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Vers. in Post. – 45% – Art. 1 Abs. – Ges. 35 3/2003 (abg. GEs. 27.02.2004 Nr. 46) CNS Bozen – Poste Italiane SpA – Taxe percue/Tassa pagata

January → February 2012

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Beilage zu FF 02/2012


Bar, Restaurant, Club, Catering, Pizzeria.

Piazza Walther 6 - Bolzano - Tel. 0471 982548 Waltherplatz 6 - Bozen - Tel. 0471 982548

www.walthers.it


Index

Editorial

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Viaggio nella factory del teatro di Anna Quinz 8

Ein Fundus voller Erinnerungen von Evelyn Gruber-Fischnaller 12

Miti, fiabe e altre storie di Jimmy Milanese 16

Salomes schrecklicher Schrei nach Liebe von Kunigunde Weissenegger 20

Puntigamer, Pointen und Poetry von Simon Cazzanelli 24

Va in scena la scommessa dell’inclusione di Marco Bassetti franzmagazine.com ff–extra franz–Magazin, Januar 2012, Beilage zu ff 02, Herausgeber: FF-Media GmbH, Eintrag. Landesgericht Bozen 9/80 R.ST. vom 27.08.1980, Presserechtlich verantwortlich: Kurt W. Zimmermann — Editor-in-chief Fabio Gobbato — Managing Editors & Creative Direction Anna Quinz, Kunigunde Weissenegger — Editorial staff Marco Bassetti, Evelyn Gruber-Fischnaller Art Direction Riccardo Olocco — Photo Direction Alexander Erlacher — Graphic Design Daniele Zanoni — Sales & Marketing Direction Tessa Moroder Franz Production Matteo Moretti, Sarah Orlandi —Text Marco Bassetti, Simon Cazzanelli, Evelyn Gruber-Fischnaller, Jimmy Milanese, Anna Quinz, Kunigunde Weissenegger — Photo Claudia Corrent, Johanna Lamprecht, Luca Meneghel, Tiberio Sorvillo Thanks to Eugenia Postal, Igor Falcomatà, Mattia Soldà Cover Illustration Silke De Vivo

andare

a teatro è una delle attività culturali preferite in Sudtirolo. Il merito è sicuramente del lavoro svolto negli ultimi decenni da Teatro Stabile, Vereinigte Bühnen Bozen e Fondazione Teatro Comunale (che contribuiscono, in partnership, a finanziare parte di questo numero di Franz), ma anche di un vasto e variopinto mondo di piccole e medie compagnie semiprofessionali o amatoriali, di nuove strutture come il Cristallo, o altre istituzioni storiche come il Kulturinstitut, e di azioni come il teatro nelle scuole. Una sorta di salutare bombardamento che ha generato salutari abitudini del pubblico. Dunque, che cosa c’è da aggiungere sul teatro? Non tutti sanno che a Dro vive e prospera una delle fucine del teatro contemporaneo. I puristi, invece, non ameranno l’accostamento, ma poetry slam e story telling sono due realtà al ‘confine’ con il teatro che qui raccontiamo ‘dal di dentro’. Nell’intervista di chiusura Antonio Viganò illustra lo straordinario lavoro svolto per far salire sul palco i ragazzi disabili, regalando spettacoli che grondano emozioni travolgenti. Dello Stabile presentiamo gli Altri percorsi, la mini stagione off. Per le Vbb puntiamo sulla lunga cavalcata di Thomas Seeber mentre per la Fondazione offriamo un dietro le quinte sulla nuova importante produzione, Salomè. Nel 2011 è avvenuto un evento davvero storico: la firma di un protocollo tra il Tsb e l’Auditorium Santa Chiara. La siderale distanza che ha separato Bolzano e Trento per troppi anni è tornata ad essere quella reale, di appena 50 chilometri. Solo in campo teatrale, si intende. In questo inizio di 2012 mi permetto di chiudere con un augurio un po’ ‘franzesco’: che quest’anno, o il prossimo, o al massimo quello dopo, possa realizzarsi una nuova meravigliosa co-produzione che coinvolga i principali enti di lingua italiana e tedesca, una storia che racconti l’Alto Adige di oggi o dell’altro ieri. In due-tre lingue. E provare a ‘ridurre’ Eva dorme, di Francesca Melandri? Fabio Gobbato

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1. Sala Turbine 2, 5. Altri spazi della Centrale 3. Sala Comando 4. Sala Mezzelune

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Testo di Anna Quinz Foto di Centrale Fies

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A Dro, in una centrale idroelettrica in disuso, trova spazio una delle più importanti realtà di produzione di arti contemporanee a livello internazionale, gestita dalla famiglia-impresa Sommadossi. Un luogo che trasuda creatività, un piccolo paradiso per le giovani compagnie che fanno ricerca.

Viaggio nella factory del teatro A

rrivo alla Centrale Fies un pomeriggio grigio e piovigginoso di dicembre. Alle mie spalle ho lasciato prima una Bolzano in colorati preparativi prenatalizi, poi la stazione di Trento, poi l’autostazione di Trento e poi ancora un bus di linea che marca il territorio trentino con le sue fermate in paesini più o meno montani dai nomi a me sconosciuti. Quando l’autista mi lascia alla mia fermata, sono praticamente in mezzo a una strada statale. Ma al di là del ponte c’è la Centrale, in tutta la sua imponente architettura. Al primo sguardo pare ‘disabitata’, ma man mano che mi avvicino, intravedo dettagli che fanno presagire il mondo che troverò all’interno. Perché questa ex centrale idroelettrica, posizionata nel mezzo di un ‘nulla’ di provincia, è oggi uno dei luoghi centrali, mi si passi il bisticcio, a livello

internazionale, della creazione e produzione di arti contemporanee come performing art, exhibit, site specific, video e ogni forma di spettacolo dal vivo. Ad accogliermi trovo, sorridenti, Dino (Sommadossi), e Barbara (Boninsegna), rispettivamente direttore e direttrice artistica del centro, nonché marito e moglie. A ‘rapirmi’ per primo è Dino, che mi guida nei meandri della Centrale, raccontandomi ogni centimetro di questo luogo, con l’amore e la cura di chi non è sul posto di lavoro, ma a casa propria. Scopro così la storia della Centrale che dopo anni in disuso, ha ripreso vita, grazie alla lungimiranza della proprietà, l’Enel, ma anche e soprattutto degli stessi Dino e Barbara, che in decenni, da un piccolo festival di paese, hanno costruito qui, passo dopo passo, pezzo dopo pezzo, un luogo di creatività a cui tutta l’Europa guarda

