Coronet brand magazine Flare n°0

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Flare n. 0

“Stories are light. The world is dark and light is precious. Come closer, dear reader. You must trust me. I am telling you a story.� Katrina Elizabeth DiCamillo

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Redazione

Tommaso Agostini Agata Brilli Federica Carbone Sergio Corini Alessandro De Rosa 4

Editore

Coronet Company

A cura di

345 FreeForFive


Editoriale Tutto intorno a noi è luce, radiazione luminosa che delinea forme, decide colori, concede profondità. Come non dedicarsi a questo soggetto così intrigante, come non indagare cosa con esso sia possibile realizzare? Flare si occupa di questo. Con il nostro primo numero vogliamo parlare di sperimentazione visuale e del modo in cui, giocando e servendosi della percezione visiva, si possa dar vita ad un progetto. Desideriamo raccontare storie di luce, punti di vista, idee realizzate, e lo facciamo attraverso fotografie suggestive e ricercate. Flare ha l’intento di allenare la vista alla contemplazione curiosa e divertita di ciò che ci circonda. Con l’auspicio che diventiate nostri affezionati lettori,

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about exposure 9. PhotoGraphy 15.The idea of a tree

spaces 22. Chromosaturation 32. The lighten city

perspective 44. Fred Eerdekens 53. Noemie Goudal 59. Anamorphic Illusions

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PhotoGraphy Tecniche fotografiche applicate al design contemporaneo. L’artista orientale fonde luce e tempo fissando su oggetti tridimensionali l’ambiente cirostante

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Il progetto di Shikai Tseng agisce sul processo in cui l’interazione tra ambiente, luce e tempo genera immagini registrate su oggetti tridimensionali. Non la forma in sé, ma l’intorno, diventa qui epicentrico, memorizzando momenti e luoghi particolari. L’oggetto su cui si vuole trasferire l’ombra è rivestito di una vernice fotosensibile, chiuso in una scatola nera con piccolissimi fori strategici della grandezza di uno spillo ed esposto per un tempo che va da 5 a 50 minuti, secondo la luminosità dell’ambiente. 10


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Non è importante se l’immagine è più o meno a fuoco, il risultato è che l’oggetto porterà la traccia di quel momento, della sua prima esposizione. Lo sviluppo dell’immagine avviene in un secondo momento, come si trattasse di carta fotografica. Solitamente noi pensiamo alla fotografia come qualcosa che riduce il tridimensionale in bidimensionale. Qui invece il tridimensionale è traslato in una nuova e diversa realtà. L’utilizzo della ceramica si riconduce concettualmente alla lunga tradizione della superficie decorata come impianto narrativo; fisicamente garantisce la stabilità dell’emulsione e dello strato protettivo che ne conservano l’impronta fotografica.

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The Idea of a Tree Il concetto di arredamento rivisto in maniera del tutto ecologica da una coppia di giovani designers. Una soluzione che apre le porte ad una nuova visione dell’interior design

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Coppia nella vita e nel lavoro, i designer viennesi Katharina Mischer e Thomas Traxler hanno fondato il loro studio nel 2009, dopo essersi laureati alla Design Academy di Eindhoven. Recentemente sono stati i vincitori del prestigioso premio DMY Awards promosso dal Bauhaus Archiv-Museum fĂźr Gestaltung di Berlino proprio con il progetto qui presentato “The Idea of a Treeâ€?: un macchinario, autoprodotto, alimentato ad energia solare, che produce oggetti attraverso la trazione di fili.

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sunrise

bright sunshine

cloud

sunset

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Il progetto della coppia viennese è un’affascinante traduzione della visione meccanicistica di un albero, cioè un sistema basato sull’assorbimento dell’energia solare e sulla conseguente crescita dell’organismo vivente. Il sistema di crescita dell’albero è qui riproposto ed applicato ad un processo meccanico di produzione in cui l’energia viene immagazzinata per restituire un oggetto influenzato dalla luce del Sole. La lunghezza, l’altezza ed il colore dell’oggetto risultante dipendono dal quantitativo di luce solare percepito durante il funzionamento. Assumendo come modello produttivo quello naturale, questo progetto conferisce senso pieno e profondo al

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concetto di serie limitata, infatti la produzione è realmente legata a quei fattori ambientali e climatici che influenzano la crescita degli alberi: la macchina inizia a produrre con la luce del sole e dopo il tramonto può esserne “colto” il risultato. L’oggetto prodotto diventa così una registrazione tridimensionale di un “processo di crescita” in un giorno e in un luogo ben preciso, così come ogni albero è la conseguenza di un processo di sviluppo avvenuto entro determinate condizioni. Ogni prodotto rappresenta il risultato di un giorno di “The Idea of a Tree”, un risultato sempre unico ed eccezionale.

