Paolo Zambaldi, Conversando con Baruch

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INTERSEZIONI



Paolo Zambaldi

CONVERSANDO CON BARUCH Spinoza, un filosofo “oltre le religioni”

Prefazione di

Paolo Gamberini sj


© Il Segno dei Gabrielli editori, 2022 Via Cengia 67 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 77255435 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altro senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. ISBN 978-88-6099-483-7 Progetto di copertina Gabrielli editori Stampa

Mediagraf spa (PD), Febbraio 2022


Baruch Spinoza L’occaso, caligine d’oro, barbaglia Sulla finestra. L’assiduo manoscritto Aspetta, già pregno di infinito. Qualcuno costruisce un Dio nella penombra. Un uomo genera un Dio. È un ebreo Di tristi occhi e di pelle olivastra; Il tempo lo trasporta come trascina il fiume Una foglia nell’acqua che discende. Non importa. Il mago insiste e forgia Dio con geometria raffinata; Dalla sua debolezza, dal suo nulla, Seguita a modellare Dio con la parola. Il più generoso amore gli fu largito, L’amore che non chiede di essere amato.*

* J. L. Borges, L’altro, lo stesso, a cura di Domenico Porzio, Mondadori, Milano 1998.



INDICE

PREFAZIONE di Paolo Gamberini sj

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INTRODUZIONE

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PREMESSA STORICA

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I Paesi Bassi e l’Europa nel XVII secolo: breve quadro storico

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Gli ebrei ad Amsterdam

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Baruch Spinoza: la biografia in breve

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Bibliografia delle opere

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Abbreviazioni delle opere di Spinoza nelle citazioni

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Cherem/atto di scomunica emesso nei confronti di Baruch Spinoza

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Conversando con Baruch

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1. L’INCONTRO

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2. PROFETI

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3. GESÙ DI NAZARET

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4. RITI, CULTI, SEGNI, MIRACOLI E “SUPERSTIZIONI”

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5. NATURA, BIBBIA E AMORE DI DIO

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6. DIO

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BIBLIOGRAFIA

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PREFAZIONE di Paolo Gamberini sj

L’atto di scomunica emesso dalle autorità religiose ebraiche il 27 luglio 1656 nei confronti di Baruch Spinoza non può non richiamare alla memoria i numerosi atti di scomunica del Sant’Uffizio della Chiesa cattolica nei confronti di pensatori (per esempio Galileo Galilei) e le recenti dichiarazioni di condanna della Congregazione per la Dottrina della fede nei confronti di teologi cattolici (Jacques Dupuis, Roger Haight e Jon Sobrino, per citarne solo alcuni). Quale è la ragione di queste varie condanne? Sia da parte delle autorità ebraiche di allora sia di quelle cattoliche dei nostri tempi, la questione rimane sempre quella. Più che le singole tesi eretiche che Spinoza avrebbe sostenuto (non credere nell’immortalità dell’anima, nell’identificazione di Dio con la natura, non riconoscere Dio come persona così come la Scrittura rivela), la scomunica vuole prendere a bersaglio una questione più essenziale. Spinoza, e così i teologi cattolici, con il loro pensiero e le loro tesi sono condannati perché non mirano a “riformare” la fede (ebraica o cristiana) ma finiscono per “deformarla”, snaturando così l’essenza stessa del credo. La questione di fondo, quindi, è questa. La lettura che Spinoza fa della fede dei padri e custodita nella Torà porta ad una alterazione della fede biblica. Così pure quei teologi, condannati dalla Congregazione per la dottrina della fede, avendo negato l’unicità salvifica di Gesù Cristo, il senso reale dell’incarnazione di Dio, la resurrezione corporea di Gesù e la conoscibilità della trinità immanente, non hanno solamente contestato alcuni punti della fede cristiana ma ne hanno talmente trasformato la sostanza che questa rischia di andare perduta. 9


