Monumentum

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Filippo Pecorai Francesco Polci

Monumentum nuovo ingresso al Museo Gaio Cilnio Mecenate e riqualificazione a parco archeologico dell’Anfiteatro romano in Arezzo


Filippo Pecorai

filippo.pecorai@gmail.com 3201195078

Francesco Polci

fr.polci@gmail.com 3389340937

in copertina: bambini che giocano tra i ruderi romani. anno 1936 - 1940 | Foto Club La Chimera www.fotoantiquaria.it



Menzione d’Onore Premio di Cultura “Aurelio Marcantoni”2014 VII edizione Società Storica Aretina Menzione Speciale Premio Gubbio 2015 Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici


UniversitĂ degli Studi di Firenze DIDA Scuola di Architettura corso di Laurea Magistrale in Architettura aa. 2012 2013 Aprile 2014

Monumentum relatore

Prof. Arch. Andrea Innocenzo Volpe correlatori interno

Arch. Salvatore Zocco

esterno

Dott.ssa Silvia Vilucchi progetto

Filippo Pecorai Francesco Polci



Firenze 8 Settembre 2014

Il progetto di Filippo Pecorai e Francesco Polci rappresenta forse qualcosa di più di una semplice esercitazione finalizzata alla discussione di una tesi di laurea. E’ piuttosto la conclusione di un proficuo percorso di apprendimento e di formazione, canonicamente iniziato con lo studium delle architetture dei maestri e poi maturato con un atto di ben meditato trasferimento di quelle antiche misure, della loro memoria, della loro ragionevolezza, in un’ipotesi di recupero e valorizzazione di un importante bene culturale aretino. Un atto di estremo realismo che assume, oggi come oggi, un alto valore civile. Attraverso poche mosse, concordate con la Direttrice del Museo Gaio Cilnio Mecenate Dott.ssa Silvia Vilucchi, è stata ipotizzata una soluzione alternativa dei flussi interni al Museo, considerando di fatto il giardino liminare ai ruderi dell’anfiteatro quale ulteriore sala espositiva ad accesso gratuito ma controllato. Questo nuovo scenario, che di fatto libera le rovine dall’attuale recinzione posta a loro salvaguardia, consente di riconnettere la porzione meglio conservata dell’anfiteatro al circuito espositivo. Un ulteriore accesso alle collezioni è invece ricavato dove oggi insistono le attuali, non certo belle, scale di sicurezza. Il Museo, dotato così di un nuovo ingresso (che risolve brillantemente il doveroso superamento delle barriere architettoniche) e mediante il nuovo sistema dei percorsi, offre la possibilità alla cittadinanza ed ai turisti di godere adesso della vista dei ruderi dal loggiato dell’antico monastero di San Bernardo. Si configura dunque la possibilità di ripensare l’intero isolato come una sequenza di spazi disponibili sia alla visita che alla sosta. Un vero e proprio parco archeologico dove cui traguardare anche una nuova presenza. La nuova ala d’ingresso; una torre che oltre a risolvere le esigenze di sicurezza nel rispetto della normativa vigente si offre ad un tempo come un nuovo osservatorio sul panorama di Arezzo e come evocativa sezione archeologica dell’anfiteatro stesso. Un’architettura parlante, un’architettura didattica, un’architettura poetica. I dottori architetti Polci e Pecorai hanno saputo costruire con coerenza ed attenzione questa possibilità, raccogliendo con coraggio la sfida di lavorare in un contesto così delicato, riuscendo nel cimento. E adesso che siano i disegni a parlare.

Andrea Innocenzo Volpe

Professore di Composizione architettonica e urbana Dipartimento di Architettura Facoltà di Architettura di Firenze Via della Mattonaia 14, 50121



Firenze 11 Settembre 2014

Il complesso monumentale costituito dall’anfiteatro e dal convento degli Olivetani di San Bernardo dal 1937 sede del Museo Archeologico di Arezzo, ma anche dall’area di rispetto che ne custodisce e salvaguarda l’ambiente, la luce, il decoro disegnata negli ‘orti di San Bernardo’ ai primi decenni del Novecento nell’isolato perimetrato da via Margaritone, via Francesco Crispi, via Antonio Guadagnali, via Niccolò Aretino, può a tutti gli effetti essere definito Monumentum, nel senso originale del termine: elemento della memoria del passato e dell’antico. L’assetto moderno del luogo, sia in termini architettonici che funzionali, è improntato alla struttura conventuale costruita nel XIV secolo sul settore meridionale dell’edificio di età romana sovrapponendosi ai resti fortemente spoliati dell’antico anfiteatro, e conservandone, almeno sul lato meridionale, gli elevati fino al secondo piano dell’ambulacro mediano, adattandosi, con la caratteristica curvatura della facciata, ai corridoi anulari dell’edificio stesso. Pertanto, quando negli anni ’30 del Novecento si scelse l’edificio dell’ex convento ormai divenuto demaniale per trasferirvi la sezione archeologica delle collezioni del Museo Pubblico di Fraternita e i materiali venuti in luce negli scavi ottocenteschi dell’area urbana, il percorso espositivo si sovrappose al percorso conventuale, mentre i reperti furono distribuiti negli ambienti progettati per la vita monastica. Le proposte progettuali di Filippo Pecorai e Francesco Polci ribaltano totalmente tale assetto, ‘rivoluzionando’ la lettura e l’utilizzo del complesso monumentale. Si parte così di nuovo dalla storia più antica del luogo, ritornando alle radici storiche e culturali di Arretium, riportando al centro della visione del monumentum l’edificio anfiteatrale che fin dal I secolo d.C. connotò fortemente l’assetto urbanistico di questo settore immediatamente esterno e a valle della città antica. Il nuovo ingresso progettato, con ‘passeggiata archeologica’ da via Crispi, partendo dalle quote originali di età romana, l’ardita ‘torre’ pensata sul lato nord est dell’edificio conventuale a simulare l’altezza massima dell’anfiteatro nella facciata anulare esterna che lo rendeva visibile nella sua monumentalità a chi arrivava dal contado e al cittadino che viveva cui colli della città alta, il nuovo punto di accoglienza e d’inizio del percorso museale, le proposte di allestimento dei reperti, qualificano lo studio e la proposta progettuale dei due giovani architetti, obbligandoci a valutarne la fattibilità e l’impatto fortemente innovativo.

Silvia Vilucchi

Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana Via della Pergola 65 50121 FIRENZE 055.23575 (centr.); 055.2357770 (dir.); 055.242213 (fax) Museo Archeologico Nazionale Gaio Cilnio Mecenate di Arezzo Via Margaritone 10 52100 AREZZO 0575.20882 (tel./fax)



Alle nostre Famiglie


veduta dei resti dell’anfiteatro dissotterrati tra il 1926 e il 1931 e della cancellata disegnata dall’Ing. U. Tavanti


«io ricordo adesso benissimo lo stupore curioso col quale giovinetto appena, guardavo quella targa che indicava la Via dell’Anfiteatro: la via stava là, ma l’Anfiteatro era per me un assillante mistero; e ricordo anche la mortificazione del mio orgoglio aretino, quando finalmente un giorno potei ficcare il naso, negli orti olivetani di San Bernardo e scorsi che tutto si riduceva a pochi tratti di mura dirute, rivestite di edera e roveti selvaggi. Il ragazzo era evidente aveva sognato per Arezzo qualcosa come il Colosseo per l’Urbe» Ascanio Aretini. 1931



appunti

ore aretine. tutt’intorno il passaggio e l’agitazione cittadina. Dalla cancellata si intravede il verde, un alto vomitorio e il Monastero. Entrando ci si aliena dal contesto urbano; il parco non ben curato è il filtro dalla città e attraversamento dell’ isolato solo per pochi “intimi”. Una signora con un cane, una mamma che ha preso il figlio a scuola, panchine vuote. Le ombre dritte dei cipressi spezzano l’atmosfera calda di una giornata di sole. Dimenticando la velocità della vita che sta fuori il silenzio ci avvolge. L’ordine del fronte del Monastero e il disordine delle rovine; i colori caldi di uno e quelli freddi dell’altro; i chiaro-scuri del loggiato, la durezza delle pietre. L’antitesi muta in un equilibrio del Luogo. Si vedono cittadini che attraversano il parco, ma lo sguardo non è rivolto ai ruderi; si vede qualche turista che sorpreso scatta delle foto da dietro i cancelli. Il Monumento è accessorio al contesto, un ornamento, quando in realtà dovrebbe essere il soggetto principale di tutta la scena. L’aretino parla dell’Anfiteatro, ne discute e prova per “Lui” un sentimento; si pone però ad una distanza rispettosa quasi dovuta solo alla tradizione, come ormai disilluso da quei ruderi. Per questo forse non viene vissuto, restando estraneo alla quotidianeità. Qui però la poesia della storia vi sostituisce la vita. Il sentimento di assenza che provocano i ruderi può essere disarmante, ma le rovine sono lo stesso una forte presenza, una citazione un monumentum appunto della memoria del passato. L’architettura ha il compito di storicizzare il presente per rivitalizzare il passato; rendere l’Anfiteatro quotidiano e funzionale anche per chi lo considera soltanto un assenza. Questa può essere la promessa nelle rovine.


sommario


incipit

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la città, l’Anfiteatro romano, il Museo Archeolgico Nazionale G.C. Mecenate

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arretium vetus | immagine e identità urbana datazione | scavi | caratteri architettonici sede | formazione del Museo | ordinamento e collezione la Terra Sigillata | ceramiche dell’ex Monastero di San Bernardo | iscrizioni onorarie e funerarie

progetto

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l’area | le emergenze | le occasioni

il parco dell’Anfiteatro romano la passeggiata archeologica il complesso museale

| 79 | 85 | 99

la visita al Museo il chiostro la sala del Monastero la sala della Terra Sigillata il nuovo ingresso al Museo

modelli

| 144

glossario bibliografia ringraziamenti english text pubblicazioni, riconoscimenti regesto

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incipit

«Per quei ruderi restava un culto profondo forse un incosciente riconoscimento del significato altissimo di ogni vestigia di Roma immortale: e indubbiamente Arezzo ebbe sempre sospiri nostalgici per il suo Anfiteatro scomparso sotto il piccone ed ebbe sempre vivo il desiderio di rivedere quel che la terra gelosamente nasconde ancora»1 Ascanio Aretini

Nel libro “Futuro del classico” S.Settis afferma che le rovine hanno il compito ritmico di rinascere come condizione indispensabile della tradizione e della memoria. L’Anfiteatro romano ha il dovere di diventare protagonista di un luogo di passaggio e sosta vissuto dai cittadini e conosciuto dai turisti; la permeabilità del vuoto urbano all’interno della saturazione dell’edificato permetterà al parco archeologico di diventare parte integrante della vita culturale e ludica della città. Partendo dalla necessità di continuità con il passato e di rievocare il pathos delle rovine, l’intervento prevede la musealizzazione dell’area mettendo a sistema i ruderi, il parco e il Museo. Il complesso cosi rinsalderebbe un legame con l’isolato e con l’intera città. Un tentativo fu fatto negli anni Venti, cercando di costruire una passeggiata archeologica, oggi superata, che tuttavia ha permesso la preservazione della fascia verde circostante. Assecondando la suggestione di questo intervento la nostra proposta è di rendere il parco, l’Anfiteatro ed il Museo fruibili agevolmente al pubblico, permettendo alla città di riappropriarsi di questo luogo non soltanto come immagine evocativa del passato, ma con l’uso quotidiano, condizione necessaria perchè l’architettura possa diventare scena fissa della vita dell’uomo I ruderi sormontati dall’edificio del Museo mantengono il loro potere evocativo nonostante l’immagine dell’edificio originario non sia più rappresentata. Il sito dell’Anfiteatro è marginale rispetto ai circuiti turistici di Arezzo. Il lotto è stato intercluso nel suo isolato il collegamento con l’esterno è affidato ai due ingressi realizzati negli anni Venti contestuali alla razionalizzazione del parco. L’Anfiteatro oggi non ha legami stretti con il tessuto urbano della città ne funzioni che gli possano garantire la condizione necessaria per non diventare semplice effige. Tuttavia la collocazione del Museo archeologico nell’ edificio conventuale ha contribuito in parte a mantenere vivo l’interesse per l’ Anfiteatro. Nel corso degli anni si è cercato di organizzare spettacoli nella cavea ma in maniera non continuativa per le difficoltà dovute all’incompatibilità con la sistemazione attuale dei ruderi. Oggi non esiste una soluzione di continuità tra il parco circostante e l’arena dell’Anfiteatro a causa di un dislivello 1_ A.Aretini,l’Anfiteattro di Arezzo il Parco Archeologico e il Museo Etrusco Romano, in “ Atti e Memorie dell’ Accademia Petrarca di Arezzo “XI,1931, p. 303

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e di una recinzione metallica, questo è conseguenza di una disomogeneità di funzione: il parco, viene utilizzato come attraversamento dell’isolato mentre i ruderi privi di funzione fungono da cornice al museo. Oggi l’area archeologica non è vissuta come tale, ma come elemento accessorio al parco urbano. Nella poetica cinese huaigu si introducono due concetti: “xu” e “ji”.2Il primo definisce il vuoto, la distruzione, la mancanza, il secondo racconta di sopravvivenza, vita, esibizione. Le rovine possono essere definite da entrambe i termini: hanno perso parte della loro matericità, ma ci sono ancora a memoria di un passato che si ripropone. Questa è proprio la situazione del parco archeologico dove l’Anfiteatro si presenta come assenza e l’uomo con quello che rimane deve, con coscienza storica, creare la continuità necessaria alla condizione di iterabilità ad infinitum delle rovine. G.Grassi descrive la rovina come qualcosa di sopravvissuto nel tempo e dunque “citazione” di un tempo che fu , oppure come un oggetto perduto ma di cui si sente il bisogno, allora “omissione”.3 L’ intenzione è quella di unire nel progetto le diadi presenzaassenza, memoria-futuro, nel rispetto delle preesistenze ma allo stesso tempo valorizzare il Monumentum attraverso un “uso” contemporaneo. La proposta parte da emergenze reali che diventano l’occasione architettonica per un adeguamento alle normative di sicurezza e l’abbattimento di barriere architettoniche.

2_S.Settis,Futuro del classico,Einaudi Editore,2004,p.86-87 3_ Cfr. G. Grassi, “L’architettura come mestiere. Introduzione a Heinrich Tessenow” in Osservazioni elementari sul costruire di Heinrich Tessenow, Franco Angeli, 2003 [ 1917 ]

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| la cittĂ e le sue vallate

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| Arezzo

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| 1. “veduta della citta di Arezzo�. M.Bettacci. 1643

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la città arretium vetus La strategica posizione geografica della città in ambito economico, mercantile e di difesa assieme alla nota fertilità di tali terre sono state le cause principali della sua fondazione. L’ininterrotta continuità di vita e dunque lo stratificarsi degli insediamenti ha lasciato enormi lacune in ambito archeologico4, a differenza di molte fonti e documenti che parlano di Arezzo già in tempi arcaici. L’inesistenza quasi totale di dati materiali ha stimolato un intenso studio del territorio antropizzato attraverso l’analisi dei segni: strade, insediamenti e ripartizioni territoriali. Le scienze linguistiche non danno una datazione di origine precisa. Escludendo l’etimologia basso-medievale di Arezzo in “aritio”, dovuta alla salita che porta fino al duomo, e la derivazione ebraica da “Arez” che significa terra, si espongono due correnti.5 Il glottologo Giacomo Devoto individua la base ‘Arra’ come forse appartenente ad un periodo di origine accadico ,preetrusco da ‘Aradu o Eredu’ (essere in declivio, piegare in giu’) indicante una città posta su un colle in declivo, mentre il suffisso è da attribuire ad un periodo etrusco, avendo lo stesso similitudini con il prenome etrusco Arnth, latinizzato in Arnus. Franco Paturzo, in contraddizione con una derivazione piceno o italo-orientale, avvalora la tesi di un toponimo mediterraneo riconducibile ad un substrato ligure. Il punto più alto della città ospitava ancora nel medioevo la chiesa di “ San Donato in Cremona”6; nomi di luoghi come Arretium o Cremona si riscontrano nell’ area occidentale del Mediterraneo specialmente ligure ed inoltre Polibio (storie II,XVI) afferma che i liguri erano, ancora nel II sec a.C., in casentino.7 L’argomentazione toponomastica ci conferma dunque il valore di Arezzo come luogo d’ incontro di correnti linguistiche e culturali. Alcuni studiosi furono condotti a porre la primogenia fondazione di Arezzo sopra il colle detto di “ San Cornelio” o “ Castelsecco”8, ubicato a circa 2km dalla odierna città;9 le indagini archeologiche hanno dimostrato che i resti della cortina muraria sono databili solamente al III-II sec a.C. Il ritrovamento di una fibula bronzea conferma invece le origini di Arezzo già in età villanoviana, attorno a IX-VIII sec a.C. L’oggetto di sicura provenienza dal Poggio del Sole permette di ritenere plausibile la presenza di esperienze insediative precedenti nella zona a valle del fiume Castro.

4_la quota attuale della città si trova ca. 5 metri sopra quella etrusco romana 5_A.Tafi,Immagine di Arezzo,1978,p.17 6_U.Pasqui,Documenti per la storia della città di Arezzo,Vol.II,1916,p.309 | si veda fig.3 7_F.Paturzo,Arezzo Antica,1997,pp.76-77 8_si veda fig. 5-6 9_Ivi,p.72

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| 2. Fortezza Medicea. 1538-1560

| 3. Chiesa di San Donato in Cremona. 1000 d.C.

L’“Arretium vetus”, situata nella parte Nord-Est dell’Etruria, ritenuta una delle dodici Lucumonie, costituiva il centro naturale della popolazione agricola sparsa nella fertile Val di Chiana. Nata nel VI sec a.C. come avamposto di Chiusi, sorse su una modesta altura posta tra le colline di S.Pietro e di S.Donato, al centro dei passaggi obbligati verso il nord, l’est e il sud. I primi reperti sono databili VI secolo a.C.: frammenti di vasi rinvenuti nel 1956 presso la Fortezza, stipe votiva della Fonte Veneziana, tombe arcaiche della necropoli di Poggio del Sole. Altro documento è il ritrovamento di un elogio nel foro di Tarquinia che attesta una guerra condotta dai Tarquiniesi al tempo di un Re a Caere nel territorio di Arezzo; ciò confermato da un testo di Dionigi d’Alicarnasso in cui si parla di un aiuto fornito dagli aretini ai latini contro il re di Roma Tarquinio Prisco. La sua prima cinta muraria, risalente a lV secolo a.C., aveva una forma rettangolare, composta da grossi blocchi in pietra, si sviluppava sulle collinette di S.Pietro (Cattedrale) e di S.Donato (Fortezza)10. Sulla base di tale tracciato si può delineare l’antica città di Arezzo con una forma regolare di quadrilatero rettangolo allungato, contenente due colli e con un perimetro di circa 1500-2000 m. La principale arteria di tale struttura urbana era il decumano massimo di Piaggia di Murello e via Ricasoli, considerato il più antico impianto urbanistico della città. Lo scacchiere si completava con il cardine stradale nord-sud di via Pellicceria, che delinea perfettamente l’antico nucleo abitativo della città. Le testimonianze archeologiche di Arezzo di questo periodo vertono su terrecotte decorative, la lavorazione dell’argilla assieme a quella del bronzo (minerva, chimera), rivelano l’originalità e la capacità coroplastica aretina. A conferma della lavorazione metallurgica etrusca la notevole esportazione bronzea nelle terre germaniche, nelle quali il termine metallo era definito “ erz” di probabile derivazione da arretium11. Con lo sviluppo demografico ed industriale la città ridimensionò le mura in pietra: un tracciato di 90 m a nord del prato ed uno rinvenuto tra via delle gagliarde e via Margaritone conferma la presenza di un seconda cinta. Le fonti cominciano a parlare di Arezzo in maniera omogenea nel IV secolo a.C. quando assunse un preciso assetto urbanistico. “Arretio rebellante gravissimus terror romanis incessit”; con queste parole Tito Livio ( 10,37) descrive facilmente i ricorrenti conflitti di carattere sociale e l’esistenza in città di una forte ed irrequieta plebe urbana nei confronti dei romani che tra il IV ed il III sec. a.C. conquistarono la maggior parte delle lucumonie etrusche. Nonostante le varie ed alterne vicende politiche e sociali del mondo romano, Arezzo mantenne sempre notevole prosperità economica per tutta l’età Ellenistica. La sua posizione strategica, fece si che, dopo aver presentato la pace ai romani, diventasse una delle “validissimae urbes, etruriae capita”12, come luogo importantissimo di difesa. Arezzo, che nel 285 a.C. venne distrutta e saccheggiata dai 10_A.Tafi,op.cit.,pp.18-19 | si veda fig. 2 11_Cfr.F.Paturzo,Arezzo Antica, cit.,p.77,note; per il glottologo G.Bonfante dal latino “Arretium “si giungerebbe al tedesco “erz “significnate metallo.Gli etruschi di Arezzo avrebbero esportato il loro prodotto oltralpe 12_A.Tafi,op.cit.,pp.20

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| 4. La cittĂ etrusco romana

tracciati etrusco romani

mura laterizie III sec a.C.

tombe romane

limitatio IV sec. a.C.

necropoli etrusca

mura in pietra IV sec. a.C.

tempio, teatro, terme

mura in pietra V sec. a.C.

terme, anfiteatro

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| 5. Santuario etrusco di Castelsecco,teatro. II sec.a.C.

| 6. Castelsecco, mura. III-II sec. a.C.

