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Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo Anno XV - n. 89 - Euro 5 - giugno 2017

La Rivista del Vino e del Buon Bere

Cantina di Aldeno: il Trentodoc che vince

Baja California: non solo tequila

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s o m m a r i o 10

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Primo Piano 10

Reportage

Baja California

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Cantina di Aldeno

Chi è il Campione del mondo 2016

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Monte dei Ragni

La Valpolicella segreta

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Croazia

Piccoli vigneron crescono

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Food

Wuber e la tradizione tedesca

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Food

Latteria di Soligo, qualitĂ certificata

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Montonale

La cantina emergente del Lugana

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Birrifico Mastino

Anima scaligera

Tel. - Fax 045 591342 - redazione@euposia.it Per inviare cartelle stampa o materiale informativo: Nicoletta Fattori: fattori@euposia.it Per inviare bottiglie da inserire nelle degustazioni cieche: Redazione Euposia - Via Prati 18 - 37124 Verona (Vr)


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N e w s

Arriva “Alto Adige Wine Summit”, l’evento che celebra i vini altoatesini

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i chiama “Alto Adige Wine Summit”, ed è l’evento con cui il Consorzio Vini Alto Adige celebrerà i suoi primi 10 anni, radunando sul territorio centinaia di giornalisti, operatori del settore e semplici appassionati il 22 e il 23 settembre, per offrire una panoramica a 360 gradi sul vino altoatesino. L’evento si apre il pomeriggio del 22 settembre: dopo una mattinata dedicata a incontri su invito, il pomeriggio vedrà la presentazione in anteprima per gli operatori dei vini Riserva dell’annata 2015, insieme ad alcune bottiglie del 2016 che necessitano di una maggiore evoluzione e usciranno sul mercato solo in autunno. Saranno sessanta le aziende del territorio presenti al Bolzano Meeting and Event Centre (MEC), con orario di apertura dalle 16 alle 20. In contemporanea al banco, è prevista un’ampia serie di degustazioni guidate, degustazioni verticali e seminari, che permetteranno ai professionisti di settore di trattare in dettaglio i temi di maggior interesse. Sabato 23 settembre, sarà la volta del percorso aperto al pubblico con la manifestazione “Wine Stories”. Il programma consentirà a tutti gli enoappassionati di ampliare la propria conoscenza dei vini del territorio, scoprendo allo stesso tempo la storia dei loro produttori. Tra le iniziative previste, anche verticali e degustazioni guidate al buio, organizzate in collaborazione con l’Accademia del vino Alto Adige e Blindprobe Sensorium di Fié allo Sciliar. Orario di apertura: dalle 10 alle 22. “Per la prima volta, il mondo del

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vino altoatesino, tra cui le 78 cantine che hanno aderito con entusiasmo alla manifestazione, si riunisce per proporre a stampa e operatori internazionali etichette non ancora presenti sul mercato, offrendo nel contempo numerose opportunità di approfondimento e di confronto a tutti i presenti” afferma Werner Waldboth, direttore del Consorzio Vini Alto Adige. “Dal punto di vista delle presenze professionali, aspettiamo fino a 100 giornalisti e partner provenienti dai nostri mercati di riferimento, in particolare Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Russia, Giappone, Regno Unito, Belgio e Paesi Bassi. Ci attendiamo anche una forte affluenza al banco di assaggio e alla manifestazione aperta al pubblico in programma il giorno successivo” ha concluso. L’Alto Adige, con i suoi 5400 ettari vitati, rappresenta appena l’1% della produzione nazionale. Eppure, grazie alla grande variabilità del suo territorio, che ospita vigneti dai 200 ai 1.000 metri, è culla di ben venti vitigni. I vini che nascono in questa zona sono frutto del contrasto che la caratterizza: qui si incontrano l’aria del Mediterraneo e i freddi venti alpini e si susseguono valli, vette e colline. Le vigne affondano le loro radici su terreni con esposizioni e composizioni geologiche estremamente variabili. L’Alto Adige Wine Summit e il percorso “Wine Stories” offriranno a tutti i presenti la possibilità di toccare con mano l’atmosfera altoatesina, degustando un’ampia selezione di vini tra le cime in cui le uve nascono, crescono e maturano.




La decima edizione del Challenge internazionale Euposia si svolgerà a Verona, dal 24 al 26 novembre prossimi nella prestigiosa location dell’Hotel Veronesi La Torre. Guest star: Charles Philipponat, Roberto Cipresso, Michel Rolland. Eventi collaterali (orari da definire): 25 novembre aperitivo con Roberto Cipresso: “Alla scoperta del Nuovo Mondo” 26 novembre open-day per winelover, in degustazione tutti gli Champagne ed i Metodo classico partecipanti al Challenge.


N e w s

Lungarotti: esordio a Vinitaly per Ilbio, primo biologico per il mercato italiano

I

l primo vino biologico Lungarotti a uscire sul mercato italiano è ILBIO Umbria Rosso Igt 2015, e rappresenta un traguardo significativo verso gli obiettivi ecosostenibili da sempre perseguiti dall’azienda. Colore rosso rubino inteso e brillante, struttura da medio e lungo invecchiamento, il vino è frutto del vitigno principe coltivato nei 20 ettari di vigneto dell’azienda agraria Lungarotti a Turrita di Montefalco (450 metri sul livello del mare), in regime di agricoltura biologica certificata dal 2014. Dal gusto elegante e molto avvolgente all’attacco, con una buona alcolicità (14,50% vol) e richiami alla frutta rossa con note di balsamico, ILBIO fermenta in acciaio con macerazione sulle bucce per 25 giorni e affina per 10 mesi in botti da 30 hl e successivamente in bottiglia per 6 mesi. Il risultato è un vino molto versatile che si abbina ai piatti della cucina italiana ma anche a quelli delle tavole internazionali e una longevità che può arrivare a oltre 10 anni. Prodotto in 10.000 bottiglie, ILBIO riporta in etichetta il catastale della tenuta dell’azienda agraria Lungarotti a Turrita di Montefalco, con tutte le caratteristiche principali del vigneto e delle uve, riprendendo l’antico uso di riprodurre sulla mappatura tutte le informazioni sul podere. ILBIO segue un percorso che da anni l’azienda umbra ha intrapreso con l’obiettivo di azzerare l’impatto ambientale della propria impresa. Non solo vino biologico, quindi, con la tenuta di Montefalco che dopo 3 anni in regime di conversione ha bio-trasformato tutta la sua produzione, ma anche interventi di ottimizzazione dei processi, in vigna e in cantina. L’analisi dell’an-

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damento climatico con le capannine meteo, avviato nella prima metà degli anni ‘90, ha per esempio ridotto l’uso dei trattamenti fino al 30%; lo stesso risultato si è registrato sui consumi idrici attraverso l’immissione a diverse profondità di sonde ‘antispreco’ nel terreno, in grado di razionalizzare il bisogno idrico delle vigne. Poi, sempre in campagna, massimo rispetto per la biodiversità del suolo, con la concimazione organica e il controllo meccanico delle infestanti; ma anche con la salvaguardia di boschetti naturali tra le vigne per la ripopolazione della fauna locale, o il semplice mantenimento dei fossi e delle strade bianche per la regolamentazione delle acque. Ma il pezzo forte, che contribuisce a risparmiare 200 tonnellate/annue di CO2, e a generare un’autonomia termoenergetica del 70% del fabbisogno è l’aver aderito come cantina pilota in ambito nazionale al progetto “Energia dalla vite” (premio Ecomondo). Attraverso lo scarto delle potature, i sarmenti vengono raccolti, triturati e bruciati per ottenere il calore necessario a produrre vapore, acqua calda e – con uno speciale scambiatore – anche acqua fredda per il condizionamento. Un ‘tecnocontrollo’ dei cicli produttivi raggiunto con importanti investimenti che hanno consentito di ridurre i consumi energetici, ma anche grazie a piccoli accorgimenti quotidiani (recupero dell’acqua di refrigerazione, recupero di materiali come carta, vetro, sugheri usati, le luci a tempo). Tra i progetti sviluppati da Cantine Lungarotti, quello di compensazione di CO2 (assieme alle altre aziende socie dell’Istituto Grandi Marchi), o il recente MeteoWine dell’Università degli Studi di Perugia, che punta a ottimizzare e ridurre l’uso dei fitofarmaci e a migliorare la performance ambientale della produzione.



Baja California

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Baja California, la penisola messicana del vino di

Barbara Ainis

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Baja California

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uando pensiamo al Messico e alle sue leggendarie fiestas, ci immaginiamo brindisi allegri a base di tequila. Benché il cliché del rivoluzionario o del charro – una bottiglia bruciagole in una mano e la pistola nell’altra – sia stato decisamente superato, anche nell’immaginario comune, i campi di agave azzurra restano ancora l’icona del (buon) bere Hecho en México. Non sono in molti a sapere che proprio questo vasto e affascinante Paese latino del Nord America è anche un interessante e sorprendente produttore di vino, con alle spalle una storia di quasi cinque secoli e davanti a sé un futuro di primo piano. A metà del XVI secolo intorno alle missioni della Nueva España già c’erano vigneti per 70mila ettari. Coahuila,

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Guanajuato, Zacatecas furono gli Stati centrali dove inizialmente si diffuse la vite, per poi raggiungere, un paio di secoli dopo, il Nord Ovest del Paese. Certo, per centinaia di anni il vino è rimasto qui solo appannaggio degli ecclesiastici, strumento delizioso e sacro di evangelizzazione. La sua produzione commerciale non ha più di un secolo di storia e la vera accelerazione nella qualità e nello sviluppo dei metodi produttivi si è vista realmente solo negli ultimi 25 anni, in particolare e in modo determinante nell’affascinante stato della Bassa California. Qui, al confine con la California statunitense (Alta California al tempo degli spagnoli), tra l’Oceano Pacifico e il deserto del Sonora, i terreni e le condizioni climatiche si sono rivelati ideali per la produzione di vino premium. “Un’altra Napa, solo migliore” aveva sentenziato nel


2012 Anthony Bourdain in una puntata di No Reservation – programma cult di food&travel – dedicata alla Baja e considerata dagli statunitensi come la Bibbia per muoversi, mangiare e bere di là dal confine. A incantare il celeberrimo chef furono il microclima e i sapori della Valle di Guadalupe, un triangolo di vigneti e piccole case vitivinicole, stretto tra le montagne brulle della Bassa California e la brezza del vicino Oceano, tra la giovane e dinamica metropoli di Tijuana e la tranquilla città di Ensenada. Da questa suggestiva valle e dalla sua affascinante Ruta del Vino arrivano oggi alcune delle etichette appena premiate con la Medaglia d’oro al Concours Mondial de Bruxelles 2017: dal Casta Tinta Syrah 2014 della cantina Casta de Vinos, al Duetto 2011, blend di

Cabernet Sauvignon e Tempranillo de Bodegas Santo Tomás; da Hilo Negro ZigZag 2014, Nebbiolo all’80% e Syrah al 20%, della Compañia Agroindustrial Vinícola, allo Chardonnay in purezza del Solera Blanco, sempre de Bodegas Santo Tomás. Quelle della Valle di Guadalupe sono praticamente tutte piccole cantine e piccole produzioni, la più antica quella di Santo Tomás fondata nel 1888, altre recentissime, orientate con decisione verso la qualità e la definizione di uno stile proprio. Uno stile che vale la pena di scoprire insieme al fascino della natura, all’eccellente gastronomia e all’arte dell’accoglienza che fanno della Bassa California una delle regioni vitivinicole meno conosciute, ma più interessanti e in maggiore espansione del continente americano. Euposia giugno 2017

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Baja California

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Un angolo di Mediterraneo sull’Oceano Pacifico Temperature miti e scarsa pioggia d’inverno e in primavera, estati calde e secche, ma anche rilevanti escursioni termiche tra il giorno e la notte, grazie alla vicinanza delle acque fredde dell’Oceano. Il clima della Bassa California, è simile a quello mediterraneo ed è favorevole alla vite, nonostante la latitudine, che è la stessa delle Canarie, per intenderci. I terreni hanno buona profondità e sono particolarmente adatti alla coltivazione di molte varietà di uva. E tante sono, in un territorio di così modeste dimensioni, le varietà impiantate (all’80% viti pre-fillossera) da rendere la Bassa California una delle regioni vitivinicole al mondo con più differenze varietali. Barbera, Nebbiolo, Sangiovese e (un po’ meno) Dolcetto dall’Italia, le cinque varietà bordolesi, Carignan, Grenache, Syrah, Mourvedre e Cinsault dalla Valle del Rodano, Tempranillo dalla Spagna. Questa molteplicità è dovuta alle molte influenze enologiche che hanno ispirato e orientato le scelte dei piccoli produttori, influenze spesso dettate inizialmente dal gusto e dallo stile personali di famiglie che si sono affacciate alla produzione inizialmente più per passione che per business. “Il movimento attuale che stiamo vivendo è proprio legato a piccoli produttori di scala artigianale”, ci ha spiegato Hugo D’Acosta, l’enologo messicano più famoso e apprezzato, cresciuto professionalmente tra Francia e Piemonte e impegnato dal 1988 a far sviluppare la qualità del vino della Bassa California. “Oggi sono associate a questa regione circa 160 cantine, tutte o per la maggior parte di piccole dimensioni. Nel 99% dei casi sono di prima generazione e il 95% sono produzioni inferiori alle 50mila bottiglie. È un panorama di grande diversità in cui ogni produttore deve stabilire il suo stile e il suo gusto. È un cammino naturale. La regione ha una storia vinicola antica e importante – i primi vigneti furono quelli delle missioni – ma è stato dalla fine degli anni 80 che la produzione si è orientata maggiormente verso la personalità del territorio. Ed è stato da quel momento che i piccoli produttori hanno cominciato a imporsi nel mercato, impegnandosi in direzione di una sempre maggiore professionalità e una sempre maggiore qualità. Siamo ancora in una fase di gestazione, nella quale si sta cercando di comprendere cosa possa rappresentare queEuposia giugno 2017

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Baja California sto territorio, con una parte sperimentale molto importante. L’incasellamento in una denominazione di origine risulta ancora prematuro: il prossimo passo sarà la delimitazione geografica, ma non ancora regole specifiche sull’elaborazione del prodotto”. Venticinque anni possono sembrare pochi (e lo sono), ma i passi avanti compiuti dai produttori della Bassa California hanno già dato i loro frutti in termini di riconoscimenti internazionali e di apprezzamento da parte degli esperti. “Questo processo è stato veloce e solido anche grazie alla forte collaborazione tra produttori”, ha continuato a raccontarci Hugo D’Acosta. “Stiamo vivendo e realizzando un nuovo sistema cooperativo. In controtendenza con altre regioni del mondo nelle quali questo sistema sta sparendo, noi stiamo riuscendo a prendere gli aspetti positivi della cooperazione tra aziende. Qualunque associazione nell’uso di macchinari e condivisione delle conoscenze tecniche è favorevole, sempre che si rispetti l’individualità e la personalità del prodotto. Questa credo sia la grande differenza di quello che sta succedendo qui: lo sforzo è comune, lo scambio è vicendevole, però ognuno rappresenta un’etichetta, un progetto proprio”. Questo approccio comunitario è evidente nella stessa attività di D’Acosta, proprietario ed enologo della sua eccellente cantina Casa de Piedra, a San Antonio de las Minas, ma anche consulente di molte cantine della Valle di Guadalupe, con cui condivide la sua esperienza tecnica, e promotore della Escuelita, un luogo affascinante dove tutti possono essere introdotti alle pratiche e alle conoscenze base dell’enologia e della viticoltura. Euposia giugno 2017


La Ruta del vino Nonostante la storia commerciale del vino della Bassa California sia così recente, lo Stato e i suoi produttori hanno capito perfettamente che, oggi più che mai, il vino è anche cultura, identità, turismo. Così la Ruta del Vino, che passa per la Valle di Guadalupe e le altre tre piccole valli (San Antonio de las Minas, San Vincente Ferrer, Santo Tomás e Las Palmas) che si snodano tra le montagne e l’Oceano, è un susseguirsi di cantine di design, originali e lussuosi hotel e ottimi ristoranti, affacciati rigorosamente ai vigneti e ai suggestivi panorami della valle. Lo stile che si impone al gusto è in molti casi una moderna e minimalista interpretazione dell’industrial design. Container apparentemente abbandonati nello scenario irreale di filari di viti, rocce calcaree e bassa vegetazione – che richiama alla mente i panorami della nostra Sardegna e la sua macchia mediterranea – ospitano il prestigioso e rinomato ristorante La Esperanza dello chef Miguel Ángel Guerrero. L’inventore dello stile gastronomico Baja Med, fusione eccellente e seguitissima tra cucina messicana, cucina mediterranea e cucina orientale, accoglie qui gli appassionati Foodies nordamericani, tra

Altri glamping imperdibili Se l’idea del campeggio di lusso vi piace, la Valle di Guadalupe riserva altre gradite e originali sorprese. In direzione di Ensenada, di fronte alle colline che separano la valle dall’Oceano, si trova Cuatro Cuatros, un vero e proprio campo tendato, circondato dai vigneti. Ogni tenda, di grandi dimensioni, rivela al suo interno un sobrio lusso dal sapore marcatamente messicano e una bellissima stanza da bagno in legno, mentre all’esterno offre tutto il relax di una terrazza elegantemente attrezzata. Da non perdere, al tramonto l’aperitivo con vista nell’incredibile Bar Bura e una crociera sull’Oceano con il veliero di Cuatro Cuatros. Un’altra fantastica interpretazione luxury del campeggio è appena stata inaugurata: sono le camere-bolle del Campera Hotel Burbuja (camperahotel.com), avveniristiche sfere semitrasparenti, pressurizzate, climatizzate e dotate di bagno, per poter ammirare lo spettacolo del cielo stellato, senza rinunciare al lusso e al comfort.

