La lenga d'oé e le lingue d’oc e d’oil

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La lenga d'oé Prima edizione Savej: aprile 2011 Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-904518-1-2 © Savej – Fondazione Culturale Piemontese Corso Einaudi, 30 10129 – Torino www.savej.it info@savej.it


Indice

Indice

Avvertenza ..................................................................................................... 1 Introduzione ................................................................................................... 3 Grammatica.................................................................................................... 9 Cha .......................................................................................................................9 Chose................................................................................................................. 10 Est...................................................................................................................... 11 Sunt, fant, font, funt, unt ................................................................................... 12 Plus .................................................................................................................... 14 Cas sujet e cas régime ....................................................................................... 15 Seignor frare ...................................................................................................... 20 Los, las, les: articoli determinativi .................................................................... 21 Suono fricativo palatale..................................................................................... 25 Preposizioni articolate ....................................................................................... 26 Los, las: pronomi personali ............................................................................... 28 So – son, soi – sos ............................................................................................. 29 Tut, tot, tuit, tote................................................................................................ 30 Aquestas, aquestos............................................................................................. 32 Quest, quel......................................................................................................... 33

Il sistema verbale ......................................................................................... 35 L'infinito ............................................................................................................ 35 Il participio passato ........................................................................................... 36 Il participio presente e il gerundio..................................................................... 37 Il presente indicativo ......................................................................................... 37


La lenga d'oé

Imperfetto indicativo ......................................................................................... 39 Perfetto .............................................................................................................. 40 Futuro e condizionale presente.......................................................................... 43 Verbi della lingua d'oé e dell'astigiano del 1500 ............................................... 44 La lenga d'oé e i Sarament chieresi del 1321 .................................................... 47

Lessico ......................................................................................................... 51 Me viz frequent en oïl ....................................................................................... 55 Meesme, meisme, mees, meeseme .................................................................... 56 Rivolez .............................................................................................................. 56 Estovra............................................................................................................... 57 Conclusione ................................................................................................. 59 Appendice .................................................................................................... 73 XVIII Dominica III in quadragesima ................................................................ 73 Baros Jezus qu'en crotz fo mes.......................................................................... 76 Le "Tristan" de Beroul....................................................................................... 80 La conqueste de Constantinople XCVI ............................................................. 82 Aucassin et Nicolette XIII ................................................................................. 83 Le chevalier de la charrette ............................................................................... 84 Bibliografia ..................................................................................................................... 85


Avvertenza

Avvertenza

Le voci dei testi antichi sono riportate come si trovano nelle opere originali e quindi, pur se spesso sono isolate dalle altre parole a cui potevano essere unite, sono scritte senza accenti, apostrofi o altri segni moderni. Le voci tratte dalle varie opere sono localizzate nel modo seguente: per i Sermoni subalpini si è seguita la prassi comune che comprende cinque numeri. I primi due indicano il sermone, mentre le ultime tre il rigo in cui si trova la parola o la struttura in questione. Così per esempio 07043 e 21115 indicano rispettivamente il rigo 43 del settimo sermone e il rigo 115 della ventunesima predica. Le commedie dell’Alione sono indicate con una lettera dell’alfabeto, mentre i versi sono designati con dei numeri. Così A113 corrisponderà al verso 113 della prima commedia e C200 indicherà il verso 200 della terza commedia. Mentre nei Sarament della Compagnia di San Giorgio di Chieri il numero che accompagna le varie parole indica esclusivamente il rigo in cui si trova la voce considerata. Infine per localizzare i versi delle quattro canzoni dei secenteschi Freschi della Villa si fa ricorso a un numero di quattro cifre, di cui la prima indica la canzone e le altre il numero del verso. Così 4001 indicherà il primo verso della quarta canzone, mentre 3070 si riferirà al settantesimo verso della terza canzone.

