FUL | Firenze Urban Lifestyle #13

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ottobre - novembre 2014

anno 03

n• 13

Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 - Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario Fabrizio Marco Provinciali • Realizzazione grafica - editore Ilaria Marchi


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Care lettrici, cari lettori, non so se ve ne siete accorti, ma nella vita di tutti i giorni – più o meno inconsciamente – ragioniamo molto, troppo spesso, per stereotipi. Un po’ per abitudine, un po’ per pigrizia, un po’ perché non abbiamo di meglio da dire per riempire un silenzio, ci piace ragionare per luoghi comuni, ma così facendo ci limitiamo molto nella nostra capacità di pensare e di agire. E alcuni di questi luoghi comuni riguardano proprio Firenze e i fiorentini: polemici, sempre insoddisfatti, un po’ chiusi, che non si lasciano mai sfuggire l’occasione per “l’infamaha”, la battuta un po’ cattivella. Si dice che in questa città non si riesca mai a “fare sistema”, che ognuno preferisca coltivare il suo orticello e che in fondo in fondo, in cuor suo, non si dispiaccia troppo se al vicino va un po’ male. Guelfi e Ghibellini stavano qui no? E poi a loro volta si dividevano in altre fazioni... Ecco, a noi di FUL gli stereotipi non sono mai piaciuti: cerchiamo sempre di dimostrare che in questa città, spesso descritta come un dormitorio dove non si muove mai nulla, ci sono invece tante storie da raccontare, che ci sono tante persone piene di idee e di progetti, che sognano a occhi aperti ma non solo, ci sono persone che si impegnano per realizzarli questi sogni. Come, in fondo, proviamo a fare anche noi... E allora, “facciamo sistema”, davvero: perché le varie realtà emergenti a Firenze, perché i vari artisti, fotografi, musicisti, stilisti, scrittori, imprenditori, non si uniscono per dare vita ad un progetto più grande, che vada davvero oltre, che sia qualcosa di più di una semplice somma di addendi? Noi lanciamo la sfida, sperando che qualcuno la raccolga. Contattateci, raccontateci le vostre storie: siamo sempre dalla vostra parte. Perché no? E anche in questo numero di FUL troverete alcune di queste storie, storie di sfide, di persone che hanno pensato: anche io posso farcela, non mi importa se tutti mi danno del “grullo”, non mi importa se tutti hanno sempre fatto in un altro modo, non importa se tutto sembra darmi contro. Come dicono i Red Hot Chili Peppers, in una bellissima canzone (non vi diciamo il titolo: andatevela a cercare!), «meglio pentirsi di qualcosa che si è fatto, che di qualcosa che non si è fatto». E allora... provateci anche voi! Daniel C. Meyer Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario FMP Realizzazione grafica Ilaria Marchi

Ideazione e coordinamento editoriale Marco Provinciali e Ilaria Marchi Se sei interessato all'acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com • tel. 392 08 57 675 Se vuoi collaborare con noi ci puoi scrivere agli indirizzi: marco@firenzeurbanlifestyle.com • ilaria@firenzeurbanlifestyle.com visita il nostro sito pagina facebook FUL *firenze urban lifestyle* www.firenzeurbanlifestyle.com

ringraziamenti

Livio Iacovellla, Dario Nardella, Tommaso Casalotti, Iacopo Giannini, Super Duper Hats,, Silvano Campeggi, Igrid, Lorenza e Maria, Franco - Eroica, Annalisa Lottini, Stefano Iannaco, Edo e Michelle ovviamente a tutta la redazione.

Un ricordo al grande Alfredo Martini


artistic props by Jonathan Calugi Graphic and Visual Artist


p. 8

Una sfida per Firenze: intervista a Dario Nardella

p. 11

Tanto di cappello

p. 14

Insieme per combattere il tumore al seno: le Florence Dragon Lady

p. 16

Mappa//partners//punti distribuzione

p. 18

«Faccio il giro del mondo in moto e torno...»

p. 20

Lei disse sì: la sfida della normalità

p. 22

Stasera cucino io. Al ristorante...

p. 24

Eroici senza tempo

p. 26

L’uomo che dipingeva i film

p. 29

Rubrica: uno

p. 30 p. 31

Non capita tutti i giorni di entrare nell’ufficio del sindaco di Firenze. Interamente affrescato, pieno di arte e di storia, lascia senza fiato: un vero pezzo di storia di questa città, che ti dà l’idea dell’unicità di Firenze, ma anche del carico di attese e responsabilità che gravano sulle spalle di un singolo uomo, chiamato dai cittadini a guidarli, ad indicare la strada per i prossimi anni. Chi l’ha detto che non si può sognare, e poi svegliarsi un giorno e rendersi conto che il sogno si è avverato? La storia di tre ragazzi che hanno lanciato il brand Super Duper Hats, tra design all’avanguardia e cura artigianale dei materiali, e hanno vinto il concorso per designer emergenti organizzato dalla rivista Vogue è proprio quella di un sogno che si avvera. C’è un gruppo di donne che hanno sconfitto la malattia e si sono unite in una sfida comune: sono le Florence Dragon Lady, un team di Dragon Boat, disciplina sportiva di origini orientali che ha la sue campionesse anche a Firenze.

Partire da Campi Bisenzio in moto e fare il giro del mondo: sembra una storia da film, eppure è successo davvero. Protagonista Gionata Nencini, che ha fatto della sua irrequietezza uno stile di vita e non è tornato solo... Una storia d’amore che diventa un caso, e dà vita ad un dibattito civile. Perché è una storia d’amore che per la legge, non è uguale alle altre: è quella di Ingrid Lamminpää e Lorenza Soldani, che hanno girato un film per raccontare la loro storia. Che, in fondo, è quella di una famiglia come tante.

La campagna toscana è invasa da centinaia di ciclisti che sembrano usciti dal periodo delle epiche sfide tra Coppi e Bartali. Ma non è il remake di un film d’epoca: è L’Eroica, una vera e propria competizione riservata alle bici d’epoca. Tra panorami mozzafiato e spuntini all’aria aperta l’importante è divertirsie... arrivare al traguardo! Silvano Campeggi ha portato Hollywood in Italia. Le sue immagini hanno accompagnato al cinema intere generazioni di italiani, che grazie a lui hanno potuto conoscere mondi lontani e storie straordinarie. Straordinarie come lui, che passati i novant’anni, non smette di sognare e lavora ad un progetto dopo l’altro.

Rubrica: la

straniero a Firenze//un fiorentino all'estero

pagina dell’artista* - Per il numero XII a cura di Enter Exit

Solo se tu lo vuoi


Ilaria marchi

Marco provinciali

Daniel C. Meyer

Jacopo Naldi

Firenze l’è la mia città. La amo e la adoro. Mi piacciono i vicoli stretti, le realtà nascoste. Girarla con la mia vecchia bicicletta era una cosa fantastica, era, perché adesso me l’hanno rubata, mannaggia!!! Non vi dico l’età ma sono una giovane grafica a cui piace respirare la libertà, mangiare cose buone e ridere con gli amici. •

Alle ore 7 del 13 giugno 1982 sono entrato in contatto con le prime facce umane. Dopo un mese, assieme a Pablito Rossi, Tardelli e tutti gli italiani ero già campione del mondo e il calcio divenne per me una malattia. Mi piace mangiare un po’ tutto, amo il vino e anche la birra… in fondo la condivisione di una tavola è la cosa più bella che ci sia… Mi occupo di comunicazione e collaboro con alcune testate locali e nazionali… FUL mi piace tantissimo. •

Come disse qualcuno, “Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare…”. Non ho mai sognato, o neppure pensato, di fare il giornalista. È stato il giornalismo che ha trovato me: è come se ci fossimo sempre conosciuti, ma ci siamo incontrati solo grazie ad una serie di coincidenze. Io questo lo chiamo Destino… Viaggiare, conoscere persone interessanti, intrufolarsi dappertutto, soddisfare la propria curiosità, imparare sempre qualcosa di nuovo, dialogare coi lettori, scrivere… che volere di più. •

Lo scambio è vitale avere, per noi che ci piace essere costantemente connessi, monitorati e osservatori. Per noi che usiamo chattare, postare, commentare, linkare come verbi ausiliari dello scambio e il nostro cortile è la Rete. Lo scambio era vivo essere, per noi che i messaggini li scrivevamo su dei pezzetti di carta, che esisteva ancora la Polaroid, che si andava in cabina a telefonare, che le ricerche le facevamo in biblioteca e ci scambiavamo le figurine a ricreazione. Mi mancano sempre le solite quattro per finire l’album Panini...•

Julian Biondi

Paolo Lo Debole

Riccardo Sartori

Niccolò Brighella

Sono nato venticinque anni fa nelle “hills” fiorentine, sognando di conoscere in ogni suo angolo quella città che vedevo affacciandomi dal balcone. Cresciuto, mi sono messo di impegno nel mio progetto e sono contento di dire che, nonostante il parer comune, riesce sempre a stupirmi. Sono un laureando in “Media&Giornalaio”, amo leggere qualsiasi cosa e vorrei scrivere di qualsiasi cosa. Per ora non posso che definirmi : “studente per vocazione, barman per necessità e cazzeggiatore di professione”. •

Sono nato nel 1964 nella meravigliosa Firenze in un giorno d'estate, precisamente il 21 giugno, ma ho dovuto attendere un sacco di tempo per capire cosa la fotografia significasse per me. Posizionare l'occhio nel mirino e vedere il mondo da una prospettiva diversa, con più angolazione. Oramai ho deciso che questa sarà la mia strada professionale, ogni volta che esco con la mia Nikon il momento diventa importante e il solo pensiero che anche un solo scatto mi soddisfi è gratificante. •

Ventitré anni, amante degli spostamenti, nasco ad Arzignano, cresco a Vicenza, studio a Ferrara ed ora Firenze. Compagna di viaggio la macchina fotografica o meglio, la Fotografia. Una passione nata da un regalo che desidero trasformare in lavoro. Mia caratteristica è non essere bravo in niente, ma impegnarmi in tutto per ottenere il miglior risultato. La foto più bella? La prossima.. •

