LUCA MARIA PATELLA NON OSO / OSO NON essere

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LUCA MARIA PATELLA NON OSO OSO NON essere a cura di / curated by

Alberto Fiz


LUCA MARIA PATELLA NON OSO OSO NON essere a cura di / curated by

Alberto Fiz intervista di / interview by

Ilaria Bernardi

GALLERIA IL PONTE - FIRENZE 22 settembre - 10 novembre 2017 Mostra realizzata in collaborazione con CSC - Cineteca Nazionale, Roma e Fondazione Morra, Napoli Si ringraziano Don Giuseppe Billi per il prestito delle due campane del Museo della pieve romanica di Figline di Prato e tutte le maestranze che hanno reso possibile questa mostra: Massimiliano Ermini (La Corniceria, Firenze), Pier Andrea Luciani (Elle Marmi, Carrara), Gianluca e Tiziano Calosi, Stefano Magnanelli e per le performances Martina Tosi ed Eugenio Alibrandi.

Ufficio stampa / Press office

Maddalena Bonicelli Susanna Fabiani Foto di riproduzione della mostra installata Photo reproductions of the installed exhibition

Torquato Perissi Redazione editoriale / Editorial team

Enrica Ravenni Traduzione in inglese / English Translation

Karen Whittle Ideazione grafica / Graphic Design

Luca Maria Patella & Rosa Foschi Messa in pagina / Page setting

Alessio Marolda Impianti e stampa / Plates and printing

Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera (PI)

Š copyright 2017

per l’edizione Gli Ori 51100 Pistoia - Via L. Ghiberti, 6 tel +39 057322607 www.gliori.it info@gliori.it Galleria Il Ponte 50121 Firenze - Via di Mezzo, 42/b tel +39 055240617 fax +39 0555609892 www.galleriailponte.com info@galleriailponte.com Luca Maria Patella per le opere filmiche,scrittoriali, oggettive, ambientali, comportamentali e fotografiche (n. 1, 18, 19, 20, 22 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 36, 37, 38, 39, 40, 42) Rosa Foschi per la poesia Urbino (dal suo libro Wood Note, Empiria Edizioni, Roma 2004.) ISBN 978-88-7336-676-8


SOMMARIO / CONTENTS

I.

INTRODUZIONE / FORWARD p. 9 p. 13

II.

PROGETTI DELLA MOSTRA / EXHIBITION PROJECTS p. 17

III.

dai "Quaderni dei Progetti & Sogni" di LMP

LA MOSTRA / THE EXHIBITION p. 35

IV.

Codice Patella. Alberto Fiz Code Patella. Alberto Fiz

La Mostra & il liber hic!

INTERVISTA / INTERVIEW p. 72

Premessa / Preme essa di LPM

p. 75 p. 83

“A ciascun’alma presa e gentil core”. Ilaria Bernardi a colloquio con Luca Maria Patella “To every captive soul and gentle heart”. Interview with Luca Maria Patella by Ilaria Bernardi

LAVORI IN CORSA / WORKS IN PROGRESS.. V.

VI.

p. 89

Luca & Rosa PAT.Ella

APPENDICE / ADDENDUM p. 127 Didascalie / Captions p. 137 Nota biografica p. 141 Biographical note


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CODICE PATELLA Alberto Fiz

Je n’appartiens à personne et j’appartiens à tout le monde. Vous y étiez avant que d’y entrer, et vous y serez encore quand vous en sortirez. Denis Diderot (Jacques le fataliste et son maître)

Contesto! Ma con te sto? Dipende molto dal contèsto. Ma con chi sta Patella? Con Patella, naturalmente. Tutto il resto è un pretesto. Polisemie, equivalenze, dissociazioni, calembours, ribaltamenti, fratture psicolinguistiche, sono parti integranti di un procedimento che tende a sabotare la retorica di una disciplina artistica soporifera e politicamente corretta. Luca Maria Patella non ha accettato le lusinghe di un conformismo perbenista che tende a replicare moduli già consumati in nome di una speculazione commerciale più che estetica. Lui, da sempre, contesta non per un fatto ideologico, ma per aver scelto di lasciarsi guidare da una ricerca che non ammette di essere incasellata, che sfugge a qualunque definizione ed evita di sottostare a un formulario precostituito. Patella, insomma, non sta ai patti e, come si direbbe oggi, è antisistema: all’inizio degli anni ottanta, per esempio, i suoi Vasa Physio-nomica, vasi-ritratto torniti su profili di personaggi storici o viventi (in occasione della mostra fiorentina ha realizzato eccezionalmente due Vasi Fisiognomici in marmo ricavati dai profili dei Duchi di Urbino ispirandosi all’opera di Piero della Francesca) avrebbero potuto diventare un marchio di fabbrica accolto con entusiasmo dal mercato. Sono lavori esemplari dove le immagini si scoprono nel vuoto proprio là dove cadono le ombre. Le premesse manieriste vengono superate dall’aura astratta e impalpabile che circonda l’immagine. Un punto d’arrivo per molti artisti. Ma non per Patella che non intende affatto lasciarsi imbrigliare dalle sue stesse creazioni. Nel 1984, infatti, al termine di una lunga gestazione, sposta la direzione della freccia e pubblica Jacques Le fataliste come Autoencyclopédie (di libri ne ha inventati oltre 70), tra i più autorevoli saggi psicanalitici su Denis Diderot che con questo romanzo rivela se stesso dopo che lo sfiancante lavoro sull’Encyclopédie lo aveva prosciugato. È Patella il suo analista, così come avviene per Duchamp, ma attenzione alle letture lineari: i ruoli del terapeuta e del paziente si possono all’improvviso scambiare. Quando si analizza il corpus patelliano, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a MUT/TUM, un lavoro realizzato dall’artista nel 1985 dove si assiste ad un rovesciamento della scritta che compare in calce all’orinatoio di Marcel Duchamp e nella sua ultima opera dipinta intitolata TU m’. Difficile stabilire quale strada prendere nell’ambito di un’indagine funambolica e poliedrica. Comunque vada, si finisce sempre per compiere un Vi aggio in Luca, come recita il titolo di un suo volume scritto nel 1974. “Non voglio essere relegato nemmeno nello specifico dell’arte”, paradigma Patella che si sgancia da qualunque formalizzazione oggettuale preferendo arrampicarsi tra vicoli e sentieri, piuttosto che percorrere, a gran velocità, la sin troppo banale strada maestra. Lui lavora per gemmazioni rintracciando in ogni dove il centro con una coerenza di pensiero che consente un progressivo allargamento dei significati. Il problema fondamentale non è

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il prodotto prêt-à-porter, ma risolvere l’enigma dell’opera e giustificarne la permanenza portandola sino al limite estremo, persino paranoico, di unicità e perfezione. Grafica, fotografia, video, scrittura, poesia, performance, installazioni, sono solo alcuni degli ambiti di ricerca intorno ai quali si è espresso Patella, convenzionalmente descritto come artista totale e multidisciplinare. Ma più che totale, lui è sempre stato parziale in quanto ogni esperienza è lenticolare, minuziosa, esauriente, circostanziata e non c’è nulla di onnicomprensivo né, tanto meno, di globalizzato. Scienza, psicanalisi, pragmatica e semiologia, sono alcuni degli impasti che l’artista romano, di volta in volta, utilizza seguendo un delirio autonomo e libero da condizionamenti, sebbene i suoi lavori siano spesso anticipatori di linee o tendenze, dal concettuale alla ripresa del classico con i suoi tempietti (tempus, templum…) al limite del kitsch che si possono annoverare tra gli objets recherchés più che tra gli objets trouvés. Patella ribalta il tavolo riconquistando significati assopiti, celati o, molto spesso, rimossi. Ma anche riappropriandosi di quella libertà condizionata dal complesso delle inibizioni culturali in un sistema perbenista come quello dell’arte. A tal proposito, appare emblematico Id e Azione, un intervento del 1976 dove all’autoritarismo del linguaggio politico (la falce e il martello), si contrappone l’unione tra l’azione collettiva e l’istanza intrapsichica necessarie per giungere ad un’ideazione autentica, non più prevedibile o già incancrenita. Le sue opere vanno incontro ad una rinnovata consapevolezza proprio per la loro capacità di slittare su più piani in un’ambiguità dove pulsione e pensiero convivono senza mai elidersi. Come scandisce la voce fuori campo in SKMP2, il film del 1968 nel quale compaiono Sargentini, Kounellis, Mattiacci, Pascali, oltre a Patella, “l’arte è ricerca scientifica-fantastica dell’azione psicologica.” Il burattinaio domina un sistema complesso che mette in crisi lo spettatore, non solo per i contenuti spesso inarrivabili, degni di un grande erudito, ma anche per la possibilità di manometterli in una frammentazione continua degli elementi. L’autore sfida l’osservatore (perché mai dovrebbe sentirsi al suo livello?) che, il più delle volte, soccombe: tutto ciò che sa o che presume di sapere, gli si ritorce contro da parte di un artista irriguardoso, pronto ad avventarsi, come un giustiziere, sui luoghi comuni o su chi grida al miracolo di fronte all’ovvio e applaude all’ottuso. Sin dal 1964, nelle sue opere multimediali, tra cui gli Ambienti proiettivi animati, in anticipo rispetto all’arte concettuale e comportamentale, Patella sviluppa una sperimentazione linguistica che investe ogni aspetto della produzione, dai viraggi fotografici di carattere psicanalitico in un contesto realista, alla performance, sino all’uso della parola intesa come detonatore di nuovi significati. La presa d’atto è, comunque, dichiaratamente soggettiva, persino esistenziale, un vero e proprio sacrilegio rispetto ai tempi quando, sia dall’Europa sia soprattutto dagli Stati Uniti, si stava affermando un’arte riduzionista, fondamentalmente tautologica, basata su regole ferree e invalicabili. Sol LeWitt, nei suoi celebri Paragraphs on conceptual art datati 1967, tuonava: “Quando un artista utilizza una forma concettuale di arte, vuol dire che tutte le programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e l’esecuzione è una faccenda meccanica. L’idea diventa una macchina che crea l’arte...Lavorare con un programma prestabilito è un sistema per evitare la soggettività...Dopodiché meno decisioni si prendono nel corso del lavoro, tanto meglio. Questo elimina, per quanto possibile, l’arbitrarietà, il capriccio e la soggettività.” Ciò che l’artista americano vuole eliminare diventa, per Patella, strategicamente determinante in un’erranza imprevedibile. Talvolta anche la natura artificiale contribuisce ad architettare una babele linguistica: nel 1971 i suoi Alberi Parlanti e profumati, tra i primi esempi di installazione interattiva, discettano in lingue diverse di poesia e di filosofia, così come di argomenti scientifici o di bagatelle. Per sentirli, è sufficiente appoggiare l’orecchio al tronco e sintonizzarsi sul colore che si desidera, rosso, verde o giallo. La natura, insomma, quando vuole, si fa ascoltare. Se l’arte, spesso, chiede regolamenti e chiavi d’interpretazione univoci, come se per identificarli fosse necessario

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leggere il libretto delle istruzioni, Patella ha un codice variabile che l’osservatore deve, in ogni circostanza, decriptare. La password, poi, di frequente cambia e chi non la possiede rimane escluso. Del resto, i suoi occultamenti hanno lo scopo di azionare differenti parametri della conoscenza non fermandosi allo sguardo: “Se l’arte dovesse limitarsi alla percezione ne saprebbero di più le zanzare o le api”, ha affermato Patella. Il suo è uno zigzagare continuo tra diversi procedimenti dove parole e immagini si scambiano di posto e giocano a scacchi con l’ignaro spettatore. In Dice A del 1966, per esempio, il ritratto fotografico visto di profilo di Rosa Foschi (è la moglie dell’artista, nonché la sua musa) sembra soffiare via la lettera A, quasi fosse una bolla di sapone, allontanandola da sé. In altre circostanze la scritta è imperativa e sulla pioggia battente compare specularmente Si fa così. Ma tra un’autofoto oggettiva (è un selfie con viraggi ante litteram) e una complessariflessiva, compare nel 1966 un angolo asfaltato con la dicitura Contro la razionalizzazione nevrotico adolescente. Va combattuta la razionalizzazione o il nevrotico adolescente? E se quest’ultimo fosse l’artista stesso o il fruitore delle sue opere in un puzzle ironico, politico-concettuale? Districare la tela di Penelope-Patella è pressoché impossibile in quanto l’artista, al contrario di quanto fanno illustri colleghi come Joseph Kosuth o Alighiero Boetti, evita d’impostare un unico stratagemma visivo ed è sempre pronto ad annodare i fili per poi snodarli quando meno te l’aspetti. Se in base alla lezione di Mallarmé e di Rimbaud le parole sono disincarnate, lo stesso accade alle azioni comportamentali come le performance Camminare! e Stare al bar del 1965-1968. Nel 1967, tuttavia, è il lavoro cinematografico Terre Animate già iniziato nel 1965 con la realizzazione delle tele fotografiche (viene proposto anche nella mostra di Firenze) ad anticipare la nascente land art, tanto che proprio di recente la critica statunitense l’ha definito un lavoro chiave del movimento. Ma anche in questo caso l’aspetto premonitore non è scevro da elementi di devianza: se gli artisti americani lasciano la loro impronta sul paesaggio, quasi fosse un immenso supporto naturale, Patella teatralizza il suo intervento, lo rende performativo, immateriale e ironico con tre “personaggi indicativi” (segnali viventi?) che misurano la terra con una fettuccia bianca in base ad un’operazione di carattere comporta-mentale che rimanda, per certi versi, alle Linee di lunghezza infinita di Piero Manzoni. In entrambi i casi gli artisti occultano il dato sensibile dell’arte mediante un’operazione immaginifica e paradossale. Ma tutta l’opera di Patella non è un passatempo ma passa attraverso il tempo scombinando ogni logica rispetto ad una contemporaneità che si crogiola intorno a vere o presunte innovazioni, incapace di sorprendere e di sorprendersi. Se l’artista ha costruito una cosmogonia complessa dove i compagni di strada sono Eraclito, Orazio, Dante (nella mostra di Firenze un verso della Vita nova ispira la comparsa di una conturbante Beatrice), Diderot e Duchamp, anche sotto il profilo tecnico le sue scelte d’avanguardia passano attraverso strumenti in apparenza di retroguardia utilizzati con sapienza come il fish-eye, lo specchio convesso utilizzato dai fotografi negli anni venti, il foro stenopeico che sfrutta il principio della camera oscura già nota nel IX secolo e tornata in auge agli inizi dell’800, l’autocromia brevettata dai fratelli Lumière. A tutto ciò si aggiungono, sin dalla metà degli anni sessanta, un’infinità di obiettivi, cineprese, proiettori e marchingeni di ogni genere inventati da Patella per ottenere un’immagine produttiva e non riproduttiva. E chi sostiene che l’artista sia troppo vintage e allergico alle tecnologie, la smentita è arrivata nel 1997 quando (con la collaborazione dell’architetto Franco Pettrone) ha trasformato virtualmente la Maison de Plaisir dell’architetto e utopista del ‘700 Claude-Nicolas Ledoux in una Maison de Plaisir Cosmique per l’osservazione dei cieli e delle stelle. Nel fluttuare degli eventi e delle cose dove la realtà può diventare finzione significante, “l’occhio non guarda solamente, ma studia lo sviluppo psicologico”, com’è scritto in una diapositiva in bianco e nero che fa parte degli Ambienti proiettivi animati. Ed ecco che le trappole predisposte dall’artista ci conducono a Montefolle, un luogo senza tempo, dove ogni aspetto del visibile è trasformato da un uso sofisticato della camera oscura e dei viraggi, così come verso le scritture enantiodromiche, lo stratagemma introdotto nel 1974 applicando un’incisione a rovescio su un vetro per poi incollarla su uno specchio. Le memorie scolastiche inseguono

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Leonardo e la sua calligrafia à rebours, ma qui siamo di fronte a testi senza fissa dimora con un andamento a spirale che si predispongono, come sussurra l’artista, “alla corsa dei contrari che si avvitano: uno verso il centro, l’altro capovolto verso la periferia.” In un contèsto di questo tipo mai fermarsi all’architesto o al paratesto: con Patella bisogna agire con circospezione senza, tuttavia, il timore di scendere nelle stanze segrete dell’alchimista dove le pareti sono ricoperte da crittogrammi spesso sovversivi e insidiosi. E là, in qualche angolo nascosto, si scorge il dilemma: NON OSO / OSO NON essere. A Dante è affidata la risposta: “Forse la mia parola par troppo osa.”