Galli, venne ricostruita ed ebbe una nuova cinta di mura laterizie di 5 metri di spessore, tanto ammirata da Vitruvio.13 La città come centro Etrusco ad oggi ci presenta questo assetto: sul colle della Cattedrale e della Fortezza la città dei vivi (Est-alba); sulla più bassa altura del poggio del sole, la citta dei morti, la necropoli (Ovest-tramonto); una strada quasi dritta, passante sotto l’ attuale chiesa di San Francesco, univa i due centri. Di notevole importanza, sul colle di San Cornelio, il Santuario di Castelsecco14 devoto ad Uni, databile attorno al II sec. a. C.: imponente sistemazione scenografica con la presenza di un binomio teatro-tempio evocante i moduli architettonici dei Santuari italici. A partire dalla metà del III sec. a.C. politicamente l’Etruria era finita. Però la lingua , la cultura, i costumi etruschi sopravvissero fino al tempo di Cristo. Nell’antica Arezzo i fremiti di riscossa dell’animo etrusco continuavano a farsi sentire. La potenza di Arezzo nell’ Etruria del III-II sec. a.C. viene palesata dalla donazione di 3000 scudi, elmi, giavellotti e aste accompagnati da frumento e viveri fatta a Roma nel 205 a.C. anno dell’ ultimo attacco a Cartagine. Arezzo subì vari saccheggiamenti e distruzioni durante le guerre civili ,ma non andò mai incontro a decadenza, anzi ebbe nell’insieme una ricca fioritura economica dovuta alla presenza della via cassia, alla ricchezza del territorio e al protrarsi della produzione metallurgica. Partecipò alle vicende romane e avendo parteggiato per Mario contro Silla, quest’ultimo dopo la vittoria (82a.C.) vi dedusse un’altro contingente di coloni: gli aretini fidentiores che si affiancarono ai veteres. La città fu protetta dalla distruzione totale grazie all’ oratione pro caecina di M.Tullio Cicerone. Giulio cesare accorgendosi della situazione aretina stanziò una colonia di suoi veterani nell’agro aretino dove oggi possiamo notare la centuriazione cesariana. La ripresa in breve tempo fu magnifica: l’industria aretina raggiunse il suo apice con la famosa ceramica a rilievo a vernice rosso-corallina, che per circa un secolo a partire dalla fine del I sec. a.C. venne esportata in tutto il mondo. Con l’inizio dell’impero (31a.C.) e con Augusto non è difficile pensare che la sentita amicizia dell’imperatore per l’aretino G. Cilnio Mecenate portasse dei vantaggi alla città: nel I sec. d.C. raggiunse un notevole livello di benessere raggiungendo i 30.000 abitanti. Nel 89 a.C. Arezzo diventò municipium e venne iscritta alla tribù Pomptina, tribù rustica che traeva il nome dalle campagne dell’agro pontino. Dalle parole di Plinio il vecchio si evince ancora una volta la capacità del territorio aretino di produrre ottimo grano,siligo della valdichiana, ed un ottimo vino,Talpona.15 Nel I sec. d.C. epoca del massimo splendore a causa del fiorire dell’ industria della ceramica aretina , la città continuò ad espandersi alle pendici del colle di San Pietro e San Donato in zone prima occupate da officine e sepolcreti, ed ebbe come limite estremo via Crispi via Guadagnoli. 13_ Ivi.p.20 .parti di queste mura vennero ritrovate nel 1916-1918 dal Pernier a Nord della città 14_si veda fig. 5-6 15_Ivi.pp.22-23

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| 7. le mura

cinta medicea 1500

cinta tarlatesca 1300

cinta muraria 1200

cinta altomedievale

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L’assetto urbano romano è ben più noto di quello etrusco: nella parte alta della città dove ora c’è la fortezza si trovava il complesso teatro-terme; sicuramente tra l’abside del duomo e il prato era ubicato il foro; edifici termali si trovavano in via delle terme, a porta San Clemente e in via Crispi; a sud presso la chiesa di San Bernardo si trova l’Anfiteatro; nel territorio extra moenia sulla cima di Castelsecco degno di nota è ancora il tempio di Giunone Lucina. Dal II sec. d.C., anche a causa della decadenza delle industrie ceramiche, Arezzo scompare dalle fonti classiche; scarse sono anche le notizie per il periodo della tarda romanità; quasi nulli i ritrovamenti archeologici; solo il colle del Pionta ha fornito notizie su di una necropoli paleocristina del V sec. d.C.

| 8. la città antica. il cardo_archivio Centro storico

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| 9. arretium vetus

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immagine e identità urbana

«Risiede sulla faccia meridionale di agevole ameno colle di cui dominano la sommità la grandiosa Cattedrale, i giardini pubblici e la cittadella, mentre da ostro a ponente il fabbricato e le interne vie si estendono a forma di ventaglio sino alla sottoposta pianura attraversata in parte dal torrente Castro, con un giro di mura di circa tre miglia di estensione»16 Emanuele Repetti

Il comune si estende su di un area di circa 384 kmq su di un altezza massima si 296m slm17 e conta più di 101.000 abitanti. Arezzo ha un eccezionale posizione geografica; posta nel centro d’Italia, la città sorge su di un plesso formato da quattro collinette (San Pietro, San Donato, Poggio del Sole, Colle del Pionta): le prime due strettamente connesse, le altre separate dal sottostante torrente Castro18, tale complesso appare completamente isolato al centro di un ampia conca. Attorno, colline dai tenui rilievi a sud, forti montagne a nord. Ampi e comodi passaggi, alcuni completamente pianeggianti, collegano la piana aretina con le quattro grandi vallate che hanno fatto la vera fortuna della città; a nord il Casentino, ad ovest il Valdarno, ad est una serie di valichi permettono di raggiungere la Valtiberina, a sud la Valdichiana. Questa importante rete di valli ha permesso ad Arezzo di connettersi alle principale vie, sia esse economiche, sociali, culturali della penisola. La città d’origine etrusco romana è, per lo più, visibile nei tracciati e negli allineamenti del tessuto che sono stati conservati nei secoli dal sovrapporsi degli elementi edilizi con la sola eccezione dei grandi cambiamenti strutturali che hanno toccato l’area cacuminale della città, oggi occupata dal prato e dalla limitrofa 16_ Emanuele Repetti, Dizionario storico-fisico della Toscana,Vol.I, 1883 17_colle di San Pietro 296m slm,colle di San Donato 305 m slm. 18_torrente Castro interrato intorno al 1920.

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| 10. Piero della Francesco Storie della Vera Croce Basilica di San Francesco. 1453-1464 profilo e cromia della città

| 11. Giotto Cacciata dei diavoli da Arezzo. 1295-1299

Fortezza Sangallesca, ed i comparti corrispondenti ai quartieri meridionali pedecollinari completamente rivoluzionati dalla crescita urbana moderna. La città è adagiata a partire dalla sommità dei colli S.Donato e S.Pietro; nell’ asse via di Pellicceria-via Fontanelle si può riconoscere le rigorose regole dell’organizzazione urbana e civica del mondo romano. L’articolarsi nei secoli delle varie mura, in pietra e laterizie , ed una stratificazione dell’edificato che prima a seguito lo scacchiere romano per poi in epoca tardo medievale, espandersi verso il castro, hanno portato la città ad avere una nuova forma urbis simile ad un ventaglio aperto verso sud-ovest. La sistemazione del mercato nell’attuale Piazza Vasari, ottenuta con una riorganizzazione della spianata dietro la Pieve, e la conseguente estensione delle mura , ha dato il via allo sviluppo dell’ assetto urbano che più di ogni altro identifica ad oggi il cuore antico di Arezzo: la superficie racchiusa entro la poligonale delle mura medicee che disegnano l’orlo dell’esagono, si è espansa occupando ampie aree ortive, un tratto del torrente castro ed i sobborghi cresciuti lungo via madonna del prato e l’ attuale Corso Italia, includendo infine anche l’ area dell’ antico Anfiteatro romano. La legge della proporzione domina il compatto edificato di Arezzo; la sua forma a ventaglio si conclude con la città vecchia nella parte più alta , dove domina il Duomo e la Fortezza. L’antica ed intricata trama urbana punteggiata anche dalla permanenza delle primitive e guerriere case torri, ha realizzato un disegno straordinario dello spazio, rendendo compartecipi dell’architettura le strade e le piazze, creando nei vuoti e nei pieni, nelle scansioni delle vie, degli slarghi e delle corti, negli orti un motivo ornamentale unitario nell’apparente disomogeneità dell’insieme. La trama dei vicoli e degli assi (Corso Italia, via Garibaldi, via Crispi, via Petrarca), gli spazi delle piazze (San Francesco, Piazza Grande, Piazza Sant’Agostino), le torri e i campanili (torre Lappoli, casa Petrarca, borgunto, la Pieve , il Duomo), convivono in un rapporto di pieni-vuoti che si è instaurato nel corso dei secoli e che oggi documenta una crescita organica dell’ambiente urbano. I monumenti sono legati in maniera diretta dalla caratterizzazione spaziale e tipologica dell’edificato; il prevalente impiego della pietra arenaria alternata alla costruzione accessoria di parti lignee, il cotto delle coperture e delle pavimentazioni fornisce sul piano cromatico una condizione visiva ben armonizzata che si integra qualitativamente con l’eterogenea scansione delle coloriture, giallo ocra, brune e rosate degli intonaci a calce. L’ identificazione dell’ambiente aretino con la sua caratterizzazione cromatica e le sue torri puntuali, è sottolineata nella “cacciata dei diavoli “ di Giotto19. La città extra moenia ha avuto uno sviluppo abbastanza selettivo nelle tipologie urbanistiche: la zona verso la Valdichiana, lungo un antico cardo è residenziale; ad ovest insediamenti industriali si aprono nella direzione del Valdarno; ad est terziario e residenziale compongono la stratigrafia di Arezzo. 19_si veda fig. 11

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| 12. Foro Boario, Arezzo.1938 Arch.A.Giunti

| 13. giardini pubblici,via Spinello. Arezzo1932 Arch.P.Porcinai

La città moderna si è sviluppata attraverso interventi tipici del razionalismo: strade ampie e prospettiche rompono l’assetto compatto della città antica e collegano in maniera diretta i lati opposti di Arezzo; edifici monumentali ma allo stesso tempo semplici ed efficaci, come il palazzo del governo G. Michelucci20, il foro boario21 ed il consorzio granaio22. Il centro storico presenta molti spazi di verde pubblico, giardini storicizzati e privati; di notevole importanza i giardini progettati dal Porcinai23 agli inizi del Novecento a sud dell’Anfiteatro lungo il limite delle mura medicee di fronte alla stazione. Nella parte bassa del centro storico, il compatto edificato è spezzato da via Roma-via Crispi (aperta tra il 1925-1928). Assi viari a forte densità commerciale si incontrano in Piazza Guido Monaco, realizzata nel 1869, oggi fulcro della vita urbana di Arezzo. Nella parte bassa di Arezzo, zona sud est, si trova l’isolato che include l’Anfiteatro romano; il Monumento è inserito nel contesto cittadino posizionato al centro di un isolato densamente edificato, delimitato a Nord da via Francesco Crispi, a Ovest da via Margaritone, a Est da via Antonio Guadagnoli e a Sud da via Nicolò Aretino. Oggi incluso nella trama del centro storico, fino a metà Ottocento era abbracciato da campi, orti e zone boschive, raggiungibile esclusivamente da via dell’ Anfiteatro che lo collegava con Piazza San Jacopo.

| 14. consorzio granaio.Arezzo.1938 ing. Ubaldo Pasqui

| 15. Palazzo del Governo, Arezzo. 1937-38 Arch.G.Michelucci

20_si veda fig. 15 | l’ andamento curvilineo del Palazzo di Governo trae ispirazione dal Convento di San Bernardo. | AA.VV. Il palazzo del Governo di Arezzo di Giovanni Michelucci, 1993 21_si veda fig. 12 22_si veda fig. 14 23_si veda fig. 13

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1939

1800 | 16. la viabilitĂ

oggi

1939

1874

1765 | 17. l’edificato

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3

6

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1 8

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| 18. il verde, i musei, i siti archeologici

musei e gallerie

siti archeologici urbani

1_museo archeologico

1_fortezza di sangallo

2_manmm

2_piazza san niccolò

3_mudas

3_chiesa di san lorenzo

4_gcac

4_pieve di santa maria

5_casa vasari

5_palazzo lambardi

6_casa petrarca

6_sottosagrato di san francesco

7_casa bruschi

7_piazza san jacopo 8_anfiteatro romano

aree verdi private

9_poggio del sole

giardini storicizzati

giardini, parchi pubblici percorsi primari

siti archeologici extraurbani 10_castelsecco 11_colle del pionta

21


22


l’Anfiteatro romano «Questo anfiteatro non è, come altri celebri d’Italia, dominatore del paesaggio con le sue rovine grandiose; gli uomini l’ hanno raso al suolo al punto che fino a non molti anni fa nulla sorgeva dalla terra dell’ antica costruzione. Ma in compenso è uno dei più singolari monumenti che si possano incontrare nelle peregrinazioni archeologiche»24 Renato pacini

datazione La datazione dell’Anfiteatro è stabilità in base alle tecniche costruttive. La prima campagna di scavo fu condotta senza alcun criterio stratigrafico, questo rende impossibile una datazione certa. L’Etruria ebbe un grande sviluppo in età adrianea; il ritrovamento di un asse di Adriano nei luoghi dell’ Anfiteatro supporta la tesi che fosse frequentato in questa epoca (117-138d.C.). Nell’ Anfiteatro di Arezzo l’opus reticulatum25, come rivestimento delle murature, misto a ricorsi di laterizio, si trova frequentemente intervallato da filari o addirittura da vaste campiture di blocchetti squadrati di pietra arenaria, ottenendo, perciò, l’unione dell’opus mixtum con l’opus vittatum26. È questa una caratteristica della regione, dove predomina l’arenaria. Queste tecniche riportano alla fine del I secolo d.C. Infatti, proprio in quell’epoca si fa ancora largo uso dell’opus reticulatum benché esso cominci a cedere di fronte alla nuova tecnica del mattone, al quale si trova spesso associato come nel nostro caso. Qui si ha un timido affermarsi del mattone che all’infuori dello scheletro è sopraffatto dalla pietra e dall’opus reticulatum. Tutto ciò non permette di collocare la costruzione dell’Anfiteatro nel II secolo d.C. quando invece l’opus reticulatum diviene eccezione ed il mattone si afferma con decisione.27 Recentemente, sulla base dell’eterogeneità del paramento dei muri radiali che sostengono la cavea, è stata avanzata l’idea che l’Anfiteatro aretino abbia conosciuto due fasi. Alla prima, che potrebbe porsi tra la fine dell’età augustea e l’inizio di quella flavia, dovrebbero appartenere tutte le strutture in opera reticolata con ricorsi regolari di mattoni; alla seconda, invece, la grande galleria perimetrale esterna, di cui non rimane nessuna arcata. In questa seconda occasione sarebbero stati compiuti anche lavori di restauro con il rifacimento in opera mista del paramento delle scale e con l’intervento sulle arcate di collegamento interno. Questa successiva fase, secondo il Golvin, sarebbe da porre tra la fine del I e gli inizi del II secolo. Una conferma alla proposta 24_ R.Pacini, urbanistica aretina antica e moderna .l’anfiteatro romano e il museo archeologico, in “emporium” 1937 25_opus reticulatum (dal 55 a.C.), elementi lapidei (detti cubilia) aventi forma di piramide tronca, posti in opera inclinati 45° con la base in facciata e il vertice conficcato nella malta del nucleo murario cementizio. 26_opus vittatum (basso Impero), costituito da filari di laterizi alternati a filari di altri materiali come blocchetti di tufo. 27_A.Aretini, op.cit. | F.Carpanelli, L’Anfiteatro romano, NdS , Roma, 1951, pp.227240

23


di inquadrare l’Anfiteatro nel I secolo d.C. potrebbe venire anche da considerazioni storiche di carattere più generale. È in età augustea che nella città di Mecenate furono costruiti il teatro e le terme e furono compiuti lavori nel foro, prendendo a modello il foro di Augusto a Roma ed è in particolare tra l’età giulioclaudia e quella flavia, che sono numerosi i senatori originari di Arezzo. Questi elementi fanno supporre che per la città questo fosse un periodo di prosperità e quindi avesse i mezzi necessari per intraprendere la costruzione dell’Anfiteatro. Anche con il confronto con gli altri anfiteatri dell’Etruria avvalora l’ipotesi di una costruzione dell’edificio aretino in età adrianea .

| 19. tempera affrescata su di un riquadro della Canonica di S.Maria in Gradi. 1785

| 20. abside di S.Bernardo. le pietre in angolo sono posizionate in corrispondenza di uno dei piloni dell’ambulacro esterno.

L’Anfiteatro di Arezzo fu costruito a valle rispetto all’ antico centro cittadino: scelta abbastanza diffusa nelle città dell’ orbe romano, suggerita dalla possibilità di un buon orientamento , di una buona fruizione da parte della popolazione extra-urbana, e dalla presenza di un terreno argilloso adatto ai giochi. La disposizione dell’Anfiteatro con l’asse maggiore in direzione sud-ovest, nord-est, dimostra la necessità di innestare gli ingressi principali sia verso la vicina strada romana sia verso i quartieri orientali. Durante l’alto Medioevo l’ Anfiteatro subì la decadenza della Città di Arezzo e ne accusò maggiormente, la sua posizione marginale ne favorì l’abbandono e la rovina. Le prime tracce dell’Anfiteatro dopo l’età romana si hanno sotto Carlo Magno il quale dona l’intero Anfiteatro al vescovo di Arezzo, definendolo “locum in quo prius stabant meretrices” allo scopo di risanare l’area da queste frequentazioni; il Cittadini afferma che la chiesa aretina tollerasse la prostituzione in quei luoghi al fine di “riunire ed isolare tutte le femmine di cattiva vita in un luogo solitario”.28 Nel 1333 l’ area venne comprata da Bernardo Tolomei il quale costruì il Monastero; tale opera ha permesso la conservazione di una parte dell’ Anfiteatro. In epoca successiva l’Anfiteatro era detto Parlagio, sembra che il luogo fosse destinato alle assemblee della cittadinanza, ed era passato di proprietà dal vescovo di Arezzo alla potente famiglia degli Azzi. Il Targioni Tozzetti ricordava come tutta l’area ovale centrale venisse bonificata per scopi agricoli:” ...vi sono dentro piantate moltissime viti frutti ed erbaggi… moltissimi lecci, arbusti, filliree, lentagini…”.29 L’edificio venne utilizzato come cava di pietra dai monaci olivetani per costruire il loro monastero e dal granduca cosimo per costruire la cerchia murata. La pratica della spoliazione fu ripresa anche dall’ arcivescovo Marcacci, talebano nella sua opera di costruzione del seminario vescovile. Il secolo XX si aprì all’insegna di una forte richiesta di valorizzazione e recupero delle aree archeologiche, in linea con la politica di encomio delle origini da parte del governo fascista. Grazie a figure illuminate come il Podestà P.L. Occhini, si è potuto concretamente avanzare interventi di recupero delle rovine.

