Jacques Ellul. Il fondamento teologico del diritto

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JACQUES ELLUL - Il fondamento teologico del diritto

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JACQUES ELLUL

Il fondamento teologico del diritto Traduzione di Antonio Fontana A cura di Italo Pons Eugenio Stretti

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JACQUES ELLUL - Il fondamento teologico del diritto

Prima edizione italiana Titolo originale: Le fondement théologique du droit, Delachaux & Niestlé, Neuchâtel 1946.

© Il Segno dei Gabrielli editori, 2012 Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 mail scrivimi@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-150-8 Stampa: Il Segno dei Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR) febbraio 2012

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Indice

Nota storica di Antonio Fontana

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Il fondamento teologico del diritto di Jacques Ellul

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Introduzione

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I. Il diritto naturale considerato come fenomeno 1. Il diritto naturale nella storia 2. Le teorie del diritto naturale 3. L’esistenza del diritto naturale 4. La negazione del diritto naturale

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II.

Il diritto divino 1. Giustizia 2. Diritto 3. Alleanza

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III.

Diritto naturale e Diritto divino 1. Il diritto naturale, dottrina cristiana? 2. Diritto naturale e diritto divino 3. Il diritto naturale come fenomeno

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IV. Diritto divino e diritti umani 1. Gli elementi del Diritto umano 2. Escatologia e Diritto

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3. Lo scopo del diritto. (1) - L’espressione del diritto 4. Lo scopo del diritto. (2) - Il significato del diritto

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V.

Diritto, stato, chiesa 1. Il Diritto e lo Stato 2. Il ruolo della Chiesa nell’ambito del Diritto Conclusione

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Postfazione “La verità vi farà liberi”: fede evangelica, etica pubblica e speranza escatologica nel pensiero di Jacques Ellul di Italo Pons e Eugenio Stretti

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1. Le Scritture e il dubbio della fede evangelica 2. Etica pubblica e tradimento del cristianesimo 3. Azione critica nella società e libertà nell’agape di Cristo 4. Diritto sacro e diritto divino

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Indice dei nomi Indice delle citazioni bibliche Curatori

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nota storica

Nota storica

Chi, come me, sia totalmente digiuno di teologia, non può pretendere di scrivere una “prefazione” o “presentazione” a questo volume, per la prima volta tradotto in italiano, in cui il pensiero è tanto concentrato, quanto ridotto è il numero delle pagine. Mi limito perciò a fornire alcuni dati sull’epoca, e, quindi, sul “clima” in cui ha visto la luce, nella speranza che anch’es si possano essere di qualche utilità. La sua pubblicazione (nei Cahiers théologiques de l’actualité protestante, Neuchatel, Delachaux et Niestlé) risale al 1946: quella del 2008, per i tipi della casa ed. Dalloz di Parigi, con prefazione di Franck Moderne, non è una seconda edizione, postuma (l’Autore era morto il 19 maggio 1994), ma solo una ristampa. Le devastazioni, non solo materiali, ma anche, e specialmente, morali, dovute alla guerra, avevano indotto un po’ tutti a rimeditare sui rapporti fra legge e giustizia, fra diritto e potere politico. Si è avuto così, negli anni immediatamente successivi, un ampio movimento di pensiero, caratterizzato da due aspetti che, in fondo, erano soltanto le facce di una stessa medaglia. Da un lato, la denuncia dei limiti del positivismo giuridico, secondo il quale, come scrive lo stesso Ellul, “il diritto non è nulla di più di quanto sta scritto nei testi legislativi”: ad esso veniva mossa l’accusa di non aver saputo arginare, anzi, di aver favorito l’avvento dei regimi totalitari. Dall’altro, l’esigenza di ancorare le leggi – cito ancora Ellul – a “valori spirituali indipendenti dall’uomo”, e perciò dal rapido mutare dei tempi: valori che molti identificavano nel diritto naturale. 7


