La logica del bene comune - A cura di Riccardo Milano, prefazione di Stefano Zamagni

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LA LOGICA DEL BENE COMUNE Coscienza, memoria, responsabilità, dialogo Nuova edizione commentata dell’opera di Antonio Genovesi

La Logica per i giovanetti

a cura di Riccardo Milano

Prefazione

Stefano Zamagni Saggi introduttivi

Francesca Dal Degan Roberto Mancini Lucio D’Alessandro addenda

Luigi Ricciardi


La pubblicazione del presente volume è realizzata con il Patrocinio di Presidenza del Consiglio Regionale della Campania Osservatorio Regionale per lo studio, la ricerca e la promozione dell’Economia Civile Fondazione Banco di Napoli Banca Etica Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli Università per la Pace delle Marche Scuola di Economia Trasformativa Delegazione Regionale Caritas Campania Comune di Castiglione del Genovesi Centro di Cultura per lo Sviluppo “Giuseppe Lazzati” A.P.S. Taranto Movimento Cattolico Mondiale per il Clima

© Il Segno dei Gabrielli editori, 2020 Via Cengia, 67 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altro senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. ISBN 978-88-6099-439-4 Stampa: Esperia srl - Lavis (TN), Dicembre 2020 In copertina: Stampa napoletana del ,700 con vista dal quartiere Santa Lucia del Castel S. Elmo e della Certosa di S. Martino.


Indice GENERALE

Presentazione

On. Gennaro Oliviero Prefazione

Stefano Zamagni Antonio Genovesi: natura, sapere pubblico e relazioni Francesca Dal Degan Antonio Genovesi e la logica della vita Roberto Mancini

VII IX XV XXV

Un sapere al servizio della vita Lucio d’Alessandro

XXXIII

Dalle parole alle cose

XXXIII

L’intellettuale pubblico e il riformatore

XXXVI

L'uomo di scuola e la «logichetta»

Appunti per una “provvisoria conclusione”

Antonio Genovesi: la sua vita, la scuola e la sapienza. La sua vita di insegnante e la sua “Logichetta” Riccardo Milano

XL XLVII

LI

La sua vita La scuola e la sapienza La sua vita da insegnante La sua “Logichetta”

LI LV LVIII LX

Bibliografia su Antonio Genovesi

LXIII

Nota di edizione al testo Riccardo Milano

LXVII


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LA LOGICA DEL BENE COMUNE

La Logica per i giovanetti del sig. abbate Antonio Genovesi

1

A Sua Eccellenza Don Ferdinando Caracciolo

3

Al gentile leggitore e amante di sapere

6

Indice dei capitoli che si contengono in quest'opera

13

Della logica, o sia dell’arte di pensare, ragionare, e disputare Proemio

17

Libro I - Dell’Emendatrice

19

Libro II - Dell’Inventrice

49

Libro III - Della Giudicatrice

83

Libro IV - Dell’arte Ragionatrice

129

Libro V - Dell’Ordinatrice

183

Addenda

Un illuminismo ultramoderno. Attualità di Genovesi educatore Luigi Ricciardi

239

Genovesi illuminista

239

Un illuminismo oltre-moderno

243

Coltivare la ragione

252

Un illuminismo ultramoderno

259

Opere menzionate direttamente o di riferimento nel libro, con particolare attenzione ai testi coevi alla scrittura e pubblicazione