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Baja California

pareti in lamiera, terrazze in legno e vetrate aperte sui vigneti della cantina L.A. Cetto (la più grande tra le cantine della valle, fondata nel 1926 da immigrati piemontesi, a cui va riconosciuto il merito di aver diffuso in Messico la cultura del vino). Il medesimo stile post industriale caratterizza il magnifico hotel Encuentro Guadalupe. Anzi, non si tratta di un hotel, ma di un lussuosissimo glamping (glamourous+camping) immerso nella natura: i container sospesi come palafitte sulla collina brulla che guarda ai vigneti rivelano al loro interno il design impeccabile di magnifiche stanze e suite per un soggiorno originalissimo e davvero indimenticabile. Ai piedi della collina si trova l’ottimo ristorante e la piccola cantina dove vengono prodotte, in modeste quantità, poche ma interessanti etichette, Sauvgnon Blanc e blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Malbec, Nebbiolo e Merlot, acquistabili solo direttamente in azienda. Design moderno, ma meno minimal per la bella e innovativa cantina Decantos, costruita in forma circolare, per motiEuposia giugno 2017

vi estetici, ma anche per ottimizzare le attività produttive, dalla geniale inventiva di Alonso Granados, che con suo fratello Alejandro dirige la casa vitivinicola. Alonso, una laurea in Enologia all’Università de La Rioja, un master in Enologia Sperimentale e uno in Enoturismo, ha disegnato e realizzato una cantina che lavora totalmente sulla decantazione per gravità (da cui il nome), eliminando il pompaggio meccanico. Il risultato è una costruzione affascinante, fatta di rampe, soffitti altissimi, serbatoi in acciaio brevettati, suggestive sale di affinamento e di degustazione, il tutto avvolto dagli spazi dedicati ad un altrettanto ambizioso progetto di enoturismo. A differenziarsi per stile e riferimenti architettonici, interviene Adobe Guadalupe, una delle migliori cantine della valle, ma anche e soprattutto un luogo di grandissimo fascino e di incantevole serenità. Merito dello spirito indomito e amorevole della señora Tru, di origini olandesi ma ormai indissolubilmente legata alla Bassa


Indimenticabili esperienze culinarie Le occasioni per mangiare bene in Bassa California sono davvero molte e spesso declinate al femminile. A Tijuana – una città complessa, ma affascinante, sempre più orientata al turismo, da visitare con le dovute cautele, ma senza paura –Nancy León, chef del Chan’s Bistrot e figlia d’arte, reinterpreta la fusione Baja Med, ribaltandone l’ordine: sui tavoli del suo ristorante sono i piatti della cucina orientale (Nancy è tijuanese, ma di origine cinese) ad incontrare i sapori e le ispirazioni della gastronomia messicana e internazionale. Appena fuori Tijuana, nella vicina Tecate, Pueblo Magico famoso per la birra e le mille fogge del suo pane dolce, un’altra chef donna incanta gli appassionati gourmet con i suoi deliziosi piatti, questa volta legati alla tradizione puramente locale e agli insegnamenti delle donne della sua famiglia: è Mariela Manzano, chef e proprietaria del suggestivo Lugar de Nos, dove tutto, dal sorprendente menù alla decorazione, è frutto della sua creatività. Nella Valle de Guadalupe, in uno scenario idilliaco, si trova il ristorante TrasLomita, dove la chef Sheyla Alvarado prepara deliziosi piatti della tradizione, presentati con spontanea eleganza, che si accompagnano alla perfezione con gli eccellenti vini della cantina Lomita di Fernando Perez Castro.

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Baja California

California. Con il suo bellissimo sorriso ci racconta la storia dolce e amara della cantina, nata dalla volontà sua e di suo marito Donald Miller, banchiere californiano, di ricordare e celebrare la memoria del figlio Arlo, appassionato della cultura messicana e devoto alla Vergine di Guadalupe, tragicamente morto in un incidente stradale. Tru e Don fecero costruire dall’architetto iraniano Nassir Haghighat una spettacolare hacienda, nella quale lo stile coloniale di fonde con le influenze architettoniche mediorientali. Al suo interno, sei eleganti stanze accolgono i viaggiatori in un clima familiare e con un servizio impeccabile. Ma il cuore dell’hacienda sono i bellissimi spazi della cantina, dove si affinano gli eccellenti vini di Adobe Guadalupe – otto etichette, bianchi e rossi, per la maggior parte blend di varietà bordolesi e della Valle del Rodano – e si conservano le loro annate migliori: una produzione di gran pregio voluta da Don e, dopo la sua morte, curata con altrettanta forza dalla moglie. All’esterno si stendono i bellissimi vigneti e si possono ammirare magnifici esemplari di cavalli di razza azteca, l’altra passione della indomita e sorridente Tru. Euposia giugno 2017


Dove Dormire Encuentro Guadalupe www.grupoencuentro.com.mx Adobe Guadalupe www.adobeguadalupe.com Cuatro Cuatros www.cabanascuatrocuatros.com.mx Campera Hotel Burbuja www.camperahotel.com Informazioni: www.descubrebajacalifornia.com Euposia giugno 2017

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Aldeno

Cantina di Aldeno: la qualità vince Momento d’oro per la cooperativa presieduta da Damiano Dallago, da dicembre 2016, e diretta da Walter Webber sin dal 2009. di

N

Carlo Rossi

on è per caso che si ottengono importanti riconoscimenti di qualità. Soprattutto se un vino così delicato come il metodo classico viene valutato alla cieca da un panel di ben trenta giurati, enologi, chef, giornalisti, sommellier e produttori al punto da primeggiare anche con riguardo a blasonate maison champagniste. Una nuova linea di Italian Style sta emergendo e si pone con forza all’attenzione della stampa specializzata e al pubblico dei winelovers. Si tratta del Trentodoc che ad Aldeno ha probabilmente incontrato una delle sue più importanti “patrie” . E’ stato già scritto come da nord a sud, da est ad ovest, nel nostro Paese il Metodo Classico sta vivendo una fase nuova, una fase di transizione, con tanti nuovi pro-

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duttori di qualità nelle denominazioni storiche: nuove formule, nuove idee (oltre i classici uvaggi, dosaggi e mesi sui lieviti) per proporre cuvée capaci di raccontare molto di più: il luogo d’origine ma anche la filosofia di chi ci mette la faccia. È un processo complesso, ma anno dopo anno questa consapevolezza sta confermandosi. Come nel caso dei vini elaborati dai trecento soci alla Cantina risultato dell’incontro di Cantina Sociale di Aldeno con l’Unione Vinicola di Aldeno, uno dei rari esempi di accordo in un mondo vino che presenta sempre più segmentazioni. Frutto dell’abile regia di Walter Webber, sicuramente, enologo di razza, classe 1962, che ha trovato terreno fertile inserendosi amabilmente in una comunità, lui che giungeva da “fora” dall’esperienza


in Alto Adige ed a Cembra, dopo la grande esperienza della Scuola di San Michele All’ Adige, che ha fatto da sempre della collaborazione uno degli assi importanti del proprio modo di vita. Ed è così che la Cantina oggi vive un vero e proprio momento di positivo sviluppo, termine scelto non a caso perché qui non amano le roboanti iperbole di un certo giornalismo di grida, per dirla manzonianamente, in perfetto stile trentino, con un fatturato in costante crescita, e che ha oltrepassato quest’anno la ragguardevole soglia dei sei milioni di euro. “Un buon momento” conferma Weber ( a proposito l’attenta gestione della burocrazia vede solo cinque impiegati in ufficio e che rappresentano anche qui un’eccellenza a servizio dei Soci) “Risultato della adesione convinta del territorio, dei soci, alla prosecuzione del Progetto Qualità che avevamo lanciato nel 2010”. Già l’anno di arrivo di Webber ha coinciso con la volontà di imbottigliare ed etichettare i vini in modo

più accattivante ma sempre rispettando l’equilibrio di uno sviluppo sostenibile, rispettoso della montagna, ed attento ai caratteri del biologico. E le bollicine? Esisteva in origine un Aldeno brut metodo classico. Ma un territorio magico come quello offerto a chi vuole intraprendere un viaggio, e vale davvero la pena di farlo, dopo il lago di Garda a Nord, per insinuarsi nell’incantevole Vallagarina (il termine sembra derivare da un’antica città, la mitica Civitas Lagaris,) , e per giungere sino al monte Bondone, è uno dei sette comuni lagarini che facevano parte dell’antica istituzione amministrativa del Comun Comunale Lagarino. Attualmente il Comun Comunale rimane vivo nella memoria degli abitanti dei diversi comuni attraverso la manifestazione denominata Comun Comunale - I Giochi e la regola. Questa festa si svolge tutti gli anni tra l’ultima settimana di maggio e la prima settimana di giugno e si svolge ogni anno a rotazione in uno dei sette comuni partecipanti: Aldeno, Cimone, Isera, Nogaredo, Nomi, Pomarolo e Villa Euposia giugno 2017

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Aldeno

Lagarina. La manifestazione rievoca le antiche vicende del periodo medievale ed è incentrata su suggestivi giochi e spettacoli con musiche e danze. E non si può non accennare ad un altro vino icona del territorio, il merlot . Nella seconda metà del mese di ottobre ad Aldeno si svolge MondoMerlot, una delle più importanti e riconosciute manifestazioni vinicole nazionali. I vini presentati alla mostra sono prodotti in numerose regioni italiane e anche all’estero. “Al progetto qualità zonazione e convinta adesione dei produttori hanno rappresentato scelte vincenti, sino all’adesione al protocollo del biologico, tra le prime doc italiane, ed adesso al vegano” mi racconta Webber. L a prima vendemmia del progetto bio è stata nel 2011. I vigneti delle basi spumante, chardonnay e pinot nero, si trovano tra i 300 e i 680 metri, mentre sino a quota 830 arrivano i vigneti estremi, come il Solaris. Territorio eroico, del resto basta guardare le foto per rendersene conto, produce ben al di sotto delle potenzialità, con rese per ettaro intorno agli 80 quintali per gli spumanti, con vigne che si innestano in ogni fazzoletto reso disponibile dalla montagna..Cantina di Aldeno è stata la prima trentina a certificarsi Bio, progetto varato nel 2010, e di altri progetti di qualità con vigneti ed uve a marchio Aldeno nello stesso anno. Come è avvenuto l’avvio del progetto dei vini vegani? “ Quasi per intuizionee. Una sera a cena eravamo dal nostro past president , Bertagnoli, che è è vegano. Lui mi dice e come fai con gli spumanti? Allora nel 2013 abbiamo studiato i lieviti

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moltiplicati su substrati vegetali” e abbandonato ogni proteina di origine animale nelle lavorazioni. Attualmente la Cantina può disporre di 20.000 bottiglie di spumante metodo classico nelle diverse elaborazioni , da circa tre ettari e mezzo di viti selezionate, su un totale di 25, tra chardonnay e pinot nero. Microclima fortunato, terreno scarno ed assai variabile, che necessita di un vero e proprio direttore d’orchestra per dare il meglio in bottiglia, pratiche di vigneto rispettose, tecnologie di cantina non invasive, anzi. L’Assaggio: Altinum riserva Trentodoc 2010 pas dosé. La veste di questo Trentodoc 2010 esalta al meglio le caratteristiche di quella vendemmia, Già la sontuosa struttura del vino base faceva promettere bene. Una riserva di tradizione ed innovazione. Un grande vino da tuttopasto, Grandi sentori di rosa canina, naso accattivante e ancora fresco dopo sette anni sui lieviti. Dalle immediate sensazioni di lime, ananas, mela, pesca e nocciola, con sentori più sottilmente balsamici e muschiati. Al sorso è ampio ed interessante, ha corretta polpa, sale ed acidità in buon equilibrio: calibrata freschezza, buona morbidezza, finale netto e agrumato.70% chardonnay ( di cui il 40% fermentato e affinato per 5 mesi in barrique) e 30% pinot nero. Degno Campione del Mondo 2016 Altinum pas dosé Trentodoc 2013: sboccatura febbraio 2017, Bel vino dal colore dorato intenso e luminoso. Rabboccato dopo la sboccatura con il medesimo vino, della medesima annata, Ancora fresco nonostante i


semplice e guyot, per densità d’impianto di 3.0005000 ceppi per ettaro. Le uve vengono raccolte a mano, per poi essere vinificate in riduzione, con fermentazione in serbatoi di acciaio inox. Affinamento per 4-5 mesi in acciaio con presa di spuma entro febbraio dell’anno successivo. Dal momento della presa di spuma si lascia affinare il vino in bottiglia per un minimo 36 mesi Altinate Blanc de blanc Biovegan Trentodoc:: ottenuto da uve Chardonnay 100%, Blanc de Blancs Brut rivela al naso sentori di melone, brioche e miele con note floreali sulle retrovie.La bolla ha una struttura fine al palato, in bocca gli agrumi e la mineralitá la fanno da padrone con un finale lungo e persistente. Ideale per accompagnare antipasti di pesce e ottimo in aperitivo. Leggero alla digestione, questa la differenza con i vini vegani, probabilmente, bolle piu’ leggiadre.

già 3 anni in bottiglia. Vino direi “esplosivo”. Al naso un bouquet di frutta, fiori, fieno tagliato con finale di incenso, calcareo. In bocca prevale la sapidità e la nota agrumale che conferisce ampiezza ed eleganza a questa cuvèe in cui gli interpreti sono lo Chardonnay per il 90%, e il Pinot Nero per il 10%, la potenza. Altinum brut Trentodoc brut: Compare la terza nota, quella del pinot bianc Bel colore giallo oro, effervescenza copiosa. Naso espressivo, frutta a polpa bianca e fiori bianchi. Bocca vigorosa dagli aromi esuberanti, qualche frutto secco ed un tocco vegetale fine. Stile corposo da servire a tavola. Bella espressione anche questa di territorio. Terreno alluvionale di riporto e morenico, esposizione e altitudine a est, sud-est, vigne tra 300-660 m s.l.m., Metodo di allevamento è la pergola trentina

L’antichità del luogo è confermata dai reperti archeologici che vanno dall’età del bronzo all’epoca romana. Per Aldeno passava la strada romana Claudia Augusta Padana. Per quanto riguarda l’origine del nome ci sono ipotesi controverse: per alcuni studiosi deriva dal latino Altinum, per altri dal longobardo Aldio e secondo altri ancora potrebbe derivare addirittura dall’etrusco Altena o Altuno. Ufficialmente è nominata a partire dal XIII secolo con il nome di Aldenum. Durante la Grande Guerra, Aldeno divenne la sede del XXI Corpo d’Armata Austro-ungarico, comandato dal generale Luchtendorf, e vi furono trasferiti gli uffici amministrativi e giudiziari di Rovereto. Già nell’etichetta si trova la profonda aderenza al territorio. Campeggia infatti , stilizzata, la tradizionale pergola trentina. I vigneti hanno pendenze importanti e difficili, alle pendici orientali del gruppo del monte Bondone. Il paese sorge sul conoide alluvionale depositato nel corso dei secoli dal torrente Arione, in una zona che anticamente era luogo di transito obbligato, nonché di intensi traffici fluviali sul fiume Adige. Il corso d’acqua formava infatti, proprio in prossimità del paese, un’ampia ansa a ridosso del monte (via del porto ad Aldeno ne è ricordo)

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Monte dei ragni

Sotto il cielo degli Arusnati Elogio della lentezza: il vino dei Ragni di Zeno Zignoli di

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bbiamo assaggiato il suo Amarone 2007 dopo una bella conversazione di quasi un paio d’ore. Appuntamento concesso in breve tempo nonostante una fittissima agenda in virtu’ di eccellenti apripista , come la nostra comune amica Elisabetta Tosi, un vera regina della Valpolicella. A dirla tutta, anche il notaio Paolucci, che se ne intende, mi aveva parlato di questo amarone come un emerging winner del territorio calcareo di Fumane. “Il vino bisogna meritarselo” racconta Zeno Zignoli, ed e’ già un manifesto, questo esordio, rispetto alla teologia del “fare” , alla ricerca di una reductio ad unum rinnovata, ad un patto con l’ambiente che consenta all’uomo di ritrovare con l’intorno l’armonia perduta in nome della separatezza imposta dalla dottrina positivista per lo sfruttamento di “madre terra” . “Sono rimasto folgorato dopo le visite a Bordeaux dall’eleganza dei grandi vini proposti almeno dopo dieci anni di affinamento, e li ho

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capito cosa volevo fare io una volta giunto in Valpolicella da due valli piu’ in là, da quella Valle di Pan, la Valpantena, per approdare alla corte piu’ mistica di Bacco”. In Valpolicella sembra che la bevanda sacra agli dei , il vino, fosse già conosciuto dagli Arusnati, popolazione di probabili origini etrusche. Le prime testimonianze della presenza degli Arusnati in questa regione risalgono al V secolo a.C. Il popolo era prevalentemente dedito all’agricoltura (particolarmente rilevante la vitivinicoltura già in epoca romana). I più recenti studi sui reperti epigrafici rinvenuti nel territorio del pagus arusnatium, collegherebbero la popolazione ed i suoi culti alla cultura etrusca, che sembra peraltro permeare varie sacche retiche abitanti l’area cisalpina (tra le fonti antiche, sia lo storico Tito Livio che Plinio il Vecchio attribuiscono ai Reti origini etrusche). Lo stesso nome Arusnates potrebbe derivare da Aruns/Arruns, eroe della mitologia etrusca legato alla città di Chiusi (lat. Clusium),


potenza etrusca impegnata nella colonizzazione dell’Italia settentrionale attorno al VI-V secolo a.C. Un uomo innervato nella sua terra, profondamente, come le radici dei suoi due ettari di Corvina, Rondinella e Molinara, su cinque a disposizione. Agronomo di formazione, Zeno considera un unicum inscindibile il rapporto uomo-ambiente, nella ricerca di un equilibrio del quale si sente profondamente partecipe . Al tempo degli Etruschi non esistevano confini tra il vino , la spiritualità e la vita quotidianità, ma tutto si amalgamava tutto si confondeva. Col vino si onoravano i morti, insieme alla danza ed al suono dei flauti doppi. Soprattutto nel ceto aristocratico, erano diffuse pratiche religiose in onore di Fufluns (Bacco), il dio del vino. Questi riti segreti e strettamente riservati agli iniziati, grazie all’ebbrezza provocata dalla bevanda, avevano il fine di raggiungere la “possessione” del dio nel mondo terreno, garantendo così in anticipo una sorte felice

nell’aldilà. Questo è il racconto del vino di Zeno, profondamente collegato allo spirito della natura nella quale si sente di camminare in punta di piedi, cercando di dare meno fastidio possibile alle api, ai fiori, alla lenta crescita degli alberi che arricchiscono un ambiente unico, un terroir frutto della sollevazione di ancestrali fondali marini e che si ritrova , se sei capace di fare, pardon, di meritare questo vino unico e difficile, l’Amarone, per esempio nella nota d’incenso che ritrovo dopo un po’ che si apre nel bicchiere il suo 2007. “Produco circa 2.000 bottiglie di Amarone, anche se ci sarebbero potenzialità ben superiori, proprio perché credo piu’ ad uno scambio con la natura che mi offre i suoi doni piuttosto che ad una violenza in nome della ricerca del profitto” mi racconta. Ed anche un altro dei suoi pilastri, del resto comprensibili in questa sua visione unificante del rapporto uomoEuposia giugno 2017

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Monte dei ragni territorio. Il tutto e l’uno collegati insieme per offrire una bevanda sacra, oinos, il vino, da rispettare ed assaporare come si merita, con attenzione e in attesa quasi mistica in modo che essa riveli le innumerevoli fragranze che propone all’uomo connesso con il tutto. E il vino? Detto della nota d’incenso si apre in un arcobaleno di descrittori dalla frutta al floreale che, abbinati ad un sapiente uso dei tonneaux , fermentazione in botti aperte, con lieviti indigeni, solforosa ai minimi assoluti, follature manuali, ne fanno un risultato vivo e di rara eleganza, dove mai esaspera la nota alcolica e di grassezza, di un vino ancora sorprendentemente fresco di viti allevate in medio-alta collina, tra 200 e 400 metri. Frutto anche dell’utilizzo del cavallo da tiro antico invece che del piu’ devastante trattore meccanico e di una aderenza al protocollo biologico antesignana. Risultato, un elemento dell’agricoltura che trova sempre maggiori estimatori. Ne testimonia la lunga lista d’attesa per poter assaporare il “vino dei Ragni” di Zeno Zignoli, agricoltore in Fumane ,via Marega 3. Alla fine gli chiedo che cosa è per te il vino e mi risponde ” Io lavoro per dare emozione e vita, per coloro che trovano una risposta alle loro emozioni nel mio vino. Il premio è una cosa del tutto secondaria, senza alcuna importanza almeno per me. E non perdo un minuto del mio tempo a pensarci.” Un concetto che sarebbe piaciuto anche al grande Jorge Amado.

