Delitti da punire

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inchiesta

1994

Legambiente chiede d’introdurre i reati ambientali nel Codice penale in occasione della presentazione del primo "Rapporto Ecomafia" curato da Enrico Fontana.

1999

Il ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, e quello della Giustizia, Oliviero Diliberto, presentano un Ddl per inserire nel Codice penale i delitti contro l’ambiente.

2001

L'articolo 53 della legge n. 93 (Disposizioni in campo ambientale) stabilisce la pena di reclusione da uno a sei anni per traffico di rifiuti. Ermete Realacci presenta un disegno di legge in materia. Lo ripeterà nel 2006, 2008 e 2013. Lo faranno anche i senatori Roberto Della Seta (2008) e Francesco Ferrante (2006 e 2008).

2007

I ministri dell’Ambiente, Pecoraro Scanio, e della Giustizia, Clemente Mastella, presentano un Ddl.

da punire

Pene più severe e prescrizioni più lunghe per chi compie reati contro l’ambiente. Il Codice penale si aggiorna. Viaggio in Calabria, fra gli epicentri dell’ecocidio di Francesco Loiacono

L

e pene per chi commette reati contro l’ambiente in Italia s’inaspriscono. Accendere roghi di rifiuti ad esempio, come prevede il decreto sulla “Terra dei fuochi” approvato nel dicembre scorso, comporta fra due e cinque anni di reclusione. Ma questo non è l’unico giro di vite nella legislazione italiana contro chi offende gli ecosistemi e la salute pubblica. Presto infatti nel Codice penale saranno inseriti anche i delitti d’inquinamento e disastro

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ambientale. Le pene previste sono rispettivamente la reclusione da uno a cinque anni (con multa fino a 100.000 euro) e da quattro a venti anni. Una riforma epocale, fortemente invocata da Legambiente, la cui discussione è iniziata durante le scorse settimane alla Camera sulla base del testo approvato a fine 2013 dalla commissione Giustizia di Montecitorio, unificando le proposte di legge avanzate da Ermete Realacci (Pd), Salvatore Micillo (M5S) e Serena Pellegrino (Sel).

FOTO: © Mauro Pagnano

Delitti

2013

A dicembre il governo vara il decreto Terra dei fuochi e la commissione Giustizia della Camera approva all’unanimità un disegno di legge sui delitti ambientali.

2014

Il 20 gennaio la proposta arriva in Parlamento, per l'approvazione s'ipotizzano alcune settimane.

Nel testo s’introduce anche il ravvedimento operoso, con sconti di pena per chi s’impegnerà a bonificare i luoghi inquinati, la confisca obbligatoria dei profitti legati al reato ambientale e, soprattutto, il prolungamento dei termini di prescrizione. Inquirenti e forze dell’ordine potranno insomma contrastare meglio i circa 30mila ecoreati l’anno, uno ogni quattro ore, che si consumano lungo lo Stivale. L’attuale ordinamento, infatti, vista anche la lentezza dei processi, rischia di vanificare lo sforzo di punire i colpevoli. Come sta avvenendo in Calabria, fra le regioni più martoriate dallo smaltimento illecito,

«Per l’ambiente tutela assoluta» Parla il gip Raffaele Piccirillo, che ha lavorato al disegno di legge

U

Le pene aumentano se l’associazione include pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi in materia ambientale. Sì, perché chi può contare stabilmente su una collaborazione con qualcuno preposto ai controlli o al rilascio delle autorizzazioni può portare avanti il proprio disegno illecito “con tranquillità”. Inoltre per associazione mafiosa l’aggravante sussiste anche quando è finalizzata a infiltrarsi nei settori della raccolta dei rifiuti o delle bonifiche. Manca qualcosa nel testo in approvazione? Un avverbio, “abusivamente”, che c’era nel testo preparato per la commissione. Le condotte dei due delitti principali dovrebbero