261

Gli autori 267 Indice dEi nomi 269 Ringraziamenti 277


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Presentazione

La Presidenza del Consiglio della Regione Campania, fin dal suo insediamento, ha inteso proseguire la strada intrapresa nel 2018 con la nascita dell’Osservatorio per lo studio, la ricerca e la promozione dell’economia civile nel territorio campano. Una opportunità, uno strumento di lavoro e una occasione di approfondimento che porta all’attenzione delle comunità di riferimento le nuove ricerche e le diverse prospettive dei modelli economici, sociali ed etici emersi a livello globale. Una necessità avvertita e resa, oggi, ancora più importante ed urgente per la crisi pandemica che ha colpito e scosso il mondo intero. Uno spunto importante di economia civile emerge forte dall’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, soprattutto in relazione all’agenda ONU del 2030. L’enciclica ci dà un messaggio pastorale importante: «La terra è ferita, serve una conversione ecologica». Papa Francesco impegna così i cattolici a proseguire nel percorso di riconversione alla “ecologia integrale”, nella interdipendenza tra ambiente e società, tra la natura e le persone. Come i suoi predecessori, in primis Papa Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris, Papa Francesco rivolge il suo messaggio non solo al “mondo cattolico” ma «a tutti gli uomini di buona volontà», a «ogni persona che abita questo pianeta», per «entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune». È in questa linea di pensiero che la Presidenza del Consiglio Regionale ha inteso calarsi, patrocinando e promuovendo la nuova edizione dell’opera commentata di Antonio Genovesi La Logica del bene comune curata con grande professionalità dal professor Riccardo Milano. Antonio Genovesi, riconosciuto come un maestro della scuola di economia nella seconda metà del Settecento, fondatore della prima cattedra di economia in Europa e di “Commercio e Meccanica” nel mondo, con sede a Napoli, ha inaugurato la prima stagione del pensiero economico in Italia. Come spiega il professor Roberto Mancini, la modernità del pensiero di Genovesi rappresenta una guida importante per orientarsi nella vita e nell’economia dei tempi moderni.


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LA LOGICA DEL BENE COMUNE

Il volume, che la casa editrice Gabrielli ha curato con attenzione, rappresenta per l’Osservatorio regionale un importante strumento di ricerca e di azione da promuovere, in Italia ed in Europa, fra i giovani e gli operatori economici in qualsiasi campo produttivo. Il mio ringraziamento va alla coordinatrice Nadia Caragliano e a tutti i componenti del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio per il prezioso lavoro collegiale e lo spirito di abnegazione prodotto nel condurre a realizzazione questa importante opera di studio e promozione territoriale. Il Presidente del Consiglio Regionale della Campania On. Gennaro Oliviero


Stefano Zamagni

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PREFAZIONE Stefano Zamagni

La Logica per i giovanetti è un’autentica ispiera – il raggio di luce che penetrando da una fessura in un ambiente in ombra, lo illumina rendendo visibile ciò che in esso staziona. Sollecitato ripetutamente dal giovane nobiluomo Ferdinando Caracciolo, Antonio Genovesi si induce a scrivere questo testo che, ancora per tanto tempo, sarebbe rimasto sconosciuto ai più se l’acume intellettuale di Mimmo Amalfitano e l’impegno intelligente e generoso di Riccardo Milano non l’avessero tratto fuori dall’immeritato oblio. Quello che il lettore ha ora per mano è un libro, ad un tempo, originale, sorprendente e culturalmente intrigante. Originale, perché affronta in modo diretto e metodologicamente robusto la grande questione di cosa significhi educare. La platea alla quale l’A. si rivolge include potenzialmente tutti, anche se è ai giovani, desiderosi non tanto di acquisire competenze quanto piuttosto di conoscere il senso dell’apprendere, che intende indirizzare specificamente la sua parola. Educare significa riconoscere nella persona un’eccedenza rispetto al puro e semplice addestramento di cui sono passibili anche gli animali. È bensì vero che l’animale apprende in modo funzionale al bisogno e pure l’uomo lo fa ma, a differenza dell’animale, esprime qualcosa che va oltre il perimetro della strumentalità. È per questo che l’educazione non può essere ridotta alla mera istruzione: essa, infatti, è ultimamente finalizzata alla manifestazione della libertà. La persona è libera perché sa riconoscere il bene e volgersi verso esso. Sorprendente, perché siamo di fronte ad un volume che giunge a compimento dopo che il suo A. aveva pubblicato l’ormai ben noto Lezioni di Economia Civile (1765) e dopo parecchi anni di insegnamento del corso di Economia Civile presso l’Ateneo napoletano a partire dal 1753, anno in cui venne istituita la prima cattedra universitaria al mondo di economia. Si possono afferrare le ragioni di un tale “salto” se si leggono con attenzione le pagine del Proemio, significativamente titolato “Della logica, o sia dell’arte di pensare, ragionare e disputare”. Si scoprirà che l’intento primo di Genovesi è quello di far comprendere che è la ragionevolezza, non la razionalità, l’obiettivo che un progetto edu-