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Introduzione

Introduzione

All'inizio del nostro conciso resoconto delle lunghissime ricerche dedicate alla lingua dei Sermoni subalpini, ci sembra doveroso ringraziare il prof. Heinz Jürgen Wolf. Infatti, nel 1990 al VII Rëscontr Antërnassional an sla lenga e literatura piemontèisa tenutosi ad Alba, questo illustre filologo aveva presentato una comunicazione molto interessante e ricca di dati, in base ai quali, contrariamente all'opinione della quasi totalità dei presenti, aveva asserito che la lingua delle prediche in questione non era il piemontese, ma piuttosto una langue mixte, cioè una mescolanza di lingue (Wolf, 237-254). Non avendo mai sentito parlare di tali Sermoni, chi scrive era stato molto sorpreso dal veemente intervento del docente tedesco e non aveva dubbi che, vista la reazione dei presenti, ben presto ci sarebbero state parecchie risposte chiarificatrici. Però, dopo ben cinque anni, salvo una breve nota interlocutoria del prof. Marcel Danesi autore de La lingua dei Sermoni subalpini, opera da cui il prof. Wolf aveva preso lo spunto per il suo intervento, non s'era vista alcuna risposta alle osservazioni del docente tedesco. Così, spinto dalla curiosità, chi scrive si era deciso a leggere il testo originale delle prediche in questione, per avere un'idea più chiara della disputa che l'aveva sorpreso. In sostanza i ventidue sermoni, che gli esperti fanno risalire alla fine del secolo XII o al principio del XIII, iniziano quasi tutti con un breve passo in latino, spiegato poi in un volgare di cui i vari studiosi alternatisi ad esaminarlo fin dal 1847, anno della riscoperta del manoscritto, non sono mai riusciti a determinarne l'identità precisa. Effettivamente la prima lettura ha confermato che la questione era piuttosto ingarbugliata, in quanto i vari testi presentavano parecchie oscillazioni grafiche e poi, termini tipici della lingua d'oil quali trovees, cite,

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soleil, saint, ecc. o del provenzale come pernas, apparec, volc, aparegrun, volgrun, ecc., erano affiancati a voci quali amont, aval, naie, cavalea, fourqueura, ecc. che oggi fanno parte del lessico delle parlate piemontesi. Naturalmente tra queste voci, non mancavano parole latine1. Anche per quanto concerne la grammatica, la situazione non sembrava molto più chiara. Per esempio, le desinenze verbali erano piuttosto incostanti e, al plurale, si trovavano nomi uscenti in -s accanto ad altri che terminavano in vocale, mentre, in altri casi, il numero era indicato solo dal determinante che accompagnava il termine in questione. Parecchie volte poi, come per esempio nel caso di questi e di apostol, ci si trovava di fronte a tre o quattro forme di plurale in competizione: questi, quisti, quist e apostol, apostoli, apostoil e apostole2. Dopo le prime osservazioni superficiali, la situazione sembrava tanto complessa che, per inquadrare meglio la questione, più che a un esame filologico, il cui fine sarebbe stato quello di inserire le varie voci in questo o in quel sistema, come forse si era sempre fatto, si è pensato di procedere ad un'osservazione dei principi grammaticali sottesi nelle varie prediche. E così si è potuto notare che, nonostante le varie oscillazioni grafiche e malgrado la presenza di voci di vari sistemi linguistici, la parlata rappresentata nei ventidue sermoni ha una sua identità ben precisa. In sostanza si tratta di una lingua molto vicina alle antiche lingue d'oc e d'oil per cui, per evidenziarne