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L’azienda MONTE DEI RAGNI nasce su terreni di proprietà della famiglia Ragno. Prende il nome dalla collina ove è ubicata, in conseguenza al fatto che sul catasto storico redatto durante la dominazione austriaca venne così nominata. Tra i principali artefici dell’azienda vi fù Ragno Santo il quale, già all’inizio del 1900 seppe intuire l’importanza dell’ uva per questa terra indirizzando sempre più l’ azienda in questa coltivazione. In continua evoluzione, nella prima metà dello stesso secolo si ampliò con terreni in località Mazzurega, poco più a nord, subito piantati a viti, ciliegi e ulivi e di quelle migliorie vi è traccia ancora oggi. Una vecchia stradina fra due muri di sasso porta all’azienda, in località Marega, storica contrada datata 1450. Nata come guarnigione della vicina Villa della Torre è poi diventata azienda agricola, restando tale fino ai giorni nostri. La coltivazione della vite e la trasformazione in vino, dando in questa fascia pedecollinare il meglio di sé, ha qui origini antichissime. Operiamo ora in campo con scelte innovative, piantando oltre 5000 ceppi per ettaro, vitigni autoctoni di alta qualità, con un attento controllo della carica di gemme in fase di potatura e pratiche colturali come la lavorazione della terra sul filare, il diradamento e l’esporre i grappoli all’aria. Con la meticolosa cura che poniamo in campo per la vite operiamo anche in cantina con pigiature soffici pressature morbide, un sapiente uso dei legni e la quasi totale esclusione di sistemi di pompaggio meccanici, coadiuvati dagli enologi Fabio Bigolin e Umberto Menini, incontro di esperienza e passione che ci accomuna. I vigneti, 6-7 ha circa, sono in piena esposizione su terreni di matrice povera, ideale per la coltivazione della vite, inframmezzati da numerosi e caratteristici muretti a secco, le marogne, con tipica sistemazione a pergola semplice che consente al meglio l’insolazione e le operazioni colturali. Intervallati vi sono filari di olivi e ciliegie che a fine marzo, con la fioritura, regalano un panorama mozzafiato.

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N e w s

Cambio al vertice del Gruppo Caviro

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ergio Dagnino, da 16 anni Direttore Generale del Gruppo CAVIRO, il prossimo 30 giugno lascia la guida della cooperativa agricola faentina, per intraprendere nuove sfide professionali. “Ringrazio Sergio Dagnino per i risultati di questi anni - commenta il Presidente Carlo Dalmonte a nome del Gruppo e dei Soci. - Sotto la sua guida abbiamo raggiunto importanti traguardi e la sua professionalità e propensione all’innovazione sono state fondamentali per trasformare CAVIRO e CAVIRO Distillerie in aziende leader nei rispettivi mercati, estero compreso”. Il Consiglio di Amministrazione di Caviro ha nominato SimonPietro Felice quale nuovo Direttore Generale di Caviro. SimonPietro Felice, proveniente da importanti realtà vinicole quali Casa Vinicola Botter, Italian Wine Brands e Giordano Vini, entrerà in carica il 1° luglio 2017. Caviro, 304 milioni di fatturato consolidato, è una Cooperativa Agricola, con la missione di valorizzare le uve dei 13.000 Soci viticoltori in Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Puglia, Toscana e Sicilia, che conferiscono ogni anno l’11% dell’uva italiana. Caviro è leader in Italia nel vino per quota di mercato e detiene il primo marchio italiano in Italia, Germania, Giappone, Russia. Tramite Caviro Distillerie il Gruppo è anche leader di mercato in Italia nell’Alcool con una quota del 25% e co-leader mondiale nell’acido tartarico naturale.

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A Le Beccherie nuovi chef in cucina… E la Marca si fa gourmand! numero di coperti raddoppierà, da 20 a 40. Al momento con Beatrice stiamo mettendo a punto la nuova carta: utilizzeremo i primi mesi come prova, per conoscere la nuova clientela e prendere la mano in cucina.” Sarà la Marca Trevigiana il filo conduttore della nuova carta del ristorante: la materia prima infatti verrà selezionata da produttori locali e sarà la base di piatti che, pur riprendendo la tradizione, porteranno il segno dell’esperienza internazionale degli chef.

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randi novità nelle cucine de Le Beccherie: da mercoledì 5 luglio a guidare l’offerta gastronomica del ristorante di Piazza Ancillotto saranno Manuel Gobbo e Beatrice Simonetti che, dopo quasi 9 mesi trascorsi al bistrot Al Corder, si trasferiranno nel locale celebre per aver dato i natali al Tiramisù. Una scelta fortemente voluta dall’imprenditore trevigiano Paolo Lai, titolare di entrambe le strutture, che dopo gli eccellenti risultati ottenuti da Manuel e Beatrice presso Al Corder ha deciso di chiamarli a dirigere le cucine de Le Beccherie. “Sto investendo molto in questo locale, che di fatto grazie ai suoi oltre 100 anni di storia è diventato uno dei simboli della città di Treviso – spiega Lai – Manuel e Beatrice hanno un passato nell’alta ristorazione, con esperienze importanti tra cui quella trascorsa presso il ristorante di Ciasa Salares, il 4 stelle superior di San Cassiano (BZ), in Alta Badia. Sono le persone giuste per guidare e rilanciare l’offerta gastronomica de Le Beccherie e farne un punto di riferimento sulla scena trevigiana”. Dal canto loro, l’accoppiata Gobbo-Simonetti accoglie con entusiasmo la nuova sfida, pur lasciando con dispiacere la loro prima “casa”. “Al Corder ci siamo trovati benissimo – commenta Manuel – ma la cucina de Le Beccherie sarà molto più grande e ci permetterà di sperimentare nuovi piatti e nuove preparazioni. Anche il

Manuel Gobbo

Nato a Treviso nel 1979, Manuel Gobbo comincia il suo percorso proprio in città, nelle cucine di El Toulà, storica insegna del centro. In seguito, dopo diverse esperienze approda a Ciasa Salares, l’hotel 4 stelle superior di San Cassiano (BZ), prima come allievo di Fabio Cucchelli e, dal 2013, come sous chef. Tra i suoi maestri anche Arturo Spicocchi, chef de la Stüa de Michil, altra stella della ristorazione gourmand dell’Alta Badia.

Beatrice Simonetti

Classe 1981, originaria di Farra di Soligo (TV), la carriera di Beatrice Simonetti esordisce presso la Terrazza Martini (Ristorante Da Andreetta) di Cison Valmarino. Dopo 5 anni, Beatrice accumula esperienze in alcuni noti ristoranti dell’alta ristorazione nazionale, viaggiando da Sirmione a Gardone Riviera, da Merano fino all’Alta Badia. Lì per 2 anni lavora come capo partita presso Ciasa Salares, dove conosce Manuel. In quel periodo con la loro amicizia a poco a poco prende vita anche il progetto di guidare insieme la cucina di un ristorante.

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Croazia

A Dubrovnik per il Festiwine imperdibile appuntamento di primavera per i winelovers da tutto il mondo di

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Carlo Rossi

en 71 produttori, provenienti praticamente da tutta l’area dell’ex Jugoslavia, e dall’estero, Italia compresa, oltre 500 vini dei quali una eccellente produzione di bollicine metodo classico, una vera scoperta queste ultime, moltissimi visitatori da tutta Europa, interessanti seminari tecnici e il concorso internazionale aperto alla giuria di esponenti di primo piano giunti da molti paesi dell’Unione Europea, sotto Euposia giugno 2017

la supervisione del grande tecnico sloveno Bojan Kobal , presidente della giuria internazionale del Dubrownik Festiwine Trophy, sono state il ricco piatto di interessanti novità della quarta edizione di questo incontro in terra ragusana, svoltosi dal 17 al 23 aprile scorso, che promette in futuro di riservare molte sorprese. Invitato in una missione perfettamente organizzata e supportata dall’Ente del Turismo della Croazia, abbiamo così


potuto godere in via privilegiata di un menu’ di rara eccellenza internazionale, che ha visto riuniti vino, turismo d’elite , cultura e divertimento, in un un progetto voluto per dimostrare le grandi potenzialità del turismo del vino e per lanciare la perla, o , se preferite, la Monte Carlo dell’Adriatico come è definita questa splendida città Dalmata patrimonio dell’umanità, in primavera, appena terminata la stagione della fredda e sferzante Bora. Operazione riuscita, come appare dai numeri e dall’interesse di giornalisti provenienti da diverse parti d’Europa e non solo, che hanno così potuto apprezzare, anche in due serate di gala offerte dall’organizzazione di Dubrovnik Festiwine, delle numerose eccellenze gastronomiche che vanta la dispensa di questa terra carsica. Un festival di pace, sapori, profumi che ha mostrato la grande capacità di accoglienza della contea di Dubrovnik-Neretva, dove vino, olio d’oliva, agrumi e fichi oltre al pesce dell’Adriatico e al menu’ di terra, offrono ai gourmet interessanti suggestioni. Come quelle fornite da un’altra rilevante particolarità come una specie di ostriche, quelle allevate a Ston, pressoché uniche al mondo. Le tracce di allevamento di ostriche nella baia di Mali Ston risalgono al tempo del governo romano in questa zona. Le prime tracce scritte che testimoniano la presenza di caccia alle ostriche risalgono al Cinquecento, mentre i scritti provenienti dalla Repubblica di Ragusa del Seicento testimoniano l’allevamento. Con questi documenti si organizzava l’allevamento con l’assegnazione di concessioni e dei privilegi agli allevatori. La visita ai vivai è possibile con la barca che parte da Mali Ston, organizzata da Bota Šare, e da Hodilje, organizzata da Denis Dražeta, l’allevatore. Ma torniamo al Vino per dire come qui si e’ conclusa la seconda tappa di una sorta di nostro Sideways in terra croata iniziato qualche anno fa nel Quarnero, per passare all’isola di Krk dove abbiamo appreso della splendida tecnica della l’intera Croazia, partendo da Istria e Quarnero, abbonda di tanti vitigni autoctoni i cui vini è molto più semplice assaporarli che pronunciare i loro nomi. Ecco qualche esempio: vrbnička žlahtina, trojšćina, jarbola, suščan crni. In Croazia è consuetudine che i vini vengano chiamati col nome del vitigno da cui sono ottenuti. La quantità di vitigni autoctoni rende ricco il passato vitivinicolo. Tuttavia, almeno per ora, il futuro enologi-

co del Quarnero riposa quasi esclusivamente sulla žlahtina, un’uva bianca coltivata nelle vigne di Krk (Veglia) e Novi Vinodolski. La più nota è la vrbnička žlahtina, proveniente, lo si capisce dal suo nome, dalle vigne della piana Vrbničko polje e dalle vigne attorno alla cittadina di Vrbnik (Verbenico), sull’isola di Veglia. La vrbnička žlahtina è prodotta da tante cantine: Poljoprivredna zadruga (Cooperativa agricola) Vrbnik con una tradizione secolare, Frajona Gospoja – Toljanić, Antun Katunar, Ivan Katunar, Vinarstvo Šipun della famiglia Dobrinčić, Vinarija Nada della famiglia Juranić e Petar Čubranić. La cantina Pavlomir produce vrbnička žlahtina dalle uve raccolte nelle vigne strette tra Bribir e Novi Vinodolski, nella piana Novljansko polje. La žlahtina è un vino suadente, sempre giovane, di un anno, raramente di due anni. È l’ideale vino estivo, con i suoi aromi di mare, agrumi, mele verdi, erba cipollina e rocce ancora bagnate dal mare. Vino dal corpo leggero, di calore moderato perché supera raramente il 12 % vol., estremamente minerale e salmastro in bocca, con un finale lievemente piccante al sapore del pepe bianco. Non andrebbe mai servito raffreddato sotto i 10° C, perché perderebbe le sue caratteristiche tipiche. Dà il meglio di sé nella classica degustazione in calice. Si sposa perfettamente con il miglior crostaceo del mondo: lo scampo del Quarnero, ma anche con i molluschi bivalvi. Per la sua piacevole freschezza, costituisce un’ottima base per la produzione dei grandi spumanti classici come quelli affinati per la prima volta al mondo Euposia giugno 2017

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Croazia

ed unici nel loro bouquet che nulla ha da invidiare ai blasonati champagne di Cooperativa agricola Vrbnik del grande enologo Marinko. ll vino è tra le eccellenze della Croazia: la produzione è sbalorditiva sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: la regione continentale conta 300 produttori doc, quella costiera 130, con vini estremamente diversi tra loro ed alcune etichette protagoniste del gotha mondiale, soprattutto nell’ambito del bianchi profumati e dei vini da dessert. L’intera Croazia è una grande terra di vendemmia. L’area nord-occidentale della Croazia continentale presenta vitigni abbarbicati sulle alture, a 150-300 metri sul livello del mare. Qui il clima è umido, ma il sole sufficiente per garantire un’ottima produzione, soprattutto di bianchi a bassa gradazione alcolica, freschi e profumati. Tra i molti prodotti, prevalgono il gravina, la kraljevina, il plavec zuti, ma anche vini meno tradizionali e più di nicchia, tra i quali spicca l’ottimo sauvignon di Medimurje. La zona nord-orientale, dal canto suo, è caratterizzata da declivi più morbidi e i vitigni si trovano a 150-200 metri sul livello del mare, forti di un Euposia giugno 2017

clima più secco ed organizzati spesso lungo altipiani a terrazze. Qui si producono grasevina, pinot bianco, traminer . I vini rossi sono meno diffusi, ma spesso di altissima qualità: il Dingač, prodotto nella penisola di Peljesac , è stato il primo vino ad ottenere la denominazione di origine controllata nel lontano 1967. Si tratta di un vino corposo e da accompagnare con piatti sostanziosi, ma merita davvero più di un assaggio. Lo stesso può dirsi del Postup, che si gioca la palma del miglior rosso nazionale con il Dingač ma è meno noto e diffuso (e anche più economico). La costa e le isole producono vini di altissima qualità. Spiccano il bianco Vugava, profumato e caratterizzato da un intenso colore paglierino nell’isola di Vis, il Grk a Korcula e l’eccezionale Malvasia di Dubrovnik. In effetti, i vini da dessert della Croazia sono il fiore all’occhiello della produzione nazionale e riflettono il vigoroso carattere di queste terre, sospese tra massicci montuosi e spiagge infinite, tra mare e terra, sole e venti battenti. Il vino è ampiamente consumato in Croazia: gli appassionati non potranno lamentarsi dell’offerta nei ristoranti ma anche


nelle trattorie più spartane, soprattutto nella sottoregione di Peljesac, chiamata la “penisola del vino” e da un flusso di turisti che negli splendidi hotel come l’Argentina od il President sempre piu’ richiedono vini della zona. I vini croati dunque crescono e conquistano una posizione di rilievo nell’economia del paese adriatico nonostante i numeri della produzione non siano eccessivamente elevati trattandosi di circa 700 mila ettolitri ricavati su una superficie dedicata di oltre 17 mila ettari. Questi i dati emersi dalla prima edizione del Dubrovnik Festi Wine, organizzata dalla Dunea, l’Agenzia per lo sviluppo regionale di Dubrovnik, nell’ex convento delle Clarisse nello stupendo centro storico della città croata, patrimonio dell’umanità, ha presentato oltre 60 produttori provenienti soprattutto dalle aree di Peljesac, Konavle, Korcula, Komarna, Crna Gora e Lastovo, piccola isola a metà tra Croazia ed Italia. “La scelta obbligata dei produttori croati - conferma Melanie Milic di DUNEA - non potendo contare su grandi quantità, è stata di creare dei vini-boutique che hanno puntato nel tempo ad elevare la qualità secondo standard internazionali. I nostri vini a denominazione geografica protetta - continua Milic - come il Plavac Mali, Posip, Grk e la Malvasia di Dubrovnik, completamente diversa da quella di altri paesi, si sono distinti anche su mercati particolarmente esigenti”. Secondo gli organizzatori del Festi Wine, la rassegna contribuirà ad incentivare il turismo eno-gastronomico per destagionalizzare i flussi turistici. Un esperimento già partito lo

scorso anno con l’iniziativa Wine&Dine, curata dal tour operator Gulliver Travel di Dubrovnik che ha realizzato itinerari gourmet alla scoperta di territori e delle loro produzioni. Ecco una carrellata dei presenti al Dubrovnik Festiwine di quest’anno e degli interessantissimi produttori di metodo classico. Le prime sei aziende sono di Konavle, che si trova all’estremo sud della Croazia, il cui centro si trova nella vicina località turistica di Cavtat, la leggendaria colonia fondata dai Greci col nome di Epidaurum. Le aziende sono Crvik Doo di Andro Crvik, Bratos Vina Doo, Miljias Doo, Niksa Bratos Opg, Zlatovisce Vinarija, Dubrovacki Podrumi dd. Poi due cantine di Korcula. Gli antichi greci chiamarono l’isola di Korčula Korkyra Melaina, mentre nei tempi dell’Impero Romano essa era conosciuta come Corcyra Nigra, ovvero la Korčula Nera (cro. Crna Korčula). Ha preso il nome grazie alla lussureggiante vegetazione mediterranea, mentre oggi, oltre ad essere nota per le sue bellezze naturali ed uno straordinario patrimonio culturale, è famosa anche per la sua tradizione millennaria della produzione di vini di altissima qualità. A differenza del resto della Dalmazia, nota per i suoi vini rossi, l’isola di Korčula offre degli interessanti vini bianchi ottenuti dalle varietà a diffusa è Plavac mali. I vini dell’isola di Korčula hanno un carattere individuale, una complessità, un aroma pronunciato ed un’alta percentuale di alcool grazie ai quali riflettono il profumo, il sapore ed il clima del Mediterraneo. Le aziende presenti erano Blato 1902, Zure Obrt. Si passa poi ai vini di Komarna rappresentati da Vina Terra Madre doo Poljopromet doo e ai vini della Neretva, nome di un fiume mitico anche per le vicende della seconda guerra mondiale, di Vinogradi Volarevic doo, anch’essi eccellenti esempi di Plavac, Posip, Marastina e il Charo’ 2016. Abbiamo poi assaggiato i suggestivi vini di 31 produttori di Peljesac. Da secoli la penisola di Pelješac, nella Dalmazia meridionale, è rinomata per il suo vino rosso ottenuto da uve plavac mali. Questa varietà è coltivata sulle scoscese colline carsiche della penisola, a pochi passi dal mare, dove le vigne sono circondate da erbe spontanee medicinali e aromatiche. Sono proprio queste le caratteristiche che regalano al vino ottenuto note Euposia giugno 2017