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cativo deve perseguire. Se la logica è l’arte – non dunque una tecnica di pensiero – di conoscere il vero e il falso, di ordinare i pensieri, di adattarli all’uso della vita, allora essa è un abito e se è un abito si acquisisce solamente con l’esercizio. Alla razionalità – scrive il Nostro – bastano le regole del calcolo logico; per la ragionevolezza occorre la pratica delle virtù. La ragionevolezza è pertanto espressione di saggezza e non solo di abilità intellettuale. Culturalmente intrigante. Il Libro I (“Dell’emendatrice”) e il Libro II (“Dell’inventrice”) trattano della natura umana e delle sue facoltà, prima fra tutte di come opera la mente umana. Come si legge nel testo, “Non si pensa senza sentire” quanto a significare che la sensazione è la prima fonte dell’intelletto e il luogo primo dove prendono forma le idee. Di speciale interesse è l’elogio della disciplina nel processo educativo che Genovesi tratteggia in modo estremamente chiaro e deciso. È questo un tema che in tempi recenti è stato ripreso con forza dal filosofo e teologo tedesco Bernhard Bueb nel suo Elogio della disciplina (Rizzoli, Milano, 2007), dove si argomenta che i giovani hanno diritto alla disciplina. Genovesi ci ricorda che educare significa esercitare un’autorità (nel senso di auctoritas e non di potestas). Tre, e non una, sono le grandi relazioni di autorità che possono stabilirsi tra maestro (da magis-ter, chi è più tra due) e discepolo. Nella prima, il maestro, “annienta” l’allievo, psicologicamente, se non fisicamente. Un tipo di relazione questo che inizia con Pitagora, che non esita a far annegare il suo migliore allievo accusato di averlo tradito divulgando pubblicamente il segreto dei numeri irrazionali. Una seconda specie di relazione è quella dell’allievo che “distrugge” il maestro per sostituirlo. A Praga un mendicante si presenta alla porta del più grande astronomo del tempo, Tycho Brahe. Dopo avergli offerto ospitalità, Brahe si rende conto che il ragazzo è particolarmente dotato per la matematica e lo fa suo assistente. Poco prima della sua morte, il maestro capisce che Keplero distruggerà l’intera sua opera. Genovesi ci indica che vi è un terzo tipo di relazione che è possibile realizzare: quella di reciprocità tra docente e discente. La reciprocità, invero, è un dare senza perdere e un prendere senza togliere. È per questo che tale relazione, che è generativa, è destinata a rafforzarsi con l’andare del tempo, nonostante le difficoltà e le momentanee interruzioni. I Libri III (“Della giudicatrice”) e IV (“Dell’arte ragionatrice”) sono un autentico pezzo di bravura epistemologica. Vi vengono esposte e giustificate le regole di metodo che si devono rispettare se si vuole giungere con successo alla pratica dell’arte dell’argomentazione veritativa e della “disputatio” efficace. In grande anticipo sugli sviluppi successivi


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di filosofia della scienza, il Nostro insiste sulla circostanza che il problema del rapporto tra conoscenza e valori – vale a dire del rapporto tra ricerca della verità e perseguimento di comportamenti eticamente retti – mai potrà trovare soluzione restando ancorati ad un paradigma che, come quello cartesiano, accoglie il dogma della avalutatività della conoscenza scientifica. L’implicazione più rilevante sul piano paidetico è che l’educazione non è un “metter dentro” ma, come suggerisce l’etimo latino, un “tirar fuori”. Mentre l’istruzione è un processo controllato dal soggetto medesimo che è in formazione, l’educazione è un processo in cui qualcuno sempre agisce su qualcun altro. Riecheggia in questa parte dell’opera genovesiana quel che il Poeta esprime, con insuperabile lucidità, nella terzina de L’Inferno: «E poi che la sua mano nella mia puose / con lieto volto, ond’io mi confortai / mi mise dentro a le segrete cose». (III, 19-21). L’educazione è una mano che si pone su un’altra mano, non dunque un’idea o un vago richiamo. È questo gesto che dà conforto e forza a chi deve iniziare il viaggio della vita per giungere alle “segrete cose”. Ogni inizio di viaggio, infatti, incute timore e perfino paura. Un progetto educativo manca il suo obiettivo se si limita a preoccuparsi dei mezzi e non anche, anzi soprattutto, ad alimentare la speranza. Dare speranza al giovane significa renderlo capace di appassionarsi, di desiderare. E il giovane capace di passione è lo stesso giovane capace di azione. Perché, sorge spontanea la domanda, c’è bisogno di dare speranza – la “virtù bambina” secondo la felice espressione di Charles Peguy? Perché ogniqualvolta vi sia una decisione da prendere nasce un dubbio, e il dubbio può “pietrificare”, come bene illustra la storia della testa di Medusa: tagliare (de-cidere) la testa è quanto necessario fare per non restare paralizzati. Ora, fintanto che l’indecisione riguarda la scelta del mezzo più conveniente per raggiungere lo scopo, la ragione, assistita dalla tecnica, è in grado di sbloccare la situazione. Come l’apologo dell’asino di Buridano insegna, se l’animale, posto di fronte a due mucchi equivalenti di fieno, avesse fatto ricorso ai canoni della razionalità (strumentale), non si sarebbe certo lasciato morire di fame per la sua incapacità di decidere. Altro però è il caso quando il problema oggetto di scelta riguarda i fini stessi dell’azione. In situazioni del genere, quando cioè si tratta di decidersi tra fini alternativi, la ragione e il ricorso alla tèchne non sono più un rimedio sicuro alla paralisi; anzi, possono aggravarla. A ben considerare, è qui la radice dell’attuale “disagio di civiltà”, per usare un’espressione che fa riferimento ad una celebre opera di Freud. L’intelligenza, infatti, anziché permetterci di confrontare e poi scegliere, tra le varie opzioni, la migliore, risulta paralizzante. A differenza


