Benedetto Calati. Il monaco della libertà

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Benedetto Calati Il monaco della libertà Un’intervista nascosta di Innocenzo Gargano e Filippo Gentiloni al monaco camaldolese a cura di

Raniero La Valle Prefazione di

Alessandro Barban

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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2019 Via Cengia 67 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altro senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. ISBN 978-88-6099-392-2 Stampa

MIG srl (Bologna), luglio 2019 In copertina p. Benedetto Calati, foto di proprietà di Raniero La Valle


Al discepolo che rimane Gv 21,23



INDICE

Prefazione - Il ’900 di Benedetto Calati di Alessandro Barban

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Introduzione - Paternità, esodo e amore di Raniero La Valle

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1. Il tema della paternità

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2. Il tema dell’esodo

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3. Il tema della donna e dell’amore

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conversazione con don innocenzo gargano e filippo gentiloni, svoltasi a roma, a san gregorio al celio, il

25 gennaio 1994 43

Volevano farmi fare il falegname

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La povertà

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La fuga in treno

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La distanza Arezzo-Taranto

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Ciò che don Anselmo aveva capito

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La scoperta degli Annali

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I tre beni: cenobio, eremo, vita apostolica

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Brasile, andata e ritorno

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L’unione tra cenobiti e eremiti

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Arriva Montini

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La lunga preparazione

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La donna le amicizie la povertà

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La Lectio divina

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Un nuovo inizio

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L’avvento del Concilio

84

La liturgia ristruttura la Chiesa

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Il Concilio disatteso

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Il giudizio sulla DC

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Il ’68 e il Vietnam

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Ripensare il carisma petrino

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Una mistica astorica

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Il rapporto tra le fedi

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Obbedienza alla coscienza

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Con quale Antico Testamento

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Benedetto è un simbolo metastorico

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L’amicizia, l’amore, il celibato

126

Il discepolo che rimane

129

A che cosa la Chiesa dovrebbe educare

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La resurrezione è nella carne, la mistica dei sensi, la totalità della persona

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Prefazione Il ’900 di Benedetto Calati di Alessandro Barban

La figura di p. Benedetto Calati (Priore di Camaldoli e Priore Generale dal 1969 al 1987) ha caratterizzato la comunità monastica di Camaldoli negli anni post-conciliari: come una comunità ispirata dal Concilio Vaticano II, orientata all’incontro ecumenico cristiano e interreligioso, e aperta ad una lettura della storia e della chiesa attraverso la Parola di Dio. La Conversazione del 25 gennaio 1994 – che si può leggere in questo testo – è per certi versi eccezionale. Era stata pensata come una vera e propria intervista da Innocenzo Gargano e da Filippo Gentiloni all’indomani della conclusione del suo servizio come Priore Generale della nostra Congregazione monastica e sulla scia degli Itinerari e Incontri, che allora si organizzavano all’eremo di Monte Giove. Si tratta di una sintesi significativa del suo percorso esistenziale, degli eventi civili e ecclesiali che ha incrociato e vissuto, ma ancor di più del suo cammino monastico. Bisogna stare attenti a leggere questo dialogo serrato tra domande e risposte, perché i riferimenti biografici e le spiegazioni immediate di tante vicende e passaggi, che potrebbero suscitare una certa curiosità, in realtà sono delle interpretazioni di senso di ciò che p. Benedetto ha vissuto in prima persona. Mentre i suoi interlocutori sono spesso motivati a ricostruire la cronaca della sua vita e a comprendere di più la parabola che ne usciva, egli tenta sempre con le sue risposte di superare l’orizzonte di un indistinto fluire 9