28_ L. Cittadini, La storia di Arezzo, Atesa, Bologna, 1983 29_ A. Pincelli, Monasteri e Conventi del territorio aretino, Alinea, 2000, p.47

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| 21. Veduta dell’ex-monastero di S. Bernardo e dell’anfiteatro. 1920

25


scavi

| 22. Operai impegnati nei lavori di sterro. primi scavi. 1917

| 23. Veduta dell’ex-monastero di S. Bernardo e dell’anfiteatro dopo la campagna di scavi. 1935

| 24. pavimentazione originale

Per la rinnovata volontà politica dei primi anni del Novecento si dette inizio alle ricerche. La Società Aretina degli amici dei monumenti iniziò le ricerche nel 1908. Il 19 Novembre 1914 la rinata “Brigata aretina degli amici dei Monumenti “ con l’appoggio del Ministero della Pubblica Istruzione, del Comune di Arezzo e della Fraternita dei Laici ,decise una serie di primi saggi preliminari volti allo studio della struttura topografica del monumento. Furono dapprima scoperti 780mq, 1/10 dell’area totale, limitatamente ad una porzione periferica del settore N-O dell’ellisse: nella relazione del 1915 dell’ Ing. Tavanti non si registrano rinvenimenti di rilievo, oltre alle strutture portate alla luce.30 Si fa accenno soltanto ad una saracinesca in pietra in corrispondenza di un vomitorio,ad un doccione in pietra con i relativi condotti, ad una porzione esterna della pavimentazione corrispondente all’ asse maggiore e al discoprimento di alcune sepolture barbariche. Ai primi saggi interrotti per le vicende belliche, seguirono nel 1925 scavi veri e propri; il programma sistematico esecutivo che trovò il favore dell’ illustre archeologo Antonio Minto, iniziò con l’opera gratuita di ricoverati del locale manicomio, quindi con i pochi fondi raccolti e con sussidi ottenuti dalla R.Soprintendenza alla antichità di Etruria. Questa campagna fu un vero e proprio sterro, condotto su di un area vastissima, senza nessun criterio stratigrafico, che ha complicato la datazione del monumento. Nle 1926 su progetto gratuito dell’ Ing.Tavanti si sistemò l’accesso su Via Crispi e la chiusura con la elegante cancellata segnata da fasci littori.31 Lo sgombro totale dell’ arena fu permesso grazie al sussidio di 50.000 lire che il governo concedette al Podestà Occhini. “ Con tali lavori ultimi il circuito dell’ Anfiteatro è apparso in tutta la sua ampiezza e molti suoi elementi architettonici e strutturali d’ importanza grandissima emergono ormai nettamente”. Cosi affermava l’ Aretini nel suo estratto dagli Atti dell’ Accademia Petrarca del 1931.32 In occasione della campagna di scavi iniziata nel 1926,33 venne tracciata una fossa radiale sulla sinistra rispetto all’accesso di Via Margaritone. Questa fossa mise in luce le fondazioni, fece scoprire il muro che delimitala vera arena all’interno della cavea e consentì di stabilire lo spessore della sezione radiale del monumento che doveva essere di 24,7 metri se si calcolano l’ambulacro esterno e il muro perimetrale. Inoltre, con l’aiuto di una pompa si arrivò a quello che era il fondo dell’arena, cioè allo strato del sabbione e, purtroppo, si vide che mancava ogni segno del fondale a mosaico. In seguito a questi scavi si procedette cosi a risistemare l’ area, cercando di creare un parco archeologico sull’esempio dei fori imperiali. 30_ U. Tavanti, NdS, 1915, p.316 e sgg. | Cfr. F.Carpanelli, op.cit, p.229 | si veda fig. 25 | archivio SBAT 31_si veda fig. 72 p.63 32_A.Aretini, op.cit., p.304 33_ si veda fig. 26 | archivio SBAT

26


Dal 1950 in poi le strutture dell’Anfiteatro sono state sottoposta a periodici restauri che hanno posto rimedio ai danni provocati dal conflitto. In anni recenti si è provveduto a completare la messa in luce di tutto il perimetro, soprattutto sul lato sud-ovest, riportando il monumento al suo piano originario di calpestio oggi ricoperto da manto erboso; attualmente però i ruderi non sono completamente emersi ma ricoperti da terra che in va da 60 cm a 1 metro ca. di altezza.

| 25. scavi 1915. Ing.Tavanti

| 26. scavi 1929-31. Ing.Tavanti

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| 27.pianta. Anfiteatro. parti esistenti, parti ipotizzate anfiteatro asse maggiore 121,4 m asse minore 92 arena asse maggiore 71,9 m asse minore 42,7 m

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caratteri architettonici «...nelle città italiche non vige lo stesso sitema, per l antica usanza di tenere nel foro spettacoli gladiatori...[...]...la sua larghezza sia equivalente ai due terzi della lunghezza, cosi si otterrà una forma oblunga, con una disposizione particolarmente adatta alle esigenze dello spettacolo...»34 Vitruvio

Mentre per il complesso teatro-terme, eretto nel settore nordest dell’acropoli si può oggi risalire solo a forme architettoniche basate sulla pianta, nei riguardi dell’ Anfiteatro un attento studio ha potuto portare alla ricostruzione totale del Monumento. L’Anfiteatro fin dai primi scavi si è presentato in una grave situazione di conservazione; prima la decadenza della città di Arezzo poi l’uso come cava di materiale e ancora la trasformazione in monastero, ne hanno compromesso in maniera definitiva l’integrità. Oggi del complesso rimangono soltanto resti della cavea, alcuni archi dei vomitoria in parte integrati nelle murature del convento e alcuni resti delle scale di accesso alla media cavea. Gli scavi e i resti sopravvissuti hanno potuto determinare , con una certa esattezza, le dimensioni dell’ Architettura: l’Anfiteatro misura m 121,40 lungo l’asse maggiore, mentre l’asse minore è di m 92; le rispettive dimensioni dell’arena sono inoltre di m 71,90 e m 42,70. 35 Tali misure assumono però un particolare significato se si confrontano con quelle di un esempio notissimo, l’Anfiteatro Flavio di Roma, la cui arena ha dimensioni che superano di pochi metri quelle dell’ Anfiteatro aretino.36 Ciò è dovuto logicamente al diverso spessore dell’ intera struttura muraria sulla quale poggia l’edificio; spessore che è in funzione dello sviluppo in altezza. Nell’Anfiteatro di Arezzo tale fascia muraria terrena di m 24,70 di spessore, consta di due ambulacri concentrici e di un terzo anello delimitante l’arena. Si alternano ad essi due fasce di strutture portanti e precisamente: fra l’ambulacro esterno, oggi completamente scomparso, e l’interno si susseguono vomitori, accessi con scale alle strutture superiori e celle terranee, che si svolgono intorno all’ellisse alternandosi regolarmente. Gli accessi principali dell’arena vanno individuati agli estremi dell’ asse longitudinale, con corridoi rastremati da m 5 a m 3, mentre altri due secondari si aprivano in corrispondenza dell’asse trasversale. Gli altri vomitori, fra essi compresi, davano accesso al podium, cioè a quella piattaforma sopraelevata che circoscrive l’arena e accoglie gli ordini di gradini più bassi della cavea. In corrispondenza dei tre elementi tipici della prima fascia, internamente, fra il secondo ambulacro e l’anello che sostiene il podium, si svolge una serie di celle disimpegnate dallo stesso ambulacro interno. Sono locali di servizi accessori, dove si è ritrovato un sistema di doccioni posti sul terreno. Queste celle sono 8 per lato e si alternano con un vomitorio ed una scala. I vomitori dovevano essere 16, cioè otto per parte; erano definiti da un altissimo arco a tutto sesto, di raggio m 1,47, 34_Vitruvio, De Architettura, Lib.V,1,2 35_F.Carpanelli,op.cit., p.233 | si veda fig.27 36_ Ibidem. misure arena Colosseo :77 x 46,50 m

29


| 28.sezione. Anfiteatro

(ricostruzione da: E. Cecconi, G. Cencini, l’ Anfiteatro di Arezzo, 1988)

cavea altezza 22 m larghezza 24,7 m

30


| 29. un vomitorio, si noti la volta strombata che fungeva da struttura per le scale

| 30. in primo piano tracce del modulo interno

| 31. l’ambulacro

impostato su rozzi capitelli di pietra serena, semplicemente squadrati, poggianti su pilastri che delimitano i muri radiali e raggiungevano un’altezza di m 3,90 ed una larghezza di m 2,94. Presentano una caratteristica volta a botte strombata, la cui pendenza è dovuta al fatto che su tale volta poggiava la scala che accedeva alle strutture del secondo ordine.37 Mentre la volta è in calcestruzzo, come tutte le volte degli ambulacri, i muri di sostegno, esternamente, sono in pietra arenaria locale del tipo bigio e rivestiti di opus reticulatum con ricorsi di mattoni e di pietra a piccoli blocchi regolarmente squadrati, negli interni. Dei vomitori terreni rimangono oggi ragguardevoli resti ben ricostruibili; infatti, ove manchino elementi per definire la parte superiore dell’arco, questi si ritrovano nel muro perimetrale del Convento, nel quale sono stati incorporati. Lo stesso dicasi per le arcate di accesso alle scalinate ed alle celle terrene. Mentre agli estremi degli assi di simmetria v’è comunicazione diretta fra esterno ed arena, i vomitori, tagliando l’ambulacro interno, conducono al podium, mediante una breve scala ad elementi di travertino, in qualche punto ancora parzialmente conservata. Si accede invece alla media cavea mediante rampe di scale in forte pendenza che, partendo dall’ampia apertura arcuata a terreno, di ampiezza ed altezza simile all’altra adiacente, poggiano prima sulla volta del sottostante ambulacro interno e raggiungono quindi le gradinate intermedie passando per un’apertura anch’essa arcuata, i cui forti pilastri d’imposta poggiano direttamente sui fianchi del suddetto ambulacro. Di tale apertura e della rispettiva volta a botte posta sopra il vano scale rimangono oggi rari resti inseriti nel Convento e dalla loro posizione altimetrica possiamo perciò trarre considerazioni sicure per uno studio teorico di integrazione; le suddette strutture si vedono anche all’aperto, nel settore S-E dei ruderi. Ai vomitori e alle scale, le cui funzioni di accesso a parti diverse della cavea definiscono il carattere aperto e di transito dei due suddetti elementi, succedono ambienti chiusi, a cella, coperti da volte a botte, definite esternamente da un arco in mattoni. Su tale arco, arretrato rispetto alla linea esterna dei pilastri che delimitano i muri radiali, si eleva un diaframma che acceca superiormente l’ arcone terreno. Le strutture superiori ripetono le caratteristiche già viste in ambienti adiacenti, con la stessa apertura arcuata allineata secondo la curva dell’ellisse. A differenza però delle altre già esaminate qui si accede direttamente ad una cella sovrastante quella terrena; la volta di questa e l’imposta di quella superiore ci danno chiaramente il volume di tale cella che è esattamente la metà delle altre due libere da tramezzi. È evidente che tali strutture superiori, allineate secondo la curva dell’ellisse, hanno funzione portante di parte delle gradinate dell’Anfiteatro; gradinate di cui, manca purtroppo ogni traccia. La traccia sicura della volta inclinata delle cellette sottostanti l’ima cavea e l’altezza delle aperture di accesso alla media cavea, ci permettono però di indicare con buonissima approssimazione l’andamento o meglio la pendenza di tali gradinate, la cui ripartizione in moenia dovrebbe essere nel numero di tre, delle quali due sorgono sulle 37_si veda fig. 29

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| 32. scale in pietra che immettevano all‘ima cavea

| 34. canalizzazione in cotto, corre nello spessore delle pareti radiali in corrispondenza delle volte strombate

| 33. particolare degli archi dell’ambulacro interno impostati su pietroni

| 35. una cella con caditoia

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| 36. vista dell’ arena da un vomitori

| 37. opus mixtum: in basso e in alto l’ opus reticolatum, al centro l’ opus vittatum

strutture esistenti e appoggiate all’ambulacro rimasto in alcune parti intatto e l’ultima alle strutture esterne distrutte. Tali strutture sono sicuramente esistite come dimostra un rudere di altezza superiore a tutti gli altri, che, prima di essere danneggiato durante la seconda guerra mondiale, si elevava per 8 metri e mostrava resti di loggette separate, rivolte verso il centro dell’arena. Conoscendo l’altezza o meglio l’alzata, come pure la pedata dei gradini, dati desunti da frammenti giacenti tuttora nell’arena e sopra la volta di un vomitorio, possiamo all’incirca indicare anche il numero dei gradini e la suddivisione in sedici cunei, anche se quest’ultimo dato non è del tutto certo. Invece, per le scale che davano accesso ai locali superiori e alle gradinate si può dire che presumibilmente erano otto per lato, necessariamente più larghe in basso (m 4,30) che in alto (m 3,90).38 Per quanto riguarda le tubazioni si può dire che le canalizzazioni verticali sono inserite in posizione simmetrica dentro i muri radiali su cui si impostano le volte strombate e sono realizzate con elementi in terracotta, innestati uno sull’altro.39 Per quanto è dato ancora oggi vedere, le canalizzazioni si spingevano oltre la volta della prima galleria, come testimonia la chiave di pietra che si trova nei ruderi più alti vicino all’accesso Est. Ai piani superiori non si trova traccia di tali canalizzazioni, ad eccezione del tratto orizzontale individuato sull’estradosso della volta della prima galleria, di fianco alla volta strombata attigua all’accesso di via Crispi. L’opera è stata realizzata con tecniche costruttive e materiali disomogenei: pietra arenaria, laterizio, calcestruzzo. Le strutture in alzato sono realizzate con murature a sacco, rivestite di paramenti esterni, costituiti o da bei filari in arenaria o da opus mixtum.40 Nelle scale si ha una più curata realizzazione ed un progetto edilizio unitario, realizzato con l’impiego di blocchi di pietra di notevoli dimensioni. Le murature hanno spessori variabili, che vanno da 1,10 a 1,20 m per i radiali e di 1,50 m per la galleria .41 Gli archi sono costruiti sia con filari di sola pietra sia con pietra alternata a laterizio mentre le volte sono edificate con opus caementicium.42 La pavimentazione come le scalinate e le gradinate erano realizzate con grandi lastre di pietra arenaria proveniente da cave limitrofe.La pietra arenaria nelle sue due varietà, pietra serena e pietra bigia, è il materiale per lo più usato nelle costruzioni aretine.43 La presenza di un impianto di canalizzazione in cotto, e il piano di terra argillosa sotto la quale si trova un falda acquifera, fa pensare al tipo di utilizzo dell’Anfiteatro: le naumachie erano battaglie navali simulate, che riproducevano combattimenti storicamente avvenuti.

38_si veda fig. 32 39_si veda fig. 34 40_opus mixtum ( dal 50 a.C.), strati di cubetti di arenaria disposti in diagonale, alternati a strati di laterizio legati con malta.| si veda fig. 37 41_F.Paturzo, op.cit. pp.294-300 | dati e caratteristiche dell’ Anfiteatro 42_ opus caementicium (dal II sec.a.C.), malta mista a pietrame tufaceo o siliceo. 43_cave di arenaria presenti nel territorio aretino fino agli anni ‘50: •cava di Castiglion

Fiorentino 16,4 km da Arezzo •cava di Battifolle 8,6 km •cava di Ruscello,cavadi Talzano 8 km

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Museo Archeologico Nazionale G. Cilnio Mecenate sede Monastero degli Olivetani di San Bernardo «...emit locum qui dicitur i parlagi... inceptus est locus S.bernardi ordis montis oliveti, et celebrata est ibi missa, ubi prius vocabatur, ibi stabant publicae meretrices civitatis»44

| 38. annotazione in calce.acquerello Donato Monatuiti.1768

| 39. il chiostro, il loggiato, gli orti. 1920

Il Monastero aretino viene istituito nel 1319 dal beato Bernardo di Mino dei Tolomei di Siena, uno dei tre fondatori degli olivetani e terzo abate dell’Abbazia di Monte oliveto. L’area per l’edificazione del complesso, concessa nel 1333 da Pier Saccone, situata, cosi come registra l’atto di vendita “ nel quartiere di Porta Sant’Andrea, in contrada S.Jacopo, vicino alle nuove mura della città”,45 è quella dell’Anfiteatro romano. Quest’ ultimo passato in proprietà dei nobili Degli Azzi, sito periferico, all’epoca denominato i parlagi, era conosciuto come luogo di incontri e di meretrici. La presa di possesso da parte del Tolomei, nel maggio del 1333, assume pertanto la funzione di missione purificatrice di un luogo di perdizione. Il monastero, dedicato al patriarca S.Bernardo viene innalzato sui resti dell’ emiciclo meridionale dell Anfiteatro diventando cosi giardino dei monaci. Purtroppo l’arena venne deturpata diventando la cava prediletta per la costruzione del convento e della chiesa. La chiesa, iniziata a costruire nel 1340, a margine dell’arena , viene terminata nel 1375. La loggetta antistante alla facciata costituisce fondale prospettico a via dell’Anfiteatro, unica strada di accesso al Monastero fino ai primi del Novecento. L’estensione territoriale della chiesa doveva essere considerevole, in quanto nel 1548 Cosimo I, per la riorganizzazione difensiva della citta, ordinò la distruzione del “giardino bellissimo circondato a torno di muraglie, allo scopo di realizzare il baluardo di San Bernardo”. Dalla relazione della visita pastorale del 1583 sono residenti nel monastero più di 20 monaci. L’edificio conventuale d’ impianto gotico si amplia nel 1647,46 mediante la costruzione di un duplice loggiato ad andamento ellittico, che persiste nell’adozione di schemi architettonici della tradizione toscana. Grazie all’acquerello del Montauti ed alla veduta dipinta dagli stessi monaci in Santa Maria in Gradi,47 si può ammirare l’arioso fronte meridionale nell’assetto finale del complesso prima delle soppressioni avvenute alla fine del XVIII secolo: il chiostro, i terreni coltivati, l’accesso da via dell’Anfiteatro. Nel 1783 Pietro Leopoldo trasferisce gli Olivetani, ormai presenti in un numero ridotto, nel Monastero di Santa Maria in Gradi; nel complesso di San Bernardo, unito allo Spedale di 44_annotazione in calce, acquerello. Donato Monatuiti. 1768 |si veda fig. 38 | archivio Biblioteca Città di Arezzo 45_A.Pincelli, op.cit., pp.45-46 46_la data è leggibile nel capitello del sesto pilastro dall’entrata nel Loggiato 47_ tempera datata 1785 | si veda fig. 19 p. 24

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| 40. il Monastero prima dei lavori di restauro. si noti il piano di terreno che ricopriva parte dei ruderi.1930

| 41. il Monastero dopo i lavori di restauro. 1935

| 42. loggiato dell’ex Monastero. 1938

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Arezzo , viene costituita una casa di disciplina ed accademia ecclesiastica e la proprietà passa cosi al seminario vescovile Nel 1788 l’ex complesso monastico viene proposto provvisoriamente come alloggio per le truppe aretine. Nel 1804 il vescovo Albergotti acquista dal seminario il complesso ed assegna la gestione dell’Accademia Ecclesiastica ai Padri Passionisti. Un decennio dopo la chiesa e i locali del monastero tornano di proprietà vescovile, dopo essere stati adibiti come magazzino dalle truppe francesi. A metà del XIX secolo prendono forma ipotesi di un recupero archeologico dell’area; la soppressione governativa delle corporazioni religiose emanata nel 1866 determina l’unione dell’Anfiteatro con l’ex monastero e la concessione d tali da parte del demanio in uso al comune. In seguito il comune ottiene dal demanio di trasferire le Suore Camaldolesi, le quali occuperanno l’immobile fino al 1911. Il XX secolo si caratterizza per la nascita di un acceso interesse della cittadinanza verso l’area archeologica. Ceduta in uso la parte ovoidale dell’arena al ministero della Pubblica Amministrazione si inizia l’indagine archeologica.


| 43. il chiostro. 1935

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formazione del museo «oggetti, trovati nella città e nel comune , ed altri non pochi venuti in luce da varie parti d’Italia e dall’estero, potessero formare una collezione ordinata che facesse onore ad Arezzo, fosse utile alla storia, all’istruzione ed al forestiero gradita»48 Antonio Fabroni

| 44. l’ingresso del Museo dopo il restauro. si vede il busto di G.C.Mecenate e il nuovo campanile della chiesa di San Bernardo. 1935

Agli inizi dell’Ottocento le testimonianze archeologiche e paleontologiche aretine facevano parte di collezioni private o erano collocate in vari edifici della città per evitare la dispersione. Il Dott. Marco Antonio Fabroni pensò di costruire una raccolta pubblica ordinata. Il 26 marzo del 1822 la Fraternita dei Laici deliberò di mettere a disposizione un locale del palazzo di Fraternita in Piazza Vasari, per il museo di storia naturale e di antichità. Il museo pubblico per volontà del suo direttore, Dott. Fabroni ebbe carattere scientifico oltre che artistico. All’interno del museo cominciarono ad essere raccolti ecletticamente reperti proveniente dal territorio e dalla città derivati da acquisti e donazioni. La vera impronta archeologica fu data al museo nel 1851, quando venne acquistata la collezione Bacci-Rossi che conservava un gran numero di reperti etruschi romani, tra i quali il celebre cratere a volute a figure rosse attribuito al ceramografo attico Euphronios. A Gamurrini in particolare, cosi come a Pasqui e a Funghini, si deve il successivo incremento della raccolta di terra sigillata. Nel 1882 il Museo si era nel frattempo trasferito nella nuova sede di Palazzo Barbolani di Montauto in via San Lorentino, per accogliere ed esporre adeguatamente la collezione che si faceva sempre più consistente anche grazie all’aumento della raccolta antiquaria dei materiali del territorio. Contestualmente ai primi scavi nell’ area dell’Anfiteatro, si progetta di sistemare le raccolte archeologiche nell’ex complesso monastico che, proposto per adattarlo a sede di scuole elementari, viene nel frattempo utilizzato come albergo per gli sfrattati e senza tetto. Tra il 1929 ed il 1934 si interviene sull’ex fabbricato monastico al fine di procedere all’adeguamento a museo archeologico: modificato nella facciata principale regolarizzato negli ambienti interni, l’ edificio subisce radicali trasformazioni in seguito ai lavori di riordinamento. Nel 1935 il Comune divenuto usufruttuario delle collezioni, ebbe l’idea di dare una sistemazione unitaria alle raccolte archeologiche, separandole da quelle medioevali ed ordinandole nell’ex Monastero. Il soprintendente Antonio Minto spostò la sezione archeologica nella sede attuale di proprietà demaniale, con l’obiettivo di far nascere un polo archeologico in cui convivessero i ruderi dell’Anfiteatro da poco portati alla luce ed i reperti etrusco- romani. Il 31 dicembre 1936 si inaugura la prima sezione del 48_ AA.VV. Il Museo Archeologico Nazionale G.C. Mecenate in Arezzo, G.Metzke (a cura di), Cassa di Risparmio di Firenze, Firenze , 1987, p.13 | Cfr. A.Fabroni, Notizie storiche sull’ origine e progresso del museo della Fraternita dei Laici di Arezzo, Arezzo, 1885, p.3

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| 45. veduta dell’ingresso della chiesa e dell’exmonastero di S. Bernardo da via dell’Anfiteatro, unica via di accesso al complesso, prima dell’apertura di via Margaritone negli anni Venti del Novecento

Museo,intitolato al celebre aretino Gaio Cilnio Mecenate, sistemata in 12 ambienti a piano terreno; l’anno seguente si aprirono al pubblico l’Anfiteatro e l’intero Museo. A causa dei bombardamenti bellici49, il museo subì consistenti interventi di restauro per opera dell’allora dipartimento antichità e belle arti. Negli anni Cinquanta G.Maetzke intraprese il riordino e la catalogazione dei vasi di terra sigillata aretina. Nel 1957 il Comune firmò una convenzione con la soprintendenza dell’antichità e dell’ Etruria per la statalizzazione della sede museale che si è compiuta poi nel 1973.

| 46. il cratere lasciato dall’ordigno caduto nell’arena dell’anfiteatro. 1944

| 47. le macerie della chiesa e del campanile distrutti dal bombardamento del dicembre 1943.Danneggiato anche l’attiguo ex Monastero degli Olivetani.

