Katherine Pancol - Intervista su La Gazzetta del Sud - 30 settembre 2014

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Gazzetta del Sud Martedì 30 Settembre 2014 .

Cultura e Spettacoli

«La donna è il negro del mondo» Yoko Ono

La rassegna di Roma

Non chiamatelo festival, adesso è una vera festa Molti cambiamenti per la nona edizione (16-25 ottobre) Francesco Gallo ROMA

Katherine Pancol. L’autrice francese, nata in Marocco, diventata un caso letterario con la sua prima trilogia torna con altri tre romanzi collegati tra loro

Nostra intervista con la francese (di Casablanca) Katherine Pancol

«Volevo aiutare una donna picchiata L’ho fatto scrivendo questo libro» Una testimonianza in nome delle vittime di abusi e soprusi che non escono dal silenzio Francesco Musolino

«I

o non potevo intervenire, l’unica cosa che potevo fare era scriverne. Sono una scrittrice, è questa la mia forza». Così Katherine Pancol, scrittrice francese nata in Marocco, racconta la sua reazione, umana e comprensibilmente terrorizzata, davanti alla scena di violenza contro una madre incinta che per anni le ronzò nella mente prima di dar vita al suo nuovo libro, “Muchachas” (Bompiani, pp. 340, euro 10). In realtà si tratta del primo capitolo di una trilogia, (da domani sarà in libreria anche il secondo volume, pp. 320, euro 17), protagoniste principali tre giovani donne assai diverse – Hortense, Josephine e Stella – rimbalzando fra Parigi, Londra, New York e Miami, fra il mondo dell’alta moda e quello delle acciaierie della Borgogna, tessendo una rete di intrecci che finirà per legare i loro destini così apparentemente distanti. Al centro del primo volume – che, con un abile gioco di prestigio, comincia con la leggerezza della voce di Hortense Cortés – c’è la storia crudele di Léonie e del marito/carnefice Ray che la tiene in scacco e ne fa la preda delle sue vessazioni violente e mortificanti. Stella, giovane madre e figlia di Léonie, lotterà per tutto il primo volume per salvarla dalle continue percosse ma le sorprese sono dietro l’angolo. E se oggi il femminicidio è protagonista di numerosi li-

bri, il merito della Pancol – già autrice best-seller con la trilogia “Gli occhi gialli dei coccodrilli”, “Il valzer lento delle tartarughe” e “Gli scoiattoli di Central Park sibi tristi il lunedì” – è quello d’aver saputo ricreare, con una prosa sempre fluida, il clima di tensione della vita di provincia parigina, in cui tutto sanno cosa avviene in camera da letto, ma con il perenne timore di farsi avanti. Del resto, il primo ad essersi accorto del talento di questa autrice nata a Casablanca nel 1954, fu un certo Romain Gary… Madame Pancol, alla fine del libro lei racconta cosa la spinse a scrivere “Muchachas”. «Ero in un caffè a Nizza, durante l’estate di un paio d’anni fa, quando vidi un uomo sedersi con una donna incinta e due bambini al seguito. Lui rimproverava duramente la donna, finché la schiaffeggiò con forza, più volte. La raggiunsi in bagno, volevo offrirle aiuto, ma lui ci raggiunse, mi disse di andarmene altrimenti l’avrebbe picchiata ancora proprio lì. Ma ciò che mi colpì fu lo sguardo di quella donna. Mi supplicava di andare via, come se pensasse di meritare quella punizione, la crudeltà del proprio uomo. Io non potevo intervenire, l’unica