Nasco il 16 giugno del 1978 in un antico paese della periferia fiorentina. Scrivo il mio primo racconto da bambino, narrando le vicende di un cucciolo di coccodrillo che, per caso e per fortuna, con l’ausilio di una stufetta e delle nevi eterne del Kilimanjaro, genera il grande fiume Nilo. Da allora, in un certo senso, non sono mai più sceso da quella esotica montagna (e mi sono innamorato di stufe e termosifoni). •

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Silvia Brandi

Chiara Tarasco

Jacopo Aiazzi

Annalisa Lottini

“Nata a Firenze Torregalli il 28 settembre 1987 (Bilancia ascendente Sagittario), di residenza isolottiana ma scandiccese d'adozione, a 20 anni decide che ha voglia di farsi qualche giro e passa 3 anni fra Londra, l'Australia e Parigi. Adesso è a Firenze in pianta semi stabile perché nella vita non si può mai dire. Per FUL traduce gli articoli in inglese, vivendo così nella paura che gli articolisti sentano nella traduzione stravolto il significato delle loro parole e l'aspettino sotto casa. Il traduttore è un mestiere duro ma qualcuno deve pur farlo”. •

Nasco a Verona il 10 agosto 1991, attorniata da caldo atroce e ghiaccioli alla frutta. Quattro anni fa mi stacco da casa per vivere a Firenze, dove studio Scienze Politiche. “C” che inspiegabilmente diventano “H” mi rapiscono al punto che le riproduco con un accento nordico, senza troppo successo. È banale: amo viaggiare. Amo fotografare, le espressioni facciali, l’Ikea, la colazione. Diffido dei prodotti in prima fila sugli scaffali del supermercato, dei pomodori. Scrivo per estraniarmi, forse diventerà una professione, forse no, intanto mi appaga. •

Nasco a Fiesole alle 5:30 di mattina del 23 settembre 1985, con una mano sopra la testa e dal peso di 4kg e passa. Più fastidioso di così non potevo essere. Sono nato il giorno in cui è morto Giancarlo Siani, un giovane giornalista di ventisei anni ucciso dalla camorra a Napoli. Oggi ho la sua età e ancora non ho assimilato tutte le sfumature che il giornalismo può assumere. L'unica cosa di cui sono consapevole è il desiderio di coltivare questa conoscenza. Più appassionato della scrittura in quanto tale che dal giornalismo, apprezzo ogni forma di quest'arte. La cosa che più mi codifica come italiano è l'amore per la pastasciutta, con qualsiasi sugo. •

Pisana di nascita e fiorentina di recente adozione, arriva a FUL tramite il tip tap. Ama i libri e il loro mondo, la danza in tutte le sue forme e stare in compagnia. Lavora nell'editoria barcamenandosi tra mille passioni e impegni. Nei ritagli di tempo corregge le bozze di FUL in una attenta e faticosa caccia al refuso.

Beatrice Bianchi1

Nata a Firenze nel 1991 da genitori liguri, ho imparato ad amare la mia città a poco a poco, quasi da estranea. Ho iniziato a parlare prima di camminare e da lì non ho più smesso. Comunicare è un po' la mia vocazione: in ogni modo, con ogni forma. Adoro fotografare, disegnare, scrivere. Non ho ancora ben capito quale di queste possa essere la mia strada: forse nessuna, magari tutte. Spesso perdo anche quella di casa, di strada; un po' caotica, ma entusiasta, cerco di percorrerle tutte, convinta sempre che alla fine qualcosa di buono ne uscirà. •

redazione mobile

Martina Scapigliati

Quello della Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia Settentrionale a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Gli Scapigliati erano giovani tra i venti e i trentacinque anni, nutriti di ideali e amareggiati dalla realtà, propensi alla dissipazione delle proprie energie vitali. «…tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori » (in introduzione, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno, Milano, 1862). Martina nata nel 1985. Sa leggere la musica, ama scrivere e cantare, è Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza. Vive a Firenze col suo adorato Jack Russel Napoleone, di anni 8. •

La nostra redazione è in completo movimento, composta da fiorentini autentici e da coloro che hanno trovato a Firenze la loro seconda casa. La centrale operativa è nella zona delle Cure ma l’occasione di incontri e riunioni è sempre una buona scusa per approfittare di una visita ai vari gestori di bar o locali che ormai da anni conosciamo. Una redazione mobile che trova nel supporto della rete il collante necessario per la realizzazione di ogni nuovo numero.

Renzo Ruggi

Nato ai piedi del Monte Amiata 24 anni fa. Studente di comunicazione all’Università di Firenze. Adoro scrivere, specialmente quando ho qualcosa da dire. Mi interesso di moda e costume, e amo l’artigianato in ogni sua declinazione. Per velocizzarmi, corro. Se rimane un po’ di tempo, realizzo oggetti in pelle e cuoio. •

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Ful sfide per il futuro

Una sfida per Firenze: intervista a Dario Nardella

Non capita tutti i giorni di entrare nell’ufficio del sindaco di Firenze. Interamente affrescato, pieno di arte e di storia, lascia senza fiato: un vero pezzo di storia di questa città, che ti dà l’idea dell’unicità di Firenze, ma anche del carico di attese e responsabilità che gravano sulle spalle di un singolo uomo, chiamato dai cittadini a guidarli, ad indicare la strada per i prossimi anni. A cura di Daniel Meyer

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aspetto giovanile, la disponibilità e la sicurezza pacata che trasmette Dario Nardella, da poco primo cittadino, sembrano quasi contrastare con la maestosità del luogo in cui lavora. Ma lui pare non curarsene, ed è già calato in pieno nel suo nuovo ruolo, lo sguardo ora concentrato sul presente, ora volto a orizzonti più lontani, ma sempre puntato sulle «Firenze ha sfide che questa città dovrà affrontare. Firenze vive una sempre amato le fase di centralità nell’attuale sfide impossibili, panorama politico, ma forse deve ancora capire cosa ed è questo che ha vuole fare “da grande”, come reso grande questa sarà il suo futuro. E forse, città» nessuno meglio dell’uomo

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che la guiderà per i prossimi cinque anni può raccontare come sarà, questo futuro. Firenze: città storica, dall’illustre passato. Ma che futuro immagina il sindaco per questa città tra cinque, dieci, venti anni? Quali sono le sfide che Firenze dovrà affrontare? «Firenze ha sempre amato le sfide impossibili, ed è questo che ha reso grande questa città: la cupola del Brunelleschi è lì che ce lo ricorda, ogni santa mattina che ci alziamo. Ma anche nei prossimi anni la nostra città affronterà le sue sfide impossibili: penso all’impatto che avrà la tramvia, la più grande opera pubblica degli ultimi cinquant’anni, e all’allargamento dell’aeroporto, un’altra chance che dobbiamo sfruttare fino in fondo. La riqualificazione degli impianti sportivi è un’altra sfida che possiamo giocare e vincere, e lo stesso vale per la crisi economica: se guardiamo alle carte che Firenze ha in mano, tra industria, creatività e moda, allora ciò che sembra impossibile


può invece diventare fattibile: e cioè l’idea, per esempio, che a Firenze si possa portare la disoccupazione sotto al 7%. Ecco, queste sono le grandi sfide, compresa quella culturale, anzi a cominciare da quella culturale: c’è chi dice che sarà impossibile vedere gli Uffizi completati. Tutte cose non banali, perché la banalità non appartiene al nostro Dna». Arte e cultura: un tema che – da musicista – immagino le stia a cuore. Cosa farete per riportare i giovani nei musei, alle mostre, per riavvicinarli alle iniziative culturali? «In questi cinque anni l’amministrazione Renzi ha già fatto molto. Dobbiamo però spingere ancora con maggiore decisione in questa direzione: per questo abbiamo voluto inaugurare la nuova consigliatura con l’apertura del Museo Novecento. Vogliamo rafforzare il nostro potenziale culturale: dalla Pergola al Nuovo Teatro dell’Opera, passando per la riapertura del teatro Niccolini. Un altro sogno nel cassetto è quello di trasformare l’ex cinema Capitol negli “Uffizi 3.0”, gli Uffizi del terzo millennio, con quattro piani interamente dedicati all’applicazione dei nuovi linguaggi al patrimonio culturale. Sono due le chiavi di lettura che immagino per i prossimi anni. La prima, rompere lo schema del “passato contro il futuro”, supportando eventi per i giovani come l’Estate Fiorentina, puntando sull’arte contemporanea – e non solo sui grandi nomi, ma anche sugli artisti emergenti – e sugli scambi tra paesi: presto inaugureremo delle nuove residenze per artisti in Oltrarno, nell’area del Conventino. In questa direzione va anche l’accordo con Shanghai che ha portato alla creazione di un centro dedicato a design e moda a Villa Strozzi. La seconda chiave di lettura è puntare alla cultura come veicolo di crescita della nostra comunità: questo significa mantenere alti gli investimenti e infatti anche quest’anno nel bilancio siamo riusciti ad aumentare le risorse dedicate a questo settore». Disoccupazione: un argomento critico per i giovani di oggi. Qual è la ricetta da un lato per stimolare l’occupazione giovanile e dall’altro per incentivare la nascita delle start-up? «Sono tre gli ingredienti per la ricetta che può rilanciare l’occupazione: il primo è cogliere l’occasione della nascita della città metropolitana, per elaborare delle strategie comuni con le grandi aziende del territorio, dalla moda al farmaceutico, fino alle nuove tecnologie; solo unendo le forze possiamo attrarre nuovi investimenti e far nascere progetti innovativi. Il secondo ingrediente è puntare sul modello che ho chiamato duale, annullando lo spazio che c’è tra formazione e lavoro. Lo stesso si dica per l’università, schiacciata su un modello di formazione troppo teorico: bisogna fare entrare prima le aziende nel mondo universitario. Tutto questo si collega al tema delle start-up: dobbiamo unire i vari incubatori che abbiamo sul territorio, concentrando le energie sui segmenti che per noi sono più importanti; penso a quello digitale, alle tecnologie applicate sui beni culturali, al design, alla moda. Il terzo ingrediente sta nell’apertura al mondo internazionale: stiamo lanciando l’idea dell‘Erasmus delle arti e dei mestieri” e vogliamo aprirci ai centri di ricerca e di formazione internazionali. Più abbattiamo le barriere economiche, sociali e culturali che ci separano dal resto del mondo, più possibilità diamo ai nostri giovani. Firenze deve essere una città connessa con il mondo». La “movida”: un argomento che ciclicamente torna agli onori delle cronache. Quale sarà la ricetta della vostra amministrazione? «La prima cosa è non lasciarsi trascinare da soluzioni estreme: io penso che i nostri giovani, e in generale tutti i nostri cittadini, abbiano da un lato diritto alla quiete, dall’altro il diritto e la libertà di divertirsi e vivere il tempo libero come meglio ritengono. Finché sarò sindaco non permetterò mai che Firenze diventi una sorta di “campo libero” lasciato all’anarchia, ma allo stesso tempo neanche che il centro venga “militarizzato” con un coprifuoco. Siamo sempre pronti a dire ai giovani quello che devono fare, ma spesso non altrettanto capaci di prestare loro ascolto; se lo facessimo, ci accorgeremmo che spesso ci si sballa perché non si hanno alternative, e non si sa dove andare. Dobbiamo offrirle,