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CODE PATELLA Alberto Fiz

Je n’appartiens à personne et j’appartiens à tout le monde. Vous y étiez avant que d’y entrer, et vous y serez encore quand vous en sortirez. Denis Diderot (Jacques le fataliste et son maître)

I do contest! But am I with you? It depends very much on the context.1 But who is Patella with? With Patella, of course. All the rest is a pretext. Polysemy, equivalences, dissociations, plays on words, turning things upside down and psycholinguistic divisions are integral parts of a procedure that tends to sabotage the rhetoric of a sleep-inducing and politically correct artistic discipline. Luca Maria Patella has never been lured by that respectable conformism which tends to replicate components already used in the name of commercial more than aesthetic speculation. He has always contested, not for ideological reasons, but because of his choice to be guided by a type of research that refuses to lie within the box, escapes any definition, and avoids obeying a set formula. In short, Patella does not stick to the agreed way of things. He is, as we would say today, anti-establishment. At the beginning of the 1980s, for example, his Vasa Physio-nomica portrait-vases, shaped on the profiles of historical or living figures (for the occasion of the exhibition in Florence he has exceptionally made two marble Vasi Fisiognomici using the profiles of the Dukes of Urbino, inspired by the work of Piero della Francesca) could have become a trademark which the market would have welcomed with open arms. Polished works whose images are unveiled in the void where the shadows fall, any Mannerist premises are surpassed by the abstract and intangible aura surrounding the image. A point of arrival for many artists, but not for Patella, who definitely does not intend to be bridled in by his own creations. And so, in 1984, at the end of a long gestation period, he pointed the arrow in another direction and published Jacques Le fataliste come Autoencyclopédie (he has invented over 70 books). Among the most authoritative psychoanalytical essays on Denis Diderot, this novel is a revelation of the writer, worn out by the exhausting work on the Encyclopédie. Patella is his analyst, and that of Duchamp too, but beware of linear interpretations: the role of therapist and patient can be swapped at any moment. When analysing Patella’s corpus, the impression is of being before MUT/TUM, a work made by the artist in 1985 which turns the writing at the bottom of Marcel Duchamp’s urinal and in his last painted work entitled TU m’ upside down. It is difficult to decide which route to take in such an acrobatic and many-sided investigation. Whichever way, you always end up going on a journey into the artist, a Vi aggio in Luca, as the title of one of his volumes reads, written in 1974. 1. Translator’s note: In Italian these first three sentences are based on a play on the words: contesto (first person singular of the verb contestare, to contest, dispute), which is dismembered into con te sto, and the noun contesto (pronounced “contèsto”).

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“I don’t even want to be relegated into the specific area of art,” sets out Patella as he releases himself from any objectual formalization, preferring to clamber up alleyways and paths rather than speeding along the all-toobanal high road. His work buds into life, as he traces the centre of a coherent thought back to any point, in a progressive expansion of meanings. The fundamental problem is not the ready-made product, but to resolve the enigma of the work and justify its permanence. Hence, he takes it to the extreme, neurotic even, limit of uniqueness and perfection. Graphics, photography, video, writing, poetry, performances and installations are just some of the fields of research around which Patella – conventionally described as a total and multidisciplinary artist – has expressed himself. But rather than total, he has always been partial, since every experience is lenticular, meticulous, exhaustive, circumstantial, and there is nothing all-encompassing, nor, even less so, globalized. Science, psychoanalysis, pragmatics and semiology are some of the ingredients that the Roman artist uses each time, in his own form of delirium free from all conditioning. Nevertheless, his work has often been a forerunner of schools or trends, from conceptual art to a resumption of classical style with his little temples (tempus, templum…) which, bordering on kitsch, can be deemed more objets recherchés rather than objets trouvés. Patella flips the tables, to regain dormant, hidden or, very often, repressed meanings. But at the same time he also regains that freedom conditioned by all of those cultural inhibitions in such a respectable system as art. In this sense, Id e Azione appears emblematic. In this intervention from 1976, the authoritarianism of political language (the hammer and sickle) is contrasted with the union between the collective action and intrapsychic force needed to achieve an authentic invention that is neither predictable nor already entrenched. His works achieve a renewed awareness owing to their very ability to slip over several levels in an ambiguity where instinct and thought coexist without ever cancelling each other out. As the off-screen voice sets out in SKMP2, the film from 1968 featuring Sargentini, Kounellis, Mattiacci, Pascali, and Patella, “art is scientificfantastic research into psychological action.” The puppeteer rules over a complex system that throws the spectator into crisis. Indeed, not only are the contents often impossible to grasp, even by the most erudite, but they can also be tampered with, the elements continually fragmented. The author challenges the observers of his works (why on earth should they feel on his level?) who, more often than not, give in: everything they know or presume to know, turns against them thanks to a disrespectful artist ready to rail, like an avenger, against clichés or those who hail the obvious a miracle or applaud the obtuse. Since 1964, in his multimedial works, amongst which the Ambienti proiettivi animati, even before the emergence of conceptual and behavioural art, Patella develops a linguistic experimentation that affects every aspect of his production, from his psychoanalytical altered colour photos in a realist context, to his performances, and his use of words as the holders of new meanings. His stance is openly subjective, existential even, a true sacrilege at a time when, both in Europe and above all in the United States, a reductionist, fundamentally tautological art was asserting itself, based on steely and insurmountable rules. Sol LeWitt, in his famous Paragraphs on Conceptual Art from 1967, thundered: “When an artist uses a conceptual form of art, it means that all of the planning and decisions are made beforehand and the execution is a perfunctory affair. The idea becomes a machine that makes the art. […] To work with a plan that is preset is one way of avoiding subjectivity. […] After that the fewer decisions made in the course of completing the work, the better. This eliminates the arbitrary, the capricious, and the subjective as much as possible.” What the American artist wants to eliminate, for Patella becomes strategically determining as he unpredictably leaves the beaten track. At times, the artificiality also helps to contrive a linguistic babel: in 1971 his Alberi Parlanti e profumati, among the first examples of interactive installations, discuss poetry and philosophy in

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different languages, as well as scientific or even trifling matters. To hear them, you just need to place your ear against the trunk and tune into the colour you want, red, green or yellow. In short, when it wants to, nature lets itself be heard. While art often requires regulations and unambiguous keys for its interpretation, as if you had to read the instruction booklet to identify them, Patella’s code varies and the observer has to decode it each time. Then the password frequently changes and whoever does not have it is left out. Moreover, the aim of this concealment is to activate different parameters of knowledge. The gaze is not the be all and end all: “If art had to limit itself to perception, mosquitos or bees would know more about it,” Patella has claimed. He continually zigzags between different procedures in which words and images change place and play checkmate with the ignorant spectator. In Dice A from 1966, for example, the photographic profile portrait of Rosa Foschi (the artist’s wife, as well as his muse) seems to blow away the letter A, almost as if it were a soap bubble, distancing it from her. In other circumstances, the words are imperative and the mirror image of Si fa così appears in the pouring rain. But between an objective self-photo (an ante-litteram colour-altered selfie) and a complex-reflective photo, in 1966 an asphalted corner appeared with the wording Contro la razionalizzazione nevrotico adolescente (Against neurotic adolescent rationalization). Should we be fighting rationalization or the neurotic adolescent? And if the latter were the artist himself or the spectator of his works in an ironic, politicoconceptual puzzle? It is practically impossible to unravel Penelope-Patella’s web since, contrary to his illustrious colleagues Joseph Kosuth or Alighiero Boetti for example, the artist avoids setting a single visual stratagem and is always ready to tie the threads together to then untie them again when you least expect it. If, on the basis of Mallarmé and Rimbaud’s lesson, words are disembodied, the same happens to behavioural actions, such as the performances Camminare! and Stare al bar from 1965-1968. Nevertheless, in 1967, it was the film-artwork Terre Animate – already begun in 1965 with the realization of the photo canvases (it is also proposed in the Florence exhibition) – that anticipated the nascent land art, so much so that US critics have recently defined it as a key work in the movement. But in this case too, the premonitory aspect is not without its deviant elements: while US artists leave their mark on the land, almost as if it were an immense natural medium, Patella dramatizes his intervention, making it performative, intangible and ironic with three “indicative characters” (living signals?) who measure the land with a white ribbon following a behavioural-mental operation that in some ways refers back to Piero Manzoni’s Linee di lunghezza infinita. In both cases the artists conceal the perception of art by way of a paradoxical operation of the imagination. But all of Patella’s work is not a pastime, it passes through time by undermining all logic in an age that lazes around true or presumed innovations, incapable of surprising or being surprised. If the artist has built a complex cosmogony where his travelling companions are Heraclitus, Horace, Dante (in the Florence exhibition a verse from the Vita nova inspires the appearance of a perturbing Beatrice), Diderot and Duchamp, from the technical point of view too, his avant-garde choices pass through the clever use of apparently retrograde tools such as the fish-eye, the convex mirror used by photographers in the 1920s, the pinhole that uses the principle of the camera obscura already known in the ninth century which came back into fashion at the beginning of the 1800s, and the autochrome patented by the Lumière brothers. In addition to all of this, since the middle of the 1960s, there has been an endless list of lenses, video cameras, projectors and contraptions of all kinds invented by Patella to obtain a productive and not reproductive image. And those who claim that the artist is too vintage and allergic to technology were disproved in 1997 when (with the collaboration of architect Franco Pettrone) he virtually transformed the Maison de Plaisir (House of Pleasure) of eighteenthcentury architect and idealist Claude-Nicolas Ledoux into a Maison de Plaisir Cosmique to observe the skies and the stars. In the fluctuation of events and things where reality can become meaningful pretence, “the eye does not only

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look, but studies the psychological development”, as is written in a black-and-white slide that is part of the Ambienti proiettivi animati. And so, the traps laid out by the artist lead us to Montefolle, a timeless place, where every aspect of the visible is transformed by a sophisticated use of the camera obscura and altered colours. They also lead towards his enantiodromic writings, the stratagem introduced in 1974 by applying an engraving upside down onto a pane of glass and then sticking it on a mirror. School memories chase Leonardo and his reverse calligraphy, but here we are dealing with texts with no fixed base, written in a spiral fashion, as the artist whispers, “in a race of opposites revolving round: one towards the centre, the other turned upside down towards the outside.” In a context of this kind, never stop at the architext or the paratext: with Patella you have to act with circumspection. However, you must not fear going down into the alchemist’s secret rooms where the walls are covered by often subversive and dangerous cryptograms. There, in some hidden corner, you can glimpse the dilemma: NON OSO / OSO NON essere (I DO NOT DARE / I DARE NOT to be). The reply is entrusted to Dante: “Forse la mia parola par troppo osa.” (My words, perhaps, appear too bold).

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Progetti della Mostra dai “Quaderni dei Progetti & Sogni” di LMP






















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OVE NON È CHE LUCA?? (DAN)



Premessa / Preme essa di LPM A tensione! La “Parole” c’est mon métier, mais.. La mia complessità è tanta e tale Che non discredo che, s’egli ‘l sapesse Un che mi fosse inimico mortale.. Che di me di pietà non si piangesse!

A tension! La “Parole” c’est mon métier, mais.. My complexity is so much and such That I don’t unbelieve that ,if he knew it One that were my mortal enemy He would not cry with mercy for me

È un amico del ‘300, che mi ha suggerito questo incipit: ed io lo approvo in pieno! E mi approvo in pieno (troppopieno?)..pur sopportandone le conseguenze: nel vuoto culturale & inventivo, di Sempre (più che mai)! E all’ora (dice l’ingenuo): Patella, tutto e solo Theoria? Ma quanno mai! A 14 anni, correvo su una Guzzi 250 (solo il Gatto con gli Stivali poteva farmi concorrenza!). Il che non vuole dire affatto che l’Invenzione (a volte sfrenata) non dialettizzi con l’opposto: uno spaccare i capelli in 444 parti (e, così dicendo, mi limito: perché devi considerare (cum siderare) le Distanze interatomiche! / o quelle Cosmiche: entro cui il mondo (mundus?)..non esiste nemmeno!). Ho detto, più volte, che è la mostruosa Superficialità e Convenzionalità (che contrabbanda e strombazza stupidaggini e falsità “Capitali”): contro cui bisogna battersi!! Qui, accennerò a quando, nel laboratorio di “Chimica Elettronica Strutturale”, si verificò (non per colpa mia) una catastrofica esplosione (Es?)..dalla quale mi salvai per puro caso (o cazo, che dir si voglia). Che altro posso o voglio dirvi (amica o anemico, Lettrice e Lettore)? ..Vi riporterò 3 mie poesioline music’ali. Una, degli anni ‘50: sotto il pino un bambino accarezza il risvolto di lana, un’aria leggera muove i riccioli e non si sa se voglia dire qualcosa

Un frammento di quando torniamo (da tornare o tornire?) da Antwerpen (o chissà da dove) in treno: toute cette gare a une raison d’être en raisin d’être par toi, une garce une fille assise ici incroyable près du chauffage marron, marrant ou pas autorisé? insupportable presque par la beauté de son corps de fillette …............................

