UN DIRITTO, UNA STORIA

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Ehi! Mi ascoltate? Martina era proprio una chiacchierona. Da quando aveva imparato a parlare, sembrava non avesse mai smesso: esclamava ad alta voce, borbottava da sola ma, soprattutto, faceva domande. Domande a tutti e su ogni cosa. Sì, perché Martina, oltre a essere chiacchierona, era anche una gran curiosona. - Papà perché il sole e la luna non s’incontrano mai? - Come fanno quelli del polo sud a vivere a testa in giù? - Perché abbiamo due orecchie e una bocca sola?

I suoi familiari, che pure le volevano molto bene, erano disperati: il papà si nascondeva dietro al giornale per far finta di non sentire, la mamma diceva di avere il mal di testa. Il fratello maggiore, Sandro, pensò che per Natale sarebbe stato il caso di regalarle un’enciclopedia dove avrebbe potuto cercare da sola le sue risposte. Quando poi la TV era accesa, e succedeva tutte le sere, parlare le era proprio proibito. - Ma non vedi che sto guardando il telegiornale? - In questa casa non ci si può rilassare neanche la sera con un filmetto! - le gridavano dietro; e Martina restava con le sue domande. Anche le maestre che si alternavano nella sua classe non stavano tanto a sentirla e facevano di tutto per abituarla a star zitta. ‘Il silenzio è d’oro ’ avevano scritto a grandi lettere sopra la cattedra. Martina non capiva cosa ci fosse di tanto prezioso nel silenzio. - Se fossimo pesci … - pensava guardando con curiosità il suo pesciolino rosso che dalla boccia di vetro sul ripiano della cucina sembrava ascoltare tutti i suoi discorsi. - Ma, forse, anche gli abitanti del mare comunicano fra di loro- pensava. E continuava con le sue domande che, col tempo, diventavano sempre più difficili. -Perché i grandi dicono che non dobbiamo mai litigare e poi fanno la guerra fra loro? La mamma sospirava: anche volendo, a certe domande non sapeva proprio rispondere.

Un giorno in cui Martina era più insistente del solito, dopo i soliti brontolamenti del papà, i “non farmi perder tempo” della mamma, l’urlo spazientito del fratello “va’ a parlare col tuo pesce e lasciami in pace”, Martina piangendo si avvicinò al suo pesciolino rosso. -Solo tu mi ascolti - disse singhiozzando- non puoi rispondermi, ma so che lo vorresti. Il pesciolino si avvicinò all’orlo del vaso e cominciò a muovere la bocca facendo i suoi O O e fissando Martina con i suoi occhietti. La bambina affascinata lo guardava e, prima quasi per gioco, poi sempre più seriamente, cominciò a fare anche lei O O: sembrava si capissero, anzi, non so come, si capivano davvero. Passavano le ore e i familiari di Martina cominciarono a preoccuparsi per il silenzio che regnava in casa. -Dai, Martina, adesso possiamo risponderti-diceva la mamma- cosa mi volevi chiedere? Ma la bambina continuava a fare i suoi O O senza emettere suono. -Basta, adesso il gioco è finito! -aggiungeva il papà. Sandro rideva a crepapelle: - Guardatela, è proprio diventata un pesce!- E giù una bella risata. Andarono tutti a dormire 1


pensando che il giorno dopo avrebbero trovato e sentito la Martina di sempre. Ma niente: la bambina era come ammutolita, e passava lunghe ore davanti al suo pesciolino che pareva la capisse e le rispondesse. Furono sentiti medici, maestri e psicologi: provarono con le minacce e con le promesse, con i baci e con gli sculaccioni. Niente da fare: era sempre lì con i suoi O O e sembrava in preda a un sortilegio.

Il più dispiaciuto era proprio suo fratello che si arrovellava pensando che l’idea di parlare col pesce gliela aveva suggerita proprio lui. -Sono stato io a metterla in questo pasticcio- pensava- devo trovare il modo di farla uscire. Pensa e ripensa gli venne un’idea: se il pesce vuole proprio comunicare con qualcuno, forse la compagnia di un altro pesciolino lo farebbe felice e... lascerebbe in pace Martina. Detto fatto, senza farsi scorgere da nessuno, prese i suoi risparmi e corse a comprare un altro pesciolino rosso, poi, sempre controllando che nessuno di casa lo vedesse, andò in cucina per sistemare il nuovo ospite. Dovette aspettare un bel pezzo prima che Martina lasciasse la sua solita postazione davanti alla boccia. A quel punto Sandro agì e i due pesciolini si trovarono insieme; si guardarono un attimo negli occhi, poi cominciarono a far salti, capriole, a moltiplicare gli O O; per il gran movimento che si era scatenato dentro la boccia, quasi quasi l’acqua schizzava fuori. Sandro era soddisfatto e pieno di curiosità: -Cosa succederà adesso con mia sorella? - pensava. Quando Martina si avvicinò al suo pesce, Sandro la spiava dalla porta socchiusa: vide prima la meraviglia sul suo viso, poi il tentativo di un O, ma di uno solo perché aveva capito che i pesciolini non la guardavano e comunicavano fra di loro. La magia si era interrotta. - Sandro - gridò- vieni a vedere: abbiamo due pesci! Ma perché i pesci quando parlano non fanno rumore? -Perché … - provò a rispondere Sandro. Arrivarono la mamma e il papà fuori di sé per la gioia di sentirla ancora parlare e tutti insieme volevano darle una risposta. Ci furono una gran confusione e grandi risate, ma alla fine tutti furono d’accordo che parlare è una bella cosa e che tutti devono essere ascoltati, anche se sono tanto, tanto chiacchieroni.

