiani di oggi. Mentre bevono un caffe, mangiano, giocano o camminano... Insomma un’immagine che ben rappresenti l’Italia o gliIl tema italiani di oggi, un’immagine da copertina! del concorso è ritrarre l’Italia o gli italiani di oggi.

Un concorso di corsa... nel tempo

Mentre bevono un caffé, mangiano o giocano o camminano... Fermate i pensieri, aprite gli occhi, a fuoco, Insomma un’immagine che ben rappresenti l’Italia omettete gli italiani di oggi, un’immagine da copertina! scattate e inviate.

Potete scattare sia con una macchina digitale costosa, Fermate i pensieri, aprite gli occhi, mettete a fuoco, scattate e inviate. sia con a poco Potete scattare siaun concellulare una macchina digitaleprezzo... costosa, per noi non conta l’hardware ma creatività, siala con un cellulare al’intuizione, poco prezzo... il per noi non conta l’hardwaresaper ma la creatività, l’intuizione, cogliere l’attimo.

il saper cogliere l’attimo. Il concorso è gratuito e riservato ai residenti di Brescia e provincia con più 14anni. anni. Il concorso è gratuito e riservato ai residenti di Brescia e provincia con più di di 14 opere partecipante) (massimo 3 per partecipante) devono essere inviate a: a Le opere (massimo Le 3 per devono essere inviate concorso@italianisidiventa.it entro il 30 aprile 2011. concorso@italianisidiventa.it entro il 30 aprile 2011. Il primo classificato vincerà 300 euro, il secondo 200 euro e il terzo un premio di 100 euro. Il primo classificato vincerà 300 euro, secondo 200 euro terzo un L’elenco dei il vincitori verrà pubblicato sul sitoedelilconcorso. I vincitori saranno premiati alla Fest’Acli provinciale 2011. premio di 100 euro. leggere il regolamento completoee iscriversi: iscriversi: Per leggerePer il regolamento completo www.italianisidiventa.it www.italianisidiventa.it con il patrocinio del Comune di Brescia


Isidoro,prete a ‘60 anni’

Inversione ad U

P

ochi si ricorderanno della “minaccia a tutto vantaggio dell’Etiopia” che vi scrissi nel numero natalizio di Voce per la Comunità. La minaccia consisteva nel mio essere ordinato prete laggiù, in Etiopia, se non vi foste messi un po’ in strada con me, a mo’ di accompagnamento. La traduzione spicciola, valida tuttora, è - cito le parole testuali sintetizzandole - : “Accompagnatemi, preparandovi anche voi attraverso un cammino di scoperta delle trame di Dio nella vostra storia; attraverso un auto-convincimento progressivo della sua bontà (…); pregando gli uni per gli altri (…); convertendoci insieme, tra un ripensamento, una confessione, un ritiro spirituale, un ascolto della Parola di Dio da figli…” Sono qui a riconfermare dicendo, a voi e a me stesso, che una Quaresima è il tempo più idoneo per farci prendere forza in questo cammino, o per deciderci se non siamo ancora partiti. Ci rimane un anno e mezzo. La Quaresima non è un tempo gramo, anzi, ci favorisce nel prendere coscienza del bel progetto di Dio nella nostra storia, aprendo il cuore a un tipo di riconoscenza e di felicità che può avere in un sorriso di sincera soddisfazione il segno espressivo e sicuro della bontà dello stesso. E poi, questa presa di coscienza mette energia per ributtarci in qualche nuova invenzione che rilancia la vita rinfrescandola. L’età non è un ostacolo. Il sottoscritto ha già suonato i sessantatre. Rivisitare la propria storia in questa modalità di riscoperta s’ha da fare. E’ l’inversione ad U, la conversione che viene dall’incontro. E’ Lui che ci fa imbattere in Lui. Così si rinasce. Ne escono sorprese. “Incontrarlo” è il verbo. All’imperativo: lasciatevi incontrare. A me è capitato di essere ‘precettato’ per un’esperienza estiva africana mentre giocavo a calcio con ragazzi di scuola media: “Tu, quest’estate, vai ecc. ecc.” Detto per telefono. Fu forse il primo squillo di una telefonata più lunga (ancora in corso, per la verità), il primo mattone di una costruzione impensabile e invisibile. Al primo mattone segue un secondo solo se si accetta di sistemare il primo. Vale lo stesso per le telefonate: se rispondi comincia la chiacchierata, e ne seguiranno altre. Se ti rifiuti tutto finisce lì. Il secondo mattone, per me, è stata una parolaccia prepotente sputatami addosso dal fondo del mio stomaco (troppo nobile dire dal ‘profondo del cuore’). Capitò così. Io e i miei giovani compagni di quel lontano luglio africano avevamo appena terminato un bellissimo pranzo. Fino al dolce, al caffè e al grappino, per intenderci. Galeotto fu il missionario ospitante che, per amore di forti contrasti e per buttarci un po’ di acido sulla coscienza, ci portò a visitare la cosiddetta mensa dei poveri: un duecento-trecento bambini (forse esagero, non ricordo bene) con mamme, armati di scatole di latta in attesa dell’unica portata del loro probabile unico pasto, anzi impasto farinaceo a forma di patata, grosso come un pugno, inumidito da un po’ di brodo. Il tutto da prendere in qualche modo, più o meno a mani nude, e poi bevendo. Già per loro conto non erano propriamente vestiti a festa… Ciak!: Sei – un – porco! Mai insulto si era materializzato in un istante così concretamente. Lascio dire a voi se poteva essere l’esprimersi simbolico di una chiamata alla vita missionaria. Il nostro “don”, missionario, ben intenzionato ed evangelicamente furbo la sua parte, della stessa confraternita del ‘galeotto’ precedente, faceva poi fare anche altre esperienze che, per occidentali imberbi con un minimo di cristianesimo alle spalle, potevano lasciare qualche altro livido con alta percentuale di ‘indelebilità’. La visita alle capanne dei poveri, per esempio. Uno shock spirituale incontrollabile, da farti girare la faccia altrove, e non solo per dare un po’ di raccoglimento e pudore alle tue lacrime. Rileggendo adesso certi vissuti, vedi ciò che era impossibile cogliere bene al loro accadere; ma l’invito-chiamata prendeva già forma in un gioco asimmetrico di proposta e risposta: grande e lungimirante la proposta, titubante o rimandata la risposta. Non esistono situazioni atee nella vita. Solo che gli occhiali devono essere quelli giusti per scoprirle per quello che sono. Nel mio caso anche un’avemaria quotidiana in amarico, scritta e imparata apposta, ha fatto da reagente tra l’insulto e il suo possibile obiettivo. Certo che una preparazione (neppur troppo longeva) da insegnante di scuola media e una esperienza di salesiano cresciuto fin da piccolo nella ‘bambagia’ di collegi e scuole col tutto pronto e in attività quasi prive di caratteristiche ricche e vivaci da oratorio non sembrerebbero il miglior lasciapassare per una vita da missione in Africa. Eppure, con una comunità alle spalle e con respon22

sabilità che non possono attendere se non disponibilità e fantasia, attraverso di me (consacrato laico, ovviamente) se ne sono combinate di tanti colori. Regista e sceneggiatore sempre Lui: lingua nuova ‘difficilotta’; direttore di una incipiente scuola elementare, con insegnanti da accompagnare; mini progetti agricoli da avviare e un poco da dirigere; catechismi ai piccoli (non finalizzati alla ricezione dei sacramenti) da organizzare; catechesi ai giovani con incontri ecumenici; escursioni pazzesche con centinaia di scolari tra savane e in riva a fiumi (senza coccodrilli!) e a laghi, o su montagne che ti fanno venir sete solo a guardarle; incontri-scontri sportivi, preparati scenograficamente, con alunni di altre scuole, in pomeriggi indimenticabili per tifo e campanile e spostamenti di massa su carri trainati da trattori e su macchine pick-up, con bandiere ecc; caccia alla lepre a squadre; mangiate inventate per offrire opportunità di sfamarsi anche con cibi quasi proibiti (conigli!); presidente-allenatoreautista di squadre di calcio; direttore-selezionatore di squadre di atletica, con soddisfazioni incredibili… come per quella staffetta allo stadio contro una batteria di semiprofessionisti del capoluogo: “Vittoria!” Anzi, no. Ricorso. C’è stata una irregolarità (inesistente!!). Da rifare. ..Morale? “Trionfo!” Anche miracoli tra le cose sfilateci tra le mani. Come quella volta che il costruttore della nostra chiesa ci disse che doveva interrompere i lavori per mancanza di fondi. Alla chiusura dell’oratorio un gruppetto di cattolici (erano diciotto, tutti ragazzi e ragazze) sono invitati a fermarsi. La comunicazione del problema è difficile ed emozionata, ma la recita di tre avemaria fa piovere, un’ora o due dopo, a sera, tremila dollari americani. La Provvidenza scherza e talvolta sembra sfacciata tanto è puntuale. Avrei da raccontare almeno tre o quattro incidenti di macchina da cui sono usciti, io e gli altri con me, senza un graffio. Una volta con 3 poliziotti e un nostro impiegato, tutti in ballo per l’incidente della sera precedente (provocato da me) che aveva causato il ferimento non grave di un anziano, sono uscito di strada per un colpo di sonno. Mi sono sentito riportare dolcemente in carreggiata dall’angelo custode senza che gli altri se ne accorgessero. Li ho dovuti richiamare io al dovere di non dormire più dell’autista mentre guida. Il caso non esiste. Bambini inesperti invece sì, che, se si affidano, entrano nel regno del loro Padre e ci possono stare felici. “Ma, Isidoro, tutto così bello!? E il male, la malattia, la sofferenza? E il duro lavoro?” Intanto non dimenticatevi da dove ho iniziato il racconto. E poi tutte le prediche hanno un obiettivo limitato, e questo è un articolo di un bollettino. Per cui lasciatemi concludere insistendo e sponsorizzando quel che ci interessa. Per realizzare al meglio la missionarietà, innamorarsi della gente è la via più facile. A me è andata bene in Africa, ma questo tipo di missionarietà è nel DNA di tutti noi. Nel posto in cui ci troviamo, e in Quaresima più facilmente, possiamo trovare la nostra appartenenza e invertire ad U una vita troppo ripiegata, magari accovacciata col male. Scongeliamo il nostro Battesimo e potremo vedere gioia e i miracoli che non conoscevamo. Quanto alla minaccia della prima riga… ne riparlerò con don Raffaele. Buon viaggio. Nel senso di cui sopra. E buona Pasqua, se non esce un altro bollettino da qui a là. Isidoro – sdb. - da Torino

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basilica s.maria assunta santuario s.arcangelo tadini

anno giubilare

20 maggio 2011 / 21 maggio 2012 Il 20 maggio 2012 ricorrerà il centenario della morte del parroco S.Arcangelo Tadini. Per celebrare tale avvenimento verrà indetto dal Vescovo uno speciale anno giubilare che avrà inizio il 20 maggio 2011 prossimo e terminerà l’anno successivo, il 21 maggio 2012 festa liturgica del Santo. Un’apposita commissione, costituita dalla rappresentanza degli organismi diocesani, dell’Unità Pastorale di Botticino e delle Suore Operaie, è al lavoro per definire finalità, contenuti, iniziative, sussidi e il calendario degli eventi e delle celebrazioni. Dallo scorso anno S.Arcangelo è il patrono di tutto il Comune di Botticino. Anche le realtà civiche del paese vengono coinvolte per la celebrazione dell’evento. 23


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

Progetto genitori L’Associazione Punto Famiglia e Dintorni continua a proporsi come un punto di riferimento per la promozione umana della persona,della coppia e della famiglia. In concreto: - offre iniziative d’aggregazione, informazione, spiritualità e solidarietà; - realizza percorsi di formazione, rivolti ai bisogni relazionali delle coppie e delle famiglie, con attenzione a quelle che vivono esperienze di disabilità ed emarginazione; - fa conoscere i servizi operanti sul territorio che si occupano della promozione umana della coppia e della famiglia; - sviluppa forme di collaborazione con realtà e istituzioni del territorio, così da creare una sinergia d’intenti evitando sovrapposizioni e dispersione di risorse. L’Associazione “Punto famiglia e dintorni” di Botticino prosegue le proprie iniziative volte ad aggregare le famiglie intorno alla loro funzione educativa e sociale, perché possano comunicare e condividere la loro esperienza e la loro fatica. Si è concluso nella primavera 2010 il Biennio di Base: quattro cicli (oltre la replica di uno di essi) per un totale di 30 incontri, a cui hanno partecipato circa 100 genitori, sensibili all’urgenza di svolgere i loro compiti educativi e desiderosi di crescere in quanto persone. Si ripropone il BIENNIO DI BASE per il 2011/2012 che potrebbe svolgersi in altra sede in un Comune a Est di Brescia. Non è una scuola ma uno spazio per dare valore all’educazione ed educare ai valori. Il percorso è stato progettato per sviluppare nuove opportunità per la famiglia e per i suoi membri in modo da aumentare la consapevolezza non solo delle difficoltà ma anche del fascino e della responsabilità dell’educare, in una visione fiduciosa del futuro.