ENGLISHVERSION>>>>

There’s a sharp contrast between the young look, the easy-going attitude and the self-confidence of the newly appointed Mayor of Florence, Dario Nardella, and the majesty of his office with its beautiful frescoed walls inside Palazzo Vecchio. But he seems to ignore the magnificent surroundings and to be completely absorbed by his new role. Sometimes concentrated on the present day issues, sometimes exploring farther horizons, but always focused on the challenges that the city will have to face. There is no better person than the Mayor to ask what the future of the city will be in the next five years. Florence is a historical city with an illustrious past. What future does the Mayor imagine for the city in five, ten, twenty years? What are the challenges that Florence will have to face? «Florence has always loved impossible challenges, and that’s what’s great about it. The main ones we’ll have to face in the following years are the construction of the third line of the tramway, the development of the airport, the renovation of some sports facilities and the economic recovery. Some say we’ll never see the Uffizi completed and this is another big challenge. Triviality does not belong to our DNA». Art and culture: a theme that – as a musician – must be very important for you. What are you planning to bring young people to cultural activities and exhibitions? «We want to exploit more our cultural potential. We would like to transform the former Capitol cinema in the “Uffizi 3.0”, a museum dedicated to new media and our cultural heritage. We have two main goals for the future. The first is to break the pattern of the “past versus the future” juxtaposition, supporting youth events such as the Estate Fiorentina, focusing on contemporary art and promoting exchanges between countries. In this respect, we have recently signed an agreement with the city of Shanghai that has led to the creation of a centre dedicated to fashion and design at Villa Strozzi. The second goal is to bet on culture as a mean to grow our community, luckily this year we’ve been able to increase the resources available for this sector». Unemployment: a critical issue for the young people today. What is the recipe that can increase the employment rate on one side and encourage start-ups on the other? «There are three main ingredients that can make the difference: the first is to exploit the birth of the metropolitan city and the investments and innovative projects that will come with it. The second is to fill the gap between school and work: companies must enter the universities much earlier. The third is opening to the international world: the more we work to remove the economical, social and cultural barriers that separate us from to the rest of the world, the more chances we will give to the younger generations. As per the start-ups: we must invest our resources on those segments that are most important to us, for example the digital 9.


queste alternative: progetti, eventi ma anche luoghi diversi. Per questo voglio continuare a puntare sulle Cascine per decongestionare il centro – che non vuol dire svuotarlo, ma alleggerirlo – oppure anche sulla Fortezza da Basso, che ha già ospitato eventi in passato. Però serve la collaborazione di tutti». Sport. Va bene, forza Viola, ma cosa intende fare l’amministrazione per favorire i cosiddetti sport “minori”, che poi così “minori” forse non sono? «Noi crediamo molto nello sport, un grande volano per le attività dei giovani e per l’immagine di Firenze nel mondo. Oltre al calcio, ci sono altri sport su cui vogliamo puntare le nostre energie: penso ad esempio al rugby, che è portatore di valori molto sani, o alla pallavolo femminile, quest’anno finalmente con una squadra in A1; non dimenticherei l’atletica e il canottaggio, in cui abbiamo una tradizione forte, e il basket. Vogliamo puntare sullo sport per tutti e sulla pratica sportiva amatoriale quotidiana: per questo vogliamo dare vita ad un piano di riqualificazione del nostro patrimonio di impianti sportivi e lanciare nuovi eventi sportivi». Lei è giovane e ha seguito il suo istinto entrando in politica. Oggi, la parola “politica” viene spesso usata con una brutta connotazione. Perché, secondo lei, un giovane dovrebbe appassionarsi alla politica? «Io penso che la politica abbia bisogno di buoni esempi per ripartire nel nostro paese, perché i grandi ideali camminano sulle gambe delle persone. Ho la consapevolezza di svolgere un ruolo straordinario, e proprio per questo, perché ho i riflettori puntati addosso, perché sono depositario di molte aspettative e di grande fiducia, devo essere un esempio per gli altri. Penso che la politica sia una vera e propria passione: quando la fai con il cuore aperto è una delle forme di maggiore altruismo che si possano immaginare, perché sei al servizio del bene comune. E poi la sua dimensione ideale è proprio quella cittadina: non a caso “politica” nasce da polis, città. È nelle città che ti misuri con i bisogni delle persone, con i loro desideri, i loro sogni. Un sindaco non può ignorare tutto questo, un sindaco non può non incrociare lo sguardo di un cittadino per strada». •

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technologies applied to cultural heritage, design and fashion». The “movida”, a problem that periodically is back on the headlines. What are you going to do? «As long as I am the Mayor I will never allow Florence to become a “free space” left to anarchy, but at the same time the historical centre doesn’t have to be under curfew. Often the young don’t have choices: we have to offer them alternatives projects, events and places. So I want to keep using the Cascine park and the Fortezza da Basso, which have already hosted some events in the past». Sport: what will you do to promote other sports rather than soccer? «Besides football we want to promote rugby, women’s volleyball, and also athletics, rowing (where we have already a strong tradition) and basketball. We want to support the every day amateurish sport practice, design a redevelopment plan of our sports facilities and create new sport events». As a young man, you followed your instinct and became a politician. Often today the word “politics” is used with a negative connotation. Why, in your opinion, a young person should be passionate about politics? «I think that in our country politics needs good examples if we want to recover from the crisis. The great ideals can only walk on people’s legs. Politics is a real passion, if you do it with an open heart it’s the greatest form of altruism. In the cities you can really measure the needs of people, their desires, their dreams. A Mayor cannot ignore all this, a Mayor cannot avoid to make eye contact with a citizen on the street». •


ful designer emergenti

Tanto di cappello Chi l’ha detto che non si può sognare, e poi svegliarsi un giorno e rendersi conto che il sogno si è avverato? La storia di tre ragazzi che hanno lanciato il brand Super Duper Hats, tra design all’avanguardia e cura artigianale dei materiali, e hanno vinto il concorso per designer emergenti organizzato dalla rivista Vogue è proprio quella di un sogno che si avvera. Testo di Renzo Ruggi, foto Lorenzo Ferroni

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arebbe insensato intraprendere un discorso sul cappello senza decretarne da subito la sconfitta. Ecco, il cappello è morto. Il cappello si è estinto con il '900, divenendo prima retaggio e dunque feticcio di questo secolo. È un'esigenza vecchia come il mondo quella di riparare la testa, la parte più nobile ed esposta del corpo umano. Ma, senza saper bene perché, abbiamo scelto di vivere col vento tra i capelli, estate e inverno. Eppure c'è ancora chi arde d’interesse per questo oggetto, studiandone fogge, materiali e linguaggi. Firenze fa da cornice alla storia di un incontro fortunato, quello di tre creativi con background differenti: Matteo Gioli, musicista, e le sorelle Ilaria e Veronica Cornacchini, rispettivamente architetto e designer. In breve: Super Duper Hats. La giovane azienda ha sede a Galluzzo, una frazione del capoluogo immersa nel verde a due passi dalla Certosa. Non è il solito showroom centrale, dalle linee minimali con tanto di asfissia da deodoranti per ambiente. È un laboratorio vero e proprio.

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Se a confermarlo non bastassero la gran mole di attrezzi e materiali in giro, sarebbe sufficiente concentrarsi sugli odori: inconfondibile quello della paglia e dello zolfo con cui vengono sbiancati i Panama. Il cappello è la loro passione ed il loro mestiere: ciò a cui hanno consacrato le loro vite. Tutto comincia nel 2010 quasi per gioco, in un salotto di casa adibito a laboratorio. Nasce in loro una vera ossessione per la qualità: il feltro tassativamente in lapin, lepre o castoro, le paglie antiche ormai introvabili, le guarnizioni in seta e la lavorazione a mano su forme in legno risalenti alla prima metà del secolo scorso. Il tutto con un design moderno, indirizzato ad un pubblico giovane, diverso da quello della cappelleria tradizionale. È questa la chiave del loro successo professionale: coniugare compiutamente qualità ed innovazione, ottenendo un prodotto senza termini di paragone. A monte però, oltre alla passione e al sacrificio non deve essere mancata una bella manciata di incoscienza, quell’attitudine al rischio tipica di chi fa impresa. A quale giovane laureato verrebbe in mente di fare l’artigiano, cappellaio perlopiù? Chi troverebbe il coraggio di trasformare un hobby nella propria professione? E chi si sognerebbe di farlo durante i mesi peggiori di questa crisi?

