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Funzione paterna e funzione materna

Funzione materna e funzione paterna

La funzione materna da sempre è preposta alla cura, alla protezione del bambino, alla soddisfazione dei suoi bisogni primari, alla sua gratificazione. Nel primo anno di vita la prevalenza di questo tipo di funzione è fondamentale. Il neonato necessita d’instaurare una relazione simbiotica con la madre, improntata alla cura e all’accudimento che è fondamentale per la sopravvivenza e l’acquisizione di alcune importanti competenze di natura psichica come l’attaccamento e l’autostima. Il padre nei primi mesi di vita offre sostegno e protezione alla relazione madre-bambino; può prendersi cura del figlio e della madre e in questo modo alleviare sofferenze e dolori. Man mano che il bambino cresce e si sviluppa, si costituirà un legame di attaccamento anche con il padre. La figura paterna aiuta il bambino nel processo di separazione dal “grembo” materno per uscire dalla con-fusione e arrivare all’individuazione, all’affrancamento di sé, a uscire dall’onnipotenza. Il padre ha il compito di favorire l’autonomia dei figli, promuovere il primo abbozzo di coscienza e di disciplina degli impulsi, il senso del limite, le regole di vita, la socializzazione. In questo senso egli si presenta come un “altro” dalla madre, mediatore del mondo esterno, primo interprete della realtà. Al padre spetta il compito di rendere capace il figlio di far parte di una comunità più ampia, mettendolo precocemente a confronto con le regole necessarie alla convivenza. È il passaggio del figlio dal regno dei bisogni, soddisfatto dalla madre, al regno del desiderio verso il mondo esterno. Attualmente i padri sono maggiormente coinvolti nel rapporto con i figli, ma rischiano di fare “maternage” e di prolungare la dipendenza affettiva. C’è il rischio che nell’assenza di un ruolo definito di paternità alcuni uomini vogliano

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costituire una diade relazionale padre-figlio che si aggiunga alla relazione madre-bambino o addirittura che la sostituisca. Ciò dipende in larga misura dal tipo di relazione vissuta all’interno della coppia genitoriale.

Il bambino non nasce da una madre ma da una coppia e il suo sviluppo è garantito dalla qualità della relazione di coppia. È necessario quindi che la madre si dimostri disponibile a far entrare il padre in relazione con il figlio, visto che nei primi mesi di vita è soprattutto la donna ad avere un contatto stretto e diretto con il bambino. La relazione tra padre e figlio si costruisce in maniera progressiva e in funzione della modalità con cui l’uomo sceglie di vivere la propria paternità, ma anche in funzione degli spazi che la donna gli concede. Il padre non può sostituirsi né sovrapporsi alla madre, ma deve gradualmente inserirsi nel rapporto madre-bambino, fino a trasformare la diade in triade. La psicoanalisi definisce questa triangolazione “edipica”, ed è una fase cruciale dello sviluppo psicosessuale del bambino, dopo le fasi orale e anale, e prima della latenza. Il padre non è l’elemento opzionale delle relazioni familiari, ma l’altro polo di un amore di cui i figli hanno bisogno per crescere in maniera sana ed equilibrata, dal momento che la vita si sviluppa su due direttrici parallele, maschile e femminile, e la riuscita non è nell’annullamento delle differenze dei due sessi, ma nella loro comune destinazione. La madre nutre il bambino mediante il “seno”, il padre nutre il figlio mediante la “parola”; la madre nutre il “cuore” del bambino, il padre nutre la “mente” del figlio. Per questo l’assenza del padre o la carenza di questa funzione sono spesso collegate a difficoltà e disagi che bloccano o impediscono lo sviluppo psicologico di un bambino.

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