Il progetto d’insieme, che include otto cicli formativi, si sviluppa in due bienni: di Base e di Approfondimento. Ciascuno di essi prevede incontri a cadenza settimanale. Chi partecipa all’esperienza non è obbligato a frequentare l’intero percorso. L’iscrizione è da rinnovare ad ogni ciclo, avendo ciascuno di essi un carattere unitario ed autonomo. La conduzione, ispirata ad una visione serena ed incoraggiante dell’educazione, è caratterizzata da una metodologia attiva, che utilizza il metodo narrativo e il confronto nel gruppo. È prevista la partecipazione massima di 20 persone per ogni ciclo

L’età che non scordo. Padri, madri, generazioni. Un atelier della memoria e della scrittura autobiografica per genitori con figli adolescenti. con Dr. Beppe Pasini

Cari genitori, quando gli amici dell’associazione “Punto Famiglia e dintorni”, mi hanno proposto di animare un percorso di formazione a Botticino dedicato all’esperienza genitoriale ho accettato con grande gioia e piacere. Da diversi anni dedico passioni e interessi alla cura della relazione educativa in famiglia e nei servizi. Come padre a mia volta, sento poi che le questioni cruciali che questa straordinaria esperienza suscita e le formidabili sfide che comporta mi riguardano da vicino. Nel corso dei nostri incontri vi proporrò di esplorare, ri-visitare, raccontare e condividere parte di questa avventura che tutti ci accomuna impiegando la scrittura autobiografica, ossia la scrittura di frammenti della nostra memoria legati all’esperienza genitoriale. Perché la scrittura? Per molti motivi. Quelli che più mi affascinano sono racchiusi in una affermazione di una filosofa, Maria Zambrano che dice che “la scrittura salva le parole dal logorio” . Attraverso la scrittura ri-prenderemo contatto con la nostra storia di uomini e donne, madri, padri e figli per esplorarla e per comprendere come questa si trasferisce nel nostro rapporto genitoriale, di quali eredità educative siamo portatori e come possiamo trasformare la nostra esperienza in sapere rendendola preziosa. Non solo. Vi proporrò anche di mettervi un po’ in gioco alla ricerca della bellezza che trasforma ogni impresa educativa, anche la più ardua. Ecco i titoli dei nostri incontri: 14 Marzo: Ciao! Ho 17 anni e… ritratti adolescenti, un po’ per ridere, un po’ per ri-vivere. 21 Marzo: Storie di padri, madri, generazioni, attraverso il filo della memoria. 28 Marzo: La camera di mio figlio/a mi parla! Sogni e passioni tra il muro , la porta e il comò. 4 Aprile: La relazione educativa tra corpo e parola. A proposito di dialogo tra genitori e figli. 11 Aprile: E’ da tanto che volevo dirti… I genitori scrivono ai figli. Ci auguriamo, allora, di intraprendere insieme un viaggio stimolante, ricco di ascolto, apprendimenti, stupori e curiosità! Portate con voi le parole migliori, le vostre. Vi aspetto, Beppe Pasini

BIENNIO DI APPROFONDIMENTO 2011-2012

EDUCARE IN FAMIGLIA: quattro cicli di cinque incontri ciascuno

LE STAGIONI DI VITA DELLA COPPIA

1° ciclo L’età che non scordo. Padri, madri, generazioni.

Sede

Via Don Orione 1- 25082 Botticino Sera (Brescia) Cell. 388/3686585 -E-mail: puntofam@infinito.it

Un atelier della memoria e della scrittura autobiografica per genitori con figli ADOLESCENTI.

Nel mese di marzo 2011 sarà messo a disposizione dei genitori, singoli o in coppia, e degli insegnanti uno sportello, gestito da una psicopedagogista, per colloqui di CONSULENZA EDUCATIVA. Per informazioni: telefonare al cell 3883686585 o scrivere alla e-mail: puntofam@infinito.it

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14 Marzo: Ciao! Ho 17 anni e… ritratti adolescenti, un po’ per ridere, un po’ per ri-vivere. 21 Marzo: Storie di padri, madri, generazioni, attraverso il filo della memoria.

Per informazioni e preiscrizioni

Cell. 388/3686585 - E-mail: puntofam@infinito.it

Iscrizioni

Presso la segreteria dell’oratorio di Botticino Sera, Piazza IV Novembre da lunedì a venerdì ore 15.00 -18.00.

Quota d’iscrizione

€40,00 per partecipante (€ 70, 00 se coppia) È’ previsto un servizio di animazione gratuito per i figli, affidato agli Scout, che si può richiedere al momento dell’iscrizione.

28 Marzo: La camera di mio figlio/a mi parla! Sogni e passioni tra il muro , la porta e il comò. IN AUTUNNO 2011 PARTIRA’ IL CICLO 4 Aprile: La relazione educativa tra corpo CHE AVRA’ MAGGIORI ADESIONI: e parola. A proposito di dialogo tra geniCiclo per Giovani coppie senza figli tori e figli. Ciclo per Genitori di bimbi da 0 a 6anni 11 Aprile: E’ da tanto che volevo dirti… Ciclo per Genitori di ragazzi da 6 a 11anni I genitori scrivono ai figli. 25


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Famiglia:

cuore dell’educazione L’educazione è un cammino complesso e affascinante di liberazione, di crescita e di maturazione, in cui i legami tra le persone sono principio e fine di ogni trasmissione di contenuti e di competenze. Non si tratta, quindi, solo di uno strumento; molto più, invece, siamo difronte ad uno scambio di esistenze, ad uno specifico luogo relazionale che tende ad aumentare l’umanità e a permettere una buona vita sociale. Il momento storico che stiamo vivendo, caratterizzato da poca speranza verso il futuro e dalla perdita dei valori fondamentali, ci impone di ritornare ancora una volta sulla fatica dell’educare, tenendo come sfondo un evangelico umanesimo integrale e come specifico ecclesiale la vita spirituale piena, la meta della santità. Di questa problematicità, ne sono testimoni anche i vescovi italiani, che hanno voluto offrire a tutta la nostra Chiesa un prezioso documento orientativo di tutta la pastorale per i prossimi dieci anni, intitolato: “Educare alla vita buona del Vangelo”. La famiglia cristiana, costruita sui solidi pilastri della vita di Cristo nell’amore coniugale, è sicuramente luogo privilegiato, primario e originale per l’educazione dei figli. Infatti, vi è uno strettissimo rapporto tra il dono – compito della generazione (materiale e spirituale) e l’accompagnamento prolungato su tutta l’esistenza nel campo educativo, come vera ed autentica cura del bene delle persone. Di certo, la famiglia non è l’unica agenzia capace di educare; pur tuttavia, proprio per i legami profondi di vita e di amore, risulta essere insostituibile in precedenza di importanza. Le sacrosante e giuste alleanze educative, per esempio con oratorio – scuola – strutture ricreative, non devono far perdere di vista che la regia di tutto il processo spetta proprio alla famiglia. Il suo specifico riposa nei legami di sponsalità e di genitorialità, di figliolanza e di fratellanza, di parentado, situazioni che offrono chiaramente dei linguaggi originali e una inimitabile comunanza di vita. La relazione coniugale, fondata sull’amore e sulla fedeltàindissolubilità, è la prima vera palestra di educazione, dove la quotidiana testimonianza garantisce verità alle cure e alle indicazioni verso i figli. Anche nel giorno del matrimonio, il rito evidenzia come la generazione e l’educazione siano collocati all’interno dell’amore degli sposi, per diventarne poi il naturale prolungamento. Insomma, ancora una volta, bisogna ricordare che si educa “con” e “nelle” relazioni, dove i contenuti e gli strumenti non sono mai del tutto neutri, disinteressati! “I care”, diceva don Milani, ossia: “Mi interessa di te”; ma ancor prima, lo dicevano e lo dicono tutte le nostre famiglie, o quantomeno dovrebbero. Ecco perché l’educazione è pricipalmente una “questione di cuore”, proprio per il fatto che ci si impegna in relazioni veramente importanti di amore, di presa in carico per tutta l’esistenza, di cura paziente ed appassionata dei figli, a cui si augura vita piena, vita eterna. La pluralità delle proposte educative e dei significati del vivere, certamente, non facilitano né il compito educativo della famiglia, né la crescita armonica dei giovani. Si rivela necessario e strategico, che ogni educatore abbia attenzione costante alla situazione contemporanea, nello sforzo geniale di revisione, miglioramento e innovazione. In questo 26

modo, si potranno cogliere i bisogni reali dell’educando e approntare forme sempre più efficaci per seguire le coordiante della crescita integrale. La vita spirituale, però, sia la vera bussola per orientarsi nell’intricata pluralità di valori e di stili esistenziali, in cui siamo immersi. Lo Spirito Santo è il vero pedagogo interiore, che ci dispone ad essere discepoli di Gesù, Maestro buono, per compiere la volontà del Padre. La ragione e l’amore, la volontà e la dimensione religiosa, il corpo e i legami, devono essere gli ambiti prioritari di ogni educazione, soprattutto di quella familiare. La vita come vocazione (chiamata alta alla felicità intramontabile) e come dono gratuito da ridonare, l’amore come caratteristica della pienezza delle relazioni, la fede come esistenza con Dio e con i fratelli, attraverso Gesù Cristo, la comunione come impronta divina in tutti gli uomini e meta da conquistare di ogni esistenza, l’integralità della persona umana, dar far crescere in armonia e nella tensione verso il bene, sono solo alcuni dei principali capitoli dell’educazione. Carissimi genitori, si chiede soprattutto a voi di servire i vostri figli nell’accompagnamento in queste immense strade di fatica e di felicità, pregando per loro e insieme a loro, affidandosi costantemente a quel Padre buono, creatore e amante della vita, di cui siete diventati autentici collaboratori e testimoni. Tutto questo, sapendo che l’educazione si vive nel tempo e questo chiede la pazienza, l’umile virtù di un amore che sa attendere, di una parola che sa insistere, del legame che non dispera mai.

culla della vita

Nell’immaginario collettivo, la culla rappresenta un luogo protetto e speranzoso, uno spazio pieno di delicatezze e di gioie profonde: in essa un bambino appena nato viene adagiato, rassicurato e ben custodito. Insieme, però, viene fatto esplicito riferimento ad un movimento regolare, un placido dondolare, fatto di sicurezza e di abbandono, un andamento che porta pace. E’ in questi significati che si colloca l’analogia dell’espressione “famiglia: culla della vita”, sottolineando proprio la novità di un figlio e l’accoglienza che i genitori gli riservano, unitamente a tutto il nucleo familiare. E’ lo spazio dilatato dell’amore e il movimento della tenerezza che fanno veramente della famiglia non un semplice luogo di riproduzione, ma un sistema unico e originale di relazioni di dono fecondo, di cura e di fedeltà. Di tutto questo ne era ben conscio PapGiovanni Paolo II, quando offrì

al mondo quest’illuminata espressione nei suoi innumerevoli insegnamenti. Per essere sposi e poi genitori, tutti devono passare dall’esperienza della culla, dall’evidenza esistenziale di essere chiamati alla vita, di venir accolti e liberati da qualcun’altro. Tutte le donne e gli uomini sono radicalmente figli; qualsiasi scelta faranno da adulti e qualsiasi accadimento li coinvolgerà, rimarranno sempre dei figli. E di questo è doveroso fare memoria proprio alla vigilia della XXXIII giornata nazionale per la vita, che quest’anno porta il titolo: “Educare alla pienezza della vita”. Quest’impronta di figliolanza è la caratteristica principale non solo della comune umanità, ma anche e soprattutto del nostro rapporto con Dio, del nostro essere eletti figli nel Figlio Unigenito Gesù Cristo. La strada cristiana è un cammino senza sosta di figliolanza ricevuta, scelta e restituita, attraverso un movimento di fedeltà divina, fatto di incommensurabile misericordia e di estrema tenerezza. Solo da un’autentica esperienza di figli dello stesso Padre, possiamo innestare una vita fatta di legami e di gesti tesi alla fratellanza. L’unica opzione, però, che ci consente di non essere schiacciati dall’impossibilità di restituire noi stessi e dai legami di fratria mai del tutto scelti, è quella dell’invito evangelico alla gratuità del vivere (“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” – Mt 10,8), del dono totalmente disinteressato. A questo punto si impone una domanda: le nostre famiglie sono davvero la culla della vita? Se tutti siamo nella condizione di figli, nel senso di aver ricevuto l’esistenza senza nessun merito e senza alcun sforzo, allora, alla radice di ogni persona si trova un’azione obbediente di accoglienza, di ascolto di una volontà di bene e di amore che ci ha preceduto. Fare spazio e accogliere sono attività fondamentali per ciascuno di noi (sposo e sposa, madre e padre, figlio e fratello, nonni e nipoti, ecc.), di quelle cioè che realizzano la nostra umanità e arricchiscono quella degli altri. Come dire, veniamo dalla generosità e solo su questa strada è possibile trovare piena realizzazione! Eppure, le situazioni delle famiglie italiane stanno dicendo altro da molto tempo: più che “culla della vita”, spesso sono campo minato di battaglia, o arido deserto di silenzi, o piazze trafficate da tante cose, ma vuote di significati, oppure supermercati del consumo... Dove è finita la tenerezza? Chi ha visto la pace? Dove si nasconde il perdono? E il dialogo? Conosciamo la mentalità contraccettiva e l’utilizzo svilente della sessualità, la battaglia contro la vita nascente e l’opposta rincorsa alle tecniche artificiali di fecondazione, la rottamazione di chi è ammalato cronicamente, è anziano o nel tempo del fine vita. Eppure non possiamo perderci d’animo, sapendo che il Signore Risorto ha già vinto il male e ci accompagna in ogni momento; per Lui ciascuno è importante e nessuno verrà mai abbandonato, scartato. Ora, però, le cicogne della vita e della cura generosa hanno bisogno dell’apporto di tutti per volare ad ali spiegate; una famiglia da sola è fragile, ma mille fragilità unite fanno una fortezza inespugnabile. L’invito è di rinnovare la propria figliolanza divina e di ricercare un’efficace solidarietà, creando una carovana di famiglie, per diventare veramente “culla” per nuove vite, “giaciglio” per i sofferenti e “cuscino” ristoratore per chi è stanco. Così potremo anche noi, con lo stupore e la meraviglia del Salmista, restituire a Dio un perenne inno di lode: “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo, perché te curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi ...”(Sal 8). don Giorgio Comini segretariato diocesano pastorale famiglia 27