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aromatiche uniche, rinomate in tutto il mondo. Tuttavia, proprio la troppa fama ha determinato l’avvento di una viticoltura più industriale e omologata, poco legata al territorio e molto al profitto. Per questo, da pochi anni un piccolo gruppo di produttori locali ha deciso di intraprendere una viticoltura rispettosa dell’ambiente e della tradizione, per regalare al consumatore il sapore vero di questo prodotto. Gli stessi viticoltori, inoltre, si dedicano alla produzione di rakija dalle vinacce di plavac mali, un prodotto ancora poco conosciuto ma dalle grandi potenzialità. Le cantine erano Ivo Ciblic, opg , Korta Katarina , Mato Antunovic, Posip Cara, Vinarjia Krajancic, Marlais Vinarija, Kuna 1898, Pelieski Vrhovi Pz Janjina, Kunjias Vinarija, Zeljko Ledinic, opg, Dingac Skaramuca Doo, Putnikovic Pz, Potomje pz, Ante Milina Opg, Stovis pz, Madirazza doo, Neven Simunkovic opg, Badel 1862 dd , Boris Violic opg, Mato Vlasic opg, Grosic Vinarja, Dingac Pz i Vinarija, Dingac Obrt, Dubravko Vukas, Andelko s Arambasic opg, Saint Hills Vinaria, Mise seArambasic opg, Franica Sunj Pezo, ed infine Ivan Bezek. Dall’Istria è giunto Vina Cattunar e qui comincia la storia dei grandi spumanti Senator, Kabola , Vina Prelac , Cossetto Vina Luciano Visintin con il suo bellissimo Rose brut 2012 e Degrassi doo. Di Zagabria era Petrac di Dina Polonijo, che ha presentato, tra gli altri vini, un elegante Stolno Pjenusavo vino Bregh Roseè 2014 da un grande terroir quello appunto di Bregh. Bolfan Viniski veniva dalle terre alte croate, Medimurje-Zagorie con splendidi metodo classico . Quindi un’altra favola istriana quella di Vina Ilovcak. Poi di nuovo a Zagabria, la capitale, con MRKUS Vina. Vinarija Iuris Euposia aprile 2017

era di Podunavlje, sulla parte meridionale dell’antica Pannonia. Così come Vina Belje. Mentre dalla Slavonia giungeva Osilovac doo e Vinarja Feravino, Vina Jakob e Kobal Wines. Da Erdut Brzica Ivo, nella regione spesso dimenticata dai circuiti turistici, di Osijek e della Baranja ai confini tra Ungheria e Serbia. Varaždin conserva i fasti del suo antico passato nobiliare, un tempo capitale della Croazia, e da qui viene Vinarjia Safran con un bel Pinot 2015. Vina Tonkovic viene dalla Voivodina, Bodren doo da Zagorje, Vina Bedekovich dal terroir di Prigorje , Dalla Bosnia e Herzegovina giungeva la Vinarjia Citluk, eccellenza del vino della nazione resa famosa da Freud che invento’ il concetto di lapsus freudiano con la vicenda famosa del signor herr a bordo del treno mentre era in viaggio in quel paese. Da Medjugorie Carska Vina. Ancora dalla Bosnia ed Herzegovina la Vina Zadro doo, poi c’era Astoria dall’Italia, con le grandi bolle, i vini dell’Associazione Vini da Terre Estreme ed infine da Peljesac Edivo doo. Per la cronaca, il Dubrovnik Festiwine Trophy 2017 nella sezione metodo classico è andato a Vina Mladina, della regione di Zagabria, posta a circa 200 mt sul livello del mare, bellissima realtà specializzata in metodo classico di ottimo livello. Qui sotto i risultati dei migliori spumanti. Appuntamento in Croazia per visitare queste bellissime espressioni di nuova eccellenza, le realtà che producono un vino impegnativo come il metodo classico, con “. Croazia 365”, ovvero un Paese che si presta a soggiorni, city break e circuiti per 365 giorni all’anno. Questo il leit motiv della campagna lanciata dall’Ente nazionale croato per il turismo, che punta sia alla destagionalizzazione dell’offerta sia all’apertura verso aree e prodotti nuovi. «La Croazia è mare, ma non solo – tiene a sottolineare il direttore per l’Italia dell’Ente, Branko Curic -. Il mio obiettivo è quello di intensificare la conoscenza del Paese presso i viaggiatori italiani facendo leva su un’offerta molto vasta, che si concentra su diversi aspetti: cicloturismo, turismo nautico, medico, attivo, wellness ed enogastronomico». Nel 2016 i visitatori italiani sono stati circa un milione e 115 mila, in aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente e nel 2017 la prospettiva è quella di incrementare di un ulteriore 2-3%. Ed anche grandi vini. (Foto del reportage di Alejandra Pezzutti)



Verona Champagne

Verona Champagne, ricordi di un’epoca mitica Premium Wine Selection e Ferroni Sas rappresentano la memoria storica della distribuzione in terra scaligera delle bollicine d’Oltralpe. Così come del Vinitaly. E l’Excalibur ne era il centro.

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Verona champagne si coniuga con Premium Wine Selection di Gigi Piacentini e la Ferroni sas di Luca Ferroni, che dagli anni Ottanta distribuiscono nella città di Giulietta le bollicine transalpine. Ma Gigi e Luca non sono enfant prodige. Gigi Piacentini è infatti il figlio di quel Silvano, classe inossidabile 1938, che sarà addirittura il primo sommelier di Verona. Ma quasi come attraverso vie parallele si svolge anche il percorso di Luca Ferroni, figlio di Cesare, classe di ferro 1927, che sarà ricordato, tra l’altro, non solo per essere stato uno degli storici agenti di Ca’ del Bosco sin dal 1980, ma anche tra “fondatori” del primo Vinitaly.

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La storia e’ questa, racconta Luca Ferroni “assieme a un funzionario della fiera, Elio Vigneti viene chiamato per creare un’enoteca importante e per la prima volta all’interno della fiera. Aveva così coinvolto Geremia Fantoni, Carazza Danilo, Elio Cremonese e mio padre per portare i marchi nazionali di riferimento. Mio papà, in particolare, aveva portato Marino gotto d’oro di Frascati. All’inizio era quasi una sorta di sagra di paese, con la gente che veniva in massa per fare ordini in fiera. Non c’era ancora estero”. Ma tornando allo Champagne, di li a qualche anno, all’inizio degli anni ottanta, a Verona si trovava quasi unicamente nei locali di tendenza, come l’Excalibur


oltre alla Bottega del Vino, allora di proprietà di Silvano Piacentini e della mamma del notissimo chef stellato del Desco, Elia Rizzo. Il mitico Jerry Cala’ racconta in un contributo gustosissimo il clima di quel periodo, caratterizzato da un buon andamento dell’economia e da un diffuso ottimismo «Il nostro ritrovo a Verona era l’Excalibur, nel quale mi rifugiavo dopo gli impegni con il cinema e con gli amici. Ferruccio Carnevale è uno uno dei primi o addirittura il primissimo ad aver avuto l’idea di riunire ristorazio-

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Verona Champagne

ne con discoteca, concept che oggi è di grande attualità. E ricordo che allora, quando si voleva fare serata, si beveva champagne Veuve Cliquot, Dom Perignon. I piu’ ricchi si avventuravano in Cristal e Krug. Ferruccio vendeva talmente tanto che era spesso invitato a Reims, anche perché non era ancora sbocciata la grande moda del brut italiano, al quale i francesi cercarono di opporsi in tutti i modi. Pensa che una bottiglia allora costava circa 250.000 lire. Altri locali giunti successivamente, come il Berfis o l’Alter Ego avevano clientela diversa. Dall’Excalibur tutti i grandissimi son passati. Dopo il Cantagiro con De Andre’ o la Bertè, ad esempio, ci ritrovavamo da Ferruccio». La Premium Wine Selection, con sede nella Valpolicella storica,

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nasce nel 2000. È quindi un’azienda con una esperienza di sedici anni, moderna e dinamica, ma fondata da persone con oltre 30 anni di esperienza nella produzione e nella distribuzione del vino di qualità nel mondo. Nel 2009 il figlio di Silvano Piacentini, Luigi, è entrato a far parte della PWS. Luigi è nato nel 1964 ed è sommelier professionista dal 1982. È stato per diversi anni direttore commerciale per l’Italia presso Masi Agricola di Verona ed è ora presidente di PWS e Vicepresidente di Gemma. È anche membro di Confindustria Verona. “Il nostro obiettivo- dice a Euposia Gigi Piacentini, Presidente di PWS - è quello di selezionare e distribuire in esclusiva vini e distillati dalle più prestigiose aree produttive del mondo. Un moderno magazzino a temperatura controllata ed un avanzato sistema informatico garantisce al nostro cliente un servizio sempre attento ed accurato.” Negli Champagne da sempre il rapporto privilegiato e’ con la Maison Pannier delle Ardenne. La personalità dello Champagne Pannier si esprime nella vinificazione, nella composizione sottile di ogni assemblaggio, che si coniugano per avere


dei vini eleganti, equilibrati, persistenti. Come lo Champenoise Champagne Pannier Selection Brut, che nasce in vigneti situati nel comune di Château-Thierry, nella regione di Piccardia, il primo dipartimento francese per la produzione di Champagne. E’ prodotto con uve Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier. Champagne Pannier ha sviluppato uno stile personale che si afferma con regolarità utilizzando: Chardonnay per finezza, Pinot Nero per struttura e Pinot Meunier per i suoi frutti delicati. Alcuni dei grandi nomi distribuiti da Luca Ferroni Sas da Vicolo Chioda di Verona sono Ca’ del Bosco e tra le numerosissime maison champagne commercializzate, fortissimo è il sodalizio con Gaja per la distribuzione di Gosset, la piu’ antica maison di champagne, e Pierre Peters, maison familiare proprieteire recoltant della “cotes des blancs” di grandi blanc de blancs, sempre perfettamente coerenti con il magico terroir di Le-Mesnil-sur-Oger .

Di Gosset in particolare lo stile si è distinto negli anni grazie innanzitutto ad un vero e proprio patrimonio in termini di selezione di uve, conferite alla Maison da 120 ettari che annoverano una classificazione di vigne al 99% Grand Cru, e che basa la sua espressività principalmente su straordinarie uve di Pinot Noir, con approvvigionamenti quasi interamente nei 30Km di raggio attorno ad Epernay. Nella vinificazione si cerca di non effettuare alcuna fermentazione malolattica, allo scopo di preservare il pregiato acido malico che regala il naturale aroma fruttato e fresco ai vini, si utilizza l’inox effettuando batonnage come scelta stilistica per evitare qualsiasi sensazione di ossidazione, valorizzando il cotè reducteur dei lieviti ed infine per le cuvée sans année viene utilizzato circa il 30% di vins de reserve (solitamente delle due annate precedenti), proprio per garantire quel gusto che nei secoli ha contraddistinto lo stile della Maison.

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Signorvino

La nuova vision del vino

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splode il fatturato di Signorvino, che a soli cinque anni raggiunge i 25 milioni di euro nel 2016, con 15 store e oltre 200 giovani impiegati nelle piu’ suggestive location italiane. Un’eccellenza del made in Italy creata dalla visione di Sandro Veronesi ed un gruppo di giovani con la voglia di fare. E’ difficile, a meno di problematiche clamorose, trovare luoghi destinati al buon bere ed alla buona cucina, soprattutto di matrice regionale, nel nostro Paese, cattivi. Lo sa bene Michele Rimpici, uno degli ideatori di Signorvino, e responsabile della Divisione Wine, che

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giusto quest’anno spegne cinque candeline. “In Italia è dura” mi racconta “ Sempre c’è la preoccupazione che qualcuno ti dica mia mamma fa meglio la pasta, o il titramisu’. E sul vino poi non c’è che l’imbarazzo della scelta”. Ma i numeri, che raccontano molto spesso con impietosa verità successi o flop di molte iniziative, danno ragione a questa formula innovativa evidentemente che, sotto l’abile regia di Sandro Veronesi del Gruppo Calzedonia della città in riva all’Arena, ha incontrato abilissimi interpreti. Già perché Signorvino viaggia, dopo tre anni di attività


a pieno regime, come una Ferrari che da lavoro ad oltre 200 persone, in prevalenza giovani, acquista il vino da piu’ di cento cantine, pagamento cash, e non è in questa fase economica un elemento trascurabile, presenta un’ampia gamma di scelta con ben 1500 etichette tra le quali divertirsi . Formazione, disponibilità, entusiasmo, semplicità e professionalità sono così diventati parte di un brand che sta imponendosi sempre piu’ con la sua filosofia di 100% italiano come italian lifestyle. E viaggia sulla ragguardevole Euposia giugno 2017

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Signorvino cifra di 25 milioni di fatturato. Dal niente. Certamente c’è bisogno di investimenti ma anche di una visione lungimirante ed aperta al nuovo che molto spesso non alberga nella città di Romeo e Giulietta dove, al contrario, molto spesso le prime a manifestarsi sono le critiche. E così nelle migliori location che le città del gusto in Italia offorno , Signorvino radica la propria proposta, e vince. Immaginate che significa avere il coraggio di presentarsi, ad esempio a Bologna, nel sofà di Piazza Maggiore, ultima apertura del dicembre 2016, sotto il portico di Palazzo Re Enzo millecinquecento differenti referenze che coprono tutto il territorio italiano, a prezzi da enoteca. Ma il principale punto di forza di Signorvino è che, oltre ad essere un wine shop, è anche un locale dove mangiare e bere agli stessi prezzi dello scaffale. E no, qui niente tortellini e tagliatelle, se questa era la domanda. L’offerta è caratterizzata da una più o meno uniforme copertura del territorio nazionale, sia per quanto riguarda il vino, che per i piatti in menù. Il food di Signorvino non si caratterizza per una cucina strettamente di territorio, ma spazia su tutta la cucina nazionale italiana. A fianco di un menù di assaggi veloci, proposti a 5 euro, troviamo taglieri vari, 4 primi, proposti a 10 euro, 4 secondi di carne e diverse insalate e dolci. E i

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giovani rispondono. “ Mi ricordo che incontrai il dottor Veronesi nel 2011” Racconta Michele, “ed allora già manifestava un forte interesse per il mondo del vino. Io ero stato export manager di Cavit con una lunga esperienza in Inghileterra, a Londra. Avevo voglia di cambiare dato che da due anni


ero uscito dall’esperienza in Cavit e parlai del progetto al dottor Veronesi. Un a formula innovativa di vendere il vino, di presentarlo e di abbinare cucina veloce”. E scattò immediatamente la scintilla. Evidentemente, se i numeri, come abbiamo visto, hanno premiato la lungimiranza di questo progetto di investimento sui giovani e per i giovani, e solo per questo andrebbe riconosciuto in questo Paese l’alto valore di esempio, ha risposto ad una necessità reale, in una fase economica estremamente complicata, per tutti ma in particolare per i giovani . Completano l’offerta una rotazione stagionale del menu’ la formazione dei collaboratori e la passione di un wine specialist, figura diversa dal sommellier tradizionale che, diciamolo, spesso si riduce ad un modesto cameriere. In questi anni di dura crisi molto spesso la figura del

sommellier professionista per i ristoranti tradizionali si è mostrata un lusso, così come l’immobilizzazione di risorse in una cantina con un notevole numero di etichette . “Specializzazione e servizio ci differenzia dalle enoteche tradizionali, dalla GDO e dai ristoranti classici. Ma senza passione ed entusiasmo Signorvino probabilmente avrebbe avuto vita breve”, racconta Michele. “ e non si spiegherebbero le quasi 800.000 bottiglie stappate nei nostri store”. Il futuro forse sarà l’estero, nato come progetto per l’export infatti Signorvino ha voluto prima sperimentare se la propria formula fosse vincente in un paese dalla esigente cultura enogastronomic come l’Italia. Poi , chissà, magari la Cina o la Russia o New York, Perchè, come dice la canzone New York New York “If you can do it there you can do it everywhere, it’s up to you”.

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Felicetti

Pastificio Felicetti un nuovo stabilimento produttivo a Molina di Fiemme

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aturati gli spazi nella storica sede produttiva, il pastificio Felicetti, fondato a Predazzo oltre un secolo fa, sceglie di continuare a crescere in Trentino e sigla con Provincia e Trentino Sviluppo un’intesa per la costruzione di un nuovo stabilimento a Molina di Fiemme. La Provincia metterà a disposizione una superficie edificabile di 16.500 metri quadrati mentre Felicetti investirà 25 milioni di euro nella costruzione degli immobili, nell’acquisto di nuove macchine ed impianti.

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Protagonista di questo nuovo capitolo di una storia ricca di successi imprenditoriali è Felicetti, lo storico pastificio di Predazzo fondato nel 1908, che ad oggi può contare su 60 addetti e fatturati che superano i 35 milioni di euro l’anno. Felicetti, che esporta il 58 per cento della produzione nei Paesi dell’Unione europea e in Canada, è stata scelta da prestigiose catene come rappresentante della pasta italiana nel mondo. Fondamentale anche il legame con il territorio, in particolare con le Dolomiti, che fa del pastificio con sede a


Predazzo un naturale testimonial internazionale del marchio trentino di qualità, espressione di quel sapiente modello di economia territoriale che unisce turismo, industria e sostenibilità. E proprio sullo sviluppo della linea di prodotti biologici, Felicetti punta, con previsioni di mercato lusinghiere, per ampliare il proprio volume d’affari. Incrementare la produzione significa però anche ampliare gli spazi, prospettiva non più possibile presso la storica sede di Predazzo, interamente saturata nei suoi 6 mila metri quadrati. Di qui la ricerca di un nuovo stabilimento produttivo e l’avvio, da parte di Trentino Sviluppo, di un’intensa attività finalizzata a trovare una soluzione sostitutiva all’interno dei confini provinciali, con la conseguente individuazione, in località Ruaia a Molina di Fiemme, di una superficie edificabile idonea di proprietà della Provincia. L’area, di circa 16.500 metri quadrati, verrà concessa alla stessa a Felicetti che potrà così concentrare il proprio investimento nella costruzione del nuovo stabilimento, nell’approntamento dei macchinari, nell’avvio di due nuove linee produttive e sull’acquisizione di nuove tecnologie. Importante l’effetto leva generato dall’operazione: a fronte della concessione del suolo, del valore stimato

di 2 milioni di euro, il pastificio si impegna infatti ad investire 25 milioni di euro, dei quali 11 milioni di euro saranno destinati alla costruzione dei nuovi spazi produttivi a Molina di Fiemme, mentre i restanti 14 milioni di euro serviranno per l’acquisto di nuove linee produttive, il potenziamento tecnologico e lo sviluppo di progetti innovativi. Una volta costruito il nuovo stabilimento, a partire dal 2020 Felicetti lo cederà in permuta a Trentino Sviluppo, la quale a sua volta lo darà al pastificio in locazione trentennale con opzione di acquisto. Importanti le ricadute occupazionali dell’accordo: Felicetti assumerà infatti 30 nuovi lavoratori, passando dagli attuali 60 a 90 addetti.