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dei loro antenati che non dovevano scegliere continuamente perché ben pochi erano i gradi di libertà, i giovani d’oggi sono sottoposti a decisioni continue che riguardano, virtualmente, tutti gli ambiti della vita: la scelta professionale; i rapporti affettivi; la politica; l’inserimento nella società civile. È tale situazione a creare il cosiddetto paradosso della scelta: quando parliamo di scelta sembriamo riferirci a uno spazio di libertà, ma al tempo stesso siamo sempre più costretti a scegliere. La scelta, situazione che postula libertà, diventa una sorta di necessità, perché non possiamo non scegliere; d’altro canto, il non scegliere è esso stesso una scelta. Ebbene, quando il problema della scelta consiste nel decidere tra mezzi alternativi per raggiungere un determinato fine – quando, cioè, in termini kantiani, la domanda che attende risposta è del tipo “che cosa devo fare per ottenere ciò che voglio” – il ricorso alla ragion tecnica è di per sé sufficiente. Ad essa chiediamo l’algoritmo risolutivo. Ma quando la domanda diviene: “Che cosa è bene che io voglia”, vale a dire quando si tratta di scegliere tra fini diversi, la necessità di disporre di un criterio per interrompere la catena delle domande ad un certo punto diviene irrinunciabile. Ecco perché l’educazione deve fornire al giovane ragioni di speranza. È veramente degno di nota constatare come Genovesi, considerata l’epoca in cui scrive, sia arrivato ad anticipare il nucleo problematico dei grandi temi che, a partire dal XIX secolo, verranno posti al centro del vivace dibattito sulla nuova paideia. Non poteva certo mancare, in un testo dello studioso salernitano, un richiamo esplicito alla sua creatura, alla economia civile. È quanto contenuto nel Libro V (“Dell’ordinatrice”), nel quale sono illustrati e argomentati i “quattro principi certi dell’economia civile”. Attingendo naturalmente alle sue Lezioni di Economia Civile, Genovesi ci dona uno spaccato di quel che il paradigma dell’economia civile – alternativo, ma non antagonista del paradigma dell’economia politica – comporta sul piano delle decisioni politiche. Desidero richiamarne una sola, per la speciale rilevanza che essa ha per il nostro presente: «Un quarto principio di economia civile è: bisogna che un popolo dipenda dagli altri nel minimo possibile. Massima mirabile la quale sola ha ingrandito gli Inglesi e ingrandirà tra poco i Portoghesi, che l’hanno presa per tutti i versi. Un popolo quanto più dipende dagli altri tanto più è povero e schiavo; più infingardo, più avvilito. Questo principio non è stato inteso in tutta la sua ampiezza appunto per mancanza di buoni filosofi da illuminare il pubblico. (sic!) [nda] […] Vi è in Italia un bel paese avvezzo da lungo tempo a vivere sugli altri. Se non si desta, ora che tutti vogliono vivere da sé e per sé, farà in non molto tempo tanta pietà al genere uma-