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Chromosaturation Quando il colore esce dai suoi schemi convenzionali raggiunge la sua più vera natura: questo è il risultato che l’artista venezuelano ha conseguito dopo cinquant’anni di sperimentazione

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Chromosaturation. Questo è il nome dato da Carlos Cruz Diez ad un ambiente artificiale da lui creato. Esso è composto da tre camere illuminate con differenti colori: rosso, blu e verde. Questa struttura immerge il visitatore in un’atmosfera completamente monocromatica, sviluppando una tripla stimolazione simultanea che disturba, a tutti gli effetti, la visione di tutto ciò che è presente nelle stanze e nell’ambiente: dai vestiti, agli oggetti, fino al colore della pelle. Questa particolare stimolazione altera la percezione della retina, costretta a ricevere un’ampia gamma di colori nello stesso momento, tanto che nell’attimo in cui un visitatore passa da una stanza all’altra la retina subisce uno shock, dato dagli effetti dell’eccessiva saturazione dei colori e dal

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repentino cambio di luce. La cromosaturazione attiva una particolare ricezione dei colori portando le persone che la sperimentano ad entrare in uno spazio surreale privo di ogni punto fermo o certezza. Spiega l’artista: “Il labirinto creato è il risultato di una serie di esperimenti che ho presentato svariate volte per stimolare la percezione dei colori. Contrariamente a quanto accade in natura, in cui il colore è relativo e modificato dall’ambiente, qui è rivelato nella sua cruda e più vera realtà. Questa visione funge da detonatore per far capire all’osservatore quanto il colore sia materia e realtà fisica, e che esiste nello spazio senza l’aiuto di alcun supporto o convenzione culturale.” 29


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The lighten city Alle luci tradizionali delle città, la contemporaneità ha aggiunto altre luci di scena per le feste e le pubbliche celebrazioni, che vengono sempre più spesso reinterpretate con tecniche sempre più sofisticate e seducenti

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Macroschermi, billboard, videoinstallazioni, ologrammi, proiettori a cristalli liquidi configurano i nuovi paesaggi che mutano senso e figura dello spazio urbano e delineano la città di luce, affiancandosi e spesso mascherando l’architettura che le sostiene. Sempre più le città mostrano due volti, uno diurno e uno notturno. Se nelle città europee la diffusione spontanea e senza controllo delle facciate luminose può apparire a volte una forma di inquinamento estetico, nelle città americane e in quelle orientali appare, invece, come una naturale forma di comunicazione strettamente legata al paesaggio e alle architetture dell’intorno. In particolare, nelle città giapponesi e dell’oriente occidentalizzato dove non esistono piazze e dove le vie non hanno un nome, la parete al neon assume il significato di luogo di ritrovo e di riferimento. Tale è tutta l’architettura di Nanjing Road, la strada commerciale di Shanghai: è una realtà al neon, in cui la luce artificiale assurge a protagonista a tutti gli effetti, mentre gli edifici sono solo di supporto. La luce, oltre a rendere il giorno perenne, muta radicalmente il modo di percepire gli ambienti: di notte i padiglioni espositivi di Taipei si trasformano da uffici espositivi in billboard pubblicitari e luminosi. La componente luminosa delle singole architetture oggi si è estesa all’intera metropoli. Infatti la luce non è solo illuminazione, ma è anche progettazione della città, dei suoi spazi, dei suoi interni e ha un ruolo fondamentale nella ridefinizione della sua identità. Si tratta certamente di scenari funzionali, ma anche e soprattutto emotivi: sono il ritmo stesso della vita urbana.

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L’architettura è sempre più spesso accompagnata da insegne, immagini luminose, luci colorate che possono essere considerate elementi in grado di mobilitare nuove narrazioni. Il rapporto tra architettura e potenzialità della luce muta il modo d’essere della metropoli e ne contrassegna le evoluzioni. Le superfici dei nuovi edifici diventano schermi per le immagini delle nuove tecnologie della comunicazione. The New York Times Building è un esempio perfetto di architettura tecnologica con una doppia membrana, una esterna e l’altra interna interattiva. Ha il più grande schermo del mondo e costituisce una nuova tipologia architettonica che consiste nel rivestimento di edifici con enormi pannelli a led. 36


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I Media Building, destinati a diffondersi in tutto il mondo, sono edifici che rispondono direttamente alla richiesta di informazione di una società della comunicazione. Con i nuovi materiali, in sede di percezione estetica, la leggerezza diventa un valore che si impone in senso assoluto. E insieme ad essa c’è la trasparenza, visibile fin dall’inizio del Novecento nella predilezione per i materiali della luce, soprattutto del vetro, in cui già Baudrillard vedeva il materiale del futuro. Tutta la città moderna si progetta in funzione della leggerezza, della trasparenza.