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Tra le numerossissime oscillazioni grafiche segnaliamo: cobetisia, coveitisia, covetisia, cubitisia (cupidigia); eglisa, eglese, eglesia, eglise, gleisa, glesia (chiesa), che ha un sinonimo dotto in ecclesia. In altri casi, come in rason, rasun, razun, le oscillazioni sono più comprensibili perché si tratta di notare suoni che nel passaggio dal latino al volgare sono cambiati, come quello della ō lunga latina in sillaba libera che è passato ad /u/. E alternanze grafiche si trovano anche per il plurale dei nomi e degli aggettivi: questi, quisti e quist (questi). Nell'ordine in cui sono disposti detti dimostrativi testimoniano le fasi di progressione dei plurali metafonici. Per quanto concerne la mescolanza dei termini latini e volgari, si pensi a: e vols esser iudicatus 04115; significa yspidus 08062, aquestos dos comandamenz receve synagoga 09104; paso sancta ecclesia totes aquestes male persecutiuns 08093. Come si può notare, spesso la presenza di una parola latina facilita il ritorno al sistema flessionale, che è quasi sempre presente quando la struttura delle frasi non corrisponde a quella romanza: soggetto - verbo - complemento oggetto. 2 Questi trei ami 07005, quisti forun carnail 10047, quist forun li leun 08076, li apostol 05048, li apostole 12026, li saint apostoli 09256, li apostoïl 05043.

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Introduzione

l'identità e le caratteristiche particolari, basandoci sul modo di affermare, come si faceva molti secoli fa, si è deciso di chiamarla lenga d'oé. Va anche detto che, molti dei principi fondamentali della grammatica della lingua dei Sermoni subalpini, si ritrovano nelle parlate piemontesi dei secoli posteriori e pure in quelle odierne. Si pensi solo al plurale dei nomi che spesso viene indicato solo dal determinante che li accompagna oppure ai plurali prolettici: beil, apostoil ancor oggi presenti nelle varie parlate piemontesi, pur se ora sono notati diversamente: bej, apostuj. E, come se non bastasse, anche l'avverbio di affermazione oe ha un corrispondente nel piemontese moderno: é3. In sostanza i numerosi studi sulla lingua, sulla grammatica, sul lessico dei vari sermoni ci hanno portati alla conclusione che, non solo la lingua d'oé rappresenta una parlata in via di trasformazione, ma anche che, oltre a conoscere varie lingue, il redattore doveva trovarsi in una zona in cui si parlavano diverse favelle. E quindi, nel giudicare la lenga d'oé, si dovrebbero tener presenti tutti quei fenomeni che i linguisti moderni hanno rilevato nelle situazioni di bilinguismo e di lingue in contatto. Si pensi per esempio ai vari tipi di interferenza (grafica, lessicale e semantica), alla convergenza dei codici, agli imprestiti, ai calchi semantici e a quel fenomeno di cambio di lingua, che oggi gli addetti ai lavori sono soliti chiamare code switching4. A parte tali considerazioni, nell'esame della lenga d'oé è molto importante tener presente che la lingua scritta per eccellenza nel periodo considerato era il latino e che, pure i testi originali pervenutici nelle lingue d'oc e d'oil, molto più documentate di quella d'oé, presentano anch'essi parecchie incertezze e numerose oscillazioni grafiche. E quindi sarebbe ingiusto ricercare nei Sermoni subalpini, che forse costituivano il primo documento di una parlata nuova, una standardizzazione ed una consistenza grafica che a quell'epoca non avevano ancora raggiunto neanche le lingue d'oc e d'oil. Comunque, senza ricorrere ai testi originali, per aver un'idea 3

Il passo da cui si è tratto il nome della lingua è il seguente: e lo reis ia / demanda Aves tu lum˜? cel li responde/Oe doe candele [E il re/gli ha domantato: Hai lume? E lui gli rispose sì due candele] (10029- 10031). Per quanto concerne il valore della é, notata anche éh, nel piemontese moderno si veda: Brero, p. 332 e Gribaud, p. 304. 4 Code switching, cioè il cambiamento di codice o di lingua.