Profili di santità coniugale

Giovanni e Rosetta Gheddo Rosetta Franzi nasce a Crova (Vercelli ) nel 1902 da una famiglia molto religiosa. Ha lavorato come insegnante elementare ed ha manifestato la sua santità soprattutto nell’amore al marito e ai tre figli. Da ragazza aveva curato l’asilo di Crova, insegnava agli analfabeti e generosa coi poveri. Da giovane sposa partecipava all’AC ed era catechista. Con Giovanni desideravano tanti figli e dopo Piero (1929), Francesco (1930) e Mario (1931) ha due aborti spontanei. Muore il 26 ottobre 1934 per parto e polmonite con i due gemellini di 5 mesi che non sono sopravissuti. Giovanni nasce a Viancino (frazione di Crova) nel 1900 e si sposa con Rosetta nel 1928. Prima del viaggio di nozze sostano tre giorni al Santuario di Oropa e di comune accordo passano la prima notte di nozze dormendo separati per offrire il loro amore a Dio e chiedere la sua benedizione. Giovanni è un uomo buono e caritatevole, membro dell’ AC, definito il “geometra dei poveri” perché faceva gratis lavori a chi era in difficoltà. Per la sua autorità morale e religiosa era chiamato come “conciliatore” quando in paese c’erano litigi. Mandato in guerra in Russia per punizione, non essendosi iscritto al partito fascista (come vedovo con prole doveva essere esonerato dal servizio militare), è morto nel dicembre 1942 sul fronte del Don con un gesto eroico di carità; ricevuto l’ordine di ritirarsi ha detto al suo giovane sottotenente che doveva restare all’ospedale di campo: “Tu sei giovane, devi ancora farti una vita. Salvati. Qui resto io”. I coniugi Gheddo hanno fama di santità perché hanno vissuto la loro breve esistenza vivendo il Vangelo nelle gioie e nelle sofferenze di una famiglia comune, camminando insieme alla sequela di Gesù, vivendo la ferialità in modo straordinario. Ci insegnano che il quotidiano ci/si trasfigura se ci chiediamo qual è la volontà di Dio in quel momento. Danno testimonianza che la famiglia non è mai un fatto privato ma riguarda il tessuto sociale, attraverso le relazioni buone, sane, giuste e pacificatrici che produce. La “straordinaria ordinarietà” di Giovanni e Rosetta sono uno stimolo e una speranza anche per noi. La loro causa di beatificazione dal 2008 è depositata alla Congregazione per le Cause dei Santi.


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FAMIGLIA E RITUALITA’

LA LITURGIA DEI CORPI La forza del rito, la comprensione del segno nasce nella semplicità di una vita familiare intensa vissuta nell’amore e nella preghiera

1. La vita familiare come atto di culto La liturgia è azione (letteralmente «azione del popolo») e vi si agisce con il corpo. Nella famiglia quando c’è l’amore e le persone sanno comunicarselo, il corpo si esprime alla più alta intensità. Pur essendo le relazioni tra coniugi e quelle tra genitori e figli profondamente diverse e inviolabili, in entrambe le situazioni il corpo agisce con la stessa naturalezza e spontaneità. È un corpo totalmente «aperto», non sottoposto, cioè, ad alcuna restrizione dettata da prescrizioni o prestazioni. Anche il pudore interviene secondo forme che differenziano la famiglia da qualsiasi altro ambiente. Come in casa ci si veste come non si farebbe in nessun’altra situazione, così il corpo si espone con una semplicità e disinvoltura inimmaginabile altrove. Dal contatto con la vita familiare e le sue espressioni quotidiane, la liturgia può riscoprire quell’immediatezza e vivacità di linguaggio che rendono possibile la partecipazione. Nel culto liturgico partecipare non significa fare ma agire: vivere, come proprie e originali, parole e gesti compiuti da una comunità di persone, in modo sempre uguale; compiere in prima persona un rito che viene da una storia lontana nel tempo e accomuna persone di culture e età anche diverse. La Chiesa può spingersi così ad affermare che «II matrimonio cristiano, come tutti “i sacramenti che sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del Corpo di Cristo, e, infine a rendere culto a Dio”(Sacrosantum Concilium, 59), è in se stesso un atto liturgico di glorificazione di Dio in Gesù Cristo e nella Chiesa» (Familiaris Consortio, 56). Nelle loro case i coniugi sono sacerdoti e la loro vita familiare è culto. Conducendo la vita coniugale secondo lo Spirito ed educando i figli, gli sposi compiono atti di culto, celebrano una vera liturgia «propria», non concentrata solo in specifici momenti della giornata ma capace di dare senso agli avvenimenti che ritmano la vita e i tempi della famiglia. Si compie un’esperienza spirituale (cioè, si vive secondo lo Spirito) quando si riconosce che Dio si comunica e si

rende presente nelle parole, negli atteggiamenti e nei gesti che dicono l’amore. Il vissuto concreto dei familiari può diventare atto di culto concreto permanente a Dio. Questa azione liturgica è celebrata in ogni atto (dai mille servizi materiali fino alla comunicazione affettiva e sessuale) ma si condensa nelle ritua-lità familiari, che hanno il potere, proprio dei riti, di «intensificare» il tempo e rendere performative le parole. Le ritualità familiari sono i tempi nei quali la comunicazione dei corpi (come avviene anche solo in un semplice saluto spontaneo e vero) più si presta ad attualizzare l’invisibile presenza di Dio. I riti familiari celebrano, quindi, la solennità dell’ordinario, rendendolo carico, «gravido» (Sant’ Agostino) di Trascendenza, fino a riconoscere (diventando liturgici) che ogni gesto, parola, momento è segno dell’amore di Cristo, è presenza reale di Dio. La liturgia domestica, attualizzazione della presenza di Dio nella vita della casa, per la sua immediatezza e mancanza di spettacolarità, può aiutare le persone (bambini e adulti) a riscoprire ‘anima profonda della Liturgia domenicale, a comprendere parole che, altrimenti, risuonerebbero lontane e arcane. Ciò che sull’altare potrebbe apparire astratto, attraverso la liturgia domestica, può farsi più «concreto» e familiare. La straordinaria ricchezza delle ritualità familiari oggi non si può più dare per acquisita. Nell’individualismo della società postmoderna prevale una visione soggettivistica dei legami e una concezione edonistica della vita. Diventa più difficile mettere in comune i sentimenti. Ciascuno si sente autorizzato a ritagliarsi spazi privati da gestire all’esterno della famiglia e, nel vissuto familiare, tende a cercare soluzioni consolatorie e utilitaristiche, perché rapide e istantanee, mentre i riti richiedono tempo e attenzione. La secolarizzazione opera infatti non soltanto sottraendo autorità ai ruoli ma svuotando di senso i riti. Il simbolico, che esige il corpo e la parola, retrocede alla comunicazione virtuale. Le persone si aspettano però tanto dalla loro famiglia, che, proprio a causa dell’individualismo, appare un bene sempre più importante. Se adeguatamente accompagnate, possono sentirsi, quindi, motivate a investi-

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la Chiesa, li purifica e li eleva (secondo i tre verbi della Gaudium et Spes) fino a farne una liturgia. 2. Le liturgie familiari Il sacramento del matrimonio, che fonda Diventa quindi fondamentale e utile insistere la famiglia cristiana, sulla ricchezza della vita familiare, leggendovi la pos- è così una Pentecoste sibilità di esempi diversi e complementari di «liturgie continua che pervade familiari»: la liturgia dell’amore, la liturgia dei corpi, la la gestualità e la traliturgia del menage familiare. sforma in atto di lode e gloria di Dio. Non c’è - La liturgia dell’amore particolare della vita Nell’intensità della comunicazione familiare, ogni vol- di coppia e di famiglia ta che si dice l’amore, si compie un piccolo rito, come che non possa essere il bacio, la carezza, l’espressione dello sguardo, il ge- via alla crescita spiristo delle mani. Anche il modo di aprire e chiudere una tuale, alla santità. porta, di camminare in corridoio, di porgere gli oggetti raccontano chi è l’altro per noi. I gesti dell’amore sono, - La liturgia del infatti, simbolici; sono segni per dire ciò che l’altro signi- menage familiare fica per noi. Per questo i riti sono performativi e, mentre La conduzione della famiglia e della casa esprimono l’amore, lo rigenerano. I gesti della tenerezza e dell’affetto, il prendersi cura comporta un continuo dell’altro, la confidenza e l’amabilità della comunica- lavoro: preparare la zione, sono atti liturgici quando sono compiuti al «co- tavola, fare la lavatrice, stirare, curare l’igiene e la puspetto di Dio», rimandano cioè al mistero di morte e ri- lizia, conservare l’ordine, fare gli acquisti... Oggi, poi, surrezione di Cristo, manifestazione suprema del divino le cose che abbiamo in casa (abiti, giocattoli, sopram(della Gloria). Per l’altro, infatti, nell’amore si è disposti mobili, elettrodomestici) si sono accumulate oltre misura anche a morire, di quella «morte» quotidiana che consi- e pongono notevoli problemi di tempo per la cura e di ste nel fare spazio all’altro, sopportandolo, perdonan- spazio per la custodia; l’accompagnamento alle attività dolo, prendendone su di sé anche i difetti e i limiti del del tempo libero dei bambini (sport, hobby, promozioconiuge, dei figli, dei genitori, per ristabilire continua- ne dei vari talenti) erode e consuma il già poco tempo mente l’unità, per educarsi reciprocamente attraverso il a disposizione per l’intimità della famiglia; il disbrigo sacrificio. Questo modo di amare è stato anticipato nel delle pratiche burocratiche (nido, scuole, ASL), i pagadono compiuto da Gesù nell’ultima cena e poi realizza- menti di utenze e ticket, l’adempimento di scadenze e to sulla croce. Le immense ricompense dell’amore, la sua obblighi traducono quotidianamente la sensazione di un capacità di tenere vive le ragioni della speranza e di mondo ostile e pressante sul già fragile equilibrio della alimentare senza sosta il «pensiero positivo», diventano famiglia. Occorre imporsi una disciplina: fare attenziol’attestazione della Pasqua nella famiglia, il riconosci- ne a dove metto le scarpe, a come depongo il vestito, mento che lo Spirito dona un cuore nuovo e rende capa- a come lascio il bagno. Urge inventare un nuovo ordine ce di amare. Ogni piccolo frammento di famiglia (come condiviso: il mansionario familiare che affida a tutti un ci si saluta, come si sta a tavola, come ci si accoglie al compito per il menage familiare. ritorno dalla scuola e del lavoro...) assume così un signi- E quando si è al lavoro non si diventa single (è per la ficato «sacramentale» perché da gloria a Dio (diventa famiglia che si lavora) e il pensiero corre spesso là... atto di culto) e attualizza il mistero di Cristo (diventa Quando si va a scuola si portano con sé i propri genitori e, al ritorno, bisogna rendere conto... principio di Chiesa). Si può vivere questo come un’offerta e un sacrificio, non - La liturgia dei corpi solo come necessità. Tutta la vita può diventare, così, L’amore familiare raggiunge la sua espressione più alta sacrificio spirituale e culto a Dio, via di santificazione, e misteriosa nella liturgia dei corpi: il linguaggio ferialità che è degna preparazione alla grande festa dell’intimità e del dono reciproco dei corpi da parte domenicale. degli sposi, la confidenza e l’attaccamento materno e 3. La famiglia, santuario di Dio paterno tra genitori e figli. Nel desiderio appassionato della donna e dell’uomo c’è il segno della forza creativa di Dio, nella loro attrazio- Non si tratta di pensare l‘azione di Dio sul modello del ne si coglie la Sua «gelosia» d’amore. Il desiderio, la vissuto familiare. All’opposto, di costruire quotidianaseduzione, la complicità, l’affetto sono parte integrale mente la famiglia sul modello della vita di Dio, apparsa della spiritualità degli sposi. Nell’attaccamento (anche in Cristo. La nostra esperienza (più precisamente, forse, fisico) dei figli verso i genitori, nella ricerca della loro la nostra attesa) di famiglia aiuta a decifrare il mistero intimità, in tutti i gesti della tenerezza (prendersi per di Dio «padre-e-madre») ma è da Dio che impariamo mano, abbracciarsi, giocare con i corpi) si esprime la a essere sposi, genitori e figli. paternità-maternità di Dio, traspare l’insegnamento di La conclusione di chi intuisce e sperimenta questi doni Gesù che chiedeva ai discepoli di rivolgersi all’Onnipo- è lo stupore e l’ammirazione per come il Signore può trasformare la vita familiare. tente chiamandolo «papa Dio». Il cammino spirituale non si contrappone alla vita della Espressione di questa meraviglia e piena esplicitazione carne ma la comprende. Lo Spirito Santo da «un lume ai della «liturgia» familiare è la preghiera. sensi» come chiede nel canto la liturgia: assume la vita «La famiglia ha ricevuto da Dio la missione di essere concreta e il corpo nel mistero dell’amore di Cristo per la cellula prima e vitale della società. E essa adempi-

re tempo e passione nella cura delle ritualità familiare come preparazione concreta e «feriale» alla grande Liturgia domenicale. Ciò che non è più spontaneo può diventare una scelta e un proposito quotidiano.