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Di questo orientamento è facile cogliere le manifestazioni in vari Paesi. Anzitutto in Germania, proprio per reazione alla triste vicenda della dittatura hitleriana. Dando alle stampe, nel 1948, la sua Vorschule der Rechtsphilosophie, Gustav Radbruch scriveva: “...dopo un secolo di positivismo giuridico è potentemente risorta l’idea di un diritto sopralegale (übergesetzliches), commisurate al quale anche leggi positive possono essere rappresentate come un torto legalizzato (gesetzliches Unrecht)”.1 Stati d’animo analoghi, per analoghe ragioni, erano diffusi in Italia. Basti ricordare che un autorevole studioso, come Giorgio Del Vecchio, riprendendo, nel 1947, la pubblicazione della “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, da lui stesso fondata prima dell’ascesa al potere di Mussolini, scriveva di voler invocare “il ritorno all’idea eterna del diritto naturale”.2 In Francia, poi, già nel 1942 uno scrittore cattolico di grande notorietà, Jacques Maritain, aveva pubblicato Les droits de l’homme et la loi naturelle, in cui ribadiva i principi, a suo dire tuttora validi, già affermati dalla Scolastica in generale e da Tommaso d’Aquino in particolare. Nel 1946 Ellul aveva solo trentaquattro anni. Durante il periodo dell’occupazione nazista aveva partecipato attivamente alla Resistenza, sino ad ospitare ebrei nella cascina in cui si era ritirato a vivere, dopo essere stato rimosso dall’insegnamento (nel 1938 aveva conseguito il dottorato in Diritto romano), per i giudizi non certo teneri da lui espressi sul governo collaborazionista di Pétain. Le dure esperienze vissute, e la freschezza delle forze ancora giovanili, sono state le molle che lo hanno spinto a scendere in lizza a sua volta. Ma lo ha fatto procedendo contro corrente, rispetto agli studiosi che sin qui ho ricordato. In una prospettiva tipicamente protestante egli nega, infatti, che l’uomo, interamente corrotto

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Così a p. 114 della 2a ed., Gottinga, 1959. Premessa alla terza serie, p. 3.

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nota storica

dal peccato, sia in grado, con la propria ragione, di conoscere la giustizia, che “guarda dal cielo”(Sl. 85: 11) mentre lui è in terra. A suo avviso, la contrapposizione non è dunque fra diritto positivo e diritto naturale, bensì fra diritto umano e diritto divino. A sostegno del proprio assunto, egli adduce una lunga serie di citazioni, che rivelano una familiarità con la Bibbia non comune per un giurista, specialmente dell’area continentale. Sugli esiti cui perviene, si potrà discutere, ma credo che nessuno potrà negare la serietà del suo impegno. Un’ultima, rapidissima osservazione. Il libro qui presentato è soltanto la prima opera teologica del Nostro. Numerose altre ne sarebbero seguite, fino a Ce que je crois, (Parigi, Grasset, 1987), che costituisce, come giustamente3 è stato detto, il suo testamento spirituale. Per una curiosa coincidenza (ma sarà proprio soltanto una coincidenza?), lo stesso titolo (Was ich glaube) ha dato il ben noto cattolico del dissenso Hans Küng ad un suo recentissimo volume (Piper Verlag GmbH, München, 2009), che è stato subito diffuso in Italia da Rizzoli (Ciò che credo, 2010), mentre quello di Ellul, a quanto mi consti, attende ancora di essere tradotto nella nostra lingua. Auguriamoci che non debba più attendere molto: si aggiungerebbe così un altro, importante tassello, per la valutazione complessiva di un pensatore che, nonostante la sua vasta produzione, non è ancora conosciuto, da noi, come meriterebbe. Antonio Fontana

3 Da J.L. Porquet, Jacques Ellul, l’uomo che aveva previsto (quasi) tutto, , Jaca Book, Milano 2008, p. 253.

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nota storica

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nota storica

“...benché morto, egli parla ancora” (Ebrei 11,4) a Vittorio Subilia (1911-1988) Giorgio Peyrot (1910-2005) Gino Conte (1931-2006) Franco Scopacasa (1927-2008) Grati al Signore Gesù Cristo, per i differenti doni loro accordati