49_si veda fig. 46, 47

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XII XI

quota piano primo

X VII VI XI I

V IV

II III

quota ingresso

I II

III IV

IX

V

X

XI

VIII VI

0 1 2 3 4 5 6

uscite di sicurezza magazzino servizi igienici ascensore collocato nella torreta limite fruizione loggiato biglietteria servoscala loggia e loggiato chiusi al pubblico

| 48. il percorso museale

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VII

XV

XIV

XIII

XII


ordinamento e collezione

| 49. sala XII. Arezzo romana. si notino due grandi lacerti appartenenti allo stesso mosaico pavimentale (fine I-II sec. d.C.), trovati nel 1933 nella Piazzetta di Porta Crocifera.

| 50. gruppo di volatili bronzei posti su fulmine stilizzato.epoca ellenistica

| 51. testa femminile con berretto frigio (c.d. “Amazzone morente”). II sec. a.C.

Composto di ventisette ambienti espositivi disposti su 2 livelli, il museo presenta un ordinamento topografico al primo piano (sezione etrusco romana) e al piano superiore sono presentate le collezioni antiquarie (Gamurrini, Ceccatelli, Funghini ,Bacci), assieme alla sezione paleontologia e preistorica, alle urne cinerarie etrusche di età ellenistica, alle collezioni di vetri e ceramiche.50 L’ impianto si articola , al piano di ingresso, in maniera tradizionale su di un corridoio centrale non rettilineo, ma con andamento a spezzata aperta semiellittica parallela al fronte meridionale; al primo piano su di un disegno razionale di un asse che non segue la forma dell’Anfiteatro, al quale si accompagnano aule ai lati Nella sezione etrusca sono esposti materiali da Arezzo città e dal territorio aretino. Si distinguono alcuni gioielli provenienti dalla necropoli di Poggio del Sole ed una decorazione frontale policroma, di notevole resa plastica, con scene di combattimento da Piazza San Jacopo. Questi elementi architettonici, insieme ad antefisse ed elementi decorativi non esposti, perché in cattivo stato di conservazione, furono rinvenuti nel 1948 in uno scarico che si estendeva fra Piazza S. Jacopo, Corso Italia e via Roma, sul fondo del fiume Castro, ora in gran parte interrato; essi appartengono ad un unico complesso sacro, di cui non conosciamo l’originaria ubicazione. Nella stessa sala di epoca etrusca arcaica ,sono collocati i reperti appartenenti alla stipe della Fonte Veneziana (540-500 a.C.), uno dei complessi bronzei, insieme a quello del Falterona, più importanti dell’ Etruria Settentrionale. Nel 1869, presso tale fonte posta subito fuori delle mura cittadine, l’antiquario Francesco Leoni trovò, oltre a scarsi resti di strutture, una ricca stipe composta da 180 bronzetti maschili, femminili e di animali, pietre incise, anelli d’oro e di argento e frammenti di ceramica attica, che andarono tutti per la maggior parte venduti e dispersi.51 Ad Arezzo sono rimasti solo i reperti esposti: due gambe, due braccia e due occhi votivi in bronzo. Essi attestano il legame della stipe con il presumibile culto salutare che si svolgeva presso la fonte. Fra i reperti di epoca Ellenistica si segnalano, un stipe votiva del II sec. a.C. con interessanti testi-ritratto e busti provenienti da via della Società Operaia: in particolare la testa di giovane con berretto frigio52, il busto femminile con pettinatura “a melone” e la testa di giovinetto . Degni di menzione sono anche i reperti di Castelsecco53: su questa collina posta a Sud-Est di Arezzo fu costruito nel II sec. a. C. un monumentale santuario ellenistico sul modello di quelli italici di Pietrabbondante e Gabii. Attorno alla collina corre, a sostegno, un poderoso circuito murario con 14 contrafforti o speroni aggettanti. Sopra tale terrazzo è posto, prospiciente verso la valle, un teatro destinato a rappresentazioni di

50_Cfr. S.Vilucchi, Il Museo Archeologico Nazionale G.C. Mecenate di “Arezzo in Arezzo nell’ antichità”, pp.272-277 51_i reperti oggi si trovano a Firenze, Museo Archeologico e a New York, Metropolitan Museum 52_si veda fig. 51 53_Cfr. V.Funghini, L’Antica acropoli di Arezzo, Arezzo, 1896

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| 52. testa di Livia in marmo lunense. I sec. a.C.

culto, attestato dalla presenza di un piccolo altare sagomato in calcare rinvenuto davanti al pulpitum della scena. Sulle pareti della II° sala sono disposte le lastre fittili di rivestimento, alcune decorate da festoni di frutta con alternati bucrani e teste di Gorgone (II-I sec. a.C). Da segnalare le due iscrizioni etrusche su pietra: “flere” e “tins-lut”, rivenute nel secolo scorso nelle immediate vicinanze del santuario. Nella vetrina centrali sono invece collocati alcuni materiali provenienti dai saggi effettuati negli anni 1886-87 dal Funghini ed altri rinvenuti durante lavori agricoli. Tra questi vi sono uno scarabeo di corniola, una fibula, bronzetti votivi, fra cui uno raffigurante Eracle, di epoca ellenistica ed un gruppo di volatili posti su fulmine stilizzato54. Degne di particolare attenzione sono inoltre alcune statuette fittili che riproducono neonati in fasce e corrispondono ad ex-voto assai diffusi nei depositi sacri etruschi ed italici. Essi attestano, nell’ambito del santuario, la venerazione di una divinità femminile legata al culto della fertilità e alla tutela delle nascite o dell’infanzia. Di seguito sono esposti reperti proveniente dall’ agro aretino: dalla Val di Chiana sono pervenuti al Museo l’importante torso di statua virile in travertino di Marciano(VI sec. a.C.) e notevoli esempi di vasi di produzione attica tra cui spicca la celeberrima anfora da Casalta con il ratto di Ippodamia; fra i reperti del Casentino possono essere segnalati i materiali del tempio di Pieve a Socana, tra i quali una grande ruota di pietra, donario a usil, divinità solare etrusca. Nelle sale VI-VII-VIII largo spazio è dedicato alla famosa ceramica aretina.55 Nel breve corridoio che dalla sala V conduce direttamente alla sala X ha inizio la sezione relativa ad Arezzo in età romana. Questa comprende mosaici, bronzetti, sculture ed iscrizioni tombali provenienti dalla città e corredi tombali dalle necropoli. Nella sala XIII si trovano esposti i reperti relativi alla domus di San Lorenzo, la ricca abitazione nella quale era collocata la celebre statua di Minerva, ora al Museo Archeologico di Firenze e qui raccontata nella sala XI. L’intera sala XIV è dedicata ad uno dei più sorprendenti rinvenimenti avvenuti in ambito cittadino in questi ultimi anni,precisamente in Via V. Veneto in prossimità di Via Pasqui.56 La zona, situata lungo uno dei più importanti e antichi percorsi viari di Arezzo, era già indiziata a seguito di una serie di importanti ritrovamenti e numerosi corredi funerari. Insieme a numerosi elementi marmorei frammentari, tra cui il fusto di una colonna scanalata, tutti da ricondurre ad un monumento funerario ad edicola di cui sono state ritrovate le fondazioni, fu rinvenuta, all’interno di una fossa, un’imponente statua marmorea di togato, interrata di proposito e adagiata in obliquo. La statua, in marmo lunense, rappresenta una figura maschile stante che indossa la tunica e una toga con ampio balteus57. Nella sala si trova collocato anche un altro reperto 54_ rinvenuti durante gli scavi a Castelsecco effettuati dal Funghini nel 1886-87 | si veda fig. 50 55_si veda capitolo seguente pp. 45-53 56_il ritrovamento della statua del Togato è avvenuto nel Settembre 1994 57_balteus: cintura borchiata di derivazione militare, usata anche in ambito civile come ornamento della toga

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| 53. un ritratto miniaturistico in crisografia.III sec.d.C.

| 54. il cratere cosiddetto a volute di Euphronios. 500 a.C.

proveniente da Via Vittorio Veneto: una pregevolissima testaritratto in marmo lunense attribuita all’imperatrice Livia.58 I tratti del volto ed il tipo di acconciatura, attestata in molte repliche e costituita da un voluminoso nodus sulla fronte, da cui si diparte una treccia che va a congiungersi al basso chignon sulla nuca, hanno indotto ad identificare l’immagine con quella di Livia, divenuta moglie di Ottaviano, il futuro Augusto, nel 38 a.C. Al piano superiore si succedono le sezioni speciali dedicate alla preistoria (sala XI), alla paleontoligia (ex sala X) con imponenti resti fossili tra cui la testa del bos primigenius, e alla numismatica (sala IX) con la serie estrusca dell’ aes grave. Fra le collezioni emergono la Bacci (sala VI), la Funghini (sala VIII), con un pregevole diadema ed una bulla aurei, la Gamurrini (sala X) e la Ceccatelli (sala III). Dalla collezione Bacci possiamo ammirare il magnifico cratere a volute a figure rosse attribuito al ceramografo attico Euphronios59 (500 a.C.) decorato con scene di amazzonomachia. Si segnalano inoltre le sale dei bronzi e delle ceramiche: quella dei bronzi etruschi e romani comprende anche oggetti di instrumentum. La sezione di ceramica annovera materiali di varia provenienza che vanno dall’epoca villanoviana al periodo ellenistico e vasi dell’Italia meridionale. La Sala XII detta “sala delle campane”, in fondo al corridoio, ospita un’esposizione di alcuni materiali archeologici provenienti prevalentemente dall’area del Colle del Pionta, area adibita a necropoli a partire dal IV secolo, probabilmente per la presenza della sepoltura di San Donato, secondo vescovo di Arezzo, e occupata dalla cattedrale altomedievale di Arezzo (fine VII-VIII secolo), il Duomo Vecchio. L’ esposizione si conclude con i preziosi ornamenti personali e con i vetri. Al centro della sala si trova uno dei reperti più prestigiosi del museo: un ritratto miniaturistico in crisografia.60 Il personaggio raffigurato è un uomo di età matura, barbato, che indossa la toga contabulata (da alcuni ritenuto Sant’Ambrogio). L’esemplare, di rara e finissima esecuzione tecnica, databile alla seconda metà del III sec. d.C., s’inserisce nel gruppo più antico della classe dei vetri dorati largamente attestati nel IV secolo ed oltre in ambiente paleocristiano.61

58_si veda fig. 52 59_si veda fig. 54 60_la crisografia è un tipo di incisione con inchiostro d’oro.Nel reperto: lamina sottilissima d’oro per il ritratto e d’argento per la toga, incisa e racchiusa tra due vetri | si veda fig. 53 61_per la composizione delle collezioni: P. Zamarchi Grassi, Museo Archeologico Nazionale G.Cilnio Mecenate di Arezzo, 1988 | schede didattiche del Museo G.C.M.| M. Scarpellini Testi, Museo Archeologico Nazionale G. Cilnio Mecenate, 2000

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| 55. sala VI. terra sigillata.tecniche di produzione

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la Terra Sigillata Nelle sale VI, VII e VIII è esposta ed illustrata la produzione più importante e nota di Arezzo in età antica: la Terra Sigillata aretina (i c.d. vasi corallini). Questa classe di ceramica di epoca romana (50a.C.-70d.C.) produce vasellame fine da mensa ricoperto di vernice corallina liscio o con decorazioni a rilievo.62 Le botteghe erano contrassegnate da un marchio ,sigillo appunto, sul quale veniva impresso il nome del proprietario genitivo, quello del ceramista al nominativo. I bolli erano incorniciati da rettangoli e a partire dal 15 d.C. da “plantae pedis”63come garanzia. Arezzo fu il centro di produzione più famoso e prolifico nel mondo romano .64

Sala VI

tecnica di produzione

| 56. sigilli delle varie officine

L e officine erano provviste di strumenti come una faccia di conio convessa in cui appariva il motivo ed erano muniti di una presa grossolana funzionale alla sicurezza della manovra dell’oggetto; le decorazioni calligrafiche venivano eseguite in un secondo momento. Le matrici erano fabbricate al tornio in argilla refrattaria per lo più a forma di ciotola e recavano all’interno la decorazione destinata a comparire in rilievo all’esterno dei lavori finiti. Ultimata la fase di preparazione, la matrice veniva cotta, dopodiché con semplice procedimento in serie, si poteva ricavare un numero assai elevato di vasi identici tra loro. Per ottenere il vaso, la matrice era posta sul tornio e rivestita all’interno con un “foglio di argilla”, che veniva compresso a mano mentre la ruota girava, in modo tale da farlo aderire all’interno impresso. Il vaso, dopo la cosiddetta asciugatura a cuoio, una volta quindi staccato dalla matrice, veniva tuffato nel Glanztonfilm (”sottile pellicola di argilla lucente”) per rendere il manufatto esteticamente gradevole e impermeabilizzarne la superficie. Si ritiene che tale vernice non fosse niente altro che un’ emulsione della stessa argilla che componeva il vaso, fatta a lungo depurare con l’aggiunta di sostanze catalizzatrici. Per la cottura ci si serviva di fornaci. Era un’operazione che doveva essere svolta con attenzione; si doveva curare il perfetto isolamento della camera e la sovrapposizione dei vasi per evitare che questi cadessero, deformandosi. I vasi venivano disposti nel forno in maniera tale che il gas di combustione passasse liberamente fra loro, pertanto era necessario l’uso di distanziatori ad anello o “a zampa di gallo” in argilla refrattaria. Nella camera del forno si doveva raggiungere una temperatura fra i 900 e 1110°C, necessari alla vetrificazione della vernice, e creare in questa camera un’atmosfera “ossidante” che permetteva alla vernice di assumere il caratteristico colore rosso. 62_nell’ arte fittile, le decorazioni a rilievo , dette appunt “sigilli”, venivano fatte tramite delle matrici, oppure con l’ applicazione di argilla semiliquida sul vaso non ancora seccato.quest’ ultima lavorazione è chiamata “barbotine” 63_pianta del piede stilizzata 64_ P. Zamarchi Grassi et al., Arezzo Romana, Città e Museo: La terra sigillata, L’anfiteatro, Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, 1989 | AA.VV. op. cit., Guglielmo Maetzke(a cura di), pp.75-96 | schede didattice Museo G.C.M.

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kantharos variante di forma 128

argilla beige-rosata, depurata e compatta; vernice nera lucente, uniforme misure: alt. cm. 17; diam. cm. 11,2 databili III sec. a.C. provenienza: sconosciuta. Coll.Fraternita dei Laici Orlo decorato da una modanatura a spigolo vivo; alto collo quasi cilindrico non distinto dal ventre molto basso; anse, a doppio bastoncello, annodate con elemento di unione ed impostate verticalmente.

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coppa forma 82 con anse non ripiegate argilla chiara, ben depurata; vernice nera, opaca, tendente al marrone, coprente. misure: alt. cm. 6,3 ; diam. cm. 13,5 databili III se. a.C. provenienza: sconosciuta. Coll.Fraternita dei Laici

Orlo ispessito all’ interno; vasca profonda emisferica; piede ad anello; anse a bastoncello di forma tringolare arrotondata.


ceramica aretina liscia Per comodità di studio si suole dividere la ceramica aretina in liscia e a rilievo. L’aretina cosiddetta liscia presenta, in realtà, sugli orli e sulle pareti degli elementi decorativi ad applicazione (rosette, delfini, maschere, protomi etc.), ottenuti mediante matrici a placca. Spesso, sia sul labbro, che sul fondo interno veniva aggiunta una decorazione costituita da piccole incisioni ottenute a rotella. La produzione liscia è stata suddivisa tipologicamente in vari gruppi che costituiscono dei veri e propri servizi da mensa, analoghi a quelli odierni. Esiste anche una sigillata che si distingue per il tipo di decorazione. Si tratta di prodotti come brocche, bicchieri, caratterizzati dalla presenza sulla superficie di piccoli rilievi di argilla liquida modellata a mano libera (barbotine). Tale tecnica impiegata sembra essere caduta presto in disuso, soprattutto per la facile deperibilità di questo tipo di decorazione. Nella prima sala è presentata una esemplificazione della ceramica a vernice nera di epoca ellenistica prodotta in Arezzo, uno dei più attivi centri produttivi dell’Etruria settentrionale per questo tipo di vasellame insieme a Volterra. Sulla base delle caratteristiche della vernice e dell’argilla si distinguono quattro categorie locali fabbricate dal IV al I sec. a.C.. Le forme attestate sono per lo più vasi aperti, piattelli, coppette, ciotole e kantharoi. 47


coppetta biansata ( skyphos)

modiolo

Officina M.Perennius, Tigranus argilla ocra, ben depurata. vernice rossa rosso-arancio con difetti di cottura misure: alt. cm. 8 ; diam. cm. 10 provenienza: Arezzo.Cincelli Coll.Funghini

Officina M.Perennius, Tigranus argilla ocra, ben depurata, compatta, vernice rossa, coprente. misure: alt. cm. 16,3 ; diam. cm. 17,5 provenienza: Arezzo. S.Maria in Gradi, scavi 1894

Sulla fascia decorata, limitata sia in alto che in basso da solcature, si svolgono due diverse, animate scene di caccia al cinghiale.

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Il vaso è ricomposto da 19 frr. e parzialmente reintegrato, manca il fondo. La decorazione è limitata in alto da una serie di guaine floreali e da una linea di trattini e ghirlande, fissate da rosette e fiocchi, da cui pendono tympana. Sulla parte centrale del vaso, sono tre Menadi raffigurate di tre quarti.


punzone

punzone

Officina Certus Rasini argilla refrattaria misure: alt. cm 7 ; diam. cm. 5,7 provenienza: Arezzo. Piazza del Popolo, rinvenimento sporadico 1868

Officina M.Perennius, Bargathes argilla refrattaria misure: alt. cm 4,5 ; lungh. cm. 7,5 provenienza: Arezzo. S.Maria in Gradi, scavi 1886-7

Sala VII

ceramica aretina a rilievo, officina M. Perennius La sala offre una panoramica dei vasi aretini decorati a rilievo suddivisi, nelle varie vetrine, a secondo delle fabbriche di produzione. Le prime cinque vetrine sono dedicate all’officina di M. Perennius, che è la fabbrica più nota e la più duratura essendosi protratta dagli inizi della produzione di questa classe ceramica fino all’età tiberiana. Questo tipo di ceramica fu esportato in tutte le province dell’Impero Romano a seguito delle legioni e perfino in India. Questa fabbrica, che per tutta la sua lunga attività ebbe sempre nel marchio il nome di M. Perennius, fu un’industria economicamente potente con una vasta produzione ed un ampia esportazione di vasi sia liscia che a rilievo. Ebbe sede a S. Maria in Gradi ed una succursale a Cincelli, aperta nel periodo centrale e più fertile della sua attività. Gli studiosi hanno riconosciuto nell’evoluzione della produzione perenniana quattro fasi, contraddistinte da nomi diversi sul marchio di fabbrica, corrispondenti a differenti maestri ceramisti e caratterizzate da un diverso repertorio iconografico. Il I periodo (30 a.C. - 15 a.C.) vede accanto al nome M. Perennius le firme di Nicephorus, Cerdo, Pilades e Pilemo. I prodotti sono di alto livello tecnico, pervasi da un elegante gusto classico. Predominano scene e sequenze narrative. II periodo coincide con la massima produttività 49


coppa emisferica

cratere (?)

Officina M.Perennius, Pilades argilla depurata, vernice rossa misure: alt. cm 13 ; diam. cm 16,5 provenienza: Arezzo. S.Maria in Gradi, scavi 1886-7

Officina M.Perennius, Bargathes argilla ocra compatta, ben depurata. vernice rossa, lucente. misure: alt. cm. 19,7 ; diam. cm. 24 provenienza: Arezzo. S.Maria in Gradi, scavi 1894

La decorazione è limitata in alto da rosette stellari e da trattini manoscritti ed in basso da una serie di foglie d’ acanto disposte verticalmente. Nella parte centrale si svolge la complessa scena nota come sacrificio dionisiaco, composta da sequenza di 11 persone.