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delle oscillazioni accettate nella grafia di quei secoli remoti, basterebbe consultare la tabella delle equivalenze grafiche riportate per il provenzale nel Donatz Proensals di Uc de Faiditz (Marshall, 51 e segg). In sostanza, dopo aver studiato a lungo la lingua dei Sermoni subalpini, non abbiamo dubbi nell'affermare che la parlata in essi sottesa sembra giostrare tra due sistemi grammaticali. Infatti, mentre a volte pare ancora legata ai vecchi schemi, quali per esempio quello della dicotomia cas sujet e cas régime, che è ben nota a quanti si sono interessati ai volgari dell'antica Gallia, in molti altri casi essa presenta un nuovo sistema grammaticale ben più efficace ed esplicito. La nuova struttura grammaticale è vicina a quella che ha caratterizzato le favelle piemontesi antiche e regola quelle moderne. Ciò malgrado, pensiamo che sarebbe improprio definire piemontese la parlata volgare di questi sermoni. Infatti, pur se la distanza tra la lingua d'oé e il piemontese moderno è di gran lunga inferiore a quella esistente tra l'ancien français ed il francese moderno5, va detto che qui il termine piemontese non sarebbe affatto appropriato, anche perché, oltre a costituire un anacronismo, esso sarebbe anche inesatto. Infatti all'epoca dei Sermoni, cioè verso la fine del secolo XII o inizio del XIII, la voce Piemonte non indicava affatto il territorio del Piemonte d'oggi. Probabilmente, fino al primo Cinquecento, tale termine si riferiva solo alla zona occidentale a ridosso delle Alpi che faceva parte del ducato di Savoia6. E forse questa lingua potrebbe essere chiamata piemontese solo se si provasse l'ipotesi del prof. Gasca Queirazza secondo cui i Sermoni potevano essere stati redatti a Oulx, cioè ad Ulzio (Gasca Queirazza, 1996). E lo stesso si potrebbe dire se si venisse a scoprire che dette prediche sono state 5

"L'ancien français ne représente pas une étape dans l'évolution du français, car il y a deux français. C'est là une situation toute différente à l'italien où la langue est une des origines romanes jusqu'à nos jours [...]. Les spécialistes distinguent deux grandes périodes dans l'histoire du français¸ l'ancien français et le français moderne. Il s'agit de deux idiomes distincts et autonomes qui présentent des traits phonétiques, grammaticaux et dans une mesure lexicaux, différents." Pierre Guiraud, Le Moyen Français, PUF, Paris, 1963, p. 10. 6 Ancora nel primo Cinquecento, l'astigiano Alione che considerava la sua città in Lombardia, fa dire a un suo personaggio "Et so glarriua forester de Pemont [...]" (E se ci arriva un forestiere dal Piemonte [...]) E60, mentre nel prologo di un'altra farsa scrive: "Jan peyrorer per soa bonta Uen de Pemont" G96/97. Poi rispondendo alla domanda "Dond e tu" (di dove sei?), lo stesso personaggio risponde "Dla val de Luserna" (della valle di Luserna) G329. B. Villata, 2007.

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Introduzione

scritte nel gran monastero di Santa Maria di Pinerolo o in quello altrettanto importante di San Giusto di Susa, fondati rispettivamente nel 1064 e nel 1026 (Barbero, 108-109). Nel periodo considerato, Susa e Pinerolo erano due centri nevralgici per le comunicazioni tra la Francia e l'Italia. E non va dimenticato che Pinerolo è allo sbocco della Val Pellice dove si trovava, e si trova tuttora, la comunità valdese. E non andrebbe neanche trascurato il fatto che a quei tempi le valli del Pellice e del Chisone facevano parte del Delfinato (Telmon, 13). E così, dopo aver affermato che la lingua dei Sermoni subalpini è una lingua particolare, si ritiene che sia doveroso spiegarne il perché. Quindi, nelle pagine che seguono, si cercherà di rispondere ai vari quesiti posti dal prof. Wolf nel suo intervento che, come si potrà dedurre, è stato di grande aiuto alla nostra ricerca. Si inizierà con le questioni che riguardano la grafia, poi si passerà ad argomenti grammaticali, analizzando alcuni fenomeni di cas sujet e di cas régime. Prima di trarre le conclusioni, si parlerà anche del sistema verbale e del lessico.