n cambiamento epocale». Così Raffaele Piccirillo, il gip che per il ministero dell’Ambiente ha presieduto una commissione propedeutica all’iter parlamentare commenta l’ingresso dei reati ambientali nel Codice penale. Perché è così importante questo provvedimento? Perché l’ambiente merita una tutela come quella che si riserva alla vita, assoluta e contro qualsiasi forma di aggressione, e questo viene riconosciuto per la prima volta. La proposta in via d’approvazione dice che un danno a una foresta, per fare un esempio, è di per sé un delitto: il danno ambientale. Il disastro ambientale si configura poi anche a prescindere dal pericolo per la pubblica incolumità, quando il danneggiamento dell’ecosistema presenta una rilevante gravità oggettiva. Non è necessario che vi sia pericolo concreto per la pubblica incolumità o per la vita. In questo consiste il principale salto di qualità rispetto alla prassi attuale nella quale, dovendo applicare un delitto contro la pubblica incolumità, il cosiddetto disastro innominato di cui all’articolo 434 del codice penale, non può configurarsi disastro per la mera aggressione, pur grave e irreparabile, all’ecosistema. Quali sono le altre novità? La pena per disastro ambientale può arrivare a venti anni, otto per il danno ambientale. E nessuno potrà sottrarsi alla pena senza aver provveduto al ripristino con la bonifica, neanche in caso di sospensione della pena. Per logica riparativa, poi, il soggetto che collabora nello scoprire complici o risorse utilizzate per reiterare il reato o che spontaneamente effettua una bonifica gode di attenuanti. Sono previste aggravanti per i reati associativi e per chi incrementa o reinveste i profitti illeciti nella green economy o nella gestione dei rifiuti. Infine gli inquirenti potranno effettuare intercettazioni non solo nei casi di traffico illecito, i tempi di prescrizione si allungano e s’introduce lo strumento della confisca per equivalente: il profitto di un reato si può confiscare anche quando non lo si trova sequestrando l’equivalente nel patrimonio di chi lo ha commesso.

FOTO: © Carlo Hermann / Controluce

LE TAPPE

Nessuno potrà sottrarsi alla pena senza provvedere alla bonifica. è una svolta epocale nel contrasto ai reati ambientali essere così costruite: "chiunque abusivamente cagiona o contribuisce a cagionare un danno ambientale/disastro ambientale è punito...". Così i due delitti si possono applicare anche quando la compromissione dell’ecosistema si realizzi con condotte diverse dalle immissioni. Per esempio attraverso costruzioni abusive o scavi propedeutici, o ancora con la coltivazione irregolare di una cava. Inoltre manca un’ipotesi di agevolazione colposa per chi consente che sul proprio suolo o impianto altri realizzino un disastro ambientale. Nonostanto questo credo che il testo segni una svolta epocale nel contrasto ai reati ambientali. (Francesco Loiacono)

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inchiesta

delitti da punire

Gomorra calabra

La regione d’altro canto, secondo il Rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente, è al primo posto per incidenza dei reati nel ciclo dei rifiuti in rapporto alla popolazione e seconda (dopo la Campania) in rapporto alla superficie. Vibo Valentia e Reggio Calabria primeggiano invece nella classifica delle province. D’altro canto centomila tonnellate di rifiuti pericolosi sono state occultate solamente in una cava d’argilla in località Lazzaro di Motta San Giovanni, a una ventina di chilometri da Reggio Calabria percorrendo la Statale 106. Qui, in un’area Sic a trecento metri dal mare e a ridosso di una zona abitata, con il consenso e la collaborazione dei proprietari della cava, sono stati interrati rifiuti provenienti dalla centrale Enel Federico II di Brindisi, dopo che questi venivano declassati a rifiuti non pericolosi con certificazioni di laboratori privati. Un affare da sei milioni di euro l’anno per il quale dieci persone sono state arrestate nel 2009. Migliaia di camion per un paio d’anni hanno viaggiato, carichi di rifiuti industriali, da

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ATERNO bruciato

Giustizia nel Sacco

dove i processi per alcuni gravi casi d’inquinamento procedono a singhiozzo.