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E una più.. recente:

Babyalone ★ VORREI STARE DISTESO IN UNA STANZETTA SOPRA L’ALBEROBELLO O SOTTO LA FERO VIA ANZI, ESSER CON TE OV’UNQUE SIA! ★

E tu, Lettrice o Lettore: cerca e guàrdati (qui, nel presente Libro-catalogo) il foglio, rosa e celeste, dalle mie “Competenze”.. Ad esempio, è il sessantennale della competenza Psicoanalitica, con Ernst Bernhard. Quella Scrittoriale, con zia Peggy, risale ai miei 4 anni.. Per non parlare della Non arte, Scientifica ed esistenziale, che integra l’Arte!.. Eh, sì, scrivo ed ho scritto Libri-lavoro “revoluzionari”, ed assai documentati, per molte decine di anni. Su Dante autoproiettivo e su “Diderot proto-psicoanalista”.. ..Ma come è che anc’ora Nessuno (nemmeno ulisse) si è reso tonto di simili e in-portantissime problematiche??? Infine, chiuderò con Dan, che dice: et io, sorridendo li guardava, e non dicea loro: niente. Si tratta di “ebeatitudine”? Sì, forse, ma anche di: Consapevolezza! E non di scherno (né schermo) ma di: tras-Formazione! (le Vent s’élève).. Grazie, adesso, a quanti mi capiscono! C’è chi ha detto: una forza della Natura! Ringrazio e aggiungo: & della Cultura! Ih! l’aria spira (l’aura, diceva Quello, e un’aria - per forza data l’urgenza - appena sc’arsa). Ora, vi saluto e “sono” Luca Maria PAT. &lla (Lei ed io: INConscio & COSCienza) .. aspera mihi laetitia, et ignota liberatio!!

UNO SPAZIO DI VECCHIE MACERIE BABARUS HIC EGO SUM!?

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JE N’APPARTIENS À PERSONNE, ET J’APPARTIENS À TOUT LE MONDE (DID)


“A CIASCUN’ALMA PRESA E GENTIL CORE” A COLLOQUIO CON LUCA MARIA PATELLA Ilaria Bernardi

Definire l’arte di Luca Maria Patella è un’operazione ardua, se non impossibile. Per farlo, potremmo forse utilizzare l’immagine simbolica di un treno che corre su due binari, ovvero su due rette destinate a non incontrarsi e al contempo tra loro necessarie per garantire il corretto funzionamento del mezzo di trasporto. Ma, ora che ci penso, è Patella che ha scritto un “romanzo ferroviario” nel 1974 (Vi aggio in Luca / Voy âge en Luc)! I due binari che garantiscono il corretto funzionamento dell’opera di Patella sono la scienza con la sua razionalità e la creatività con la sua irrazionalità. NON OSO / OSO NON essere, titolo della mostra fiorentina, ben esemplifica tale polarità: si tratta di una dichiarazione di intenti e al contempo di identità, in quanto sottende la volontà e la naturale predisposizione dell’autore a non perdersi nei meandri sregolati di una “falsa” sperimentazione artistica, ma parallelamente a non poter far a meno di sconfinare nel territorio immaginifico della creazione. Nato a Roma nel 1934, e avendo un padre cosmografo umanista, Patella si laurea in chimica strutturale, diviene assistente di Linus Pauling per poi interessarsi di psicanalisi, dal 1967 con Ernst Bernhard. È l’approccio scientifico strutturale e quello psicanalitico, teso a indagare i rapporti tra conscio/razionale e inconscio/irrazionale, a indurlo a intraprendere un percorso artistico capace di includere entrambe quelle dimensioni. Dopo aver viaggiato in Francia e in Sud America ed essersi dedicato prima al disegno e poi all’incisione, dalla metà degli anni Sessanta sceglie la polisemia quale cifra del suo lavoro, assumendo e trasformando media sperimentali differenti quali la fotografia (diapositive-colore, tele fotografiche virate, stampe colore e b/n), i films-opera (in 16 e 35 mm, tra cui: Terra Animata, 1967; SKMP2, 1968; Vedo, Vado!, 1969 e molti altri, dal 1964 e anche prima), il libro e la scrittura (si ricordano la Gazzetta Ufficiale di Luca Patella, dal 1972, e i “Libri-lavoro” come Io sono qui Avventure & cultura, 1970-75), l’installazione-video (come gli Ambienti proiettivi animati, 1966-68). Sono inoltre da un lato lo studio della cosmografia, della chimica strutturale e della psicologia analitica junghiana, adleriana e lacaniana; dall’altro l’amicizia con Giulio Carlo Argan (che premia alla V Biennale de Paris, nel 1967, i suoi films appena realizzati), Jacqueline Risset, Michel Baudson; e la conoscenza di Marcel Duchamp, André Masson, André Breton, Giorgio de Chirico, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Meret Oppenheim, Andy Warhol, Sol LeWitt, a complementare, magari, l’Arte & Non Arte di Patella. In Mare firmato del 1965, la sua firma è impressa su una distesa marina attraverso una tecnica puramente fotografica: da qui l’utilizzo in modo preconcettuale non solo della fotocamera ma anche della cinepresa; o meglio, il loro utilizzo in base a un “concettualismo complesso”, come l’artista stesso lo definisce; un concettualismo più legato ai “comportamenti” che al problema (pseudo!) analitico della misurazione e dell’abolizione dell’immagine. Gli ambienti di Patella risultano infatti multimediali, interattivi, virtuali e focalizzati sul comportamento, sul suono e sulla parola (cfr. Muri Parlanti, Galleria Apollinaire, Milano 1971; Alberi Parlanti, Walker Art Gallery, Liverpool 1971). Sulla scia di Duchamp, è spesso l’esperienza ad avere la meglio sulla fisicità della scultura e della pittura, così come è l’operazione a essere pratica ed estetica in sé a prescindere dalla tipologia dell’oggetto su cui viene applicata.

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Alle installazioni multimediali o “parlanti” degli anni Settanta, seguono dagli anni Ottanta lavori ancor più complessi, che assimilano aspetti citazionistici (questi, a dire il vero, dagli anni Sessanta), psicanalitici, simbolici e linguistici, i cui principali soggetti di una sua inedita e “rivoluzionaria” analisi sono “Diderot e Duchamp (autoproiettivi)”. La mostra alla Galleria Il Ponte si pone in continuità con tale ricerca. Prendendo spunto dalla storia della città che l’accoglie, Patella ha costruito una scena “teatrale” ponendo come quinte un enorme Vaso Fisiognomico di Federico da Montefeltro che, alla stregua dei due più piccoli Vasi Fisiognomici in marmo, posti all’ingresso della galleria, raffiguranti il profilo del duca e quello di Battista Sforza, rinviano al dipinto da Piero della Francesca Doppio ritratto dei duchi di Urbino (1465-72) conservato alla Galleria degli Uffizi. L’omaggio dell’artista a Firenze prosegue con l’installazione di una grande e di una piccola campana, con un Suonatore in ricordo di Aldo Palazzeschi e soprattutto di Pier Capponi, il noto condottiero che, dopo aver cacciato Piero de’ Medici ed essere divenuto capo della repubblica fiorentina, di fronte alla minaccia da parte di Carlo VIII di far suonare le trombe di guerra nel caso i fiorentini non lo avessero ricompensato con una grande somma di denaro per il suo sostegno, rispose “e noi faremo suonare le nostre campane” per manifestare la volontà della città di resistere. Oltre all’evocazione di questo noto fatto storico, le campane di Patella fungono anche da metronomo per la “pièce teatrale” che si svolge nella sala inferiore della galleria. È Dante, fiorentino per eccellenza e padre della lingua italiana, a essere qui evocato attraverso la messa in scena di un verso tratto dalla sua prima opera di attribuzione certa, scritta tra il 1293 e il 1294, la Vita Nuova, il libro della memoria in cui il poeta ricorda tre fasi fondamentali della sua vita: ovvero, il momento in cui Beatrice gli concede il saluto, fonte di beatitudine e salvezza; il momento in cui ciò non gli è più concesso; la morte di Beatrice e l’inizio di un profondo rapporto con l’anima (“anima”, cioè inconscio junghiano) della donna amata. Patella fa riferimento al terzo capitolo della Vita Nuova che narra il secondo incontro fra Dante e Beatrice, avvenuto nove anni dopo il primo, e il sogno seguente in cui “uno segnore di pauroso aspetto” (il dio Amore) tiene in braccio Beatrice avvolta in un drappo e le fa mangiare il cuore del poeta, tradizionale simbolo di unione eterna dopo la morte. Attraverso la messa in scena del verso “nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggeramente”, ma anche mediante le altre opere esposte in galleria, Patella porge forse il suo “cuore” a noi visitatori affinché possiamo cibarci del suo pensiero per scombinare i nostri usuali ragionamenti, così come nella Vita Nuova il dio Amore porge a Beatrice il cuore di Dante per legarlo a lei indissolubilmente. Patella ha analizzato negli anni Settanta “il meraviglioso proto-romanzo di Dante, come Mito-biografia”, egli ricorda. Nel suo lavoro, inoltre, non riusciamo mai a capire dove finisca l’indagine scientifica e dove cominci il contributo dialetticamente artistico; spetta a noi giudicare e valutare in base all’amore che nutriamo per l’arte. D’altra parte è lo stesso Dante ad affermare di aver composto la Vita Nuova per salutare tutti i fedeli d’Amore e per chiedere loro che giudicassero: “A ciascun’alma presa e gentil core nel cui cospetto ven lo dir presente, in ciò che mi rescrivan suo parvente, salute in lor segnor, cioè Amore”. Nelle opere esposte negli spazi della galleria Il Ponte, i riferimenti alla storia, all’arte e alla cultura di Firenze non sono pertanto da considerarsi readymades pronti per l’uso, né citazioni tout-court, ma elementi iconografici-concettuali di un repertorio culturale porto allo spettatore affinché lo interpreti in profondità e impari a scombinarlo con la stessa ironia e nonsense (o super-senso!) con cui sempre lo mutua e lo utilizza lo stesso Patella, che parla di “ironico-serio”. Di seguito è trascritta la mia conversazione con lui (nelle sue risposte corsivi, neretti, puntini, spaziature, puntini di sospensione, punti esclamativi e altri elementi redazionali simili sono stati suggeriti da Patella stesso), da cui si spera emerga non solo il percorso che l’ha condotto alla concezione della mostra fiorentina, ma anche la sua inclinazione a includere sempre gli opposti.

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La sua attività artistica negli anni Sessanta non è da considerarsi un punto di avvio ma piuttosto una tappa di arrivo dopo altre esperienze altrettanto importanti e formative…. Nella “Gazzetta” n. 22, adesso in preparazione, rispondo a una mail di Luciano Marucci, amico di vecchia data con cui ho fatto opere e interviste, di essermi accorto che quest’anno è il sessantennale della mia conoscenza psicanalitica perché nel 1957 Ernst Bernhard mi dedica vari libri Astrolabio (Adriano Olivetti era un paziente di Bernhard, così come Fellini, Manganelli, e molti altri). In realtà la mia conoscenza scientifica è precedente: mio padre era un cosmografo e mi aveva avviato alla carriera scientifica che a me interessava molto in quanto ricerca. Mi sono infatti laureato in chimica. Attualmente si pensa erroneamente che la scienza sia la verità, sia cioè matematica e logica: non è affatto così! La scienza (non la tecnologia) è l’opposto: è strutturale, antimeccanicistica, antideterministica, antiretorica. Linus Pauling, di cui ero giovane assistente, è doppio premio Nobel non per la matematica e la logica, ma è un fisico-chimico che studia la “risonanza elettronica”, ovvero la chimica organica che deriva dal nucleo benzenico: sei atomi di carbonio, ciascuno legato a un atomo di idrogeno, disposti a forma di esagono regolare. Ma se i legami doppi comportano un avvicinamento degli atomi di carbonio, perché danno origine a un esagono regolare? Perché esiste una risonanza fra una formula e l’altra: non è vera nessuna ma è vero il loro intermediario. Pauling studiava e comprovava a livello fisico-chimico questa situazione che noi gli proponevamo attraverso formule elettroniche: non era un Duchamp infrasottile (una… stupidatina inconsapevole) perché le distanze interatomiche e intra-atomiche sono molto minori di un millesimo di millimetro! Tuttavia, dopo questo mio inizio nella scienza, ho scelto di fare l’ “artista & il non artista”, e la competenza “artistica & non artistica” è da sempre una mia peculiarità. A quattro anni inventavo, illustravo e dettavo libri a una mia zia che era la figlia… del primo assistente dell’ultimo Viceré delle Indie; poi mi sono dedicato moltissimo al disegno e per renderlo più consistente sono giunto a praticare l’incisione. Già quando ero bambino realizzavo incisioni e ho… praticato tale tecnica, in seguito, a Parigi dove sono stato all’atelier 17 di Hayter, ideatore della tecnica manuale del colore simultaneo su unica lastra. Andando oltre: ecco le mie “acqueforti fotografiche a colori simultanei”. All’inizio degli anni Sessanta ero quindi già affermato come incisore: avevo tenuto mostre alla Nuova Pesa e allo Studio Alibert, ma il mio lavoro è sempre in divenire e mi sono reso conto che con il “segno” non si poteva andare oltre. Così ho cambiato: come avevo lasciato l’America per tornare in Europa dove ho frequentato surrealisti come André Masson (genero di Lacan, tra l’altro), rientrato a Roma e dopo una strenua lotta con me stesso (per una certa sopravvalutazione della scienza), alla metà degli anni Sessanta abbandono il “segno” per assumere fotocamera e cinepresa nelle arti visive e per intraprendere un cammino “anti-moralistico” (da qui l’inzio di un’arte scientifica, strutturale, antideterministica, anti-idealistica. Porto cioè a sviluppo un’arte che si pone tra arte, scienza, vita, psicologia, linguistica, politica, in divenire: un’arte che contiene teorizzazioni linguistiche, ma soprattutto psicanalitiche). In quel momento mi sembrava inoltre che si dovesse assolutamente andare oltre l’Informale: era necessario giungere alla costruzione di una “realtà” contraria non alla storia, ma a una tradizione limitata ed estetizzante del quadro e della scultura; una realtà che fosse, non si creda impalpabile, ma anzi “concreta e utile”! (Ammesso che la “realtà” esista e non sia un miraggio psichico!). Abbandonato non solo il laboratorio scientifico, ma anche il disegno e l’incisione, utilizzo e costruisco quindi la macchina fotografica come strumento espressivo concreto e non limitatamente “artistico”. Questo però non significava tagliare i ponti con la Tradizione Storica: la dimensione del mio lavoro corrisponde sempre alla complessità, che implica la mediazione dialettica tra gli opposti. Dalla fotografia al video il passo è breve… Non potendo andare oltre (col segno), la fotografia e il cinema potevano, in quel momento, fornire una strada “reale”. Qualcuno mi chiedeva se fossi diventato un “cineasta”: io invece ho inteso portare la cinepresa

