Gigli azzurri

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Luigi Alfieri

GIGLI AZZURRI Storia di casa Farnese tra Parma, Roma e l'Europa


GIGLI AZZURRI

Autore: Luigi Alfieri Traduzione: Douglas Heise Copertina di Cecilia Mistrali

© 2014 fermoeditore Via Cairoli 15 – Parma Sito web: www.fermoeditore.it E-mail: info@fermoeditore.it

ISBN 978-88-6317-008-5

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INDICE

I. ALL’OMBRA DELLE FARNIE

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II. IL MOMENTO DELLA SVOLTA

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III. CARDINALE E GRANDE AMATORE

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IV. I DUE GALLI DEL POLLAIO EUROPEO V. DOPO I LEONI, LA VOLPE

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VII. IL DUCATO NASCE COME UN FUNGO VIII. LA METAMORFOSI DI PIER LUIGI X. IL FUNGO PERDUTO E RITROVATO

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IX. IL MECENATE PRESTATO ALLA CHIESA

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XI. MARGHERITA, LA REGGENTE COI BAFFI

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XIII. IL DUCATO DI PARMA E PIACENZA

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XIV. L’AMICIZIA CON LA FRANCIA XV. FILIPPO IL PUPARO

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VI. PIER LUIGI LO SCAPESTRATO

XII. OTTAVIO IL TESTARDO

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XVI. ALESSANDRO, IL GRANDE APOLIDE XVII. I MONUMENTI ROMANI

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XVIII. COME SI DIVENTA SPAGNOLI

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XIX. L’AVVENTURA DI ALESSANDRO NELLE FIANDRE XX. MARGHERITA L’INVIOLABILE

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XXI. DI ASSEDIO IN ASSEDIO FINO ALLA GLORIA XXII. L’IMPRESA DI ANVERSA

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XXIII. IL DECLINO DEL GUERRIERO

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XXIV. RANUCCIO IMPASTO DI LUCI E OMBRE

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XXV. BARBARA LA BELLA SUL PATIBOLO XXVI. GIGLI COLOR PORPORA

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XXVII. ODOARDO, IL GUERRIERO MANCATO

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XXVIII. RANUCCIO II: LA DINASTIA SUL VIALE DEL TRAMONTO

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XXIX. I FARNESE E L’AUSTRIA

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XXX. FRANCESCO IL MANGIAFUOCO

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XXXI. GIULIO ALBERONI, IL DIPLOMATICO XXXII. ANTONIO ULTIMO DUCA

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XXXIII. STORIA DI UN FARNESE MAI NATO CRONOLOGIA FARNESIANA

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I. ALL’OMBRA DELLE FARNIE Attorno al lago di Bolsena, in pieno Medioevo, esistevano immensi boschi di farnie. Le grosse querce dominavano come giganti minacciosi i profili di quella terra sparsa tra Lazio, Umbria e Toscana. Uno dei più muniti castelli della zona prese il nome di Farnese. Il paese delle farnie. E’ qui attorno che cominciarono ad affondare nel terreno le radici di una famiglia destinata a segnare la storia del rinascimento, della controriforma e degli anni del barocco, per spegnersi coi primi vagiti rococò. Famiglia di cui non si conoscono con precisione le origini, ma che subito dopo il Mille cominciò a distinguersi nel campo delle armi. Era una fabbrica di guerrieri. Gli impareggiabili soldati di Farnese. I Farnese. Capitani coraggiosi. Sparvieri sempre pronti a lanciarsi su nuove terre, fertili di pascoli e ricche di querce. Pian piano, al primo castello si aggiunsero altri borghi. Nell’alto Lazio il nome di quei signori della guerra andava crescendo. Essi cominciarono a mettere il naso nelle vicende dei comuni vicini: le fazioni di Orvieto e Viterbo, sempre prese da lotte intestine, chiedevano l’intervento della loro spada. Un po’ ovunque i tifosi del papa, i guelfi, combattevano contro i supporter dell’imperatore, i ghibellini: i soldati nati all’ombra delle farnie prendevano le parti degli amici del pontefice; alla squadra romana restarono legati per secoli interi. Ogni volta che nelle cittadine laziali i pupilli dell’erede di Pietro perdevano il comando, sempre arrivava in aiuto il manipolo guidato da un Ranuccio, un Pier Luigi, un Pepone, un Nicola. Veri Farnese. Nati dalle querce come ghiande. In un batter d’occhio, rimettevano le cose a posto e tornavano nelle terre in riva al lago. La loro fama di uomini rudi e rapaci cresceva col passare degli anni. Al tramonto del Duecento, anche i guelfi di Siena, di Perugia e di Bologna cominciarono a chiamare in soccorso le truppe dei piccoli capitani che si erano fatti condottieri. I Farnese si muovevano coi loro eserciti in miniatura per portare aiuto ovunque servisse agli amici del papa. Anche Firenze si accorse di loro. Pietro guidò le insegne cittadine contro Pisa. In riva all’Arno fu acclamato da vivo; da morto, ebbe un 3