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con interesse e attenzione. Gli spazi, pur mantenendo le caratteristiche dell’edificio originario, sono stati rimodernati e adattati alle esigenze dei suoi nuovi ‘inquilini’, creando così le premesse necessarie per ospitare le 3 F, che costituiscono il cuore di questo progetto: Factory, Festival e Featuring. Factory perché Centrale Fies è prima di tutto luogo di produzione. Dal 2007 infatti ha creato una vera e propria crew di giovani artisti under 35, a cui garantisce, nella centrale, a partire dalla centrale, una casa, un luogo di confronto, la produzione dei progetti, la loro comunicazione e promozione, la distribuzione. Sette sono le compagnie attualmente ‘in residenza’ alla centrale: Anagoor, Codice Ivan, Dewey Dell, Francesca Grilli, Marta Cuscunà, Pathosformel e Teatro Sotterraneo. Nomi che gli appassionati di teatro e delle sue avanguardie, almeno uno

o più di uno, l’hanno già sentito di certo. Dino mi mostra le aree in cui proprio in questi giorni si stanno costruendo quelli che saranno i veri e propri alloggi delle compagnie, dove potranno vivere e lavorare, dove troveranno oltre a una casa, una famiglia con cui condividere idee e progetti. E poi, sempre Dino, con orgoglio mi spiega nel dettaglio tutti i lavori per installare un efficace impianto di riscaldamento in tutta la Centrale, perché se fino ad ora è stata principalmente usata nei mesi estivi (per il festival che ospita), vista anche la dimensione notevole, tra poco diverrà calda e viva durante tutto l’anno, per dare ancora più spazio a chi qui creerà produzioni destinate poi a girare il mondo (dal 2007 a oggi, circa 700 repliche, in tutta Europa, di spettacoli prodotti da Centrale Fies). E poi c’è un’altra F, che sta per Festival. A parlarmene questa volta è Barbara, che di Drodesera ed Enfant Terrible (dedicato ai più piccoli) i due festival della Centrale, è un po’ la mamma. Drodesera è il festival estivo forse più importante nella scena teatrale di sperimentazione in Italia, e ospita ogni anno, oltre al meglio del teatro internazionale, un pubblico ricco e numeroso, proveniente da tutto il mondo. A luglio i riflettori del mondo della performing art sono puntati su Dro, piccolo paese di 4000 abitanti, che per 2 settimane si anima e si popola di giornalisti, esperti di settore, critici, direttori di festival e curiosi. La rassegna è ormai un’istituzione, e un’assoluta eccellenza per il territorio, anche se forse, ahimè, il territorio non gli rende omaggio quanto sarebbe giusto e auspicabile. Barbara mi spiega che circa il 50% del pubblico è internazionale, e che quello locale è forse composto più da bolzanini che trentini. La politica e le istituzioni fortunatamente sostengono e supportano questo evento, e la Centrale tutta nelle sue molteplici attività, ma è con un po’ di orgoglio che Barbara racconta che tanta parte delle entrate che permettono la vita di tutta l’impresa, arrivano da bandi internazionali vinti da Centrale Fies. Dunque, a pagare, più che l’esterno è l’interno, ossia la qualità, la competenza, la capacità di guardare avanti con volontà di innovare e di essere sempre al passo coi tempi, o addirittura, un passo più avanti. Questo fa Centrale Fies, e lo fa con la leggerezza e la dolcezza che si legge negli occhi di questa coppia, innamorata del

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A Pergine, la follia e l’arte del teatro

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eruda diceva che il grano di follia che ognuno ha dentro di sé va coltivato, altrimenti vivere diventa un’impresa imprudente. Gli organizzatori di Pergine Spettacolo Aperto di questo illustre consiglio hanno fatto tesoro, e oggi, il più longevo Festival trentino, ha nel sottotitolo L’arte di essere fuori il suo cuore pulsante. La rassegna, che ospita teatro, performance, video, installazioni, si svolge a luglio a Pergine Valsugana, ‘la città dei matti’, tristemente nota proprio per quel manicomio che ora è sede ufficiale del Festival. Nell’ormai ex Ospedale Psichiatrico sono passate tante persone e tante storie, silenziose e anonime, e il Festival, a quei ‘matti’ senza nome, vuole restituire un’identità, uno spazio, una dignità. Attraverso il linguaggio ‘altro’ e per definizione ‘diverso’ che è il linguaggio dell’arte, porta dunque una nuova interpretazione della follia e della sua intrinseca naturale bellezza, divenendo luogo d’incontro, di testimonianza e non da ultimo, di emozione. Lavorando su questa sottile linea di demarcazione, PSA è riuscito negli anni a conquistare un ruolo di rilievo nel panorama internazionale, vincendo anche premi prestigiosi (nel 2011, il Best Territory Improvement Award al Festival of Festivals). E così Pergine torna ogni estate ad essere la città dei matti, di quei matti che in fondo, siamo tutti noi.

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6. La prima periferia, Pathosformel 7. à elle vide, Dewey Dell 8, 9. Percorsi di Outsider Art a cura di Daniela Rosi

proprio lavoro e della propria creatura. Tanto che anche la loro figlia, Virginia, è presto entrata in squadra, a dare il suo contributo all’‘azienda’ di famiglia, occupandosi della comunicazione e dell’immagine del progetto da diffondere nel mondo. E a quanto pare, il talento, la passione e l’attenzione al contemporaneo sono doti ereditarie, perché a marchiare con il successo questa impresa internazionale e familiare al contempo, è anche la splendida e sempre accattivante comunicazione, che mai è uguale a se stessa e che ogni anno ‘stupisce con effetti speciali’. Infine, la terza e ultima F: Featuring. Ad agosto, il centro di produzione ospita Vedrò, una community di under 40 riunita in working group per riflettere sul futuro dell’Italia. E in fondo, quale luogo migliore di questo, per pensare al futuro di un paese troppo spesso,

purtroppo, attento più a ciò che c’era che non a ciò che ci sarà? E così, sul pensiero di ciò che sarà la prossima estate con la nuova edizione del Festival, il prossimo inverno con le residenze attive, e nel futuro, con le tante idee che frullano nella testa di Dino e Barbara, saluto i miei ospiti, e lascio la Centrale, con la chiara sensazione di non essere stata solo a Dro, in Trentino, a pochi chilometri dal lago di Garda, ma dentro il cuore pulsante di un mondo intero.

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Drei Theaterinstitutionen in einem Haus: Seit gut zehn Jahren ist das Stadttheater Bozen Bühne bester lokaler und internationaler Theater-, Oper- und Tanzproduktionen der Vereinigten Bühnen Bozen, des Teatro Stabile di Bolzano und der Stiftung Stadttheater und Konzerthaus. Der von Stararchitekt Marco Zanuso erbaute Kubus am Verdiplatz ist zu einem Zentrum der darstellenden Künste gewachsen.

Tre enti teatrali, una sola casa. Dal cubo bianco e imponente progettato da Marco Zanuso, ormai da più di un decennio passa tutto il meglio del teatro, dell’opera e della danza, locale e internazionale. Piazza Verdi è così diventata il cuore dell’arte performativa in città e tra le mura del teatro convivono Fondazione Teatro Comunale e Auditorium, Teatro Stabile di Bolzano e Vereinigte Bühnen Bozen.