Ho avuto paura a entrare nella mente del mio personaggio e raccontare una scena davvero terribile

cosa che potevo fare era scriverne. Sono una scrittrice, è proprio questa la mia forza». Muchachas è un libro catartico? «Non direi, piuttosto lo considero un libro testimonianza. In Francia ogni due giorni una donna muore per le percosse subite in ambito domestico. Questo libro è stato scritto per parlare proprio di queste donne, vittime di abusi e soprusi nel silenzio, persino vergognandosi di se stesse». Ma in Francia come state combattendo la violenza contro le donne? «È un problema molto serio, ma da un paio d’anni le cose stanno cambiando. Prima davanti ad una denuncia la polizia invitava semplicemente le donne a lasciare il proprio partner, mentre oggi c’è più coscienza e assistenza alle vittime ed è stata attivata anche una rete di assistenti sociali». Raccontando il rapporto fra Ray e Léonie, lei è riuscita ad entrare nella logica carnefice/vittima: è stato arduo per lei? «Molto, molto difficile. Dovevo entrare nella testa di entrambi, di Ray e Léonie, svelando come avviene la scoperta della violenza contro di lei e cosa induce lui a continuare. In realtà proprio il fatto che Léonie non si ribelli lo spinge a colpirla ancora, ad essere sempre più violento, mentre lei masochista». La scena della prima notte di nozze, dentro la doccia, è molto forte… «Ho avuto paura scrivendola. Sa perché? Perché entrando nella mente di Ray ho narrato una scena davve-

ro terribile ma riuscendo a raccontarla senza distogliere lo sguardo, mi sono resa conto che da qualche parte, dentro me stessa, c’era traccia di questa stessa violenza». Perché una trilogia?

Il romanzo

Trilogia atto primo

Katherine Pancol Muchachas BOMPIANI PP. 340 EURO 10

Primo capitolo di una trilogia (il secondo sarà in libreria già domani), ha avuto un boom di vendite in Francia, dove è uscito a febbraio. Le protagoniste dei quattro macro-capitoli sono tre donne, Hortense, Josephine e Stella, ciascuna immersa nel suo quotidiano, per qualcuna sereno, per qualcuna drammatico. Ma finiranno per incrociarsi.

«Non era prevista. Credevo che avrei raccontato la storia di Ray, Léonie e Stella. Ma un giorno, passeggiando a New York, sentii una vocina all’orecchio che diceva: “quant’è brutta la gente, non mi stupisco d’avere tanto successo”. Mi sono messa a ridere e subito dopo ho immaginato che tipo di donna poteva averla detta. Così è nata Horthense Cortès, un personaggio che mi piace molto, capace di dar leggerezza a tutto il libro con la propria presenza». Spesso nei suoi romanzi le donne sono migliori degli uomini. Come mai? «Forse è così, ma anche in questo libro ci sono uomini gentili e sensibili, attenti alle donne e allo stesso tempo non tutti personaggi femminili sono positivi. Senza dubbio nel mondo odierno le donne sono più coraggiose e più libere degli uomini che spesso sono preda di vecchi schemi mentali. Ma le cose stanno cambiando, del resto i 25/30enni d’oggi hanno molti valori un tempo esclusivamente affini al mondo delle donne». Romain Gary fu il primo a leggere quello che sarebbe stato il suo libro d’esordio, “Moi d’Abord”, cambiandole la vita… «Eravamo amici, viaggiammo molto insieme, anche in Italia. Io avevo vent’anni, lui cinquantanove, fu il mio mentore. Gli consegnai il mio primo manoscritto colma di fiducia e per tutta risposta mi disse, “è un libro con le palle, complimenti”. Rimasi interdetta ma fece centro e il libro vendette diecimila copie».3