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nell’ambito delle arti visive senza diventare unicamente un regista. Fabio Sargentini lo capì subito: vide fra l’altro una mia film-azione (con Carlo Cecchi come performer) al Teatro di via Belsiana, ne rimase colpito e mi invitò a tenere una mostra a L’Attico. Uno dei film più importanti all’interno del suo lavoro è Terra Animata, (1965-)1967, dove Claudio Meldolesi insieme a Rosa Foschi indicano (con il corpo e con una fettuccia bianca tesa) gli andamenti di un terreno arato. In questo atto del misurare e del circoscrivere uno spazio con la propria azione e con il proprio muoversi, c’è forse l’influenza di Bruce Nauman che nel 1967 si filma mentre cammina attorno a un quadrato bianco da lui delineato nel suo studio? No! Terra Animata è un film professionale (è girato da me, in 16mm); è un’Opera e un’Operazione: non si tratta né della documentazione di una performance né proveniva da qualcosa che era nell’aria o che fosse già stato fatto da altri! C’è anche qualcuno che ha detto l’opposto di quanto mi chiedi, ma lasciamo stare… Scherzando, potrei dirti: di Patella ce n’è uno (o due), tutti gli altri ne han trentuno (e li abbiano pure!). Inoltre, è stato prima della metà degli anni Sessanta (quindi prima della nascita del Concettuale e della Land Art) che ho scelto di utilizzare la macchina fotografica e la cinepresa come media espressivi per creare la “dimensione concettuale” dell’arte, da intendersi, secondo me, quale dimensione artistica & scientifica, in divenire e dunque capace di sviluppo. Anche recentemente (2011), al MOCA di Los Angeles, Terra Animata è stato definito “a key-work in the history of Land Art”. Ma forse mi piace di più chi l’ha riconosciuto anche come un esempio di proto-cinema! Comunque, è tutto filmato e fotografato da me in persona. Dopo la fotografia e il video, negli anni Settanta giunge alla scrittura… Già negli anni Sessanta, e ancor prima, mi dedico alla scrittura di testi: sentivo che l’immagine e i problemi unicamente visivi erano esauriti a seguito di un fare che sconfinava sempre più verso l’ambiente e il comportamento. Lavoro con la “Parole”, riallacciandomi magari alla tradizione europea surrealista, ma in particolare alla mia formazione. In arte sono “sguinzagliato” ma allo stesso tempo cosciente: l’artista per me è estremamente calibrato, ma anche estremamente sguinzagliato. Lo dimostrano anche i numerosissimi “Librilavoro” che ho ideato, tra cui il romanzo che da un lato si configura come un testo di cento pagine scritto in un mese, dall’altro lato corrisponde a un testo di trenta pagine scritte in dieci anni. Si tratta di una dichiarazione non tanto o solo poetica, ma “noetica”, di conoscenza. Anche la mostra a Firenze ha un “Libro-lavoro” di grande intensità: non lo ritengo affatto secondario al resto!

Qual è lo scopo di passare repentinamente dall’utilizzo di un medium a quello di un altro? Realizzando un lavoro, sento spesso l’esigenza di passare ad altro, non tanto per far tutto, ma per far tutto quello che è “necessario”. Nei miei film e video si assiste spesso a uno slittamento fra proiezione e ripresa, performance, proiezione di parole metamorfiche effettuata mediante un apparecchio di dissolvenze da me creato. L’intento dello slittamento da un medium all’altro, inclusa certo la scrittura, è quello di realizzare un fatto concreto e in divenire: totale, o meglio “tot ale”, tutt’ali… Jung, che è un mio punto di riferimento, parlava di “individuazione” che non significa egoismo né narcisismo, ma significa “essere individuo”. Nel momento in cui scoprissi che mi ripeto, smetterei di farlo! Amo partire da una nebulosità, essere di fronte alle “cose”, o essere io “la cosa” e muovermici (orientarmi, occidentarmi). “Era già l’ora […] che lo nuovo Peregrin d’Amore punge, se ode squilla (di campana!) di lontano, che par lo giorno pianger che si more”…

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La commistione tra discipline diverse e l’utilizzo di differenti media era però una pratica comune anche agli altri artisti romani (e non solo) degli anni Sessanta, data anche l’influenza di attori, registi, cineasti nella Roma del tempo. Lei che rapporto aveva con l’ambiente artistico e culturale romano? In quegli anni ho frequentato l’ambiente artistico e culturale romano, certo, ero anche “amico” di Schifano, Pascali, ecc. Forse però ho frequentato l’ambiente molto meno di quanto… avrei “dovuto”. Non avevo molta voglia di andare tutte le sere da Plinio De Martiis, al Bar presso la Galleria La Tartaruga, che allora era il luogo di ritrovo prediletto dagli artisti. Con Rosa ci siamo allora quasi trasferiti prima a Milano, poi a Berna, a Colonia, a Parigi, a Bruxelles e ad Anversa. Forse, lassù mi conoscono meglio che a Sud (!). Vi ho realizzato Antologiche formidabili già dagli anni Sessanta. Ad esempio, un collezionista eccellente di Antwerpen ha mescolato ai suoi Magritte degli anni Venti alcuni miei ovali “para-magrittiani” per dis-orientare il visitatore! Ma non credere che non abbia frequentato… molti italiani e internazionali! E poi, Rosa Foschi è la mia “Anima” junghiana (per la sua bellezza, intelligenza, e… stupidaggine simile alla mia). Altre Animae sono… catullianamente tramontate… In che rapporto il suo lavoro si pone con la realtà circostante e con la dimensione inconscia/immaginaria intrinseca a esso? Sullivanianamente, un rapporto cattivo se quel che mi attornia è (come molto spesso) convenzionale e passivo! Se dicessi “io sono di fronte al mondo e cerco di capirlo”, dovrei allora chiedermi: “ma forse: non sono io il mondo?”. Se non ci fossi io e l’altro, o meglio l’altra, cioè se non ci fossimo noi, il mondo non esisterebbe. Io vi sono implicato; noi tutti vi siamo implicati. Per capire il mondo bisogna capire noi stessi e il nostro rapporto con ciò che ci circonda. Il mio lavoro inoltre è sempre in dialogo con una dimensione immaginaria non convenzionale: con la mia formazione scientifica, artistica, storica e psicanalitica. L’arte dovrebbe sempre giungere a un’autentica dialettica tra scontri, incontri, sconfinamenti, su ogni piano: inventivo, etico e semiologico. Io utilizzo mezzi differenti per concedermi la possibilità di porli in relazione tra loro. Utilizzo un mezzo quando sento che è il momento di utilizzarlo. Bi-sogna avere: molta natura & molta cultura (non solo specifica: ogni specifico è uno “specifico di Potere”… e non volere!). Bisogna… “essere”: intelligenti (intus et in cute). È da qui che deriva allora la sua inclinazione alla fusione degli opposti espressa anche con giochi di parole spesso paradossali? Sì, il problema per me è mantenere un’apertura su tutto e non fermarmi davanti a niente che mi interessi. “Arte & Non Arte” (Non Arte è tutt’altro, anche la Vita e la Cultura); Tutto & Niente: questo è il mio lavoro che si basa sulla complessità trasformativa (così difficile!) che già creavano: Eraclito, Ovidio, Dante e Diderot... Potrei “dirti” tanti testi a memoria (ma non voglio vantarmi, né spaventare Nessuno!). Come introverso, ho bisogno degli Altri!

Un gioco di parole è anche il titolo della mostra concepita per la galleria Il Ponte. Cosa significa “OSO / NON OSO”? OSO / NON OSO (tu sai che si può anche capovolgere, come indicherà la copertina del Libro!) significa che Patella da una parte forse non osa / dall’altra osa non essere. Il “non essere” corrisponde all’Inconscio, ovvero a ciò che non c’è ma ci condiziona – come afferma Diderot –; al “mondo sanza gente” – come postula Dante. Le mie idee “fiorentine” concepite per la mostra implicano questa dialettica tra Inconscio e Coscienza. Si tratta per esempio di due Vasi Fisiognomici dei Duchi di Urbino raffigurati da Piero della Francesca nel dipinto esposto agli Uffizi (non unicamente “percettivi”. Questa è una mia invenzione, che non si trova nella Storia dell’arte. Ho anche eseguito a Bruxelles una grande Magritte Fontaine in pietra, perfettamente disegnata sul profilo di

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René); si tratta anche di una campana che batte le ore e i quarti e che rinvia ai fiorentini Pier Capponi e Aldo Palazzeschi; e infine si tratta di una Beatrice “nuda, salvo che involta in uno drappo, sanguigno leggeramente” come la descrive Dante ne La Vita Nuova. Dato che la galleria conteneva forse una camera mortuaria, questa Beatrice avvolta in un drappo e che si svolge distesa immobile, attraverso i vetri di un finestrino, è forse morta? O è la “rubèdo statu nescèndi”? Devi sapere che i Colori di questi oggetti e soggetti sono TUTTI “Colori Psichici” (secondo Jung, ecc ecc…) oltre che ottici! Se qualcuno vuole saperne di più, sono pronto a spiegare! E poi, ci sono tanti miei libri, incluso l’ultimo, per Il Ponte! L’atto di tenere una mostra è sempre un atto comunicativo: implica cioè un messaggio rivolto verso coloro i quali andranno a visitarla. Tra questi, potrebbero esserci anche giovani artisti emergenti. La mostra fiorentina e, più in generale, tutto il suo lavoro, come si pone nei confronti dell’arte più recente? Se e cosa desidererebbe insegnare alle giovani leve dell’arte? Niente dell’attualità mi meraviglia, pur…troppo! Scherzando dirò che sembra che Macario abbia scoperto: “ma il giovine: sono mè?”. Gli Alchimisti (proto-psicanalisti) scrivono: “lège et relège” (!), ma anche: “rùmpite libros”. L’ho detto: bisogna essere imprevisti, concreti, utili, originali, cólti, inventivi, intelligenti e coraggiosi!...

ABBANDONÀTI ABBANDÓNATI Luca

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“TO EVERY CAPTIVE SOUL AND GENTLE HEART” INTERVIEW WITH LUCA MARIA PATELLA Ilaria Bernardi

It is a hard task, impossible perhaps, to define Luca Maria Patella’s art. To do so, we could perhaps use the symbolic image of a train moving on two tracks, that is, on two straight lines destined not to meet and at the same time needing each other to guarantee that the means of transport works properly. But, now that I think about it, it is Patella who wrote a “railway novel” in 1974 (Vi aggio in Luca / Voy âge en Luc)! The two tracks guaranteeing that Patella’s art works properly are science with its rationality and creativity with its irrationality. NON OSO / OSO NON essere (I DO NOT DARE / I DARE NOT to be), title of the exhibition in Florence, is a good example of these opposite poles: it is a declaration of intents and at the same time of identity. It implies the artist’s will and natural inclination not to get lost in the disorderly meanderings of a “false” artistic experimentation, but in parallel, that he cannot do without crossing into the fanciful territory of creation. Patella was born in Rome in 1934, and, with a humanist cosmographer for a father, he graduated in structural chemistry, became assistant to Linus Pauling, and then took an interest in psychoanalysis, as of 1967 with Ernst Bernhard. It was these structural scientific and psychoanalytical approaches, aimed at investigating the relations between conscious/rational and unconscious/irrational, that led him to undertake an artistic career which could include both dimensions. After travelling in France and South America, and devoting himself first to drawing and then to engraving, from the mid 1960s he chose to use multiple languages in his work. He adopted and transformed different experimental media such as photography (colour slides, altered colour photo canvases, colour and black-and-white prints), film-artworks (in 16 and 35 mm, amongst which: Terra Animata, 1967; SKMP2, 1968; Vedo, Vado!, 1969 and many more, as of 1964 but also prior to that), books and writing (for example, the Gazzetta Ufficiale di Luca Patella, as of 1972, and the “book-works” such as Io sono qui Avventure & cultura, 1970-75), and installation-videos (such as the Ambienti proiettivi animati, 1966-68). Perhaps further adding to Patella’s Art & Non-Art were, on one hand, the study of cosmography, structural chemistry, and Jungian, Adlerian and Lacanian analytical psychology, and, on the other hand, his friendship with Giulio Carlo Argan (who awarded the films he had just made at the V Biennale de Paris, in 1967), Jacqueline Risset and Michel Baudson, and his acquaintance with Marcel Duchamp, André Masson, André Breton, Giorgio de Chirico, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Meret Oppenheim, Andy Warhol and Sol LeWitt. In Mare firmato from 1965, his signature is imprinted on a marine landscape using a purely photographic technique. This work marks the beginning of his preconceptual use not only of the photo camera but also the video camera, or, to be precise, as the artist himself defined it, their use on the basis of a “complex conceptualism” more linked to the “behaviours” than to the (pseudo!) analytical problem of measuring and abolishing the image. Indeed, Patella’s fields are multimedial, interactive, virtual and focussed on behaviour, sound and word (see Muri Parlanti, Galleria Apollinaire, Milan 1971; Alberi Parlanti, Walker Art Gallery, Liverpool 1971). In the wake of Duchamp, in his work experience often gets the better of the actual physicality of sculpture and painting, in the same way as the operation in itself is practical and aesthetic regardless of the type of object to which it is applied.