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no quanta fece altre volte meraviglia» (p. 221). Parole veramente straordinarie che non abbisognano certo di alcun commento. Piuttosto giudico più opportuno, prima di concludere, suggerire perché la linea di pensiero inaugurata da Genovesi e arricchita poi dagli autori di scuola sia napoletana (Giacinto Dragonetti, Ferdinando Galiani, Gaetano Filingieri) sia milanese (Pietro Verri, Giandomenico Romagnosi, Cesare Beccaria), conosca oggi una sorta di rinascita e una forte ripresa di interesse soprattutto nella cultura occidentale. Per afferrare ciò di cui si tratta si considerino le due visioni, finora prevalenti, circa il modo di concepire il rapporto tra la sfera economica (che possiamo sinteticamente, e con accezione ampia del termine, chiamare mercato) e la sfera del sociale (la solidarietà). Da una parte vi sono coloro che vedono nell’estensione dei mercati e della logica dell’efficienza la soluzione a tutti i mali sociali; dall’altra chi invece vede l’avanzare dei mercati come una “desertificazione” della società e quindi cerca di proteggersi da essi. La prima visione considera il mercato come un ente “a-sociale”: secondo questa concezione, che si rifà ad alcune tradizioni del pensiero liberale, il “sociale” è distinto dalla meccanica del mercato, il quale si configura come un’istituzione eticamente e socialmente neutrale. Al mercato è richiesta l’efficienza e quindi la creazione di ricchezza. La solidarietà, invece, inizia proprio laddove finisce il mercato, favorendo criteri per la suddivisione della ricchezza prodotta. Agli antipodi di questa visione troviamo quella che vede il mercato come essenzialmente anti-sociale. Questa concezione, che risale a Karl Marx e a Karl Polanyi, si caratterizza invece per concepire il mercato come luogo dello sfruttamento e della sopraffazione del forte sul debole, e per vedere la società minacciata dai mercati: «Il mercato avanza sulla desertificazione della società» (Polanyi). Da qui l’appello a «proteggere la società» dal mercato con l’argomento che i rapporti veramente umani (come l’amicizia, la fiducia, il dono, la reciprocità non strumentale, l’amore), sono distrutti dall’avanzare della cultura del mercato. Questa visione tende a vedere l’economico e il mercato come di per sé disumanizzanti, come meccanismi distruttori di quel “capitale sociale” indispensabile per ogni convivenza autenticamente umana oltre che per ogni crescita economica. La concezione del rapporto mercato-società che emerge con chiarezza dalle pagine di questo libro, si colloca in una prospettiva radicalmente diversa rispetto alle due dianzi richiamate. L’idea centrale (e di conseguenza la proposta) dell’Economia Civile è quella di vivere l’esperienza della socialità umana, all’interno di una normale vita economica, né a lato, né prima, né dopo. Essa ci dice che i principi “altri” dal pro-


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fitto e dallo scambio di equivalenti possono trovare posto dentro l’attività economica. In tal modo si supera certamente la prima visione che vede l’economico come luogo eticamente neutrale basato unicamente sul principio dello scambio di equivalenti, dato che è il momento economico stesso che, in base alla presenza o assenza di questi altri principi, diventa civile o in-civile. Ma si va oltre anche l’altra concezione che vede il dono e la reciprocità appannaggio di altri momenti o sfere della vita sociale, una visione questa che non è più sostenibile. Infatti, le società umane hanno bisogno di tre diversi principi autonomi per potersi sviluppare in modo armonico ed essere quindi capaci di futuro: lo scambio di equivalenti, la redistribuzione della ricchezza e la reciprocità. Tutte le società conoscono questa struttura “triadica”; anche se è vero che due soli di questi principi sono stati, volta per volta, incorporati nei modelli di ordine sociale storicamente succedutisi nel corso dei secoli. Con esiti sempre insoddisfacenti, come la storia insegna ad abundantiam. Devo terminare. Ha scritto Montesquieu: «Non bisogna mai esaurire un Argomento al punto da non lasciar nulla da fare al lettore. Non si tratta di far leggere, ma di far pensare». Certamente il Nostro non ha, con questo libro, esaurito l’argomento al quale si è dedicato con tanta energia. Il lettore avrà dunque molto da fare e, ancor più, da pensare. Ma la prospettiva, cioè lo sguardo sulla realtà, che qui gli viene offerta rappresenta una via sicura e soprattutto pervia per procedere oltre. Se è vero – come a chi scrive pare – che le grandi opere di pensiero non si fanno nel tempo, ma per il tempo, allora si può essere certi che quello di Genovesi è un contributo che rimarrà a lungo tra le mani di coloro che coltivano il progetto di liberare la libertà dall’idea – tuttora dominante – di essere solamente potere di scelta e non anche capacità di adesione al bene.


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