C’è da chiedersi a questo punto: ma cosa è mai essenziale nella fede biblica, condivisa da ebrei e cristiani? Non credo che si tratti solo di un modo di leggere la Scrittura. L’ermeneutica biblica ci ha ormai abituati a relativizzare le affermazioni della Scrittura, cioè a porle “in relazione” al contesto in cui vennero scritte e tramandate, e “in relazione” al linguaggio simbolico con cui ogni discorso sull’infinito ha senso. La Bibbia è “vera”, ma non letteralmente vera. Ciò che ancora si presuppone nelle facoltà teologiche, nelle sinagoghe e nelle chiese, è considerare implicitamente il teismo – la concezione di un dio separato dal mondo che interviene negli eventi del mondo – come la forma unica e necessaria della fede biblica. Svestire la Bibbia di questa forma non è trasformare la fede ma deformarla. Se così è, significa che l’impresa ermeneutica, avviata per leggere non letteralmente la Scrittura, si ferma a metà e rischia di naufragare, poiché il metodo con cui si interpreta il contenuto della Bibbia non è applicato al contenente della Bibbia: cioè a quella sua forma culturale che è il teismo. Spinoza, e come lui tanti teologi contemporanei (Roger Lenaers, John Spong e José María Vigil, ed altri) hanno seguito con coerenza questa purificazione ermeneutica della fede. Non tutti, e deve essere detto, hanno seguito Spinoza nella pars costruens ma si sono fermati a criticare il teismo. Tra autori e pensatori “post-teisti”, c’è quasi un’allergia a costruire un nuovo sistema di pensiero in cui comprendere e ridire la fede cristiana. Una certa allergia a tutto ciò che è “sistema” – retaggio forse della contestazione del ’68 e delle riserve della post-modernità verso ogni forma di pensiero dell’intero. Questa resistenza a “costruire” una visione organica entro cui comprendere le novità che da ormai da più di un secolo le scienze storiche e bibliche, le filosofie e le scienze ci stanno offrendo, costituisce un grosso limite per il post-teismo attuale. La lezione di Spinoza non può non incoraggiare a voler intraprendere un percorso costruttivo nell’approccio post-teista alla fede biblica. 10


A questo punto, diventa più evidente che si deve ben distinguere l’essenza della fede biblica dalle forme culturali con cui questa è stata espressa nei secoli. Se questa “essenza” non si identifica con la forma “teista”, significa che un’altra forma la può ben esprimere. Ma qual è, allora, l’essenza della fede cristiana? In ascolto del sistema di Spinoza e di una certa visione “mistica” della scolastica tardo medioevale ed inizi dell’età rinascimentale (per esempio: Tommaso d’Aquino, Meister Eckhart e Nicolò Cusano), ritengo che l’essenza della fede cristiana sia la divinizzazione dell’umano, ovvero l’unione di finito ed infinito, di materia e spirito, di natura e Dio. “L’essenza del Cristianesimo è la divinizzazione dell’uomo”.1 La forma “teista” è una forma di “umanizzazione del divino”, cioè una riduzione del divino in categorie antropomorfiche. L’ermeneutica biblica – a cui si richiama Spinoza e a cui continuamente gli esegeti contemporanei si rifanno – è un continuo svelamento di questa modalità “religiosa” di concepire “Dio”. Ma la fede biblica, e ancor più quella cristiana, è la contestazione di questa modalità religiosa poiché confuta ogni forma di riduzione “troppo umana” del divino. La prospettiva di Spinoza, così come di molti esponenti post-teisti, è di comprendere l’umano (e il creato) senza separarlo da Dio. L’uomo partecipa della vita divina. La divinizzazione del creato è l’essenza della fede biblica e cristiana. Come già Meister Eckhart prima di lui, così anche Spinoza ci invita a porci dal “punto di vista” più adatto a comprendere la vita divina e la sua creatura, cioè dal punto di vista dello sguardo eterno di Dio (sub specie dei). In proposito è illuminante quanto afferma Tommaso d’Aquino nella Quaestio disputata “De Potentia Dei” (q. 13, art. 16, arg. 24). Quando si parla della relazione tra Dio e creato, bisogna porsi da due prospettive distinte. Se si 1 G. Barzaghi, Oltre Dio ovvero omnia in omnibus. Pensieri su Dio, il divino, la deità, Giorgio Barghigiani Editore, Bologna 2000, p. 85.

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comprende Dio come la causa che governa e preserva l’esistenza di una creatura, si presuppone che la sua esistenza sia separata dal creatore: la creatura è da Dio e la creatura si distingue da Dio. Considerato in questo modo, Dio non è la sua essenza creativa. Ma se ci poniamo dalla prospettiva di Dio, la creatura è in Dio come nel potere della sua causa attiva e in colui che la conosce. In questo secondo modo, la creatura è l’essenza stessa di Dio, come afferma Gv 1,3: “Ciò che è stato fatto era la vita in lui”. Creatura in Deo est ipsa essentia divina. Questo modo di considerare la creatura in Dio si avvicina alla visione di Spinoza. Infatti, una delle caratteristiche del suo pensiero è la negazione di una concezione di Dio separato dal mondo, che di volta in volta a sua discrezione ed arbitrio, interviene ora qui ed ora là. Tale è anche la concezione del post-teismo. Si potrebbe obiettare che tale concezione di Dio sia stata già negata dal deismo nell’Illuminismo. Anche per i deisti del XVIII secolo Dio avrebbe creato il mondo, lasciandolo poi alle sue leggi, senza dover più interferire ed intervenire. Il post-teismo si differenzia dal “deismo” e dal “teismo” per il fatto che entrambi o affermano o negano la concezione di Dio come un agente, un “attore” nel mondo. Il post-teismo, invece, sostiene che Dio è “attivo” nel mondo senza esserne attore. Considerare Dio “attore” è ancora comprenderlo un ente tra gli enti. Forse un ente “più” potente (che fa miracoli, si incarna e risorge, crea il mondo e lo giudica) ma sempre alla stregua degli altri enti. Dio è Sommo Ente. Ma Dio non è né “attore” né “inattivo” nel mondo. Dio è Atto Puro, attività assoluta (in greco: ἐνέργεια, energia). Il post-teismo concilia in sé le due esigenze sottese nel teismo (Dio agisce nel mondo) e nel deismo (Dio lascia autonomia al mondo), affermando – come dice Teilhard de Chardin – che Dio fa sì (Atto Puro) che le cose si facciano (autonomia). Le accuse rivolte al post-teismo di essere una riedizione del deismo del XVIII secolo sono dunque infondate. Ciò che contrad12