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia rà tale missione se, mediante il mutuo affetto dei membri e la preghiera elevata a Dio in comune, si mostrerà come il santuario domestico della Chiesa; se tutta la famiglia si inserirà nel culto liturgico della Chiesa» (Apostolicam Actuositatem 11). Il magistero della Chiesa ha indicato anche alcuni tratti della preghiera familiare: è fatto in comune; ha come contenuto originale la stessa vita di famiglia; è esigenza che scaturisce dalla famiglia come chiesa domestica fondata sul matrimonio; è espressione e alimento dell’intima comunione di vita e d’amore, aiuto perché ognuno sviluppi la propria vocazione, invito per le diverse forme di evangelizzazione e promozione umana. La preghiera familiare, se non vuole essere devozionismo o pura ripetizione di luoghi comuni, non può basarsi sulla spontaneità e sull’improvvisazione, richiede un metodo. La preghiera spontanea esige competenza biblica, esperienza e maturità spirituale, proporzionate all’età. La preghiera s’impara facendola e bene: deve fondarsi sulla Parola di Dio per saper discernere le indicazioni dello Spirito anche attraverso i segni dei tempi, i fatti della cronaca e della vita sociale. Deve valorizzare le ritualità familiari considerandole come opere compiute davanti a Dio (liturgie), coltivando gli atteggiamenti dello stupore e della lode, del ringraziamento e dell’invocazione, dell’ascolto e del perdono. La liturgia familiare è il terreno più fertile per la trasmissione della fede. Non si tratta di costringere i figli alla fede ma di donare loro di respirare, nelle liturgie familiari, la presenza dell’Amore: «la famiglia come la Chiesa deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia» (Evangelii Nuntiandi 71).

Il Gruppo Galilea un cammino di fede per persone che vivono situazioni matrimoniali difficili o irregolari (es. divorziatirisposati). Gli incontri sono mensili, al centro la Parola di Dio, con ampi spazi di ascolto, riflessione e condivisione. Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare.

Profili di santità coniugale

Gianna Beretta e Pietro Molla Gianna nasce a Magenta il 4 ottobre 1922 da genitori terziari francescani. Con la famiglia nel 1925 si trasferisce a Bergamo. Riceve la Prima comunione a 5 anni e mezzo e da quel giorno partecipa alla Messa mattutina con la madre. Perde entrambi i genitori nel 1942, anno della sua maturità classica. Nel 1949 consegue la laurea in medicina e apre a Mesero un ambulatorio medico INAM. Nel 1952 a Milano consegue la specialità in pediatria Nel 1954 Gianna incontra Pietro Molla, ingegnere dirigente di una fabbrica di Magenta, appartenente all’ AC (come lei che è educatrice delle Giovani e attenta ai bisognosi) e impegnato in parrocchia. La loro è una storia d’amore vissuta nella fede. Da una lettera del fidanzamento: “Carissimo Pietro, ora ci sei tu, a cui già voglio bene ed intendo donarmi per formare una famiglia veramente cristiana… Ti amo tanto e mi sei sempre presente, cominciando dal mattino quando, durante la S. Messa, all’ Offertorio, offro con il mio il tuo lavoro, le tue gioie, le tue sofferenze, e poi durante tutta la giornata fino a sera”. Gianna e Pietro si sposano il 24 settembre del 1955. Per lei la messa quotidiana è un appuntamento fisso e quando non riesce ad andarvi si reca in una chiesetta a pregare. Con Pietro recita giornalmente il Rosario. Ma Gianna è anche una donna che gioca a tennis, scia e pratica alpinismo; in casa mai inoperosa, sa ballare bene ed è un’ottima cuoca, ama il teatro e i concerti di musica sinfonica. Dal loro amore nel 1956 nasce Pierluigi, nel 1957 Mariolina e nel 1959 Laura. Nel 1961 alla sua quarta gravidanza scopre d’avere un fibroma che andrebbe asportato per eliminare ogni rischio per la mamma. Lei si sottopone all’intervento ordinando di anteporre la vita del bambino alla sua. Gianna sa che il parto sarà comunque rischioso ma alcuni giorni prima che avvenga chiede fermamente che nel dilemma di salvare lei o il bambino venga salvato lui. Il 21 aprile 1962 nasce Gianna Emanuela ma le condizioni della mamma peggiorano e il 28 aprile Gianna a 39 anni muore per una peritonite settica, tra grandi sofferenze. Questo è il giorno della sua festa. Nel 1973 Pietro Molla scrive della moglie: “Soprattutto nella pienezza della tua fiducia nella provvidenza, hai acquisito la persuasione di non compiere un atto di ingiustizia e mancanza di carità verso i nostri tre bimbi, perché la Provvidenza non avrebbe potuto non supplire alla mancanza della tua presenza visibile; di non compiere un atto di ingiustizia e mancanza di carità verso di me perché rettamente tu mi consideravi nel dovere di accettare la volontà del Signore non meno di te e perché sapevi che io, pur nello strazio, condividevo la tua fede e non contrastavo l’eroismo della tua carità”. Da una testimonianza di Gianna Emanuela del 1994: “ E’ stato difficile per me l’essermi trovata un giorno figlia di una mamma Beata, e lo è tuttora. Difficile perché nel mio animo si alternano a sentimenti di letizia, ammirazione, onore ed orgoglio, tanto immensi e non esprimibili a parole, il forte timore di non esserne degna ed un senso di profonda responsabilità. Dallo scorso aprile mi sento parte di una famiglia sempre più numerosa di tutti coloro che con me pregano la mamma, si confidano con lei e la sentono accanto, un esempio da imitare, e provo la straordinaria sensazione di non sentirmi mai sola. Sento in me la forza e il coraggio di vivere, sento che la vita mi sorride, ed assecondando la mia naturale disposizione desidero rendere onore alla memoria della mamma ed essere per lei motivo di orgoglio dedicando la mia vita alla cura e all’assistenza agli anziani, pure suoi malati prediletti. Credo che ne sarà felice”. Gianna è stata proclamata Beata come madre di famiglia il 24 aprile 1994 e poi Santa il 16 maggio 2004. Pietro è morto a 98 anni il 3 aprile 2010, sabato santo... 30

A MILANO IL VII° INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE L'annuncio del Papa A conclusione del VI Incontro Mondiale delle Famiglie, svoltosi a Città del Messico nel gennaio 2009, annunciai che il successivo appuntamento delle famiglie cattoliche del mondo intero con il Successore di Pietro avrebbe avuto luogo a Milano, nel 2012, sul tema "La Famiglia: il lavoro e la festa". Desiderando ora avviare la preparazione di tale importante evento, sono lieto di precisare che esso, a Dio piacendo, si svolgerà dal 30 maggio al 3 giugno, e fornire al tempo stesso qualche indicazione più dettagliata riguardo alla tematica e alle modalità di attuazione. Il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (cfr Gen 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un'esistenza pienamente umana. L'esperienza quotidiana attesta che lo sviluppo autentico della persona comprende sia la dimensione individuale, familiare e comunitaria, sia le attività e le relazioni funzionali, come pure l'apertura alla speranza e al Bene senza limiti. Ai nostri giorni, purtroppo, l'organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorrenza di mercato e del massimo profitto, e la concezione della festa come occasione di evasione e di consumo, contribuiscono a disgregare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico. Occorre perciò promuovere una riflessione e un impegno rivolti a conciliare le esigenze e i tempi del lavoro con quelli della famiglia e a ricuperare il senso vero della festa, specialmente della domenica, pasqua settimanale, giorno del Signore e giorno dell'uomo, giorno della famiglia, della comunità e della solidarietà. Il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie costituisce un'occasione privilegiata per ripensare il lavoro e la festa nella prospettiva di una famiglia unita e aperta alla vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla qualità delle relazioni oltre che all'economia dello stesso nucleo familiare. L'evento, per riuscire davvero fruttuoso, non dovrebbe però rimanere isolato, ma collocarsi entro un adeguato percorso di preparazione ecclesiale e culturale. Auspico pertanto che già nel corso dell'anno 2011, XXX anniversario dell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, "magna charta" della pastorale familiare, possa essere intrapreso un valido itinerario con iniziative a livello parrocchiale, diocesano e nazionale, mirate a mettere in luce esperienze di lavoro e di festa nei loro aspetti più veri e positivi, con particolare riguardo all'incidenza sul vissuto concreto delle famiglie. Famiglie cristiane e comunità ecclesiali di tutto il mondo si sentano perciò interpellate e coinvolte e si pongano sollecitamen te in cammino verso "Milano 2012". Il VII Incontro Mondiale avrà, come i precedenti, una durata di cinque giorni e culminerà il sabato sera con la "Festa delle Testimonianze" e domenica mattina con la Messa solenne. Queste due celebrazioni, da me presiedute, ci vedranno tutti riuniti come "famiglia di famiglie". Lo svolgimento complessivo dell'evento sarà curato in modo da armonizzare compiutamente le varie dimensioni: preghiera comunitaria, riflessione teologica e pastorale, momenti di fraternità e “Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momendi scambio fra le famiglie ospiti con quelle del territorio, risonanza mediatica... ...Mentre invoco l'intercessione della santa Famiglia di Nazaret, dedita al to di difficoltà, di grave crisi, che lavoro quotidiano e assidua alle celebrazioni festive del suo popolo, imparto di cuo- pensano alla separazione o sono già re a Lei, venerato Fratello, ed ai Collaboratori la Benedizione Apostolica, che, con separati ma desiderano ritrovare speciale affetto, estendo volentieri a tutte le famiglie impegnate nella preparazione se stessi e una relazione di coppia del grande Incontro di Milano. chiara e stabile. Per info: Da Castel Gandolfo, 23 agosto 2010 info@retrouvaille.it e Benedetto XVI www.retrouvaille.it.

INDIRIZZI UTILI PER SITUAZIONI DIFFICILI NELL’AMBITO DELLA MATERNITÀ -Centro Ascolto – Cappellania Ospedale “Spedali Civili” Brescia tel. 320 814 7779 - Centro Aiuto alla Vita (CAV) di Brescia tel. 030 44512 -S.O.S. VITA 800 813 000 – attivo 24 h su 24 e gratuito - Consultorio Diocesano tel. 030 396613 - sito www.consultoriodiocesanobrescia.it - Consultorio CIDAF tel. 030 43359-www.cooperativacidaf.com

INIZIATIVE A SOSTEGNO DELLA VITA

• “Ruota per la vita”, sul muro di cinta degli Spedali Civili, via Pietro Dal Monte • Servizio Madre Segreta – numero verde 800-400400 • Progetto Gemma – numero verde 800-813000, sito www.mpv.org • Fondo Nasko - sito www.regione.lombardia.it

ISTITUTI A SOSTEGNO DELLA MATERNITÀ

- Centro di pronto intervento, Suore delle Poverelle, Brescia tel. 030 3755 387/388 e 030 240 4455 - Centro di pronto intervento “S. Maria Bambina” , Brescia – tel. 030 2306 856 - Istituto Razzetti “Casa Vittoria”, Brescia - tel. 030 41 504 31

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896


Scuola Parrocchiale don Orione

Unità Pastorale - Parrocchie di Botticino

gruppo caritas

realzione attività 2010

La Caritas interparrocchiale di Botticino è nata all’inizio del 2010, preceduta da un percorso formativo. Alla fine di febbraio, l’Amministrazione Comunale e le Parrocchie, sollecitano i volontari partecipanti alla formazione, affinché si attivino per rispondere all’emergenza di famiglie in evidente difficoltà economica tale da non garantire nemmeno l’autonomia alimentare. La prima iniziativa del futuro gruppo Caritas è quindi la gestione di una colletta alimentare c/o i supermercati del paese che ha permesso di dare una risposta immediata ad alcune famiglie con la distribuzione di pacchi viveri. Da marzo 2010 è quindi attivo quello che abbiamo denominato l’ “ORTO CARITAS”, MANO FRATERNA c/o locali che il Comune ci concede in comodato gratuito, aperto 2 giorni ogni settimana nei seguenti orari: martedì dalle 9 alle 11,30 e dalle 15 alle 18, giovedì dalle 15 alle 18. Le famiglie che aiutiamo, sono passate dalle 20 iniziali alle 50 attuali; sono per l’80% famiglie straniere provenienti da vari Paesi e le restanti italiane. La maggior parte dei nuclei famigliari è composto da genitori con 2-3-4 figli. In pochi casi 1 genitore percepisce un reddito da cassa integrazione, nella maggior parte entrambe i genitori sono senza reddito, tranne alcuni lavori saltuari e improvvisati scarsamente retribuiti. Tutti i nuclei famigliari che fino ad ora si sono rivolti all’ Orto, ci sono stati segnalati, con lettera di presentazione, dai servizi sociali del comune, per il 2011 valuteremo con tale servizio se continuare con la stessa modalità o avvalersi di diversa modalità gestionale. Le modalità di rifornimento dei generi alimentari fino ad ora utilizzate sono le seguenti: colletta alimentare c/o i supermercati del paese (1 volta l’anno) – ceste permanenti nei negozi del paese – c/o il magazzino Ottavo Giorno della Caritas diocesana di Brescia. Le risorse economiche ci provengono da offerte di privati cittadini, associazioni, istituzioni e da iniziative che i volontari propongono durante l’anno.