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The multimedia or “speaking” installations of the 1970s were followed by even more complex works in the 1980s. These combined citations (to tell the truth these were already present in the 1960s), as well as psychoanalytical, symbolic and linguistic aspects, the main subjects of his brand-new and “revolutionary” analysis being “Diderot e Duchamp (self-projecting)”. The exhibition at Galleria Il Ponte is a continuation of this research. Taking a cue from the history of the city hosting the show, Patella has built a “theatrical” setting, using an enormous Vaso Fisiognomico of Federico da Montefeltro as wings, referring, like the two smaller marble Vasi Fisiognomici at the gallery entrance depicting the profile of the duke and of Battista Sforza, to the painting by Piero della Francesca Doppio ritratto dei duchi di Urbino (1465-72) housed in the Galleria degli Uffizi. The artist’s homage to Florence continues with the installation of one large and one small bell, with a “Suonatore (bell ringer)”. This is in commemoration of Aldo Palazzeschi and above all Pier Capponi, the famous condottiero who threw out Piero de’ Medici and became head of the Florentine republic. Faced with Charles VIII’s threat to sound the war trumpets should the Florentines not compensate him with a large sum of money for his support, Capponi responded “and we shall toll our bells” to demonstrate the city’s intention to resist. In addition to recalling this famous historical event, Patella’s bells also act as a metronome for the theatrical piece staged in the basement room of the gallery. It is Dante, Florentine par excellence and father of the Italian language, who is evoked here by enacting a verse from the first work that he is definitely known to have written, between 1293 and 1294: Vita Nuova, the book of memories in which the poet remembers three fundamental phases of his life: namely, the moment when Beatrice deigned to greet him, source of his blessing and salvation; the moment when she no longer did; Beatrice’s death and the beginning of a profound relationship with his beloved’s soul (for Jung, the unconscious). Patella refers to the third chapter of Vita Nuova, telling of the second meeting between Dante and Beatrice which happened nine years after the first, and the following dream in which “a lord of fearful aspect” (the god Love) holds Beatrice in his arms, wrapped in a cloth, and makes her eat the poet’s heart, the traditional symbol of eternal union after death. Through the enactment of the verse “naked except that it seemed to me to be covered lightly with a crimson cloth”, but also through the other works on display in the gallery, Patella may be holding out his “heart” to we visitors so that we can feed off his thought and shake up our usual manner of reasoning. Just like the god Love holding out Dante’s heart to Beatrice to bind her to him forever in Vita Nuova. In the 1970s Patella analysed “Dante’s marvellous proto-novel, as a Myth-biography”, he remembers. Moreover, in his work, we can never understand where the scientific investigation ends and where the dialectically artistic contribution begins; it is up to us to judge and assess, based on our love for art. Besides, it is Dante himself who states that he composed Vita Nuova to greet all of Love’s faithful followers and to ask them to judge: “To every captive soul and gentle heart / into whose sight this present speech may come, / so that they might write its meaning for me, / greetings, in their lord’s name, who is Love”. In the works on display at Galleria Il Ponte, the references to the history, art and culture of Florence are therefore not to be considered as ready-mades, or as simple citations. Instead, they are to be seen as iconographic-conceptual elements of a cultural repertoire brought to viewers so that they may carefully interpret it and learn to dismantle it with the same irony and nonsense (or super-sense!) always adopted by Patella himself – who speaks of “ironic seriousness” – when he draws from and uses it. Below is the transcription of my interview with him (the italics, bold, full stops, spaces, ellipses, exclamation marks and other similar editorial elements in his answers have been suggested by Patella himself). It is hoped that it will cast light on the path that led him to devising the Florentine exhibition, as well as his tendency to always include opposites.

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Your artistic activity in the 1960s is not to be considered a starting point, but rather a landing stage after other, equally as important and formative experiences…. In “Gazzetta” no. 22, which is currently in preparation, I answer an email from Luciano Marucci, a long-time friend who I’ve done works and interviews with. In it, I realize that it’s the sixtieth anniversary of my encounter with psychoanalysis, because Ernst Bernhard dedicated various Astrolabio books to me in 1957 (Adriano Olivetti was a patient of Bernhard, as were Fellini, Manganelli, and many more). In reality, my scientific knowledge dates from earlier: my father was a cosmographer and had started me off on my scientific career, which very much interested me in terms of research. So much so that I got a degree in chemistry. At present, we wrongly think that science is truth, namely, that it’s mathematics and logic: that’s not how things are at all! Science (not technology) is the opposite: it is structural, anti-mechanical, anti-deterministic and anti-rhetorical. Linus Pauling, whose assistant I was as a young man, who would twice become a Nobel prize winner, not for mathematics and logic, is a physicist-chemist who studies “electron resonance”, that is, organic chemistry that derives from the benzene nucleus: six atoms of carbon, each one linked to a hydrogen atom, arranged in a regular hexagonal shape. But if the double bonds make the carbon atoms come closer together, why do they give rise to a regular hexagon? Because there exists a resonance between one formula and the other: neither is true, but their intermediary is. Pauling studied and proved this situation which we proposed to him through electronic formulas at the physical-chemical level: it was not a Duchamp infrathin (an… unconscious silly little thing) because the distances between and within the atoms are much smaller than one thousandth of a millimetre! Nevertheless, after my start in science, I chose to be an “artist & non artist”, and “artistic & non artistic” competence has always been what makes me stand apart. When I was four I invented, illustrated and dictated books to an aunt of mine who was the daughter… of the first assistant to the last viceroy of India; then I devoted myself a great deal to drawing and, to make it more substantial, I went on to do engraving. When I was a child, I was already doing engravings and I … then practised this technique in Paris where I was at Atelier 17, with Hayter, deviser of the manual technique of simultaneously printing different colours on a single plate. Taking it further: that’s how we get my “simultaneous colour photo engravings”. So, at the beginning of the 1960s, I was already established as an engraver: I’d held exhibitions at the Nuova Pesa and Studio Alibert, but my work was still in evolution and I realized that, with “signs”, I couldn’t go any further. Hence, I changed: the same way I left America to come back to Europe where I frequented surrealists such as André Masson (Lacan’s son-in-law, incidentally), I came back to Rome and after a dogged fight against myself (due to somewhat of an overestimation of science), in the mid 1960s I abandoned the “sign” to start using the photo and video camera in the visual arts and to undertake an “anti-moralistic” path (this was the start of a scientific, structural, anti-deterministic, anti-idealistic art. That is, I began to develop an art positioned between art, science, life, psychology, linguistics, politics, an evolving art: an art that contains linguistic but above all psychoanalytical theorizations). Moreover, at that moment it seemed to me that we absolutely had to go beyond Informel: a “reality” needed to be built that was not contrary to history, but to a limited and aestheticizing tradition of the picture and sculpture; a reality that was, not intangible as you might think, but the opposite, “concrete and useful”! (Provided that “reality” exists and isn’t a mirage in our brains!). Having abandoned not just the science lab but also drawing and engraving, I went on to use and build the camera as a concrete expressive and not solely “artistic” means of expression. However, this did not mean burning bridges with Historical Tradition: the size of my works always corresponds to their complexity, which implies dialectically mediating between opposites. It’s a short step from photography to video… As I couldn’t go any further (with signs), photography and cinema was able, at that time, to provide a “real” path

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to follow. Some asked me if I’d become a “cineaste”: but what I wanted to do was bring the video camera into the sphere of the visual arts without turning into a simple director. Fabio Sargentini saw this straight away: he saw one of my film-actions (with Carlo Cecchi as the performer) at the Teatro in Via Belsiana, it made a great impression on him, and he invited me to hold an exhibition at L’Attico. One of the most important films in your work is Terra Animata, (1965-1967,in which Claudio Meldolesi together with Rosa Foschi indicate (with their bodies and a stretched white ribbon) the aspects of a ploughed field. For this element, Terra Animata would seem similar to some videos by Bruce Nauman.. Tell me about it. Terra Animata is a professional film (I recorded it, in 16mm); it is a Work and an Operation: it is not the documentation of a performance nor did it come about from something that was in the offing or had already been done by others! Some have said the opposite of what you asked, but never mind… Joking, I could tell you: there’s one Patella (or two), all the rest have thirty-one (and they really do have too!). Furthermore, it was before the mid 1960s (so before the birth of Conceptual Art and Land Art) that I chose to use the photo and video camera as means of expression to create the “conceptual dimension” of art. In my opinion, it could be seen as artistic & scientific, in progress and therefore capable of development. Even recently (2011), at the MOCA in Los Angeles, Terra Animata was defined as “a key-work in the history of Land Art”. But perhaps I prefer the ones who also recognized it as an example of proto-cinema! Nevertheless, it’s all filmed and photographed by me personally. In the 1970s, after photography and videos, you started writing… I’d already got into writing texts in the 1960s, and even earlier: I felt that everything had already been done concerning the solely visual image and problems, in a way that was bordering more and more on an environmental and behavioural approach. I work with the “Parole” (Word), perhaps in connection to the surrealist European tradition, but in particular to my education. In art, I’m “unleashed” but at the same time conscious: for me the artist is extremely measured, but also extremely unleashed. This is also demonstrated by the great many “Bookworks” that I’ve devised, amongst which the novel which is laid out on one hand as a 100-page text written in a month, and on the other corresponds to a 30-page text written in ten years. It’s not so much and not only a poetic but a “noetic” declaration of knowledge. The exhibition in Florence also has a highly intense “Book-work”: I don’t think it’s any less important than the rest at all!

What’s the point of chopping and changing between one medium to another? When I’m making a work, I often feel the need to swap over to something else, not so much to do everything, but to do everything that’s “necessary”. In my films and videos, we often see a shift between projection and recording, performance and the projection of metamorphous words done using a fading tool that I created. In shifting from one medium to another, of course including writing, what I want to do is to make a concrete and evolving fact: a total, or rather, “tot al” fact, all wings [This is one of the many examples in which Patella uses a play on words. As these are usually impossible to mirror in English, a literal translation is given]... Jung, who is a point of reference for me, spoke of “individuation”, which does not mean egoism or narcissism but “being individual”. The moment I discovered I was repeating myself, I’d stop doing it! I love starting from a fogginess, being before “things”, or me being “the thing” and moving myself in it (orienting myself, occidenting myself). “Now was the hour that [… the] Pilgrim newly on his road With Love / thrills, if he hear the vesper bell from far, / That seems to mourn for the expiring day”…

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The mixture of different disciplines and the use of different media was however a common practice among Roman artists (and others) in the 1960s, also given the influence of actors, directors and cineastes in Rome at that time. What relationship did you have with the artistic and cultural circles in Rome? At that time, sure, I frequented Rome’s artistic and cultural circles. I was also a “friend” of Schifano, Pascali, etc., though maybe I frequented those circles much less than… I “should have done”. I didn’t really fancy going to Plinio De Martiis every evening, in the bar at Galleria La Tartaruga, which was the artists’ favourite haunt at the time. Then with Rosa I almost moved first to Milan, then to Bern, Cologne, Paris, Brussels and Antwerp. They might just know me better up there than they do down South (!). I was already doing formidable Anthological Exhibitions there in the 1960s. For example, an excellent collector from Antwerp mixed some of my oval “paraMagrittians” with his Magrittes from the 1920s to dis-orientate visitors! But don’t think that I didn’t frequent… a lot of Italians and people from other countries too! And then, Rosa Foschi is my Jungian “Soul” (for her beauty, intelligence, and… similar stupidity to mine). Other Souls have… as in Catullus’ poetry… faded away… What relationship does your work have with the surrounding reality and with the unconscious/imaginary dimension intrinsic to it? As Sullivan would say, a bad relationship is when what surrounds me is (as very often it is) conventional and passive! If I said, “I’m looking at the world and trying to understand it”, then I’d have to ask myself: “but am I not the world myself?”. If it were not me and the other (male), or better the other (female), that is, if we didn’t exist, the world wouldn’t exist. I’m implicated in it; we’re all implicated in it. To understand the world, we have to understand ourselves and our relationship with what we’re surrounded by. My work is also always in dialogue with a nonconventional imaginary dimension: with my scientific, artistic, historical and psychoanalytical education. Art should always achieve an authentic dialectic between clashes, encounters and encroachments at every level: the inventive, ethical and semiological. I use different means to give myself the possibility of relating them to each other. I use a means when I feel it is the time to use it. You need to have (twice dream of having): a lot of nature & a lot of culture (not only specific: every specific is a “specific of Being Able To”… and not wanting to!). You need… “to be”: intelligent (intus et in cute) [inside and outside the body]. So, is this where your tendency to blend opposites, as also expressed in your oft paradoxical plays on words, comes from? Yes, for me the problem is keeping open about everything and not stopping before anything that interests me. “Art & Non Art” (Non Art is totally different, it is also Life and Culture); Everything & Nothing: this is my work, which is based on the transformative complexity (so difficult!) that Heraclitus, Ovid, Dante and Diderot… were already creating. I could “tell you” lots of texts by heart (but I don’t want to boast or frighten Anyone!). As an introvert, I need Others! The title of the exhibition devised for Galleria Il Ponte is also a play on words. What does “OSO / NON OSO” mean? OSO / NON OSO (you know it can also be read upside down, as the Book cover will show!) means that Patella on one hand perhaps does not dare / on the other dares not to be. The “not to be” corresponds to the Unconscious, that is, to what is not there but conditions us – as Diderot claims –; to an “unpeopled world” – as Dante postulates. My “Florentine” ideas devised for the exhibition imply this dialectic between Unconscious and Conscious. Like in the two Vasi Fisiognomici of the Dukes of Urbino depicted by Piero della Francesca in the painting on display in

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the Uffizi (not only “perceptives”. This is an invention of mine, which is not found in the History of Art. In Brussels, I also made a great Magritte Fontaine in stone, perfectly moulded against René’s profile); like the bell that strikes the hour and the quarter hours and that refers to the Florentine figures Pier Capponi and Aldo Palazzeschi; and finally, like the Beatrice “naked except that it seemed to me to be covered lightly with a crimson cloth” as Dante describes her in La Vita Nuova. Given that the gallery perhaps contained a morgue, is this Beatrice, wrapped in a cloth and turned, lying down, immobile, facing the window pane, dead perhaps? Or is it “rubedo statu nascendi” [redness in the nascent state]? You have to know that the Colours of these objects and subjects are ALL “Psychic Colours” (according to Jung, etc etc…) as well as optical colours! If someone wants to know more, I’m quite willing to explain! And then there are lots of my books, including the last one, for Il Ponte! The act of holding an exhibition is always an act of communication: that is, it implies a message addressed to those who will go to visit it. Among them, there could also be young emerging artists. How does the exhibition in Florence and, more generally, all of your work relate to more recent art? If and what would you like to teach young upcoming artists? Nothing about the present day marvels me, unfortunately…all too much! I might joke and say that it seems that Macario has discovered: “but the young man: is that me?”. The Alchemists (proto-psychoanalysts) write: “lège et relège” (read and reread!), but also: “rùmpite libros” (break books). I’ve said it: you need to be unexpected, concrete, useful, original, cultured, inventive, intelligent and courageous!...