Super Duper è anche questo: la storia di tante sfide, una dentro l’altra come in una matrioska

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Super Duper è anche questo: la storia di tante sfide, una dentro l’altra come in una matrioska. All’inizio le cose non andavano bene, ma nessuno dei tre si è tirato indietro di fronte alle prime, fisiologiche difficoltà. Hanno avuto ragione: di lì a poco i primi clienti ed il primo ordine importante. «Abbiamo fatto tutto da soli, passando nottate intere a lavorare per evadere l’ordine in tempo» dice Veronica. Piano piano, si ritagliano una visibilità sempre maggiore all’interno della stampa specializzata e nelle fiere di settore. Il loro stand a Pitti Immagine Uomo diventa una calamita anche per coloro che di cappelli sanno poco o niente. Il loro carisma ed il loro stile non passano inosservati. Proprio in occasione di Pitti Immagine Uomo 2013 partecipano e vincono Who’s on next, un concorso per designer emergenti organizzato dalla rivista Vogue. È stato un vero e proprio spartiacque nella loro carriera, che in breve tempo li ha obbligati a confrontarsi con circostanze e numeri impensabili anche pochi mesi prima. Oggi, la produzione dei modelli stagionali è delegata ad una azienda artigiana non distante da Firenze: l’unica a coniugare la qualità e le quantità che il mercato richiede attualmente. I tre, oltre a disegnare di proprio pugno le collezioni, si occupano personalmente del servizio su misura: una chicca che li mantiene legati alle radici artigianali del loro mestiere. Un po’ come in una bottega tradizionale quindi, dove i committenti e i loro desideri sono una fonte inesauribile di ispirazione e di miglioramento. E Super Duper, come in una favola bella e senza tempo, è il luogo dove i desideri diventano realtà. • www.superduperhats.com/it


ENGLISHVERSION>>>> Florence is the backdrop to the fortunate encounter between three creative minds with three different backgrounds: Matthew Gioli, musician, and sisters Veronica and Ilaria Cornacchini, respectively architect and designer. In short: Super Duper Hats. The young company has its headquarter in Galluzzo, a fraction of Florence surrounded by the green, just a short walk from the renowned Certosa. They don’t have the usual showroom, characterized by minimal lines and an intoxicating smell of air freshener, their’s is a real laboratory Lots of tools and materials are scattered around and the odor of straw and the sulfur which are used to whiten Panama hats fills the air. Everything started in 2010 in a living room used as a laboratory, just for fun. Hats are their passion and their profession, they have consecrated their lives to them. An obsession for quality, a modern design that appeals to young audiences, an alternative to the traditional headgear: this is the key to their professional success, a combination of quality and innovation, a product with no other match on the market. Super Duper is the story of many challenges, one inside the other, like a Russian doll. At first things were not going well, but neither of them pulled back when the firsts physiological difficulties showed up. They were right: soon the first customers and the first major order arrived. Slowly, they managed to get greater visibility in the specialized press and during trade fairs. Their stand at Pitti Immagine Uomo became a magnet, their charisma and their style did not go unnoticed. On the occasion of Pitti Immagine Uomo 2013, Super Duper Hats participated and won Who’s on next, a competition for emerging designers organized by Vogue. It was a real watershed in their career, which soon forced them to deal with circumstances and numbers that were unthinkable even a few months earlier. The three, in addition to designing their own collections, personally take care of the tailored service: a specialty that keeps them tied to the artisan roots of their craft; as in a traditional workshop, where customers and their desires are an endless source of inspiration and improvement. And Super Duper, as in a beautiful and timeless fairy tale, it is the place where wishes come true.•

13.


ful sfide vincenti

INSIEME PER COMBATTERE IL TUMORE AL SENO:

le Florence Dragon Lady C’è un gruppo di donne che hanno sconfitto la malattia e si sono unite in una sfida comune: sono le Florence Dragon Lady, un team di Dragon Boat, disciplina sportiva di origini orientali che ha la sue campionesse anche a Firenze. Testo Jacopo Naldi, foto Florence Dragon Lady

L

a squadra delle Florence Dragon Lady è nata nel 2006, allenata da Alessandro Piccardi della Canottieri Firenze, ed è campione d’Italia dei 200 e 500 metri. A ottobre parteciperà al IV Festival Internazionale che si terrà a Sarasota, in Florida. Questo raduno, organizzato ogni quattro anni dalla Commissione Internazionale Donne in Rosa si articola in convegni, workshop e soprattutto gare di Dragon Boat che vedono iscritte ben novantotto squadre, fra cui quella di Firenze. Il Dragon Boat è una disciplina sportiva di origini orientali .14

che prevede gare su imbarcazioni di quasi tredici metri con testa e coda a forma di dragone, spinte da venti atleti (dieci per lato) con pagaie simili a quelle della canoa canadese, al ritmo scandito del tamburino, mentre il timoniere a poppa tiene la direzione con un remo lungo circa tre metri. La forza delle Florence Dragon Lady e ciò che le unisce è il fatto di essere state tutte operate di tumore al seno. Questa comune esperienza ha dato loro l’energia e la solidarietà per poter affrontare assieme, come se fossero un corpo unico, la competizione, e le ha rese vincenti. Il motto delle Dragon Ladies


aderito al progetto “Adotta una Florence Dragon Lady” (per informazioni: info@florencedragonlady.it e www. florencedragonlady.it) ma si aspettano ancora sponsor e gesti di solidarietà; chiunque – società, associazioni o singoli privati – può rendere possibile tutto questo con una donazione, deducibile ai fini fiscali. Il loro entusiasmo è grande e la loro voglia di vivere è più forte e consapevole di prima. •

è «insieme per combattere il tumore al seno», e infatti è fondamentale che la squadra sia compatta e che tutte le componenti del team remino insieme a tempo per raggiungere lo stesso scopo, sconfiggendo le paure e alimentando lo spirito di squadra. In questo gruppo, eterogeneo per età e classi sociali, le differenze sono un punto di forza e aumentano la solidarietà e il volersi bene in maniera genuina. Le Dragon Ladies ogni anno partecipano, con tutte e tre le barche a loro disposizione, alla cerimonia dei fiori: gettano fiori nell’acqua del fiume per non dimenticarsi di chi non ce l’ha fatta e non è riuscita a superare la lotta contro il tumore. La realizzazione del progetto è avvenuta grazie alla collaborazione tra il servizio “Donna come Prima”, all’interno della sezione di Firenze della Lega Italiana contro i Tumori (Lilt) e la Canottieri Comunali Firenze, per permettere alle donne operate di ritrovare il pieno equilibrio psico-fisico attraverso lo sport in un ambiente ideale a contatto con l’acqua,

è fondamentale che la squadra sia compatta e che tutte le componenti del team remino insieme a tempo per raggiungere lo stesso scopo, sconfiggendo le paure e alimentando lo spirito di squadra.

all’aria aperta e in compagnia. L’idea rivoluzionaria del Dragon Boat per le donne operate al seno si realizzò la prima volta con il progetto “Abreast in a boat” ideato nel 1996 da un gruppo di medici con a capo il dottor Donald McKenzie. Lo scopo era quello di avvalorare o meno la teoria secondo la quale andavano evitate attività sportive ripetitive che impegnassero la parte superiore del corpo per prevenire il sorgere di un linfoedema, cioè il rigonfiamento di braccia e torace che si sviluppa con frequenza dopo un intervento di chirurgia al seno. Il programma di allenamento messo a punto dal medico canadese, della durata di sei settimane, permise a ventiquattro donne operate di partecipare all’International Dragon Boat Festival del giugno 1996 a Vancouver. L’esito fu molto positivo e portò alla diffusione in tutto il mondo del messaggio che non bisogna nascondersi o chiudersi nel dolore, perché la malattia può essere superata serenamente e pienamente tornando ad una vita piena e attiva. Questo sport arrivò in Italia per la prima volta nel 1988 sul lago romano dell’Eur, attuale sede della Federazione Italiana Dragon Boat. Ha continuato a diffondersi e in tutto il mondo ad oggi ci sono un centinaio di squadre come quella delle nostre atlete fiorentine. Per poter permettere a tutte e ventidue le donne che compongono la squadra di partecipare al gran completo all’appuntamento internazionale del prossimo autunno, in molti hanno già

ENGLISHVERSION>>>> The Dragon Lady team was born in 2006, coached by Alessandro Piccardi from the Canottieri Firenze club and it is Italian champion of the 200 and 500 meters. In October the team will participate to the IV International Festival in Sarasota, Florida. This international gathering, organized every four years by the International Breast Cancer Paddlers’ Commission, hosts conferences, workshops and Dragon Boat races that involve ninety-eight teams, including that of Florence. The strength of these women and what keeps them together is that they all underwent a breast cancer surgery. Sharing their experience gave them the energy to face together, as if they were a single body, the competition and turned them into winners. The motto of the Dragon Ladies is «together to fight breast cancer» and, in fact, it is crucial that the team is compact and row together in sync to reach the same goals: defeating the fears and nurturing the spirit of the group. The revolutionary idea of suggesting Dragon Boat to women that underwent breast surgery was implemented thanks to the "Abreast in a boat" project, launched in 1996 by a group of doctors headed by Dr. Donald McKenzie. The six-week-training program, developed by the Canadian physician, operated twenty-four women who then participated to the International Dragon Boat Festival held in Vancouver in June 1996. Many have already joined the project “Adopt a Florence Dragon Lady” to support every single member of the team and allow their participation to the international event that takes place in autumn, but more sponsors and solidarity are needed. Anyone – companies, associations or privates – can make it possible with a donation, which is deductible for tax purposes (for more information: info@florencedragonlady.it and www.florencedragonlady.it). Their enthusiasm is great, and their will to live is stronger and more aware than before.• 15.


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«FACCIO IL

Ful around the world

GIRO DEL MONDO IN MOTO E TORNO...»