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Il bambino senza nome Era piccolino, con due occhi vivaci e un paio di gambe velocissime e scattanti da centravanti della nazionale, un ciuffo di capelli un po’ ribelli e due belle guance colorite; insomma non gli mancava niente per essere come tutti gli altri bambini, niente… tranne una cosa: gli mancava un nome. I suoi genitori, forse per la fretta di scappar via dalla guerra, o forse perché erano un po’ distratti, si erano dimenticati di darglielo quando lo avevano lasciato dai nonni. Lì era cresciuto bene e aveva trovato tanti amici, ma ora, man mano che diventava più grande, la mancanza del nome gli pesava sempre di più. Quando lo chiamavano tutti ricorrevano al solito “ps... ps” oppure a “ehi, tu!”; e ogni volta che qualche sconosciuto gli si avvicinava e chiedeva: -Bel bambino, come ti chiami? – lui alzava le spalle e poi scappava via lasciando l’interlocutore un po’ arrabbiato che brontolava: -Sempre più maleducati i bambini di oggi!

Quando ebbe sei anni e cominciò a frequentare la scuola le cose si complicarono: nel registro della maestra al posto del suo nome c’era una riga bianca e sulla sua cartella qualcuno aveva segnato un bel punto interrogativo. Ogni mattino, il momento peggiore era quello dell’appello: Giovanni, Maria, Enrico, Edoardo … - chiamava la maestra e alla fine lo guardava, tossicchiava un po’ e aggiungeva: - Ci sei anche tu. Cominciò a pensare sempre più spesso ai nomi: gli sembravano dolci come una musica. Perfino Odoacre gli piaceva; gli sembravano come stampati in faccia ai suoi compagni: non poteva dire Enrico senza immaginare lui, il suo amico e non appena lo vedeva era come se gli leggesse in viso il suo nome -Insomma —

pensava- i nomi e i bambini che li hanno sono quasi la stessa cosa. - E io, chi sono?- si chiedeva la sera guardandosi allo specchio della sua camera e disperandosi per non poter rispondere. Cominciò a far finta di non udire più i “ps... ps”, a tapparsi le orecchie quando sentiva “ehi, tu” oppure “bel bambino” e a non voler più giocare con gli altri. I compagni si accorsero del cambiamento e se ne accorsero anche le maestre: - Dobbiamo aiutarlo, bambini, è molto importante per lui avere un nome: tutti i bambini hanno diritto a un nome. Luigi pensò di regalargli il suo: Gli piace tanto disse e per non confonderci potremo chiamarci Luigi I e Luigi 2 come i re di Francia. Ma l’interessato scosse la testa: Certo che è un bel nome, ma non è il mio nome. Pensarono anche di regalargli un calendario, di quelli con tanti nomi di santi, uno per ogni giorno; ma più nomi vedeva, più gli veniva la voglia di averne uno, proprio suo, che gli stesse appiccicato addosso —

come ai suoi compagni.

Una sera il papà di Enrico, stanco di sentire sempre la stessa storia disse: - Qui bisognerebbe sentire il sindaco; solo lui potrebbe sistemare la cosa assegnandogli un nome nel registro dell’anagrafe del Comune. Detto fatto: una delegazione di bambini, papà e mamme andarono a spiegare il problema al sindaco e insieme stabilirono di fare una sorpresa al bambino nel giorno del suo compleanno, E arrivò il giorno fatidico. La nonna aveva preparato la torta e, come ogni anno, invitato maestre e compagni. Suonò il campanello; il nonno andò ad aprire e per poco non gli venne un colpo vedendo 3


entrare il sindaco con la fascia tricolore, quella che indossava nei momenti importanti e ufficiali: aveva in mano anche un grosso registro. - Sono venuto a portare un regalo e insieme a fare il mio dovere di sindaco - disse - voglio dare un nome a un bambino che non ce l’ha, perché tutti, ma proprio tutti, hanno il diritto di averlo. Lo scriveremo qui, su questo registro del Comune. -Che nome?- chiese Luigi mentre tutti guardavano il festeggiato che per la sorpresa, l’emozione e la gioia cambiava colore: prima bianco poi rosso, poi ancora bianco e infine rosso acceso come un pomodoro maturo. Anche la nonna, che non si aspettava niente di tutto questo, stava lì incantata e guardava il suo nipotino con gli occhi lucidi: - Dio, come è felice- diceva- non l’ho mai visto così. - Felice- disse la maestra- è proprio il nome che più gli starebbe bene. - Felice, Felice - gridavano tutti i compagni, mentre il sindaco, tirata fuori la penna cominciava a scrivere. Tutti applaudirono e poi si buttarono sulla torta che era proprio squisita. “Buon compleanno, Felice, tanti auguri a te”. Mentre tutti mangiavano il bambino scappò silenziosamente in camera sua, voleva essere sicuro di avere finalmente un nome: si guardò allo specchio e vide quel nome proprio stampato sul suo viso come quello dei suoi compagni. - Sono proprio Felice - gridò e con due capriole tornò in cucina a mangiare la sua porzione di torta.

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