L’avvocato Rodolfo Ambrosio, segue per Legambiente i processi in Calabria. Sotto, l’area di cava in località Lazzaro di Motta San Giovanni dove sono state smaltite 100.000 tonnelate di rifiuti speciali

La Valle del Sacco, in provincia di Frosinone, è da oltre un secolo protagonista di numerose produzioni industriali e chimiche di vario tipo. Nel 1912 è stata realizzata l’industria bellica Bomprini Parodi Delfino (Bpd), poi diventata Snia Viscosa nel 1968. Munizioni, armi chimiche e gas tossici si sono avvicendati a concimi di composti azotati, materie plastiche, saponi e detergenti, pesticidi e altri prodotti chimici per l’agricoltura, tra i quali il Ddt. All’industria chimica si sono aggiunti poi nel tempo l’Italcementi, alcuni inceneritori e alcune discariche. Le acque del Sacco sono contaminate dall’interramento di fusti tossici in prossimità del fiume. All’interno dei fusti, trovati all’inizio degli anni ’90, gli scarti della produzione industriale, principalmente ß-Hch (beta-

Brindisi a Reggio Calabria. Un traffico scoperto dalla procura di Reggio Calabria in collaborazione con il Corpo forestale dello Stato con l’operazione Leucopetra, dal nome antico del promontorio di Capo dell’Armi, famoso per la pietra bianca reggina. «Agli uomini del nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale (Nipaf, ndr) del comando provinciale del Corpo forestale dello stato di Reggio Calabria che hanno lavorato a questo caso, Legambiente ha voluto consegnare il Premio Ambiente e Legalità 2010 – ricorda Nuccio Barillà della segreteria nazionale dell’associazione – A loro va riconosciuto il merito di aver scoperto questo traffico che ha avvelenato la nostra terra». Il processo che nasce da questa operazione si avvicina alla fine del primo grado di giudizio. «Per

esaclorocicloesano), sottoprodotto della produzione del Ddt. Nel 2005 queste sostanze sono state ritrovate nel latte prodotto dagli allevamenti bovini, ed è cominciata l’emergenza con il sequestro dei terreni agricoli e gli allevamenti, per arrivare nel 2007 al processo per disastro ambientale. Su questo procedimento, però, incombe l’ombra della prescrizione prevista per il 2015. «L’introduzione dei reati ambientali nel Codice penale è un atto di civiltà giuridica per il nostro ordinamento – afferma Valentina Romoli, vicepresidente e responsabile Ambiente e Legalità di Legambiente Lazio – E sarebbe un atto di giustizia per Colleferro, per gli abitanti e per le associazioni che da anni combattono per il diritto a un ambiente salubre visto che le pene si quadruplicherebbero e ci sarebbe il conseguente allungamento dei tempi di prescrizione». On line il video di Raffaella Bullo http://tinyurl.com/Valle-del-Sacco

la prima volta risultano imputati funzionari e quadri dell’Enel di Brindisi – racconta Angelo Calzone, l’avvocato del Wwf, costituitasi parte civile insieme a Legambiente per mezzo dell’avvocato Rodolfo Ambrosio – Questi sono accusati di aver costituito un’associazione a delinquere e un’organizzazione finalizzata allo smaltimento di rifiuti pericolosi che venivano formalmente avviati al recupero ma sostanzialmente interrati nella cava». Per questo come per altri processi, però, potrebbe arrivare presto la prescrizione. «Non si può punire una discarica abusiva, anche di grandi dimensioni, con la pena dell’arresto e dell’ammenda e una prescrizione che è al massimo di quattro anni e mezzo – aggiunge Calzone – Per questo ben venga la riforma in corso: va nella direzione giusta».