di date, personaggi e fatti per coglierne un senso a volte più profondo, altre volte più dilatato. Si dimostra discepolo di S. Agostino e soprattutto di S. Gregorio magno e del suo metodo: che la storia non bisogna subirla, quasi in modo fatalistico o spiritualistico, ma viverla escatologicamente dal di dentro orientandola con le proprie visioni, idee, e le proprie scelte alla luce del paradigma biblico. Emerge continuamente questo paradigma interpretativo: la Bibbia, l’esegesi gregoriana della storia, l’ermeneutica della carità/ libertà. Benedetto Calati è stato un uomo del Novecento (secolo delle guerre mondiali?, delle ideologie forti?, delle masse?, secolo breve? della modernità?, del tardo-capitalismo?), e come sostengo ormai da alcuni anni con lui si è chiuso il ’900 camaldolese. L’intervista rievoca – pur menzionando le svolte della sua esistenza – alcuni scenari di questo secolo e racconta l’intreccio tra il ’900 storico e il ’900 camaldolese (e mi scuso col curatore del volume, che indica un’altra scansione temporale, ma a me preme tenere presente l’intreccio inequivocabile di questo ’900, di storia e di vita personale): 1. Benedetto nasce nel 1914 proprio quando comincia sul serio il ‘900, il primo periodo va dagli anni ’20 agli anni ’40, il tempo della sua giovinezza, del suo arrivo a Camaldoli (entrata in noviziato 1 luglio 1930), del ventennio fascista, dei pontificati di Pio XI e di Pio XII, dell’antimodernismo e della imperante teologia scolastica, della chiusura della fondazione del Brasile nel 1926, dell’apertura a Camaldoli della foresteria nel 1934, e dell’accorpamento della Congregazione cenobitica agli Eremiti di Toscana nel 1935, la conoscenza di mons. Montini e di p. Cordovani, e dal 1938 a Fonte Avellana come bibliotecario e maestro dei monaci studenti; 2. il secondo scenario riguarda il periodo degli anni ’50, 10


quando si trova a Roma al monastero di S. Gregorio al Celio, ed entra in contatto con Felice Balbo e il suo gruppo di dialogo e di ricerca sull’uomo, sulla politica, sull’economia e sulla situazione della Chiesa nel mondo. Si tratta di una vera e propria svolta nella sua vita monastica: dall’isolamento di Fonte Avellana alla vivacità culturale della città di Roma, dall’insegnamento nello studentato camaldolese a quello accademico dell’Ateneo di S. Anselmo; dai suoi studi condotti in solitudine alla condivisione di molte sue intuizioni con nuovi ed inaspettati interlocutori che diverranno dei veri e propri amici; dalla realtà monastica clericale camaldolese alquanto chiusa in se stessa con i suoi dibattiti infiniti tra vita ascetico-eremitica e apertura e servizio all’interno della chiesa, al mondo laico della società italiana di quel tempo; 3. il terzo scenario si dà negli anni ’60 con lo stile nuovo del pontificato di Giovanni XXIII che riflette nella chiesa come mai prima sulla pace del mondo e propone il ritorno alle fonti (Bibbia, Padri), l’apertura ecumenica e il dialogo col mondo del Concilio Vaticano II; il pontificato di Paolo VI che portava a termine il Concilio stesso e iniziava i viaggi all’estero; la conoscenza di H. De Lubac e le amicizie con Dossetti, Turoldo, Balducci, La Valle, Paolo Prodi, Giuseppe Alberigo e tanti altri. Per Benedetto tante intuizioni precedentemente rimaste semplicemente delle idee diventano in questi anni proposte concrete da realizzare; 4. il quarto scenario è formato dagli anni immediati del post-concilio, gli anni ’70 e ’80, nei quali viene eletto Priore generale e ritornerà a Camaldoli guidando la Congregazione per 18 anni. E poi l’ultimo decennio, gli anni ’90, prima di morire nel 2000. Si può discutere se quest’ultimo periodo sia veramente una seconda svolta nella sua vita di uomo e di monaco, o si tratti invece di una maturazione compiuta di quell’orientamento esistenziale e spirituale intrapreso negli anni ’50 e ’60. In definitiva maturazione di cosa? Ha 11