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La predilezione del vetro nelle architetture di Jean Nouvel cerca nella trasparenza la sua potenza di simulazione e di trasmutazione, che porta a non distinguere se ciò che vediamo è reale o un’immagine. Ne è un esempio la Fondazione Cartier, un’architettura leggera, di vetro e acciaio, uno spazio espositivo fatto di luce, che arriva ad annullare la forma.

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Di qui anche l’irruzione del traslucido che, a differenza della trasparenza, è un fenomeno non chiaro, che perciò spesso mantiene la complessità del caos: permette l’elaborazione di forme la cui comprensione si dispiega nel “glittering” delle proprie superfici. La Torre Agbar di J. Nouvel a Barcellona è un’architettura che “viene della terra, ma non ha il peso della pietra” (Nouvel), la cui superficie evoca l’acqua, liscia e continua. È l’immagine della città globale che si riconosce nella leggerezza, nella simulazione e nel traslucido.

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L’Institut du Monde Arabe, progettato da Nouvel a Parigi, è un’opera sensoriale che realizza il peculiare gioco delle luci e delle ombre della cultura araba con un sapiente uso della tecnologia. La luce viene esplorata ed esaltata come materiale, nella sua stessa sostanza fisica, e come elemento di per sĂŠ plastico e tridimensionale. 41


Si moltiplicano le torri interfacce, famiglie di architetture che portano all’esterno quel che succede all’interno o che reagiscono agli stimoli ambientali. Ciò che le accomuna è il tema della leggerezza e della smaterializzazione, l’emancipazione del sistema costruttivo, la considerazione della pelle degli edifici come supporto per veicolare informazioni e superfici con cui interagire. La Torre dei venti di Toyo Ito a Yokohama, reakizzata in cemento, è rivestita da una doppia membrana di pannelli schiaccianti all’interno e di alluminio perforato all’esterno. È chiamata così perché la mutazione della luminosità dei panneli avviene in relazione a due fattori: lo spirare del vento e il movimento del traffico, che danno vita ad una sinfonia luminosa. La Torre diviene quindi superficie di visualizzazione dei cambiamenti luminosi, sonori e atmosferici che l’attraversano. È un “totem” urbano, un edificio mediale, che materializza l’invisibile e che trasforma un dato sensoriale, come il rumore, e un elemento impalpabile, come l’intensità del vento, in esperienza visiva. Per Toyo Ito si tratta di ricercare la mediazione tra un ambiente totalmente artificiale, qual è il mondo delle informazioni, e ciò che resta del paesaggio naturale. 42


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Fred Eerdekens Addio ai significati lineari, ai modi linguistici noti, agli strumenti di comunicazione consolidati. L’artista e scultore belga, scardina tutte le certezze dello spettatore, che di fronte ai suoi oggetti deve trovare il “verso giusto� 45


Luci. Ombre. Magia. Quando l’artista belga Fred Eerdekens osserva degli oggetti non si sofferma soltanto sulla loro forma, ma li studia nei minimi dettagli, per indagare i possibili profili che possono creare le loro sagome riflesse. Ciò che rende unica la sua arte di luci ed ombre è l’utilizzo di oggetti della quotidianità per creare forme capaci di realizzare, con le loro proiezioni sui muri circostanti, frasi o sagome precise. Sono sculture che necessitano di una precisa angolazione della luce che le colpisce, affinché l’ombra assuma un significato ben preciso, quel significato che precedentemente era solo nella mente dell’artista. 46


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La bellezza di queste installazioni sta nel rapporto tra concetto e oggetto: vi è una profonda coerenza tra ciò che viene rappresentato e il modo in cui si manifesta, perché l’artista non vuole solo giocare con la luce, ma si serve di essa anche per instaurare un dialogo con lo spettatore, catturato da forme bizzarre, ma, se viste con una luce sbagliata, insignificanti. L’arte di Fred Eerdekens vive nella tensione esistente tra l’opera e chi si trova al di là di essa, nella sperimentazione della luce che diventa l’unico mezzo possibile per comprendere l’opera, l’unica chiave di lettura. Si è spinti così a cercare il significato celato dell’oggetto e a trovarlo nella sua ombra. 51