ABANDONED ABANDON YOURSELF Luca

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SÈRRATI NE LA CELLA DEL COGNOSCIMENTO DI TE 36


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12. EGO TANQUAM CENTRUM CIRCULI? (DAN, La Vita Nuova)


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NON MI SONO MAI ANNOIATO TANTO QUANTO IN AFRICA! (Rimbaud)



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DIDASCALIE / CAPTIONS

SEZIONE III. LA MOSTRA Le Opere © Luca Maria Patella: sono fotografiche, pittoriche, filmiche, scrittoriali, oggettive, ambientali e comportamentali.. Se ne può vedere alcuni esempi riprodotti in questa Sezione. Per Opere Fotografiche vedi la Sezione seguente.

The Artworks © Luca Maria Patella: range through photography, painting, film, writings, objects, environments and behaviour.. Some examples can be seen in this section. For Photographic Works also see the following section.

1. Biglietto d’autobus ecc ecc, (omaggio a C.S. Peirce: indice / icone / simbolo, homage to C.S. Peirce: index / icons / symbol), 1966 tela fotografica b/n, 56x84 cm / b/w photographic canvas, 56x84 cm. 2. Vaso fisiognomico di Battista Sforza, (1982) 2017 marmo giallo di Siena tornito, 33,5xØ 36 cm / turned yellow Siena marble, 33.5xØ 36 cm. 3. Vaso fisiognomico di Federico da Montefeltro, (1982) 2017 marmo verde Gressoney tornito, 34xØ 36 cm / turned green Gressoney marble, 34xØ 36 cm. I due vasi sono torniti sui profili del Doppio ritratto dei Duchi di Urbino (olio su tavola, dittico, 47×33 cm ciascun pannello) dipinto da Piero della Francesca, databile fra il 1465 e il 1472 e conservato a Firenze nella Galleria degli Uffizi. Ciascun vaso è collocato su un pilastro in legno verniciato, 135x32,5x32,5 e su una base circolare in legno patinato nero. The two vases are turned following the profiles of Doppio ritratto dei Duchi di Urbino (oil on panel, diptych, 47×33 cm each panel) painted by Piero della Francesca, datable between 1465 and 1472 and housed in the Uffizi Gallery in Florence. Each vase is placed on a painted wooden pillar, 135x32.5x32.5, and on a circular base in black lacquered wood. Vasa Physiognòmica (picta / painted) da sinistra a destra e dall’alto in basso / from left to right and from top to bottom. 4. ˜Pinoculus˜ ridens, 1983. terre naturali su tela preparata a gesso e colla (all’uso storico) su legno, 50x70x2 cm. natural earth pigments on true gesso primed canvas on panel (in the historical manner), 50x70x2 cm. 5. Sibilla Cumana da Michelangelo, 1983 idem, 50x70x2 cm. 6. DUCH (in età e che versa Spirito), 1983 idem, 50x70x2 cm. 7. Apollinaire (dal quadro di De Chirico, from the picture by De Chirico), 1983 idem, 50x70x2 cm. 8. Francis Picabia, 1983 idem, 50x70x2 cm.

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9. Leon Battista Alberti, 1983 idem, 50x70x2 cm. 10.Tondi Cieli, (anni ‘80) fotografie stampate su tele rotonde in cornici in legno al naturale, Ø 96 cm in essi le teste di profilo di Rosa (Boreale Nord) e Luca (Australe Sud) sono inserite al centro dei «medaglioni cosmici» di Luigi Patella (opera unica in progress, differente per date, tecniche, dimensioni, fosforizzazione, ecc.). photographs printed on round canvases in natural wooden frames, Ø 96 cm in them the profiles of the heads of Rosa (North Boreal) and Luca (South Austral) are placed in the centre of Luigi Patella’s “cosmic medallions” (single work in progress, different in dates, techniques, sizes, phosphorization, etc.). 11. NON OSO / OSO NON essere, anni ‘80 quattro elementi: tre dipinti a terre naturali su tela su tavola e uno specchio inciso, in cornici in legno al naturale, Ø 40 cm. four elements: three natural earth pigment paintings on canvas on panel and one engraved mirror, in natural wood frames, Ø 40 cm. 12. Le vol entier de Vénus, 1989 due tabernacoli storici, lignei intagliati, decorati e dorati, che contengono le due metà di una statuetta anni ‘30 dalla Venere di Botticelli sulla sua “patella” (la metà superiore.. è “volata” o è stata “rubata”!). two historical carved wood tabernacles, decorated and gilded, which contain the two halves of a 1930s statuette of Botticelli’s Venus on its shell [“patella”] (the upper half.. has “flown away” or it has been “stolen”!). 13. Cosmo di Montefolle, 1985-86 Scatola ottica in legno ed altri materiali 46x46,5x36 cm. Sagomato a forma di tempio, con due finestre negli intercolumni, recanti fotografie globalizzanti di Montefolle (riprese dalla casa dell’artista) e uno spioncino al centro, che permette di vedere immagini del mondo di Montefolle, raddrizzate e inglobate nella superficie speculare sferica retrostante (guardando il Tempietto dal lato posteriore, tali Immagini si erano viste..”erroneamente” capovolte !). Nel timpano è dipinta in oro la frase di Diderot in Jacques le fataliste, «Je n’appartiens à personne, et j’appartiens à tout le monde» e nel fregio il titolo del racconto di Diderot «ceci n’est pas un conte» (cf. Diderot.. o Magritte?!). Optical Box. Wood and other materials 46x46.5x36 cm. Shaped in the form of a temple, with two windows between the columns, with globalizing photographs of Montefolle (taken from the artist’s home) and a spyhole in the centre to see images of the world of Montefolle, straighened and incorporated into the spherical mirrored surface on the back (when looking at the Temple from the back, these Images “wrongly” were seen.. upside down !). Painted in gold in the tympanum is the sentence by Diderot in Jacques le fataliste, “Je n’appartiens à personne, et j’appartiens à tout le monde” (I belong to no one and I belong to everyone) and in the frieze the title of the story by Diderot “ceci n’est pas un conte” (This is Not a Story) (see Diderot.. or Magritte?!). 14. Campanaro, 2017 Performance..esorcizzante?? (.. Pier Capponi, Palazzeschi, Luca o Eugenio?) Exorcising performance?? (.. Pier Capponi, Palazzeschi, Luca o Eugenio?) due campane in bronzo iscritte / two bronze bells inscribed: SANCTA TRINITAS UNUS DEUS (MISERERE NOBIS), AD MDCCXLVII (42xØ 32 cm) e / and EXURGAT DEUS ET DISSIPENTUR INIMICI, EIUS, AD MDCCXLVIII (48,5xØ 40,5 cm) 15. Nuda, salvo che involta in uno drappo sanguigno leggeramente, 2017 Dante Alghieri, La Vita Nuova, II Performance ambientale: morte, rimozione o rinascita?

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Anche Omero parla del “popolo dei Sogni” (e cfr. il libro di Luca Maria Patella su DANte! (DAN, DEN, PIR, DUCH, 1980). Environmental performance: death, repression or rebirth? Homer also speaks of the “people of Dreams” (and see the book by Luca Maria Patella on DANte! (DAN, DEN, PIR, DUCH, 1980). 16. Inscripción para el sepulcro de Domínico Greco (Luís de Góngora), 1982 cristallo scritto e specchio, in cornice dorata, 77x67 cm. plate glass with writing and mirror, in gilded frame, 77x67 cm. 17. Federico da Montefeltro, 2017 legno, smalti, 298x192x7 cm ciascuno. Due sagome riflesse del profilo di Federico da Montefeltro da Piero della Francesca, individuano un grande “Vaso Fisiognomico” nello spazio della galleria: l’una Arancio e l’altra Verde, si confrontano con l’azzurro del fondo (celeste - cielo o Pensiero). I due profili lasciano aperto uno stretto varco di ingresso. wood, enamels, 298x192x7 cm each. Two reflected outlines of the profile of Federico da Montefeltro by Piero della Francesca form a large “Vaso Fisiognomico” in the gallery space: one Orange and the other Green, they contrast with the blue of the background (light blue – sky or Thought). The two profiles leave a narrow gap for entry. 18. Occhio nel paesaggio, immagine oggettiva-riflessa (l’estremo limite della Visione), 1965 stampa ai sali d’argento su carta baritata, 40,5x50,5 cm, obiettivo creato dall’artista, fotografia scattata in un occhio che riflette Luca che fotografa e il paesaggio alle sue spalle. Tecnica utilizzata anche per il suo film Paesaggio misto (1966). silver salt print on baryta paper, 40.5x50.5 cm, lens created by the artist, photograph taken in an eye reflecting Luca taking the photo and the landscape behind him. Technique also used for his film Paesaggio misto (1966). 19. Luca Patella (asfalto firmato, signed asphalt), 1967 stampa ai sali d’argento su carta baritata, 40,5x50,5 cm, obiettivo creato dall’artista. silver salt print on baryta paper, 40.5x50.5 cm, lens created by the artist.

SEZIONE V. LAVORI IN CORSA / SECTION V. WORKS IN PROGRESS.. Tutte le fotografie seguenti sono: Opere Fotografiche di Luca Maria Patella (che spesso ha realizzato con tecnologie e attrezzature da lui stesso costruite. È l’artista che opera anche quando è presente in scena). All the following photographs are: Photographic Works by Luca Maria Patella (often made using technologies and equipment built by the artist himself. It is the artist at work even when he is present in it).

LA FOTOGRAFIA È COSA MENTALE E STORICA (.. se no: che razza di cultura e cultura visiva avete? .. del resto: ancora dovete accorgervi di che “cosa” sia Dante! o l’illuminismo!!). PHOTOGRAPHY IS A MENTAL AND HISTORICAL THING (..if not: what type of culture and visual culture do you have? ... moreover: you still have to notice “what thing” Dante is! or enlightenment!!). 20. Montefolle, 1970 stampa ai sali d’argento su carta baritata, 17,9x24 cm, autofoto, fish-eye. silver salt print on baryta paper, 17.9x24 cm, self-photo, fish-eye. 21. Progetto di un “secrétaire Fisiognomico” in mogano, ebano, bronzo (progetto ancora non realizzato). Project for a “secrétaire Fisiognomico” (Physiognomical writing desk) in mahogany, ebony, bronze (project not yet made).

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22. Luca & Rosa alla “Calco”, nel 1966 (da un “corto” su Patella / Schifano, girato da Franco Brocani, il testimonio di nozze L&R. In esso, Mario dipinge, Luca filma (!) i riflessi nelle vetrine). L.&R. Sono alla Calcografia completamente deserta. Anzi, nel 1° fotogramma: L.&R. Sono nella loro 1ª abitazione romana. Rosa ride, guardando con gli occhialini colorati (come oggi!) un libro tridimensionale (regalatomi dalla mia zia inglese Peggy Sinclair). Poi, si trovano nel “loro Studio”, alla “Calco”. Si notano incisioni e tele fotografiche, anni ‘65-’66, nonché i rulli che Luca ha fatto costruire a Parigi e Milano. L. è assai attivo: 33ª Biennale di Venezia, 1966; Vª Bienal de Paris, 1967 (premiato.. da Argan). L.&R. lavoravano, nei loro molteplici Studi romani (e rosa è assai più carina della anna Carini!! di Schifano). L’amicizia con Mario si raffreddò appena, quando Luca-introverso: raggiunse l’Attico! Ma, del resto, se voglio essere esplicito (pur parlando dei due artisti che più stimo a Roma): l’azione di Pascali, nel mio film SKMP2 (‘68), non è forse ispirata all’altro mio “film-opera” Terra Animata?! (‘67). Ohibò, il Patella non viene per secondo, checché o coccodè ne pensino.. coloro che(non)sanno (!).. Luca & Rosa alla “Calco”, in 1966 (from a “short” on Patella / Schifano, filmed by Franco Brocani, best man of L&R. In it, Mario paints, Luca films (!) the reflections in the windows). L. & R. They are at the completely deserted Calcography. Well, in the 1st frame: L.&R. They are in their 1st home in Rome. Rosa laughs, while looking at a 3D book (given to me by my English aunt Peggy Sinclair) through coloured glasses (like today!). Then, they meet in “their Studio”, at the “ Calcography”. You can see engravings and photographic canvases, 1965-’66, as well as the rollers that Luca had built in Paris and Milan. L. is quite busy: 33rd Biennale di Venezia, 1966; 5th Bienal de Paris, 1967 (awarded.. by Argan). L.&R. were working, in their many Roman Studios (and rosa is a lot prettier [carina] than Schifano’s anna Carini!!). The friendship with Mario cooled off slightly, when introvert-Luca: reached the Attico gallery! But, after all, if I want to be explicit (despite speaking of the two artists I regard most highly in Rome): is Pascali’s action in my film SKMP2 (‘68) perhaps not inspired by my other “film-artwork” Terra Animata?! (‘67). Oh my word, Patella does not come second, whatever it is or cock-a-doodle-do [checché o coccodè] they think.. they who(don’t)know (!).. 23. I “Tondi-Cieli” di Luigi Patella, con Rosa e Luca ai Poli, (in differenti versioni,1973 e 1985 / in different versions, 1973 and 1985). fotografie stampate su tele rotonde / photographs printed on round canvases, Ø 100 cm (le Costellazioni che riguardano il proprietario: possono essere evidenziate al Fosforo, e brillano nell’oscurità / the Constellations which regard the owner: they can be highlighted in Phosphorus, and they glow in the dark). 24. In questi autofotogrammi è Luca col berretto che riprende – in “proto-selfie” – nel 1977, all’inaugurazione della sua Antologica al CSAC di Parma. Fra gli amici convenuti: Vincenzo Agnetti, Maurizio Calvesi, Rosa Foschi, Vittorio Fagone e consorte, Carlo Arturo Quintavalle, Augusta Monferini, Michelangelo Pistoletto (che ironicamente imita il gesto di Luca che sta di fronte a lui, e che denominava le riprese : “autofoto camminanti.. sbadate”), Lisa Licitra Ponti, Katarina Sieverding, Robert Schär.. In these frames it is Luca in the beret shooting – in a “proto-selfie” – in 1977, at the opening of his Anthological Exhibition at the CSAC in Parma. Among the friends present: Vincenzo Agnetti, Maurizio Calvesi, Rosa Foschi, Vittorio Fagone and partner, Carlo Arturo Quintavalle, Augusta Monferini, Michelangelo Pistoletto (who ironically imitates the gesture of Luca who is opposite him, and who called the shots : “walking.. heedless selfphotos”), Lisa Licitra Ponti, Katarina Sieverding, Robert Schär.. 25. aTrevi, 1974 stampa ai sali d’argento su carta baritata, 12,6x17,7 cm. silver salt print on baryta paper, 12.6x17.7 cm. 26. Tre rose, 1966 stampa lambda a colori, 150x150 cm, obiettivo creato dall’artista. Fondazione Morra, Napoli, 2009. colour lambda print, 150x150 cm, lens created by the artist. Fondazione Morra, Naples, 2009.