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EIN FUNDUS VOLLER GESCHICHTEN

„E Text von Evelyn Gruber-Fischnaller Fotos von Claudia Corrent

ine Ansprache wird sich wohl nicht vermeiden lassen.“ – Thomas Seeber lächelt verschmitzt, als er sich auf dem grünen Ledersessel niederlässt. Er erzählt von diesem Haus, von seinen Plänen, seinen alltäglichen Aufgaben, während die Fotografin Bilder macht, mal aus dieser, mal aus jener Richtung, mal sitzend, mal stehend, vor diesem und jenem Hintergrund. Wir befinden uns im Ballett-Saal des Stadttheaters Bozen, hier finden die Proben für Eine Familie statt, ein tragikomisches Familienepos, welches am 14. Jänner Premiere feiert – einen Tag vor der ungeduldig erwarteten Geburtstagsparty zum 20-Jahr-Jubiläum der VBB. Seit 2001 ist Thomas Seeber Intendant der Vereinigten Bühnen Bozen, Präsident des Vereins war er schon Jahre vorher. „Theater war schon immer meine Leidenschaft, auch wenn meine Berufslaufbahn in Richtung Wirtschaft ging. Wenn ich unterwegs war, beispielsweise in London, habe ich mir jeden Abend Theater angeschaut. Die Begeisterung war immer da, wenn auch auf kleiner Flamme ausgelebt“, erzählt Seeber, der zuerst im

Unternehmen seines Vaters arbeitete und später als freiberuflicher Programmgestalter bei der RAI. „Ich bin ein Theaterermöglicher,“ sagt Seeber. „Das Zuarbeiten im Hintergrund macht mir Freude.“ Entstanden sind die VBB aus dem kritischen Theater der 70er und 80er Jahre. Die großen Theatervereinigungen der Südtiroler Kulturlandschaft waren damals Laienbühnen oder spezialisiert auf den Import von Gastspielen. „Theater war in der großen Masse noch Volkstheater, Heimatbühne, alles ehrenamtlich. Daneben gab es eine Reihe von kleinen, kritischen Theaterinitiativen. Vor allem die Politk wehrte sich lange Zeit gegen das Berufstheater, wir merkten einfach: Es braucht ein gemeinsames Auftreten für die Professionalisierung“, erzählt Seeber. Der gemeinsame Besuch von Ein Sommernachtstraum in Verona brachte schließlich den Zündfunken zum Miteinander. Die Bozner Theatermacher schmiedeten nach der Aufführung noch bis in die Nacht Zukunftspläne, Anfang 1992 schlossen sich dann vier Theatervereine zu den Vereinigten

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Unzählige Bühnenbilder in Miniaturformat, Stühle, Lampenschirme und Skulpturen: Wer einmal im Fundus der Vereinigten Bühnen Bozen war, kann erahnen, wie es ist, wenn Thomas Seeber auf seine Zeit als Intendant der Vereinigten Bühnen Bozen zurückblickt. 2012 feiert der Verein seinen 20. Geburtstag.

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alexander alber

Aus der Tradition Neues schaffen 2

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rene Girkinger freut sich auf die 20-Jahr-Feier der VBB. „Ich komme in ein Haus mit einer reichen Geschichte, ich bin froh, dass ich die Chance habe, daran anzuknüpfen, ich erlebe hier großes Vertrauen und ein starkes Team“, sagt sie. Die 35-Jährige Linzerin wird im August die Nachfolge von Thomas Seeber antreten. Die Vorbereitungen für die Übergabe laufen schon auf Hochtouren, Girkinger plant die Theatersaison 2012/2013 und knüpft fleißig Bande zu anderen Institutionen im Kulturbereich. „Sich auf die Region einlassen, ohne jedoch den Blick nach außen zu verlieren, um das Theater zum Erfolg zu bringen“, nennt Irene Girkinger selbstsicher ihr Credo, sie sei eine Fördererin von zeitgenössischen Autoren und eine Liebhaberin

der ästhetischen Vielfalt im Theater, aber werde als künstlerische Leiterin auch großen Wert darauf legen, klassische Stücke auf ihre Gegenwartstauglichkeit zu überprüfen und Texte neu zu befragen. Die neue Intendantin kommt gut vorbereitet nach Bozen. Von 2007 bis vor kurzem war Girkinger Dramaturgin am Volkstheater Wien, war vorher Dramaturgin und Pressereferentin am Schauspielhaus Salzburg und am Theater Phönix in Linz. Mehrere Co-Produktionen mit den VBB hat sie in der Vergangenheit betreut: „Erlebte Geschichte nachzeichnen, das Heterogene herausfiltern, Neues entdecken, das macht Theater aufregend.“

1. Thomas Seeber 2. Irene Girkinger 3–8. Der Fundus der Vereinigten Bühnen Bozen: Rund 10.000 Kostüme und unzählige Requisiten sind im Laufe der Jahre in den Werkstätten angefertigt worden

Bühnen Bozen zusammen: die Initiative (Waltraud Staudacher), die Kleinkunstbühne (Manfred Schweigkofler), das Südtiroler Ensembletheater (Erich Innerebner) und die Talferbühne Bozen (Johann Winkler). Dadurch wurde es möglich, die Stadt Bozen als Geldgeberin zu gewinnen und eine erste kleine Infrastruktur zu schaffen. Dennoch war man von einer gemeinsamen Programmplanung noch weit entfernt. Ende der 1990er Jahre wandelte sich der Verein: Georg Mittendrein wurde als erster bezahlter künstlerischer Leiter der VBB berufen und in der Baracke am Bahnhof fand sich für die Spielzeit 1998/1999 ein Platz, wo an vier Abenden pro Woche Theater angeboten wurde – mit einem Ensemble aus nur vier festen Schauspielern. Diese Kontinuität des Angebots war jedoch ein entscheidender Schritt in Richtung professioneller Theaterbetrieb, die VBB wurden schon bald zu einer fixen Anlaufstelle und einem bekannten Veranstalter in Kulturkreisen. „Ich weiß nicht, ob ich mich heute wieder trauen würde“, sagt Seeber bescheiden. „Meine

berufliche Erfahrung im wirtschaftlichen Bereich schien von Vorteil zu sein, aber auf jeden Fall gab es keine große Warteliste für den Posten als Intendant.“ Die Jahrtausendwende war turbulent für die VBB: Mittendrein hatte den Theaterbetrieb nach nur einem Jahr wieder verlassen, zwar wurde ein Leitungsgremium interimsmäßig eingesetzt und die Spielzeit 1999/2000 planmäßig im Neuen Stadttheater eröffnet, aber das große Haus brachte andere Herausforderungen in der Programmgestaltung mit sich und die Suche nach einer soliden Führungsstruktur fand erst im Jahr darauf einen erfolgreichen Abschluss. Im Juli 2001 wurde Thomas Seeber zum Intendanten berufen. Dass aus den geplanten vier bis sechs Monaten elf Jahre wurden, habe ihn selbst überrascht, gesteht er. Heute sind die VBB ein Unternehmen mit Planungssicherheit. 25 Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter kümmern sich um den reibungslosen Ablauf aller Inszenierungen, der Abonnentenstamm ist ansehnlich, es gibt einen vielseitigen Spielplan, vom großen Drama bis zum funkensprühenden Musical,