«Abbiamo abbandonato l’idea del Festival e ora si sterza sulla festa per volontà dei soci fondatori e del Mibact»: così il direttore artistico del Festival di Roma, Marco Müller, ha spiegato, con il giusto distacco, il ritorno della nona edizione del Festival di Roma (16-25 ottobre) alla sua antica vocazione di festa. E lo ha fatto per un’edizione davvero popolare, nel segno della commedia e che si apre alla totale abolizione della giuria internazionale per fare spazio al giudizio del solo pubblico che comporrà le cinque giurie distinte per le sezioni del Festival. Che questa sia la vera anima dei festival futuro, nessuno lo sa davvero, ma Müller sposa questa filosofia dopo essere stato introdotto da ben due assessori: Lidia Ravera, per la Regione e Giovanna Marinelli, per il Comune. La prima ha spiegato come non ci siano «più distinzioni tra film e documentari e che non ha più senso tenere ormai separati cinema e tv» (forse evocando la fusione spesso annunciata del Festival di Roma con il RomaFictionFest), mentre la Marinelli ha parlato di un’edizione di «passaggio in cui torna l’idea della Festa». Tra le tante cose emerse durante la conferenza stampa, il budget complessivo del Festival che si riduce a 6 milioni, ripartiti esattamente al 50% tra fondazione Cinema per Roma e sponsor (nove anni fa si parlava di 17 milioni di euro). Comunque per Müller, all’ultimo anno di mandato, l’idea stessa del festival è di fatto cambiata: «È invecchiata, e bisogna sperimentare nuove strade». Glissa sulla sua riconferma: «Dipenderà da quello che succederà con questa edizione». Dell’anima popolare di questo festival, pieno di cinema sudamericano, sono molti gli esempi. Intanto, il premio alla carriera a Tomas Milian (di cui non è stato fatto alcun cenno in conferenza stampa), e poi “Soap Opera” di Alessandro Genovesi e “Andiamo a quel paese” di Ficarra e Picone, due commedie doc che avranno l’onore di aprire e chiudere la manifestazione. E questo in un festival che si annuncia popolato, assieme ad alcune star internazionali (per lo più maschi), come Richard Gere, Kevin Costner, Clive Owen e Wim

Wenders, da volti nostrani come Fabio De Luigi, Cristiana Capotondi, Diego Abatantuono, Ricky Memphis, Ale e Franz, Chiara Francini, Ficarra e Picone, Fatima Trotta, Nino Frassica. Ed è nel segno del pop anche la musica di questa edizione in cui ci saranno gli Spandau Ballet, i cinque componenti del mitico gruppo anni 80, per accompagnare la proiezione del film di George Hencken che racconta la loro storia. Sul fronte festival classic, troviamo a Cinema d’oggi “12 Citizens” del cinese Xu Ang; “We are young, we are strong” di Burhan Qurbani, regista tedesco di origini afgane; “Lucifer” del fiammingo Gust van Den Berghe e il thriller “The lies of victors” di Christoph Hochausler. Ci sarà poi la celebra-

In scadenza. Il direttore artistico Marco Müller

Abolita la giuria internazionale per far spazio nelle cinque sezioni solo al pubblico zione alla carriera di Takashi Miike e la presentazione del suo prossimo “As the Gods Will”. Per le master class attesi anche Asia Argento; il regista cult Park Chan-Wook e Walter Salles. Non mancherà per la tv, che crea invidie allo stesso cinema, “The Knick” di Steven Soderbergh, serie televisiva che si annuncia già cult. Infine, alla presentazione del Festival, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, la protesta da parte di un gruppo numeroso di sostenitori di Franco Califano che nel segno di «Tutto il resto è noia» ha contestato l’esclusione dalle selezioni del Festival del film di Stefano Calvagna dedicato al cantautore romano “Non escludo il ritorno”. 3

Agli Oscar

La Russia candida un film... censurato MOSCA

Paradossi della Russia di Putin: il Paese ha candidato all’Oscar come miglior film straniero “Leviathan” del regista Andrei Zviagintsev, premiato anche per la miglior sceneggiatura all’ultimo festival di Cannes, ma che è stato proibito in patria per il linguaggio osceno, vietato da una recente legge nelle opere teatrali e cinematografiche, nonché nei concerti. La decisione è stata

presa a maggioranza dal comitato russo per gli Oscar. La pellicola ha ottenuto il permesso di essere proiettata solo dopo il riconoscimento di Cannes, ma in poche sale, e con la prescrizione di «purgare« le parti scurrili. Quando uscirà in tutto il Paese, nei prossimi mesi, il film sarà visto dai russi in una versione rilavorata, quindi non originale. L’opera denuncia il ruolo corrotto e arrogante di uno Stato onnipotente nella Russia di oggi. 3


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