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introduzione

Introduzione

Ci vuole una certa presunzione per scrivere ancora sul diritto naturale e tanto più per tentare di riprenderne la dottrina nel suo insieme (in così poche pagine, per giunta), invece di limitarsi ad un punto circoscritto. Da quando il problema è stato sollevato, circa duemilacinquecento anni fa, sembra che una vera soluzione non sia stata mai trovata. Vi è senza dubbio uno sforzo per rendere conto di una realtà vivente innegabile, come questo sentimento del tutto spontaneo di giustizia che ogni uomo prova. Ma d’altra parte una considerazione oggettiva, diciamo pure scientifica, delle cose, dimostra che è vano sperare in un accordo sul fondamento, il contenuto, la forza coercitiva di questo diritto legato alla natura. Appena si esce dal generico, diventa impossibile mantenere posizioni ferme, e nell’atteggiamento dei fautori o degli avversari del diritto naturale vi è certamente una scelta di fondo, una sorta di a priori. Chi crede a valori spirituali indipendenti dall’uomo, Idea, Forma, Esistenza, ecc., è indotto a credere a un diritto naturale ideale, che informa il diritto umano. Chi al contrario crede soltanto all’osservazione scientifica dei fatti, alla sola realtà di ciò che si comprende razionalmente, è indotto a rifiutare il diritto naturale come antiscientifico (quale effettivamente è). Così il dibattito sul diritto naturale è in certo qual modo un falso dibattito, perché si rifà, nelle grandi linee, a un dibattito pregiudiziale fra Idealismo e Materialismo, di cui è solo un riflesso. È dunque inutile discuterne sul terreno del diritto. Oggi, comunque, dopo circa un secolo e mezzo di eclisse parziale, sembra che si ritorni ad un concetto del diritto naturale. È inutile indugiare nel ricordare che dall’inizio del 15


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sec. XIX due scuole si sono divise i favori dei giuristi: quella storica e quella del diritto positivo. Per l’una, il diritto è il prodotto esclusivo della coscienza popolare e dell’evoluzione. Per l’altra, il diritto non è nulla di più di quanto sta scritto nei testi legislativi, e solo questa chiara coscienza del diritto può venir presa in considerazione. In entrambi i casi la nozione di diritto naturale è radicalmente esclusa.1 Perfino giuristi che vogliono tener conto di tutta la realtà giuridica, ivi compreso il suo contenuto spirituale, formuleranno così la loro posizione: a) il diritto non è in primo luogo una norma, bensì il risultato di una situazione sociale; b) il diritto è l’ordinamento di una comunità concreta, e non il prodotto della costrizione di un potere; c) il diritto è il prodotto di una situazione spirituale concreta, e non il prodotto del caso, né il prodotto eterno della natura o dello spirito.2 È dunque assolutamente incontestabile che si sia potuti arrivare ad una nozione del diritto totalmente impregnata di relativismo. In queste condizioni, l’ordine della società, i diritti riconosciuti all’uomo non sono affatto protetti contro l’arbitrio, e non vi è alcuna ragione per non affidare il compito di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è ad uno Stato onnipotente che stabilirà i criteri da applicare in proposito.3 Di fronte a questa conseguenza di fatto e vissuta ai nostri giorni, vi è dunque una rinascita della teoria del diritto naturale. E, per molti, solo questa teoria potrebbe arginare le conseguenze disastrose del positivismo. Esporremo più avanti perché noi non lo crediamo. Ma fin dall’inizio conviene mettere in rilievo che questo nuovo diritto naturale deve

Sulle diverse scuole giuridiche dall’inizio del sec. XIX cfr. Roubier, Théorie générale du droit, 1946. 2 Per esempio: Wolf, Christentum und Recht (1936). 3 A questo punto arriva, in modo davvero sorprendente, la Scuola normativa, che, per aver voluto fare del diritto una scienza rigorosa, geometrica, finisce per giustificare l’arbitrio dello Stato (Cfr. soprattutto Kelsen, Allgemeine Staatslehre). 1

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