Partire da Campi Bisenzio in moto e fare il giro del mondo: sembra una storia da film, eppure è successo davvero. Protagonista Gionata Nencini, che ha fatto della sua irrequietezza uno stile di vita e non è tornato solo... Testo di Jacopo Naldi, foto Gionata Nencini

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aveva promesso, e lo ha fatto: 250mila km percorsi, 42 paesi e quattro continenti attraversati, cinque paesi in cui ha lavorato, due in cui ha svolto volontariato, tre lingue apprese, due progetti umanitari per gli orfani in difficoltà (tra cui una casa costruita per i bambini in Bolivia), un incidente, un giro in moto realizzato senza visti, senza patente internazionale, senza carnet, senza vaccini, senza Gps, senza kit riparazione gomme o compressore, senza la ben che minima competenza meccanica e diagnostica, senza esperienza di guida su sterrato e senza una scorta di ricambi essenziali. Questa è la storia di Gionata Nencini, partito l’8 maggio 2005, ad appena ventuno anni, in sella ad una Honda Transalp usata di terza mano del 1987, poche migliaia di euro in tasca, con una bottiglia d’olio d’oliva sulla forcella destra, un barattolo di sale fino su quella sinistra, una chitarra e tanta voglia di andare. La sua era un’urgenza, quella di assecondare la propria volontà e dedicarsi a qualcosa in cui credeva, senza preoccuparsi della distanza, senza tempi obbligati ma spinto dalla passione e dalla curiosità di essere protagonista di un viaggio nel mondo. La sua avventura, con la A maiuscola, («sennò non l’avrei fatta»), è durata otto anni in solitaria per far ritorno a casa l’8 maggio del 2013 con la sua compagna, conosciuta in Sudamerica, e sua figlia. In questo lungo giro la sua unica vera preoccupazione era aggiornare il suo blog, unico contatto con la società che si era lasciato alle spalle, per dimostrare che il suo sogno, («come quelli di tutti che ambiscono»), era possibile, e da lì è nato Partire per (www.partireper.it), il suo diario di viaggio online che oggi è un punto di riferimento per tutti gli appassionati di moto e

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ENGLISHVERSION>>>> He made a promise, and he kept it: he traveled for 250 thousand kilometers, he crossed 42 countries and four continents, he worked in five different countries, volunteered in two, he learned three languages​​, he was involved in two humanitarian projects for orphans in distress (including the construction of house for children in Bolivia), he had an accident, rode the motorcycle through the world without visas, without international driving license, without carnet, no vaccines, no GPS, no compressor or tire repair kit, without the slightest mechanical competence, with no experience of driving on dirt roads and without a supply of essential spare parts. This is the story of Gionata Nencini, who left Campi Bisenzio on May 8th, 2005, when he was just twenty-one years old, riding a thirdhand used 1987 Honda Transalp. He had a few thousand Euros in his pocket, a bottle of olive oil on the right fork, a jar of salt on the left, a guitar and a lot of determination. He felt an urgency, that of following his willingness to engage in something he believed in, regardless of any distance, with no scheduled time, driven by passion and the curiosity to take a trip around the world in first person. His solitary adventure, with capital A, lasted eight years until his return home on May 8th, 2013 with his girlfriend, whom he met in South America, and his daughter. Partire per (www.partireper.it), his online diary, is now a point of reference for motorcycle enthusiasts and anyone looking for advice and encouragement to face their own personal challenge. «At the beginning the most difficult thing was to convince myself I could do it. After high school, I was interested in many universities. I couldn’t choose... So I decided I wasn’t going to miss anything truly essential, and after months of preparation I started my journey». Today his life is represented by the family, his old friends, and Italy, which he chose as a base to continue on his journey and become an adult. He always wanted to come back at one point, although what he really cannot understand is what he calls «the key syndrome» that is, the Italian sense of attachment to things, which he sees as a limit to human and social relations. «Life is all about practice, each of us makes a difference for himself and the others – that’s what I learned – my journey is not finished, it became my lifestyle». •


di tutti coloro che cercano consigli e un po’ di coraggio per affrontare la propria sfida personale. «Convincermi di poterlo fare all’inizio è stata la difficoltà più grossa. Finito il liceo, sfogliavo i dépliant delle possibili università da fare e le avrei fatte un po’ tutte... così, data l’indecisione, ho deciso di fare qualcosa di veramente essenziale e dopo mesi di preparazione sono partito». Il suo è stato un viaggio scandito anche da mille difficoltà personali ed esterne, ma a braccetto con la propria libertà d’azione, l’istinto e l’essere se stesso che Gionata definisce il suo grande privilegio. Insieme al mondo e alla solitudine, la base del suo triangolo è stata la moto, o meglio il poter viaggiare in moto. La sua scelta è stata dettata non tanto dalla passione per le due ruote, di cui non si sente assolutamente un patito, ma dalla visione della vita e dalla cornice del mondo che l’andare in moto gli poteva regalare. «La prima moto, nonostante l’incidente del 2009, la tengo ancora in garage, l’altra la uso ancora ma per me è stato solo un mezzo di trasporto, ci siamo aiutati a vicenda, ma non ci parlo, ecco». Di tutte le esperienze vissute quella che ricorda con più rilevanza è stato proprio l’anno del traguardo e dell’imprevisto che lui chiama il «momento fenice» della sua avventura, perché dopo aver raggiunto l’agognato autofinanziamento ha subìto un pericoloso incidente nella giungla boliviana che sembrava aver interrotto il suo sogno. «Lì con la passione e la crescita personale maturata negli anni ho deciso di non mollare» anche perché le lacrime le aveva già versate anni prima, di felicità pura e ininterrotta, quando dopo soli quattro mesi di viaggio, alle 6.40 di un mattino, appoggiato alla ringhiera di un traghetto vide tra la nebbia, in una perfetta ambientazione da film, la costa giapponese e lì realizzò che «era davvero tutto reale, stavo vivendo!». Oggi la sua realtà è la famiglia, gli amici di sempre e l’Italia, che dopo tanto girovagare ha scelto come base per continuare nel proprio viaggio e diventare adulto. Il suo è stato un ritorno voluto anche se quello che proprio non capisce è quella che definisce «sindrome della chiave», cioè il senso di appartenenza, tutto italiano, solo alle nostre cose, che ci limita nei rapporti umani e sociali. «La vita è pratica, ognuno di noi fa la differenza per se stesso e gli altri – ecco quello che ho imparato – il mio viaggio non è finito, ne ho fatto uno stile di vita». •

«Il mio viaggio non è finito, ne ho fatto uno stile di vita».

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Ful sfide di civiltà

Lei disse sì: la sfida della normalità

Una storia d’amore che diventa un caso, e dà vita ad un dibattito civile. Perché è una storia d’amore che per la legge, non è uguale alle altre: è quella di Ingrid Lamminpää e Lorenza Soldani, che hanno girato un film per raccontare la loro storia. Che, in fondo, è quella di una famiglia come tante. Testo di Jacopo Aiazzi, foto Lei disse si

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uesta storia si svolge a gennaio 2014, e parla di una coppia di donne che convolano a nozze, degli ostacoli che hanno trovato sul loro cammino e dei successi che sono riuscite a raggiungere. La storia inizia in Italia, dove le due giovani donne si incontrano e s’innamorano, ma continua in Svezia perché nel bel Paese, semplicemente, non poteva svolgersi. Ė la storia di Ingrid Lamminpää e Lorenza Soldani che con la regia di Maria Pecchioli realizzano un film che in poco tempo diventa un manifesto dei diritti civili. Lei disse sì è una pellicola che documenta un matrimonio, ma soprattutto una battaglia per l’uguaglianza. Mi accolgono nel loro ufficio con voci calme e sguardi complici, che si cercano con insistente dolcezza, come se le parole da pronunciare fossero pensate contemporaneamente da due cervelli. Ė così che si presentano Lorenza e Ingrid, le due sposine che lottano a favore del matrimonio omosessuale. Perché decidere di rinunciare all’alibi di poter dire al proprio partner «tesoro, non sono io che non voglio sposarti ma è la società che ce lo impedisce»? .20


L: «Io non mi sarei posta la questione di sposarmi, perché non era una cosa su cui avessi mai riflettuto, lei invece – Ingrid - ha più la propensione verso le cerimonie». I: «A me piacciono i riti». L: «Esatto, perché anche il rito è importante, è un riconoscimento sociale. Oltre a questo, c’è una mancanza di tutele e diritti. Per esempio, in questo periodo stiamo affrontando la ristrutturazione della casa e non possiamo accedere alle normali agevolazioni previste in questi casi». I: «Faremo un prestito personale a nome mio o a nome suo. Una cosa assurda. E questo è solo un esempio...». L: «...positivo. Perché se lei si sente male o qualcuno di noi muore... Tiè!».

«la famiglia non è da intendersi esclusivamente come la famiglia di sangue, ma come la comunità in cui vivi, le persone che scegli di avere intorno» I: «Devi affidarti al buon senso delle persone che hai accanto. Nel mio caso, il buon senso della mia famiglia di origine è un po’ scarso. Da tempo ho rotto i rapporti con loro, e immaginano uno scenario in cui io sto male, sono all’ospedale, magari anche non cosciente, e lei non potrebbe venirmi a trovare». I rapporti familiari sono stati un intralcio nel vostro percorso di coppia? I: «Sì, ma questo può succedere a chiunque. Secondo noi, la famiglia non è da intendersi esclusivamente come la famiglia di sangue, ma come la comunità in cui vivi, le persone che scegli di avere intorno. Poter essere presente anche per i figli degli altri, non soltanto per i figli di sangue. Noi questa cosa la sentiamo molto anche nei confronti degli amici che hanno figli giovani e neonati. Bisognerebbe cercare di allargare il concetto di famiglia a quello di micro-comunità». Tornando alle adozioni, molte persone pensano che un bambino che viene cresciuto da una coppia omosessuale avrà delle turbe, come se invece gli altri bambini fossero dei perfetti esempi di equilibrio. Voiosa ne pensate? I: «I figli sono di chi li cresce, il loro orientamento non è dovuto esclusivamente all’orientamento dei genitori: io allora dovrei essere figlia di omosessuali perché sono omosessuale? Ė semplicemente una teoria che si regge sul niente, soltanto sulla paura e sull’ignoranza delle persone. Ci sono figli di coppie omogenitoriali ormai alla seconda generazione: in Italia forse sono più giovani, però dall’America abbiamo una moltitudine di esempi. Ad una famiglia etero non viene chiesto il patentino di “bravi genitori”, per cui non capisco perché ci si accanisca sulla capacità di due persone dello stesso sesso di poter crescere dei figli».