A Bussi, in Abruzzo, giacciono 330.000 mq di rifiuti chimici

S n L'area ospita anche alcune discariche con residui della lavorazione del Ddt. Qui sopra i cittadini della valle chiedono le bonifiche.

n «Con i reati ambientali nel Codice penale – dice Valentina Romoli, vicepresidente di Legambiente Lazio – casi come questo si potranno contrastare meglio».

Disastro a processo

L’ingresso dei reati ambientali nel Codice penale consentirà di ottenere giustizia per i tanti casi di inquinamento industriale che al Sud non mancano. Perché anche la Calabria ha la "sua Eternit" e un processo per malattie e decessi di operai che hanno lavorato a contatto con sostanze pericolose. Solo che questo processo si celebra al Tribunale di Paola (Cs), lontano dai riflettori dei grandi media e a rilento. È quello che vede sul banco degli imputati i vertici dell’industria tessile Marlane di Praia a Mare, in provincia di Cosenza. Un’azienda fondata negli anni Cinquanta dal conte Rivetti, poi passata al Lanificio Maratea, poi all’Eni-Lanerossi nel 1969, quando furono abbattuti i muri che separavano i reparti di lavoro lasciando gli operai tra i fumi delle sostanze

ulle sponde del fiume Aterno, alla confluenza con il Tirino, ci sono 330.000 metri cubi di rifiuti. È la discarica di Bussi, composta in realtà da tre siti, la più grande d’Europa. Deposito degli scarti di lavorazione di un’industria chimica ultracentenaria, nata bellica con la Dinamite Nobel che produceva l’iprite, poi civile con Ausimont, Montedison e Solvay Solexis. La discarica è salita alla ribalta nel 2006, quando è stata scoperta dalla Forestale, ma in realtà è nota agli addetti ai lavori sin dal 1971. Lo dimostra una lettera inviata all’Ausimont dall’allora assessore all’Igiene e Sanità del Comune di Pescara, Giovanni Contratti. Dalla missiva si deduce che già l’anno prima un tal professor Caracciolo avesse rinvenuto piombo e mercurio nelle acque e nei pesci del Tirino, oltre che nei capelli della popolazione locale, e perciò lo stesso Contratti sollecitava la creazione di un sarcofago che isolasse la discarica. Dal 1992, dopo che un audit ambientale dei tecnici Ausimont ha rilevato anche la presenza di cloroformio, tetracloruro di carbonio, esacloroetano, tricloroetilene, triclorobenzeni nelle falde freatiche a Pozzi Sant’Angelo, a due km dagli impianti, Montedison ciclicamente fa analisi mirate, ma solo nei pressi dei suoi impianti, alla ricerca di sostanze che sa essere assenti. Tutto per rendere la bonifica meno costosa e "rappresentare uno scenario di non inquinamento delle matrici ambientali esterne (acque e sottosuolo) mediante l’occultamento dei dati analitici" scrive in una relazione del 2007 il Corpo forestale dello Stato. Il commissario all’emergenza nominato dal governo Berlusconi nel 2007, l’ex sindaco di Trento, Adriano Goio, ha provveduto a ricoprire la discarica ma nessuno, neppure l’Agenzia

regionale territorio e ambiente, ha potuto verificare l’efficacia del capping, la copertura. Negli anni, la situazione non è cambiata, tanto che il coordinamento Bussiciriguarda, che riunisce tra gli altri Miladonnambiente, Marevivo, Ecoistituto Abruzzo, Italia Nostra, Lac, Legambiente e Wwf, ha fatto un esposto per denunciare le sostanze inquinanti riversate in mare dal fiume Pescara. «A otto anni dalla scoperta non esiste né un modello concettuale della composizione e

della pericolosità della discarica, né una caratterizzazione interna − aggiunge Giovanni Damiani, ex direttore dell’Agenzia nazionale protezione ambiente (Anpa), tra i primi a denunciare la situazione − né un piano di interventi e messa in sicurezza. Siamo lontani quindi da un piano di bonifica». Intanto, il processo procede a rilento. Le sole udienze preliminari si sono trascinate per due anni. E i 19 dirigenti Montedison accusati di disastro ambientale e adulterazione delle acque, i responsabili dei controlli ambientali sono stati prosciolti.