Abbiamo distribuito in 10 mesi circa: 3000 Kg. di pasta 1800 Kg. di riso 3500 scatole di pelati 6000 scatole legumi vari 1800 lt, di olio 5500 lt di latte 3000 scatolette di carne 6000 scatolette di tonno 1600 pacchi di biscotti altri prodotti a lunga conservazione frutta e verdura pannolini per bambini prodotti per l’igiene della persona e della casa.

Per completezza di informazione segnaliamo altri servizi attivati dalla Caritas nel corso del 2010: - distribuzione abbigliamento e accessori per la casa (negli stessi locali e giornate dell’Orto) - microcredito, in collaborazione con banche cooperative locali, per famiglie in difficoltà ma con un minimo reddito garantito - doposcuola per ragazzi delle scuole elementari e medie, delle famiglie che seguiamo come distribuzione viveri, a cui si sono aggiunti altri ragazzi stranieri, compagni di classe dei nostri assistiti. I volontari che si occupano di queste iniziative sono: 12 per l’Orto e il Microcredito e 4 studentesse universitarie per il doposcuola. 32

QUI SCUOLA

L’arte della disinformazione

Arte sottile che gode di molta fama, anche a Botticino, che si nutre di sentito dire, pettegolezzo, pregiudizi, pare che, mi è stato riferito…. Passando di bocca in bocca si arricchisce di nuovi e suggestivi particolari per il già nutrito catalogo di leggende “metropolitane” poi difficilmente sfatabili, che alimentano ingiuste quanto sterili polemiche. Una di queste disinformazioni riguardano i fondi che la scuola paritaria sottrarrebbe impu- Perché si sceglie la scuola nemente alla scuola pubblica, alimentando le proteste dei giovani privata? che puntualmente scioperano ( ormai da decenni) per i fondi Nel lontano anno scolastico destinati alla scuola paritaria. I dati FIDAE comunicano che nel 2006/07 in una conversazione con disegno di legge di Stabilità 2011( come oggi viene denominata la amiche e insegnanti di Francesco legge finanziaria) i tagli ai fondi per la scuola paritaria sono pari a mi venne chiesto dove sarebbe an13 milioni di euro, sempre che non vi siano modifiche peggiorative dato alle medie l’anno successivo ed io risposi senza ombra di dubin Senato dove è iniziata la discussione della legge di stabilità. A questo punto si impone una riflessione a partire dal fatto bio “ in una scuola privata” Avevo già fatto una scelta: che i costi di gestione della scuola paritaria sono larghissimamen- l’istituto Don Orione te inferiori a quelli della scuola statale: Dopo tanti anni e tante espeallo Stato un alunno di scuola per l’infanzia costa 6.116 euro, un alunno rienze di amici ed amiche comuni di scuola primaria 7.366, uno studente della secondaria di primo grado posso dire di aver fatto la scelta 7.688, uno studente della secondaria di secondo grado 8.108. migliore. Bene, è interessante confrontare queste cifre con quanto lo Ancor oggi, quando mi si Stato spende per gli studenti che frequentano le scuole paritarie, chiede il perché , ho sempre nel le quali – è bene non dimenticarlo mai – fanno parte, per legge cuore una risposta semplice e vedello Stato, del sistema nazionale di istruzione. Questi sono i nume- loce: l’UMANITA’. Il rapporto umano che si ri: scuola dell’infanzia 584 euro, scuola primaria 866 euro, scuola secondaria di primo grado 106 euro, scuola secondaria di secondo stabilisce nel momento in cui si bussa alla porta della Preside, ma grado 51 euro. non la disponibilità e la vo Per dovere di trasparenza, portiamo come esemplificazione glia solo, di dare di tutti gli insegnanti i fondi pubblici destinati lo scorso anno alla nostra scuola parroc- per creare questo piccolo mondo chiale : 4000 euro dal comune per il diritto allo studio (quest’anno che si chiama istruzione, relazione ridotti a 3.000) e12.000 euro dallo stato( compreso il finanziamento comportamentale, disciplina, valoper la disabilità) per un totale di 16.000 euro annui che suddivisi rizzazione dei sentimenti e la moper il numero di alunni , lo scorso anno 92, fanno la bellezza di ralità come bagaglio irrinunciabile Euro 173,90 a testa. per il futuro. Cosa può desiderare di più Allora la scuola paritaria non è solo una risorsa pedago- gica, ma anche economica per il paese e una politica lungimirante un genitore? Non so, ma sicurache si ponga sopra gli schemi ideologici e contrapposizioni di schie- mente questo istituto è un aiuto per ramento dovrebbe, nell’interesse del bene comune, riuscire a trova- noi genitori, ma soprattutto per i nostri figli che già vivono in una re una soluzione equa e solidale a questa questione che si trascina fascia di età alquanto difficile, ma da troppi decenni. comunque bellissima in tutte le sue Così pure una mentalità veramente laica , libera e al servizio espressioni. della verità dei fatti dovrebbe smettere di riproporre vecchi luoghi In questa piccola scuola si comuni contrapponendo la viene accolti con famigliarità, si scuola paritaria con quella viene tutelati da piccoli o grandi statale per affermare inve- ingiustizie, viene garantito il dice la vera questione di cui ritto allo studio e soprattutto si è il paese ha bisogno: una aiutati a superare le incertezze per scuola di qualità, capa- essere avviati con sicurezza verso ce di garantire la crescita il proprio futuro. umana, culturale, spiritua- Per questo ho scelto una scuola privata, per questo ringrazio le di ogni individuo senza tutti per il loro impegno. inutili “etichette”. Una mamma (Dall’editoriale di Docete Daniela Fontana n.630 del dicembre 2010)

La parola ai genitori

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La scelta pastorale del Vescovo e il programma in oratorio Todos sean uno

tempo di Quaresima lettera del Vescovo Luciano

All’angelo della Chiesa di Carcassonne Una sfida decisiva nella vita dell’uomo è quella contro il tempo. Non è difficile decidere di essere ‘uomini’ con tutto ciò

Quante sono le nostre comunità stanche e sfiduciate? Quante volte ci capita che manchi anche tra i collaboratori del nostro oratorio l’idea di essere una comunità? Gli oratori vicini sembrano migliori, le iniziative sono fiacche, i volontari sempre gli stessi, manca la soddisfazione di vedere qualcosa di bello e nuovo nascere dai nostri sforzi. È un momento duro, molti nemmeno accettano di sentir dire che le cose non funzionano, che la comunità è “morta”. La storia della città di Carcassonne ricostruita dalle rovine su progetto di. E. Viollet Le-Duc ci racconta come a volte sia proprio necessario ricominciare da capo, gettare alle proprie spalle i fardelli che impedivano di ripartire e ricostruire, senza abbandonare sé stessi, ma assumendo la propria storia con fantasia ed originalità. Dai testi di E.E. Viollet Le-Duc “Restaurare un edificio non è conservarlo, ripararlo o rifarlo, è ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato tempo. […] Il nostro tempo, e il nostro tempo solo [...] ha assunto nei confronti del passato un atteggiamento non usuale. Ha voluto analizzarlo, paragonarlo, classificarlo e formare la sua vera storia, seguendone il cammino, i progressi, le trasformazioni dell’umanità. L’architetto che progetta e dirige un lavoro di restauro, deve agire come il chirurgo accorto ed esperto, che tocca un organo solo dopo aver acquisito una completa conoscenza della sua funzione ed aver previsto le conseguenze immediate o future dell’operazione. Se agisce affidandosi al caso, è meglio che si astenga. È meglio lasciar morire il malato piuttosto che ucciderlo. […] Per conservare un edificio, bisogna amarlo come si ama la propria casa, non trascurare nulla perché ogni cosa sia mantenuta nello stato che conviene”.

che questo comporta: essere attenti, giusti, buoni… Non è difficile capire che l’amore è il livello più alto della realizzazione della persona. Difficile è rimanere fedeli a una decisione iniziale e continuare a cercare l’autenticità anche col passare dei mesi e degli anni. Il fatto che ieri io sia stato onesto mi aiuta a essere onesto anche oggi; ma questa conclusione non è garantita automaticamente. Ogni giorno è un giorno nuovo, una nuova espressione di libertà; ogni giorno debbo rinnovare le scelte giuste fatte e custodire l’impegno,l’entusiasmo degli inizi. In questo aiuta una regola di vita. Un vecchio proverbio diceva: “Custodisci l’ordine; e l’ordine custodirà te.” E voleva dire: una vita ordinata, nella quale le diverse attività hanno un loro posto preciso, è una vita che aiuta a raggiungere meglio il traguardo superando gli ostacoli e le tentazioni quotidiane. Nota: l’ordine di cui si parla è l’ordine esterno, fatto di orari e di fedeltà alle proprie decisioni; ma è anche e soprattutto l’ordine interno, l’ordine dell’anima, fatto di pensieri,desideri, decisioni, affetti. Il cuore umano è un guazzabuglio di pulsioni e di immagini; e dentro a un guazzabuglio ci può stare tutto e il contrario di tutto. Ma se poco alla volta si fa ordine, allora alcuni pensieri vengono espulsi, altri vengono accarezzati, altri generati e nutriti; e lo stesso vale per i desideri. Chi fosse capace di controllare i suoi desideri sarebbe chiaramente padrone di se stesso; è verso questa meta dobbiamo camminare. Si tratta di essere attenti a tutto quanto si forma dentro di noi; magari serve scriverlo in un diario. Poi si tratta di valutare se questi pensieri sono corretti, se ci aiutano a essere sinceri e buoni o se invece ci imbrogliano. È un lavoro non sempre gradevole (a nessuno piace vedere dentro di sé delle cose meschine), lento (non basta un atto di volontà per liberarsi di un pensiero di invidia): ci vorranno anni, anzi è il lavoro di tutta una vita. Ma ne vale la pena.

Vescovo Luciano

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Sii vigilante e rinvigorisci! una comunità stanca

SARDI

dal libro dell’Apocalisse 3,1-6

“All'angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Sii vigilante e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te. Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.”

Sardi fu l’antica capitale della Lidia, situata a sud di Tiàtira, fu rasa al suolo dal terremoto del 17 d.C.. Venne ricostruita sotto l’imperatore Tiberio (14-37 d.C.) e fu importante centro di lavorazione della stoffa e della lana. A Sardi sono state inventate le monete e di Sardi fu re il leggendario Creso, celebre per la sua ricchezza.