ENGLISHVERSION>>>> In January 2014, a couple of women got married, this is the story of their obstacles and the goals they have achieved. Ingrid Lamminpää and Lorenza Soldani with the direction of Maria Pecchioli turned their wedding story into a movie that has rather quickly become a civil rights’ manifesto. Lei disse sì is a documentary film but also a battle for equality. Why did you choose to renounce to the alibi of being able to tell your partner «honey, it’s not me who don’t want to marry you, but it’s society that prevents us»? L: «The ritual is important, it is a social recognition, there is a lack of protections and rights». I: «You have to rely on the good sense of the people who are next to you. In my case, the good sense of my family of origin is a bit poor. For a long time, I didn’t have relations with them and what if I was going to be sick, recovered in hospital, completely unconscious and she could not visit me...». Family relationships were an obstacle in your path as a couple? I: «Yes, but this can happen to anyone. For us, family is not just blood family, but the community in which you live, the people you choose to have around. One should try to broaden the concept of family to that of micro-community». What do you think about adoption? I: «The children belong to the people who grow them, their future sexual orientation is not exclusively due to the orientation of the parents: am I supposed to be the daughter of homosexuals because I am homosexual? You don’t require a “good-parents-license” from a heterosexual family, so why all eyes are concentrate on the supposed inability of two people of the same sex to be able to raise children?». After the battle on marriages are you also going to fight for adoptions? I: «The civil battles go hand in hand, marriage involves obtaining certain rights». L: «I believe that the battles on civil unions are everybody’s battles. The film we made was presented to Biografilm Festival in Bologna, which is not a genre festival, but a festival of biographies. We really like the idea of broadening the horizon of vision on certain issues, to make their perception more collective: everybody fighting for the rights of everybody». •

Dopo la battaglia sui matrimoni farete anche quella sulle adozioni? I: «I riconoscimenti civili vanno di pari passo, il matrimonio comporta l’ottenimento di determinati diritti. Le unioni civili sono un’altra cosa perché prevedono una diversa procedura per le Child Adoptions. Perché non fare un tutt’uno?». L: «La proposta di legge di adesso, quella sulle unioni civili, riguarda soltanto le coppie omosessuali, cioè si sta parlando cdi ghettizzarle ancora di più. Io credo che le battaglie sulle unioni civili siano un po’ le battaglie di tutti. Il film che abbiamo fatto è stato presentato al BiograFilm Festival a Bologna, che non è un festival di genere, ma un festival che parla di biografie. Ci piace proprio l’idea di allargare la visione su determinate tematiche in un senso più collettivo: lottare tutti per i diritti di tutti». •

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Stasera cucino io. Al ristorante... foto di Riccardo Sartori

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cuola di cucina, ristorante dove gustare cene a tema, che ospita cucine di tutto il mondo, ritrovo dove organizzare una cena con gli amici: si fatica a dare una definizione di Food Studio perché è tutto questo, e molto altro ancora... Incastonato nella suggestiva cornice di via dell’Ardiglione, nel cuore dell’Oltrarno, tra piazza Santo Spirito e piazza del Carmine, è un posto davvero unico a Firenze e ogni definizione sarebbe superflua: bisogna

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passare di qui per capire davvero quello di cui stiamo parlando, toccarlo con mano, sentirlo, ma soprattutto assaggiarlo. E vi garantiamo che ne vale le pena... L’idea è venuta a due giovani fiorentini: Paolo Dellafiore, che dopo aver girato il mondo per lavoro è tornato alla “sua” Firenze carico di idee e progetti innovativi, e Giorgio Pinto, giovane e appassionato chef. Amanti della buona cucina e della buona compagnia, ma anche stanchi dei “soliti” posti e dei soliti rituali, hanno deciso di fare


qualcosa di diverso e di unico. Nasce così Food Studio: uno spazio elegante e luminoso, impreziosito da dettagli come il bellissimo tavolo in legno ad opera dell’artista Leonardo Magnani (in cui pezzi di antiquariato pregiato convivono accanto a oggetti di design contemporaneo – che, volendo, sono anche in vendita), una bellissima cucina aperta con il soffitto di vetro a vista e un terrazzo immerso nel cuore di Firenze con un piccolo orto biologico. Pochi minuti qui e ci si dimentica di essere in un locale: sembra di essere a casa, ospiti di un amico, e ci si rilassa davvero. Un progetto giovane e innovativo, nato con il supporto di un grande nome della cucina fiorentina, quello di Benedetta Vitali che ha più di trent’anni di esperienza in locali storici come il Cibreo e lo Zibibbo, una fama internazionale come insegnante di cucina e soprattutto un’instancabile passione per la qualità dei cibi e per l’innovazione. Si può dire che sia ormai un’istituzione a Firenze. Benedetta è la “direttrice artistica” (il termine calza a pennello per la sua arte culinaria) che dà le linee guida alla scuola di cucina e si alterna assieme ad altri insegnanti sui fornelli. La sua idea è semplice quanto in un certo senso rivoluzionaria: quella di spingere la gente a cucinare – non importa se in maniera semplice e non “da ristorante” – tenendo sempre a mente l’equilibrio alimentare e la selezione degli ingredienti. Tre sono i corsi principali che si svolgono a Food Studio: cucina tradizionale, panificazione e pasticceria, ma con la flessibilità di adattarsi alle preferenze di chi si iscrive e dei

menu che vengono richiesti, perché la cucina e i gusti sono diversi da persona a persona. Per chi vuole passare qui una bella serata con gli amici ci sono due alternative. La prima è You cook: inviti gli amici e cucini per loro, con l’aiuto degli chef di Food Studio puoi preparare un menu ad hoc, imparando nel frattempo anche qualche ricetta e qualche trucchetto che tornerà utile anche in futuro. La seconda è We cook: puoi ospitare fino a 30 persone, prenotando una cena secondo le tue preferenze per poi gustarla in relax in un ambiente amichevole dove puoi scegliere il sottofondo musicale, scambiare due chiacchiere con lo chef e personalizzare il tavolo. Non mancano poi le serate a tema, sempre secondo la filosofia di Food Studio, dedicate a prodotti di qualità come il vino, l’olio, il peperoncino, la pasta fatta in casa, ma anche a cibi di culture diverse provenienti da tutto il mondo: Cina, Sri Lanka, Thailandia... Non ci sono confini: ma non aspettatevi un ristorante etnico, perché qui si gusta solo cucina con sapori e ingredienti autentici. Food Studio rappresenta un nuovo concetto, unico a Firenze: da un lato la passione per la vera cucina, per gli ingredienti biologici selezionati, per la tradizione coniugata alla sperimentazione, dall’altro la riscoperta di quelle che Benedetta Vitali chiama “dinamiche relazionali”, l’incontro, la condivisione, il piacere di ritrovarsi attorno a una tavola con gli amici. Magari imparando anche qualcosa, perché no?

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ful – sfide eroiche

EROICI SENZA TEMPO La campagna toscana è invasa da centinaia di ciclisti che sembrano usciti dal periodo delle epiche sfide tra Coppi e Bartali. Ma non è il remake di un film d’epoca: è L’Eroica, una vera e propria competizione riservata alle bici d’epoca. Tra panorami mozzafiato e spuntini all’aria aperta l’importante è divertirsi e... arrivare al traguardo!

A cura di Julian Biondi foto press office L'Eroica e Tommaso Casalotti

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ercate la tranquillità e avete in programma un fine settimana in Chianti? Basta che non andiate la prima settimana di ottobre quando le sue strade saranno invase da migliaia di ciclisti e di personaggi apparentemente saltati fuori da un film di Dino Risi. Che cosa sta succedendo? È in corso la gara di biciclette più romantica e spettacolare che ci sia. L‘Eroica nasce nel 1997 per amore di quel ciclismo che ha fatto scrivere un bel po' di storia e tanta letteratura italiana. Alla ricerca delle radici di uno sport dalla grande anima popolare e della riscoperta della bellezza della fatica e del gusto dell‘impresa. Il primo anno gli iscritti erano solo 92. Lo scorso anno i “cacciatori di emozioni” erano oltre cinquemila, dei quali più di un terzo stranieri. Il sogno degli organizzatori è quello di valorizzare il patrimonio ambientale della Toscana, in particolare di far conoscere quelle strade di campagna battute poco sia dai piedi che dagli pneumatici. Il percorso integrale è di 209 chilometri, quasi interamente su strade bianche: attraversa il Chianti, la Valderba, Montalcino, le Crete e la Val d'Orcia. Non tutti ovviamente hanno la preparazione adeguata ad un tracciato così impegnativo e quindi, dato che L'Eroica nasce anche affinché ognuno possa fare l'eroe a modo suo, sono previsti tre percorsi più brevi, il più corto è di 38 chilometri. Tra i partecipanti vi sono le persone più varie: dal ciclista professionista al pensionato chiantigiano, passando per il giovane alla moda che si fa crescere i baffetti per l'occasione e per il turista tedesco amante della Toscana. Ci sono quelli che la gara la prendono sul serio e che, armati di zaino con sacco a pelo, macinano chilometri fin dalla prime luci del mattino e al calar della sera si buttano a dormire poche ore in un campo

tra i partecipanti vi sono le persone più varie: dal ciclista professionista al pensionato chiantigiano, passando per il giovane alla moda che si fa crescere i baffetti per l’occasione .24


prima di ricominciare. Ci sono però anche quelli che “potrei fare il percorso lungo ma faccio quello corto” perché preferiscono godersi il panorama e fermarsi nei punti di ristoro presenti sul percorso. Difficile biasimarli, dato che questi sono dei veri e propri banchetti a cielo aperto. Salumi, piatti tipici e vino serviti da persone allegre e sorridenti che certamente rendono difficile ripartire. Nella filosofia de L'Eroica c'è anche questo: incentivare uno stile di vita sostenibile, valorizzare le piccole aziende che si impegnano in questo settore e sostenere un‘idea di ciclismo sano, in cui la competizione è intesa come una gara tra persone con la stessa passione e quindi... tra amici. Un modello vincente: lo testimoniano i numeri, che di anno in anno sono cresciuti a dismisura, rendendo necessario porre un limite massimo di partecipanti, che per la maggior parte vengono sorteggiati (con alcune fasce agevolate: le donne e gli “over 60”). Un successo tale che L’Eroica è uscita dalle terre di Siena ed è arrivata sino alle pendici del monte Fuji nel 2013 con la prima edizione de L‘Eroica Japan. Ha ripreso poi un aereo ed è atterrata in Inghilterra, nel Peak District National Park, dove il 20 giugno di quest'anno è stata inaugurata la prima edizione de L‘Eroica Britannia. Questo numero di FUL, che ha come tema “la sfida”, non poteva non tener conto della grande sfida che gli organizzatori hanno lanciato qualche anno fa e delle piccole grandi sfide che ogni “eroico senza tempo” fa con se stesso inforcando la propria due ruote. •