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Grammatica

Grammatica

Cha A proposito della grafia si presenta subito la questione del digramma ch che davanti alla vocale a sottende un suono velare, segno che secondo Wolf non si addice a un testo cisalpino. E segnala ben 58 esempi di questa grafia all'inizio di parola (Wolf, 245). Pur non sapendo dove esattamente si parlasse la lenga d'oé, ci permettiamo di far presente che l'alternanza c – ch, per notare il suono velare davanti alla a, era ancora segnalata dal Marshall per i manoscritti provenzali dell'epoca di Uc de Faidit (Marshall, 51), e ricordiamo che, pur se saltuariamente, il trigramma cha si ritrova a rappresentare il suono velare della c anche in testi piemontesi dei secoli posteriori. Si pensi a chaxa e a chassa (casa) riportati nel testo dei Giuramenti della compagnia San Giorgio di Chieri 13211, e pure a char (caro) A53, charita (carità) A103 che si trovano nella Comedia de lhomo e de soy cinque sentimenti (1521) o anche a chascuna crava (ogni capra) I12, chaghé y troux I733 della Farsa del braco e del milaneyso inamorato in Ast (Villata 2007). Però, va ancora segnalato che, in passato, il digramma ch era usato per indicare il suono velare davanti alla a, non solo nei volgari cisalpini, ma anche "nell'italiano" del Piemonte e pure nella favella toscana. Per il primo caso si ricorda il famoso Charneto di Giovanni Andrea Saluzzo di Castellar, nato nel 1482 e morto nel 1528, mentre per il toscano basterebbe leggere gli scritti originali di Michelangelo (Forcellino, 165). 1

Chaxa r. 6, e chassa r. 80, entrambi equivalenti all'italiano casa, B. Villata, 2010, pp. 69 e 71.

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Come nei Sermoni subalpini, pure nei testi piemontesi del passato, il trigramma cha con suono velare poteva trovarsi anche nel corpo della parola. Si pensi a falchastr (falcastro) rigo 2 dei testi chieresi oppure a delicha (delicate) A52, fiacha (fiaccate) A53, tocha (tocca) A147, mocha (netta) A180, mancha (manca) A234, ecc. delle farse alionesche2.

Chose Nei testi piemontesi antichi il digramma ch poteva rappresentare il suono velare anche davanti alle vocali o ed u. Ci riferiamo a alchū r. 20. 22, ecc., alchun 82, 84, ecc., e ai plurali alchuign 23, 48, ecc., archoign 37 dei Sarament di Chieri 3. I trigrammi cho, chu con suono velare della c si trovano anche nelle farse dell'Alione, e tra i vari esempi ricordiamo: ronchoyn (ronconi) B178, lattachon (l'attaccano) B183, bechōnet B374, se fichon C2, choy (quelli) G100, veschova G19, an cho del meys (in capo al mese) H66, zaschun A94, quarchū B504 chula E367 4. Nei Sermoni subalpini chosa presenta 10 occorrenze al singolare, undici al plurale e pure un choses nella struttura seguente: a las terrenes choses torneras 04046, segmento che inserito nel contesto: terra es segun la carn e a las terrenes choses torneras dun tu fos fait, dovrebbe rappresentare un classico caso di code switching verso una lingua più arcaica e più vicina al latino. 2

B. Villata, 2007 e 2010, p. 35. A proposito delle grafie cascun e chascun va detto che i lemmi con il digramma ch si trovano tutti nelle prediche della prima metà. Si pensi a: chaschuns 01127; chascun 03094, 03095; 07033; 09067, 09075, 09134, 09154, 09203; chascuna 09066. Invece le voci in cui il suono velare è notato semplicemente dalla c si trovano soprattutto nei sermoni della seconda parte: cascaun 09174, 15012, 15021, 15048, 22036; cascauna 13067; cascun 09269, 09278, 13054, 15011; cascuna 09051. 3 Si noti anche che alchuign e alchoign sono forme di plurali prolettici frequenti in lingua d'oé. B. Villata, 2010, pp. 69-73. 4 B. Villata, 2007. Anche qui sono degni di nota i plurali prolettici ronchoyn B178 (sing. ronchon) e cogl A374 (sing. col), lemma che come begl A215 ricorda il beil dei Sermoni. Nel Cinquecento è cambiata la grafia, ma i grafemi finali -il e -gl dovevano rappresentare uno stesso suono. Si noti che an cho H66 ha un corrispondente nell'an quo de set anz 12065 dei Sermoni subalpini. Villata 2008, pp. 24-25, 32 e 2010.

