L'estate dei segreti perduti interni cap. 5

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Titolo originale: We were Liars Traduzione dall’inglese: Simona Mambrini Coordinamento editoriale: Federica Magrin Coordinamento tecnico: Maria Rosa Puca Testo © 2013 E. Lockhart Prima pubblicazione negli USA: Delacorte Press, marchio di Random House Children’s Books 2014 Foto di copertina © Warren Goldswain/Shutterstock Mappa e albero genealogico © 2014 by Abigail Daker Per l’edizione italiana © 2014 De Agostini Libri S.p.A. Redazione: corso della Vittoria, 91 − 28100 Novara www.deagostinilibri.it Questa è un‘opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto della fantasia dell’autrice o sono usati in modo romanzato. Ogni riferimento a fatti, persone (vive o morte), eventi e posti è puramente casuale. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, corso di Porta Romana, 108 − 20122 Milano, e-mail info@clearedi.org e sito web www.clearedi.org

Stampa: Punto Web s.r.l., Ariccia 2014

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Prima parte Benvenuto

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Capitolo 5

L’estate numero quattordici, io e Gat uscimmo da soli con il piccolo motoscafo, subito dopo colazione. Zia Bess aveva convinto Mirren a giocare a tennis con le gemelle e Taft. Quell’anno Johnny aveva cominciato a correre e si allenava percorrendo ad anello il sentiero perimetrale. Gat spuntò nella cucina di Clairmont House e mi chiese se mi andava di fare un giro in motoscafo. «Non tanto.» La mia intenzione era di tornarmene a letto a leggere. «Ti prego!» In genere Gat non era uno che implorava. «Vacci da solo.» «Non posso» replicò. «Non ho il permesso di prendere il motoscafo.» «Ma certo che puoi prenderlo.» «Solo insieme a uno di voi.» Adesso si stava rendendo ridicolo. «Dove vuoi andare?» chiesi. «Voglio solo allontanarmi un po’ dall’isola. A volte mi pesa stare qui.» A quei tempi non potevo sapere che cosa gli pesasse esattamente, ma lo accontentai. E così prendemmo il largo in giacca a vento e costume da bagno. Dopo un po’, Gat spense il motore e ce ne restammo seduti a 23

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sgranocchiare pistacchi e respirare aria salmastra. I raggi del sole luccicanti sulla superficie dell’acqua. «Buttiamoci!» proposi a un certo punto. Gat si tuffò e io lo imitai. La temperatura dell’acqua, però, era molto più fredda che a riva e ci tolse il fiato. Il sole si nascose dietro una nuvola. Scoppiammo a ridere: era stata davvero un’idea stupida fare il bagno al largo. Eravamo impazziti? Lo sapevano tutti che c’erano gli squali. Non nominare gli squali, accidenti! Ci precipitammo verso la barca, sgomitando e spintonandoci l’un l’altro per salire la scaletta a poppa. Alla fine, Gat si tirò indietro e mi lasciò salire per prima. «Non perché sei una ragazza, ma perché sono buono» disse. «Grazie» risposi, mostrandogli la lingua. «Almeno promettimi che scriverai un discorso di encomio su di me dopo che uno squalo mi avrà azzannato.» «Eccoti accontentato» dissi. «Gatwick Mathew Patil è stato un pranzetto prelibato.» Sembrava assurdamente divertente avere un freddo cane. Non ci eravamo portati dietro gli asciugamani. Ci stringemmo sotto una coperta di pile recuperata da sotto i sedili, con le spalle nude a contatto. E i piedi gelati uno sopra l’altro. «È l’unico modo per evitare di morire assiderati» disse Gat. «Non illuderti che ti trovi carina o chissà cosa.» 24

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«Tranquillo.» «Stai tirando la coperta.» «Scusa.» Un attimo di silenzio. Poi Gat disse: «A dire il vero, trovo che tu sia carina, Cady. Non intendevo sostenere il contrario. A proposito, quand’è che sei diventata così carina?». «Sono sempre la stessa.» «Sei cambiata nell’ultimo anno. E questa novità scombussola la mia tattica.» «Hai una tattica?» Gat annuì, solenne. «È la cosa più assurda che abbia mai sentito. E quale sarebbe?» «Niente può scalfirmi. Non te n’eri accorta?» Scoppiai a ridere. «No.» La conversazione si spostò su altri argomenti. Parlammo di portare i piccoli a vedere un film a Edgartown nel pomeriggio, di squali e dell’effettiva possibilità che dilaniassero un essere umano, di Piante contro Zombie. Poi tornammo a riva. Poco tempo dopo, Gat cominciò a prestarmi i suoi libri e a raggiungermi sulla spiaggetta nel tardo pomeriggio. Veniva a cercarmi quando me ne stavo sul prato di Windemere House a giocare con i cani. Cominciammo a passeggiare insieme lungo il sentiero che fa il giro dell’isola, Gat davanti e io dietro. 25

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Parlavamo di libri o ci divertivamo a inventare mondi immaginari. A volte finivamo per fare diversi giri prima che ci assalisse la fame o la noia. Lungo il sentiero crescevano rose selvatiche, dal color fucsia e dal profumo dolce e delicato. Un giorno, guardando Gat sdraiato sull’amaca di Clairmont House con un libro in mano, ebbi la sensazione che mi appartenesse. Come se fosse una persona speciale per me. Scivolai in silenzio accanto a lui sull’amaca. Gli sfilai la penna di mano – la teneva sempre, quando leggeva – e scrissi Gat sul dorso della sua mano sinistra, e Cadence sul dorso della mano destra. Allora lui riprese la penna e scrisse Gat sul dorso della mia mano sinistra e Cadence sul dorso della mano destra. Non parlo di destino. Non credo nel fato, nell’esistenza di anime gemelle o nel sovrannaturale. Voglio solo dire che ci intendevamo alla perfezione. Ma avevamo solo quattordici anni. Io non avevo ancora baciato un ragazzo, anche se mi sarei fatta una certa esperienza l’anno scolastico a venire. E comunque nessuno dei due avrebbe definito amore quello che c’era tra noi.

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