Espressione Libri n. 1

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Espressione Libri

Anno 0 numero 1


CONTATTI E INFO Anno 0, numero 1 (dicembre 2012 - gennaio 2013) Bimestrale di cultura e arte Editore: Maria Capone Direttore Responsabile: Alessandra Caputo Grafica e Impaginazione: Maria Capone e Davide Gorga Fotografie: Lucia De Vita, Stella Stollo, Adrena (Maria Capone), Angelica Intersimone, Katia De Felici. Foto di copertina: Lucia De Vita Stampa: Tipolitografia Editrice Brindisina – Brindisi Direzione e Redazione: Contrada Montenegro snc – Brindisi Telefono: 348.1584540 E-mail: espressionelibri@yahoo.it Sito internet: rivistaespressionelibri.wordpress.com Pagina facebook: Espressione Libri (rivista) Chiuso in redazione: 30 novembre 2012

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Gruppo e Pagina

Periodico in attesa di registrazione presso il Tribunale di Brindisi Tutti i diritti riservati.

«Fiori mai nati» (Edizione italiana e inglese)

Elisabetta Vatielli Traduttore: Halliley M. Editore: Lìbrati ISBN: 9788887691832

Per la tua pubblcità su Espressione Libri Tel: 3481584540

«Cucina interiore» Mino Pica Lupo Editore 2 9788896694930 ISBN: www.minopica.it

E-mail: espressionelibri@yahoo.it


SOMMARIO Pag .

EDITORIALE Il cassetto dei nostri sogni si apre; al suo interno è riposto il primo numero della rivista, ricco di novità editoriali, recensioni e interviste. «Espressione Libri» avrà il pregio di lasciare spazio agli scrittori emergenti ma, anche, a tutti quegli artisti che gravitano intorno al mondo del libro: fotografi, pittori, musicisti, video maker e tanti altri che avremo il piacere di presentarvi nel corso del tempo. Con questa rivista intendiamo supportare chiunque sappia mettersi in gioco accettando, laddove necessario, anche la nostra critica, perché «Espressione Libri» diverrà una vetrina per i giovani e i meno giovani – non importa l’età per condividere le passioni – un punto d’incontro (e di confronto) per autori che altrimenti, anche a causa della distanza geografica, non potrebbero farlo, anche grazie al supporto del blog e della pagina facebook ad essa associati. Il blog, fondato nel giugno del 2012 su WordPress, acquisisce nel giro di pochi mesi oltre settanta autori, ma il successo evidentemente non basta, cambiano le esigenze e si avverte la necessità di offrire e di ricevere di più: maggiore visibilità per gli autori e gratificazioni per il nostro lavoro. Sì, nostro, perché da soli non si va da nessuna parte. L’idea c’è, la volontà e l’entusiasmo anche, per rendere l’idea vincente, tuttavia, si ha bisogno di un valido supporto da parte dell’intero gruppo.

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(fotografia di Stella Stollo)

4 Recensioni 14 16 20 22 24 29 36

Lo sapevate che… Interviste Sgrammaticando Come si fa? Riflettori puntati su… L’arte che gira intorno Rubrica aperta

42 Parliamone con Roxie 43 Chi l’ha fatto? Chi coinvolgere allora se non gli amici ed autori con i quali si condividono altri progetti letterari? La cooperazione di ogni singolo componente è preziosa se si vuole costruire dall’idea un progetto. Il mio “grazie” personale va dunque a Alessandra Caputo, Davide Gorga, Emanuele Tanzilli, Rossana Lozzio, Nadia Beldono, Oliviero Angelo Fuina, Marco Incardona e Francesca Coppola. Ringrazio anche gli autori che ci seguono con interesse e che si affiancano al gruppo di facebook con entusiasmo, tra i quali voglio citare Stella Stollo, Ilaria Militello, Roberta Strano, Livio Gec, Pietro Loi e Fabrizio Ago. «Espressione Libri» è un progetto sul quale lavoreremo con serietà e competenza e che siamo certi, già dal suo primo numero, vi lascerà sognare. (Maria Capone)


Recensioni

A cura di Davide Gorga

(fotografia di Adrena)

Gabbiani di Sara Monetta Sono solo gabbiani in volo quelli che Milo vorrebbe osservare, lontano da un mondo che non capisce e dal quale, peraltro, non è compreso. Sono gocce di una pioggia improvvisa come un sogno d’infanzia, salvifica e – per questo – soffocata. Sono i mille giorni di vita defraudata dell’anima più autentica quelli che innanzitutto Sara Monetta ci pone davanti: un ragazzino sperduto, abbandonato dai genitori, che domanda l’elemosina. Nessun sentimentalismo. La questua è retta da un’organizzazione criminale spietata e senza volto. Fredda, dura, inumana. Nessun futuro per i bambini che vi lavorano, piccoli furti o accattonaggio che sia; ancor meno per i ragazzi più adulti, lo spaccio di droga è un’attività tremendamente seria – e per questo ancor più maledetta. Il controllo capillare, oppressivo, invisibile di ogni singolo gesto è rapida4