L’oratorio è bello tanto quanto noi siamo stati capaci di dire anche solo una parola a tutte le persone che sono entrate. È molto importante il rapporto amicale con le persone di ogni età che frequentano l’oratorio, ma sempre mantenendo il nostro stile; dobbiamo far passare il fatto che per noi è importante il Signore Gesù. Provoca molto questo discorso dell’esserci, da un lato si apprezza l’importanza, sempre di più però ci si rende conto che diventa difficile esserci, e ancora di più esserci nella gratuità delle relazioni. Sempre c’è la passione educativa. Una passione che ci porta ad andare avanti a tentoni, senza sapere che stile e in che modo magari fare una proposta. Il filo conduttore, però, è accorgersi che in oratorio è possibile vivere un’esperienza di chiesa. L’esperienza è significativa quando si trovano persone belle, significative, che sono lì gratis, che vogliono bene agli altri per quello che sono. Io non so cosa è più importante fare oggi rispetto a ieri, sono però convinto che non sono le cose straordinarie che educano e restano, ma la ferialità dell’incontro: il fare giorno dopo giorno le cose con la grinta, senza mai mollare. Lavoro e riflessione per la comunità educativa dell’oratorio Si incomincia prendendo coscienza delle difficoltà, delle mancanze, delle inadeguatezze del nostro oratorio: una presa di coscienza che non vuole segnare un fallimento ma dare lo slancio per una ripartenza. Alcune domande per la verifica: • Cosa offre il nostro oratorio ai ragazzi ed agli adolescenti? Riconosciamo che è prioritario dare attenzione a loro? Esiste un cammino periodico di formazione per gli adolescenti? Ci sono momenti di ritiro e di accompagnamento? • C’è spazio per i cambiamenti e le novità nel nostro oratorio? Come è accolto chi propone qualcosa di originale? Ai più giovani viene offerta la possibilità di prendersi alcune responsabilità? • Ci sono situazioni o persone che diventano un vero e proprio “tappo” per chi intende impegnarsi e dare una mano? La proposta: La strada da battere per rinvigorire e ringiovanire l’oratorio non è quella dello straordinario ma quella della ferialià. Rimettiamo al centro dell’impegno dei volontari l’apertura quotidiana degli ambienti, la disponibilità di persone e spazi, l’impegno e la presenza di cammini ordinari. 35


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Il senso delle giornate mondiali della gioventù

MADRID:GMG2011 La capitale spagnola ospiterà la giornata mondiale della gioventù. Quale è il senso di questi eventi? Che cosa si vive? Arriva. Come ogni evento che si rispetti, prima se ne è solo parlato. Poi è comparso un logo. Poco alla volta escono volantini, proposte, inviti.Si stà parlando della Gmg 2011. Meglio: del raduno della Giornata mondiale della gioventù. Ogni anno, infatti, si celebra questa giornata la domenica delle Palme; ogni tre viene proposto il raduno. È giusto parlarne: chi ha a che fare con un gruppo di giovani si sarà chiesto che cosa fare. Va detto che negli anni sono state dette molte cose. Alcune positive: la voce dei sostenitori si è levata sull’onda dell’entusiasmo che sempre accompagna eventi di questo tipo; fino a rasentare, da parte di qualcuno, il fanatismo (c’è qualcuno, evidentemente non più giovane, che va ostentando di non averne persa nemmeno una). Altre sono voci negative: perché cercare questa visibilità? Che cosa possono portare a casa i ragazzi da un’esperienza del genere? C’è bisogno di muoversi in massa? E via andando... Non sappiamo esattamente come andrà la prossima, e dunque - in tempi non sospetti - proviamo a fare qualche considerazione di tipo pastorale.

Gmg: sempre e comunque?

Anzitutto una considerazione a partire dalla storia delle Gmg. Una decina di anni fa (attorno al Giubileo) vi fu una sorta di esplosione di questo evento: Parigi, Roma, Toronto, Colonia. In pochi anni, con la parentesi di Toronto, migliaia di giovani italiani ed europei si ritrovarono più volte per il raduno mondiale. Momenti belli, indimenticabili. Ma, forse, anche un po’ ripetitivi. Il ritmo dato recentemente (ogni tre anni, a turno in un emisfero diverso del globo) rende accessibile a molti il raduno, di fatto, ogni sei anni: l’ultima volta in Europa fu nel 2005 a Colonia, la prossima (dopo Madrid) probabilmente nel 2017. Questo ci suggerisce due pensieri: il primo che sfruttare il raduno della Gmg ogni sei anni può valere la pena, perché di fatto è una generazione di giovani che passa e a questa scadenza la si vive al massimo due volte. Il secondo pensiero è che non dobbiamo far ruotare la nostra pastorale giovanile attorno a questo evento: troppo sporadico, troppo lontano dalle nostre comunità.

Gmg: perché. U S. nit Ar à p ca as Bo nge tor ale tt lo ic ino Tad ini

GMG a Madrid 2011 C o s ’ è la G MG ?

La Giornata Mondiale della Gioventù è un grande incontro dei giovani del mondo intero con il Vicario di Cristo, cioè il Papa. È un ulteriore strumento di evangelizzazione della Chiesa, che per mezzo di queste Giornate continua ad annunciare il messaggio di Cristo ai giovani.

Il programma:

Per chi è?

14 agosto 2011 Partenza

Alla Giornata Mondiale

dal 16 al 21 agosto:

della Gioventù sono

A Madrid per le

invitati tutti i giovani del mondo di buona volontà, in media dai 18 anni in su: la nostra zona ha

catechesi, gli incontri e

le celebrazioni sino alla conclusione con

scelto di estendere

l’incontro con il Santo

l’invito anche a coloro

Padre Benedetto XVI

che sono nati nell’anno

22 agosto

1994

rientro

La nostra proposta della zona Valverde:

dal 14 al 22 agosto a € 500,00 Iscrizioni e info al più presto presso don Fausto!

I giovani a questo evento partecipano volentieri. Molti di loro lo hanno vissuto come un passaggio di vita particolarmente intenso; qualcuno attraverso questa esperienza ha scoperto la propria vocazione o ne è stato provocato. E dunque non vale la pena di fare gli snob. Pur sapendo che non sarà questo il luogo decisivo dell’esperienza di fede, non si può girare la testa di fronte al fatto che è una esperienza vissuta da molti. Trasformarla in esperienza buona è la sfida.

Gmg: un cammino. Siamo lì, con il nostro gruppo di giovani. Magari da soli si sono accorti dell’evento (perché ormai internet permette loro di accedere alle notizie anche senza il filtro del parroco o degli educatori), forse qualche amico ha lanciato la proposta aprendo un gruppo in facebook. All’inizio sono le note di colore ad affascinare: la Spagna, quanti saranno, che cosa si fa, in quali città andare prima di raggiungere Madrid. E ancora: come ci muoviamo, dove dormiamo, cosa ci daranno da mangiare. Sono solo i primi passi. Ce ne sono altri possibili e interessanti. Ogni Gmg ha un tema: per questa il Papa ha scritto un messaggio a proposito del legame con Cristo e della forza della fede. Cercare il testo (facilmente scaricabile da internet), leggerlo insieme 36

magari un po’ alla volta, discuterlo, costruirci attorno alcuni momenti di preghiera. Insomma: il viaggio che si farà d’estate sarà solo la conclusione, di ciò che è partito molto prima e ha messo in moto molto più di uno zaino da mettere in spalla. E soprattutto una partenza così, muove il cuore di ciascuno e fa emergere le domande che abitano la vita dei giovani.

Gmg: la Chiesa che mi sta accanto. Una scelta della Cei, obbliga le parrocchie a iscriversi presso l’ufficio della propria Diocesi. Questo vuol dire che facilmente è possibile sapere quali sono le parrocchie della propria zona che hanno intenzione di partecipare con un proprio gruppo di giovani. Di solito questo serve a far incontrare giovani di un territorio un po’ più vasto della parrocchia, che magari già si conoscono per altre ragioni. Mettere insieme i percorsi e fare incontrare le comunità è sempre fecondo: permette di creare legami che potranno andare avanti nel tempo, permette di condividere esperienze e risorse (una parrocchia ha il prete che ha tempo per i giovani, quella vicina ha un paio di educatori in gamba...) e magari permette anche di costruire percorsi comuni a partire da amicizie e sensibilità che si sviluppano lungo l’anno. Gmg: una Chiesa diversa.

La Gmg offre la possibilità di incontrare una diocesi lontana: quest’anno sarà una diocesi spagnola o del sud della Francia. Pochi giorni prima del raduno a Madrid, le famiglie aprono le porte delle case e ospitano, le parrocchie aprono i loro ambienti e organizzano. Si aprono case, si muovono volontari. Al fondo una fede che si condivide, ma di solito si incrociano storie molto diverse. Andare a vedere una Chiesa lontana, significa vedere ritmi ed esperienze diverse, abitudini diverse, un modo di pregare, di ritrovarsi, di celebrare e di vivere diversi dai nostri. Non si tratterà di esprimere giudizi o di dare voti: piuttosto si tratterà di toccare con mano che la fede, pur condividendo lo stesso Signore, si esprime attraverso la storia degli uomini. E la storia degli altri mi può arricchire, mi racconta di una Parola che si è fatta strada in culture e tradizioni diverse. Eppure è la stessa Parola, ci vuole condurre dalla stessa parte... Ma tutto questo non si vede a occhio nudo: gemellarsi con una diocesi può voler dire cercare, prima, di informarsi sulla storia di quella gente, sui santi e sui testimoni di quella terra, sui monumenti o sulle esperienze che sono rimasti.

Gmg: la fede del mondo.

Alla fine ci si trasferirà tutti a Madrid. Le catechesi dei vescovi, le celebrazioni condivise. La liturgia non è esemplare, è faticosa, qualche volta persino difficile da seguire: non deve certo diventare un modello celebrativo. Magari si potrebbe provare a fare qualche passaggio su questo: chi ha già vissuto l’esperienza potrebbe raccontare: per capire che cosa significa celebrare nella propria comunità ogni domenica. La sensazione di condividere la fede con persone così diverse è unica. È forse l’unico momento in cui i giovani riescono a percepire, a toccare con mano l’universalità del cristianesimo. Pregare accanto a un sudamericano o a un asiatico ci potrà capitare sempre più spesso in avvenire: a partire da ciò che accade durante le celebrazioni del raduno, si potranno fare ragionamenti interessanti a proposito del mondo che si avvicina sempre di più alle nostre città e ai nostri territori. E di come vogliamo coinvolgere questo mondo nella nostra preghiera. E la Gmg sarà anche attraversare una grande città incontrando in continuazione i colori del mondo e facendo festa con molte persone. Questo avrà da dire molto sui legami che siamo capaci di costruire quotidianamente: ha senso andare a cercare i volti degli altri in agosto e non riuscire a costruire vita e relazioni con quelli che incontriamo tutti i giorni? Italiani o stranieri che siano? Sono domande intriganti che offrono possibilità di serate e di incontri con i giovani.

Gmg: tornare a casa.

Non basta andare. Bisogna seriamente tornare a casa. Nel 1985, istituendo la Giornata mondiale della gioventù, Giovanni Paolo II scriveva a proposito della responsabilità per il futuro che tutte le generazioni si devono assumere: “Di questa attualità, sono responsabili prima di tutto gli adulti. A voi spetta la responsabilità di ciò che un giorno diventerà attualità insieme con voi, ed ora è ancora futuro.” Va bene partire. Non dimentichiamoci di riportarli a casa, con momenti di verifica seria, per costruire la Chiesa e il mondo. 37


Esperienza di Carità: 2-5 gennaio 2011 presso le suore di Madre Teresa a Baggio (Milano) Nei primi giorni dell’anno un gruppo di circa 20 adolescenti e giovani ha vissuto una esperienza intensa e ricca di volontariato presso le suore missionarie della Carità di Madre Teresa nella periferia di Milano. Il servizio richiesto è stato vario: presso la mensa serale che accoglie circa settanta persone senzatetto ogni giorno, presso la casa di accoglienza con una decina di ospiti, giovani mamme con bambini piccoli che non hanno nulla per mantenersi...insomma tre giorni di vita a contatto costante con la povertà sia a livello materiale che spirituale. Ovviamente non è mancato il tempo per stare insieme nei locali della parrocchia vicina di S. Apollinare che ci ha ospitati e per visitare e trascorrere un pò di tempo nella città di Milano tra negozi e zone ricchissime che nascondono la realtà di estrema povertà che è presente. Ecco alcune considerazioni dei ragazzi al termine dell’esperienza:

- è stata una esperienza che mi ha colpito molto e mi ha fatto conoscere un mondo che mi era sconosciuto. Grazie a tutti per questa esperienza. - Come già ripetuto in questi casi c’è ben poco da dire, ma tanto, tantissimo da fare...questa esperienza mia ha insegnato molte cose e aprire gli occhi, forse troppo perché non ero del tutto pronta, forse per colpa mia o per la serena realtà del paese in cui vivo. Sono esperienze che, pur difficili da vivere, arricchiscono il bagaglio di ogni persona e fanno capire che la tua vita non è la sola verità presente al mondo, e qui si conoscono persone che l’hanno capito da tempo e si danno da fare per gli altri senza guardare sesso, età, ragione sociale o aspetti economici. Ringrazio Dio che esistono persone così perché come diceva Madre Teresa ognuno può essere una goccia limpida in cui può riflettersi lo Spirito del Signore. Un semplice grazie. - Trovo che l’esperienza fatta sia stata costruttiva su vari aspetti. Siamo entrati in una realtà a noi del tutto estranea, fatta esclusivamente di povertà per alcuni e per altri con l’aggiunta dell’amore per Dio e della carità. Dovendoci rapportare, quindi, con persone che hanno stile di vita molto diversi dai nostri, ho superato tanti timori e insicurezze. Con questa esperienza mi sono sentita utile e mi ha dato gioia e commozione, soprattutto quando una donna mi ha ringraziato e mi ha augurato tanta felicità. Trovo inoltre che l’esperienza non sia stata solamente fare del volontariato, ma anche dormire in una piccola stanza, vivere tre giorni con persone che nella maggior parte conoscevo poco o per niente. Ciò ha risvegliato in me un forte spirito di adattamento e convivenza. - Questi tre giorni trascorsi a Milano sono stati molto interessanti e mi hanno insegnato tanto. Mi hanno mostrato una realtà diversa dalla mia: una realtà che, a volte, può spaventare. Una realtà dove la sofferenza, la fame, l’abbandono sono all’ordine del giorno. Da questa esperienza, però, ho capito che noi non dobbiamo limitarci ad osservare questo mondo pieno di difficoltà che, a volte, può sembrare molto distante da noi. Ho imparato che tutti noi nel nostro piccolo possiamo fare molto. Possiamo donare un sorriso, una voce amica, quel calore umano che serve a tutti noi per scaldare il cuore. Ho rinforzato la mia idea che i bambini sono speciali e possono donare infinita gioia e infinito amore. Ho capito che a volte le persone che sono abbandonate dal mondo e che soffrono hanno, nonostante tutto, grinta e coraggio per continuare, per aiutare, per stare insieme agli altri e donare quel sorriso di cui tutti noi abbiamo bisogno. Ho imparato che la carità insieme alla volontà, alla fatica e all’impegno può rendere felici. Ho constatato che noi, semplici ragazzi, possiamo fare tanto per gli altri. Ringrazio tutti coloro che hanno dato a me e a tutti gli altri l’opportunità di vivere questa esperienza con semplicità, passione ed energia. Grazie di cuore. 38

RACCOLTA

FERRO e

METALLI La parrocchia attraverso i volontari, promuove la raccolta di materiali ferrosi. Le famiglie o ditte che hanno ferro, alluminio,ottone...ecc. che vogliono eliminare, possono contattare i seguenti numeri telefonici 3338498643 oppure 3283108944, per accordarsi sulla modalità del ritiro che può avvenrire tramite le persone incaricate o indicare il luogo della raccolta. Anche questo ricavato servirà per le necessità della parrocchia. In date da destinarsi verranno promosse raccolte straordinarie.