distingue Spinoza è di aver “costruito” un sistema monista (e non monoteista) in cui il mondo è compreso in Dio, nella sostanza divina: originaria attività creatrice di tutte le cose. È quanto mai “fruttuoso” conversare con autori del passato. Dal passato non impariamo solo “errori” ma la possibilità di continuare ad “errare” – nel senso di camminare – verso una maggiore comprensione del divino in noi e in tutte le cose. Come ricorda Paolo in conversazione con Baruch: “Bisognerebbe ripartire proprio da quei pensatori del passato, e non, che troppo spesso abbiamo deciso di ignorare”.

p. Paolo Gamberini sj ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università del Sacro Cuore di Milano e il dottorato in Teologia presso la Philosophisch–Theologische Hochschule “Sankt Georgen” di Francoforte, in Germania. Membro dell’Associazione Teologica Italiana. Professore associato all’Università di San Francisco (California). Professore di Teologia alla Pontifica Facoltà Teologica San Luigi di Napoli. Autore di numerosi articoli per “La Civiltà Cattolica” e altri periodici, così come di libri, tra cui “Commento alla Dignitatis Humanae”, Serena Noceti – Roberto Repole (a cura di); Pathos e Logos nel pensiero di Abraham J. Heschel, Città Nuova, Roma 2009; Un Dio relazione. Breve manuale di dottrina trinitaria, Città Nuova, Roma 2007; Questo Gesù. Pensare la singolarità di Gesù Cristo, EDB, Bologna 2005

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INTRODUZIONE

La storia della filosofia che viene proposta nei licei spesso lascia un’immagine di percorsi astratti, di figure elitarie e dunque ininfluenti rispetto alla realtà storico/politica del loro e del nostro tempo. Forse ciò accade perché, più o meno consciamente, l’audacia del pensare spaventa gli educatori, dato che spesso decostruisce ciò in cui hanno sempre creduto (o che i più credono), il substrato sul quale poggia la loro stessa esistenza. O forse perché, specie negli ultimi anni, “coltivare la sapienza”, “essere critici”, non è più ritenuto utile, se non addirittura controproducente, nei confronti del “fare cose”, “dell’adeguarsi al pensiero dominante”, “del restare coi piedi per terra”. Dunque, dopo alcuni anni non rimane di quello studio, già dato per perdente, che un vago ricordo e nessuna nostalgia. Di Baruch Spinoza infatti ricordavo solo il nome. E la frase sintesi (!) del suo pensiero Deus sive natura, che sinceramente me lo faceva solo associare a una delle tante visioni e descrizioni di Dio che avevano variamente interessato i filosofi di tutte le epoche, con diversi esiti. Di certo non lo pensavo come una spina nel fianco del “religioso”… Complice un viaggio ad Amsterdam e la visita al quartiere ebraico, nonché il mio nuovo e profondo interesse per un diverso e più consono approccio al divino, ho preso a leggere la sua opera. Mi è stato subito chiaro che avevamo sul tema visioni inaspettatamente coincidenti. Egli infatti rifletteva su molti degli argomenti che mi stavano particolarmente a cuore, che anzi erano diventati parte integrante della mia vita: l’interpretazione della Sacra Scrittura, il ruolo dei profeti nella rivelazione, una rilettura di Dio oltre il teismo, la funzione dei culti, dei dogmi e dei precetti, la straordina15