mente dipinto in poche frasi nel principio del racconto. E i ragazzi che vagano nei quartieri, come Milo, il protagonista, sono roba sua, di un essere invisibile, demoniaco, onnipresente. Neppure più persone, né tantomeno bambini. L’autrice usa questo termine, roba, non a caso, perché ridurre un essere umano a mero oggetto è tipico della schiavitù. E sotto questa cappa opprimente che uccide ogni speranza sul nascere il cammino è già tracciato: questua, furti, spaccio, fino ad entrare nei gruppi di fuoco ed all’omicidio; sino a una morte precoce e violenta che dietro di sé non ha lasciato nulla, nessun alito, nessuno slancio. È terrificante e allo stesso tempo notevole come l’autrice descriva questo percorso con la massima naturalezza. D’altronde, è effettivamente la normalità sottaciuta. È la


morte dell’anima che serpeggia e avvinghia troppa parte del nostro mondo, sino ad essere creduta l’unica possibilità di vita. Una vita sterile, perché non rende frutti. Una vita da oggetti, appunto. Pronti per essere buttati. Milo ha un segreto, una seconda vista, quella della fantasia, creatrice e rivelatrice, che lo sostiene nel suo cammino – simboleggiata da un banale paio di occhiali – che gli consente di abbandonare quello che crede l’unico mondo reale ed entrare in un altro, come se Alice avesse varcato lo specchio. Un giorno, segue un Elfo – una ragazzina uscita da scuola – e, affascinato e incuriosito, la segue fino alla chiesa del quartiere. È rivelatore, e non privo di un notevole senso dell’umorismo, l’incontro con il gruppo del catechismo, il sacerdote, la dottrina del Cristo: «fandonie in cui nessuno credeva davvero»; evidentemente chi le aveva create «non conosceva la realtà dura come la viveva lui ogni giorno». Vi sono particolari e parallelismi che l’Autrice introduce in sottofondo e non possono essere taciuti: degli episodi biblici viene narrata la sfida tra Davide e Golia; non a caso tra gli apostoli Milo s’interessa a Giovanni, “il discepolo che Gesù amava”, perché nei dipinti gli ricorda Sami, l’unico bambino, ancora innocente e sensibile, con cui abbia egli stesso un rapporto di amicizia sincera. 5

Il confronto tra la realtà quotidiana e quella ritenuta illusoria apre un baratro nell’animo del ragazzo. Così come il dialogo con il sacerdote, che ha già vissuto la parte di storia che Milo ritiene sia ineluttabile e che ha trovato dentro di sé la forza per cambiare. È un dialogo semplice e duro: «Facile? Chi ha detto che è facile?» replica il sacerdote al ragazzo; il cambiamento è sempre difficile e doloroso. Ed è tuttavia necessario. Per vivere davvero, riscoprirsi esseri umani.

La svolta arriva inaspettata eppure inevitabile. Una scissione nel clan camorrista di cui anche Milo, come semplice pedina, od oggetto, fa parte; il pericolo incombente per chi dovesse decidere di sostenere la parte perdente. La comparsa del capo del quartiere, «una statua di marmo che pativa la fame», così lo descrive l’autrice, con una scelta stilistica per-


sonalissima e più che espressiva, perché davvero il massimo grado cui un oggetto può aspirare è divenire una statua, eppure in questo caso il marmo affamato richiama non certo un’opera d’arte quanto piuttosto una lapide, un avello dantesco, cimiteriale e infero. E infatti di lì a poco è una pioggia non più d’acqua ma di fuoco e di morte a riversarsi su tutto e tutti, un incubo che trascina via oggetti inutili di cui disfarsi. Anche bambini. Anche Sami. L’innocenza, il suo sangue versato, non possono essere superate. Restano nello spirito come pietre. Portano alla morte dell’anima anche chi è sopravvissuto. Perché è questo che il sistema camorristico vuole. L’annullamento dello spirito, dell’anima, dell’individuo. E Milo muore realmente sebbene fisicamente sia illeso; trova rifugio nella chiesa del sacerdote che aveva già incontrato e si addormenta, per ore e giorni. È la morte dell’anima e la sua rinascita. Ed al risveglio, la decisione è presa. Dinanzi a Milo un bivio si era presentato e la via più facile accantonata. Rimaneva solo quella ardua, accidentata, rischiosa, ma ormai era pronto ad affrontare il pericolo e il terrore pur di vivere, finalmente; per sé e per gli altri. Una via imprevista da tutti, o almeno da coloro che lo consideravano un inutile burattino. Una promessa di vita, finalmente. Una promessa che non poteva essere fatta se non a quel sacerdote che aveva sperimentato la 6

Sara Monetta

Sara Monetta è nata nel 1991 a Cava de’ Tirreni. Nel 2008 ha partecipato al concorso "Piccole Piume e Giovani Penne" con «Il ragazzo che corre» (poi pubblicato con Badiglione Editore, 2010). Frequenta l’Università degli Studi di Napoli - facoltà di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali. Collabora in qualità di giornalista pubblicista con Radio Base. (acquarello di Adrena)