50

Il vaso è ricomposto da 24 frr. e reintegrato. Resta solo la parte inferiore dell’ orlo, manca il piede. Sotto una serie di bottoni, si svolgono scene con satiri vendemmianti.


dell’officina di Perennius. Accanto alla casa madre di S. Maria in Gradi si apre una filiale di notevoli proporzioni a Cincelli. Sui vasi compaiono le firme di M. Perenni Tigrani e Felix M. Perenni. Tutti i motivi decorativi della fase precedente continuano ad essere usati, ma si creano anche nuove serie separate mediante l’uso di nuovi punzoni, si mescolano diverse sequenze narrative e si preferiscono le scene di caccia e quelle di rilievo vegetale. Questa fase corrisponde (15 a.C. - 10 d.C.) ad un momento particolarmente felice anche per le altre fabbriche aretine, che, in piena attività, si scambiano idee, suggerimenti ed influenze. Le vetrine 6 - 7 e 8 illustrano la fase, situabile tra la fine del regno di Augusto e gli inizi del periodo tiberiano, contraddistinta dalla firma di M. Perennius Bargathes, un liberto di origine aramaica e da una produzione ancora ampia anche se tecnicamente inferiore alla precedente. Le decorazioni sono ispirate ormai a canoni estetici estranei a quelli classicistici e ad un gusto completamente diverso. I punzoni, derivati dalle fasi antecedenti, sono usati al di fuori delle sequenze narrative per divenire dei sigilli isolati. Le figure, rifinite con minor cura, sono ricche però di vigore plastico; appaiono forme vascolari più pesanti . Il IV periodo si colloca in età tiberiana ed è contraddistinto dalle firme di M. Perennius Saturn e M. Perennius Crescens (vetrina 9) . Continuano alcune caratteristiche della produzione bargatea, ma si accentua la decadenza tecnica. Le tre matrici esposte sono decorate rispettivamente da motivi di clave alternate ad anfore e da serie di figure. Nelle vetrine seguenti sono presentati i prodotti delle officine di Publius Cornelius, uno dei fabbricanti aretini più prolifici che esportò anche in larga misura in Germania. I suoi prodotti, anche se non offrono motivi innovativi, sono fortemente caratterizzati e sono quindi ben riconoscibili. In generale, prevalgono i vasi con fregi puramente decorativi e più rare sono le sequenze narrative. La sagoma pesante dei vasi ed i rapporti con altre officine, in particolare con quella bargatea, portano a datare questa fabbrica all’età tiberiana. Le vetrine 16 e 17 mostrano la produzione di Rasinius, di cui non è noto il praenomen. La sua officina fu presso S. Maria in Gradi e operò in concomitanza con la prime fasi di M. Perennius; infatti, manufatti di entrambe le botteghe sono stati rinvenuti insieme nello stesso luogo. Egli fu consociato, come dimostrano i marchi, per un certo periodo con L. Memmius. Meno conosciuto di Perennius, poichè ebbe una produzione più scarsa, si distingue tuttavia per l’eleganza e la cura con la quale sono lavorati i suoi punzoni, le sue matrici e i prodotti finiti. Si ritiene che preferisse produrre pochi pezzi di buona qualità piuttosto che una grande massa di vasi ottenuti con procedimenti più economici. Il suo repertorio è costituito da sequenze narrative di gusto classico, da elementi zoomorfi e fitomorfi. Tra i pezzi esposti spiccano la serie dei Satiri e delle Menadi trattata in maniera peculiare, le sequenze di amorini fra festoni, leontee e mascheroni e quelle di fanciulle che colgono fiori. L’esposizione di questa sala si conclude con frammenti di C. e L. Annius, di L. Avillius Sura, di L. Pomponius Pisanuse di Vibienus.

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coppa emisferica Officina Cn. Ateius argilla ocra compatta, ben depurata, vernice rossa brillante misure: alt. cm 17; diam. cm. 22,5 provenienza: Arezzo. via nardi, scavi 1954-55 La decorazione principale è composta da una serie di figura femminili gradienti verso destra, che rappresentano le horai. In campo la teoria dei personaggi è interrotta da un cratere e da un ‘ anfora sopra una colonna.

* schede trattae da: AA.VV. Il Museo Archeologico Nazionale G.C. Mecenate in Arezzo, Guglielmo Maetzke(a cura di), 1987

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Sala VIII

l’ officina di Cn. Ateius

L’intera sala è dedicata all’esposizione del materiale recuperato nel 1954-55 ad Arezzo in Via A. Nardi ed attribuibile al fabbricante Cn. Ateius. Questo rinvenimento ha posto fine alle discussioni sull’arretinas di questo artigiano. Fino ad allora infatti si erano recuperati molti prodotti di Ateius, ma tutti fuori di Arezzo: in Italia, nella Renania, nella Westfalia e soprattutto nella Gallia meridionale. Il materiale di Ateius si presenta ricchissimo di motivi e si distingue anche dal punto di vista tecnico per la qualità della “vernice” e dell’argilla che ricorda le caratteristiche della produzione di Cincelli. In certi casi uguale gusto e identico stile si ritrovano in Rasiniuse nei vasi tigranei e protobargatei dell’officina di M. Perennius. La più grande corrispondenza con i fabbricanti appena citatisi rileva nella vasta produzione decorativa, in particolare in quella dove appaiono composizioni floreali collegate da semicerchi e segmenti di retta. La produzione di Ateius è nel complesso fine e calligrafica, forse un po’ fredda, ma sempre armoniosa. L’attività di questo fabbricante in Arezzo si situa nella tarda età augustea, mentre le sue filiali potrebbero aver operato in età tiberiana. Nelle vetrine sono esposte coppe, coppe carenate, modioli e tazze con scene tradizionali presenti anche in altre officine e con scene peculiari della bottega di Ateius. Nella vetrina centrale è presentata una campionatura della tipologia liscia: piatti, coppette, ciotole e lucerne. 53


ceramiche dell’ex Monastero di San Bernardo Attualmente il Museo non espone reperti della vita monastica. I frammenti ceramici relativi ai recuperi effettuati nel corso di lavori edilizi nel Convento di San Bernardo presentano numerosi elementi di interesse, sia dal punto di vista strettamente ceramologico (produzioni attestate, tipologie di forme e decorazioni) sia dal punto di vista delle informazioni su aspetti di vita quotidiana in un convento tra Quattro e Cinquecento. Il vasellame da cucina pur nella sua frammentarietà dimostra il passaggio tra l’ uso di pentolame grezzo, senza rivestimento e quello invetriato. Questo cambio si accompagna a variazioni nel costume alimentare , nei modi e tempi di cottura.65 In vista di una illustrazione della storia del convento, nel contesto di una rinnovata accoglienza al museo, tali reperti dovrebbero essere soggetti di un’ indagine ben più approfondita cosi da essere esposti.

| foglia blu con medaglione centrale con insegna del convento. XVI sec. d.C

65_E.Boldrini, Ceramiche dal conventio di S. Bernardino

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iscrizioni onorarie e funerarie Come in altre colonie romane, anche Arezzo eresse nel Foro o in edifici pubblici le copie di ritratti di uomini illustri e delle iscrizioni; tre furono ritrovate nella zona di Colcitrone nel 1541. Il Museo conserva anche varie iscrizioni funerarie ed onorarie nelle quali sono ricordate cariche pubbliche. Il museo non espone la totalità della collezione lapidea ed epigrafica romana, in attesa di una progettazione di spazi destinati alla loro collocazione all’ interno dell’ ambulacro.66

| Elogium di Manius Valerius Volusi f.Maximus misure: h. cm. 46x25x15

66_ AA.VV. op. cit., Guglielmo Maetzke (a cura di), pp.109-112

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| 57. vista aerea. oggi

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| 58. veduta aerea 1931

| 59. veduta aerea 1943

| 60. veduta aerea 1963

| 61. veduta aerea 1983

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| 62. catasto lorenese 1826 | Archivio di Stato

| 63. piano regolatore di Arezzo. Ing.Tavanti. 1893

| 64. progetto di sistemazione via Crispi e via Margaritone. Ing.Tavanti. 1909

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| 65. l’anfiteatro dal lato est.fine anni Quaranta

| 66. l’anfiteatro dal lato nord. anni Cinquanta-Sessanta

| 67. l’anfiteatro dal lato sud.1960

| 68. veduta aerea. 1990

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| 69. Capitano, i Cavalieri di Casata e il Maestro d’Arme di Porta Santo Spirito. nuovi costumi della Giostra del Saracino. 1934 Archivio Famiglia Scortecci

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| 70. fiere cittadine. l’on. Amintore Fanfani inaugura la prima edizione allestita nell’area dell’Anfiteatro Romano. 1947

| 71. primo Concorso bandistico provinciale sotto il loggiato dell’ex monastero degli olivetani. 1947

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| 72. ingresso via Crispi

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progetto

ÂŤil tanto che si vede è gia di interesse grandissimo per gli studiosi: ma non esito a dire che quanto si vede potrebbe ben permettere di arrivare alla ricostruzioni, immateriale senza pretese, di una piccola parte dell’edificio al solo scopo della istruzione dei visitatori, per illuminarli sul significato dei ruderiÂť Ascanio Aretini. 1931

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|73. Arezzo. l’edificato, il verde, le mura

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l’area «quendam locum, qui vocabatur parlagi, positus in civitate Aretii, in porta sancti andre e et in contrada sancti Iacopi prope muros novo scivitatis aretii»67 Ser guido di rodolfo

L’area di progetto di circa 18.970 mq è collocata all’interno della cerchia muraria medicea, a valle rispetto al centro antico, subito sotto il tracciato del Castro; la posizione dovuta allo sviluppo classico degli insediamenti romani. Il complesso è situato a sud della città in un area verde racchiusa da edifici multipiano residenziali e commerciali; è posizionato al centro di un isolato densamente edificato, delimitato a Nord da via Francesco Crispi, a Ovest da via Margaritone, a Est da via Antonio Guadagnoli e a Sud da via Nicolò Aretino. L’isolato è permeabile solo attraverso le due cancellate di via Crispi e via Margaritone, l’area archeologica si presenta paradossalmente come il retro delle abitazioni che si articolano su edifici di varia altezza. Rispetto alla quota esterna dell’isolato, il parco è in leggera discesa e i ruderi si trovano circa 3 metri più bassi. Dagli anni Cinquanta il parco è di competenza comunale, mentre la restante parte del complesso museale (Anfiteatro, Monastero), è di proprietà demaniale.

67_A.Aretini, op.cit., p.308 *nella pagina 65: A.Aretini,l’Anfiteattro di Arezzo il Parco Archeologico e il Museo Etrusco Romano, in “ Atti e Memorie dell’ Accademia Petrarca di Arezzo “XI,1931, p. 311

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| 74. vista sul parco urbano appena dentro all’ingresso di via Crispi

| 75. quota dei ruderi. il cancello e il dislivello

| 76. scala di emergenza. sulla destra l’ambulacro. lato sud-est

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le emergenze Utilizzato solo come “scorciatoia” per tagliare l’isolato, il giardino pubblico non è molto frequentato da turisti trovandosi in condizioni indegne in piena antitesi con l’importanza del Monumento che contiene. La riqualificazione di piazza Sant’Agostino a pochi metri a nord dall’ ingresso di via Crispi, ha trasformato il parco in un “vespasiano” della città e in un ricettacolo di spaccio, vagabondaggio e abbandono. L’area archeologica è salvaguardata da una cancellata, controllata da addetti del museo che la aprono ogni qualvolta viene richiesta la visita dei ruderi; la visita libera manca di un’adeguata musealizzazione e gestione della fruizione. In occasioni di eventi l’organizzazione ed il controllo sono di difficile attuazione a causa dell’assenza di strumenti gestionali adeguati nel rispetto del bene archeologico. Il lato est dei ruderi è chiuso al pubblico da un ulteriore cancello e da un muro, al quale è addossato un volume per i servizi igienici. L’ambulacro è attualmente utilizzato come magazzino di reperti trovati duranti gli anni. La scala di emergenza prefabbricata si pone come elemento di disturbo, in contrasto con il contesto archeologico. Il Museo ben gestito, manca a nostro avviso di un razionale percorso espositivo che valorizzi in pieno le antiche sale del convento. Compatibilmente con le caratteristiche dell’edificio storico, la sede museale è stata resa accessibile ai visitatori portatori di disabilità motoria, con percorsi attrezzati (servoscale, ascensore esterna, rampe). Tali interventi non rispondono in pieno ad una qualità architettonica necessaria e soprattutto non presentano una facile e indipendente fruizione all’interno di locali caldi. L’esigenze di adeguamento alle normative di sicurezza e abbattimento delle barriere architettoniche possono essere un’occasione per risolvere le varie emergenze e criticità che l’area archeologica ed il complesso museale presentano. 69


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le occasioni «Ma in quell’arena risanata dalle acque e nei suoi resedi, in vista di quei ruderi sacri, capaci di profonda suggestione, per volontà concorde del Podestà di Arezzo e del soprintendente Minto, sorgerà il parco archeologico, aperto alla cittadinanza, alla gioventù che deve meditare sulla nobiltà della gente nostra e che la sentirà rivelarsi la grandezza dell’antica anima, parco che sarà un complemento delizioso di un’ altra attrattiva aretina: il museo etrusco-romano che alfine vedremo sorgere nel poetico loggiato olivetano e nei magnifici ambienti facilmente ivi adattabili, in vista di uno dei più superbi panorami della città»68 Ascanio Aretini

L’intenzione di progettare all’interno del parco urbano che ospita l’area archeologica, i ruderi dell’Anfiteatro romano ed il Museo Archeologico G.C. Mecenate, non nasce come di solito accade in ambito accademico da direttive ed intenzioni di regolamenti urbanistici, dunque proposte normate, ma da una motivazione ben più importante e coinvolgente: la necessità di vivere in continuità con il passato ed il confronto con la città antica. Progettare architetture, sia nuove che di dettaglio, in un contesto storico antropizzato ha il dovere di valorizzare l’esistente nel rispetto della memoria. Il complesso archeologico evidenzia reali situazioni di criticità; l’adeguamento a norme di sicurezza e l’abbattimento di barriere architettoniche sono l’occasione di proporre un architettura di qualità sia funzionale che formale. Le esigenze della città, i problemi di fruizione, la situazione e la conoscenza della condizione dei ruderi, sono la realtà sulla quale si articola la proposta di riqualificazione dell’area archeologica. Il progetto parte da un presupposto necessario: una campagna di restauro dei ruderi che riporti alla luce la quota reale e che valorizzi la stratificazione strutturale dell’opera. 68_A.Aretini, op.cit., p.314

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L’area di progetto, non sottoposta a vincolo sovraordinato ma soltanto a parere della soprintendenza ai beni architettonici, è soggetta a tutela archeologica.69 Le norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico ammettono per il parco, solo interventi finalizzati alla valorizzazione ambientali dei reperti archeologici; il piano strutturale inserisce il convento di San Bernardo tra gli edifici di rilevante valore. L’intervento si pone come proposta progettuale di area strategica o di piano di recupero , possibile deroga al regolamento urbanistico.

| 77. arco di un vomitorio dal quale si vede il fronte dell’ex Monastero

| 78. loggia del Museo

Presentando come tema principale la musealizzazione dell’Anfiteatro e una ridistribuzione razionale del Museo G.C. Mecenate l’intenzione è quella di stimolare il dibattito attorno alla valorizzazione del patrimonio che i ruderi di epoca romana rappresentano. La nascita di un complesso museale composto da parco, passeggiata archeologica e Museo porterebbe una notevole qualità alla proposta culturale di Arezzo Rendere i ruderi visitabili non basta per restituire dignità al Luogo e di conseguenza il Luogo alla città. L’isolato ha bisogno di un’architettura predominante che funga da distribuzione principale cosi da mettere a sistema il parco archeologico e l’ex Monastero. Tra le varie criticità dell’area la scala di emergenza, posta ad est del convento, si presenta adatta ad un nuovo disegno razionale che colleghi i vari livelli della cavea, del parco e del Museo. Tale architettura pur continuando ad assolvere al ruolo di sicurezza, si eleva a nuovo ingresso ma soprattutto ad elemento totemico per la comprensione totale dei ruderi sviluppandosi per un altezza tale da riprodurre la probabile monumentalità dell’Anfiteatro.70 La proposta di riabilitazione è stata colta con favore dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, nella figura della direttrice del Museo, la Dott.ssa Silvia Vilucchi. Da ciò è nata una stimolante collaborazione. Scambi di idee ed una volontà di risolvere criticità reali del sito hanno portato a presentare un progetto che, dialogando con il luogo e rispettando la memoria delle rovine, sviluppa un nuovo disegno del parco, una continuità tra la quota cittadina e l’arena, la musealizzazione dei resti, una razionale distribuzione delle sale del museo, allestimenti per le collezioni, la progettazione di caffe e bookshop ed una nuova architettura che contiene l’ingresso principale al Museo. Quest’ultima fungendo da fulcro del sistema parco e da opera didattica per la conoscenza della reale struttura dell’Anfiteatro è l‘architettura principale dell’intervento, contemporanea, ma legata all’antico. Nell’ambito del programma di riabilitazione del complesso Anfiteatro, Convento, Museo, si pone particolare attenzione alla ridefinizione dell’accesso da parte dei fruitori alla quota delle rovine sia per eventi che per visitare i resti romani. 69_ Codice dei beni culturali e del paesaggio, D.lgs. 22 gennaio 2004 n.42 70_non essendosi conservate parti murarie esterne e poche di quelle in alzato (solo quelle inglobate nel Monastero), il progetto si basa sulla ricostruzione effettuata dall’ Istituto Fossombroni di Arezzo, vedi _E. Cecconi, G. Cencini, l’ Anfiteatro di arezzo, rilievi, notizie storiche ed ipotesi di ricostruzione come esperienza didattica, 1988

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| 79. opus mixtum: in basso e in alto l’ opus reticolatum, al centro l’ opus vittatum

Attualmente l’accesso è limitato, in quanto la cavea è protetta da una cancellata che percorre tutta l’ellisse esterna. L’intenzione è quella di mantenere certamente sicuro e salvaguardato il rudere, ma di renderlo libero, direttamente accessibile valorizzandolo come “Monumentum” e collocandolo all’ interno di un percorso conoscitivo. E’ proposta una riappropriazione demaniale del parco (oggi sotto gestione comunale) direttamente controllato dal museo archeologico, cosi da renderlo assieme ai ruderi la prima sala del museo. La funzione di delimitare l’area archeologica vera e propria dal parco si esplica attraverso il ridisegno ellittico del limite esterno dell’Anfiteatro. Il progetto oltre a rispettare l’esistente si relazione con la città e le necessità attuali valorizzando l’accesso da via Crispi, strada maggiormente vissuta, come porta principale per attraversare il parco e raggiungere la torre d’ingresso; proponendo il chiostro come spazio di sosta e lettura aperto alla città, si trasforma l’area archeologica in un luogo quotidiano. Il sistema parco archeologico-complesso di San Bernardo nel restituirsi ad Arezzo contestualizza i materiali esposti legandoli ad aree archeologiche visitabili ed attrezzate che rappresentano una esemplificazione della memoria pluristratificata di Arretium, dall’età etrusca fino a quella moderna. L’obiettivo è quello di collegare il Museo e l’Anfiteatro alla città ed al suburbio, aprendosi ad una serie di sentieri archeologici urbani (l’area archeologica nella sede del monte dei paschi di siena in piazza San Jacopo, il sotto sagrato di San Francesco, gli ambienti mosaicati di palazzo lambardi, l’area di San Niccolo) ed extraurbani (il Santuario etrusco di Castelsecco, il Colle del Pionta). L’attraversamento del parco, l’accessibilità alla cavea, il nuovo ingresso al museo e la rivitalizzazione del chiostro come bookshop e caffetteria, trasformano il complesso museale in un polo di raccordo e divulgazione, dove finalmente la città si può riconoscere e soprattutto conoscere. Lo studio e analisi del passato ha spinto il progetto ad uno status di sintesi con le rovine; il principio architettonico è quello di una mimesi esplicativa, ma che in realtà permette di esprimere sensazioni ed emozioni che quei ruderi possono dare. Cosi facendo il vecchio diventa l’elemento veramente nuovo dell’intervento.

| 80. chiostro

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| le torri

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Tilia vulgaris, Tiglio intermedio

Pinus pinea, Pino domestico Pinus mugo Lavandula angustifolia Juniperus communis Chamaecyparis Nidiformis Cupressus sempervirens, Cipresso italico

ingresso principale al Museo caffetteria | bookshop ingresso al complesso via Margaritone ricostruzione sez. anfiteatro seduta in pietra. arena scesa all’arena rampa punto di controllo info | servizi igienici

ingresso al complesso via Crispi

ingresso al museo quota cavea percorso passeggiata archeologica collezione lapidea cella caditoia cella ingresso all’arena pavimentazione cella opus

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| 81. il complesso parco archeologico, Museo

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| 82. passeggiata nel parco dell’Anfiteatro romano. progetto