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so wie es laut Intendant für ein Stadttheater sein soll: „Ich habe alle Stücke über die Jahre mit Überzeugung ausgesucht, auch wenn sie unterschiedlichen Erfolg hatten. Zum ersten Mal den Vorhang aufgehen sehen, war auf jeden Fall ein bewegender Moment.“ Anekdoten hat Thomas Seeber reichlich auf Lager, das Leben unter Schauspielern, aber auch mit so manchem Promi in den Zuschauerräumen ist für spannende Geschichten wie gemacht: Für die Aufführung von Bertolt Brechts Dreigroschenoper beispielsweise habe der Hauptdarsteller das Messerwerfen üben müssen. Dass er sich dafür gerade die Bozner Talferwiesen aussuchte, damit Spaziergänger in Aufregung versetzte und die Stadtpolizei auf den Plan rief, war auch im Arbeitsalltag des Intendanten eine besondere Situation. Es habe sich dann aber alles ohne Probleme gelöst, erzählt Seeber und grinst: Es sei wohl ein „kulturelles Missverständnis“ gewesen. Der Schauspieler, gebürtiger Berliner, meinte in seiner Heimatstadt wären Übungen dieser Art in der Öffentlichkeit kein Problem.

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Miti, fiabe e altre storie Lo Stabile esplora Altri Percorsi/Nuovi Linguaggi con una rassegna che si muove fra opera comica, tragedia classica, le favole dei fratelli Grimm e la Bibbia. Un viaggio alla scoperta dei talenti del teatro di ricerca contemporaneo.

C Testo di Jimmy Milanese

osa hanno in comune Il meraviglioso Mago di Oz, romanzo per ragazzi di Frank Baum, Le Troadi, tragedia classica di Euripide, Mikado, poco nota opera comica di Sullivan e Gilbert, La Tempesta, misterioso dipinto rinascimentale del Giorgione, le favole dei fratelli Grimm e il Libro dell’Apocalisse? Baum racconta il rocambolesco viaggio di Dorothy, coraggiosa ragazzina nel magico mondo di Oz; Euripide narra il riscatto delle mogli dei troiani trucidati dagli achei; Mikado è un’operetta comica dove l’assurdità dei comportamenti maschili ruota attorno all’amore per una donna; Giorgione dipinge Venere nell’atto supremo dell’allattamento; Biancaneve, Cenerentola e Cappuccetto Rosso sono fiabe in cui ragazze apparentemente fragili assicurano il lieto fine alla narrazione, mentre l’Apocalisse spiega la sofferenza di una partoriente che salva il figlio dalle furie dell’iracondo drago rivoltato contro l’umanità. Nei meandri di queste fiabe, di questi racconti e di queste opere d’arte si nasconde la progressiva degenerazione della nostra specie e l’incapacità di comprendere quale sia

la bacchetta magica che ci ha portato fino a questo. Cinque giovani compagnie teatrali emergenti (Fanny & Alexander, Accademia degli Artefatti, Anagoor, Ricci/Forte e Teatro Sotterraneo) da tempo hanno scelto di recuperare frammenti di questi luoghi remoti della storia dell’arte per riscrivere alcuni miti fondanti la società occidentale, attraverso una nuova idea di recitazione e allestimento teatrale. Il cortocircuito generato tra variopinte suggestioni letterarie e linguaggi post-industriali si struttura attraverso una costante: la figura della donna. Abbandonata, maltrattata, umiliata, denigrata e perseguitata, ma alla fine vincitrice. Sempre e comunque protagonista delle nefaste sorti progressive. Un teatro che vuole scuotere le coscienze e prende le distanze da applausi scontati, sperimentando tutte le vie possibili per turbare le anime fragili. Attori che diventano performer e raccontano la fine della fantasia per una adolescenza sempre più irrimediabilmente compromessa dall’assenza di una figura materna consolatrice.

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Sceneggiature che conducono il pubblico verso il giorno della fine del mondo; madre di tutte le piccole apocalissi che quotidianamente sono presentate dalla televisione e dai giornali come favole moderne. Insomma, è teatro che descrive il presente come una specie di perimetro d’azione colonizzato dalla nostra presenza ma definito dalle assenze. Non abbiamo conosciuto il momento del Big Bang, non abbiamo visto la nostra nascita e non assisteremo alla nostra morte, invece, seguiamo delle tracce nel tentativo di lasciarne di nuove. Ognuno canta una breve strofa nello spazio del suo tempo e poi diventa polvere nelle mani di altri. E nelle nostre mani si poseranno cinque spettacoli, selezionati, proposti e scelti dal Teatro Stabile, che dal 31 gennaio fino al 18 aprile costituiranno un percorso attraverso il Teatro dei nuovi linguaggi. Altri Percorsi, la rassegna del TSB, collaterale a La Grande Prosa, che ogni anno si dedica a tematiche diverse, esplora, infatti, quest’anno proprio il tema dei nuovi linguaggi applicati all’arte teatrale. West (31 gennaio) è un’impressionante

prova solista di Francesca Mazza del gruppo teatrale Fanny & Alexander. Attraverso il viaggio in un mondo di Oz che distrugge, corrompe e corrode, Francesca viene teleguidata da forze occulte che risiedono nel processo di condizionamento umano al quale siamo involontariamente vincolati. La protagonista è intrappolata e ridotta alla stregua di una cavia da laboratorio della quale due cinici dottori dispongono a piacimento. Ordini calati dall’alto si trasformano in stimoli motori e verbali in un contesto scenografico dove il pubblico ha l’opportunità di sentirsi tanto vittima quanto carnefice. Mikado e Le Troiane (15 febbraio) sono due episodi estratti da una pièce teatrale del controverso drammaturgo inglese Mark Ravenhill, portate in scena dalla Accademia degli Artefatti. Ravenhill è un autore che ti guarda in faccia, alla ricerca di un linguaggio capace di sconvolgerti. Mette in contatto testi sacri con interpreti obbligati ad interagire con il pubblico e spingerlo a dare una qualche risposta alle ossessive domande e agli interrogativi posti. Tempesta (29 febbraio)

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1, 6. Tempesta, Anagoor 2. Le Troiane, Accademia degli Artefatti 3, 7. West, Fanny & Alexander 4, 8. Grimmless, Ricci / Forte 5. Dies Irae, Teatro Sotterraneo