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Noemie Goudal Immaginare spazi infiniti, andare oltre la dimensione fisica dell’ambiente che ci circonda. Con le installazioni di questa giovane artista è possibile sconfinare la realtĂ

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Prospettiva. Illusione. Arte. C’è un’artista oggi che riesce a fondere tutto questo: Noemie Goudal. Ma procediamo con ordine: nel corso della storia varie personalità hanno cercato di conciliare queste tre realtà, fondendole in opere memorabili, che colpiscono in modo diretto l’osservatore, suscitando stupore e meraviglia. Ricordiamo Bernini, con il Colonnato di San Pietro, Paolo Veronese, con gli affreschi di Villa Barbaro, e Bramante, con la Chiesa di Santa Maria presso San Satiro. Proprio quest’ultimo esempio è quello che più ricorda le opere di Noemie. Per la chiesa commissionatagli, Bramante, avendo a sua disposizione un’area 54

di piccole dimensioni, per mantenere le corrette proporzioni fra i diversi elementi, è costretto ad escogitare un espediente. Egli, infatti, crea un rapporto armonico fra navate, transetto e abside allungando illusionisticamente il coro, dipingendo l’abside in modo prospettico, così che la chiesa sembri proseguire al di là del muro. Concettualmente le opere di Noemie seguono lo stesso principio: creare una realtà dove in verità non c’è nulla, o meglio, dove c’è solamente un muro. L’artista, nata a Parigi, vive e lavora a Londra, città a cui deve moltissimo.


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La sua fotografia è saldamente radicata nella creazione di quello che molti chiamano “conception volumique”, espressione presa in prestito dal design, che fa riferimento a installazioni grafiche e scultoree in luoghi specifici, che rendono poco chiara e quindi difficoltosa la distinzione fra ciò che è l’installazione, il luogo in cui essa è stata realizzata, e l’immagine che diventa opera d’arte essa stessa. Attraverso diverse serie fotografiche, Noemie compone le sue opere con fogli di carta in larga scala, giustapposti a contatto con l’ambiente circostante, quasi sempre un muro, sfocando i confini fra il reale e l’immaginario. I suoi lavori hanno una qualità malinconica, quasi nostalgica, e portano letteralmente l’osservatore all’interno di mondi immaginari che, con una attenta osservazione, sono di fatto smentiti dalla realtà.

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Al primo impatto queste sue opere infatti ci ingannano, ma basta quella frazione di secondo per capire che non è del tutto reale ciò che ci è apparso: la promessa di una cascata, dopo uno sguardo più attento, risulta in effetti essere un insieme di teli di plastica; un pontile da cui tuffarsi in mare non è altro che una serie di travi di un capannone abbandonato. L’abilità dell’artista non sta solo nell’ideazione del progetto, ma soprattutto nell’integrare alla perfezione la sua installazione con l’ambiente fisico nel quale essa è inserita. “Desidero, attraverso le mie fotografie, offrire fughe, evasioni, viaggi in paesaggi alternativi, in cui è possibile la formazione di nuovi ambienti. Il viaggio all’interno dell’immagine inviterà l’osservatore ad entrare nello spazio come se fosse in una storia “make-believe”, portandolo in un gioco fra finzione e realtà, in cui ognuno può identificare la fragilità dei suoi stessi desideri”. 57


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Anamorphic Illusion Questione di punti di vista. Mai come di fronte a queste opere è necessario mettersi comodi e cercare la giusta angolazione per gustarsi appieno questi fantastici giochi tra forme e colori

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L’anamorfismo è un effetto di illusione ottica per cui un’immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, rendendo il soggetto originale riconoscibile solamente guardando l’immagine da una posizione ben precisa. Dalla giusta angolazione le immagini risultano agli occhi dello spettatore perfette figure geometriche sospese al centro della scena, quasi tangibili ed invalicabili.

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L’artista svizzero Varini tende ad usare nelle sue opere figure geometriche elementari come triangoli, cerchi e quadrati, solitamente creati utilizzando i tre colori primari della sintesi additiva: rosso, verde e blu. Varini si esprime con geometricità credendo che nella nostra realtà urbana tutte le forme vengano distorte, complicate ed esasperate. La semplicità delle figure rappresentate rende più suggestivo l’incontro con l’architettura e con le strutture sulle quali vengono dipinte le forme. L’armonia del risultato rende l’opera come fosse materica, rompendone i limiti di bidimensionalità.

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