Digitalic n.10 - Donne Brillanti

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Latouche, sostiene che si tratti innanzitutto di uno slogan, per indicare la necessità e l’urgenza di un cambio di paradigma. Il sospetto è che molti di coloro che parlano di Latouche non abbiano letto i suoi libri, o per lo meno non interamente. In ogni caso lo stesso autore ha sentito il bisogno di calibrare meglio i termini, tanto che il suo ultimo lavoro si intitola Per un’abbondanza frugale, una formula molto più bon ton che si spera non spaventi nessuno. L’abbondanza frugale sarebbe «un orizzonte di senso per una fuoriuscita dalla società dei consumi, ma anche un obiettivo politico a breve termine da opporre alle pseudoterapie neoliberali o keynesiane nella situazione attuale di depressione repressiva».

LA DECRESCITA NON E’ ANCORA UN MODELLO, UNA TEORIA O UN CREDO PRONTO PER L’USO. IN PARTE PERCHE’ SI TRATTA DI UN’IDEA CHE E’ NATA “CONTRO” QUALCOSA: CONTRO IL MODELLO ECONOMICO COSIDDETTO PREVALENTE, CONTRO LA FINANZA SPECULATIVA ADDITATA COME RESPONSABILE DELLA CRISI.

Non è detto che Latouche abbia ragione. Ma a chi continua a essere spaventato bisognerebbe ricordare che di fatto siamo in piena decrescita o, anche peggio, siamo in una fase di recessione, di crisi profonda. E non lo abbiamo scelto. Una svolta appare lontana. E in ogni caso ci stiamo accontentando di rimedi che forse consentiranno al nostro Pil di crescere di qualche misero decimo di punto percentuale, in ogni caso insufficiente a riportarci ai “tempi d’oro del Pil”: per raggiungere i livelli precedenti al 2008 potrebbero volerci decenni. Probabilmente Latouche sbaglia quando ricorda che se tutti consumassimo come gli abitanti del Burkina Faso potremmo crescere fino ad arrivare a 23 miliardi di persone, perché l’esempio non funziona, anzi. Però degli attuali 7 miliardi di abitanti della Terra un miliardo è ipernutrito e a rischio di obesità (con tutti gli annessi: cancro, diabete, problemi di cuore e costi sanitari collegati) e un miliardo soffre la fame. E nel 2050 un pianeta che non diventerà più grande e forse nemmeno più fertile dovrà nutrire 9 miliardi di essere umani. Tutti affamati. Forse allora è arrivato il momento di fare una riflessione sulla decrescita, se non altro sul fatto che occorre abbandonare vecchie illusioni e fare scelte diverse. La domanda non è (ancora) se essere sia meglio che avere. Ma se avere, o meglio, consumare, per dimostrare di essere sia la scelta giusta.

RISORSE

contrari, anche se non si sa bene a cosa. Forse perché ci fa sentire più poveri, o meno potenti, o perché ci dà la sensazione di dover regredire, di abbandonare qualcosa che riteniamo di aver conquistato e ci spetta di dovere. Secondo Wikipedia la decrescita prevede “la riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica dei consumi, con l’obiettivo di stabilire una nuova relazione di equilibrio ecologico fra l’uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi”. A qualcuno tutto ciò provoca un terrorizzato rifiuto, a qualcun altro la visione di un modello di convivenza stile comune hippy anni Settanta. Potrebbero sbagliarsi gli uni e gli altri. Il principale e più noto teorico della decrescita, Serge

Bancomat riciclato Uno sportello bancomat eco-compatibile, costruito con bottiglie di plastica riciclata con un tetto giardino dotato di modulo fotovoltaico e un sistema di recupero delle acque; luci led per la sera e un camino solare che garantisce illuminazione naturale di giorno. L’idea è della brasiliana Equipamentos Edra. Il modello base può essere accessoriato con optional ecologici: cestini di fibre naturali e diffusori di profumi naturali. La produzione su larga scala dovrebbe iniziare presto, se le banche accetteranno di pagare un prezzo superiore del 20-30% rispetto agli sportelli tradizionali.

Best Global Green Brands Toyota si aggiudica per il secondo anno consecutivo il primo posto nella classifica Best Global Green Brands, realizzata dall’inglese Interbrand e che valuta i 50 marchi più ecologici al mondo. Medaglia d’argento per Johnson & Johnson e terzo posto per Honda. Nell’edizione 2011, invece, il secondo e il terzo posto erano, rispettivamente, di 3M – che quest’anno scende al dodicesimo posto – e Siemens (che ora si piazza all’ottavo). Nessun marchio italiano è presente nella classifica dominata dal settore automotive con ben otto marchi. Oltre a Toyota e Honda ottengono un piazzamento Wolkswagen (4°), Bmw (10°), Ford (15°), MercedesBenz (16°), Hyundai (17°) e Nissan (21°). Nissan, H&M e Ubs sono le new entry dell’edizione 2012.

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