PER INFORMAZIONI CONTATTARE LA SEGRETERIA ORATORIO TEL. 0302692094

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BAT T E S I M I

SAN GALLO

ALBERTI JACOPO Gianfausto e Francesca LONATI NOEMI Paolo e Veronica

ANAGRAFE PARROCCHIALE 2010 M AT R I M O N I LONATI GIULIA Lorenzo e Antonella BUSI DAVIDE Cristian e Alessandra MICHELI FILIPPO Mario e Melania

BOTTICINO MATTINA

MANINETTI GIORGIO Roberto e Franca GATELLI FRANCESCO LUIGI Emanuele e Francesca CREMONESI CRISTIANO Giovanni e Monica NOVENTA SIMONE Massimo e Germana SORETTI CHRISTIAN Robertino e Simona ANTONELLI KARIM Michele e PRanee

ANTONELLI GIACOMO Lorenzo e Antonella ARICI GIOVANNI Bruno e Silvia COCCOLI RICCARDO Alessandro e Chiara APOSTOLI GIORGIO Erik e Sabrina BEDUSSI ELIA Palmiro e Giovanna FERRARI ALESSANDRO Giorgio e Enrica

BOTTICINO SERA

BELLERI GIORGIO Claudio e Marianna ZANARDINI DAVIDE Paolo e Eleonora LANDI MONICA Alessandro e Laura MOGLIA ENRICO Davide e Francesca ALBANESE REBECCA Nicola e Claudia SOLDI FILIPPO Stefano e Annalisa ZANETTI MARCO Silvano e Elena BONOMETTI ARTURO Simone e Francesca RAGNOLI LODOVICA Roberto e Roberta ROSSI GIULIA Maurizio e Daniela BALDAN DANIELA Leonardo e Laura LANCINI NICOLA Corrado e Roberta PASTORESSA ALICE Giuseppe e Luisa ANDREOLETTI LUCA Giorgio e Monica BOSCO DANIELE Gianluca e Ljuba ROSSETTI FEDERICO Gianluca e Veruska PASETTI PAOLA Gian Marco e Anna ROSSETTI GIADA Gianluca e Veruska PASETTI DENNY Gian Marco e Anna SOLDI DAVIDE Emilio e Rachele BENZONI VITTORIA Guglielmo e Sara PREVITALI ANDREA Antonio e Arianna ZANOLA GIORGIA Silvano e Matilde BOTTI GIACOMO Ronny e Veronica PORTESI TOMMASO Giacomo e Monica GORNI CRISTIAN Walter e Maria GADALDI IRENE Stefano e Annalisa COTELLI DE FRANçA MARCELLO BATTISTA Severino e Francesca ZUBANI VITTORIA Nicola e Chiara

BOTTICINO MATTINA BONZI GRETA BOSSONI MATTEO BULGARI MARTINA CASTEGNATI ALESSIA CASTELLINI GIULIA CHIESA GIUSEPPE CORRAINI ALESSIO FATTORI NICOLE LANCINI ANNA MARCHETTI ALESSIA MARINELLI ANNA NOVENTA LORENZO PAGHERA ARIANNA PASINETTI LAURA QUECCHIA JESSICA RAGNOLI ERICA RIZZI DAMIANO ROSSI ALBERTO TEMPONI LUCA

Botticino Mattina

TATOLI GIANBATTISTA e TURRI ZANONI FERNANDA MARINA PAGAN GRISO STEFANO GIORGIO e ROMIO MARIAGIULIA CADEO MARCO ENRICO e PINELLI RENATA VIOLA ANDREA e QUECCHIA JESSICA BERTOCCHI SUSAN Stefano e Daniela CASALI GIOVANNI e BENETTI CHIARA MARINARO FLAVIA Giuseppe e Daniela ZAMBELLI ANDREA e ZANOLA LAURA CONSOLI SERENA Dario e Denise BUSI GIORGIO e CAPELLI ALICE

DELLA BRUNA GRETA Francesco e Sara ROVERSI FEDERICO AGOSTINO Angelo e Manuela Botticino Sera CAMPANA DIEGO Cristian e Alessandra DAMONTI SIMONE e SETTI KATIUSCIA FERRARI STEFANO Marco e Mara CERQUI FRANCESCO e CHEREPUKHINA TATIANA MASSARDI GABRIELE Enrico e Michela DEL VECCHIO MARTA Andrea e Roberta SESANA ELISABETTA Luca e Emmanuela TOGNAZZI NICOLO’ GIOVANNI Enrico e Daniela MARIANI LORENZO Alessandro e Nicoletta FRANZINI DAVIDE Gian Paolo e Barbara SACCONE ALESSIO Andrea e Samanta CASALI LORENZO Alberto e Lara SCARPARI NICOLO’ Diego e Elena SCARPARI MICHELE Diego e Elena PIOSELLI ANDREA Marco e Emanuela FIORE DAVIDE Giovanni e Annamaria RONCATI PIETRO Giorgio e Paola

DEFUNTI

SAN GALLO

CRESIME BOTTICINO SERA

ANCOLLI MARTA ARICI OMAR BERNARDELLI NICOLO’ BODEI GIULIA BONARDI FRANCESCO BORGHINI LORENZO BORGHINI LUCA BORTOLAMEOLLI FEDERICO BOSCO SEBASTIANO BREGOLI ELEONORA BREGOLI GIUDITTA BUSI CLAUDIA BUSI ESTER BUSI ROBERTO CARLESSO JENNIFER COLOMBI NICOLA DEL BARBA LUANA FERRARI LUCIA FONTANA FRANCESCA GADALDI MARTA 40

GIRELLI SIMONE GOTTI JACOPO MARCHESE FILIPPO MASSERDOTTI MAURO OTTELLI LUCA PASQUETTI MARIO PEROTTI FRANCESCA PICCINOTTI SARA QUECCHIA GIULIA QUECCHIA SONIA ROTA SILVIA SEGRETO SONIA SINIBALDI ALESSANDRO SINIBALDI GABRIELE SPAGNOLI CINZIA TAVELLI CHIARA TOGNAZZI CRISTINA UNGARINI MARCO ZAMBONI MATTEO ZANONI MARTA SETTI KATIUSCIA

COCCA CATERINA OPRANDI GIOVANNI RAGNOLI ANDREA BUSI ANGELO BUSI FAUSTINO LONATI ELISABETTA RAGNOLI GIACOMINA FILOSI CATERINA LONATI BARBERINA BUSI LUCIA MONTANARI LUIGINA

BOTTICINO MATTINA FREGONI CELESTINO BODEI VITTORIA SCARPARI PAOLINA MORESCHI MARIA DA ROLD ANGELA CREMONESI PIETRO PREVICINI BERNARDINA PALETTI ZOIRA ZUCCHELLI GIOVANNA CATARINICCHIA GIULIA PEDENI LUIGI FORESTI IOLE MANFREDI GIANFRANCO TREVISAN TEODOLINDA PASTORE GIOVANNI LEORATI CARLO ALBERTO SCHIROLI FRANCA

BUCCARO ANDREA e NEGRO ELISA ZAPPA FRANCESCO e ZANOLA ELISA COLOSIO ALESSIO e BONIOTTI FRANCESCA DI MATTIA ANDREA e TAGLIANI ALESSANDRA MASSARDI ENRICO e LONATI MICHELA ACCETTURO ANTONIO e BONAZZA GIULIA FUSCO ENRICO e PASETTI CHIARA ROSSI PIERGIUSEPPE e GIORGI CRISTINA MENCUCCI ALBERTO e MANENTI MICHELA BUSI CESARE e APOSTOLI ELISA

San Gallo

DAMONTI PAOLA E QUECCHIA MANUEL

FABENI ADELE FRANZONI RAFFAELE BRACCONI PATRIZIA POCHETTI EMILIA TERENGHI PIERINA QUECCHIA ERMINIA RUMI LUIGI TOGNAZZI GIULIA BENETTI CAROLINA

BOTTICINO SERA BONATTI MARGHERITA ZUCCHI IAMES BELLERI DOMENICA BALLETTI ALDO COLOSIO AMADIO BERTOLONI VINCENZO LOMBARDI BATTISTA BUSI GIOVANNI BALLETTI ALDO SBARAINI ANGELO SCHIAVI MARIO FRANZONI PIERINA CARRA’ MARIAROSA BIEMMI LUCA LOMBARDI ROSA TAGLIETTI ANGELO MENCUCCI GIUSEPPE GADALDI TERESA COLOSIO EMILIA TOGNAZZI PAOLO PEDE ELIDE COLOSIO LUIGI RAMAZINI CATERINA 41

AGLIARDI SEVERINA BUSIO FELICE BONARDI PASQUALE DELLA FIORE VIRGINIA ZENI GIOVANNI GOFFRINI ANGELO BARESI BATTISTA COCCOLI FERRUCCIO PELLICONE CARMELA MALLODIO ANTONIETTA LISSANA PAOLINA BUSI ANGELA SALVINI MARIA PELATI SANTA BONATTI GINA BOTTICINI MARIO ALBINI ENZO LONATI GIUSEPPE COLOSIO ELVIRA ZILIANI LUIGINA APOSTOLI GINO QUADRI SECONDA BINI GIUSEPPE TADINI ENRICO ALBERTI CATERINA PADERNO GIACOMINA SANDRINI CHIARA BERTOLI NATALINA ROSSETTI ANGELO COLOSIO MARIA LONATI FRANCESCO CREMONESI VITTORIA DE NADAI ANTONIETTA


UNITA’ PASTORALE PARROCCHIE DI BOTTICINO

Pellegrinaggi - Gite 2010/2011

TOUR SARDEGNA 13-20 Giugno 2011

1° GIORNO: BOTTICINO – LIVORNO Ritrovo a Botticino alle ore 14.00. sistemazione a bordo dell’autopullman e partenza per Livorno - Arrivo operazioni d’imbarco e sistemazione nelle cabine riservate. Cena e pernottamento in navigazione 2° GIORNO: OLBIA - NUORO - ORGOSOLO - ORISTANO Arrivo ad Olbia, operazioni di sbarco, incontro con la guida e partenza per Nuoro. Visita della chiesa della Solitudine con la tomba di Grazia Deledda e il Museo del Costume . Proseguimento per Orgosolo, paesino della Barbagia ricco dei splendidi Murales. Pranzo tipico con in pastori. Nel pomeriggio trasferimento ad Oristano. Durante il tragitto sosta e vista al Nuraghe Losa di Abbasanta. Arrivo in hotel, sistemazione nelle camere

riservate, cena e pernottamento. 3° GIORNO: CAGLIARI Prima colazione in hotel. Escursione dell’ intera giornata a Cagliari. Visita della città ed ai principali monumenti (Santuario di Bonaria, Cattedrale di Santa Maria, le torri, i bastioni, i palazzi di architettura piemontese). Pranzo in ristorante e breve escursione sul litorale del Poetto. Rientro ad Oristano, cena e pernottamento. 4° GIORNO: THARROS - SACCARGIA - SASSARI (O ALGHERO) Dopo la prima colazione in hotel in mattinata visita all’area archeologica di Tharros, importante sito di origine fenicio-punica conquistato dai romani ed abbandonato intorno all’anno 1000. Particolare il paesaggio in cui si trovano le rovine, ricco di dune di sabbia che si protendono fino al mare. Visita della chiesa Paleocristiana di San Giovanni di Sinis e rientro in hotel per pranzo. Nel pomeriggio trasferimento a Sassari (o Alghero). Durante il percorso sosta e visita alla Basilica romanico pisana di Saccarigia, straordinario esempio di costrizione romanico pisana in Sardegna. Arrivo in hotel, sistemazione nelle camere riservate, cena e pernottamento. 5° GIORNO: ALGHERO E DINTORNI Dopo la prima colazione in hotel, intera giornata dedicata alla visita di Alghero e degli spettacolari dintorni della capitale del turismo.