(Adriana Spera)

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inchiesta delitti da punire

sentenze impossibili

FOTO: © PATRIZIA CUONZO / sintesi

Pitelli attende ancora La discarica ligure ha accolto rifiuti speciali dagli anni ‘70. Ma la bonifica dov’è?

N

ella collina di Pitelli, denominata dei veleni, sul promontorio di levante del golfo di La Spezia, dagli anni Settanta agli anni Novanta, sono stati depositati rifiuti pericolosi e tossico-nocivi su gestione dalla Sistemi Ambientali Srl, falsificando bolle di accompagnamento e analisi chimiche. La procura di Asti ha avviato le indagini nel 1993, nel 1996 fu disposto il sequestro della discarica, e la prima messa in sicurezza d’emergenza avvenne nel 2001. Il Comune di La Spezia chiese 7 milioni di euro per risarcire il danno ambientale, Legambiente 1,5 milioni. La sentenza è passata in giudicato con assoluzione. Ossia, i fatti sono stati accertati, senza però attribuire responsabilità a soggetti specifici. L’area non è mai stata bonificata e dopo 13 anni la messa in sicurezza è solo parziale. Per unire la beffa al danno, da sito di interesse nazionale (Sin) Pitelli è stato declassato nel 2013 a sito di interesse regionale. Motivo che ha spinto Legambiente Liguria a fare ricorso al Tar, ricordando che oltre alla discarica il golfo ospita la centrale a carbone Enel, con relativo stoccaggio della materia prima, cantieri navali, sversamento dei reflui civili direttamente in mare. «I fondali marini sono a rischio inquinamento a causa di diversi

fattori, perciò non si può trattare di una questione meramente locale», commenta Stefano Sarti di Legambiente Liguria. «Si deve entrare nella mentalità che il rischio ambientale è altrettanto determinante per la sicurezza umana di quanto lo siano, ad esempio, le droghe. Se vengono stanziati milioni per la lotta allo spaccio, lo stesso va fatto per scongiurare pericoli ambientali – aggiunge l’avvocato Valentina Antonini, che ha seguito la vicenda per Legambiente – È necessario organizzare meglio il lavoro delle procure, mettere a disposizione strumenti e risorse, coordinare i vari uffici che non riescono neanche ad interfacciarsi». Dopo le dichiarazioni del 2009 del pentito Francesco Fonti sull’intreccio tra navi dei veleni e traffico di rifiuti illeciti, Legambiente ha fatto un esposto alla procura; la stessa procura però recentemente ne ha chiesto l’archiviazione, sulla quale il gip si pronuncerà i primi di maggio. Il 23 gennaio a La Spezia c’è stato un convegno molto partecipato organizzato da Legambiente e Libera su ecomafie, navi dei veleni e caso La Spezia. Il giorno dopo il Comune, con la convocazione in via straordinaria del Consiglio comunale, ha conferito la cittadinanza onoraria al capitano Natale De Grazia, morto nel 1995 mentre indagava sulle presunte navi cariche di rifiuti tossici affondate nel golfo di La Spezia. Al capitano – la cui morte è stata considerata accidentale fino a dicembre 2012, quando la commissione parlamentare d’inchiesta sulle Ecomafie ne ha accertato la "causa tossica", anche se "quale essa potrà essere stata, e se c’è stata, non lo si potrà accertare" – è stata conferita la cittadinanza onoraria con il plauso della popolazione e del Consiglio comunale. (Eleonora Porcacchia)

chimiche usate per la coloritura. Nel 1987 il gruppo tessile Lanerossi venne ceduto alla Marzotto di Valdagno, che detiene ancora la proprietà dello stabilimento calabrese. Qui, secondo l’impianto accusatorio, alcuni degli imputati (12 dirigenti della Marzotto, cia34