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27. L’automne déjà à Angoulême!, 1985 stampa cibachrome, 66x50,8 cm, fotografia stenopeica e tricromica a partire da negativi b/n, sistema dell’artista. Questa foto e la seguente sono realizzate: dal vero / senza macchina fotografica / senza pellicola a colori / e senza alcun ritocco! Come, allora?? Riattualizzo la tecnica “archeo-fotografica” di Louis Ducos du Hauron, che ritraeva a colori la sua città di Angoulême.. prima della invenzione della Pellicola a Colori! È come se Louis fosse.. venuto a Montefolle! E, poiché, nella prima si vedono i colori ricostituiti dell’ottobrata: ricordo anche il grande “realista” Rimbaud, quando dice: L’Automne déjà!.. Infine, in entrambe le foto, ho spostato (appositamente) le conchiglie, o le “patelle” (durante le riprese): per svelare la splendida sintesi dei Colori Ottici e Psichici! cibachrome print, 66x50.8 cm, pinhole and three-colour photography from b/w negatives, artist’s own method. This photo and the following one are taken: from real life / without camera / without colour film / and with no retouching! So how?? I bring back up-to-date the “archaeological-photographic” technique of Louis Ducos du Hauron, who portrayed his town of Angoulême in colour.. before the Colour Film was invented! It is as if Louis had.. come to Montefolle! And since in the first you see the re-formed colours of October: I also remember the great “realist” Rimbaud, when he said: L’Automne déjà! (autumn already!).. Lastly, in both the photos, (on purpose) I moved the shells, or the “patelle” (during shooting): to reveal the splendid synthesis of Optical and Psychic Colours! 28. patelle egizie a Montefolle, 1985 stampa cibachrome, 66x50,8 cm, fotografia stenopeica e tricrómica a partire da negativo b/n, sistema dell’artista. cibachrome print, 66x50,8 cm, pinhole and three-colour photography from b/w negative, artist’s own method. 29. Obelisco di Piazza del Popolo, 1967 e 1976 stampa lambda a colori, 100x100 cm, fish-eye: di un axis mundi / di una meridiana / e.. del simbolo della scuola di Piazza del Popolo (Galleria “la Tartaruga” ) che si contrapponeva alla scuola di Piazza di Spagna (Galleria l’Attico). Io facevo parte di quest’ultima, di Fabio Sargentini. Approfitto, qui, per citare la mia tela fotografica, “ironico-seria”, che avevo intitolato Piazza di Spugna, 1966: è un’enorme.. struttura primaria che copre tutta Piazza del Popolo! Poiché non amo la minimal art: .. non è altro che un tappetino di spugna, ingigantito dall’obiettivo! Fondazione Morra, Napoli, 2009. colour lambda print, 100x100 cm, fish-eye: of an axis mundi / of a sundial / and.. of the symbol of the school of Piazza del Popolo (Galleria “la Tartaruga” ) which was against the school of Piazza di Spagna (Galleria l’Attico). I was part of the latter, of Fabio Sargentini. I’ll take this opportunity to quote my “ironic-serious” photographic canvas, which I had called Piazza di Spugna, 1966: it is an enormous.. primary structure that covers the whole of Piazza del Popolo! Since I am not a lover of minimal art: .. all it is is a sponge mat, blown up by the lens! Fondazione Morra, Naples, 200930. Intuizione (Sol laetus laetis), 1985 stampa cibachrome 55x41 cm, fotografia stenopeica. (non artificiosa, ma..) cibachrome print, 55x41 cm, pinhole photography. (not artificial, but..) 31. PAT Ella, con SOL azione, 1985 stampa cibachrome, 50,5x40 cm, fotografia stenopeica. (..tecnica “vera”!) cibachrome print, 50.5x40 cm, pinhole photography. (..”real” technique!)


32. Gli Arnolfini-Mazzòla at Madmountain, 1985 stampa cibachrome, Ø100 cm, autoritratto di Luca & Rosa; notare che luca tiene in mano l’oggettino – ideato da Luigi Patella – che si è visto nella precedente foto! Naturalmente, si tratta di una citazione “ironico-seria”di Van Eyck e il Parmigianino! (quest’ultimo si ritraeva con una mano ingigantita da uno specchio convesso, che equivale a quello dei “Coniugi Arnolfini” di Van Eyck .. e che è simile al mio fish-eye!). Collezione MACRO, Roma. cibachrome print, Ø100 cm, self-portrait of Luca & Rosa; note that luca is holding the small object – devised by Luigi Patella – which we saw in the previous photo! Naturally, it is an “ironic-serious” citation of Van Eyck and Parmigianino! (he depicted himself with his hand enlarged by a convex mirror, which is the same as that of the “Arnolfini Portrait” by Van Eyck .. which is similar to my fish-eye!). MACRO collection, Rome.

33. Gli Arnolfini Cosmici (at Madmountain), 1973 stampa cibachrome, Ø100 cm, autoritratto di Luca & Rosa (con vari Strumenti Cosmici di Luigi, e con un “Canosso” al guinzaglio, che.. lo tira!). Collezione MACRO, Roma. cibachrome print, Ø100 cm, self-portrait of Luca & Rosa (with various Cosmic Tools by Luigi, and with a “Dog’s bone” on a lead,.. pulling him!). MACRO collection, Rome. 34. La Maison du Plàisir Cosmique, 2002 costruzione digitale, dai progetti di C.-N.Ledoux. La Maison è sormontata da un Cielo Nord (..girevole) d’après le cartografie di Luigi Patella (con ciò: de, diventa du: non più una Casa di piacere della.. Città ideale, ma un meraviglioso Osservatorio Cosmico!). Costruzione con Franco Pettrone. digital construction, from the projects of C.-N.Ledoux. La Maison has a Cielo Nord (..swivelling) on top d’après the maps of Luigi Patella (by that: de, becomes du: no longer a House of Pleasure of the.. Ideal City, but a marvellous Cosmic Observatory!). Construction with Franco Pettrone. 35. pagina dichiarativa (!) del catalogo plurilingue dell’Antologica completa Viaggio in Luca, Museo I.C.C., Antwerpen, 1976. Sempre ad Antwerpen (Museo MUHKA, 1990): un’Antologica ancor più vasta, che include 4 “Libri-cataloghi”, ecc. ecc. declarative page (!) of the multilingual catalogue of the complete Anthological Exhibition Viaggio in Luca, I.C.C. Museum, Antwerp, 1976. Again in Antwerp (MUHKA Museum, 1990): an even larger Anthological Exhibition, which includes 4 “Book-catalogues”, etc.etc. 36. Perché il Sol ne riluca, 1991 polaroid 97x65 cm ..Un aneddoto indicativo: l’espertissimo operatore della Polaroid Gigante non voleva assolutamente addentrarsi nella complessità della mia ripresa, che implica svariate ed esatte operazioni “in diretta”. Quando finalmente il foglio 100x70 fu “strappato” dalla grande macchina Polaroid.. mi disse, abbracciandomi: non avrei mai creduto possibile un simile risultato! E riprendemmo qui con altre miei invenzioni, forse ancor più complesse. polaroid 97x65 cm ..An indicative anecdote: the highly expert operator of the Giant Polaroid did not want to get involved in the complexity of my shooting, which entails numerous, exact operations “live”. When the 100x70 sheet was finally “ripped” out of the great Polaroid camera.. hugging me, he said: I’d never have thought such a result possible! And here we will resume with other, perhaps even more complex inventions of mine. 37. Luca & Rosa, (pragmàtica della Comunicazione!), 1967 omaggio a Charles Sanders Peirce, padre ottocentesco del Pragmatismo, e a Paul Watzlavick, amico junghiano! / homage to Charles Sanders Peirce, nineteenth-century father of Pragmatism, and to Paul Watzlavick, Jungian friend!

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38. Scrittura enantiodromica, 1982 incisione su cristallo e specchio, Ø100 cm, opera in progress, realizzata in varie versioni in date differenti. Scritture ideate (“in diretta”, cioè, spesso.. lì per lì) da Luca e da lui incise manualmente, con testi del tutto unici, così come le dimensioni, ecc. engraving on plate glass and mirror, Ø 100 cm, work in progress, made in various versions at different dates. Writings devised (“live”, that is, often.. there and then) by Luca and engraved by him manually, with totally unique texts, as well as dimensions, etc. 39. Luca si “riflette nella Psyche, 1970 autofoto, autoritratto con il poncho cileno e con un “triàngulum” stellare paterno. self-photo, self-portrait with Chilean poncho and with a paternal “triàngulum” of stars. 40. Rosa con il “Fiore”, 1967 fotografia in b/n. /photography from w/b negative.

41. Luca si “riflette”, in una “stanza” della Casa-studio romana (a parete e nello specchio convesso.. arnolfiniano: alcuni “Moules Miauliques” degli anni ‘80), fotografia di Sebastiano Porretta, 2016. Luca “reflects” himself, in a “room” of the Roman home-studio (on the wall and in the Arnolfian.. convex mirror: some “Moules Miauliques” from the ‘80s), photography by Sebastiano Porretta, 2016. 42. Rosa scopre una “traccia marziana”, 1967 stampa ai sali d’argento su carta baritata 50,5x40,5 cm, obiettivo creato dall’artista. silver salt print on baryta paper, 50.5x40.5 cm, lens created by the artist. 43. Id & Azioni della “Gazzetta Ufficiale di Luca Patella”, anni ‘60-’70 (razionalizzazione equivale a ideologia di copertura). (rationalization is equal to masking ideology). 44. Alba tramare, 1980 cartolina e intervento parallelo scritto con effetto in trasparenza e collage su cartoncino, 50x70 cm. postcard and parallel written intervention with transparency effects and collage on cardboard, 50x70 cm. 45. Autofoto viaggiante: L. & R. sulla Copenhagen-Parigi, 1975 stampa ai sali d’argento su carta baritata, 30x40 cm. silver salt print on baryta paper, 30x40 cm. 47. Piantina, (particolare di Trevi), 1973 stampa ai sali d’argento su carta baritata, 17,7x12,77 cm. silver salt print on baryta paper, 17.7x12.77 cm. 48. Pianta Storica, (particolare di Trevi), 1973 stampa ai sali d’argento su carta baritata, 17,7x12,7 cm. silver salt print on baryta paper, 17.7x12.7 cm.

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NOTA BIOGRAFICA

Luca Maria Patella nasce a Roma nel 1934, dove attualmente vive e lavora. Ha vissuto anche in Francia e in Sud America. Il suo background è artistico (a Roma e a Parigi), a partire dal padre Luigi cosmografo umanista / scientifico (Chimica Strutturale: è stato giovane assistente - per i rapporti fra la “Risonanza” e la biochimica - di Linus Pauling, doppio premio Nobel) / e psicoanalitico (dal 1967, con Ernst Bernhard). Lavora come artista, principalmente, dalla metà degli anni Sessanta e i suoi interessi abbracciano sia l’arte che la scienza, utilizzando vari media espressivi sperimentali quali fotografia (diapositive-colore, grandi tele fotografiche virate, stampe colore e b/n e varie tecniche personali), “films-opera”, video, suono, libro, computer, pittura, incisione, installazione. Ha studiato soggetti sia artistici che scientifici ed è stato fortemente influenzato da cosmologia, chimica strutturale e psicologia analitica, divenendo inventivo in tutti questi campi, durante gli anni di Roma e Parigi. Molteplici le sue conoscenze e frequentazioni con artisti e personalità internazionali, tra cui Marcel Duchamp, André Masson, André Breton, Jacques Lacan, Giorgio De Chirico, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Lionello Venturi, Roman Opalka, S.W. Hayter, Leo Dohmen, Max Lüscher, Joan Jonas, Paul Watzlavick, Meret Oppenheim, Andy Warhol, Sol LeWitt. Spicca nel mondo dell’arte italiana grazie alla sua invenzione di complesse procedure tecniche e creative. Ha prodotto meticolosi crossover, dalla trasformazione preconcettuale della fotocamera all’assenza di “peso” (moralistico) della cinepresa, dagli ambienti multimediali e interattivi al comportamento, dal suono alla parola, dall’installazione di grandi oggetti-scultura come test “proiettivi” per la scrittura e i “libri-lavoro” (uno dei campi privilegiati della sua ricerca, e che spesso integrano i complessi di opere - Io sono qui (Avventure & cultura), libro proiettivo in atto, ‘70-1975; DAN, DEN, PIR, DUCH, Supergruppo Ed., Ravenna 1980; sino a Stazione di Vita / Dichiarazioni Noètiche, (2003)-2016, Morra e Lemme editori associati). E’ attivo anche nel campo della letteratura - saggi (Diderot proto-psicoanalista, Grifo editore, 1984), romanzo e poesia - e della critica. Citiamo un rilevante articolo: “Marcel stripped bare by.. Luca Maria Patella”, Artforum international, october 1988; ..nonché uno recente: “Luca Maria Patella, MUT / TUM”, Doppio Zero, aprile 2017. Dal 1964, con Luca Patella, Grafica Contemporanea, galleria La Nuova Pesa, Roma, tiene personali e partecipa a molte collettive in Europa e nel mondo, tra le quali si citano la XXXIII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, 1966 (parteciperà a sei edizioni negli anni a seguire: 1972, 1978, 1980, 1986, 1993, 2011); la V Bienal de Paris, 1967 (dove ottiene il premio speciale per la foto e il film); la Biennale di San Marino, 1967; Information, MoMA, New York, 1970; Luca Maria Patella, galerie Lara Vincy, Parigi, 1979; Luca Patella, Museo de Arte Contemporaneo, São Paulo, 1982; Duchamp und die Avant garde seit 1950, Ludwig Museum, Köln, 1988; Temps, la quatrième dimension, Palais de Beaux Arts, Bruxelles; Barbican Centre, London; Museum Moderner Kunst, Wien, 1984-’86; Roma Anni ‘70, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1990; Ergo, materia. Arte Povera, MUAC, Ciudad de México, 2010; End of Earth, Land Art to 1974, MOCA, Los Angeles, 2011; GNAM, Roma, 2010-2011 (personale che include una Sfera per Amare - che Palma Bucarelli aveva acquistato alla personale all’Attico, 1969); Roma Pop city, MACRO, Roma 2016; Laura Bulian Gallery e NABA, personale, Milano 2017. Parallelamente, dagli anni Sessanta, anche la produzione di Patella dei Media è molto vasta attraverso la realizzazione di films sperimentali e animati (in 16 e 35 mm., anche medio o lungometraggi, Terra Animata 1967; SKMP2 1968; Vedo, Vado! 1969 e molti altri), video (Grammatica Dissolvente 1974-1975; Gazzetta Ufficiale di Luca Patella 1974; Viaggio in Luca (Antwerpen) 1976). I Films sono stati restaurati poi con la Cineteca Nazionale di Roma, che li ha recentemente presentati in 35 mm, nella Sala Volpi, alla Biennale Internazionale del Cinema