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Wuber

I magnifici quattro Dal Salumificio Fratelli Beretta una nuova linea di Wurstel di puro suino. Nascono dall’antica tradizione tedesca e alto atesina. Sono croccanti e morbidi con sapori assolutamente unici. Gustarli con il Lambrusco Chiarli è un vero piacere. di

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l Salumificio Fratelli Beretta si trova a Trezzo d’Adda (Mi), lo si vede percorrendo l’autostrada Milano-Venezia, con il bel logo “Fratelli Beretta 1812” che domina sul moderno complesso industriale, dove ogni giorno arrivano decine di Tir a caricare i profumi e i sapori della migliore Salumeria Italiana, piatti pronti e snack che fanno parte della nostra tradizione gastronomica per portarli in tutta Europa. Vedere questi

“bisonti” della strada parcheggiati nel piazzale in attesa del loro turno e sentire parlare gli autisti in tedesco, inglese ed altre lingue, il pensiero corre subito a quanti chilometri dovranno fare per ritornare nei loro Paesi, viaggiando notte e giorno con qualche ora di riposo. Incontriamo Enrico Farina, responsabile marketing, mentre c’è un via vai di Tir e si fa fatica a parcheggiare. E’ visibilmente contento perchè il Salumificio Fratelli

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Wuber Beretta sta lanciando sul mercato wurstel fatti solo con carne suina di qualità rivolti ad un target sicuramente alto. Come nasce e perché questa nuova linea di wurstel: “Qualche anno fa”, dice Farina, mentre ci fa vedere le confezioni molto originali, “Il mercato dei wurstel, per quanto riguarda i salumi, era uno dei più penetrati. Nel 2013 il numero di famiglie che acquistavano wurstel erano più di 21 milioni, nel corso di un anno ne sono state perse 2 milioni, cioè circa 2 milioni di persone non hanno acquistato più wurstel nel corso dell’anno. Questo è stato un primo segnale”. Come mai c’è stato questo abbandono: “Noi abbiamo fatto delle ricerche sul consumatore e le motivazione erano molteplici. Da una parte i nuovi stili di consumo, poca carne o addirittura l’abbandono. Però questo non giustificava ancora una caduta di queste proporzioni. Le motivazioni principali sono che il consumatore si era spostato sulle fasce di prezzo più basso per poi avere dei dubbi sulla qualità e sulle origini delle materie prime utilizzate. In questo caso l’industria, colpevolmente, non ha fatto comunicazione e informazione sulla qualità e genuinità del prodotto, si è soltanto limitata a mettere in evidenza la bontà wurstel, è buono, è gusto, va bene per fare le feste e grigliate, sottovalutando una cosa importante, oggi il consumatore è molto più attento a quello che mangia, dalle materie prime alla salute. E poi col passare del tempo il prodotto ha perso appeal nelle famiglie con bambini ed è stato sostituito dal kebab e hamburger. Nel 2015 arriva il “colpo di grazia” dall’IARC, l’organismo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupa di studiare l’insorgere del cancro, ha fatto una ricerca i cui risultati davano una correlazione diretta tra consumo di salumi e sviluppo del cancro per la presenza di nitriti, nitrati e altro. Il mercato dei salumi ha avuto una iniziale forte contraEuposia giugno 2017

zione, salvo poi riprendersi nel corso del 2016. Questo non è avvenuto per i wurstel che hanno registrato un esercizio fortemente negativo per l’intero anno. E voi come Salumificio Fratelli Beretta, certamente qualche riflessione l’avrete fatta e come avete reagito a questo calo di vendite: “Quello che il consumatore ci ha detto attraverso la ricerca che abbiamo condotto è che vuole maggiore assicurazione sulla materia prima, assenza di determinati additivi, la pulizia degli ingredienti ma anche un’assicurazione sulla storia di questo prodotto, sulla sua origine artigianale, sulla cura in tutta la sua filiera produttiva. Quindi con Wuber, l’azienda fa parte del Gruppo Beretta, ha una lunga storia è nata nel 1976, abbiamo condotto una ricerca nei nostri archivi per recuperare valori e ricette vicine alle origini del Wurstel. C’è da dire che quando nasce Wuber , la famiglia Beretta ha una grande idea, quella di introdurre la produzione industriale di Wurstel, tipicamente non era un prodotto della tradizione alimentare, sul mercato italiano. E quindi grande creatività, ingegno e grande voglia di fare. Ma ci voleva un qualcosa in più, perchè il prodotto era di origine tedesco e alto atesina, allora i Fratelli Beretta chiamarono il primo Mastro Salumiere alto atesino Hans Gotsch, l’artefice della nascita tecnico/industriale del wurstel in Italia, un personaggio rigoroso come da tradizione tedesca. Pretese il massimo da tutti i collaborati e della struttura ma anche lui non fu da meno, diete un contributo fondamentale a che l’azienda potesse nascere e svilupparsi. Nella ricerca abbiamo trovato la sua agenda dove cerano ricette, metodi e tecniche di lavorazione. La ricetta contraddistinta dal numero 38 ci ha colpito particolarmente. Parlava di wurstel di altissima qualità con utilizzo di tagli anatomici di puro suino senza l’utilizzo di rifili come normalmente avviene oggi per i prodotti industriali.


In questo caso Gotsch parlava di muscoli di polpa e grasso di un certo tipo e basta”. E poi cosa succede. “Abbiamo recuperato e messo a punto la ricetta e realizzato così il “numero 38”, il nuovo nato di casa wurstel che ha una forma particolare e prodotto in quattro tipologie”. Ce le può illustrare. “Il primo nato è Servelade il principe dei Wurstel di produzione tipica, è fatto con puro suino e la materia prima utilizzata è spalla completamente mondata, viene anche usata per fare i migliori salami. La particolarità è che il grasso usato è quanto di meglio ci possa essere in ambito alimentare, usiamo solo ed esclusivamente guanciale, poi vengono aggiunte le spezie e il sale di Salisburgo come da tradizione tedesca. L’elemento caratterizzante di Servelade è il macis che è la pellicola esterna della noce moscata. Il prodotto viene insaccato in budello naturale che ha un effetto scrocchiante quando viene addentato. Viene affumicato con legno di faggio”. La seconda tipologia come si chiama. “Brat, è un prodotto fatto con 55% spalla di suino e 33% di anteriore di vitello. Si presenta di colore quasi biancastro, molto delicato e non è affumicato. Ha una caratteristica molto più fresca perchè la spezia principale è lo zenzero che ha quasi una nota di agrume e di leggero piccante ma che rende rotondo il sapore. Gli altri due prodotti sono evoluzioni sul tema di Servelade. Sono identici della composizione dell’impasto ma hanno una farcitura. Il primo ha una presenza di Emmental di Baviera, si chiama Bavarese, ha una sostanziosa farcitura di Emmental di Baviera che fonde rendendo il prodotto particolarmente gustoso al palato. Al secondo è stato aggiunto del peperoncino della Calabria, non polvere ma pezzetti di peperoncino, nel sapore non è aggressivo e abbastanza delicato. Il peperoncino

lo si sente dopo un po’, l’abbiamo chiamato Calabria perchè nel secolo scorso c’è stato un forte flusso migratorio di calabresi in Germania che hanno portato con loro anche il peperoncino e che oggi, in buona parte, fa parte anche della cucina tedesca”. Questa nuova linea di wurstel come si presenta: “Sono confezioni da tre e molto belle da vedere. Il prodotto è incurvato, a vista, non ha nessuna rappresentazione fotografica è avvolto in un cartoncino molto elegante, la scritta in grande 38, la descrizione del Wurstel, come è fatto, consumarlo riscaldato in acqua bollente, grigliato o farlo andare in padella. Ed è un ottimo secondo piatto, ogni wurstel pesa 100 grammi, si può consumare con contorno di patatine fritte, insalate varie e con salse di vario genere. I tedeschi lo consumano con i crauti”. Dove possono essere comprati: “Al momento nei migliori punti vendita della Grande Distribuzione, non sarà capillare la distribuzione perchè si tratta di un prodotto di alta gamma, viene fatto a mano in modo artigianale e la materia prima è di prima scelta”. Nel panorama della produzione di Wurstel, il Salumificio Fratelli Beretta come si posiziona. “Se si parla di wurstel in generale che comprende quelli di suino, pollo e tacchino, la nostra quota di mercato ci pone in seconda posizione , ma se si parla soltanto di puro suino siamo leader con Wuber”. Al termine dell’incontro, Enrico Farina ci porta nella sala accanto dove c’è il ristorante dell’azienda, un bel locale ben arredato con la cucina a vista e a fianco in bella mostra ci sono tutti i prodotti che vengono fatti quotidianamente dal Salumificio Fratelli Beretta. Il tempo di sedersi al tavolo, lo chef ci porta due tipologie di wurstel appena spadellati, accompagnati da un insalata fresca. Euposia giugno 2017

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Wuber

Assaggiamo in ordine di sapori, il wurstel Bavarese. E’ veramente buono, carnoso e morbido con la farcitura di Emmental che si scioglie , rendendolo più gustoso al palato. Poi arriva il wurstel Calabria, una vera squisitezza perchè il peperoncino si fa sentire al palato con gradualità e questo permette di gustarlo intensamente. E’ morbido e appetitoso ben equilibrato nei sapori. Il palato ringrazia per le due specialità, uniche nel suo genere. Gli altri due wurstel, Brat e Servelade li andremo a cucinare a casa comprandoli nel punto vendita GDO più vicino.

Wurstel e bollicine, un felice matrimonio Altro pregio del della nuova linea di wurstel 38 del Salumifio Fratelli Beretta è quello di attrarre il vino. Bollicine, bianchi e rossi giovani freschi. In questo caso vi consigliamo due vini importanti della Cantina Cleto Chiarli, la più antica azienda vitivinicola modenese che ha iniziato a produrre il Lambrusco fin Euposia giugno 2017

dal lontano 1860. Il Marchio storico ‘Cleto Chiarli’ firma vini ottenuti dalla selezione delle migliori uve provenienti da oltre 100 ettari di vigneti di proprietà e dalle più vocate zone di produzione dei vini DOC dell’Emilia-Romagna. Dalla cantina escono diverse tipologie di Lambrusco che hanno conquistato un posto importante sui mercati nazionali ed esteri. L’ideale “matrimonio” che proponiamo con le bollicine Chiarli, daranno al palato freschezza, sensazioni di nuovi sapori e anche profumi legati alla campagna quando inizia a diventare verde. L’incontro esalterà le virtù dell’altro, perché l’acidità e la spuma del vino contribuiranno a tenere la bocca pulita e a prepararla al prossimo boccone. Con i wurstel grigliati o spadellati, si sposa perfettamente Vecchia Modena – Lambrusco di Modena DOC, un vino ottenuto da uve vitigno Sorbara, dal gusto secco e sapido, armonioso, gradevolmente acidulo. La spuma è fine ed evanescente, il colore è chiaro e vivace con riflessi rosa e il profumo è intero e gradevole. Con i wurstel bolliti serviti con crauti o


patate, dal sapore meno forte, l’ideale è il Pignoletto doc -Modena frizzante - Tenuta Villa Cialdini. Nasce prevalentemente dalla fascia collinare compresa tra le provincie di Modena e Reggio Emilia” Sono bollicine fresche che avvolgono il palato, è fragrante, fruttato con piacevole morbidezza che sa farsi bere in allegria. Di colore paglierino chiaro, il sapore è asciutto, armonico e il bouquet, leggermente aromatico, ricorda il profumo del biancospino. E’ frizzante con spuma fine e persistente. Nella foto, il responsabile marcheting Enrico Farina e la Citroen Gran Picasso 1600 BlueHD 120 cv, una monovolume comoda e sicura che ci ha accompagnati nella visita dell’azienda.

Per informazioni

Salumificio Fratelli Beretta S.p.A. Via Fratelli Bandiera 12 20056 Trezzo sull’Adda (Mi) www.berettafood.com

Ringraziamenti:

Per la degustazione dei vini si ringrazia Chiarli1860 Via D.Manin, 15 41100 Modena www.chiarli.it

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Soligo

Latteria di Soligo

benessere e sicurezza alimentare Si rafforza il patto di fiducia tra allevatori e consumatori nel segno dell’alta qualità. Oggi ancora di più grazie alla tecnologia Safetypack e al sistema Qualità Verificata di

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i può risparmiare sull’abbigliamento o anche sui capricci gastronomici ma quando si parla di freschezza, qualità e sicurezza alimentare il valore del carrello della spesa degli italiani resiste alla crisi. Anzi, cresce, proprio perchè cresce l’esigenza di puntare su prodotti sicuri seguendo un percorso ormai consolidato fatto di riconoscibilità territoriale e di fiducia nel marchio. Argomento ancor più sensibile quando si parla di prodotti alimentari tra i più diffusi e consumati in Italia e nel mondo come il latte ed i formaggi. Perchè con il “mercato globalizzato” sui banchi vendita troviamo di tutto e di più, formaggi di ogni tipo, nazionali ed esteri. Ma quali sono le loro origini, come vengono fatti e a quali sono controlli igienico sanitari? Sono tante le domande a cui il consumatore spesso non riceve risposte. Allora l’unica certezza che si ha è quella di affidarsi al Nome, alla tradizione enogastronomica del territorio che ha l’obbiettivo di salvaguardare e valorizzare i propri prodotti recuperan-

do testimonianze che permettano di tramandare la memoria storica del passato. Le origini di un prodotto con tutte le sue varianti a beneficio della comunità, del consumatore che oggi più che mai ha bisogno di certezza per la propria salute e a tavola. La storia del nostro territorio è fatta di emigrazione, di religiosità, di tradizioni, di credenze popolari, di cucina povera ma sapiente, di persone che avevano, ed hanno ancora, ideali ed etiche da rispettare. Una sana alimentazione ci aiuta a vivere meglio giorno dopo giorno. Quindi evitiamo di comprare cibi di cui non sappiamo le origini e che non danno certezze e non garantiscono la qualità e la genuinità. Tra le aziende italiane più avanzate su questi temi c’è sicuramente Latteria di Soligo, una delle prime e più importanti cooperative sociali del Veneto nata a Soligo (Tv) nel 1883 e quindi ormai prossima a tagliare il traguardo dei 135 anni di vita, caratterizzati sempre dalla continua ricerca della perfezione produttiva. Gusto, qualità e una spiccata riconoscibilità territoriale sono plus già ben riconosciuti al latte ed ai formaggi della Latteria Soligo che ora punta Euposia giugno 2017

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Soligo ad un nuovo ed ulteriore salto di qualità. L’ultimo capitolo in ordine di tempo, nella storia ultra secolare di questa azienda, è infatti una vera e propria rivoluzione, è la sicurezza alimentare: la tecnologia Safetypack, studiata e applicata dalle maestranze di Soligo con partners di vari Paesi europei. “E’ questo– spiega il presidente di Latteria Soligo, Lorenzo Brugnera - il cammino che abbiamo deciso di percorrere per consolidare il nostro mercato, sia interno che internazionale. Un’attenzione focalizzata in particolare sulla sicurezza alimentare partendo dal presupposto che la qualità e la freschezza dei nostri prodotti siano ormai un dato di fatto acquisito dai consumatori e, in fondo, la vera forza del nostro marchio. Ma non ci vogliamo accontentare ed abbiamo arricchito la mission che ci contraddistingue da sempre, “ prodotti perfetti”, con il supporto della tecnologia Safetypack. Una tecnologia che consente non solo di intercettare già nella linea di produzione eventuali prodotti non conformi, ma anche di assicurare che sapore, aroma e proprietà organolettiche siano sempre inalterate grazie ad un packaging perfettamente adeguato alle esigenze di un prodotto fresco e gustoso come il nostro “. Con oltre 200 soci produttori di latte in Veneto e Friuli Venezia Giulia, la Latteria Soligo consolida la sua leadership nel settore lattiero caseario del Nordest, dove si trovano i suoi 3 stabilimenti che, grazie ad una serie di importanti fusioni, ha ormai raggiunto una dimensione nazionale. Con la tecnologia Safetypack, la Latteria di Soligo è diventata la prima realtà al mondo, in ambito lattiero caseario, applicando un sistema così avanzato per il controllo totale in linea e non più solo a campione, dimostrando quanto sia importante il controllo di tutta la filiera produttiva per il bene dei consumatori e dell’ambiente,

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producendo prodotti eccellenti legati alla grande tradizione casearia del territorio. Se con il progetto Safetypack si interviene sulla fase di confezionamento del prodotto, il salto di qualità che Latteria di Soligo intende realizzare si basa anche sulla produzione del latte presso le stalle dei suoi 200 produttori distribuiti nel Nord-Est. Essa sta sviluppando il progetto Qualità Verificata in forza del quale l’allevatore accetta di produrre latte secondo il disciplinare di produzione a Qualità Verificata le cui peculiarità caratteristiche sono: 1. Alimentazione delle vacche: ad ogni vacca sono distribuiti giornalmente almeno 250 g di seme di lino per aumentare nel latte il contenuto in acidi grassi insaturi del tipo Omega 3 2. Benessere animale: tutte le vacche devono avere spazio per il riposo, spazio per alimentarsi e adeguata circolazione di aria 3. Controllo certificato di tutte le fasi del processo da parte dell’ente certificatore CSQA L’attenzione al benessere del consumatore è la mission della Latteria Soligo, esempio di imprenditoria sociale perché attenta ai valori, ai bisogni non solo legati all’alimentazione ma anche alla conservazione dell’ambiante naturale, all’uso di processi produttivi con basso impatto ambientale e al grande principio della solidarietà umana. Un ulteriore contributo allo studio dell’impatto ambientale della filiera latte è dato dal primo studio condotto in Italia ? “Soligo – sottolinea il presidente Brugnera – è il terzo produttore di Asiago DOP , ma produce anche Montasio DOP, Casatella Trevigiana DOP, Grana Padano DOP, Mozzarella STG e ovviamente Latte a Qualità Verificata QV. Tutti prodotti che appartengono alla migliore tradizione casearia del nostro territorio, sani e di altissimo livello qualitativo strumenti strategici per la miglior valorizzazione possibile in termine di prezzo/ litro della produzione di latte da parte dei soci produttori. Valori perfettamente recepiti dai consumatori, il cui atteggiamento è determinato dai nuovi stili di vita, dalla


necessità di acquistare prodotti alimentari buoni, sani e sociali, nel segno di una corretta alimentazione. Un cambio di mentalità che coinvolge direttamente tutto il mercato che si approccia all’acquisto in modo sempre più maturo, responsabile e giustamente selettivo “ Una consapevolezza che, come abbiamo visto, permette a Latteria Soligo di presentare un’offerta di altissimo livello che va dal latte a qualità certificata, ai migliori formaggi stagionati sino a quelli a pasta molle e filata come le mozzarelle. A ciò si aggiungono le nuove linee di prodotti ad alto valore aggiunto, dalla linea BIO, al senza lattosio, ai latti vitaminizzati per bambini, che costituiscono una precisa scelta etica e competitiva dell’azienda trevigiana perchè consentono di tutelare l’ambiente ed anche il benessere degli animali incrementando quindi la fiducia del consumatore su basi precise che riguardano anche l’impatto etico e sociale. Latteria Soligo, da sempre espressione dell’economia sociale per precisa volontà dei padri fondatori, mira dunque a produrre prodotti perfetti sia per la salute che per l’ambiente nel quale vive il consumatore. Ecco perchè il tema della sicurezza alimentare è strategico per l’azienda lattiero casearia veneta, e lo sviluppo dei prodotti Soligo è sempre accompagnato da questa visione.