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scuno per il proprio ruolo) avrebbero omesso i controlli sullo smaltimento degli scarti di lavorazione in condizioni di sicurezza, determinando il riversamento, sull’area antistante l’azienda, di rifiuti speciali pericolosi come coloranti e fanghi. E anche l’interramento

di bidoni e fusti contenenti residui di coloranti. Nel frattempo un centinaio di lavoratori si è ammalato di tumore, alcuni sono già deceduti. Il 19 aprile 2011 si è svolta la prima udienza dibattimentale del processo: Legambiente, Wwf e Vas, più Medicina democratica, Slai Cobas, Regione Calabria e i Comuni di Praia e Tortora si sono costituiti parte civile. Oggi però, complice la lentezza dei tempi della giustizia e della complessità del processo, si teme che alcuni dei reati possano cadere in prescrizione. Le accuse mosse riguardano i reati di omicidio colposo, lesioni colpose, disastro e violazione dell’articolo 437 c.p. (rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro). «Considerando i tre gradi di giudizio c’è il rischio che alcuni reati si possano prescrivere – spiega l’avvocato Fabio Spinelli, che segue la causa per le parti civili – In effetti, però, i tempi di prescrizione dei reati per i quali si procede cambiano per ciascun capo d’imputazione. Ci sono reati come l’omicidio colposo plurimo per il quale è previsto un termine molto ampio. Il reato di lesioni personali colpose si prescrive invece al massimo in sette anni e mezzo. Quello di disastro in 5 anni nel caso di disastro ancora in corso e in 12 per uno che si è concluso» conclude Spinelli. Insomma, la lentezza del processo fa temere il peggio. Intanto l’area non è stata ancora bonificata e i veleni giacciono nel terreno.

Giustizia a rilento

Quello alla Marlane non è l’unico processo di cui si teme l’estinzio-

ne in Calabria. Poche settimane fa è stato aperto il terzo troncone (i primi due sono stati archiviati) del processo all’ex Pertusola: i materiali di scarto provenienti dallo stabilimento metallurgico crotonese sono finiti all’interno di discariche abusive. Inoltre i rifiuti sarebbero stati utilizzati come materiale edile per costruire scuole, palazzine, strade, le banchine del porto e la questura. Nei Tribunali di Paola, Castrovillari, Lamezia e Catanzaro ci sono procedimenti sul sottodimensionamento o la mancata manutenzione dei depuratori. A Vibo Valentia è in corso il procedimento relativo all’operazione Pet Coke, con la quale il Noe ha scoperto l’arrivo nel porto calabrese di motonavi battenti bandiera panamense e greca cariche di pet-coke proveniente dal Venezuela e dagli Usa e stoccato in un deposito a Cuccuruta di Porto Salvo, pronto per essere utilizzato come combustibile nei cementifici della zona. «Questi e altri procedimenti per reati ambientali purtroppo rischiano la prescrizione – dice Rodolfo Ambrosio, legale di parte civile di Legambiente in Calabria – E la macchinosità della giustizia italiana non aiuta: la procura di Lamezia, per esempio, ha aperto una grossa inchiesta per smaltimento di rifiuti che coinvolge 98 persone. Basta che ci sia un problema in una sola notifica a comparire e bisogna rifarle tutte da capo. Intanto il tempo passa. Insomma, i reati ambientali non dovrebbero andare mai in prescrizione: il disastro ambientale è permanente, che senso ha prescriverlo?». n

Cassiopea, Cernobyl, Poison. Alcuni grandi processi per traffico e smaltimento illecito cadranno presto in prescrizione. I pm: «Difficile raggiungere risultati» di Toni Mira

