L'ottavo figlio

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Ottavio Todeschini

L’OTTAVO FIGLIO

Nozze a Cana di Galilea: tutti invitati

prefazione di mons. Domenico Pompili vescovo di Verona

postfazione di Giuseppe Laiti

© Il Segno dei Gabrielli editori 2023

Via Cengia 67 − 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543

info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it

ISBN 978-88-6099-530-8

Prima edizione Marzo 2023

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altro senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.

Progetto copertina

Gabrielli editori

Illustrazione di copertina

Francesco Cipriani

Stampa

Mediagraf spa (Padova), Marzo 2023

A papà e mamma e ai miei dieci fratelli

«La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa.»

(Papa Francesco)

Alle parrocchie di: San Pietro di Lavagno Zevio

Tregnago

Castel d’Azzano

Guichón e Tambores (Uruguay)

San Paolo C.M. (Veronetta)

Ca’ di David Rosaro

«La parrocchia è un faro che irradia la luce della fede e viene incontro così ai desideri più profondi e veri del cuore dell’uomo, dando significato e speranza alla vita delle persone e delle famiglie.»

(Papa Benedetto XVI)

Commento all’illustrazione di copertina: “I segni a Cana di Galilea”

«Il terzo giorno ci fu una festa di nozze a Cana di Galilea […] questo fu l’inizio dei segni» (Giovanni 2,1-11).

Il vino, abbondante fino a traboccare, sottolinea il clima di festa, segnalato anche dai colori, dalle mani alzate dei convitati e dall’atteggiamento affettuoso degli sposi che si trovano al centro della scena. Gesù e sua madre sono presenti e benedicenti, lasciando tuttavia che il mondo degli affetti, con le sue cicatrici e le sue gioie, possa assumere il proprio posto, in cammino verso lo Shalom che chiamiamo anche Regno. In questo orizzonte c'è lo spazio per molti altri segni: quelli eucaristici e battesimali, quello della benedizione dell’amore e anche quello delle comunità ecclesiali, anche piccole, che sono la Chiesa.

FRA (Francesco Cipriani), febbraio 2023

INDICE

Prefazione

UNO SGUARDO CHE NON SI FERMA QUAGGIÙ

mons. Domenico Pompili vescovo di Verona

“L’ottavo figlio”: un titolo originale e simpatico soprattutto per chi conosce l’autore, don Ottavio, che gioca con il suo nome. Al lettore più attento però non sfuggirà che nell’allusione c’è qualcosa di più profondo: il rimando all’esperienza familiare come luogo generativo.

Infatti definire sé a partire dall’essere figlio, nello specifico essere stato l’ottavo figlio, viene tradotto in questo libro in un viaggio in cui l’autore riconosce le proprie origini, quelle che gli hanno insegnato l’arte delle relazioni, tra la tenacia nel sapersi distinguere dagli altri e la caparbietà per tracciare una strada diversa in famiglia che nessuno prima aveva mai percorso.

Fin dalle prime righe si ha l’impressione di essere di fronte ad uno scritto ricco di vita che prende respiro da un animo appassionato, innamorato della Parola di Dio (tant’è che il racconto è diviso in rotoli e non in capitoli) e conquistato dall’ardore missionario che trova espressione perfino nel titolo di una parte del racconto: “andare oltre”.

Don Ottavio, anche a chi non lo conosce, trasmette già dal suo sguardo cristallino la passione di un cuore intrepido sempre in movimento. È un prete ormai in pensione, ma non certo a riposo, che non smette di essere un uomo

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appassionato di Cristo e dell’umanità. Per lui tutto diventa originale e ogni vicenda merita di essere vissuta e raccontata con entusiasmo. Non a caso infatti ha curato anche “Luci nel mondo”, associazione Onlus che vuole raccontare il bello del Vangelo seminato in tutto il mondo attraverso la comunicazione mass-mediatica. Dell’associazione don Ottavio svela la storia, dall’intuizione fino alla realizzazione, attraverso l’immancabile collaborazione con gli amici. Questa associazione, così come ogni fatto narrato in questo libro, è frutto di uno stile di condivisione e fiducia in tante, tantissime relazioni le cui radici partono da una famiglia numerosa che profuma di semplicità.

Tra tutte queste relazioni emerge il rapporto con la madre che fin dal nome Maria sembra interpretare la parte della chiesa che genera, invia e riaccoglie. Maria è una certezza d’amore nell’umiltà del quotidiano intriso di fede, è il coraggio che lascia andare e invia il figlio in missione, ed è il porto sicuro che ne attende il ritorno per fare festa.