Vino e formaggio Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro e poi hanno anche una storia in comune. Li unisce l’appartenenza ad un territorio ben specifico che determina le loro caratteristiche. Inoltre sono entrambi sottoposti a un processo di trasformazione: la fermentazione alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Poi c’è la maturazione, la stagionatura

per il formaggio e l’invecchiamento per il vino. In questo caso vi proponiamo due formaggi della Latteria di Soligo accompagnati da altrettanti importanti vini. Con il Soligo selezione Oro, un formaggio che ha caratteristiche quasi da grattugia e una forte personalità nei sapori, un vino dell’Antica Cantina Gavioli – Nonantola (Mo), un Lambrusco doc di Modena a rifermentazione Ancestrale, 100% Lambrusco di Sorbara dal sapore secco ma pieno, il profumo è fruttato e floreale, con sentori di crosta di pane e brioche, la spuma è fine e cremosa. S presenta con un colore è rosso rubino con riflessi granati. Lea Casatella Trevigiana dop, incoronata miglior formaggio fresco d’Italia, ha un profumo delicato e fresco, il sapore è dolce, caratteristico da latte, con venature lievemente acidule. Si sposa felicemente con il Pignoletto DOC Spumante Brut – Giacobazzi, un vino dal colore giallo paglierino chiaro, al naso si apre con un elegante bouquet fruttato e deciso e al palato risulta fresco, aromatico con buon equilibrio acido. La spuma presenta un perlage fine e persistente.

Informazioni

Latteria di Soligo sas Via I° settembre 32 31020 Soligo (Tv) www.latteriasoligo.it

Ringraziamenti

Si ringrazia per la degustazione dei vini la Cantina Gavioli e Giacobazzi che fanno parte del Gruppo Donelli Vini Viale Carlo Sigonio 54 41124 Modena Euposia giugno 2017

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Montonale

Il Lugana emergente Montonale, una giovane cantina riprende una tradizione secolare. Ed è subito al top

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i può risalire al secolo scorso, ai primi investimenti in vigneto fatti dal nonno fondatore e quindi ripercorrere un po’ delle vicende storiche di quella pianura fertile che unisce, a mezzogiorno del lago di Garda, le province di Brescia e Verona. Una storia di agricoltura e di allevamenti prima che il boom del turismo gardesano portasse da queste parti milioni di turisti del Nord Europa e con i loro campeggi, tende e roulotte anche la ricerca di un vino del territorio da riportare a casa dopo le canoniche due settimane di spaghetti, sole

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e mandolino. Nulla di male se il risultato, alla fine, è stato il boom internazionale del Lugana Doc – uno dei bianchi italiani più ricercati all’estero e protagonista di una crescita tanto quantitativa che qualitativa che rende onore ai produttori di questa zona – e, più recentemente, anche del Chiaretto, il vino di una notte, che ha saputo inserirsi con garbo e sostanza nella più generale riscoperta dei rosati in Italia come in Europa. Ma per tornare alla famiglia Girelli, in fondo è di


questo che parliamo, ed alle sue quattro generazioni in vigna, ai primi passi di Francesco, due ettari dissodati interamente a mano agli inizi del Novecento, fecero seguito le intuizioni commerciali dei suoi figli Aldo e Luigi, altri sei ettari acquisiti non senza sforzi, e la grinta del nipote Luciano, pronto a mettere le mani su ben 60 ettari dei Bertani desiderosi di monetizzare parte del loro patrimonio fondiario nel momento del massimo boom economico. Ma come spesso accade i sogni dei padri non sempre corrispondono a quelli dei figli: da qui una uscita dalla vitivinicoltura sino all’arrivo della quarta generazione dei Girelli che, invece, al sogno di Luciano ci credono eccome tanto da cambiare i propri progetti di vita e da buttarsi anima e corpo nella rinascita della tradizione di famiglia. Roberto, Claudio e Valentino Girelli credono nel vino, nel profumo vinoso della vendemmia, credono in quel terreno argilloso su cui spirano due venti che non soltanto fanno del Garda una grandissima scuola

velica, ma permettono alle vigne di restare sempre belle asciutte, con grappoli sani, figli di un irraggiamento solare da vero Mediterraneo. Si riparte da un solo ettaro; da cisterne in cemento vetrificate a mano. Si torna sui banchi di scuola, e dalle prime 800 bottiglie imposte ad amici e parenti si punta a crescere. Nuovamente a tappe forzate, un po’ come i “vecchi” Girelli hanno insegnato e impresso nel Dna di famiglia. Siamo nel 2002. La storia riparte dove era iniziata un secolo prima. Nel 2005 arrivano altri cinque ettari ed i tre fratelli si buttano sempre più a capofitto nell’ impresa. Nel 2012 arriva la nuova cantina di vinificazione e gli ettari in produzione sono diventati 25 su un terreno fatato da antiche argille, ricco di scheletro e calcare, che conferisce alle uve un grande potenziale in mineralità, finezza e aromaticità, essenziali per ottenere vini di estrema eleganza. I fratelli Girelli hanno scelto di seguire i dettami dell’agricoltura integrata. A Montonale si fertilizza Euposia giugno 2017

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Montonale utilizzano allergeni per chiarificare e i solfiti si mantengono a quote basse: 75 mg/l è il valore medio della solforosa totale all’imbottigliamento. Euposia ha provato tre vini di Montonale. Eccone le note.

con sostanze naturali, humus e stallatico, e si pratica l’inerbimento sull’interfila. All’invaio sono effettuate sfogliature e diradamenti severi: nelle annate propizie si ha una alleggerimento del carico d’uva del 10-15 per cento, ma nel problematico 2014 si è sfiorato il 50 per cento. La tignoletta è monitorata e combattuta tramite la confusione sessuale, con ampolle di ferormoni, evitando l’impiego di insetticidi. A Montonale non si

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Montunal 2018 Lugana Doc Montunal, dal nome dialettale della località, è un Turbiana 100% affinato 6 mesi in acciaio sulle fecce nobili. Al naso, glicine bianco, agrumi, cedro, minerale di pietra bagnata chiaramente percebile, erba appena tagliata, un erbaceo complessivamente persistente. Al palato è molto fresco, ampio, finale di agrumi senza alcuna nota ammandorlata, molto invitante alla beva, tornano le sensazioni minerali. Finale lungo ancora di note di cedro ed erbacee. Un Lugana nobile. Da avere sempre in cantina. 98/100 Orestilla 2015

Lugana Doc Questo cru, fatto con uve Turbiana in purezza, è maturato 8 mesi sulle fecce nobili e 10 mesi in bottiglia. Il campione degustato ha un anno di evoluzione dunque e presenta profumi marcati di fiori gialli, erbe medicinali, tanta frutta tropicale. Palato molto coerente, pieno, con note di cedro, banana e ananas. Finale anch’esso molto lungo. Il “fratello maggiore” di Montunal deve la sua impronta ricca e complessa alle caratteristiche peculiari del vigneto omonimo, con un’eccellente


esposizione a Sud. Un grande vino, recente vincitore del World Wine Award di Decanter. Qui siamo all’eccellenza, il punteggio scende leggermente ma – credeteci – è soltanto una questione di gusto personale. Altro vino da avere sempre a disposizione. 96/100 Rosa di Notte 2016 Chiaretto Garda Classico Doc E’ un blend di Groppello, Marzemino, Barbera e Sangiovese. Gli acini macerano a freddo per una notte e donano al vino una tinta rosa brillante. Piccoli frutti rossi, fragola di bosco, floreale di garofano. Palato molto fine ed elegante, con note vinose marcate, una spalla alcolica che emerge. Finale minerale dove torna la frutta rossa. Molto coerente ed invitante. 92/100

Della collezione fanno parte un Metodo classico Brut , da uve Turbiana 100%. Affinamento delle basi in acciaio per 8 mesi sulle fecce nobili, seconda fermentazione in bottiglia, 30 mesi di permanenza sui lieviti. Le uve sono raccolte alle prime luci del mattino per preservarne l’integrità e viene prodotto soltanto nelle migliori annate. Vi sono poi due rossi: “La Venga” Benaco Bresciano Rosso, che nasce da uve Marzemino e Barbera, matura 8 mesi in vasche d’acciaio e 6-8 mesi in bottiglia e “La Conta” , un classico taglio bordolese di Cabernet Sauvignon e Merlot affinato almeno 12 mesi in tonneaux e 18 mesi in bottiglia; arriva da un podere dall’antica vocazione per le uve a bacca rossa e porta con sé il ricordo del bisnonno Francesco e del suo primo vigneto piantato a Montonale.

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Auto

Citroen Gran Picasso 1.600 BlueHDi 120 CV comoda, silenziosa e sicura di

È

Enzo Russo

un bel guidare la Gran Picasso 1.600 BlueHDi 120 CV, permette di viaggiare comodamente in 5 persone che possono diventare 7 posti a discapito del bagagliaio. E’ una monovolume dalle giuste dimensioni che si fa apprezzare per il suo designer molto curato nei particolari. Colpisce la linea giovanile e fresca che la rende moderna al passo con le nuove tendenze. Guardandola ci si rende conto degli sforzi fatti dalla Casa francese nel progettarla, rendendola leggera e accattivante all’occhio. La Gran Picasso 1.600 BlueHDi 120 CV è molto generosa di spazio, anche per i due ospiti che viaggiano in terza fila dove possono godere, più degli altri, del tettuccio panoramico in vetro che da molta luminosità all’abitacolo rifinito con cura. L’abbiamo provata in città, in autostrada e nei percorsi misti dove ha dimostrato tutte le sue potenzialità nelle diverse situazioni di guida. La prima cosa che colpisce è il comfort assicurato dalle morbide sospensioni e la fluidità del 1.6 a gasolio, silenzioso e parco nei consumi. Tenendo un piede leggero, il 1600 Picasso con cambio automatico a sei rapporti + rm., mediamente con 1 litro si riesce a fare 17 Km e in autostrada 20/22 km.. Non male con i tempi che corrono e per una famiglia che si sposta con frequenza. Mettendosi alla guida della monovolume, sorprende la consol ben rifinita con materiale di pregio con al centro una lussuosa strumentazione digitale: un maxi-schermo con navigatore, il nuovo sistema multimediale e il menù che permette di impartire i comandi sullo schermo sensibile al tatto. Il climatizzatore automatico bi-zona con filtro a carboni attivi e diffusori regolabili sui montanti posteriori è perfetto. Sono numerosi i comandi al centro del volante: clacson, radio, computer di bordo, navigatore e cruise control, consumo carburante, chilometraggio, media consumi. Con un po di pratica ci si impadronisce di tutti i comandi e all’ora diventa

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un vero piacere guidare la monovolume panoramica in completa tranquillità e sicurezza. In caso di emergenza, basta schiacciare un tasto per chiedere assistenza stradale o soccorso. Inoltre, la Gran Picasso regala una grande sensazione di stabilità e di sicurezza, l’impianto frenante è potente ed efficacie anche in situazioni di emergenza. Ha un’autonomia impressionante: la Casa dichiara 1.447 km.. La Citroën C4 Gran Picasso ha tutto quello che un automobilista può desiderare in una monovolume: un abitacolo spazioso, un bagagliaio capiente, un motore poco assetato e una dote di alta tecnologia che la rende affidabile e sicura nelle diverse situazioni climatiche e stradali, come per esempio: ABS con ripartitore elettronico di frenata (REF), accensione automatica dei fari, Airbag, Cerchi in lega 16” Notos, ESP con Hill-assist e Intelligent Traction Control, Fari anteriori a LED diurni, Fari fendinebbia, Freno di stazionamento elettrico automatico, Regolatore e limitatore di velocità, rilevatore bassa pressione pneumatici, Sedile guidatore con funzione massaggio e regolazione lombare elettrica, sensori di parcheggio posteriori, servosterzo elettrico ad assistenza variabile, tergicristallo automatico con sensore.


Trofeo Schiava

Trofeo Schiava dell’Alto Adige: vince la qualità

I

l 15 e 16 maggio si è svolta al Vigilius mountain resort la quattordicesima edizione del Trofeo Schiava dell’Alto Adige – un progetto avviato da Ulrich Ladurner, Othmar Kiem e Günther Hölzl - che ha dimostrato ancora una volta la grande versatilità di questo vino. In varie degustazioni una selezionata giuria di giornalisti, enologi, sommelier ed esperti composta da Patrick Hemminger (Süddeutsche Zeitung, D), Kilian Krauth (Heilbronner Stimme, D), Christian Wenger (Manager Magazin, Stern, D), Thomas Vaterlaus (Vinum, CH), Gianni Fabrizio, Gambero Rosso, I), Dario Cappelloni (Doctor Wine, I), Fabio Giavedoni (Slow Food, I), Giovanna Moldenhauer (Freelance, I), Francesca Ciancio (Freelance, I), Gaia Masiero (Cucina e Vini, I), Christine Mayr (AIS, I), Angelo Carrillo (Alto Adige, I), Herbert Taschler (WiKu, I) ha selezionato le “Schiave dell’anno” tra 95 campioni. A differenza degli anni precedenti, i vini quest’anno sono non stati degustati e premiati per le zone d’origine. Invece, c’erano solo due grandi categorie: tradizione e nuove vie. Sotto tradizione si intende la classica, buona Schiava le cui caratteristiche sono bevibilità, croccantezza, eleganza e giovinezza. Nella categoria nuove vie troviamo Schiave che vogliono esplorare nuovi territori. Tipico di questa categoria sono i vini potenziale di invecchiamento, individuali, complessi e segnati dal terroir.

Come “Schiava dell’anno 2017” sono state premiate: nella categoria “Tradizione”: • Alto Adige Lago di Caldaro classico superiore Plantaditsch 2016 - Klosterhof • Alto Adige Lago di Caldaro classico superiore Kalkofen 2016 – Baron di Pauli • Alto Adige Meranese Schickenburg 2016 – Cantina Merano • Alto Adige Schiava Grigia 2016 – Cantina Cortaccia • Alto Adige Schiava Vecchie Viti 2016 – Franz Gojer, Glögglhof • Alto Adige Santa Maddalena classico 2016 – Cantina Bolzano • Alto Adige Santa Maddalena classico 2016 – Stefan Ramoser, Fliederhof nella categoria “Nuove vie” • Alto Adige Schiava Vecchie Viti di Gschleier 2015 – Cantina Cornaiano • Alto Adige Santa Maddalena classico Moar 2015 – Cantina Bolzano • Donà Rouge 2011 – Hartmann Donà Dato che la Schiava è un vino che non deve solo piacere agli esperti ma anche, e soprattutto, ai semplici appassionati, una commissione scelta tra questi ha eletto il suo preferito tra i vincitori. Dopo varie discussioni ed assaggi la commissione ha fatto cadere la sua decisione sull’ • Alto Adige Santa Maddalena classico Moar 2015 – Cantina Bolzano eletto come il preferito dal pubblico Col titolo “Ambasciatore della Schiava” vengono premiati persone o posti che svolgono un ruolo particolare nella promozione della Schiava Alto Adige. Come Ambasciatore della Schiava 2017” è stata premiata l’iniziativa Kalterersee-Charta di wein.kaltern, perché promuove in senso chiaro e in modo sostenibile la Schiava di qualità. Euposia giugno 2017

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Vermouth

È nato l’Istituto del Vermouth di Torino

A

conclusione di un lungo iter che ha portato alla definizione legale della denominazione “Vermouth di Torino” attraverso il decreto attuativo, ora inviato a Bruxelles dal Ministero dell’Agricoltura, le aziende che ne hanno condiviso il percorso hanno fondato l’Istituto del Vermouth di Torino. L’organismo è stato costituito venerdì 7 aprile 2017 a Torino, davanti al notaio Paolo Bonomo, dalle aziende e dai marchi che rappresentano la stragrande maggioranza della produzione di questa denominazione: Berto, Bordiga, Del Professore, Carlo Alberto, Carpano, Chazalettes, Cinzano, Giulio Cocchi, Drapò, Gancia, La Canellese, Martini & Rossi, Mulassano, Sperone, Torino Distillati, Tosti.

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A questi primi soci fondatori, con caratteristiche diverse di storia e dimensione aziendale, potranno unirsi altri che vogliano condividerne gli obiettivi e le attività di promozione. I fondatori hanno voluto nominare Piero Miravalle, memoria storica del Vermouth, Pierstefano Berta, studioso, e Fulvio Piccinino, barman ed esperto, soci onorari dell’Istituto per riconoscere il fattivo contributo dato dalle loro esperienze e professionalità in questo campo. L’Istituto è un’associazione che ha lo scopo valorizzare, promuovere ed elevare la qualità del Vermouth di Torino, la diffusione sui mercati attraverso il lavoro sinergico di tutti i produttori. Fondamentale sarà la collaborazione con Associazioni di categoria, l’asses-


sorato all’Agricoltura della Regione Piemonte, gli enti che sin dall’inizio hanno fortemente sostenuto, con i produttori, questa nuova vita del Vermouth in Piemonte. Il clima positivo e di collaborazione che si è creato durante il lungo iter sui diversi tavoli di lavoro fa ben sperare nella crescita di una denominazione che rappresenta un bene collettivo della Regione Piemonte e dell’Italia. La visibilità su tutti i mercati internazionali avrà certamente riflessi positivi anche sul mondo agricolo da cui provengono i principali ingredienti del vermouth: vino, zucchero, estratti di erbe e spezie. Il Vermouth di Torino è conosciuto nel mondo per la tradizione e la storicità della produzione. La sua fama è indissolubilmente legata al Piemonte ed a Torino, dove nel secolo XVIII, si sviluppò una vera e propria aristocrazia di vermuttieri grazie ai quali, in misura e modi diversi, la diffusione del Vermouth di Torino divenne internazionale, raggiungendo in tutta Europa una grande risonanza. Nel corso degli anni si è assistito all’evoluzione delle tecniche di lavorazione: le nuove hanno affiancato via via le più antiche e la loro coesistenza continua ancora oggi a preservare e a valorizzare la tradizionale produzione di questo prodotto. Il Vermouth (o Vermut) di Torino è inserito tra le denominazioni geografiche comunitarie sin dal 1991, senza che ne siano state indicate le caratteristiche o i processi produttivi per distinguerlo dalla più ampia categoria Vermouth a cui appartiene. Da oltre 20 anni ed in numerose occasioni, i produttori di Vermouth, consapevoli della necessità di una regolamentazione, si sono incontrati per definire un disciplinare di produzione in grado di elevare maggiormente questo grande aperitivo della tradizione piemontese. Siamo giunti finalmente al traguardo con il decreto 1826 del 22 marzo 2017 con cui il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha accolto la richiesta di protezione presentata nei mesi scorsi dalla Regione Piemonte ed ha riconosciuto l’indicazione geografica Vermouth di Torino / Vermut di Torino. “Il Vermouth di Torino – si legge nel decreto - è il vino aromatizzato ottenuto in Piemonte a partire da uno o più prodotti vitivinicoli italiani, aggiunto di alcol, aromatizzato prioritariamente da Artemisia unitamente ad altre erbe, spezie”. La zona di produzione comprende l’intero territorio del Piemonte.