ragione Raniero La Valle, che ha curato la pubblicazione di questa Conversazione, nell’interpretare la vita di Benedetto Calati come un esodo dalla soggezione alla libertà, all’amicizia e all’amore, che diventa la chiave ermeneutica di tutto. E lo descrive come monaco della libertà: dalla legge, dall’istituzione, dalla lettera, dalla paura della donna e del dialogo, da una mistica senza la storia. Libertà evangelica della propria coscienza! Se si osserva un’immagine degli ultimi anni del suo Generalato, dove si può constatare l’uomo maturo di fede e intravedere la sua anima che viene da lontano ma giovane, si rimane ancora colpiti dal suo volto serio ma anche dalle sue rughe e dalle tante pieghe del suo volto che rivelano una inquietudine di non aver vissuto ancora abbastanza. E i suoi occhi, che connotano uno sguardo amicale ma forte, che ti interrogano, che ti prendono, ti scavano, ti provocano, ti amano, ti perdonano, ti sollecitano… Sono occhi di lotta che non stanno fermi, non si arrendono, che non guardano indietro con nostalgia, occhi provati dalla vita e dalla storia, occhi aperti verso il volto dell’altro/a e verso il domani del mondo. Occhi vivi, brillanti, curiosi, indomiti, che ti fanno uscire da te stesso… I suoi occhi erano delle finestre sulla realtà… no delle porte, delle uscite di sicurezza da ogni strettoia e chiusura! Questa Conversazione in tanti passaggi salienti è un lascito della sua vita diventata ermeneutica monastica, ma anche consegna profetica ancora forse da adempiere. Alessandro Barban Priore Generale dei Camaldolesi

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Introduzione PATERNITÀ, ESODO E AMORE Raniero La Valle

Il testo che qui pubblichiamo è il resoconto stenografico di una straordinaria conversazione che il monaco padre Benedetto Calati, che per diciotto anni era stato il Priore generale della Congregazione degli eremiti camaldolesi, ebbe il 25 gennaio 1994 nella sua cella di san Gregorio al Celio a Roma con due amici che lo interrogavano per carpirgli il segreto della sua vita. I due amici erano un suo giovane confratello e discepolo, don Innocenzo Gargano, e uno scrittore appartenente a una famiglia di alte tradizioni religiose, Filippo Gentiloni, che di queste cose scriveva, come “informatore religioso”, sul “Manifesto”. Padre Benedetto era nato nel 1914, perciò quando rilasciò questa intervista aveva ottant’anni, la maggior parte dei quali passati tra la cella, il coro e la biblioteca; la sua vita era stata un libro aperto, ma pochi veramente la conoscevano per il mistero che ciascuno racchiude e che quasi sempre è la sua parte migliore, e anche per la sua discrezione con la quale intendeva tutelare la libertà degli altri per cui, da maestro spirituale o Superiore, si fermava sulla soglia della loro coscienza e della loro cella; e un po’ anche perché i monaci, tra loro, non sono quelli che si conoscono di più. Pertanto c’era molto da capire di ciò che padre Benedetto era stato, non tanto nel lineare svolgimento del suo itinerario monastico, quanto nelle sue motivazioni più profonde, nei suoi pensieri più riposti, nella sua identità più 13