è la rappresentazione teatrale di quel lampo che trasforma i colori e imprigiona Venere e Arciere nel celeberrimo dipinto del Giorgione. A Bolzano viene portato in scena dai fratelli Bragagnolo della compagnia teatrale Anagoor. La creazione è visiva, come se gli autori avessero frammentato la tela del Giorgione, differenziandone i colori e le sfumature. Scuciti i colori e strappate le sfumature, il regista Simone Derai descrive il connubio tra moderno e radicamento, attraverso un percorso onirico e metamorfico che passa per la nudità di Olimpia del Manet fino al nudo esplicito dei protagonisti! Il mondo rappresentato è quello fragile e connotato da marginalità degli adolescenti in jeans e maglietta, mentre il riferimento letterario lambisce il potere erotico di Arciere in contemplazione di Venere madre, nell’atto dell’allattamento. Grimmless (4 aprile) della compagnia Ricci/Forte indaga la fiaba antica attraverso i suoi lati più oscuri e depravati, congiungendola all’odierna esposizione mediatica delle miserie umane. Il presente è rappresentato come uno stato di allucinazione:

la fiaba che una volta serviva come transizione infantile verso l’età adulta è trasformata in un plastico per spiegare il delitto di Cogne. La Bella e la Bestia si fondono e confondono, azzerando così la nostra capacità di ribellione all’ingiusto. Infine, Dies Irae (18 aprile), ovvero cinque episodi sui destini della specie secondo il p.d.v. della compagnia Teatro Sotterraneo. In sessanta minuti netti viene descritta l’essenza dell’Apocalisse: il requiem della civiltà umana che corre verso la sua autodistruzione sarà trasmesso in diretta televisiva e in prima serata. Nei meandri di queste complesse e articolate analisi dei sentimenti e delle passioni umane più recondite, si scorge quel varco di speranza nella figura della donna “... che comanda su tutti i re della terra” (Apocalisse 17:18).

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R Text von Kunigunde Weissenegger Fotos von Tiberio Sorvillo

egisseur Manfred Schweigkofler hat die die Bühne, unterstreicht auch Cristina Baggio, Entscheidung, zwei in Aussehen und blond und die Salome am 25. Januar: „Es ist Charakter unterschiedliche Salomes zu schön, mit Manfred Schweigkofler zu arbeiten, engagieren, die diese gleichnamige Oper weil er ein sehr positiver Mensch, voller auch beide zum ersten Mal singen, bewusst Energie ist. Er gibt den Menschen wirklich viel getroffen. Cassandra McConnell, schwarzes Zeit, ihre Rolle zu entwickeln. Meistens gibt es Haar und die Salome am 26. Januar, diese Zeit nicht, weil alles schnell gehen muss erinnert sich: „Er wollte die Salome mit und in letzter Minute passiert.“ zwei Sängerinnen machen, die sie noch nie gesungen haben. Er sagte, dass wir „Zu meiner eigenen Lust will ich den Kopf unterschiedlich sind und Zeit und Raum des Jochanaan“ haben, unsere persönliche Salome zu finden Salome ist die Geschichte eines 14jährigen und sie zu verkörpern, wie wir sie spüren. Mädchens, das in der Zeit um Christi Geburt Also nicht, dass die eine die andere klont. in Jerusalem lebt. Im Tausch gegen ihren Tanz Da es für mich das erste Mal ist, dass ich der sieben Schleier verlangt sie vom Stiefvater die Salome spiele, ist es schön, dass ich mit den Kopf des Propheten Jochanaan – in der einem Regisseur arbeiten kann, der mit mir Bibel Johannes der Täufer. Doch eigentlich zusammen die gesamte Psychologie dieser sucht sie nur Zuneigung und Aufmerksamkeit. Frau erforschen kann und will. Es gibt leider Cassandra McConnell, eine der beiden auch Regisseure, die tolle Bilder und Ideen Salome-Besetzungen: „Ich will eine junge haben, aber die Rolle nicht ergründen wollen.“ Frau spielen, die geliebt werden will. Nur das.“ Jede der beiden Besetzungen entwickelt Klingt einleuchtend, vielleicht auch simpel, zusammen mit Manfred Schweigkofler die doch hinter der knapp zweistündigen Oper von Figur auf ihre Art und Weise und bringt sie auf Richard Strauss, die Manfred Schweigkofler

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für die Stiftung Stadttheater in Koproduktion mit den Theatern in Piacenza und Modena und in Zusammenarbeit mit dem Haydn Orchester neu inszeniert, steckt viel Arbeit. Cassandra McConnell und Cristina Baggio beschäftigen sich seit einem dreiviertel Jahr mit der Oper und ihrer Rolle. „Ich habe viel gelesen, auch das Buch von Oscar Wilde, nach dessen Drama die Oper Salome geformt wurde“, meint Cristina Baggio. Und Cassandra McConnell fügt hinzu: „Ich habe zuerst in die Bibel geguckt, um herauszufinden, wer Salome ist. Dort fand ich zwei Stellen zur Geschichte. Über Salome habe ich aber nichts gefunden. Also habe ich Oscar Wilde gelesen. – Ich habe mich auch gefragt, was das für mich bedeutet und was das für uns Frauen bedeutet.“ Groß ist die Oper. Und schrecklich, aber es geht um weit mehr als die Rache eines jungen Mädchen. „Diese Frau in wenigen Worten zu beschreiben, ist unmöglich. Ich versuche nicht in Täter und Opfer einzuteilen und zu denken. Es ist einfach zu sagen, Salome ist ein Archetyp einer bösen Frau, die Männer

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verführt. Das ist zu einfach für dieses Leben. Ich will auch nicht denken, kein Wunder, dass sie so handelt, wenn sie aus einer schwierigen Gesellschaft stammt, mit viel Durcheinander – ihre Mutter hat ihren Vater getötet und hat dann ihren Onkel geheiratet. Das macht sie zum Opfer. Sie ist Teil unserer Gesellschaft von Tätern und Opfern und wir sind dafür zuständig. Ich denke, jede kann einen Teil für sich verstehen – gut oder schlecht“, meint Cassandra McConnell.

1. Cassandra McConnell und Cristina Baggio 2. Spielt die Salome am 25. Januar: Cristina Baggio mit dem Kopf des Jochanaan 3. Hin- und hergerissen: Cassandra McConnell als Salome am 26. Januar auf der Bühne

„Wenn du mich nur angesehen hättest, du hättest mich geliebt“ Nach Bozen gekommen sind die beiden Sopranistinnen am 5. Dezember. Bis auf einige freie Tage stehen sie bis zur Aufführung täglich auf der Bühne. Cristina Baggio hat sich vor Probenbeginn während ihrer Recherche zu Salome einige Stichworte notiert: „Das ist das, was ich für mich beim Hören der Musik und beim Lesen zwischen den Zeilen gefunden habe: Salome ist für mich vergiftete und makabre Lyrik – in der Musik liegt sowohl Lyrik als auch Gift und etwas Makabres; beunruhigende Naivität – sie ist ja ein junges, vierzehnjähriges Mädchen; erbarmungslose Reinheit – wenn man jung ist, ist man rein, aber auch rücksichtslos im Handeln, unwissend, dass jemand auch verletzt werden kann. Salome ist für mich auch gieriger Wille und zweideutige Jungfrau – im Herzen ist sie sicher noch Jungfrau, denn sie hat noch nie geliebt, aber wir wissen nicht, ob Herodes sie missbraucht hat – das ist diese Zweideutigkeit: Sie hat ihren Körper gegeben, aber nicht ihr Herz. Und es ist auch eine schreckliche Seelenleere in ihr zu finden: Sie hat zwar eine Seele, die sie aber vielleicht erstmals entdeckt, als sie die Worte Jochanaans hört und in eine völlig andere, geheimnisvolle und friedliche Welt eintauchen kann, im Gegensatz zur lauten, mit Geschrei erfüllten, die sie kennt. Es ist offensichtlich: Aller Reichtum nützt nichts, wenn es keine Liebe und Zuneigung gibt. Und das muss ich auf die Bühne bringen.“ Auch für Cassandra McConnell ist die Gegensätzlichkeit der Gefühle offensichtlich: „Salome hat am Anfang und am Ende immer diese Vorstellung und Hoffnung auf Liebe. Auch am Ende, als sie den abgeschlagenen Kopf von Jochanaan in ihren Händen hält, meint sie: Wenn du mich nur angesehen hättest, du hättest mich geliebt. Nur das will sie. Es gibt zwar viel Furchtbares, ihre Situation und die Dinge, die passieren. Dadurch glaube ich auch, dass das Stück aktueller denn je ist. Jede kann mitfühlen und sich einen Teil herausholen.“ An Aktualität hat