rietà della figura di Gesù, il senso ultimo e unico dell’essere credenti… Ma quel che più mi importava era il fatto che dava risposte assolutamente di ‘rottura’ rispetto al pensiero religioso del suo tempo (e come cercherò di dimostrare anche del nostro)… ma in linea, in modo stupefacente, con quella teologia che oggi tenta di rifondare una fede “oltre le religioni” e che per farlo sottopone a critica la definizione che di Dio/padre/re abbiamo a lungo accettato. Infatti su di essa è stata costruita “una religiosità” che poggia sull’irrazionalità/superstizione/mitologia che offusca e umilia il ruolo di Dio, rendendolo insignificante per l’uomo sapiente in generale, ma specialmente per l’uomo d’oggi, al quale la scienza ha dato nuove ed esaurienti risposte. Spinoza ritiene che “la ragione”, l’intelletto che ognuno possiede naturalmente, sia il solo strumento utile a liberare la religione dalla superstizione, dalla credulità (cosa, come ben dimostrerà, diversa dalla fede!), dalla magia. E dunque che essa solo potesse rendere l’uomo meno pauroso, meno strumentalizzabile dal potere, più adulto. La paura infatti è un mezzo di coercizione potente… come ben sanno coloro che impongono regimi autoritari o fondamentalismi religiosi. Spinoza rifiuta non Dio, ma il Dio delle religioni, trasformato dall’ingannevole interpretazione della Scritture, in un padre/re/giudice, con caratteristiche umane, inspiegabilmente perfetto ed eterno, trascendente, capriccioso e a tratti persino crudele, un Dio presentato come un idolo da placare con riti e preghiere tramite la necessaria mediazione dei teorici e dei chierici. Il filosofo olandese di conseguenza rifiuta un’idea di salvezza che passi attraverso l’obbedienza alla Legge, ai suoi precetti, ai suoi riti, ai suoi culti, legittimati dall’ignoranza del volgo e da una lettura del divino priva di verità. Egli descrive Dio come un Dio che semplicemente “è” e fa essere l’universo. È sostanza eterna e perfetta, che non sta “sopra” o “fuori” dal mondo ma che è “nel mondo”. La 16


sua onnipotenza non è “potere” sul mondo ma è “l’essere in potenza” tutto ciò che esiste. Lui è in noi e noi in lui. Il suo affetto per noi non è personale, non è un sentimento, ma consiste nel fatto che egli rende possibile “il tutto”. La sua conoscibilità è il suo dono, il nostro sommo bene. Da questa visione derivano alcune conseguenze importanti. La prima è che per Baruch l’uomo non è più il centro dell’universo. Egli non domina più la Natura perché egli stesso è Natura e non c’è differenza, tra le due realtà, in quanto ambedue sono espressione o modo dell’unica sostanza Dio. Dio dunque, essendo presente in tutto, colma la differenza tra spirito e materia, tra estensione e pensiero, tra immanenza e trascendenza. Anche se il suo Dio non è, come molti fraintendono, coincidente con la Natura (panteismo) ma ne è l’essenza, la ragione, la forza vitale. La seconda è che l’uomo, la Natura e Dio stesso non sono liberi, non hanno un fine da raggiungere, semplicemente agiscono e si realizzano secondo una concatenazione di cause necessarie e immodificabili, cosa che la fisica moderna continuamente ribadisce. Dunque il miracolo non esiste e il mistero è tale finché non scopriamo l’origine degli accadimenti. Molto di quanto afferma Spinoza si è confermato straordinariamente vero nel corso dei secoli. Infatti, le scoperte della scienza (antropologia, cosmologia, fisica, psicologia) non fanno che dar credito al suo pensiero. La conseguente evoluzione dei valori e dei paradigmi esistenziali ha fatto sì che certe visioni religiose risultino obsolete, false, che certi dogmi non siano più sostenibili alla luce dell’evoluzione della conoscenza. Per questo abbiamo assistito ad un allontanamento dalle religioni da parte dei paesi più progrediti e non per colpa del mondo (che il mondo c’è sempre stato!), ma per colpa delle chiese che pretenderebbero di imporre una lettura e un’interpretazione dei testi sacri forse accettabili nel primo millennio, in un contesto agricolo pastorale, prescientifico, dunque adatte a un’umanità impaurita, bisognosa di rassicurazioni, di spiegazioni, di protezioni… 17


Non è dunque il mondo ad essere diventato irreligioso, sono le religioni che si rifiutano di includere “il mondo”, preferendo sparire piuttosto che cambiare, timorose forse di perdere il potere di cui hanno goduto nei secoli. Detto ciò, questo mio breve, immaginario incontro, col pensatore olandese non vuol essere uno studio su Spinoza, che ne sono stati scritti tanti e sicuramente più accurati del mio, ma uno strumento accessibile a molti, per confrontarsi, pensare in modo politicamente/religiosamente scorretto, lasciarsi provocare e destabilizzare senza paura. Consci che la verità rimane tale per sempre, e che ciò che non è costruito sulla verità, prima o poi scompare.

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