Visita del centro storico di origine catalana (Chiesa e Chiostro di San Francesco, Piazza Civica Teatro, i palazzetti in stile gotico catalano, i bastioni e le torri). Pranzo e nel pomeriggio escursione paesaggistica sulla riviera del corallo fino a Capo Caccia, spettacolare promontorio calcareo che racchiude le Grotte di Nettuno. Rientro in hotel, cena e pernottamento. 6° GIORNO: SASSARI - CASTELSARDO - BAJA SARDINIA Dopo la prima colazione in hotel, visita della città di Sassari e dei principali monumenti Chiesa di Sanata Maria, Duomo di San Nicola, Piazza d’Italia e gli eleganti palazzi ottocenteschi, Corso Vittorio Emanuele etc. Proseguimento per Castelsardo, grazioso borgo medioevale arroccato su un promontorio sito al centro esatto del Golfo dell’Asinara. Visita del caratteristico centro storico della Cattedrale di Sant’Antonio Abate. Pranzo in ristorante. Tempo a disposizione per shopping nei numerosi centri dell’artigianato locale, una delle fonti principali dell’economia del paese. Nel pomeriggio si raggiunge la zona di Baja Sardinia, percorrendo la litoranea nord dell’isola, che riserva incantevoli panorami sulle Bocche di Bonifacio. All’ arrivo in hotel, sistemazione nelle camere riservate cena e pernottamento. 7° GIORNO: PALAU - LA MADDALENA - CAPRERA COSTA SMERALDA – OLBIA Prima colazione in hotel. Partenza per il porto di Palau, imbarco per raggiungere l’isola della Maddalena. Proseguimento per Caprera per la visita alla casa museo di Garibaldi e giro panoramica dell’isola ammirando gli splendidi panorami sulle isole minori e dell’arcipelago e sulla vicina Corsica. Rientro a Palau . Dopo il pranzo in hotel, visita della Costa Smeralda con sosta a Porto Cervo, capitale degli affari e luogo d’incontro dei personaggi del jetset internazionale. Si prosegue fino alle incantevoli località di Cala di Volpe e Romazzino, graziose insenature di bianche spiagge ornate di graniti levigati e protette dalla verde macchia mediterranea che avvolge le eleganti ville da sogno dei ricchi vacanzieri. Trasferimento al porto di Olbia in tempo utile per le operazioni di imbarco. Cena e pernottamento in navigazione. 8° GIORNO: LIVORNO – BOTTICINO Dopo la prima colazione a bordo operazioni di sbarco e proseguimento del viaggio di rientro per Botticino con sosta per il pranzo in ristorante in Versilia. Arrivo a Botticino in serata. QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE € 1000,00 Supp camera singola € 120,00 LA QUOTA COMPRENDE: partecipazione cassa comune €40,00/ Viaggio in pullman gran turismo.Passaggi marittimi Livorno/Olbia/ Livorno in cabina doppia.Traghetto per l’Isola Maddalena.Trattamento di pensione completa dalla cena del primo giorno al pranzo dell’ultimo giorno(escluso la colazione del 2° e dell’ 8° giorno).Pranzo tipico con i pastori sardi.Bevande ai pasti ( ½ acqua ¼ vino).Sistemazione in hotels **** in camere doppie.Guida /accompagnatore per tutta la durata del tour in Sardegna. Assicurazione LA QUOTA NON COMPRENDE:Mance, ingresso musei e tutto quanto non espressamente indicato “ne la quota comprende” Informazioni e iscrizioni presso: il parroco, Battista Benetti (0302190738) , segreteria oratorio, diaconoPietro. 42

SIRIA,

Ognuno di noi un giorno o l’altro, conosce quello che si potrebbe chiamare la propria via di Damasco; Un avvenimento che si impone alla nostra vita in modo inatteso, ci costringe a prendere decisioni, ci interpella nella nostra stessa esistenza ed esige da noi una scelta decisiva. La vocazione di Paolo fu un evento di questo genere, che venne a trasformare il fariseo persecutore in apostolo di Cristo.

SULLA VIA DI DAMASCO

settembre/ottobre

Un viaggio veramente affascinante e unico.

La travolgente ondata civilizzatrice dei popoli Mesopotamia arrivò fino in Siria, raggiungendo le coste del Mediterraneo. Da qui un popolo di navigatori e commercianti, i Fenici, esplorando le terre sconosciute dell’ Occidente, trasferì il pensiero e l’arte di una cultura millenaria presso nuove genti. Un viaggio per ripercorrere idealmente il lungo cammino della storia attraverso le antiche civiltà di MARI, EBLA, proseguendo con l’apogeo della civiltà ellenistico romana a PALMYRA, APAMEA fino ad arrivare alle raffinate architetture islamiche di DAMASCO ed ALEPPO.

1° GIORNO: ITALIA - DAMASCO. In serata itrovo all’aeroporto e partenza per Damasco. All’arrivo trasferimento in albergo pernottamento. 2° GIORNO: DAMASCO - MAALOULA - KRACK DEI CAVALIERI - LATAKYA. Partenza per Maaloula, pittoresco villaggio annidato tra le rupi dove si parla ancora l’Aramaico, e visita al Convento dei Santi Sergio e Bacco. Proseguimento per il Krack dei Cavalieri. Pranzo in ristorante. Visita della fortezza crociata e continuazione per Latakya. Sistemazione in albergo. 3° GIORNO: LATAKYA - UGARIT - APAMEA - EBLA - ALEPPO. Colazione. Pranzo in ristorante lungo il percorso. Giornata dedicata alla visita degli importanti siti archeologici di Ugarit, città risalente al terzo millennio a.C.; di Apamea, che rappresenta un esempio di arte ellenistica-romana meglio conservato in Medio Oriente; di Ebla, nella cui biblioteca reale furono recuperate oltre quindicimila tavolette incise con i caratteri cuneiformi sumeri. Arrivo in serata ad Aleppo. Sistemazione in albergo. 4° GIORNO: ALEPPO - SAN SIMEONE. Mattina dedicata alla visita di Aleppo: museo archeologico, la Cittadella e la Grande Moschea. Nel pomeriggio escursione a San Simeone, dove rimangono resti del complesso basilicale dedicato al Santo Stilita. 5° GIORNO: ALEPPO - RASAFA - PALMIRA. Partenza verso la grande diga di Assad sull’Eufrate e continuazione per Rakka.Proseguimento per Rasafa, anticamente chiamata Sergiopoli. È la più interessante città morta del deserto, dopo Palmira: qui fu martirizzato San Sergio. Arrivo a Palmira in serata. Sistemazione in albergo. 6° GIORNO: PALMIRA - DAMASCO. Colazione. Mattinata dedicata alla visita di Palmira, la regina del deserto, e dei suoi tesori: tempio di Bel, arco di trionfo, teatro, cardo massimo, necropoli. Pranzo in ristorante. Al termine partenza per Damasco con arrivo in serata. 7° GIORNO: DAMASCO - BOSRA - DAMASCO. Inizio della visita della città con il museo archeologico, la Grande Moschea degli Omayyadi e il Gran Bazaar. Nel pomeriggio partenza per Bosra antica città nabatea. Visita dell’imponente teatro romano. Rientro a Damasco nel tardo pomeriggio. 8° GIORNO: DAMASCO. Visita dei luoghi della conversione di Paolo: la Via Recta, la chiesa di Anania, la Porta di San Paolo. Salita al Monte Kassium.Cena in albergo e pernottamento. 9° GIORNO: DAMASCO al mattino presto trasferimento in aeroporto per il rientro in Italia.

Quota di partecipazione a noi riservato: € 1395,00 + € 35,00 gestione pratica. Totale 1430,00 da catalogo € 1.570,00 + € 35,00 gestione pratica. Totale 1605,00. Supplemento: camera singola € 280,00. La quota comprende: Iscrizione individuale. Passaggio aereo in classe turistica Italia/Istanbul/Damasco/Istanbul/Italia con voli di linea - Tasse aeroportuali (tasse di imbarco/tasse di sicurezza/tasse comunali/adeguamento carburante) € 150,00 - Trasferimenti da/per l’aeroporto di Damasco in pullman - Alloggio in alberghi di 5 stelle (4 stelle ad Aleppo) con sistemazione in camere a due letti con bagno o doccia - Vitto dalla 1° colaz.del 2° giorno alla cena dell’8° giorno - Spese per l’ottenimento del visto consolare - Tasse in uscita per via aerea dalla Siria - Visite, escursioni, con guida parlante italiano per tutto il tour in pullman Ingressi come da programma - Assistenza sanitaria, assicurazione bagaglio e annullamento viaggio Europ Assistance. N.B.: È necessario il passaporto individuale valido almeno sei mesi oltre la data di partenza. Entro un mese prima della partenza devono pervenirci i dati anagrafici e gli estremi del passaporto (numero, luogo e data di rilascio, eventuale rinnovo e scadenza). Sul passaporto non devono risultare timbri d’ingresso e/o di uscita in Israele e/o qualsiasi dogana Israele/Giordania/Egitto.

Chi è interessato a questo viaggio o intende partecipare comunichi al più presto il proprio nominativo ai Sacerdoti, al Diacono o in segreteria oratorio. Insieme ci si accorderà sulla la data migliore.

pellegrinaggio mariano di una giornata - 25 maggio 2011

Santuario della Madonna delle Lacrime Incoronata a Pontenossa 43


***9 marzo: MERCOLEDI DELLE CENERI INIZIO QUARESIMA CON LA S.MESSA E L’IMPOSIZIONE DELLE CENERI Botticino Mattina: ore 17,30 San Gallo : ore 19,00 Botticino Sera: ore 16,00 - 20,30

GIORNATE DI SPIRITUALITA’

(esercizi spirituali) PER LE TRE PARROCCHIE DI BOTTICINO

INIZIATIVE QUARESIMA

- GIOVEDI’ 10 e VENERDI’ 11 ore 6,30 ( per adolescenti e giovani nella chiesa di Bott.Mat) ore 9,00 a.Mattina ore 15,00 a San Gallo ore 16,30 a Sera ore 18,30 (fraternità per adolescenti) ore 20,00 : riflessione pre le tre parrocchie presso chiesa di Botticino Mattina - SABATO 12

ore 6,30 o ore 9,00 preghiera nel pomeriggio nelle tre chiese parrocchiali dalle 15 alle 17,30 tempo per le confessioni e/o incontro con il sacerdote Durante la Quaresima ogni giorno può essere caratterizzato di momenti propri di vita cristiana facendoci aiutare dai vari sussidi. La domenica in particolare è importante riscoprire il valore della S.Messa e seguendo il cammino proposto dalla Parola di Dio. I mercoledì sera a partire dal 15 marzo (martedì): CENTRI DI ASCOLTO nelle famiglie I venerdì ore 20,00 ADORAZIONE DELLA CROCE nella propria chiesa parrocchiale (dal 18 marzo) Al centro della chiesa una grande croce sulla quale depositiamo simbolicamente i nostri pesi, le nostre fatiche, ma anche le nostre gioie e le nostre speranze. *La giornata potrebbe poi essere caratterizzata da momenti quali la visita a una persona ammalata , o sola, o anziana; il dedicare del tempo nell’aiutare persone bisognose anche di cose concrete... ecc. *Inoltre il venerdì di quaresima è giorno di digiuno secondo le varie modalità (dalla televisione, dal cibo...) con l’impegno di mettere nel salvadanaio per i poveri il corrispettivo secondo le indicazioni del Centro Missionario diocesano (vedi i progetti descritti nel sussidio).

SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE (CONFESSIONE) Botticino Mattina :Ogni sabato: ore 15-17 Botticino Sera :Ogni sabato: ore 15-17 San Gallo : prima o dopo la S.Messa ***Domenica 10 aprile : PELLEGRINAGGIO DELLE TRE PARROCCHIE DI BOTTICINO AL SANTUARIO DI REZZATO

IN OGNI FAMIGLIA PER VIVERE MEGLIO LA QUARESIMA

“COMPAGNI DI VIAGGIO . In comunione per la missione”

E’ il sussidio che accompagnerà quotidianamente il cammino della Quaresima 2011. E’ uno strumento per la preghiera e la riflessione personale o, meglio della famiglia. Il tema è in sintonia con la scelta pastorale del nostro Vescovo: Dove esistono rapporti intensi di comunione tra sacerdoti, religiosi e laici, la vocazione di ciascuno riflette in se stessa qualcosa della bellezza delle altre vocazioni; la Chiesa diventa più bella e armoniosa (Luciano Monari, Lettera Pastorale 2010-2011, “Tutti

siano una cosa sola” N° 27).

Il sussidio ci apre alla necessità e alla bellezza di essere Chiesa in comunione, partendo dall’esperienza di comunione e corresponsabilità dell’Apostolo Paolo e dei suoi Compagni di viaggio, Inoltre alcuni nostri missionari e missionarie ci hanno offerto la testimonianza loro e della propria gente, che ci fa gustare la perenne freschezza di una Chiesa delle Origini alla quale guardiamo come a quelle radici che continuano a far nascere e crescere la Chiesa di Cristo, là dove ci sono fratelli e sorelle che vivono in comunione e in fraternità. Alla fine del libretto si trova la Via Crucis della comunità.

“Cassettina-salvadanaio” - progetti di solidarietà

per il proprio contributo finanziario, il corrispettivo dei digiuni e rinunce di ogni giorno. Le offerte raccolte verranno destinate, secondo le intenzioni diocesane illustrate nella parte centrale del sussidio . Da consegnare alla celebrazione del Giovedì Santo o alle persone incaricate.


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