Sie fesselt und entzweit Gemüter: Richard Wagners skandalumwitterte Oper – am 25. und 26. Januar 2012 im Bozner Stadttheater. Ein Gespräch mit Cristina Baggio und Cassandra McConnell, die in Salomes junge, schaurig schöne Haut schlüpfen.

die vor 100 Jahren erstmals aufgeführte Oper über die blutjunge Prinzessin nicht verloren, bestätigt auch Cristina Baggio: „Wir alle und besonders Jugendliche brauchen heutzutage in dieser unsicheren Zeit Sicherheit und emotionale Stabilität. Es ist nicht mehr wie in der Flower-Power-Zeit. Die 14jährige Salome hat alles, was sie sich wünschen kann, was ihr fehlt ist Anerkennung und Liebe. Ich denke, hier können viele Parallelen zu heute gezogen werden.“ Und sie fügt dann noch hinzu: „Diese Oper reisst einfach alle mit. Auch weil die Musik sehr an eine Filmmusik erinnert, die zusammen mit den Bildern auf der Bühne über die Zuschauerinnen und Zuschauer hereinbricht und nicht nur Opernfans sprachlos lässt.“

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Puntigamer, Pointen und Poetry

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„In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes,” hat Andy Warhol mal behauptet. 15 Minuten und dann: einmal Applaus, sieben neue Facebook-Freundschaften, eine Runde Jägermeister, drei Stunden Smalltalk, 20 Minuten Tiefgang, 1.58 Promille, minus 240 Euro…

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Text von Simon Cazzanelli Fotos von Johanna Lamprecht

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lus zwei unkoordinierte Augen, plus zwei unkoordinierte Arme, plus zwei unkoordinierte Beine, eine zweite Runde Jägermeister, wenig Schlaf und keine Ahnung, was gestern war. Wäre Andy Warhol ein Slam-Poet gewesen, würde er wissen, dass man dafür eigentlich nur fünf Minuten braucht. Ein Poetry-Slam ist ein moderner Dichterwettstreit, wo Poeten und Poetinnen in den Ring der Beredsamkeit steigen und mit Wort und Witz versuchen, den Gegner mundtot zu machen. Der selbst geschriebene Text ist Abwehr und Angriff, die eigene Stimme die rhetorische Boxfaust und die gestikulierenden Hände verpassen den vernichtenden performativen Kinnhaken. Im Ring ist jede Technik der Eloquenz erlaubt: von Spoken Word und Storytelling, über Prosa und Poesie, bis hin zu Hip-Hop und Haiku.

Das Battle kann beginnen. Die Silben und Sounds sind scharfzüngig, die Lippen gespitzt, die Stimmbänder gedehnt.   Heute Slam. 20 Uhr, wie immer. Der Text ist fertig, gerade eben. Am Schreibtisch noch aufgeschlagen: Duden, Reclam, Vanity Fair. Am Laptop noch geöffnet: Langenscheidt, bild.de, Google Books. Schließen, schließen und drucken. Noch schnell lernen, am besten auswendig. Ein Poetry-Boxkampf aus erster Reihe, ein Pointen-Krieg im Schützengraben. FünfMinuten-Literatur in ihrer Urform, ganz unverfälscht und direkt, weder dramatisch inszeniert noch aufwändig analysiert. Die vierte Wand eingerissen, die Distanz zum Publikum überbrückt. Und das alles um dem Gegner ein verbales Knock Out, einen gnadenlosen Poesie-Punch zu verpassen. Die Regeln sind für alle Gewichtsklassen gleich: ein Poet, ein Mikrophon, ein Text, fünf Minuten. Keine Hilfsmittel, kein Doping, Fair Play. Das oberste Gesetz im Ring: Respect the Poets, denn jeder, der sich dem Kampf stellt ist ein Buchstabenkrieger und Reimsieger. Und so ziehen sie in die Arena, lassen banale Wortspielerei, Grammatik und

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Rechtschreiberei in der Umkleide und stellen sich an den Bühnenrand. Let’s get ready to rumple!   On Location. Erstes Bier. Ein paar sind schon da. Ich meld‘ mich an, Simon Cazzanelli, wie immer. Bussi, Bussi. – Wie geht‘s? Was geht? Wo geht‘s hier zum Klo? – Viele Leute, gute Stimmung, heute. Noch zehn Minuten. Ich such‘ mir einen Platz und schau‘ noch mal den Text durch, nur zur Sicherheit. Einlass. Zweites Bier. Der Slam-Master eröffnet die Spiele. Fanfare und Sprechchöre. Die Reihenfolge wird gelost und kann entscheiden, denn ist das Publikum anfangs noch zurückhaltend mit Applaus und Punkten, so kann gegen Ende auch ein Fliegengewicht überzeugen. Es gilt zu taktieren, auszutarieren, was das Publikum hören will, ob unter der Gürtellinie oder in your face. Ob zu Hochleistungen beflügelt

oder am Boden nach Atem ringend. Die Leute wollen Unterhaltung, sie möchten lachen können und weinen dürfen, sich provozieren und berühren lassen, sollen mitfühlen und reagieren. Der Poet slamt um seinen Wortschatz im Tick-Takt des Reimschemas und immer eines vor Augen haltend, das anapäste Stück, der plusquamperfekte Abgang. Zuerst die Uhr auf Null.   Auftritt. Viertes Bier. Klo. Applaus. Rauf auf die Bühne, raus mit dem Text, ran an das Mikrophon. Der Hals ist trocken, die Stimme versagt. Schlucken. Alles wird gut. Tief durchatmen. Rhetorische Pause, kurz räuspern, rhetorische Pause, go! Die Bühne ist Schlachtfeld für Pathos, Manifeste, Kitsch und Hasstiraden. Es gibt kein thematisches Foul, keine defensive Performance, kein Unentschieden. Dem Spotlight zum Trotz und der Rückkopplung