Trattandosi di vita vissuta, vita vera, si incontrano anche passaggi di prova in cui la vita costringe al crogiuolo della verità con sé stessi. Chiunque potrà trarne forza, anche un giovane prete. Con delicatezza e autenticità infatti si possono cogliere i segni di quella lotta interiore propria di ogni discepolo di Cristo. Don Ottavio la narra non come una lotta fine a sé stessa, ma una lotta per rimanere fedeli al Maestro diventando nel tempo una ricerca continua di senso. È l’esperienza di chi non ha trovato conforto in volontarismi o compensazioni, ma nel desiderio di un cuore indiviso che solo in Dio, fin da bambino, ha trovato pienezza di vita e irriducibilità nell’affrontare ogni sfida, anche quella di staccarsi da un futuro già segnato come contadino per dare ali al suo desiderio di incontrare vite.

Farà certamente bene all’animo di ogni credente leggere righe in cui don Ottavio, con pacata serenità tipica di chi è riconciliato con la propria storia, racconta degli entusiasmi iniziali del ministero che hanno portato anche ad

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alcune frizioni. Ciascuno ne potrà dedurre che in fondo è normale anche sbagliare, senza per questo sentire meno lo sguardo di Dio che opera in ogni nostra vicenda. Insomma, si possono normalizzare anche gli eccessi che tutti, forse, abbiamo.

Non va trascurato che questo racconto di vita, che ha il sapore della revisione e della memoria grata degli anni di ministero, ha trovato forma e stesura nel tempo del riposo più che della pensione. È così, infatti, che don Ottavio vuole viverla e non come un lento arrendersi alla vecchiaia. Si tratta infatti di un riposo creativo e contemplativo – come ci racconta la Scrittura – quando Dio, nel settimo giorno, contempla la sua opera. Un tempo che don Ottavio ha deciso di trascorrere ancora in comunità con amici di ministero con i quali condivide anche uno sguardo che non si ferma quaggiù, ma che punta in alto e che educa a guardare dall’alto anche le vicende della vita. La “comunità dell’ascensione”, parte del racconto, ricorda che la vita per un credente è una progressiva attrazione e apertura verso il cielo e non un imbuto che si chiude sulla terra.

Leggendo pagina dopo pagina di questo libro si ha l’impressione che il filo rosso che attraversa tutto il racconto sia in realtà un intreccio di più fili colorati, le relazioni intessute da don Ottavio in ogni incarico e guidate dalla mano sapiente di Dio. Dal primo ministero a Verona alla missione, dal tempo di direttore dell’ufficio missionario fino al ritorno in parrocchia la sua vita appare come una sartoria che si è arricchita progressivamente di stoffe preziose fino a creare l’abito giusto della sua storia. È la storia di un prete, un uomo che è passato in mezzo a tante altre vite con atteggiamento itinerante e orante, con le scarpe preparate dalla mamma e con il cuore innamorato della Terra Sacra, dell’incontro con Dio nel volto degli altri: preti, suore, uomini e donne, amici, sposi, vescovi, padri spirituali. Tutti riflessi di quella luce divina che è come sole che sorge dall’alto, una

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luce unica che prelude all’alba di un giorno che sa di eternità e che splende per tutti noi.

Grazie don Ottavio perché ce lo ricordi con il racconto della tua vita.

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PREMESSA

Stavo conversando con un gruppo di peones de campo, nel cortile della fattoria di don Ramos. La sua fattoria non è molto grande ma, per lui e la sua famiglia, è lo spazio più bello del mondo, dove il lavoro è spesso faticoso e il raccolto non sempre abbondante. Si trova nel cuore dell’Uruguay, nella colonia Battle y Ordoñez, vicina a Guichón, provincia di Paysandù. Don Ramos si volge verso di me: “No por mucho madrugar, amanece antes”. Pronuncia questo detto, tipicamente criollo, dell’uomo del campo, con uno sguardo di simpatia e con po’ di ironia, da vero leader amato e riconosciuto. “Che bello!”, rispondo con entusiasmo. “Sì, padre”, replica don Ramos, “è bello, ma lo devi applicare alla tua vita. E cioè: devi ridurre il ritmo di lavoro, abbandonare l’ansia di fare tante cose, ascoltare e imparare a camminare con il nostro passo, e solo così capirai anche la nostra vita”. Tutti mi guardano e sorridono. A quegli uomini, abituati alla fatica e ai continui imprevisti propri del loro lavoro, non erano sfuggite le mie preoccupazioni e l’affanno per mettere in atto nuove proposte di pastorale.

Don Ramos, senza accorgersene, mi offre elementi importanti per un cammino di incarnazione, condivisione e discernimento: ascoltare la vita, imparare ad attendere, condividere. Le sue parole, più che un programma, sono un percorso di vita.

“No por mucho madrugar, amanece antes”. Potremmo tradurlo in questo modo: «Anche se ti alzi molto presto, non significa che l’alba sorga prima».

Quel detto mi fa capire che, nel cuore degli uomini, prima arriva l’azione di Dio e poi quella del pastore. La presunzione di forzare la mano di Dio per l’impazienza di vedere dei risultati, è pericolosa e non evangelica. Alla pasto-

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La famiglia vista dal fratello minore, Sergio Todeschini.

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