genuina. I due amici ebbero la capacità di far venire fuori le perle da quello scrigno, e Benedetto ebbe l’umiltà di farsi perlustrare, di aprirsi allo sguardo di chi lo interrogava, nel solo contesto che ciò rendeva possibile, che era quello dell’amicizia. Abbiamo corso il rischio che questo prezioso testo andasse perduto. Mal trascritto da una registrazione magnetica, mi era stato dato perché ne correggessi gli errori, in modo da renderlo eventualmente disponibile, ma poi finì nel cumulo dei lavori da fare, e lì si nascose. Riapparve dopo più di vent’anni, quando mi chiesero di parlare di padre Benedetto in un convegno a lui dedicato a Fonte Avellana, e poi in un Incontro a Camaldoli volto a interrogare il futuro, visto nel rischio che un uomo “potenziato” con la sua intelligenza artificiale soppiantasse l’uomo e la donna reali. Perciò ricercai quelle vecchie carte che anche per me furono una rivelazione, anzi una sorpresa. Nel frattempo Padre Benedetto era morto, e molto si era scritto di lui; ma mi resi conto che non se ne poteva considerare esaurito il discorso e che di padre Benedetto non si poteva archiviare l’eredità come se fosse in se stessa conclusa; non c’è un lascito oggettivo che, una volta ricevuto, si possa mettere e dimenticare negli scaffali dell’Antica Farmacia. Si potrebbe dire che la Parola vivente che è stata la sua vita più la si legge, più “cresce con chi la legge”, come lui diceva della Parola di Dio citando il famoso aforisma di san Gregorio Magno. E proprio lui, che poteva apparire un uomo del passato, parlava del futuro, il vero uomo “potenziato” era quello preconizzato da lui. Ciò che risultava, da quelle carte, dopo aver preso atto di tutto il resto, è che la vita di padre Benedetto era stata vissuta come un esodo. L’esodo vuol dire lasciare la condizione presente e andare verso un futuro ignoto. L’esodo comporta che il futuro non lo si improvvisi, ma lo si costruisca 14


con enorme cura, senza fermarsi per paura, senza correre alla rovina per azzardo. L’esodo è stato il luogo in cui lui è sempre stato, il suo locus theologicus. Si direbbe, data la sua condizione monastica, che il suo luogo, la sua modalità di vita fosse la stabilità, e invece è stata l’instabilità, il movimento, spesso impercettibile, ma continuo e inarrestabile, fino alla fine della sua vita. Il suo non è stato un lungo permanere, ma è stato un lungo andare, una vita in condizioni di esodo, vissuta con una coscienza da esilio, come in attesa di un altrove. E l’altra evidenza, al ripercorrere quella vita, è che essa, vissuta nell’obbedienza, era stata tutta un cammino di libertà. Ed è in forza di questo cammino di esodo e di libertà che alla fine egli non ha lasciato solo una memoria, ma ha aperto degli squarci sul futuro che potrebbero propiziare risposte decisive sul mondo e la Chiesa che stiamo costruendo, sul mondo e la Chiesa di domani. Occorre pertanto sviluppare questo tema dell’esodo, e il tema della libertà. Ma c’è un altro tema che lo precede, ed è quello della paternità.

1 il tema della paternità

Padre è infatti il primo e globale titolo con cui Benedetto può essere definito. Personalmente io l’ho subito percepito come padre. Quando, nei primi anni ’50, poco più che ventenne, ho conosciuto padre Benedetto che sedeva nel coro di san Gregorio al Celio a Roma, il padre l’avevo perduto ormai fin da bambino, e subito riconobbi Benedetto come il vero nuovo padre che la vita mi aveva dato dopo la perdita del mio. 15


Ma se questa paternità è stata l’esperienza più forte di ciò che padre Benedetto è stato per me, credo di poter dire che è stata l’esperienza anche di moltissime altre persone, monaci e non monaci, che in padre Benedetto hanno avuto un padre, e non un “padre spirituale” come egli non ha mai voluto essere per timore di invadere la sfera della coscienza altrui, ma un padre vero, che nei figli e nelle figlie vedeva uomini e donne interi d’anima e di carne. Ed era un padre talmente buono che alla sua morte una delle sue discepole, Maria Cristina Bartolomei, disse: se padre Benedetto era così buono, figuriamoci come deve essere Dio. Padre Benedetto era un padre buono, perché perdonava sempre. Io per esempio l’avevo preso come confessore, ma poi ho smesso di confessarmi da lui, perché mi diceva sempre che avevo ragione. Ed era un padre buono, perché benediceva ogni amore. Per esempio l’amore tra il biblista Giuseppe Barbaglio e Carla Busato, che aveva cominciato un suo percorso alla Cittadella di Assisi, un amore visto con ovvia contrarietà alla Cittadella, l’ha benedetto lui e poi l’ha consacrato nel matrimonio, che è stato un bellissimo matrimonio. 2 il tema dell’esodo