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jeff simmermon

Telling stories Testo di Cristina Vezzaro 5

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ei lì che aspetti. Il tuo nome è in una busta insieme ad altri dieci, venti, trenta. Ti sei preparata una storia a tema. Hai cinque minuti per raccontarla a un microfono davanti a un pubblico. Inizia la gara. Se non sei la prima, sei contenta. I primi non vincono mai. La giuria non ha termini di paragone e il pubblico deve ancora scaldarsi. Dal terzo in poi inizi a sperare. E intanto ti ripeti a mente alcuni passaggi e ascolti gli altri. Dopo il quinto, una pausa. Mancano solo cinque nomi, inizi a perdere la speranza. Per fortuna sei in un locale e le birre le servono. E allora te ne bevi ancora una che ti aiuta a dimenticare un po’ l’agitazione e un

1. Gnadenloses Publikum 2. Simon Cazzanelli 3. Poetry Slam Open Air 4. Die Konkurrenz 5. Cristina Vezzaro

po’ te stessa. Riprendono dal sesto. Tutti ridono. Non dopo questo, speri. Il settimo. E infine l’ottavo. Ecco, sei tu. Il tuo nome pronunciato strano in questa New York letteraria. E allora sali, ti volti verso i tavolini in sala, ringrazi le birre, fai un bel respiro profondo e parti con la tua storia. Pensarla costa fatica. Significa centrare un argomento, capire perché e da dove ti viene su quello che hai da dire, quello che ti senti dentro, che ti smuove e ti fa stare su quel palcoscenico. E significa muoverti con il pubblico, alle loro risate e ai loro silenzi, ricordandoti che è tutto tuo quello che hai da raccontare, tutta roba vissuta sulla tua pelle che hai deciso di condividere. Non sempre è facile. Ma il respiro della gente insieme al tuo ti fa volare alto. E alla fine ti godi gli applausi, fregandotene del risultato e aspettando la prossima occasione.

entgegen bis an den äußersten Rand der Bretter. Und das Publikum sitzt da und lauscht. Aufmerksam und Gebannt. Ihre Augen leuchten, der Mund weit aufgesperrt, der Atem stockt, die Luft steht. Stille. Spannung. Und der Poet durchbricht den Raum. Treffer.   Voting. Wo ist mein Bier? Punkte. Acht – Acht Komma Fünf – Acht Komma Fünf – Neun – Neun. Applaus. Guter Auftritt. Mal abwarten was noch kommt, mal schauen wie das Publikum auf die anderen reagiert, mal ruhig bleiben. Fünftes Bier. Zwischenstand. Zweite Runde – Finale. Wo sind Text–Klo– Bier? In dieser Reihenfolge. – Leg‘s get ready to rumble! – part II. Ein Slam Poet lebt für den Moment, auf der Bühne und danach. The point are not the points, the point is the poetry. Keine verstaubte Wasserglaslesung, keine Literatur für die oberen Zehntausend, weder

Musikantenstadl für Wortakrobaten noch Oscarverleihung für Möchtegern-Autoren. Slam ist in fünf Minuten erzählen und bewegen, das Publikum und die Welt.   Schlussapplaus. Sechstes Bier. Jetzt gibt‘s Burger. Siebtes Bier. Große Runde, großartiger Abend, großzügige Pommes-Portion. Jägermeister für alle, zweimal. Achtes Bier. Und das ganze nächste Woche wieder, denn Slam Poetry ist so viel mehr als bloß fünf Minuten.

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Va in scena la scommessa dell’inclusione : per lla i n l o ò o r a d u n e c t La ag /Tea ona do s Viga riet orte a su ella p fe ozi an ’. d’a p st d m à e l a t Co nshi em por rsit esta uov inve vist lla e alta us, dive a t re n , si in de b Le Rib taur le ‘ o un nca ività che tale ra” n le la ino alco iam pala reat oi a capi ultu c c d M p “S s n nia

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Testo di Marco Bassetti Foto di Luca Meneghel

e il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i passi del mio redentore. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte”. Con queste parole si apre Minotaurus, ultima opera della Compagnia Lebenshilfe/Teatro la Ribalta (di Antonio Viganò e Julie Anne Stanzak, regia di Antonio Viganò), presentata sotto forma di studio al Festival Bolzano Danza 2011 (che lo ha prodotto) e andata in scena a Bolzano il 13 dicembre scorso nell’ambito della rassegna L’Arte della diversità, curata da Viganò stesso. Si tratta di un brano tratto dal racconto di Borges La casa di Asterione, a cui si aggiunge, come naturale conclusione, una frase di Melanie Goldnerr, uno degli attori diversamente abili protagonisti dello spettacolo: “Per essere non più unico, ma unico tra gli unici”. Sentenza che in qualche modo racchiude la sintesi dello spettacolo, e forse la poetica stessa della rassegna volta a raccontare in varie forme l‘incontro con l’altro, le sue difficoltà e potenzialità. “La frase di Melanie – riflette Viganò – per me è stata una rivelazione. L’ha colta lei, questo mi

fa credere che abbiamo seminato bene, grazie al percorso fatto insieme siamo riusciti a tirare fuori delle cose”. Lo spettacolo Minotaurus prende spunto dall’omonima opera di Dürrenmatt ed è il frutto di un lungo lavoro di ricerca e sperimentazione sul linguaggio del corpo, avvenuto all’interno del laboratorio permanente tenuto da Viganò con i ragazzi della Lebenshilfe, associazione Onlus per persone con handicap. Il corpo che si fa gesto e racconto, scoperta di sè e comunicazione con l’altro al di fuori delle convenzioni. “Con Minotaurus – racconta Viganò – volevamo dare seguito al lavoro fatto con i ragazzi della Lebenshilfe. Il tema del minotauro ce lo avevo già in testa da tempo. Il minotauro è l’archetipo della diversità, essere bestiale rinchiuso dentro un labirinto, un luogo senza via d’uscita, dove non ci sono porte, dove non ci sarà mai porta. Lo dice lo stesso Borges nella poesia Labirinto: “Non sperare che la durezza del tuo cammino | che ostinatamente si biforca in due | che ostinatamente si biforca in due | abbia fine”. L’azione teatrale si svolge dentro un impianto scenografico dominato da un piano inclinato

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che impedisce agli attori qualsiasi possibilità di fuga. Rinchiusi in un labirinto coperto di terra, quattro attori-danzatori (Alexandra Hofer, Mattia Peretto, Manuela Falser e Melanie Goldner) raccontano attraverso la potenza del gesto e poche enigmatiche parole, la storia di un’esclusione. E di un incontro. Una foresta molto densa di simboli capace di attrarre su di sé lo sguardo per quasi un’ora, una danza sognante solcata di segni, aperta ad una molteplicità di letture come solo le grandi opere d’arte sanno essere. “Con Julie Stanzak lavoro già da tanti anni, dal ’91 – racconta Viganò – condividendo un’idea di base. Che dentro al corpo ci sia la nostra memoria, il nostro futuro, il nostro modo di relazionarci col mondo. In un gesto molto contratto, anche solo lo stringersi la mano, c’è la mia relazione con l’altro, mentre un gesto decontratto può raccontare un’intera vita. Penso che il corpo alcune volte possa mentire meno della voce, più vincolata com’è ad un codice. Osservare dei corpi e lavorarci sopra, scoprirne la vita attraverso le posture, questo è quello che ci interessa fare”.