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Grammatica

A proposito di chose, va detto che in una sola pagina del Charneto appena citato si trovano lemmi quali: chomo, charneto, chosse, tochano, chostuma, charti (quarti), pichole, Chastelaro, Chardè, vacha, chavalo, chavala, foch5. Quindi, le voci chose e chosa dei Sermoni non dovrebbero essere considerate termini francesi, ma piuttosto allografi di cose e cosa, tanto più che nei Sermoni chose ha sempre il valore di plurale e per essere veramente francese avrebbe dovuto terminare in -s, tanto al cas sujet che al cas régime.

Est Per quanto concerne la terza persona singolare del presente indicativo del verbo essere, bisogna tener presente che, secondo la grafia del tempo, nel manoscritto originale questa forma verbale è quasi sempre notata ē e più raramente est. E anche se molte trascrizioni moderne dei Sermoni riportano solo la voce est, ci sembra del tutto insostenibile la tesi che detto lemma sia du français pur et simple (Wolf, 241). Infatti, nella parlata sottesa dai Sermoni, l'esito della forma latina est doveva essere e, come appunto dimostra il lemma oe (<hoc est). Ma il segno e avrebbe potuto causare entropia nella comunicazione, in quanto era già associato alla congiunzione e, al pronome personale soggetto di prima persona io: e<ego ed alla preposizione e (en). Come si può notare dagli esempi riportati qui di seguito, a volte, nel manoscritto la congiunzione e è notata e, ma molto più spesso è rappresentata da un simbolo che abbiamo trascritto ? (Villata, 2004, passim). Si pensi a: e lo rei (e il re) 04045, e cel li responde (e lui gli rispose) 04057, ?cibus 04103 (e cibo), ?perzo (e perciò) 04087, ?enpero (e però) 21052. Per gli altri valori della e dei Sermoni si segnalano gli esempi seguenti: e fui vesque (io fui vescovo) 02071, e irai a [...] (io andrò a [...]) 08006, e te fis (io ti feci) 21145; e qual guisa (in qual modo) 06004; un grop e la gola (un nodo nella gola) 08083. Per confermare quanto appena detto, qui di seguito si riportano alcune strutture latine, e altre in lingua volgare, in cui si trovano le due forme 5

A. Cornagliotti e M. Piccat, 1998, "Charneto di Giovanni Andrea Saluzzo di Castellar 1482 -1528", Studi Piemontesi, vol. XXII fasc. I, Ca dë Studi Piemontèis, Torino.

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La lenga d'oé

appena citate di è: deus ē racionalis 06032; quasi un¿ exnobis factus ē 21092; id est sacerdotibus et pauperibus 01002, dicendum nobis est 010041; ?per rasun ē sanctifica 06032; zoest 20055; el est escris 21013, zo ē lo que dit 12029, zo ē consolator12051. Dato che il segno ē si ritrova tale e quale in latino e in lingua d'oé, ci sembra del tutto fuori luogo ricorrere alla lingua d'oil per giustificare la presenza di un digramma quale ē fait 20093, quando in alcuni casi esso è addirittura preceduto dal corrispondente latino: factus ē 210926. E ci pare ancora più strano dover risalire all'antico francese per spiegare i 160 zo ē che, come s'è appena visto, corrispondono esattamente al digramma latino id est. A parte ciò, va ricordato che ço e, allografo del zo ē dei Sermoni, si ritrova nei Giuramenti della compagnia San Giorgio di Chieri dove presenta tre occorrenze (Villata, 2010, 42 e 71). E non va dimenticato che il digramma co ē, equivalente a zo ē, presenta due occorrenze nei Sermoni stessi7.