Le caratteristiche sensoriali

Il Vermouth di Torino deve avere colore da bianco a giallo paglierino fino a giallo ambrato e rosso: le singole caratteristiche sono legate agli apporti cromatici determinati dai vini, dalle sostanze aromatizzanti e dall’eventuale impiego di caramello. Odore intenso e complesso, aromatico, balsamico, armonico talvolta floreale o speziato. Sapore morbido, equilibrato tra le componenti amare - indotta dalla caratteristica aromatica dell’Artemisia - e dolci che variano a seconda delle diverse tipologie zuccherine. Titolo alcolometrico tra 16% vol e 22% vol.

I principi aromatici

Possono essere estratti mediante le tecnologie disponibili utilizzando come supporto vino, alcol, acqua, soluzioni idroalcoliche. Tra le materie prime principali del Vermouth di Torino ritroviamo le piante del genere ARTEMISIA, essendo obbligatoria la presenza delle specie absinthium e/o pontica coltivate o raccolte in Piemonte. Per la dolcificazione si può usare zucchero, mosto d’uve, zucchero caramellato e miele. Per la colorazione si può usare soltanto il caramello. La denominazione può essere integrata con le diciture: extra secco o extra dry per prodotti il cui tenore di zuccheri è inferiore ai 30 grammi per litro SECCO o DRY per vermouth con meno di 50 grammi per litro DOLCE per prodotti il cui tenore è pari o supera i 130 grammi per litro. Nella lista degli ingredienti è possibile indicare il riferimento ai VINI BASE impiegati con le specifiche denominazioni d’origine o indicazioni geografiche qualora rappresentino almeno il 20% in volume del prodotto finito. Il disciplinare prevede la tipologia VERMOUTH SUPERIORE per il prodotto con un titolo alcolometrico non inferiore a 17% vol, composto di vini prodotti in Piemonte pari ad almeno 50% ed aromatizzato anche se non esclusivamente, con erbe - diverse dall’assenzio coltivate o raccolte in Piemonte.

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Tramin Epokale

Cantina Tramin Epokale, il Gewürztraminer degli avi Un vino abboccato che riprende uno stile presente in Alto Adige più di due secoli fa. Viene affinato per sette anni in una miniera a 2000 metri

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i chiama Epokale il nuovo Gewürztraminer di Cantina Tramin. Un vino che affonda le proprie radici nella storia altoatesina, frutto della ricerca dell’azienda cooperativa di Termeno che ha fatto del Gewürztraminer la propria missione. “Ormai da parecchi anni - spiega Wolfgang Klotz, direttore commerciale di Cantina Tramin - ci stiamo impegnando nella valorizzazione di questo vitigno e la nostra azienda è ormai riconosciuta da tutti come la Casa del Gewürztraminer. Ora abbiamo voluto realizzare un vino che ne esplorasse il potenziale di longevità e per farlo siamo andati indietro nel tempo, di almeno due secoli, quando nel

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Sudtirolo il Gewürztraminer veniva spesso proposto con un generoso residuo zuccherino”. Per ottenere Epokale sono stati scelti due tra i vigneti più vecchi, nei dintorni del maso Nussbaumer, sulla fascia collinare ai piedi del massiccio della Mendola, con esposizione a sud-est. La prima annata è frutto della vendemmia 2009, con raccolta a fine ottobre e una resa in vigneto di 45 quintali per ettaro. Dopo la vinificazione con pressatura soffice, il vino ha sostato per 8 mesi sui lieviti prima di essere imbottigliato ed essere portato, ad agosto 2010, nella miniera di Monteneve, in Val Ridanna, ad oltre


2000 metri di quota. Si tratta di una miniera dismessa di metalli preziosi, oggi sede del Museo Provinciale delle Miniere. Qui è stato stoccato al buio, a 4 chilometri dall’imbocco della galleria e ad una profondità di 450 metri sotto la montagna. La temperatura di 11° e l’umidità del 90% sono costanti per tutto l’anno, la pressione atmosferica pari a quella esterna. “Sappiamo da sempre – spiega Willi Stürz, direttore tecnico di Cantina Tramin – che i vini conservati in alta quota sono migliori di quelli del fondo valle: temperatura e pressione atmosferica influiscono positivamente. Non disponendo di uno spazio adeguato per uno stoccaggio di lungo periodo in cantina, abbiamo scelto di portare le bottiglie nel luogo dove potessero avere le condizioni migliori possibili. In una miniera di alta quota sono praticamente perfette”.

Il risultato dell’affinamento in miniera ha risposto alle aspettative “Siamo particolarmente orgogliosi - commenta il direttore del Museo Provinciale di Ridanna, Andreas Rainer - per questa nuova funzione della nostra miniera. Un luogo perfetto a questo scopo, tanto che dopo l’arrivo delle bottiglie di Cantina Tramin ci sono giunte da altri produttori richieste simili”. Ne è risultato un vino potente, con un residuo zuccherino ben percepibile, ma perfettamente bilanciato da una nota di freschezza. Lo spettro olfattivo è particolarmente ricco ed esalta il concetto di suadenza olfattiva di cui Cantina Tramin si è fatta interprete nel territorio. Una complessità che spazia dalle note floreali e fruttate tipiche della varietà e ancora ben percepibili (dal litchi ai petali di rosa, dai fiori bianchi ai frutti esotici) ad un ampio spettro di sentori speziati dolci (chiodi di garofano, cannella, noce moscata, zenzero) e gradevolissime note minerali che si accentuano con il tempo rendendo Epokale sempre più corposo, profondo e succoso. Si abbina a piatti salati dominati da una componente speziata, formaggi a crosta lavata oppure ai classici dolci della montagna, come Milchmuß, il Kaiserschmarrn, lo strudel di mele o di albicocca. Un vino lontano dai canoni oggi considerati tradizionali per il Gewürztraminer altoatesino, pronto a ridefinirne i confini e a spostare l’orizzonte di quanto si può ottenere da questa varietà.

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N e w s Cantine Monfort, Gaierhof, Azienda Agricola Bellaveder e Cantina Produttori Valle Isarco conquistano le medaglie d’oro del 14° Concorso Internazionale Vini Müller Thurgau

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i è svolta, all’interno della 30° edizione della manifestazione Müller Thurgau: Vino di Montagna - promossa nell’ambito del coordinamento delle manifestazioni enologiche provinciali dalla Strada del Vino e dei Sapori del Trentino - la premiazione del 14° Concorso Internazionale Vini Müller Thurgau. Rispetto alle 68 etichette in gara, 4 hanno ricevuto la Medaglia d’Oro e 16 la Medaglia d’Argento. A conquistare l’oro, il Müller Thurgau Casata Monfort Trentino DOC 2016 di Cantine Monfort, il Müller Thurgau Trentino DOC 2016 di Gaierhof, il Müller Thurgau San Lorenz Trentino DOC 2016 di Azienda Agricola Bellaveder e il Müller Thurgau Aristos Alto Adige Valle Isarco DOC 2016 di Cantina Produttori Valle Isarco. Seguono le Medaglie d’Argento, conquistate da 8 etichette trentine (Trentino Müller Thurgau dei 700 Trentino DOC 2016 di Gaierhof; Müller Thurgau Trentino DOC 2016 di Fondazione Mach; Castel Firmian Müller Thurgau Trentino DOC Superiore Valle di Cembra 2016 di Cantine Mezzacorona; Müller Thurgau Vigneti delle Dolomiti IGT 2016 di Azienda Agricola Francesco Moser; Müller Thurgau Cantina di Montagna Trentino DOC 2016 di Cembra cantina di montagna; Müller Thurgau “Pendici del Baldo” Trentino DOC 2016 di Cantina Mori Colli Zugna; Müller Thurgau Pietramontis DOC Trentino Superiore Valle di Cembra 2016 di Villa Corniole; Müller Thurgau Trentino DOC 2016 di Cantina La Vis), 5 altoatesine (Müller Thurgau Alto Adige DOC 2016 di Cantina Produttori San Paolo; Müller Thurgau Alto Adige Valle d’Isarco DOC 2016 di Abbazia di Novacella; Müller Thurgau “Caprile” Alto Adige DOC 2016 di Peter Zemmer; Müller Thurgau “Gassner” Vigneti delle Dolomiti IGT 2016 di Castelfeder e Müller Thurgau Castel Juval DOP 2016 di Azienda Agricola Unterortl - Castel Juval) e 3 tedesche (2015 Hagnauer Müller Thurgau “Fass 247”, 2016 Hagnauer Sonnenufer Müller Thurgau trocken e 2016 Hagnauer Burgstall Müller Thurgau Spargel di

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Winzerverein Hagnau). La giuria era composta da un panel di 18 esperti del mondo enologico (10 enologi, 4 rappresentanti di AIS, ASPI e ONAV e 4 giornalisti di settore) suddivisi in tre commissioni di assaggio. Ogni vino è stato valutato alla cieca da due commissioni in base al metodo di valutazione dell’Unione Internazionale Enologi, che prevede un’analisi complessiva che prende in considerazione vista, olfatto, gusto e gusto-olfatto. “Sono ben 52 su 68 le etichette che hanno superato gli 80 punti e che avrebbero dunque potuto ambire ad ottenere la Medaglia d’Argento ma, non potendo premiare più del 30% delle etichette in gara, come impone il metodo di valutazione a cui facciamo riferimento, la soglia minima per essere premiati è passata da 80 a 83 punti” - ha sottolineato Mattia Clementi, Presidente della Rassegna Müller Thurgau: Vino di Montagna. “Va da sé - ha proseguito - che anche quest’anno si è elevata ulteriormente l’asticella della qualità, come ha potuto verificare chi ha partecipato alla degustazione successiva alla premiazione. Un risultato - ha concluso - non dovuto alla generosità dei giudici, che al contrario sono stati molto severi, ma a due fattori: in primis l’annata 2016 che, per le sue caratteristiche, ha ricompensato soprattutto il Müller Thurgau e in secondo luogo il fatto che di anno in anno il concorso non si è limitato a consegnare premi ma ha lavorato per offrire ai produttori indicazioni precise per aumentare il livello delle produzioni tanto da diventare un vero e proprio punto di riferimento del settore”.


Premium Cava torna il mercato tedesco e guida l’ottima performance del primo trimestre

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l presidente della DO Cava Cava ha approfittato della apertura della “Cava Premium Lounge” presso l’Hotel Domine Bilbao con la presenza di venticinque aziende produttrici per annunciare gli ottimi dati relativi al primo trimestre. Pedro Bonet ha annunciato i risultati del primo trimestre che evidenziano il segmento premium. Nelle sue parole “questo è un inizio dell’anno non troppo favorevole al consumo di prodotto di qualità superiore, ma, tuttavia, le cifre ci rendono soddisfatti e ottimisti per il buon andamento di inizio del 2017”. I dati mostrano un incremento del 12,6%, per complessivi 5,1 milioni di bottiglie, con una ottima performance del mercato interno che rappresenta un aumento del 20%. Per quanto riguarda il mercato estero una crescita complessiva del 9,1% si osserva. Nella classifica top ten ci sono Germania, che dopo alcuni anni di declino del 30,7% si evolve positivamente, Belgio

4% e in altri paesi come la Francia (38%), Paesi Bassi (70%) sono seguiti da Svezia (43% ) e il Canada (41%). L’eccezione a questo sviluppo positivo sono -7% e -12%, rispettivamente, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Il Cava biologico ha registrato un significativo aumento della produzione solo nel primo trimestre, raggiungendo le 1,271,718 bottiglie: si stima, quindi, che a fine anno saranno superate 5 milioni di bottiglie. Per la denominazione DO Cava, il dato più significativo è il riferimento al segmento Cava Premium perché registra un incremento del 30,8%, che rappresenta 1,2 milioni di bottiglie più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Senza dubbio, un fatto che rafforza il duro lavoro di promuovere sia la DO Cava e aziende del settore per posizionare i Cava Premium nei mercati esteri così come mercato domestico con azioni come la Cava Premium Lounge avviata a Bilbao cui ne seguiranno altre a Barcellona.

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Prosecco

Doppia esclusione del Prosecco DOC il caso Canada e il caso Cina

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l Prosecco Doc, la più grande Denominazione italiana sia in termini di volumi che di valore economico, in questi giorni si è trovato al centro di un dibattito sull’importante tema della protezione internazionale delle IG (Indicazioni Geografiche) sui mercati extra europei. L’assenza delle bollicine più amate del mondo dall’elenco dei prodotti oggetto dell’accordo tra Unione Europea e CINA da un lato e dal CETA, (accordo di commercio internazionale che non ha bisogno di presentazioni) dall’altro, ha scatenato reazioni più o meno composte sullo sfondo di una ricerca di responsabilità, anche politiche. Vediamo cosa è successo partendo dal Canada dove,

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proprio in questi giorni il Consorzio ha partecipato a una importante manifestazione promozionale, guidando una delegazione di cantine del calibro di Cantina Colli Euganei sca, Fantinel; Valdo Spumanti; Ca’ di Rajo Wines; Antonio Facchin & Figli s.s.; Società Agricola La Tordera; 
Bottega Gold; 
Val D’Oca e Sapori | Wine Center; Cantina Pizzolato;
Piera Martellozzo; 1899
Zonin Prosecco;
Villa Sandi
; La Jara Winery; Masot. Ricordiamo che il Canada è un mercato che ha registrato un +24,9% di incremento nelle importazioni di Prosecco nel 2016 sul 2015; percentuale che sale al +25,9% se si guarda alla sola frazione di Prosecco spumante. “Per quanto riguarda l’esclusione dal CETA, la cosa


ci interessa relativamente poco in quanto lo scorso dicembre – precisa il Presidente Stefano Zanette – abbiamo conseguito un importante risultato: grazie all’efficace azione svolta dal Consorzio di tutela della DOC Prosecco abbiamo completato la procedura di riconoscimento dell’indicazione geografica Prosecco in Canada. Quindi in questo paese noi siamo già tutelati”. Altra faccenda - sempre in tema di tutela internazionale - la questione relativa all’esclusione del Prosecco Doc dall’elenco delle Denominazioni oggetto dell’accordo tra Unione Europea e Repubblica Cinese. “La negoziazione dell’accordo bilaterale fra Cina e Unione Europea - anticipa il presidente Zanette - è cominciata prima della nascita della Doc Prosecco che pertanto non è stata inserita nella prima lista delle IG europee richiedenti protezione in Cina. “Va premesso - precisa dal punto di vista tecnico il Direttore Generale del Consorzio, Luca Giavi - che l’accordo prevede due liste di IG europee che otterranno protezione in Cina. Una prima, di 100 nomi, che entrerà in vigore con la sigla dell’accordo, e una seconda, di 160 nomi, che diventerà efficace dopo 4 anni dal perfezionamento dell’accordo che è stato ipotizzato per la fine del 2017 e diventerà quindi efficace a partire dal 2021. Fin dal 2013 il Consorzio si è attivato nel tentativo di inserire la denominazione Prosecco nell’accordo, visto il potenziale rappresentato dal mercato cinese e il conseguente rischio che altri vini etichettati come prosecco potessero entrare in Cina sulla scorta del crescente successo delle nostre bollicine”. “Ovviamente come Consorzio siamo sempre stati ben consapevoli della gravità delle conseguenze di un’eventuale esclusione e sapevamo che tale rischio per noi era alto. Ho quindi affrontato la questione portandola in seno al CdA di Sistema Prosecco scarl (società costituita dai tre consorzi che tutelano il Prosecco) - confessa il presidente Zanette - Perchè l’unica possibilità che avevamo come Prosecco Doc consisteva nel fatto che al momento di ratificare l’elenco dei 100 prodotti anno-

verati nell’ accordo, qualcuno facesse un passo indietro lasciando libero il posto. La cosa purtroppo non è avvenuta perché i consorzi già inseriti nel primo elenco si sono tenuti ben stretta la candidatura”. “Ora si attendiamo che il nostro riconoscimento avvenga non appena la seconda lista otterrà l’ufficializzazione. Intanto proseguono le nostre attività in ambito di tutela e promozione – conclude Zanette da Bordeaux, dove si sta svolgendo VinExpo, manifestazione fieristica di respiro internazionale alla quale il Consorzio partecipa accompagnato da una folta delegazione di cantine associate. Faccio notare che la Francia, guadagnando posizione su posizione, quest’anno è diventato il nostro quarto mercato. La cosa stupisce perché in questo Paese – eccezion fatta per Vinexpo, che insieme al Vinitaly di Verona e al Prowine di Dusseldorf viene annoverato tra gli eventi più importanti al mondo nell’ambiente del vino – non abbiamo mai avviato alcuna iniziativa promozionale. Un risultato così importante ci lusinga e comprova il grande successo di questo vino nel mondo”.