D

opo il danno la beffa. Gran parte dei processi su traffici e smaltimenti di rifiuti finiscono in prescrizione. Senza condannati. Almeno per i fatti commessi prima del 2010, cioè per gran parte degli enormi, sporchi e ricchissimi affari delle ecomafie, ma anche per gli scandali delle interminabili emergenze rifiuti e per gli intrecci con l’economia illegale. Processi complessi e lunghi e prescrizione breve, anche in conseguenza delle pene esigue in materia ambientale, e non solo per i rifiuti. Così spesso gli inquinatori la scampano e il “popolo inquinato” non ottiene giustizia. E chi ha devastato il territorio non viene neanche obbligato alla bonifica o a pagarla, e così il risanamento resta sulle spalle delle istituzioni perennemente senza fondi. Così le bonifiche tardano. Insomma, la prescrizione in campo ambientale è proprio la “madre” di tutti i problemi. Proprio per questo nel testo in discussione in Parlamento si interviene in modo netto, per evitare che chi ha inquinato non paghi, sia penalmente che economicamente. Non pochi i casi clamorosi. Il 16 settembre 2011 il gup di Santa Maria Capua Vetere ha dichiarato prescritte le accuse per tutti i 95 imputati del processo Cassiopea sui disastrosi traffici

di rifiuti industriali dal Nord alla Campania, vicenda raccontata anche nel libro Gomorra. Inchiesta iniziata nel 2003 e finita con un nulla di fatto dopo ben otto anni. Il 28 ottobre 2011 altra prescrizione per gli otto imputati a Larino, nel Molise, per un traffico di rifiuti pericolosi, in particolare cromo, smaltiti in campi di grano poi venduto a importanti pastifici. Inchiesta iniziata addirittura nel 2000. E la prescrizione scatta anche il 12 ottobre 2012 per 14 imputati per un traffico di rifiuti provenienti dal Nord scoperto nel 2005. E la beffa non finisce. Ad altissimo rischio prescrizione altri tre importanti processi. Il primo è

Nel 2011 il gup di Santa Maria Capua Vetere ha dichiarato prescritte le accuse per i 95 imputati del processo Cassiopea raccontato in "Gomorra" (nella foto un'immagine del film)

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inchiesta delitti da punire

Una riforma di civiltà di Rossella Muroni*

quello scaturito dall’operazione Chernobyl della procura di Santa Maria Capua Vetere: 39 imputati per un traffico di rifiuti, compresi fanghi tossici provenienti da alcuni depuratori campani, scaricati nelle province di Foggia, Avellino e Salerno (Vallo di Diano). Il secondo è Carosello primo atto: tonnellate di rifiuti industriali del Nord smaltiti illegalmente nelle campagne dell’Agro nolano e del Casertano. A marzo 2013 la condanna degli imprenditori Pellini e di alcuni camorristi, ma se entro maggio non sarà istruito il processo d’appello tutto finirà in prescrizione. È anche il rischio che si corre nel processo relativo all’inchiesta Poison condotta dalla procura di Vibo Valentia negli anni 2009-2010: 127.000 tonnellate di fanghi e ceneri, in gran parte provenienti dalla centrale Enel di Brindisi, smaltiti nella “Fornace Tranquilla” di San Calogero. Lo scorso 25 novembre il Tribunale ha rinviato il processo con dodici imputati addirittura al 13 ottobre 2014 per carenza di giudici. Ma in quel giorno mancheranno appena sei mesi per finire in prescrizione. Processi lunghi e complessi e mezzi scarsi. Invece, dice Maria Cristina Ribera, della Dda di Napoli, titolare di importanti inchieste su camorra e rifiuti: «Questi processi andrebbero resi prioritari». Roberto Pennisi, consigliere della procura nazionale antimafia, estensore del capitolo sulle Ecomafie nell’annuale relazione, aggiunge che «servirebbero corsie privilegiate anche in sede di indagine». Ma quello dei rifiuti «è un fenomeno per troppo tempo sottovalutato – è la denuncia del procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso, capo del pool reati ambientali della procura di Napoli – e così le norme non sono adeguate». «E neanche le risorse – rincara la dose il pm Alessandro Milita – così noi magistrati per raggiungere qualche risultato dobbiamo fare una gran fatica, come un acrobata del circo». n 36

