3 minute read

1. nella collIna deGlI IndIGenI

1. nella collIna deGlI IndIos

Il grande sciamano Nyben era irrequieto e i fulmini creavano un’atmosfera di incertezza; gli indigeni stavano aspettando un temporale con piogge abbondanti che dissetassero la foresta, colpita da una grave siccità. I ruscelli e le sorgenti delle montagne si stavano prosciugando e gli abitanti del villaggio dovevano approvvigionarsi di acqua in un fiume più grande, a due ore di distanza. Nyben e i suoi sciamani ausiliari avevano eseguito pratiche specifiche per attirare la pioggia attraverso rituali compiuti lontano dal villaggio, in luoghi segreti nella foresta in modo che nessuno potesse assistere.

Advertisement

Quel giorno Nyben si era svegliato sopraffatto da un cupo presagio causato da un sogno; il fuoco nella sua capanna era inspiegabilmente spento, nonostante gli abbondanti pezzi del legno curupay che la sera aveva messo sul focolare. Con pazienza lo accese di nuovo, mise il bollitore, mescolò la yerba mate con foglie di moringa e al fischio del bollitore si sedette sul suo apyka, uno sgabello di legno dal profondo significato culturale. Lentamente versò l’acqua nella guampa godendosi il caldo mate.

Nyben aveva tre mogli e numerosi figli e figlie che vivevano nel villaggio; lui, essendo uno sciamano, conduceva una vita austera e isolata, in una piccola capanna di legno che si era costruito in mezzo agli alti alberi della giungla. Si trovava nei pressi di un minuscolo ruscello di acqua cristallina che sgorgava da una grotta di pietre decorate con incisioni rupestri e disegni, realizzati dai primi abitanti di almeno seimila anni fa. Queste grotte, numerose nelle colline della regione, erano state rifugi e abitazioni per le popolazioni emigrate dall’Asia decine di migliaia di anni fa.

Vivendo da eremita, il Grande sciamano si era dedicato a proteggere la comunità dalle malvagità, implorando armonia, benessere, salute, pace, buona caccia, raccolti abbondanti e operando anche guarigioni. Raramente andava al suo villaggio per visitare mogli e parenti. Né i parenti si lamentavano con lui perché sapevano che così deve essere la vita di uno sciamano. Per comunicare con la famiglia o con gli altri indigeni del villaggio, inviava un uccello messaggero, il passero campana. Se si appoggiava sulla spalla dello sciamano, significava che la chiamata era urgente e quindi Nyben doveva ritornare al più presto al villaggio; ma se l’uccello si posava sul ramo di un albero vicino, allora il problema non era grave e quindi Nyben poteva prendere la strada con più calma.

Uno dei segnali sciamanici per intuire i fatti occulti è il fumo della pipa; un pizzico di polvere del fiore di canioja viene mescolato al tabacco, in quantità sufficiente affinché l’allucinogeno consenta un fantastico volo sciamanico nel mondo degli spiriti ausiliari. Il problema che affliggeva Nyben in quei giorni era il ritardo della pioggia. Nonostante gli sforzi di vari sciamani, erano cadute solo poche gocce di acqua. Questo era insolito. Le pratiche sciamaniche avevano sempre dato risultati favorevoli. Cosa stava succedendo?

Un vortice di idee confuse si agitava nella sua testa come fanno gli uccelli nel cielo della selva: girano in cerchio, viaggiano, si rincorrono, si separano, si riuniscono di nuovo come danzatori dell’aria. Ricaricò la pipa e ne aspirò avidamente diverse boccate di fumo per sedare il suo nervosismo. Il fumo si alzava come una colonna, alta fino a un metro e poi si separava, assumendo la forma di un ombrellone. Negli sbuffi successivi, il fumo cambiò forma, assumendo il profilo di una scala a chiocciola, appoggiata sul lato opposto rispetto a dove si trovava la sua casa. Fumò ripetutamente ma la direzione del fumo non cambiava. Quindi capì che doveva andare da quella parte il più pre-