Antonio Viganò, autore, attore e regista, nasce come artista negli anni ’70, Milano e dintorni. “I gruppi di base, il Terzo Teatro, Grotowski…”. Poi la formazione alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e all’Ecole Jacques Lecoq di Parigi, e quindi, sotto la guida di Carolin Carlson, la scoperta della danza: “la scoperta più bella della mia vita”. Nel ’83 fonda il Teatro la Ribalta, e dall’84 è artista associato in una compagnia a Lille, in tournèe per la Francia per quasi tredici anni (“esperienza molto formativa dal punto di vista culturale e politico”). Infine l’incontro con Pina Bausch del Tanztheater Wuppertal, e quindi con Julie Stanzak. Dall’incrocio di queste esperienze si sviluppa in Viganò la passione per una ricerca autentica, all’intersezione tra teatro e danza: un lavoro assiduo di indagine e sperimentazione sul corpo e i suoi linguaggi, che si fa comunicazione e pratica artistica. Che confluisce in un racconto, aperto, trasversale, partecipato. “Julie è bravissima a costruire il vocabolario coreografico a partire dalla gestualità degli attori, – racconta Viganò – io do un tema e chiedo agli attori di rispondermi

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1–6. Minotaurus, di Antonio Viganò e Julie Anne Stanzak

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con un gesto. Julie coglie questi gesti e li compone all’interno di frasi, in modo da dare al tutto un senso armonico. Dobbiamo produrre diecimila per utilizzare cento, è un po’ come avere tanti colori a disposizione per realizzare un quadro. Ma poi gli attori, al momento dell’esecuzione, si ricordano dell’emozione originaria che hanno messo dentro a quel gesto”. Per la realizzazione di Minotaurus il lavoro con i ragazzi della Lebenshilfe è stato lungo. Un lungo lavoro sul campo, fatto di studio, prove, impegno, sudore. E grande professionalità. “Abbiamo lavorato fino a otto ore al giorno nella sala prove del Teatro Comunale. Con Julie Stanzak che lavorava cinque ore sul corpo, i ragazzi sempre molto organizzati e puntuali, con grande padronanza degli spazi, grandissima disciplina. Molto bello perché dietro c’è una grande forma di piacere”. Unire lavoro, arte e piacere in una forma di inclusione sociale vera, concreta, capace di strappare il diverso dal labirinto dell’esclusione: questa la scommessa. Perché il teatro è una forma di comunicazione

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7. Antonio Viganò

autentica, in grado di svelare l’unicità nascosta all’interno di ogni essere umano. “Passiamo da una condizione che è quella dell’handicap – spiega Viganò – alla comunicazione. Se riesco a fare sì che quella condizione e l’essere sul palcoscenico diventino comunicazione, allora modifico lo sguardo che il mondo ha su di loro”.1 Una scommessa altissima, culturale ed insieme sociale e politica, quella lanciata da Viganò. E vinta, insieme ai ragazzi della Lebenshilfe. Una scommessa lanciata nel futuro. Perché Viganò è uno che non si ferma mai, progetta, crea, immagina. Pensa al futuro di questi ragazzi, lavora al futuro di Bolzano. “Qui c’è un strada interessante da percorrere – scandisce Viganò – battuta in Europa solo da l’OiseauMouche a Roubeaix e dal RambaZamba a Berlino. Una grande possibilità per Bolzano e per tutti, di costruire qualcosa di importante, per dare alla nostra attività una forma professionale. Se Bolzano vuole diventare Capitale europea della cultura, lo deve essere per tutti, e questa potrebbe essere una

buona carta da giocare. Una testa d’ariete per spalancare nuove porte alla creatività”. Concretamente, a cosa pensa Viganò? ”Abbiamo voglia di fare una casa aperta a tutti. Ci piacerebbe venisse Franz, Teatraki, Musica Blu e tanti altri. Una casa dove lavorerebbero in maniera integrata il Teatro la Ribalta e la Compagnia della Lebenshilfe, con dei laboratori quotidiani. Potremmo chiamarla l’Accademia delle arti della diversità. Siamo in contatto con figure professionali di importanza internazionale come Julie Stanzak, ma vorremmo anche coinvolgere altri danzatori del Tanztheater Wuppertal e persone come Marco Baliani e Gabriele Vacis. Uno spazio aperto, liquido, aperto alla sperimentazione e alla creazione teatrale, ma anche alla musica, alle arti plastiche… Non in competizione con le realtà già presenti, ma in sinergia. Una grande possibilità per Bolzano”. Di più, una responsabilità per tutti quelli che hanno a cuore il suo futuro.

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Bühne frei, Vorhang auf! Was wird demnachst am Verdiplatz 40 gespielt? Su il sipario! Quali i prossimi spettacoli in Piazza Verdi 40?

Vereinigte Bühnen Bozen Eine Familie von Tracy Letts  14–28.01.2012 Die Wirtin von Peter Turrini  25.02–04.03.2012 www.theater-bozen.it

Harold und Maude von Colin Higgins  16.03–01.04.2012 Wie überlebe ich meinen ersten Kuss? von Heleen Verburg  05–21.04.2012 My Fair Lady Musical von Frederick Loewe und Alan Jay Lerner  16–30.05.2012

Teatro Stabile di Bolzano: Altri Percorsi / Nuovi Linguaggi West di Fanny & Alexander  31.01.2012 Mikado/Le Troiane di Accademia degli Artefatti  15.02.2012 Tempesta di Anagoor  29.02.2012 Grimmless di Ricci / Forte 04.04.2012 www.teatro-bolzano.it

Dies Irae di Teatro Sotterraneo  18.04.2012

Fondazione Teatro Comunale – Stiftung Stadttheater Salome Oper_Opera Richard Strauss  25–26.01.2012 The Tyrant Oper_Opera Paul Dresher  08–11.02.2012 Les Ballets Trockadero de Monte Carlo Tanz_Danza  17.03.2012

www.ntbz.net

La Traviata Oper_Opera Giuseppe Verdi  30–31.03.2012 Vortice Dance Company Tanz_Danza  18.04.2012 Bolzano Danza_Bozen Tanz 16–29.07.2012

La biglietteria del Teatro Comunale, Piazza Verdi 40 a Bolzano, è aperta dal martedì al venerdì dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle ore 15.00 alle 19.00 e sabato dalle ore 10.00 alle 13.00.

Die Kassen des Stadttheaters am Verdiplatz 40 in Bozen sind geöffnet von Dienstag bis Freitag von 10.00 bis 13.00 und von 15.00 bis 19.00 Uhr und am Samstag von 10.00 bis 13.00 Uhr.

La prenotazione dei biglietti avviene tramite i seguenti canali: → via email all’indirizzo ticket@vipticket.it → via fax al numero +39 0471 053 801 → telefonicamente al numero +39 0471 053 800 → durante gli orari di apertura della biglietteria

Die Karten können folgendermaßen vorgemerkt werden: → mittels E-Mail an die Adresse ticket@vipticket.it → mittels Fax an die Nummer +39 0471 053 801 → telefonisch unter der Nummer +39 0471 053 800 → während der Öffnungszeiten der Kassen


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