ENGLISHVERSION>>>> This year, the first week of October, if you are going to spend a weekend in the countryside, in Chianti or Val d’Orcia, don’t be surprised if your peace will be disturbed by thousands of people standing along the side of the road and dozens of funny characters jumped out of an old Dino Risi movie. You are witnessing one of the most romantic and spectacular bike race in the world. The Eroica was born in 1997 in the name of cycling, that old-fashioned idea of cycling that is part of Italian literature and history. The idea is to go back to the roots of this great popular sport and rediscover the beauty of exertion and the taste for adventure. The first year there were only 92 participants. During last year edition, the “thrill-seekers” were more than five thousand, more than a third were foreigners. The dream of the organizers is to make the most out of the heritage of Tuscany, to introduce people to all those little country roads that are not so well known. The integral course is 209 kilometers long, almost entirely off paved roads. It crosses the Chianti, the Valderba, Montalcino, the Crete and the Val d’Orcia. Among the participants there are all kinds of people: from the retired professional cyclist from Chianti, to stylish young men who grow a mustache just for the occasion and German tourists in love with Tuscany. Part of the philosophy of L’Eroica aims to encourage a sustainable lifestyle, to promote the small enterprises that are committed to this industry and a healthy idea of cycling ​​ in which the competition is just a contest between people with the same passion, between friends. L’Eroica was so successful that from the lands of Siena arrived even to Mount Fuji, the first edition of L’Eroica Japan was in 2013. The event also landed in England, in the Peak District National Park where last June the first L’Eroica Britannia was held. •


FUL Hollywood e icone

>>> Marilyn

L’UOMO CHE DIPINGEVA I FILM Silvano Campeggi ha portato Hollywood in Italia. Le sue immagini hanno accompagnato al cinema intere generazioni di italiani, che grazie a lui hanno potuto conoscere mondi lontani e storie straordinarie. Straordinarie come lui, che passati i novant’anni, non smette di sognare e lavora ad un progetto dopo l’altro. Testo di Martina Scapigliati, opere dell'artista .26

N

ano, disegnatore e pittore, fiorentino di nascita, americano d’adozione: abita sulle colline di Bagno a Ripoli e in realtà è un gigante. Siamo nella casa che ha costruito con il suo amore: la moglie Elena, manager del Maestro e sua compagna di una vita, soggetto di un’infinità di ritratti. Nano fuma la Pall Mall che gli offro, mentre sorseggiamo una tazza per metà d’orzo e metà caffè, ed è un Nano felice perché dice: «Ho smesso… fumo solo quando sono felice». Silvano Campeggi è uno di quegli esseri che ti fanno pensare che il tempo sia una dimensione di cui l’uomo avrebbe potuto tranquillamente fare a meno: proviene da un’epoca che ha concluso un ciclo o tutti i cicli, che lui ha trascorso disegnando e in cui ora, novantaduenne, conserva la splendida figura del divo hollywoodiano, lui che Hollywood l’ha ritratta e iconizzata. Nato dall’amore di genitori aretini, entram-


bi grafici, Nano frequenta l’accademia d’arte di Porta Romana di Firenze. Fin dalla primissima infanzia, una speciale e sincera amicizia lo lega all’artista Ottone Rosai, il quale gli darà i voti all’accademia fino al tempo della sua maturità. Lavora giovanissimo in una zincotipia, con la guerra che fa da contorno e che lo segna. Il secondo giorno dalla liberazione di Firenze, ecco l’incontro fortuito, inaspettato con la direttrice della Croce Rossa Americana che lo porta oltreoceano: da lì, l’occasione per dar sfogo al suo talento. «Facevo ritratti ai soldati americani, quelli che volevano mandare qualcosa a casa…», e poi è arrivato l’ingaggio con la casa cinematografica Scalera Film per cui Campeggi ha disegnato il suo primo manifesto, appena ventitreenne, per il film Aquila Nera di Riccardo Freda. Era il 1946. La pellicola fu campione d’incassi. E insieme a quella, crebbe anche la fama di Nano. Tra il 1945 e il 1970, Campeggi infatti da Firenze arrivò giovanissimo all’America dei cinematografi, realizzando i migliori, i primi, magnifici e storici esemplari dei manifesti per i film: Casablanca, Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi, West Side Story, La gatta sul tetto che scotta, Vincitori e vinti, Exodus, Colazione da Tiffany, Ben Hur, Via col Vento, passando per Sofia Loren e Marilyn Monroe, Alain Delon, Ava Gardner, Audrey Hepburn. Nei manifesti Campeggi imprime immagini dal tratto deciso, che non conosce indugio, colorati e lavorati sapientemente, freschi, puliti, e al tempo stesso attraenti, efficaci e persuasivi, che invogliano a sedere nella sala buia del cinematografo e che, appesi ai muri delle città, da semplici manifesti si trasformavano in simboli. Il Maestro si racconta ma è discreto, di poche parole; piuttosto, allunga sul tavolo un’infinità di fogli, disegni, progetti, ritratti e manifesti preziosi: il patrimonio di una vita di lavoro. Ricorda l’incontro con Marilyn Monroe, la quale dovendosi far ritrarre per il manifesto del film Il principe e la ballerina (1957) arrivò nel suo studio in ritardo e per prima cosa sibilò un: «Maestro… do I need to get undressed?»… Campeggi ha conosciuto e ritratto la diva ben prima di Andy Warhol, motivo per cui è in trattativa per l’esposizione dei suoi lavori alla galleria MOMA di New York. Grazie alla sua prolifica carriera, Nano ha esposto in tutta Europa, non solo grazie ai lavori per il cinema, ed è tutt’ora spesso in America: «Sono sempre stato un grosso produttore di lavoro» dice, «e non è mai stato un lavoro tormentato… andavo a letto la sera con un’immagine impressa in mente e il giorno dopo la realizzavo». E così sono andati, serenamente, più di

Silvano Campeggi è uno di quegli esseri che ti fanno pensare che il tempo sia una dimensione di cui l’uomo avrebbe potuto tranquillamente fare a meno

>>> West Side Story

>>> Gigi


3.000 lavori, quasi 2.500 per film americani, oltre che per la MGM anche per Warner Brothers, Paramount, Universal, Columbia Pictures, United Artists, RKO e Twentieth Century Fox. Ha ricevuto una laurea ad honorem ed è stato docente di Visual Design all’Università di Architettura di Firenze, le Poste Italiane gli hanno dedicato un francobollo, è stato insignito di molti titoli, non ultimo quello del Fiorino d’Oro della città di Firenze. «La vita» - dice un mio amico - «è fatta di ciò che l’uomo pensa tutto il giorno». Nano ha vissuto una vita da film. E si direbbe non a caso. •

>>> James Dean ENGLISHVERSION>>>> Silvano Campeggi, or “Nano” as everyone calls him, attended the Academy of Art in Porta Romana, Florence. From his earliest childhood, he was bound by a special and sincere friendship to the artist Ottone Rosai. When the war broke out, he was working in a zincography. Those years left a strong mark on his personality. On the second day after the liberation of Florence, he met the director of the American Red Cross. At that time he didn’t know that such an unexpected encounter would change his life. He crossed the Atlantic and went to America where he had the opportunity to show his real talent. «I used to portray American soldiers, who wanted to send something home...» he recalls, and then came the engagement with the movie studio Scalera Film, for which at only twenty-three years old he designed his first poster, the movie was Aquila Nera by Riccardo Freda. It was 1946: the film was a blockbuster and along with that, the fame of Nano grew increasingly. Between 1945 and 1970, Campeggi was the author behind the first, magnificent historical posters for the movies Casablanca, Singin’ in the Rain, An American in Paris, West Side Story, Cat on a Hot Tin Roof, Winners and Losers, Exodus, Breakfast at Tiffany’s, Ben Hur, Gone with the Wind, depicting all the greatest actors of these years from Sofia Loren

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>>> Silvano Campeggi

to Marilyn Monroe, Alain Delon, Ava Gardner, Audrey Hepburn and many others. The Maestro doesn’t talk much, he prefers to let his works speak for him and spreads on the table an infinite number of sheets, drawings, plans, portraits and precious posters: the legacy of a lifetime of work. Remembering the encounter with Marilyn Monroe, whom he painted for the poster of The Prince and the Showgirl (1957), he says that she arrived late to his studio and the first thing she asked was: «Maestro... do I need to get undressed?». Campeggi has known and portrayed the diva long before Andy Warhol, which is why he is negotiating with MOMA in New York for exhibiting his works there. Due to his prolific career, Nano has exhibited his works throughout Europe and is still often in America. He has produced more than 3,000 works, of which almost 2,500 for American films, he has worked for MGM and Warner Brothers, Paramount, Universal, Columbia Pictures, United Artists, RKO and Twentieth Century Fox. He received a honorary degree and was appointed Professor of Visual Design at the Faculty of Architecture in Florence, a stamp was dedicated to him by the Italian Post Office, has been awarded many titles, not least the Fiorino d’Oro by the administration of Florence. •


uno straniero a firenze /\ un fiorentino all'estero

Michelle

Sono arrivata a Firenze dagli USA dopo la laurea in storia dell’arte, durante un periodo lavorativo non entusiasmante e con tanta voglia di un cambiamento. Era da tanto tempo che i miei mi spingevano a venire qui, convinti che un anno in Italia sarebbe stata un’esperienza fondamentale per me. Un anno sono diventati sedici: ho cambiato rotta, ho iniziato ad insegnare inglese, e non sono mai più tornata indietro. Staccarmi da Firenze sarebbe impossibile, perché ogni giorno imparo qualcosa, anche piccolissima: sulla cultura, la lingua e la gente. Cosa porteresti a Firenze dagli Stati Uniti? «Da Marion, Virginia, paesino nel cuore dei monti Appalachi, porterei qui la sua bellezza naturale e la gentilezza della sua gente». Cosa porteresti negli Stati Uniti da Firenze? «La sua bellezza artistica e architettonica, e quella soddisfazione di imparare cose nuove». I arrived in Florence from the USA after graduating in art history, during a not too exciting period of employment, and with a great desire for change. It was a long time since my parents pushed me to come here, convinced that a year in Italy would have been a fundamental experience for me. One year has become sixteen years: I changed course, began teaching English, and have never looked back. Detaching from Florence would be impossible, because every day I learn something, even very small: about culture, language and people. What would you bring to Florence from the United States? «From Marion, Virginia, a small town in the heart of the Appalachian Mountains, I would take here its natural beauty and the kindness of its people». What would you bring to the United States from Florence? «Its artistic and architectural beauty, and the satisfaction of learning new things».