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Ogni anno nel nostro paese si consumano oltre 30mila reati contro l’ambiente: dalle discariche abusive alle cave illegali, dall’inquinamento dell’aria agli scarichi fuorilegge nei corsi d’acqua. Si tratta quasi sempre di reati che vengono sanzionati in maniera assolutamente inefficace e con tempi di prescrizione estremamente rapidi. Da oltre vent’anni Legambiente chiede l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel Codice penale, come previsto anche dalla lettera e dalla sostanza della direttiva comunitaria del 2008, formalmente recepita ma di fatto finora disattesa dall'Italia.

in discussione e che potranno contribuire in maniera decisiva alla lotta contro le ecomafie e i crimini contro l’ambiente, fornendo idonei strumenti legali e penali a chi quotidianamente si impegna per difendere il paese e i cittadini. Speriamo sia la volta buona. fin qui le buone notizie. Ma non mancano quelle di segno opposto. Negli stessi giorni, infatti, è arrivato in Senato il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di criteri di priorità per l’esecuzione di procedure di demolizioni di manufatti abusivi”: un furbo tentativo di giungere a una sanatoria di fatto degli abusi edilizi. Un testo

L’assenza di sanzioni adeguate, proporzionate e dissuasive, come recita la stessa direttiva, rappresenta di fatto un incentivo a inquinare e saccheggiare l’ambiente in cui viviamo. Fino a oggi è stata consentita la sistematica devastazione del territorio e degli ecosistemi, grazie a una legislazione ambientale sostanzialmente contravvenzionale, senza alcuna capacità deterrente e Fino a oggi è stato possibile con la garanzia di immunità devastare il territorio e gli ecosistemi per i responsabili. Questo ha grazie a una legislazione ambientale creato le condizioni favorevoli senza deterrenti perché negli ultimi trent’anni si realizzasse in Campania, nella cosiddetta che nasconde la chiara volontà di fermare Terra dei fuochi, ciò che gli inquirenti non le ruspe. Perché se prima di abbattere una hanno esitato a definire una "Cernobyl villetta costruita sulla spiaggia, o addirittura italiana". un villaggio turistico, il magistrato dovrà obbligatoriamente demolire le case Ma potremmo anche ricordare gli pericolanti, quindi quelle non finite, poi incalcolabili danni ambientali consumati quelle utilizzate a scopi criminali e quelle di a Taranto, a causa dei processi produttivi proprietà dei boss mafiosi, è evidente che dell’Ilva, nella Valle del Sacco, nella Valle non si farà nulla. Già oggi le demolizioni Bormida, a Porto Marghera e in decine e avvengono con il contagocce, tra l’ordinanza decine di aree industriali lungo la penisola. e l’intervento di demolizione passano anche Ora torna in aula un disegno di legge sui decenni, scanditi da ricorsi e contenziosi, reati ambientali e finalmente l’Italia può spesso, più semplicemente, nessuno se dotarsi di quella che Legambiente invoca ne occupa. Insomma, se con il disegno sui come una riforma di civiltà. Un’occasione reati ambientali lo Stato e il governo dicono unica per riaffermare quel ruolo di tutela finalmente "in Italia chi inquina paga", il e di garanzia della giustizia che lo Stato disegno di legge sugli abusi edilizi approvato deve rappresentare davanti ai suoi cittadini. in Senato risponde "forse". Vanno in questa direzione alcune delle novità che sarebbero introdotte dal testo * direttrice generale di Legambiente


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