meraviglioso sepolcro nella chiesa di Santa Reparata. Al volgere del Trecento, insieme alla gloria militare crescevano anche i possedimenti della famiglia; nel Quattrocento il clan guidava un vero e proprio Stato feudale: lo stemma della casa, sei gigli azzurri su fondo oro, campeggiava in Montalto, Canino, Ischia di Castro, Latera, Cassano, Capodimonte, Valentano, Marta e Gradoli. Un Ranuccio fece costruire sull’isola Bisentina, immersa nella pace del lago di Bolsena, la prima tomba di famiglia. Era un segnale: i condottieri guelfi non si accontentavano di militare nei ranghi della nobiltà rurale; pretesero, assorbendone gli usi, di entrare nel salotto buono dell’aristocrazia. Brandire la spada in nome del papa non bastava più; sbocciò la voglia, covata per secoli, di irrompere da protagonisti nei grandi giochi della politica romana. Il censo, la fama, la forza dei Farnese giustificavano il desiderio. I gigli azzurri erano pronti a mostrarsi su qualche poderoso palazzo dell’urbe: c’erano terre, denari, soldati, intelligenza e coraggio da impegnare in audaci imprese. Il gran salto avvenne col matrimonio di Pier Luigi con Giovannella Caetani di Sermoneta, della famiglia dei ricchi signori del territorio a sud di Roma, una dinastia che aveva già dato alla Chiesa un papa del calibro di Bonifacio VIII. Fecero da contorno a questa unione, avvenuta a metà del Quattrocento, sposalizi con uomini e donne della discendenza dei Colonna, dei Savelli, degli Orsini, degli Sforza e dei Pallavicino. Il fior fiore della città eterna.

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II. IL MOMENTO DELLA SVOLTA Il matrimonio tra Pier Luigi e Giovannella segnava il tramonto di un ciclo e ne apriva uno nuovo. Lasciate alle spalle le piccolezze della nobiltà rurale, casa Farnese imboccava la via che doveva portarla ai fasti del soglio pontificio e, infine, a entrare nel ristretto numero delle famiglie regnanti. Protetti dalla benevolenza di Roderigo Borgia, il terribile papa Alessandro VI, i condottieri abbandonarono i panni dei parvenus e salirono a tutta velocità la scala del successo. Non è estranea a questa ascesa la torbida relazione sentimentale tra Giulia la Bella, primogenita di Pier Luigi, e il lussurioso pontefice spagnolo. Incurante del marito, un Orsini di Bassanello, la Farnesina, ben conosciuta nell’urbe per l’incomparabile avvenenza, flirtò a lungo con Roderigo, ottenendo per la famiglia favori di ogni genere. Alcuni storici sostengono che essa sia la vera madre di Lucrezia Borgia e di altri bastardi del papa, ma la cronologia lo smentisce: Giulia nacque nel 1475, l’ipotetica figlia nel 1480. Ancor più della bella contribuì alla vertiginosa scalata del casato il fratello Alessandro, splendente per intelligenza e cultura. Alessandro nacque sotto il segno dei pesci, nelle prime ore del 28 febbraio 1468. Fanatico dell’astrologia, attribuì sempre a questa data benefici effetti. Vide in essa la fonte di ciò che i contemporanei chiamavano la sua fortunozza, che si concretizzava nel favore sfacciato della dea bendata. Quando il rampollo venne al mondo, Pier Luigi e Giovannella ne avevano già deciso il destino. Come segno inequivocabile dei tempi cambia- ti, i genitori stabilirono che il primogenito non avrebbe seguito le orme dei condottieri. Per lui niente armi, ma un programma di studi che avrebbe aperto la strada a una sfavillante carriera civile, al servizio di principi e sovrani, o religiosa, attraverso il conseguimento di un’alta prelatura. La sua educazione fu degna di un’insigne famiglia rinascimentale: prima la scuola del sommo umanista Pomponio Leto, in Roma; poi l’accademia di Lorenzo il Magnifico, a Firenze; infine, l’alma università di Pisa. Il piccolo Alessandro ebbe compagni di studio e di bisboccia di prima grandezza. Su tutti spiccarono Agnolo Poliziano, filologo e poeta, Pico 5


della Mirandola, filosofo e letterato dalla memoria prodigiosa, e lo stesso Magnifico, principe e mecenate incomparabile. Proprio il Medici gli fece avere la raccomandazione giusta per entrare nella curia romana dall’ingresso principale. Alessandro vi si trovò bene e non ne uscì mai più. Quando, nel 1492, Roderigo divenne papa, il giovane giglio iniziò una carriera formidabile. A soli 25 anni di età, il nuovo pontefice lo nominò cardinale diacono. Amante della mondanità e delle belle donne, l’erede dei signori della guerra si guardava bene dal farsi sacerdote. Beneficiava degli onori della porpora senza subire gli oneri della consacrazione. La fortunozza lo spingeva sempre più in alto. Nel 1493 fu nominato tesoriere generale della Chiesa e cominciò a maneggiare ingenti quantitativi di denaro. L’attività in cui il giovane cardinale si distinse in maggior grado fu quella di collezionare vescovadi e prebende. Nel volgere di pochi anni, si ritrovò pastore di sedici città, incarico da cui traeva ricchissime rendite.

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