Edoardo

Mi chiamo Edoardo, vivo a San Paolo da quattro anni ma manco da Firenze da una decina. È ormai dai tempi dell’università che cerco un po’ di scappare da questa città. Forse mi è sempre stata un po’ stretta, o forse sono io che le sto stretto. Ho sempre avuto un rapporto di odio-amore con Firenze: ho sempre sofferto il suo “provincialismo”, o perlomeno questa era la mia sensazione. A San Paolo puoi anche andare a giro nudo per strada, dietro l’angolo c’è sempre un idiota che ne fa una peggio di te. Nessuno ti considera troppo. Sei solamente uno su 15 milioni di idioti. Forse sarà solo una questione di dimensioni. Ultimamente torno a Firenze due volte l’anno, e ogni volta che la rivedo, la amo di più, e ogni volta mi è sempre più difficile ripartire. Forse perché noi fiorentini di natura “un ci s’accontenta mai”: quando ci stai non ti va mai bene nulla, ma poi quando sei lontano ti rendi conto di quanto è unica e magnifica. Cosa porteresti a Firenze da San Paolo? «Porterei il Parque Ibirapuera, un gigantesco parco nel mezzo di San Paolo, pieno di verde, laghetti, piste da corsa, macchine per fare ogni tipo di esercizi, pista ciclabile, campi da calcio, pallavolo, basket, alberi per fare picnic, palchi per concerti, e due grandi spazi espositivi dove ci sono sempre mostre bellissime e tutto assolutamente gratuito!». Cosa porteresti a San Paolo da Firenze? «Il vino e il suo culto, la sua “religione”. Non tanto il vino in sé, ma il vino nella sua quotidianità. Il vino del vinaino, dove vai a mangiare un piatto di ribollita e chiedi un quartino di rosso per accompagnarlo. Il vino della fiaschetteria, dove fai l’aperitivo con un bicchiere di Morellino insieme a un piatto di crostini misti. Il vino delle botteghe del vino sfuso, dove vai a riempire le tue bottiglie direttamente dalla botte. A San Paolo il vino è una cosa d’élite, da gente ricca che porta la moglie al ristorante e paga 30 euro per una bottiglia di vino mediocre. Là si beve la birra, ghiacciata ma senza gusto, che riempie la pancia e le serate, ma di certo non scalda il cuore come un bel bicchiere di vino rosso toscano». My name is Edoardo, and it’s been four years since I moved to São Paulo, although I left Florence a dozen of years ago. Since my college years, I felt like I wanted to escape from here. Maybe because this city is too small for me, or maybe I’m too small for Florence. I’ve always had some kind of “love-hate” relationship with Florence: I’ve always suffered because of its “provincialism”, or at least that was my feeling. In São Paulo you can walk naked on the street, around the corner there’s always another jerk that looks more idiotic than you. Nobody really cares about you. You are just one out of 15 million idiots. Perhaps it’s just a matter of size. Lately, I’m coming back to Florence twice a year and every time I see this city I love it more, and each time it becomes more and more difficult to leave. Maybe it’s in the nature of Florentines never to be satisfied: we think nothing is good enough, but then when you’re away from here you realize how unique and magnificent this city is. Q: What I would bring to Florence from São Paulo? «I would bring the Parque Ibirapuera, a huge park in the middle of São Paolo, full of green, ponds, race tracks, machines to do all kinds of exercises, a cycling track, soccer fields, volleyball and basketball courts, trees for picnics, concert areas, and two large exhibition spaces where there are always wonderful exhibitions and everything is completely free!» Q: What I would bring to São Paulo from Florence? «The wine and its cult, its “religion”. Not so much the wine itself, but wine in everyday life. The wine of the “vinaino”, where you eat a bowl of “ribollita” and ask for a quart of red wine. The wine taverns, where you can drink a glass of Morellino along with a plate of mixed “crostini”. The wine of the wine shops, where you can fill your bottles straight from the barrel. In São Paulo, wine is something elitist, for rich guys that take their wife to the restaurant and pay 30 euro for a bottle of mediocre wine. They drink beer over there, ice cold but without any taste, good to fill the belly and the evenings, but certainly not to warm your heart like a nice glass of Tuscan red wine». • 29.


la pagina dell'artista* per il numero XIII è a cura di Exit Enter

Exit Enter: L'arte è l'uscita da questo mondo per entrare in un altro. Quando davanti a un foglio bianco inizio a spargere colore e a muovere linee, io sono in uscita (EXIT). L'atto creativo è fuori dal mondo materiale e dal tempo ordinario; se l'immaginazione è creare una proiezione, un pensiero nella mente, con i miei disegni vorrei stimolare le fantasie dello spettatore per farlo entrare (ENTER) in quel momento di distacco che è l'atto creativo. In un momento di riflessione sulla mia vita, mi sono trovato ad interagire con questo omino, a disegnarlo fumettisticamente e ad avere delle vere e proprie discussioni con lui. Per me è stato un modo positivo per dialogare con me stesso, mi piaceva l'idea che questo personaggio potesse volare via dai miei sketch book per entrare in contatto con più persone. Di lì a breve ho iniziato a dargli vita sui muri delle città. Art is the way out from this world into another. When I’m facing a blank sheet of paper and I start spreading color and moving lines, I am going out (EXIT). Every act of creation takes place outside the material world and outside ordinary time; if imagination is the creation of a projection, a thought in the mind, with my drawings I would like to stimulate the imagination of the viewer and to allow him to ENTER that moment of disjunction that is the essence of the creative act. In a phase of reflection on my life, I found myself dealing with this little man, drawing him and having real discussions with him. For me it was a positive way to talk to myself, I liked the idea that this character could fly away from my sketch book to get in touch with more people. From that moment on, I began giving him life on the walls of the city. • .30


Solo se tu lo vuoi Si ride, si riflette, ci si emoziona e soprattutto si passa una bella serata in compagnia: Solo se tu lo vuoi, lo spettacolo teatrale ideato e scritto da Doretta Boretti, è adatto a tutti. La rappresentazione andrà in scena al Teatro Dante - Carlo Monni il 15 e il 16 novembre, con la regia di Guglielmo Visibelli e la scenografia di Nicola Visibelli. Protagonista è Sara (interpretata da Marcellina Ruocco), attorno a cui ruota una vasta gamma di personaggi, interpretati da attori del calibro di Monica Bauco, Paolo Bussagli, Zeno Renzi, Luigi Matrella, Gaia Bonsignori, Ginevra e Ludovica Santedicola, Carolina Gentili, Valentina Azzi, Valentina Cerini, Gabriele Zetti, e con la giovanissima Helen Riccitelli e la piccola Eugenia La Greca, di soli cinque anni. A completare il cast anche il cane Pepe, in carne pelo e ossa. Un testo teatrale brillante, in due atti. Dopo il successo riscosso dalle tante repliche de La maternità offesa, Doretta Boretti torna alla scrittura teatrale con un testo che si discosta radicalmente dal precedente. Tanto La maternità offesa è un’opera drammatica, intensa, sofferta, così Solo se tu lo vuoi è ironico, fresco e leggero. E non è un caso, come spiega Doretta Boretti: «C’è bisogno anche di ridere, ogni tanto: come scrittrice, sento l’esigenza di fornire alle persone la possibilità di riflettere su temi importanti anche con un pizzico di ironia e leggerezza in più. Voglio trasmettere a tutti un messaggio di speranza e fiducia nella vita». E chi conosce Doretta, il suo impegno instancabile nel sociale, il lavoro della Fondazione Elisabetta e Mariachiara Casini Onlus sul tema della sicurezza stradale, sa che pochi meglio di lei incarnano ciò che nella vita significa reagire, trasformare il dolore in energia positiva e continuare a lottare. Anche la rappresentazione di Solo se tu lo vuoi fa parte delle varie attività promosse dalla Fondazione, che quest’anno ha in cantiere una vasta serie di iniziative (per saperne di più: www.elisabettaemariachiara.it). I biglietti per lo spettacolo del 15 e 16 novembre sono acquistabili tramite Box Office e presso la biglietteria del teatro Dante – Carlo Monni (www. teatrodante.com, 055 8979403, oppure 055 8940864). Solo se tu lo vuoi rappresenta un ritorno a un teatro adatto a tutti, che sa creare suspense e identificazione nel pubblico, che regala momenti di vero svago e piacere. Un effetto possibile grazie alla qualità del testo, agile e brillante e all’interpretazione degli attori, tutti di alto livello che, letta la sceneggiatura scritta da Doretta Boretti hanno accettato con entusiasmo la sfida. Tanti personaggi, tante situazioni diverse, temi attuali (come la disoccupazione, la violenza sulle donne, i rapporti tra uomo e donna) trattati con freschezza, leggerezza e ironia, colpi di scena, e con un cast davvero multi-generazionale. «Un inno alla vita» lo definisce l’autrice, che spiega di aver scelto come tema principale quello delle scelte: «Nella vita per ogni porta che si chiude, c’è un portone che si apre. Se uno lo vuole».


CRAFT PIZZA&BEER

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