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il parco dell’Anfiteatro

La tesi prevede una possibile restituzione delle competenze alla direzione del museo su tutta la totalità del complesso così da completare la musealizzazione dell’area dell’Anfiteatro. I ruderi si troverebbero inclusi all’interno di un vero e proprio parco archeologico valorizzandone l’identità. Il disegno silente del parco esplica l’intenzione di “proteggere” l’Anfiteatro e di inserirlo in un contenitore verde che fortifichi la sua presenza nella città. La stratificazione urbana di Arezzo e l‘utilizzo fatto nei secoli della cavea adibita ad orti, hanno fatto si che la rovina non venisse inglobata dal tessuto edificato; l’Anfiteatro è diventato invece il retro delle abitazioni, un luogo marginale rispetto ai percorsi e alle abitudini dei cittadini. Gli smembramenti dei primi anni del Novecento ad opera dell’ing. Tavanti hanno definito l’agglomerato di abitazioni attorno al complesso di San Bernardo, collegando l’Anfiteatro con la città; la sua presenza però è sempre rimasta estranea nel disegno complessivo dell’edificato. Il parco deve contenere e custodire il Monumentum che si aliena rispetto al costruito che lo circonda; all’interno dell’isolato c’è qualcosa di prezioso, un‘opera unica alla quale va riconsegnata la dignità di rovina. L’Anfiteatro si raggiunge attraverso due ingressi: via Crispi, nata da uno sventramento attuato negli anni Venti su assetto razionalista, via Margaritone che si pone come tracciato ortogonale a via dell’ Anfiteatro unica strada di accesso al Monastero fino agli inizi del XX secolo. Come invito ad entrare nel parco nel 1926 l’ing. Tavanti disegnò i due ingressi a forma di arco di ellisse; l’architettura in laterizio propone una trama che riprende la stratificazione dell’Anfiteatro. 79


| 83. planivolumetria.progetto

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La proposta marca la presenza delle due cancellate pavimentando lo spazio disegnato dal loro andamento curvilineo. Attraversati i cancelli si percorre una lastricato in calcestruzzo grezzo che con un disegno assiale ci conduce ai punti di discesa all’arena. Da via Crispi ci possiamo dirigere direttamente alla rampa di discesa oppure all’ingresso principale al Museo posto nella nuova torre distributiva; da via Margaritone possiamo prendere la rampa di scale che porta ai ruderi, entrare nel chiostro del convento, oppure passeggiare all’interno del parco. La musealizzazione del parco archeologico consiglia una nuova organizzazione dei controlli e della sicurezza: il progetto prevede la realizzazione di un padiglione, struttura in acciaio e rivestito in corten, con la funzione di sala controllo del custode, prima accoglienza informativa e servizi igienici. Il volume, architettura leggera e per eventualità provvisoria, è affiancato alla pavimentazione dietro all’ingresso di via Crispi, così da avere il controllo sia del parco, sia dei ruderi che dell’affluenza di pubblico in caso di eventi all’interno dell’arena. Dal lato di Via Margaritone il controllo è garantito anche dalla funzione del chiostro, concepito adesso come un passage panoramico delle rovine. Come il parco abbraccia formalmente i ruderi, la pavimentazione disegna perfettamente l’andamento dell’Anfiteatro, donando a chi passeggia varie prospettive del luogo ed un contatto visivo completo con i ruderi. Il parco mantiene la sua funzione di giardino urbano, luogo di passaggio e di sosta, ma si presenta anche come spazio educativo, di rispetto e valorizzazione della memoria della città: le sedute continue in pietra sono disegnate lungo gli archi di ellisse posizionati negli assi maggiore e minore, ponendo cosi l’Anfiteatro al centro della vita del luogo, dove anche chi si ferma per una breve lettura si sente avvolto dalle memorie del passato. Dal lato interno rivolto verso la cavea la passeggiata è delimitata da una parapetto leggero. Questo permette di avere un controllo e una salvaguardia dei ruderi, ma allo stesso tempo uno spazio arioso dove il verde resta a contatto diretto con l’Anfiteatro. La musealizzazione dell’area archeologica fa si che l’architettura svolga il ruolo di educatrice e di controllo indiretto del comportamento dei visitatori, non ponendo dei limiti ma al contrario permettendo la facile fruizione del luogo nelle varie situazioni ed in completa sicurezza. Durante gli eventi o le visite archeologiche la rampa posta in asse con il cancello di via Crispi permette la discesa alla quota dell’arena anche ai disabili, che con facilità possono raggiungere la pavimentazione che segna l’ingresso principale dell’Anfiteatro. La passeggiata nel suo andamento ellittico collega i vari punti di interesse del parco archeologico, come il chiostro, i punti di accesso alla cavea e l’ingresso principale al museo: i percorsi sono dunque disegnati in maniera che la torre sia posta come obiettivo del camminamento proponendo la vista sui ruderi, complemento perfetto alle sale interne del museo. Per raggiungere la quota di ingresso al museo (4.60m)71 è necessario rimodellare il terreno sul lato est dell’area, la morfologia assieme alla disposizione dei cipressi permette di 71_quota del secondo ambulacro centrale

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| 84. sezioni ambientali.progetto

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schermare un percorso di servizio aderente al muro perimetrale. Le mura di confine sono ripristinate cosi da delineare in maniera netta il limite tra l’isolato ed il parco dell’Anfiteatro. L’intenzione è quella di un disegno razionale del verde mantenendo le essenze presenti (cupressus sempervirens, pinus pinea, tilia vulgaris) e saturando le assenze con nuovi alberi; i cipressi delimitano il perimetro schermando i retri dalla abitazione che si affacciano sul parco, i tigli disegnano l’ellisse riproponendo il segno della cavea alla quota del parco (+2.50m), i pini accompagnano il visitatore fino all’ingresso all’arena. I margini del parco vengo saturati dalla presenza di lavanda, ginepro, graminacee ornamentali e bassi arbusti come il pino mugo, che vanno a definire un filtro tra l‘area archeologica e i retri circostanti.72 Il parco dunque vuole essere una prima sala del museo, uno spazio di accoglienza che permetta a chi visita di alienarsi dalla condizione urbana e prepararsi alla vista e all’esperienza della rovina. L’uniformità del giardino urbano e la razionalità con la quale sono stati disegnati i percorsi, dialoganti con le preesistenze, si pone in contrasto dialettico con la scomposizione ed il “disordine” dei resti romani, i quali vengono così inseriti in un contesto che li rispetta e che li pone in una condizione privilegiata ed unica.

72_si veda schema pp. 76-77, essenze pp. 142-143

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| 85. vista dall’ interno della scala ricostruita. passeggiata archeologica

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la passeggiata archeologica «non è possibile creare ex-nihilo, ma occorre trasformare tutto il passato in presente»73 Ernesto Nathan Rogers

Raggiunta la quota 0.00 il visitatore può finalmente relazionarsi con l’Anfiteatro. La musealizzazione dell’area archeologica si compie grazie alla progettazione della passeggiata che certamente non può prescindere da una campagna di restauro conservativo e di scavo che riporti il piano di calpestio ai livelli originale. La proposta di tale intervento veniva fatta già negli anni Venti, periodo in cui l’aulicità delle origini romane era esaltata dalla propaganda fascista. Disegnare un percorso che accompagni il visitatore a contatto delle rovine è indispensabile per far conoscere la storia dell’Anfiteatro. Gli obiettivi presenti nel progetto seguono e rispettano la linea di intervento della Carta di Siracusa74. Nell’ambito di una programmazione che miri a una conservazione basata sulla prevenzione e manutenzione costante e sulla ricerca di funzioni appropriate per la valorizzazione del patrimonio teatrale, il documento europeo suggerisce soluzioni di installazioni temporanee e reversibili. L’utilizzo di strutture rimovibili e modulari realizzate con materiali compatibili con i resti antichi non compromette la conservazione e la corretta fruizione, ma semplifica la lettura dei rapporti esistenti tra paesaggio e la macchina archeologica. Rivitalizzare il passato, far rivivere l’antico sono concetti che hanno portato all’idea di rendere agibile ,anche per il diversamente abile, l’area archeologica ed accompagnare la passeggiata con conoscenze storiche ma anche proponendo dimensioni reali dell’Anfiteatro attraverso architetture di dettaglio. 73_E.Rogers, la responsabilità verso la tradizione, in “Casabella-Continuità” n.202,Agosto-Settembre 1954 | Cfr., E.L.Reus, Ernesto Nathan Rogers, continuità e contemporaneità, Marinotti Editore, Milano, 2009 74_ Carta di Siracusa, per la conservazione, fruizione e gestione delle architetture teatrali antiche

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| 86. pianta quota arena. passeggiata archeologica

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La situazione di criticità e più in particolare la necessità di doversi accostare e ridefinire i ruderi ha consigliato l’uso del corten come materiale adatto all’intervento. La passeggiata è costituita da una rete di percorsi larghi 2 metri, realizzati con una struttura leggera e provvisoria di listelli di acciaio, appoggiata a terra e regolata a 10 cm dal piano di campagna; la sezione è completata da altri 10 cm di corten che fungono da sponda (interrotta ogni 10m)75 per consentire la visita in sicurezza di tutte le parti della passeggiata. La rampa di discesa sbarca in un piano che rappresenta l’ingresso all’arena nell’asse maggiore; lastra in corten che si rastrema da 5 a 3 metri verso l’interno. In essa viene inglobata l’unica parte di pavimentazione originale rinvenuta, composta da lastre in travertino.76 L’idea è quella di un percorso libero che può partire sia dall’asse maggiore che dalla rampa di scale vicine al chiostro; l’intento è rendere possibile , gestibile, ed ordinata la visita dei ruderi. La bellezza del luogo è l’eterogeneità di prospettive, chiaroscuri e sensazioni che le rovine evocano quando vengo osservate, prima dal parco, e poi lungo la passeggiata. La conoscenza dei ruderi avviene attraverso la definizione di alcuni punti di notevole importanza. Partendo dal lato di via Margaritone la passeggiata si affaccia verso la cavea per percorrere un tratto dell’ambulacro interno; dopo essere rientrati attraverso un arco nella galleria esterna si può entrare in una cella dove sono presenti caditoie in pietra che servivano al deflusso dell’acqua proveniente dalle tubazioni in laterizio. Lo spicchio successivo propone la ricostruzione della scala che dall’ambulacro esterno portava alla media cavea; la

75_ D.M. 236 del 14 giugno 1989 76_“…di quella pietra che fu sempre il materiale prediletto nella terra nostra, che infine ritroviamo in bellissimi blocchi, anche di cm60x60x120cm, nell’unico avanzo rimastoci che doveva fare seguito al rivestimento esterno: l’ ingresso del quale parliamo più oltre….ben si riconosce il piano della pavimentazione a grandi lastre in parti che stavano oltre il fronte esterno e in una zona a larga apertura..” A.Aretini, op.cit., p.306

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| 87. profilo interno. ambulacro. passeggiata archeologica

| 88. profilo esterno. ambulacro. passeggiata archeologica

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sezione scala ricostruita

| 89. profilo. passeggiata archeologica

| 90. sezione. passeggiata archeologica

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struttura è uno scatolare in corten disegnato sulla base della vera sezione che permette di arrivare alla quota di 4.60 metri e di relazionarsi con le dimensioni reali dell’Anfiteatro. Esternamente il prospetto è inciso con il disegno della sezione, all’interno questa si esprime attraverso tagli di luce che plasmano la plasticità della struttura. Di seguito la musealizzazione esplica all’interno di un ‘altra cella la stratificazione della costruzione romana; anche qui ci si confronta con le altezze di tali spazi e si conoscono attraverso totem didattici l’opus reticolatum, vittatum e caementicium.77 Infine si attraversa il vomitorio maggiormente conservato che evoca maestosità con la sua copertura strombata. La passeggiata definisce un percorso cronologico, ma non lo impone; in vari punti della struttura vengono lasciati dei varchi di discesa al piano in erba, per lasciare comunque libera la visita dei ruderi. L’essenza del progetto è la composizione della sezione di 24,7 metri che risolve il dislivello tra il parco e l’arena e che presenta le dimensioni della larghezza radiale della cavea: la ringhiera di tondini in serie di acciaio ha il ruolo di custodia, di sicurezza e di controllo, il muro rivestito in corten delimita le due zone, la pavimentazione di 1.60 m in pietra rappresenta il limite esterno dell’Anfiteatro segnando con incisioni la posizione delle colonne, la passeggiata in struttura leggera visita i ruderi e la seduta continua perimetra la cavea. L’intervento garantisce un effetto di continuità ma allo stesso tempo di leggerezza, presenza volutamente

77_si veda “caratteri architettonici”in cap. L’ Anfiteatro romano, pp. 29-33

| 91. pianta. passeggiata archeologica

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cella con la stratigrafia materica

| 92. prospetto.passeggiata archeologica

| 93. sezione. passeggiata archeologica

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distinguibile dall’esistente ma assorbita delicatamente dal contesto grazie alla tonalità del materiale impiegato. La passeggiata archeologica si completa con la sala espositiva all’aperto che si distribuisce all’interno dell’unica porzione di ambulacro rimasta in piedi totalmente. Dall’asse maggiore dirigendoci verso la torre si può visitare l’allestimento della collezione lapidea e di iscrizioni onorarie e funerarie;78 tale proposta è giustificata dall’esigenza di rivitalizzare questa parte di Anfiteatro, adesso chiuso ed adibito a magazzino, e di collocare tali materiali in uno spazio adatto direttamente collegato con la cavea. Quando verranno risolti problemi di climatizzazione e conservazione della parte di tale ambulacro che si trova sotto il convento, l’esposizione potrà prolungarsi concludendo così la passeggiata. Inizialmente il visitatore può conoscere la storia della collezione attraverso le didascalie e disegni fatti nella struttura in corten che ridefinisce le dimensioni della galleria. Entrati nell’ambulacro (alto 3.90 m e largo 3.00 m) sul lato sinistro ci sono espositori con sezione a doppia t appoggiati su piani in corten, sul lato opposto l’allestimento si articola con pannelli sagomati sui vuoti dei 3 archi che conducevano alla media cavea. La lastra in corten estrusa rispetto al filo esterno della pietra cattura luce, fungendo cosi da fondale illuminato per il capitello appoggiato sul totem. La fine della galleria conduce all’ingresso di quota zero della torre, il quale si può raggiungere direttamente

78_si veda “iscrizioni onorarie e funerarie” in cap. Ordinamento e Collezione p.55

| 94. pianta. passeggiata archeologica

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ingresso collezione lapidea

| 95. prospetto. ambulacro

| 96. sezione. ambulacro

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proseguendo il percorso in asse con la rampa. Lo spazio che si apre ai piedi della torre propone un’ultima stanza espositiva esterna: una cella ben conservata con le sue stratificazioni materiche accoglie la presenza di un altro reperto della collezione; questo luogo saturato dall’allestimento si pone in un rapporto dialettico con il vuoto, “sporcato” da una seduta, che introduce all’interno del Museo al livello dei laboratori di restauro. La salvaguardia dell’area non esclude la possibilità di eventi all’interno della cavea; i percorsi, le pavimentazioni e l’arredo permettono la fruizione controllata durante gli eventuali spettacoli. L’arena è delimitata da una seduta in pietra, interrotta nei punti di intersezione con gli assi. L’organizzazione degli eventi è coadiuvata dal facilitato trasporto di materiale attraverso la rampa e la possibilità di ricavare piccoli depositi negli spazi vicini all’ingresso a quota zero recuperati. L’arena viene coperta da terra battuta, per evidenziare la sua antica funzione ma anche per porsi in maniera adeguata come spazio atto ad accogliere manifestazioni. La definizione dello spazio interno grazie alla seduta continua, presenta la possibilità di montare una struttura leggera e temporanea che occupi e saturi lo spicchio di ovale sud. La proposta di tesi intende dunque concepire le rovine come un fenomeno architettonico a noi contemporaneo. I ruderi rinascono perché concepiti come esperienza da vivere pienamente in una dimensione non solo contemplativa o facilmente pittoresca ma perchè quanto portatori di antiche, immutabili, misure; concreti e tangibili segni identitari della comunità aretina.

| 97. pianta. ambulacro

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interno collezione lapidea

| 98. prospetto. ambulacro

| 99. sezione. ambulacro

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| 100. pianta. ambulacro

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| 101. nuovo ingresso al Museo. vista sulla torre

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il complesso museale L’area destinata al nuovo ingresso posta ad est, tergale rispetto alla porzione di ambulacro coperto, si presenta come forte criticità del luogo. Lo spazio inutilizzato si aggiunge alla presenza della scala esterna di sicurezza79 che, data la sua natura di manufatto provvisionale, si pone in antitesi con il romanticismo dei ruderi, tanto da assumere lei stessa il ruolo di rovina nel significato che l’etimo ci consegna quando si intende definire un danno. Questa stonatura nei confronti della classica razionalità del fronte dell’ex convento e della composizione monumentale dell’Anfiteatro, ha indirizzato la proposta progettuale verso una nuova lettura della scala di emergenza, convertendo le problematiche in occasioni di riqualificazione. Mettere a sistema il parco, l’Anfiteatro, il convento e di conseguenza inserirli all’interno di un contesto cittadino attualizzato, suggerisce la posizione della scala come punto ottimale dove progettare il nuovo ingresso al museo; la sua collocazione facilmente visibile e raggiungibile da ogni parte dell’area archeologica consegna finalmente il complesso museale alla città. Valutando la distribuzione generale dell’area archeologica la torre si pone come elemento dominante e attrattivo. Le occasioni architettoniche che la progettazione del nuovo ingresso presenta sono molteplici: essa funziona da scala di sicurezza climatizzata, da elemento distributivo che collega la quota della cavea con i due piani del museo-in modo da razionalizzare la circolazione dei visitatori-, ma soprattutto permette di guadagnare un affaccio panoramico. 79_la scala di sicurezza è stata installata negli anni Novanta inserita in un piano di adeguamento alle normative antincendio.

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L’accesso al Museo oggi si compie entrando dalla loggetta posta di fronte all’ingresso della chiesa di San Bernardo80 percorrendo uno spazio ad “L” ed entrando nel loggiato del convento; la presenza di una rampa di scale per risolvere la differenza di quota tra il chiostro e il piano del museo, offre già un primo problema per il fruitore disabile, che soltanto con il servoscale può raggiungere l’ingresso; la piacevole passeggiata lungo il loggiato, da dove si può ammirare l’Anfiteatro e tutta l’area archeologica, non è inclusa nei flussi attuali del museo in quanto la biglietteria si trova all’interno della prima porta più vicina al lato ovest. All’interno della torretta posta al termine del loggiato, in un piano di adeguamento alle normative di sicurezza, è stato inserito l’ascensore: la sua collocazione esterna non ne facilita l’uso soprattutto per i visitatori diversamente abili.

80_ attualmente si stanno svolgendo lavori di manutenzione per collocare la biglietteria e book-shop in testa al chiostro.

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8

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piano primo 6

5

3 piano d’ingresso

4 2

1

piano quota arena

0

| 102. nuova distribuzione Museo

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la visita al Museo. La progettazione del nuovo ingresso offre la

possibilità di razionalizzare il sistema attuale di flussi. Entrando nel parco da via Crispi attraverso il disegno della pavimentazione si raggiunge il nuovo ingresso che costituisce il punto nodale dell’intero sistema. La nuova architettura ospita il collegamento, interamente climatizzato e privo di barriere architettoniche, ai vari livelli: arena, i due piani del museo e infine offre all’ultimo piano un punto di vista privilegiato sulla città. L’ingresso contenente la biglietteria è raggiungibile, oltre che dal percorso privilegiato di via Crispi, anche dal chiostro su via Margaritone, attraverso il loggiato e una prima sala a fruizione gratuita, sia dalla quota dell’ arena. La tesi propone l’inversione cronologica delle sale del museo. Partendo dalla sala di accoglienza che racconta la storia del Monastero attraverso vasi ed utensili degli Olivetani, la visita si articola tra le collezioni etrusche e romane al piano di ingresso, al piano superiore le collezioni private costituiscono la sezione antiquaria.

0 1 2 3 4 5 6 7 8

collezione etrusca collezione romana sala delle campane colle del Pionta collezioni private Funghini Bacci Gamurrini Ceccatelli collezione paleontologica | preistorica bronzi etruschi e romani collezione ceramiche collezione numismatica collezione preziosi e vetri uscite di sicurezza punto di controllo ingresso quota cavea ingresso | biglietteria guardaroba | servizi sala monastero | accoglienza sala terra sigillata caffetteria | bookshoop uscita museo loggia mirador

L’esposizione museale a partire dalla biglietteria si svolge in direzione est ovest ordinata con criterio cronologico al piano d’ingresso, opposta a quella attuale, per proseguire al piano superiore collegato attraverso una scala esistente posta all’estremo ovest; indispensabile per il fruitore diversamente abile sarà il collegamento offerto dalla nuova architettura che permette di raggiungere il livello superiore attraverso un ascensore. Il piano superiore del museo prevede una fruizione ovest-est fino a ricollegarsi con la torre che si può raggiungere attraverso il passaggio ricavato nell’ultima sala che contiene la crisografia; la riapertura-controllata- della loggetta, posta sopra l’ambulacro e adesso prevista collegata con il secondo ordine di loggiato del fronte principale del Museo, dona al visitatore un ulteriore punto di vista sull’area archeologica. Questo percorso consigliato può essere tradito, data la disposizione ordinata per collezioni, molto varie, presenti al piano superiore; giustificando anche il diverso punto di arrivo al piano superiore da parte del diversamente abile. La presenza contemporanea di una biglietteria e di una sala di accoglienza allo stesso livello migliorano il controllo dei flussi e rispondono all’esigenza di avere due postazioni divise rispettivamente per l’emissione e per lo strappo del biglietto.81 Ogni punto di ingresso ed uscita collegato con la torre sarà controllato dal personale del Museo. L’ingresso attuale di via Margaritone viene mantenuto ma riconcepito come aperto alla quotidianità del cittadino; tale riorganizzazione degli spazi e delle funzioni è dovuta all’esigenza di proporre alla città un luogo interno al museo, non legato alla visita delle collezioni oppure alla passeggiata archeologica, che entri nelle abitudini e nelle consuetudini di chi vive Arezzo.