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Birra Mastino

Birrificio Mastino, artigianale veramente di

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Emanuele Delmiglio


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n un mercato in cui la competizione e la quantità sono ormai le indiscusse parole d’ordine, l’attenzione verso la qualità rischia di passare in secondo piano. Oreste, Mauro e Christian, con il Birrificio Mastino, hanno deciso di andare controcorrente e percorrere una strada orientata a una cura del prodotto di stampo consapevolmente e convintamente artigianale. Tutto il loro lavoro, dalla scelta delle materie prime alla lavorazione, è caratterizzato da un’autentica passione verso la genuinità e gli aspetti storico-culturali del territorio veronese. Mauro e Oreste Salaorni a Verona hanno lavorato fin da bambini nel locale che i genitori hanno aperto nel 1981. Tale esperienza è stata una vera e propria scuola di vita, dove hanno imparato il valore del lavoro e della meritocrazia. Christian Superbi, entrato in società nel 2015, invece ha lavorato per diversi anni nell’ambito commerciale per numerose aziende alimentari. La birra è sempre stata una loro passione e, già al

primo esperimento con un mosto luppolato, si è acceso qualcosa dentro di loro. Sono stati la grande curiosità e l’interesse a portarli, nel corso degli anni, verso la produzione artigianale, un mondo tanto complesso quanto quello del vino e dei grandi distillati. Ancora oggi è la passione che permette alla produzione artigianale di esistere: in Italia, infatti, vengono consumati 17 milioni di ettolitri di birra all’anno, circa il 90% dei quali sono appannaggio di grandi marchi come Heineken, Moretti e Peroni. Solo il 2,5% appartiene alla nicchia artigianale. Dalla sua nascita, nel 2007, Birra Mastino ha subito diversi cambiamenti per aggiornarsi in un mondo che evolve con estrema velocità. Le principali tappe, dopo l’inaugurazione del birrificio nella sede storica di Mezzane di Sotto, avvenuta il 17 dicembre 2007, sono sicuramente la prima cotta nel nuovo impianto di San Martino Buon Albergo nel giugno 2013 e l’entrata in società del terzo Mastino nel Euposia giugno 2017

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Birra Mastino

gennaio del 2015, che hanno portato a una rivisitazione totale della produzione e dell’offerta commerciale. Tra il 2015 e il 2016, sono stati ridefiniti e aggiornati il marchio, le tipologie di birre, la veste grafica delle bottiglie e tutto il sistema di distribuzione sia nazionale che estero. All’inizio, la vendita della birra avveniva solo presso il locale di famiglia. Poi l’azienda ha iniziato a servire alcuni bar, con serate ed eventi a tema, oggi la distribuzione passa attraverso distributori specializzati localizzati nelle varie regioni d’Italia. Nel 2009 arriva la decisione di allargarsi acquistando due fermentatori da 1.000 litri e, nel 2011, la produzione arriva a circa 11.000 litri al mese. A quel punto però, gli spazi erano diventati troppo angusti e si rendeva necessario un ampliamento delle strutture. Il progetto naturale era quello si espandere il birrificio a Mezzane, dietro il locale di famiglia, sul terreno dei genitori di Mauro ed Oreste, ma purtroppo, per motivi legati alla burocrazia, l’idea non si è concretizzata. L’approdo avviene nell’area di San Martino Buon Albergo, dove, dopo aver trovato una struttura

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adatta, la nuova sede viene inaugurata il 2 giugno 2013. I soci decidono insieme le cose più importanti, come per esempio gli studi sui vari tipi di ricette. Mauro poi si occupa dell’aspetto strettamente tecnico, seguendo tutta la produzione, i macchinari, la fermentazione, mentre Oreste si dedica alla parte promozionale e agli eventi, mentre Christian a quella commerciale, quella amministrativa e al rapporto con i distributori. Per quanto riguarda l’orientamento sulla produzione, i soci hanno le idee chiare. Sono molto attratti dagli stili tedeschi delle basse fermentazioni e si ispirano inoltre alla grande tradizione dello stile belga, senza mai disdegnare però l’innovazione e la creatività: si spazia dalla Helles alla Monaco, dalla Belgian Ale alla Strong Ale, fino alla Pils di ispirazione ceca. Anche la nuova scuola americana è un punto di riferimento interessante per loro, esprimendola attraverso la loro formidabile Ipa. La produzione si articola su più fronti: le Birre Mastino, che rappresentano il nome dell’azienda e che viene distribuita esclusivamente nel canale horeca specializzato; Birra Giulietta e Romeo, marchio dedicato alla distri-


buzione organizzata, tutti nomi che in ogni caso legano insieme il prodotto alla storia della città. Infine, stagionalmente, trovano spazio anche le birre sperimentali, dai gusti più impegnativi, per intenditori veri e propri. Perseguendo l’obiettivo di valorizzare il prodotto, i soci hanno pensato di legare le etichette alla storia del territorio veronese e ai suoi simboli. Anche per questo hanno stretto una collaborazione con associazioni rievocative come gli Arcieri e Balestrieri di Mastino e con le Lame Scaligere. Oltre all’aspetto commerciale, è molto importante per loro la valorizzazione storico-culturale del territorio e i nomi della linea Mastino, che si riferiscono al periodo di Verona medievale, sono stati pensati in questo senso. Sarebbero tanti i progetti studiati per unire la vendita della birra con la passione verso la storia. Sebbene il territorio veronese rappresenti il punto di forza dell’azienda, oggi Mastino serve normalmente locali specializzati su tutto il territorio nazionale, portando così un pizzico di storia della nostra città a spasso per l’Italia. Il team lavora alacremente per conquistare nuove fasce di mercato e per espandersi geograficamente, partecipando, per esempio, a numerosissime feste e fiere di settore in tutta Italia. L’obiettivo che i soci del Birrificio Mastino intendono perseguire è quello di gestire un grande birrificio, mantenendo allo stesso tempo un’alta qualità e una lavorazione artigianale. Produrre in grandi quantità, infatti, non significa necessariamente essere una catena industriale. Tutto dipende da come viene concepito il lavoro: se si utilizzano prodotti di alta qualità, lavorando secondo determinati criteri, allora si potrà sempre essere in grado di offrire un prodotto artigianale. Anche la tecnologia è uno strumento molto importante in questo senso. “Per molti – spiega Oreste Salaorni – l’utilizzo di macchinari specifici corrisponde a un decadimento del pregio del prodotto. La tecnologia, al contrario, migliora i risultati e permette un controllo maggiore. Il nostro obiettivo non è meramente il guadagno economico, ma la realizzazione di un prodotto di alta qualità che identifichi il nostro marchio come leader nella categoria delle birre artigianali”. Come spesso Mauro, Oreste e Christian amano ripetere e usano come slogan, il loro è un prodotto “artigianale veramente”.

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Cantine Pasqua

Undici Minutes è il nuovo iconico rosée della famiglia Pasqua

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a nuova interpretazione del rosé della Famiglia Pasqua è un blend prezioso che nasce dalle parti più nobili di vitigni autoctoni come la Corvina e il Trebbiano di Lugana e di vitigni quali Syrah e Carmenère. Il nome 11 MINUTES evoca la durata dello skin contact, il tempo di pigiatura: a pieno carico le uve vengono pressate in modo molto soffice. In questa frazione di tempo ottimale dal mosto si ottengono le parti più nobili delle uve e le lievi tonalità rosate che caratterizzano questo vino. “Pasqua 11 MINUTES è il nuovo vino che parla di qualità e di innovazione, caratteri distintivi della nostra azienda – ha commentato il Presidente Umberto Pasqua – il blend di uve autoctone e di vitigni internazionali esprime tutto il nostro amore per il territorio e al contempo la nostra capacità di innovare, grazie al know how consolidato nella nostra storia quasi centenaria.” “Abbiamo studiato i trend emergenti – ha concluso l’Amministratore Delegato Riccardo Pasqua – e abbiamo individuato nel rosé mode una tendenza globale, trasversale ai mercati in cui operiamo. Lo abbiamo interpretato con uve provenienti da vitigni posizionati in una delle anse più belle del Lago di Garda, tra Sirmione e Bardolino che garantiscono una eccezionale mineralità. Il terroir unico, la nostra lunga tradizione enologica e le wine trend si sono stati incontrati in questo progetto.” Un rosato fresco e avvolgente, dal bouquet intenso e complesso, immaginato per accompagnare le sere primaverili o

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estive, ma non solo. Per indulgere in una parentesi di ozio da concedersi fuori dal tempo e da ogni stagione. Pasqua Vigneti e Cantine è una storica azienda di produzione di vini veneti e italiani di qualità. In quasi 100 anni di storia, l’azienda si è consolidata sullo scenario internazionale con i suoi prodotti, soprattutto vini rossi, quale sinonimo di grande tradizione vitivinicola. Tradizione, innovazione, qualità, ricerca, passione sono i valori tramandati di generazione in generazione dalla famiglia Pasqua e oggi sono raccontati attraverso vini autoctoni del territorio veneto e grandi classici italiani distribuiti in tutti i continenti. A gennaio Wine Enthusiast ha assegnato 92/100 punti all’Amarone della Valpolicella Doc Riserva 2006 e 90/100 punti all’Amarone della Valpolicella DOCG 2012 Famiglia Pasqua. L’Amarone della Valpolicella DOCG Famiglia Pasqua 2011 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento 90/100 punti da Wine Spectator lo scorso febbraio. Alla edizione 2016 dell’International Wine Challenge 2016, l’Amarone della Valpolicella Famiglia Pasqua 2006 è stato premiato con la medaglia d’oro quale miglior Amarone e miglior vino rosso italiano, e Decanter ha assegnato la medaglia di bronzo dell’Award 2016 all’Amarone Cecilia Beretta 2010. L’Amarone Famiglia Pasqua 2003 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento 92/100 punti da Wine Spectator. Wine Enthusiast ha assegnato 93/100 punti all’Amarone Famiglia Pasqua 2011 e 90/100 punti all’Amarone Cecilia Beretta 2008.


Cantina Valpantena

Nuovo wine packaging per Cantina Valpantena: colore e design di tendenza

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n mercato in continuo fermento, quello del vino, dinamico e costantemente in crescita, dove oltre alle qualità organolettiche anche l’aspetto estetico gioca la sua parte. Da qui, la riflessione identitaria di Cantina Valpantena Verona che ha scelto di dare vita ad una nuova immagine accattivante, in linea con le tendenze in fatto di visual e packaging, con l’intenzione di dare un ulteriore slancio a questa cantina storica e conquistare così nuovi segmenti di mercato. Stile essenziale, linee pulite, colori neutri, forti contrasti: questi ma non solo i nuovi trend in fatto di wine packaging, che oggi è fondamentale per la riconoscibilità del brand. Anche in questo contesto, Cantina Valpantena Verona ha saputo riconfermare la propria attitudine innovativa, realizzando il restyling di due celebri referenze, la linea Alfabeto e la linea Torre del Falasco, raccontando così il carattere del vino e del suo territorio, generoso e ricco di vitalità, che deve essere valorizzato partendo proprio dalla bottiglia e dall’etichetta. Coerente con il prodotto, la linea Alfabeto propone un’ampia gamma di vini del territorio, adatti ad ogni occasione di convivialità. Il rinnovo estetico è frutto di una scelta coordinata e condivisa dal team interno di Cantina Valpantena Verona, che ha saputo ideare un’etichetta dalle tonalità cromatiche intense, con una grafica lineare ma grintosa, caratterizzata dalla grande lettera V impressa sullo sfondo che ricorda l’origine dei vini, ideali per un target di consumatori che ricerca tutta la semplicità della grande tradizione veronese. Torre del Falasco, invece, si veste di un’etichetta chiara ed elegante, con pochi elementi

di immediata lettura, tanto da catturare l’occhio del consumatore alla prima occhiata. Scritte decise a contrasto su nuances delicate con un dettaglio di forte impatto: il marchio di cera lacca a rilievo, sinonimo di garanzia e qualità. Protagonista è il trattamento monocromatico che identifica la specifica tipologia di vino con un colore studiato ad hoc. “L’Italia è la Patria per eccellenza del vino, ma non può essere narrato con le stesse parole, il medesimo ritmo e immagini sempre uguali” ha dichiarato Luca Degani, Direttore di Cantina Valpantena Verona. “Ci siamo impegnati in un restyling delle bottiglie che evidenziasse il carattere del nostro prodotto e la nostra visione moderna di Cantina, dove vino e packaging devono collaborare per esprimere emozioni”. Packaging nuovo ma riconoscimenti consueti per Cantina Valpantena Verona che, anche quest’anno si è aggiudicata il “5 Stars Wines 2017”, il rinomato Premio Internazionale di Vinitaly, che insignisce le aziende vinicole maggiormente impegnate nell’innovazione e nel continuo miglioramento dei propri prodotti. Ben sette sono i vini di Cantina Valpantena Verona inseriti nella Guida 2017 “5 Stars Wines”: Amarone della Valpolicella DOCG “Torre del Falasco” 2014 (Punteggio 92), Amarone della Valpolicella DOCG “Torre del Falasco” 2013 (Punteggio 90), Amarone della Valpolicella DOCG “Torre del Falasco” 2012 (Punteggio 90), Amarone della Valpolicella DOCG 2014 (Punteggio 91), Amarone della Valpolicella DOCG “Q” 2014 (Punteggio 90), Recioto della Valpolicella DOCG 2014 (Punteggio 90) e Valpolicella Ripasso DOC “Torre del Falasco” 2015 (Punteggio 90). Euposia giugno 2017

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Birra Peroni

Birra, arriva Peroni Cruda: ecco il lato “non pastorizzato” della bionda

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ome il pane appena sfornato, il latte appena munto, una mela appena colta. L’azienda birraria italiana nata nel 1846 lancia Peroni Cruda, la prima birra non pastorizzata della famiglia Peroni che, grazie al suo processo di microfiltrazione a basse

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temperature, preserva tutto il gusto fresco della birra come appena fatta in birrificio. Peroni Cruda è stata presentata oggi a Milano, presso Pasta D’Autore, alla presenza di Giuseppe Menin, Mastro Birraio di Peroni Cruda, Silvia Aloe, External Communication e Public Relations Manager Birra Peroni e Ludovica Lioy, Brand Manager Peroni Cruda e Peroni Gran Riserva. “La location scelta - dice Cristiano Marroni Darena, Marketing Manager della Famiglia Peroni - non è affatto casuale. Abbiamo deciso di far muovere i primi passi alla nostra nuova nata in un luogo che fa della freschezza il suo biglietto da visita, grazie alla pasta fresca preparata tutti i giorni, utilizzando ingredienti di altissima qualità. Del resto, Peroni Cruda è proprio così: prodotta con malto 100% italiano e buona come appena fatta per offrire ai nostri consumatori un’esperienza di gusto unica”. “Questa birra - spiega Giuseppe Menin, Mastro Birraio di Peroni Cruda - ha una caratteristica fondamentale: la non pastorizzazione. Per tutto il processo produttivo viene costantemente tenuta a basse temperature. In questo modo, preserviamo tutto il gusto fresco della birra appena fatta. È così che il privilegio che ho io di assaporare il gusto fresco della birra appena

spillata diventa, da oggi, un piacere per tutti”. Con una consistenza cremosa e morbida, un piacevole retrogusto amarognolo di luppoli e un colore giallo paglierino, Peroni Cruda è una Lager non pastorizzata prodotta in esclusiva per il canale On-Premise (Ristoranti, Pub, Pizzerie, Bar). È disponibile in bottiglia da 33cl e fusto da 30L.


Monteverro

Un’anima green per Monteverro La Cantina di Capalbio ha avviato il processo di conversione al biologico che si concluderà nel 2019

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n cammino iniziato sin dalle origini della tenuta – nel 2003 – alla ricerca di un equilibrio sostenibile tra terra e vite, un percorso ideale che oggi diventa anche formale. Monteverro – dopo anni di prove e sperimentazioni – ha scelto di dare il via al processo di certificazione biologica che si concluderà nel 2019. Il concetto di agricoltura convenzionale, dove la soluzione a ogni problema era l’utilizzo di un prodotto sintetico, è lontano dall’approccio di Monteverro al mondo del vino. L’obiettivo da sempre è quello di produrre meglio e non di più. Un diverso approccio all’agricoltura permette una visione più ampia e sinergica, arrivando così a comprendere le molteplici sfide che un’azienda viti-vinicola deve affrontare (vigoria del vigneto, siccità, parassiti, longevità dei vigneti, erosione dei suoli ...). Una strategia che tiene conto di tutti gli elementi che caratterizzano una specifica realtà agricola. «Per mettere in pratica questa filosofia di coltivazione – spiegano in Monteverro - abbiamo iniziato un’importante collaborazione con Lydia e Claude Bourguignon, agronomi di fama mondiale, autori di un libro di riferimento come Il suolo. Un patrimonio da salvare, testo fondamentale per comprendere le linee guida dell’agricoltura del futuro. Il loro supporto è stato sostanziale, prima, per capire i nostri suoli e, poi, per dare inizio a un’attività biologica anche attraverso lavori come lo studio dei profili del suolo, la diminuzione delle lavorazioni e la semina di sovesci. Si è lavorato anche sulla pianta stessa, inserendo nuove tecniche di potatura più rispettose e passando tutte le nuove piantagioni in Guyot, forma di allevamento che ci permette di avere piante più equilibrate.

In un secondo tempo, abbiamo deciso di non utilizzare insetticidi, con l’obiettivo di salvaguardare la nostra fauna naturale, e contestualmente aumentare le zone di popolamento degli insetti, piantando, all’interno dei nostri vigneti, più di 1 km di siepe di piante autoctone della macchia maremmana». Per aumentare la biodiversità sono anche stati seminati prati fioriti e posizionati nidi per uccelli e pipistrelli. La natura ha una forza incredibile e questi accorgimenti hanno permesso di ottenere piante più equilibrate e più armoniche, dotate di una maggiore resistenza ai suoi principali nemici. Progressivamente sono stati eliminati i pesticidi sintetici per utilizzare solo prodotti autorizzati in agricoltura biologica, riuscendo - nel tempo - a utilizzarne un basso quantitativo (utilizzo di rame inferiore a 2,5 kg/ha, media sugli ultimi 5 anni). Il 2016 è stato l’anno della svolta: si è deciso con entusiasmo e grande fiducia di iniziare il percorso di conversione all’agricoltura biologica di tutta la produzione (uva, olive, vino e olio). Questo importante cammino di tre anni porterà nel 2019 alla certificazione ufficiale.

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euposia

Nel prossimo numero

Direttore responsabile Beppe Giuliano boss@euposia.it telefono +39 045 591342 Vice direttore Nicoletta Fattori fattori@euposia.it redazione e degustazioni via Luigi Negrelli, 28 37138 Verona Telefono +39 045 591342 Grafica & Impaginazione: Emanuele Delmiglio redazione@delmiglio.it telefono +39 045 6932457 Caporedattore Enogastronomia Enzo Russo enzorusso_007@fastwebnet.it Hanno collaborato a questo numero: Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Leonard Spessari, Zeno Sorus, Patrizia Salvaterra, Josè Carlos Palacios, Barbara Ainis, Emanuele Demiglio, Daniela Scaccabarozzi, Si ringrazia per il materiale fotografico: Barbara Ainis, Jean Bernard, archivio Arvid Rosengren Copertina: Barbara Ainis Concessionariaperlapubblicità: ContestoEditoreScarl Perisitiwww.euposia.it ewww.italianwinejournal.com info@vinoclic.it Stampa:Tieffe Emmeprint-Italy Distribuzioneperle edicole SodipSpa,viaBettola,18 20092CiniselloBalsamo Prezzodellarivista:5euro Arretrati:8euro+spesedi spedizione Perinformazioni: tel.045.591342 Editore: ContestoEditoreScarl ViaFrattini,3-37121Verona Iscr.Rocn.12207del02/XI/2004 RegistrazioneTribunalediVerona n.1597del14/05/2004

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Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

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