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di Venezia. I Video sono stati restaurati presso il laboratorio REWIND dell’Università di Dundee, Scozia. Con la sua compagna Rosa Foschi Patella si è dedicato all’animazione filmica (Corona Cinematografica, 1966) e sempre con lei in quel periodo ha organizzato un Centro Sperimentale di Ricerche Fotocinematografiche, e in esso hanno insegnato, nonché alla Calcografia Nazionale. Altre mostre antologiche in musei e gallerie, quali Teatro di via Belsiana, Roma 1965; Galleria l’Attico (di Fabio Sargentini), Roma 1968, 1969 e 1974 (Luca Patella e il test Lüscher); Galleria Apollinaire, Milano 1971 (Muri Parlanti); New Italian Art, Walker Art Gallery (Alberi Parlanti), Liverpool 1971; Incontri internazionali d’Arte, Roma, 1972, 1973 e 1987; Reis doorheen Luca Patella, ICC, Antwerpen 1976; La fotografia di Luca Patella, Mantova 1978; Paolini, Patella, Pistoletto, Calgografia Nazionale, Roma 1980; DEN & DUCH dis-enameled (Diderot e Duchamp sverniciati: svariate centinaia di opere, installazioni e teorie - quattro libri - riguardanti Diderot e Duchamp), MUHKA, Antwerpen 1990; Vasa Physiognòmica, Roma, Milano, Köln, Antwerpen dall’82; Patella ressemble à Patella: l’opera 1964-2007, organizzata dalla Fondazione Morra (e con libro-catalogo omonimo), Castel S. Elmo, Napoli 2007; Escher, Chiostro del Bramante, Roma 2014 (fino a Escher a Palazzo Reale, Milano 2017); Ambienti Proiettivi Animati ‘64-’84, ampia mostra personale con catalogo omonimo, Quodlibet Editore, MACRO, Roma 2015. Nello stesso anno Videoroom al Boijmans Van Beuningen Museum di Rotterdam, e i Films-opera alla Tate Modern di Londra. Puca Latella, (mostra accompagnata dal “libretto-lavoro” edizioni Ezio Pagano), Galleria Adalberto Catanzaro, Bagheria 2016; La Fotografia di Luca Maria Patella 1965-1985 Miart, galleria Il Ponte, Milano, 2017 (corredata da un volumetto in folio a cura di Alerto Fiz); Nuova Collezione del MAXXI, Roma 2017; NON OSO / OSO NON essere (personale), Galleria Il Ponte, Firenze 2017 (con il presente “libro-catalogo”, Gli Ori); Arte mi sia!, Certosa di San Martino, Napoli 2017; Casa Morra, Napoli 2018. L’artista è noto per le complesse relazioni semantiche e tecniche elaborate nel suo lavoro: pittura, oggettiscultura, installazioni, fotografie, films e video, lavori grafici, libri e scritti. Patella è un artista di ricerca conosciuto a livello nazionale e internazionale, e del suo lavoro si sono interessati critici e intellettuali quali Giulio Carlo Argan, Jacqueline Risset, Florent Bex, Michel Baudson, Jan Foncé, Margareth Sinclair Pentland, Bernard Blistène, Pierre Restany, Maurizio Calvesi, Renato Barilli, Gillo Dorfles, Italo Zannier, Harald Szeemann, Claudio Meldolesi, Achille Bonito Oliva, Umberto Eco, Alberto Fiz, Raul Dal Molin Ferenzona, Fernanda Pivano, Ettore Sottsass, Lea Vergine, Alvin Curran, Elio Grazioli, Luciano Marucci, Giuseppe Morra, Stefano Chiodi, Andrea Cortellessa, Laura Leuzzi, Marco Scotini, Francesco Stocchi, Anna Maria Licciardello.. Le sue opere si trovano in importanti Collezioni di Musei, quali lo Stedelijk Museum (Amsterdam), il MoMA (New York), la Fondazione Gordon Matta-Clarck (Anversa), la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, il MAXXI, il Macro e l’Istituto Nazionale per la Grafica (Roma), la Polaroid Corporation (Boston), il Mart (Trento), il Museo di Fotografia Contemporanea (Milano), il CRAF (Spilimbergo), il CSAC (Parma) e le biblioteche nazionali di Paris, Firenze, Roma. Negli anni ha ricevuto premi Internazionali, quali Biennale del Cinema (sezione sperimentale, Venezia, 1969), Premio Pascali (1976), e per la poesia: Grinzane Cavour, Feronia, e Vincenzo Cardarelli (2002). Il ‘Comité des Arts de la Ville de Bruxelles’ gli commissiona per Place de Ninove la grande Magrittefontaine Fisiognòmica in pietra marina locale storica, denominata pierre bleue (2002). Gli è stato anche conferito il Premio per l’Interdisciplinarità del DAMS di Bologna (2003); il XXI Premio Friuli Venezia Giulia Fotografia, Spilimbergo (2007); il Premio Franco Cuomo, Palazzo Senatorio, Roma (2015). Un mediometraggio sull’opera di Patella (regia Ileana Zaza) vince il Premio DOC dell’Acquario Romano in collaborazione con il MAXXI, Roma (2016). A Luca Maria Patella è conferito il titolo di “Accademico dell’Università di Studi Roma tre” (2016).

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BIOGRAPHYCAL NOTE

Luca Maria Patella was born in Rome in 1934, where he currently lives and works. He has also lived in France and South America. His background is artistic (in Rome and Paris), due to his father, Luigi, cosmographerhumanistic / scientific (structural chemistry: he was the young assistant – for the relationships between “resonance” and biochemistry – of Linus Pauling, twice Nobel prize winner) / and psychoanalytical (from 1967, with Ernst Bernhard). His principal work as an artist began in the mid 1960s and his interests embraced both art and science, using various experimental means of expression, such as photography (colour slides, large toned photographic canvases, colour and b/w prints and various personal techniques), “film-works”, video, sound, books, computers, painting, engraving and installations. He studied both artistic and scientific subjects and was strongly influenced by astronomy, structural chemistry and analytical psychology, becoming inventive in all these fields during his years in Rome and Paris. He had many friends and acquaintances among international artists and personalities, amongst whom Marcel Duchamp, André Masson, André Breton, Jacques Lacan, Giorgio De Chirico, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Lionello Venturi, Roman Opalka, S.W. Hayter, Leo Dohmen, Max Lüscher, Joan Jonas, Paul Watzlavick, Meret Oppenheim, Andy Warhol Sol LeWitt. He stands out in the world of Italian art thanks to his invention of complex technical and creative procedures. He has produced meticulous crossovers, from the pre-conceptual transformation of the camera to the absence of “weight” (moralistic) of the film camera, from multimedia and interactive environments to behaviour, from sound to word, from the installation of large sculpture-objects as “projective” texts for writing and “work-books” (one of his favourite fields of research, which often incorporate sets of works - Io sono qui (Avventure & cultura), projective book in execution, ‘70-1975; DAN, DEN, PIR, DUCH, Supergruppo ed., Ravenna 1980; up to Stazione di Vita / Dichiarazioni Noètiche, (2003)-2016, Morra e Lemme associated publishers. He is also active in the field of literature – essays (Diderot proto-psicoanalista, Grifo publisher, 1984), novels and poetry – and criticism. We quote a relevant article: “Marcel stripped bare by.. Luca Maria Patella”, Artforum international, october 1988; ..and one more recent: “Luca Maria Patella, MUT / TUM”, Doppio Zero, aprile 2017. Since 1964, with Luca Patella, Grafica Contemporanea, Galleria La Nuova Pesa, Rome, he has held one-man shows and taken part in many group exhibitions in Europe and all over the world, amongst which the XXXIII Venice Art Biennale, 1966 (he would participate in six further biennales in 1972, 1978, 1980, 1986, 1993 and 2011); the V Paris Biennale, 1967 (where he obtained the special prize for photos and film); the San Marino Biennale, 1967; Information, MoMA, New York, 1970; Luca Maria Patella, Galerie Lara Vincy, Paris, 1979; Luca Patella, Museuo de Arte Contemporaneo, São Paulo, 1982; Duchamp und die Avant garde seit 1950, Ludwig Museum, Cologne, 1988; Temps, la quatrième dimension, Palais de Beaux Arts, Brussels; Barbican Centre, London; Museum Moderner Kunst, Vienna, 1984-’86; Roma Anni ‘70, Palazzo delle Esposizioni, Rome, 1990; Ergo, materia. Arte Povera, MUAC, Mexico City, 2010; End of Earth, Land Art to 1974, MOCA, Los Angeles, 2011; GNAM, Rome, 2010-2011 (solo show where is also presenteded Sfera per Amare – bought by Palma Bucarelli from the Attico Gallery in 1969); Roma Pop city, MACRO, Rome 2016; Laura Bulian Gallery e NABA, solo show, Milan 2017. At the same time, Patella has created a vast range of media products since the 1960s, with experimental and animated films (16 and 35 mm, also medium and full-length films, Terra Animata 1967; SKMP2 1968; Vedo, Vado! 1969 and many others), videos (Grammatica Dissolvente 1974-1975; Gazzetta Ufficiale di Luca

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Patella 1974; Viaggio in Luca (Antwerpen) 1976). The films have been restored with the Cineteca Nazionale in Rome, which recently presented them in 35 mm format in the Sala Volpi at the Venice Cinema Biennale. The videos, on the other hand, have been restored at the REWIND laboratory of Dundee University, Scotland. With his partner, Rosa Foschi Patella, concentrated on film animation (Corona Cinematografica, 1966) and, again in the same year, with he he organized an Experimental Centre of Photographic and Cinematographic Research, and it was taught, as well as the Calcografia Nazionale. Other anthological exhibitions in museums and galleries include the Teatro di via Belsiana, Rome 1965; Galleria l’Attico, Rome 1968, 1969 and 1974 (Luca Patella e il test Lüscher); Galleria Apollinaire, Milan 1971 (Talking Walls); New Italian Art, Walker Art Gallery (Talking Trees), Liverpool 1971; Incontri internazionali d’Arte, Roma, 1972, 1973 and 1987; Reis doorheen Luca Patella, ICC, Antwerp 1976; La fotografia di Luca Patella, Mantua 1978; Paolini, Patella, Pistoletto, Calgografia Nazionale, Rome 1980; DEN & DUCH dis-enameled (several hundred works, installations and theories – four books – concerning Diderot and Duchamp), MUHKA, Antwerp 1990; Vasa Physiognòmica, Rome, Milan, Cologne, Antwerp as of 1982; Patella ressemble à Patella: l’opera 1964-2007, organized by the Fondazione Morra (with book-catalogue of the same name), Castel S. Elmo, Naples 2007; Escher, Chiostro del Bramante, Rome 2014 (up to Escher at Palazzo Reale, Milan 2017);Ambienti Proiettivi Animati ‘64-’84, MACRO, Rome 2015.In the same year, Videoroom at the Boijmans Van Beuningen Museum in Rotterdam, and the Film-works in London at the Tate Modern; Puca Latella, Galleria Adalberto Catanzaro (with the book-work published by Ezio Pagano), Bagheria 2016; La Fotografia di Luca Maria Patella 1965-1985, Miart, Il Ponte gallery, Milan, 2017 (with in-folio book curated by Alberto Fiz); Nuova Collezione del MAXXI, Rome, 2017; NON OSO / OSO NON essere (solo show), Il Ponte gallery, Florence 2017 (book with the same name publiched by Gli Ori) Arte mi sia!, Certosa di San Martino, Naples 2017; Casa Morra, Naples 2018. The artist is known for his complex semantic relations and techniques created in his work: painting, sculptureobjects, installations, photographs, films and video, graphic works, books and writing. Patella is a nationally and internationally renowned research artist, and his work has aroused the interest of critics and intellectuals such as Giulio Carlo Argan, Jacqueline Risset, Florent Bex, Michel Baudson, Jan Foncé, Margareth Sinclair Pentland, Bernard Blistène, Pierre Restany, Maurizio Calvesi, Renato Barilli, Gillo Dorfles, Italo Zannier, Harald Szeemann, Claudio Meldolesi, Achille Bonito Oliva, Umberto Eco, Alberto Fiz, Raul Dal Molin Ferenzona, Fernanda Pivano, Ettore Sottsass, Lea Vergine, Alvin Curran, Elio Grazioli, Luciano Marucci, Giuseppe Morra, Stefano Chiodi, Andrea Cortellessa, Laura Leuzzi, Marco Scotini Francesco Stocchi, Anna Maria Licciardello.. His works are found in important museum collections, such as the Stedelijk Museum (Amsterdam), the MoMA (New York), the Gordon Matta-Clarck Foundation (Antwerp), the Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Macro and the Istituto Nazionale per la Grafica (Rome), the Polaroid Corporation (Boston), Mart (Trento), the Museo di Fotografia Contemporanea (Milan), CRAF (Spilimbergo), il CSAC (Parma) and the national libraries of Paris, Florence and Rome. Over the years he has received international prizes such as the Biennale del Cinema(experimental section, Venice, 1969), Premio Pascali (1976), and for his poetry: Grinzane Cavour, Feronia, and Vincenzo Cardarelli(2002). Patella was commissioned the large Fontaine Physiognomique de Magritte, made of local historic marine stone called pierre bleue, by the ‘Comité des Arts de la Ville de Bruxelles’ for the Place de Ninove in Brussels (2002). He has also been awarded the Premio per l’Interdisciplinarietà by the University of Bologna Art, Music and Show Business (DAMS) faculty (2003). XXI Premio Friuli Venezia Giulia Fotografia, Spilimbergo (2007); Premio Franco Cuomo, Palazzo Senatorio, Rome (2015). A short feature on the work of Patella (directed by Ileana Zaza) won the DOC Prize of the Aquario Romano in collaboration with the MAXXI, Rome (2016). To Luca Maria Patella is conferred the title of “Academic of the University of Roma Tre” (2016).

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Finito di stampare nel settembre duemiladiciassette dalla tipografia Bandecchi & Vivaldi di Pontedera per i tipi de Gli Ori di Pistoia in occasione della mostra Luca Maria Patella, NON OSO / OSO NON essere organizzata dalla Galleria Il Ponte, Firenze


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