Sunt, fant, font, funt, unt8 Quanto detto per est vale anche per sunt, che presenta 12 occorrenze in contesti in cui, talvolta, è facile intuire che la t finale è dovuta all'attrazione del latino. Si pensi a: sunt plen de coveitise 03006, omnes viri diviciarun. zo sunt quil home qui sunt en quest sevol qui dorment 03012/3, zo sunt anime fidelium 05070, si cum sunt en la rei boni pisces et mali 05120, zo sunt divicie e poverte 06024, qui sunt plene de blanchor 08031, qui sont flores odoriferi 08139, vermeille e olent zo sunt li martyr 08141, las ydoles qui sunt sorde e mute 09108, zo sunt tenebre 13010. E qui va poi anche notato 6

Per chi non fosse molto familiare con le parlate pedemonane, ricordiamo che il digramma é fait, equivalente al fracese est fait, è ancora usato oggi nel torinese (a l'é fait) ed in altre varianti piemontesi, dove però la /e/ è chiusa e il dittongo ai suona /ai/ e non come in francese. 7 Co ē de nostra vita 19017, co significa 21045. Nel primo sermone si trova un altro co: teneit un co en cel 01072, però in questo caso co deriva dal latino caput ed ha il valore di capo, estremità. 8 A proposito di alcune desinenze verbali usceni in -nt è stato scritto: "je préciserai qu'on relève: fant, font, funt, (2), sunt (12), unt (2)", Wolf, p. 241, quart'ultima riga.

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Grammatica

che nel manoscritto si trova la grafia sunt solo per due forme (05120 e 08141) mentre negli altri casi questa voce è scritta st con un trattino sulla t. Oltre a sunt, per la terza persona plurale del presente indicativo di essere, i Sermoni subalpini presentano altre due forme son e sun, che dovevano essere omofone e che contano rispettivamente 56 e 40 occorrenze. E qui va anche ricordato che, secondo la tabella riportata da Marshall, son e sun dovrebbero essere forme del tutto equivalenti (Marshall, 51). Son e sun si ritrovano ancora nelle grafie del piemontese d'oggi. Molto vicini a sunt sono funt e unt, entrambi con due occorrenze, che però non sono verbi, perché, come si vede dalle strutture presentate qui di seguito, font, funt sono dei sostantivi e unt un avverbio di luogo: trja via nos merge lopreuer eil funt aisi disent (tre volte ci immerse il prete nel fonte [battesimale] così dicendo) eloplū quiē pesant va al funt (ed il piombo che è pesante va al fondo) 04040, si que hō no po ueer lo funt (sicché non si può vedere il fondo) 10077; per unt hom i montava (da dove vi si saliva) 05014, 05053. Fant, invece, corrisponde effettivamente alla terza persona plurale del presente di fare, ma va pure ricordato che è l'unica forma con tale uscita mentre fan, lemma conforme alle caratteristiche della lingua d'oé, presenta ben 18 occorrenze. Sarebbe anche opportuno segnalare che le t finali sono dovute al fatto che in lingua d'oé, se si conservavano in fine di parola, le dentali sonore latine solitamente diventavano sorde. E tale fenomeno è costante. Ce lo dimostrano voci quali freit 2 (<frigidu), quant 69 (quando), munt 12 (mondo) e pure le strutture seguenti: descende ius el perfunt (scese giù nel profondo) 04089, mentre in en aquesta perfunda cava (in questa profonda caverna) 100909 si conserva la consonante sonora latina perché non è in posizione finale. Va comunque ricordato che questo fenomeno riguarda anche i termini latini. Difatti la congiunzione classica sed è sempre notata set. E in genere, in fine di parola, il passaggio dalla sonora alla sorda riguarda anche altre consonanti10. Si pensi ad alberc (albergo) 09105 o a sanc 9

Si noti che a causa del passaggio dalle sonore alle sorde in fine di parola, in lenga d'oé munt può essere associato ai tre valori seguenti: molto (sonasen le tube munt fort 09091), mondo (tote le cose del munt 18008) e monte (un munt qui era mult alt 08112). 10 H. J. Wolf, p. 247: lef, vif, ecc.

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