81_attualmente il servizio di emissione biglietto è dato in appalto a terzi, ad una ditta esterna che gestisce anche il bookshop; lo strappo e dunque il secondo controllo è funzione dei collaboratori del Museo.

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Il museo con 15.000 visitatori annui rientra nei medi-piccoli edifici storici culturali, la sua capacità massima di affluenza è di 80 persone ca. Con la trasformazione della scala di emergenze nella torre distributiva ed ingresso principale vengono portati aspetti migliorativi nei flussi interni di visita del museo. Si completa l’adeguamento alle norme di sicurezza per edifici storici razionalizzando il deflusso e facilitando l’esodo attraverso nuove ed ampie uscite di emergenza. L’intervento ha reso possibile un miglioramento di deflusso massimo in caso di incendio; questo ha aumentato la capacità massima di affluenza di visitatori che il museo può sopportare.82 Una conseguente organizzazione sulla sicurezza da parte dei custodi del museo, completerà il quadro di adeguamento normativo del complesso; questo può vantare una nuova uscita di sicurezza alla quota di ingresso che immette nella torre (luogo sicuro), la riapertura della loggetta e conseguente loggiato al primo piano, un ulteriore via di fuga al termine del percorso espositivo ed infine il collegamento con l’esterno della torre a quota della cavea. 83

82_analisi approsimativa effettuata con il Comando dei Vigili del Fuoco di Arezzo. 83_D.M. n.569 del 20 maggio 1992

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| 103. pianta. caffetteria, bookshop. chiostro

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il chiostro. La conformazione attuale del Museo non presenta ne una caffetteria ne un bookshop. La risoluzione di questa lacuna porta inevitabilmente la proposta a valutare la posizione del chiostro (attuale ingresso) come strategica in un ottica di riqualificazione museale. Attualmente questo è l’ingresso principale alle collezioni, luogo di notevole impatto emotivo, ma spoglio e distante dalle dinamiche cittadine; nelle intenzioni lo spazio di riflessione dell’ex Monastero diventa, per chi visita il complesso, luogo finale di sosta per un caffe o di acquisto di un libro a completamento dell’esperienza appena vissuta, mentre per chi arriva da via Margaritone assume il ruolo di catalizzatore cittadino con servizi che possono svolgersi anche scollegati dalla vita museale mantenendo sempre il ruolo di accesso all’ edificio. Il ruolo di servizio che il chiostro assume nella proposta è esplicato anche dal disegno della pavimentazione esterna che lo collega direttamente con l’ingresso di via Margaritone. Questo spazio nelle stagioni calde potrà essere vissuto come luogo all’aperto; la possibilità trasforma l’area archeologica in una struttura di collettività, dove la cultura, il ludo o la semplice passeggiata si fondono in un unico sistema.Dal lato della chiesa si entra attraverso una loggetta in uno spazio freddo di accoglienza dal quale attraverso una porta in cristallo si entra nel bookshop e caffetteria. Risolti i problemi di climatizzazione, il progetto di arredo si articola lungo i 22 metri del corridoio appoggiandosi per 1.80m sul lato destro, cosi da aumentare la prospettiva della spazialità; la composizione di mobili in legno di rovere chiaro rifiniti con ferro cerato vuole mantenere l’austerità del luogo rispettando il ritmo delle colonne. La suddivisione tra la passeggiata lungo il fianco in luce e le funzioni distribuite in serie nel fianco a sud è definita da un piastra in ferro, che funge da pavimentazione e da collante dei due nuovi servizi. Il bookshop presenta un primo piano in legno che espone brochure informative, poi il bancone, una bassa libreria ed una alta accostata alla parete ,si collocano di fronte all’uscita verso il parco. Il disegno razionale ed uniforme dell’ arredo continua con la presenza di un tavolo in legno lungo 2 campate del chiostro che copre funzione di consultazione e lettura ma anche di servizio caffè. Le dimensione del mobile sono giustificate dalla volontà di inserire un oggetto monumentale nella sua forma e di collettività nella sua funzione, che rimembrasse l’antico ruolo del luogo che lo accoglie; la presenza di un tavolo simile a quello di un refettorio non vuole essere soltanto un elemento di rispetto verso la memoria del Monastero ma anche arredo funzionale all’unione dei due servizi. La caffetteria si articola di un piccolo padiglione in acciaio di 3x1.8m; il retro del bancone uniforma l’arredo e si collega con la spalliera del tavolo che si compone da 16 posti suddivisi tra la panca accostata alla parete e sgabelli in legno disposti lungo il corridoio. Tale spazio si presta bene ad esposizioni temporanee o eventi correlati alla vita del museo. Al termine del chiostro il visitatore può finalmente percorrere e godere delle viste che il loggiato offre verso l’Anfiteatro ed il suo parco. Da richiesta diretta della Dott. Vilucchi il progetto affronta e risolve il problema dell’altezza del parapetto (70 cm ca.) che non rispetta le normative di sicurezza. Questa situazione è la principale causa dell’inutilizzo del porticato; restituire il percorso monastico, che si articola in una spezzata ellittica, alla vita del 107


| 104. sezione trasversale. caffetteria, bookshop. chiostro

| 105. sezione longitudinale. caffetteria, bookshop. chiostro

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museo è stato un obiettivo principale nella redazione del progetto. Sopra l’attuale pavimentazione in cotto si appoggia una piastra in corten che si sagoma ai lati con un parapetto e con uno scatolare che alterna sedute, indicazioni e contenitori di strumenti di sicurezza. Il parapetto è composto da un profilo orizzontale che accompagna tutta la passeggiata. Al termine, dove adesso c’è l’ascensore, viene collocata la testa di Mecenate84 posta davanti ad un pannello in corten sopra il quale è inciso il nome per esteso del Museo. La pavimentazione in corten ed una rampa finale, ci permettono di risolvere parte dello scarto di quota con l’interno del museo al quale entriamo attraverso lo spazio di disimpegno ma allo stesso tempo espositivo, ricavato dove attualmente ci sono i servizi igienici. Qui viene tamponata la porta attuale di uscita di sicurezza che serviva per immettersi nella vecchia scala di emergenze, vengono mantenute le due finestre che guardano l’ ambulacro, diventando cosi un primo spazio di esposizione adatto alla presenza di un reperto musivo.

84_ riproduzione ,attualmente posta all’ ombra dei cipressi dal lato di via Margartone, del busto rinvenuto nella villa che l’illustre aretino possedeva in Umbria nel comune di Spello. | Cfr. A.Tafi, op.cit. ,p.433

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| 106. pianta.sala del Monastero, guardaroba e servizi igienici

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la sala del Monastero. L’esposizione museale inizia con una prima sala di accoglienza ad accesso gratuito che funge da congiunzione tra il nuovo ingresso al Museo ed il porticato dell’ex convento. Questo spazio, prendendo atto dello stato di fatto della gestione, contiene una ulteriore accoglienza pima dell’inizio vero e proprio delle esposizioni. Approfittando di questa particolare funzione, oltre ad un bancone ed uno spazio di sosta, la sala viene allestita con un esposizione di alcuni reperti esemplificativi della storia del complesso supportati da pannelli didattici. Entrando dal loggiato, al termine della rampa che supera il lieve dislivello, si attraversa un’ apertura foderata in ferro cerato che costituisce la soglia d’ingresso vera e propria; in continuità con il rivestimento dell’apertura si trovano i pannelli didattici e lo spazio di sosta costituito da una panca in legno; proseguendo all’interno della sala è presente un unico elemento di arredo in metallo e vetro articolato in più espositori che raccoglie materiali della storia del Monastero, come vasellame da cucina in maiolica e stoviglie da mensa. Al termine dell’ ambiente, in corrispondenza del collegamento con il nuovo ingresso e dell’ inizio del percorso museale, si trova un bancone in legno e metallo destinato all’ accoglienza e controllo da parte del personale interno al museo. Il percorso museale inizia attraverso le prime sale che accolgono i reperti di epoca etrusca proseguendo poi con l’esposizione dei materiali di epoca romana.

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| 107. sezione trasversale. sala del Monastero, guardaroba e servizi igienici

| 108. sezione. guardaroba e servizi igienici

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| 109. sezione. sala del Monastero

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| 110. sala della Terra Sigillata

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| 111. pianta.sale della Terra Sigillata

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la sala della Terra Sigillata. Di particolare rilievo nella

collezione romana è la parte della terra sigillata.85 La qualità e l’importanza dei reperti ha favorito uno studio dettagliato proposto nelle sale a sud del complesso che già oggi li ospitano. La nascita di un luogo unico che custodisca la collezione più importante nobilita la visita del museo e in un piano perequativo di distribuzione delle sale, fornisce la possibilità di recuperare spazio espositivo saturato dalla collezione di ceramiche monastiche. L’allestimento disegna uno spazio uniforme studiato per dar risalto ai singoli reperti rafforzando però la totalità della collezione. La nuova pavimentazione in resina e argilla applicata sopra l’esistente in cotto, evoca il colore della vernice86 rossastra e lucente della terra sigillata; le pareti interamente foderate in pannelli di legno con finitura opaca di colore nero costituiscono un fondale omogeneo che regolarizza e definisce i bordi delle sale esistenti. Il cromatismo dei reperti ha suggerito una scelta di colori caratterizzanti la produzione della terra sigillata al fine di rafforzare la percezione della totalità dei manufatti. L’allestimento si articola in due sale: la prima sala propone l’esposizione dei tre pezzi più significativi posti al centro dello spazio in contenitori con base in ferro cerato e teche di cristallo temperato sigillato con profili fini in metallo, con l’aggiunta di un fondale neutro in pietra dove poggiano i reperti.87 ( 1_ cratere

85_si veda cap. La terra sigillata, pp. 45-53 86_glanztonfilm (dal tedesco). copertura di argilla lucente, da emulsione depurata della stessa. 87_si veda schede pp. 50, 52

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| 112. sezione. prima sala della Terra Sigillata

| 113. sezione. seconda sala della Terra Sigillata

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officina m perennius 2_coppa emisferica appartenente all’ officina di m perennius 3_coppa emisferica di cn.ateius); ai lati vetrine basse contenenti le matrici, punzoni88 e gli utensili con i quali venivano realizzati, e pannelli esemplificativi della tecnica realizzativa della terra sigillata; l’allestimento si completa con espositori con cristallo alto integrati nel rivestimento delle pareti, che presentano la collezione di ceramica a vernice nera, ceramica aretina liscia ed ulteriori strumenti usati per eseguire le decorazioni. La sala successiva ospita la produzione di ceramica a rilievo delle officine più prestigiose del territorio aretino (m.perennius, p.cornelius, rasinius, cn.ateius, vibienus) riservando per ognuna di esse un espositore integrato nel rivestimento delle pareti realizzato in vetro e acciao con un doppio basamento in pietra che si estende anche nella parte posteriore dell’espositore a formare un fondale neutro per una migliore percezione dei reperti. Anche in questa sala sono presenti grafiche integrate nei rivestimenti a supporto delle collezioni esposte. Le teche vengono illuminate dalla presenza minimale di esili led o faretti interni. L’illuminazione generale delle sale è ottenuta mediante luce proveniente da una cornice continua di coronamento delle contropareti esistenti e riflessa dai soffitti voltati, che mantengo il ruolo di visibile presenza dell’architettura originaria del Museo, sottraendo gli spazi espositivi al rischio di un estraneità del luogo. La luce riflessa crea una condizione di penombra nelle sale esaltando l’illuminazione degli espositori e delle teche.

88_si veda schede p. 49

| 114. sezione longitudinale. sale della Terra Sigillata

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| 115. atrio di ingresso. Museo

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il nuovo ingresso al Museo. La nuova architettura nasce prima ancora che da questioni formali, da considerazioni e direttive da rispettare in ambito di sicurezza: l’opera viene progettata come edificio compartimentato che svolge il ruolo di locale antincendio. Nei punti di ingresso all’ ex convento vengono usate porte a resistenza rei 120 con sistema di auto-chiusura. L’analisi dello stato di fatto ha verificato, con la collaborazione del comando dei vigili del fuoco di Arezzo, che i setti di muro dell’ex convento rispondessero ai parametri richiesti di resistenza al fuoco e che dunque permettessero l’aderenza di una nuova struttura composta da elementi costruttivi scelti in base alla normativa.89 La preesistenza del rudere ha imposto al progetto di inserirsi nell’area rispettando e ridefinendo segni e allineamenti antichi. Uno studio ed una ricostruzione grafica, conseguente a rilievi in loco, ha permesso di comprendere e recepire i principi fondanti sia in pianta che in alzato della costruzione romana. La ripetizione del modulo costruttivo composto da vomitorio, scala e cella, segna l’ovale con raggi scanditi in maniera ritmica. Il disegno che ne viene fuori è stato seguito in tutto lo sviluppo del progetto, ma soprattutto nella scelta insediativa della torre. Questa è un solido estruso dalla pianta di un cuneo dell’ architettura romana, disegnato sui raggi dell’ellisse. La torre oltre a seguire con continuità l’andamento dei ruderi segna in maniera evidente il limite esterno dell’Anfiteatro, ponendosi come Monumento contemporaneo in continuità dialettica con il processo storico; il suo ruolo è quello di rendere oggettivo il valore dell’antico. Negli scritti di Rogers si afferma che “ nelle preesistenze si manifesta quella parte del passato che vive nel presente e qui sta la chiave per rianimare le esperienze culturali e storiche in una nuova opera architettonica”.90 La torre si presenta monolitica e slanciata, alta 24.7, in rapporto con la sezione dell’Anfiteatro che delimita in pianta. Questa proporzione si allinea indirettamente con l’ordine architettonico che la città di Arezzo presenta. L’area occupata dalla torre, che prima appariva periferica quasi come fosse un retro, adesso si ritrova protagonista, fulcro centrale di una 89_D.M. 16 febbraio 2007 | D.M. 9 marzo 2007 90_Cfr. E.L.Reus, op.cit., p.123

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mirador

quota piano primo

quota ingresso

quota arena

| 116. piante.torre

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distribuzione ordinata che pone al centro del sistema l’Anfiteatro ma che valorizza come obiettivo finale il nuovo ingresso al museo. La torre si presenta come un pannello didattico a larga scala sopra il quale viene disegnata la sezione ricostruita del Monumento. Il valore didattico del progetto è sicuramente importante e significativo tale da giustificare l’altezza della torre, la sua posizione ma soprattutto la sua presenza. I resti dell’Anfiteatro nella loro condizione di rovina non fanno comprendere la scala dell’architettura antica; per questo l’intervento unisce la musealizzazione dei ruderi alla progettazione di un opera condizionata da misure imposte che educa e che con una mera mimesi formale ridona dignità al passato. La torre non vuole storicizzare il presente e certamente non vuole avere la presunzione di essere un architettura sempre esistita; gerarchicamente inferiore al convento e al rudere si pone al servizio dell’archeologia del luogo esaltandone le dimensioni per far comprendere l’antitesi tra pieno e vuoto rappresentativa del tipo architettonico dell’Anfiteatro. Compositivamente il nuovo ingresso si articola nella torre e in altri due volumi di altezza inferiore: uno è il continuo dell’anello che unisce la torre al convento, l’altro simile ad un contrafforte esce dal limite dei 24,7 per disegnare il taglio di ingresso oltre a contenere il vano ascensore. La costruzione di un opera permanente che satura la parte tergale del convento interna all’area archeologica è possibile dalla conferma di assenza di reperti validata da saggi avvenuti durante gli ultimi decenni.91 La scelta strutturale sarà il passo successivo alla progettazione conseguente ad uno studio più accurato del terreno e dell’area di costruzione. I fronti sono rivestiti in pietra arenaria, tagliata di 3 altezze diverse92 e posta in opera evidenziando maggiormente le fughe orizzontali; la tonalità del materiale, cangiante in base alla luce e alle stagioni, contestualizza la torre nella stratificazione di Arezzo edificata nei secoli con l’uso della medesima pietra.93 L’arenaria si è dimostrata un materiale adatto a proporre la sezione dell’ Anfiteatro come segno evidente nel prospetto nord: le parti sezionate sono state materializzate con pietra bocciardata ed estrusa rispetto al piano di posa, cosi da evidenziare la composizione e le quote con una leggera ombra; le proiezioni sono state rese da intagli nelle lastre. La presenza di una torre a valle del centro storico e al limite delle mura medicee non rispetta certamente l’evoluzione della città; la nuova architettura non si pone come opera “neo-medievale” ma come figura astratta che insegue caratteri e cromatismi legati alla storia aretina. Essa intende inserirsi in maniera silenziosa nella stratificazione ascendente di case-torri che dominano il profilo di Arezzo. Dalla pavimentazione anulare del parco si viene attirati verso il taglio a tutta altezza dell’ingresso; sulla sinistra è inserito l’ascensore che 91_ultimo saggio Scavi avvenuto nel 2011 per manutenzione ordinaria impianti. 92_rivestimento di pietra arenaria santa fiora: altezza 30,40,50cm, lunghezza varie misure 93_si veda nota 43 ,p.33


mirador

uscita percorso museale piano secondo

atrio ingresso

ingresso al Museo quota parco

ingresso Museo quota arena

passeggiata archeologica collezione lapidea ambulacro

| 117. schema. nuovo ingresso al Museo

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collega la quota della cavea con il piano di ingresso al museo; nella parete di fronte all’ingresso si dispone un pannello informativo di accoglienza e una seduta che arreda lo spazio di transito. Appena varcata la soglia del museo possiamo vedere il resto di un vomitorio inglobato nella nuova architettura. Il rudere viene contestualizzato nel nuovo atrio di ingresso; l’interno si articola sulla sezione e sul doppio volume che contien la parte sopravvissuta di Anfiteatro. La biglietteria luogo di accoglienza ma anche di transito si presenta anch’essa come una sala del museo dove il lucernario sopra il rudere, denotando il punto di aderenza con la fabbrica del convento, illumina lo spazio evidenziandone la complessità. Al piano inferiore oltre ad un bancone di accoglienza e i servizi igienici predisposti anche per l’esterno, si può osservare, attraverso una parete vetrata, il deposito delle collezioni del laboratorio di restauro. L’ interno è direttamente collegato alla cavea da uno spazio freddo ma coperto e arredato con una seduta che guarda l’ambulacro. La scala progettata nel rispetto delle norme di sicurezza si sviluppa in tutta la spazialità della torre collegando la quote della cavea al museo fino alla loggia panoramica. Parapetto pieno in acciaio ossidato bruno e pedate in pietra aumentano la qualità architettonica dell’atrio. Per collegare la torre e dunque la biglietteria al museo si è dovuto intervenire con soluzioni tecnologiche di aderenza con l’esistente e compositivamente attraverso tamponature e aperture di varchi nei setti dell’ex convento. Tale azione rientra nella proposta di adeguamento e risanamento del complesso museale che sono stati sottoposti al parere della Soprintendenza;94 in particolare dalla biglietteria si tampona una finestra e l’altra presente si sagoma con corten come connessione; per collegare il primo piano alla distribuzione principale si è dovuto bucare la parete a lato della finestra per aprire un passaggio. Il collegamento principale dell’atrio con il museo avviene grazie alla progettazione di una piastra che dimezza lo spazio doppio volume della sala attualmente adibita a magazzino e adiacente alla nuova architettura. Stanza buia dunque adatta al collocamento di servizi igienici e guardaroba, entrambe composti da strutture in acciaio rifinite in legno, che staccandosi dalle pareti si evidenziano come nuove nel rispetto dell’esistente. La nuova architettura copre il ruolo di fulcro distributivo principale. La presenza interna dell’ascensore, che collega i tre piani del Monastero qualifica i servizi del Museo adeguando la struttura alle possibili disabilità dei fruitori. Dall’ultimo piano del museo percorrendo altre sette rampe di scale si raggiunge il mirador;95 lo spazio è freddo e dunque raggiungibile oltrepassando una porta posta al termine della salita. La nuova “loggia” propone la vista della città alla quota di 20 metri, quella che dalla ricostruzione sembra essere l’ultimo gradone dell’ Anfiteatro.96 In sommità si trova uno spazio di sosta, di meditazione e di conoscenza; la seduta appoggiata alla parete e 94_collaborazione maturata durante i mesi di progetto con la Dott.ssa R. Sileno della BAP di Arezzo. 95_l’accessibilità al mirador è controllata dall’ atrio di ingresso ad ogni livello. 96_si veda nota 70, p.72

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il pannello informativo nel lato opposto completano il mirador. Un taglio di luce rompe l’atmosfera buia dello spazio ed illumina il vuoto dell’apertura, posta a nord e perciò sempre in ombra, dichiarandolo cosi nel contesto generale del parco. L’apertura del mirador rompe la monoliticità della torre e disegna un taglio proporzionato ed ordinato con la serialità del loggiato; una ringhiera leggera di tondini in acciaio funge da parapetto. Il punto di vista panoramico nasce dall’esigenza di raccontare la vera altezza dell’ Anfiteatro e di far vivere l’esperienza di quella quota; ma uscendo dagli schemi dell’architettura educatrice il mirador si aliena dal sistema parco, ruderi, museo, diventando spazio urbano di riferimento della città raggiungibile senza dover visitare le rovine o l’ex Monastero. La proposta diventa più complessa: la soluzione di continuità tra le varie quote dell’area archeologica, la trasformazione di essa in un complesso museale-archeologico è accompagnata dal ruolo cittadino della torre con il mirador. L’Architettura, riferimento contemporaneo all’interno dell’assetto storicizzato di Arezzo, svolge un ruolo civico di catalizzatore della collettività attraverso il punto di osservazione della città. L’esigenza del progetto è quella di ripartire dall’Anfiteatro e restituire l’area archeologica ai cittadini facendo in modo che ritorni a vivere e far parte del loro quotidiano, supplendo a quel desiderio a suo tempo raccontatoci dall’Aretini.