Riguardo al tema dell’esodo la prima cosa da dire è che la vita in esodo, cioè in continua uscita, di padre Benedetto, corrisponde in modo sorprendente alla Chiesa in uscita di papa Francesco. Io credo che Benedetto abbia anticipato in molte cose questo momento magico che la Chiesa sta vivendo col pontificato di papa Francesco. Benedetto ha vissuto in anticipo il messaggio radicale della Chiesa in usci16


ta di papa Francesco; e lo dico perché mentre ancora non sappiamo come andrà a finire questa Chiesa in uscita di Francesco, così tormentata com’è e in se stessa divisa, invece sappiamo com’è andata la vita in uscita di padre Benedetto, una vita vissuta in perfetta pace, con una coscienza indivisa; e forse da come è stata la vita di padre Benedetto possiamo immaginare e sperare che così sarà ricomposta la Chiesa in uscita voluta da papa Francesco. Ma di che uscita si tratta? Uscire, d’accordo, ma da dove? L’uscita di padre Benedetto è stata tutta un percorso dalla soggezione alla libertà. Nell’esodo si parte da una terra per raggiungerne un’altra, si esce da una condizione per guadagnarne un’altra. In questo esodo di padre Benedetto e speriamo domani della Chiesa intera, c’è un’uscita da una condizione di cattività, ossia di prigionia, di obbedienza, di letteralismo legalistico o biblico, per l’approdo a una condizione di libertà. Niente di strano in ciò: si può dire che la libertà è il paradigma stesso del Vangelo. Ma certo non è facile. È molto importante però che la libertà si trovi alla fine del percorso di padre Benedetto e non al suo inizio. Certamente egli era un uomo libero, è stato un maestro della libertà di coscienza. Ma questa libertà non è un dato, è una conquista, arriva attraverso un lunghissimo travaglio, attraverso aneliti e paure, di esperienza in esperienza, di lettura in lettura e, trattandosi di Benedetto discepolo di san Gregorio, vorrei dire di Padre in Padre, di Scrittura in Scrittura. Attraverso questo itinerario padre Benedetto ha perseguito la libertà. Attraverso questi passaggi delicati e difficili, il cammino di padre Benedetto è stato un cammino ascendente attraverso quelle che Dietrich Bonhoeffer ha chiamato, dal carcere di Tegel dove era rinchiuso, «stazioni sulla via della libertà». Per Bonhoeffer quelle stazioni 17


erano: disciplina, sofferenza, azione e infine la visione oltre la morte. Padre Benedetto si è soffermato a lungo nella stazione della disciplina, ha resistito nella stazione della sofferenza, ma quando è giunto alla stazione dell’azione davvero si può dire, con Bonhoeffer, che abbia «fatto ed osato non il qualsiasi ma il giusto e non sia rimasto ad ondeggiare nel possibile, ma abbia afferrato ardito il reale», sempre nella visione che certo oltrepassava la morte. Possiamo mettere dei nomi a queste stazioni sulla via della libertà, e ogni nome è un capitolo di storia, della sua storia: la povertà di Pulsano, il suo paese natale; la durezza dei monasteri e dell’eremo; la disciplina di vent’anni in biblioteche mai prima frequentate, per la lettura autodidatta dei testi, e poi Roma, san Gregorio, la scoperta della storia e del pensiero politico, l’insegnamento universitario, il Concilio, le amicizie non convenzionali, e infine la libertà da qualunque soggezione, anche monastica o religiosa, che non fosse veicolo alla pedagogia della fede, all’immersione nella storia salvifica in atto. continua...


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