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| 118. profilo est. nuovo ingresso al Museo

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| 119. profilo ovest. nuovo ingresso al Museo

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| 120. profilo sud. nuovo ingresso al Museo

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| 121. sezione atrio. nuovo ingresso al Museo

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| 122. sezione torre. nuovo ingresso al Museo

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| 123. profilo nord. nuovo ingresso al Museo. mirador

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| 124. veduta della cittĂ . mirador

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materiali

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rivestimento torre

pietra santa fiora chiara pavimentazione esterni

pietra serena extra forte

cemento spatolato pavimentazione interni

resina argilla

resina grigia arredo esterno

corten arredo interno

ferro cerato

mdf finitura nero opaco

rovere chiaro

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essenze arboree e arbustive

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Tilia vulgaris, Tiglio intermedio ibrido tra la Tilia cordata e la Tilia platyphyllos, molto diffuso in Italia. essenza a foglie caduche, cuoriformi, asimmetriche alla base, a margini seghettati. Alto fino a 30 metri, ha fusto slanciato e dritto, rami robusti e numerosi, chioma ampia e densa.

Pinus pinea, Pino domestico specie già coltivata in epoca romana con grande espansione nel Mediterraneo. La denominazione specifica pinea significa “da pinoli”. Alto fino a 30 metri, ha fusto cilindrico, privo di rami per due terzi dell’altezza. La chioma prima è arrotondata o ovale poi assume la forma a ombrello. Le foglie sono aghiformi.

Cupressus sempervirens, Cipresso italico originaria dell’Asia Minore fu introdotta in Italia dagli Etruschi; a Roma è stato l’albero funerario per il suo legno incorruttibile e la sua longevità. La denominazione specifica sempervirens richiama il caratteristico colore verde scuro della chioma. Alto fino a 20-30 metri, ha tronco dritto, colonnare, ramificato fin dal basso; la chioma è piramidale,densa e cupa.

Lavandula angustifolia, Lavanda genere di piante appartenenti alla famiglia della Lamiaceae; arbusto sempreverde a fusti eretti, non ramificati, la cui sommità è provvista di foglie color verde cinerini, lineari. I fiori sono raggruppati in sottili spighe di un colore bluvioletto.

Pinus mugo, Pino mugo cespuglio aghiforme sempreverde, dal portamento prostrato, appartenente alla famiglia Pinaceae; generalmente arbustivo, ma molto variabile, con rami ascendenti a cespuglioso

Juniperus communis, Ginepro comune genere delle Cupressaceae, conifera comune in luoghi aridi, incolti o boschivi; appare quale arbusto o alberello sempreverde, alto da 1 a 10 m, con foglie lineari-aghiformi, pungenti, riunite in verticilli di 3.

Chamaecyparis Lawsoniana Nidiformis appartenente alla famiglia delle cupressaceae, è un alberello con foglie verdi bluastre in frasche orizzontali a crescita lenta; adatto ad un esposizione ombreggiata.

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modelli

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isolato 1:200 145


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nuovo ingresso 1:50 147


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passeggiata archeologica 1:50 149


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pietra 1:1 151


ambulacro. ambiente secondario coperto di varia forma, in genere sviluppato nel senso della lunghezza. la sua funzione è spesso di disimpiego: portico, destinato al passeggio; corridoio anfiteatro (amphitheatron: amphi all’ intorno, theatron teatro). edificio di figura circolare od ovale, circondato all’intorno da gradinate e nel cui mezzo, detto arena, si davano presso i romani i combattimenti gladiatorii e si facevano altri ludi pubblici. ara. esso sorgeva non solo nei templi ma anche in luoghi aperti, In origine fu costruito con rozze pietre, in seguito venne ricoperto con lastre marmoree scolpite. balteus. termine latino che identifica la cintura militare propria dei soldati romani costituito in cuoio abbellito da borchie in metallo barbotine. nell’arte fittile applicazione di argilla semiliquida sul vaso non ancora seccato.

glossario

calatisco. da kàlatho (greco), canestro di vimini di forma troncoconica usato per lavori femminili. cavea. insieme delle gradinate (e diviso in settori) di un anfiteatro o di un teatro. spazio destinato al pubblico, diviso per ceto sociale, era distinta in ima, media e summa cavea, in cui prendevano posto rispettivamente i ceti dei rango senatorio e di rango equestre, le categorie intermedie, e la plebe. cratere (dal greco kràter). vaso di bocca assai larga e corpo capace, destinato a contenere il vino mescolato all’acqua ellenistico. aggettivo che designa un periodo della storia greca situato per convenienza fra la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e la battaglia di Anzio (31 a.C.). euphronios. celebre ceramografo attico degli inizi del periodo c.d. a figure rosse. opera negli ultimi decenni del VI secolo a.C. euripo. orchestra; parte del teatro antico, di forma circolare, dedicata ad ospitare l’esibizione del coro posizionato alla base della cavea a frapporsi così tra gli spettatori disposti sulle gradinate e la scena. fitomorfo (dal greco morfé-futòn). aggettivo pertinente ad elemento di forma vegetale. foro. centro amministrativo e piazza del mercato della città romana, usualmente posto all’ incrocio delle vie principali, il cardo e il decumanus. kylik (dal greco). coppa mascherone. termine con cui viene indicata una decorazione a foma di volto umano stilizzato o grottesco.

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mecenate. gaio cilnio M. cavaliere,(eques), romano, di nobile famiglia aretina di origine etrusca; visse fra il 69 e l’8 a.C. fu fidatissimo consigliere ed amico di Augusto, protettore degli artisti. meniano. balconata, galleria esterna. partiture orizzontali della cavea. municipium. nell’antica Roma, comunità cittadina, che pur conservando autonomia interna, veniva incorporata nella cittadinanza romana. il nome deriva da munera capere, cioè adempire a degli oneri e godere di diritti nei confronti dello stato romano. musivo. aggettivo pertinente a mosaico ninfeo (dal greco=sacro alle ninfe). un luogo consacrato alle ninfe, in epoca romana, una costruzione a pianta rettangolare o ellittica arricchita da una facciata con grande prospetto architettonico di nicchie e absidi dalle quali i getti d’acqua cadevano in un bacino sottostante. numismatico (dal sostantivo greco nomisma=denaro corrente). aggettivo riguardante monete in quanto oggetto di collezione e di studio. oinochòe (dal greco=brocca per versare il vino). brocca da una sola ansa. opus caementicium ( dal II sec. a.C.). malta mista a pietrame tufaceo o siliceo. opus mixtum ( dal 50 a.C.). strati di cubetti di arenaria disposti in diagonale, alternati a strati di laterizio legati con malta. opus reticulatum (dal 55 a.C.). elementi lapidei (detti cubilia) aventi forma di piramide tronca, posti in opera inclinati a 45° con la base in facciata e il vertice conficcato nella malta del nucleo murario cementizio. opus vittatum (basso Impero). costituito da filari di laterizi alternati a filari di altri materiali come blocchetti di tufo. sima. lastra a doppia sezione verticale ed orizzontale, ad angolo retto, poggiata al di sopra dei travi del frontone, cornice villanoviano. cultura dell’ età del ferro (1000 a.C.), diffusa in Emilia, Etruria, trae nome da villanova località presso Bologna. vomitorio. ciascuna delle porte di entrata e di uscita del pubblico aperte sulla cavea in mezzo ai meniani. stipe (votiva). insieme di oggetti votivi offerti a una divinità e ritrovati in fosse o depositi ubicati in aree sacre uni. la suprema dea del pantheon etrusco. corrisponde alla divinità greca Hera e alla divinità romana Giunone. 153


Testi e Scritti di Ricerca _AA.VV. Architettura in Terra di Arezzo, i restauri dei beni architettonici dal 1975 al 1984, Vol.I: Arezzo-Valdichiana-Valdarno, Edam, Firenze, 1985 _AA.VV. Il palazzo del Governo di Arezzo di Giovanni Michelucci, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, 1993 _AA.VV. Arezzo fra passato e futuro, Un’identità nelle trasformazioni urbane, Atti del Convegno-Arezzo, Biblioteca Città di Arezzo-Sala Grande 29-30 Gennaio 1993, La Piramide (a cura di), Napoli, 1993 _AA.VV. Il Museo Archeologico Nazionale G.C. Mecenate in Arezzo, Guglielmo Maetzke(a cura di), Cassa di Risparmio di Firenze, Ed. Arti Grafiche Giorgi & Gambi s.r.l., Firenze 1987 _AA.VV. Arezzo: cent’anni in foto, un secolo di storia della città e della sua gente, Immedia Editrice per Foto Club “La Chimera”, 1999 _Alfonso Acocella, L’Architettura di pietra, Alinea editrice, 2004

bibliografia

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architettura e archeologia

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_Salvatore Settis, Futuro del classico, Einaudi Editore, 2004 _Heinrich Tessenow, Osservazioni elementari sul costruire, Giorgio Grassi (a cura di), Franco Angeli, 2003 _Carlotta Tonon, L’architettura di Aires Mateus, Mondadori Electa, 2011 _Giovanni Tortelli, Roberto Frassoni, Santa Giulia Brescia, Dalle domus romane al museo della città, Electa, 2009 _Francesco Venezia, le idee e le occasioni, Electa, Milano, 2006 _Francesco Venezia, Che cos’ è l’ architettura. lezioni, conferenze, un intervento, Electa, 2013 _Peter Zumthor, Pensare Architettura, Electa, Milano 2007 _Peter Zumthor, Atmosfere, Ambienti architettonici.Le cose che ci circondano, Electa, Milano, 2007

appunti

_Attilio Brilli, Arezzo lo spirito del luogo 1800-1930, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, 1993 _Maria Rizzarelli, “ I fotogrammi di Arezzo: Pasolini e Piero della Francesca, Engramma n.109, Sett.2013 _Carlo Starnazzi, Leonardo e la Terra di Arezzo, Calosci Editore, Cortona, 2005

letture in riviste e periodici

_Guido Canali , Santa Maria della Scala a Siena, 1998-2000 , ElisabettaPieri (a cura di ),Costruire in Laterizio, Arte del costruire n.87, 2002 _David Chipperfield Architects, Ricostruzione del Neues Museum di Berlino, Germania, Adolfo F. L. Baratta (a cura di), Costruire in Laterizio, Arte del costruire n.134, 2010 _Giorgio Grassi, Architettura e Archeologia: a proposito di alcuni progetti di G.Grassi, Silvia Malcovati (a cura di), Engramma n.109, Sett.2013 _Rafael Moneo, ritorno a Mérida, Sul rapporto con l’antico nel museo di arte romana di Rafel Moneo, Alessandro Massarente (a cura di),Costruire in Laterizio, Arte del costruire n.76, 2000 _Alvaro Siza Vieira e Roberto Collovà, Piazza Alicia e Chiesa Madre a Salemi, Roberto Collovà (a cura di), Il Frammento, Firenza Architettura, 2006 _Werne Tscholl, Tra pietra e acciaio, Michelangelo Pivetta (a cura di), La soglia, Firenze Architettura, 2012, pp.46-55

_Basho Matsuo, elogio della quiete, Mondadori, 2001 _H.Focillon, Vita delle Forme,Elogio della mano,2002 _Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Boncompagni, 2009

_Pierpaolo Pasolini, Pasolini e la forma della città, 1974 _Pierpaolo Pasolini, Accattone, 1961

altre letture

visioni

ad esempio

joão luís carrilho da graça, castello di são jorge, lisbona padiglione germania biennale archiettura , venezia guido canali, Santa Maria della Scala a Siena, comoco arquitectos, castello di castelo novo, fundao tortelli frassoni, museo archeologico, cremoa gonçalo byrne, castelo de trancoso trancoso, portugal fabio fornasari, allestimento delle terme di caracalla, roma nieto y sobejano, museo archeologico, madinat al-zahra nieto y sonejano, estensione museo castillo de la luz , las palmas de gran canaria francesco venezia, allestimento della mostra “gli etruschi”,venezia map studio, progetto di recupero della torre di porta nuova, arsenale di venezia emanuele fidone, basilica paleocristina di san pietro, siracusa werner tscholl, castel firmiano, bolzano markus scherer, walter dietl, forte di fortezza, bolzano

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referenze, documentazioni ed illustrazioni Archivio di Stato Provincia di Arezzo, Ufficio cartografico Comune di Arezzo, Archivio storico, Ufficio Centro Storico http://maps.comune.arezzo.it/

Museo Archeologico Nazionale G.C.Mecenate Soprintendenza BAP SAE di Arezzo Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana Biblioteca Città di Arezzo IISS Vittorio Fossombroni, Arezzo Foto Club la Chimera, http://www.fotoantiquaria.it/ “ Arezzo:cent’anni in foto, un secolo di storia della città e della sua gente “

Brigata Aretina Amici dei Monumenti Immagini storiche di Arezzo,

https://www.facebook.com/ImmaginiStoricheDiArezzo?ref=ts&fref=ts

S.Crestini,Arezzo 1931, La rinascita del Saracino, Ed.Giorgio Vasari,2013 Archivio Famiglia Scortecci Filippo Gabutti fotografo

riferimenti normativi e regolamenti

generali _Regolamento Urbanistico Arezzo, Norme Tecniche di Attuazione, Centro Storico __D.M. 14 gennaio 2008, Nuove norme tecniche per le costruzioni _Codice dei beni culturali e del paesaggio 22 gennaio 2004, ex “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ambientali”, ex Legge 1089 del 1939 “Tutela delle cose di interesse artistico o storico” accessibiltà,eliminazione barriere architettoniche _D.M. 236 del 14 giugno 1989, “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche.” | Legge 13/89 _ D. Lgs. n.112/98 art. 150 comma 6, Atto di indirizzo sui criteri tecnicoscientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei,MIBAC _linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale, MIBAC edifici storici prevenzione normativa antincendio _D.M. 16 febbraio 2007, Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione. _D.M. 9 marzo 2007, Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. _D.M. n.569 del 20 maggio 1992, Norme di sicurezza antincendio per gli edifici storici a artistici destinati a musei, gallerie, esposizioni e mostre 157


ringraziamenti

Franco Paturzo, in memoria Don Natale Luciano Gabrielli Prof. Claudio Santori Brigata Aretina Amici dei Monumenti

Geom.Claudio Burioni Comando Provinciale Vigili del Fuoco Arezzo

Sig.ra Carla Geom.Roberto Carnesciali Museo Archeologico G.C.Mecenate

Arch.Giuseppe Cencini IISS Vittorio Fossombroni Arezzo

Fornaciari Giovanni Provincia di Arezzo

Arch.Antonio Persechino Comune di Arezzo

Arch.Rossella Sileno Soprintendenza BAP SAE

Arch.Alessandro Bovi Arch.Roberto Severi Stenio e Laura Polci Massimo e Angela

Prof.Andrea Innocenzo Volpe Arch. Salvatore Zocco Dott.ssa Silvia Vilucchi

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a me per la costanza a te per i baci ai nipoti per la spensieratezza alle sorelle per la maturità ai genitori per l’ordine agli amici per il disordine

a Francesco, Antonio, Filippo, Claudio e Alessio per la compagnia in Santa Verdiana a Filippo per l’ospitalità e l’amicizia di questi anni in ricordo di Giorgio Aliciati, Gianni Aliciati, Neda Pichi Pietro Polci, Gina Castigli francesco 159


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english text

Arezzo and its archaeological legacy, a matter of understanding and designing The project proposal is articulated through the design of the new entrance to the Museum “Gaio Cilnio Mecenate� and the requalification to archaeological park of the Roman Amphitheatre in Arezzo. The strategic location of the city in the economic, commercial and defense together with the known fertility of these lands were the main causes of its foundation. The Etruscan and Roman city of origin is visible in the graphs and in arrays of tissue that have been preserved over the centuries by the overlapping of the elements. The Amphitheater of the Augustan era, from the early excavations occurred in a serious situation of conservation; in the fourteenth century part of the remains were given to the foundation Monastery, Archaeological Museum today.The complex is located south of the city in a green area enclosed at the center of a densely built block . The project develops a new design of the park, a continuity between the town and share the arena, an archeological walk, a rational distribution of the rooms of the museum displays for the collections, design of cafe and bookshop, and a new architecture that contains the main entrance to the museum. The analysis of the past has pushed the project to the status of synthesis with the ruins; the architectural principle is that of a mimesis explanatory, but in fact allows us to express feelings that those ruins can give. In doing so the old becomes the new intervention.The archaeological highlights real critical situations; adaptation to safety standards and the removal of architectural barriers have the opportunity to propose an architecture of both functional and formal quality. The proposal is to make the park, the amphitheater and the Museo easily accessible to the public, allowing the city to reclaim this place not only as an image evocative of the past, but with daily use, a necessary condition because the architecture can be fixed scene of human life.

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workshop

pubblicazioni

riconoscimenti

lectures

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16-18 Giugno 2014 Architecture, archaelogy and contemporary city planning International Scholars Workshop, (scientific activity) Dipartimento di Architettura, Palazzo Vegni,Firenze con il contributo “Arezzo and its archaeological legacy, a matter of understanding and designing – F. Polci, F. Pecorai, A. Volpe”

Monumentum, i giovani architetti ridisegnano l’archeologico di Saverio Crestini La Nazione di Arezzo del 10.09.2014, sezione Cultura, pag.21 Per la riqualificazione dell’anfiteatro e del museo archeologico di Arezzo Proposte “Notizie di Storia”n. 33 - giugno 2015 - anno XVII periodico semestrale della Società Storica Aretina Arezzo and its archaeological legacy, a matter of understanding and designing, F. Polci, F. Pecorai, A. Volpe, 2014 in “Architecture, archaeology and contemporary city planning Abstract collection of the workshop” a cura Di Giorgio Verdiani, Per Cornell, Lulu.com 2014 ISBN 9781291912432, p.32

Architettura e Natura 2014, II Premio Simonetta Bastelli a cura di rancesco Ippolito, Palombi Editore

Menzione d’Onore Premio di Cultura “Aurelio Marcantoni” VII edizione 2014, Società Storica Aretina Menzione Speciale Premio Gubbio 2015 Associazione Nazionale Centri Storici-Artistici

30 Ottobre 2014 Monumentum Rotary Club Arezzo Est, Arezzo

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regesto|tavole di progetto

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la città | arretium vetus, immagine e identità urbana 0_inquadramento, il territorio, la cttà 1_Arezzo 2_la città etrusco romana 3_la stratificazione della città dall’Alto Medioevo ad oggi 4_la città, i musei, i siti archeologici le emergenze, le occasioni | l’Anfiteatro romano, il Museo Archeologico 5_l’Anfiteatro romano 6_il Museo Archeologico G.C.Mecenate 7_criticità dell’area archeologica

progetto

8_le torri, vista della città il parco dell’Anfiteatro romano 9_parco archeologico, planivolumetria, sezioni ambientali 10_parco archeologico, schema 11_passeggiata nel parco dell’Anfiteatro romano. veduta la passeggiata archeologica 12_passeggiata archeologica, pianta, sezioni, scala 1:250 13_interno della scala ricostruita. veduta 14_sezione ricostruita, scala 1:50 15_cella Opus, scala 1:50 16_collezione lapidea, scala 1:50 17_ambulacro, scala 1:50 il complesso museale 18_nuovo ingresso al Museo. veduta sulla torre 19_percorso museale 20_caffetteria, bookshop,pianta , scala 1:50 21_caffetteria, bookshop,sezioni, scala 1:50 22_sala del Monastero, pianta, scala1:50 23_sala del Monastero, sezioni, scala1:50 24_sala della Terra Sigillata. veduta 25_sala della Terra Sigillata, pianta, scala 1:50 26_sala della Terra Sigillata, sezioni, scala 1:50 27_schedatura collezione 28_nuovo ingresso al Museo, schema 29_ atrio Museo. veduta 30_nuovo ingresso al Museo, piante, scala 1:100 31_nuovo ingresso al Museo, profili, scala 1:100 32_nuovo ingresso al Museo, profili, scala 1:100 33_nuovo ingresso al Museo, profili, scala 1:100 34_mirador. veduta sulla città


La città | arretium vetus, immagine e identità urbana

0

le emergenze, le occasioni | l’Anfiteatro romano, il Museo Archeologico G. C.Mecenate

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il complesso museale

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il chiostro. la caffetteria, il bookshoop

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Progetto | il parco dell’Anfiteatro romano

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la sala del Monastero

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la passeggiata archeologica

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la sala della Terra Sigillata

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il nuovo ingresso

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UniversitĂ degli Studi di Firenze

Scuola di Architettura


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