«Gabbiani» Sara Monetta LIANT editore romanzisaramonetta.blogspot.it wordpress.espressionelibri.autori.


sua stessa esistenza e se n’era sbarazzato, come una farfalla di un inutile bozzolo. Il racconto, breve, agile, sciolto, non è privo di riferimenti all’attualità. Sono esistiti realmente alcuni personaggi citati, il sindaco Angelo Vassallo, vittima della camorra; esistono gli Iron Angels, gruppo di giovani artigiani di Napoli. Infine, amiamo pensare che esistano anche Fernando, il sacerdote; Angelina, l’elfo, e lo stesso Milo, consapevole di una promessa che ha fatto e che dovrà mantenere; consapevole d’essere tornato alla vita. Di potersi finalmente ergere a protezione di quei ragazzi – di quei gabbiani – che non aveva avuto la forza di strappare al destino tessuto da altre mani. Perché realmente «siamo tutti un po’ gabbiani» come sostiene il fratello di Angelina; gabbiani che paradossalmente hanno paura di volare non appena si alza il vento. Questa storia ci insegna a non temere il vento o la tempesta, perché siamo chiamati ad affrontarli, a resistere, a vincere.

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Davide Gorga

Davide Gorga nasce nel 1974 a Sanremo; inizia giovanissimo ad interessarsi alla letteratura ed il suo esordio compiuto avviene nel 1997 con il romanzo breve «Neve rosso sangue». La sua misura è l'eclettismo, la commistione dei generi letterari più diversi. Negli anni pubblica raccolte di racconti, romanzi e la silloge poetica «L'inverno degli Angeli», svolgendo inoltre lavori di critica letteraria ed editing. Appassionato dell'Oriente, del Medioevo, di filosofia, il suo ultimo lavoro, «La luce delle stelle», è in fase di pubblicazione presso Montedit.


Recensioni A cura di Marco Incardona

Meditazioni al femminile di Michela Zanarella “Troppo breve il senso, / e la natura di un respiro. / Siamo un piccolo brusio / sotto l’eternità.” È con questi versi concisi, precisi e potenti nel definire il proprio sguardo poetico, che Michela Zanarella sembra sfidare il lettore ad una presa di coscienza quasi maieutica, come volesse condurlo per mano negli spazi antistanti un infinito, spesso troppo simile al nulla in cui ci imbarbariamo quotidianamente, in verità ancora fecondo e capace di una forza di rottura insospettabile. Una poesia profondamente dialogica quella che emerge dalla raccolta “Meditazioni al Femminile”, in cui la ricerca di un senso della vita, l’ossessivo dramma di una comprensione dell’esistenza si apprende nel dramma logoro della carne, si snoda nel crocevia spesso limitato dei sensi. “In queste ossa / viaggio / e insieme mi porto / lapilli di vita.” Ancora una volta con versi dal registro evocativo fortissimo e, allo stesso tempo, estremamente equilibrato, la poetessa ci affida nella loro scarna nudità tutte le contraddizioni che contraddistinguono il viaggio affascinante che è la vita, insite in essa ed ineludibili. 8

Una poesia dalla grande ambizione inoltre perché, con una sensibilità tutta femminile, si prefigge di esperire mente e corpo, riassumendoli in un’unica voce poetica, capace di captare l’esistenza ed i suoi drammi con lo sguardo lucido della mente, per restituirla infine con la passione e l’anelito viscerale che solo la corporalità sa vivere con forza e sincerità. Una poesia che trasuda vitalità, curiosità per la vita, fiducia nella capacità della poesia di farsi cetra ben accordata per esprimere il battito accelerato della propria esistenza. Una vitalità dialogica che cerca continuamente nella re-


altà e negli sguardi altrui la scintilla improvvisa per una possibile liberazione – ne risulta un movimento affascinante, che suggestiona il lettore, facendogli realmente intravedere un mondo possibile, in cui il calcolo cessa di essere l’unica legge che regola le nostre esistenze. Una vitalità che è anche cosciente dei suoi limiti intrinseci, dei drammi concreti che la parola non può rimuovere, della profonda alienazione che la condizione poetica deve continuare a combattere. Una coscienza che, sapientemente, si riverbera in voce che cerca continuamente di coniugare equilibrio stilistico e profondità evocativa, che spesso ricorda Ana Rossetti o Alejandra Pizarnik, con ammirevole sforzo e con risultati spesso eccellenti bisogna dire. Ma la poetessa si rivela sempre e comunque innamorata della vita stessa, anche al di là delle giuste meditazioni stilistiche e contenutistiche. Questa è una costante di tutta la raccolta. “Il mio amare / nelle strade, nelle viscere / nel silenzio tutto il tuo esistere, / mi fa sentire gli angoli di un paradiso / addosso.” In definitiva questo appare essere davvero il dono più profondo della poetessa Michela Zanarella, quello di consegnarci con sincerità uno sguardo sull’esistenza ancora aperto all’incanto infinito dello stupor mundi. Tutti vorremmo mimetizzarci nel suo sguardo, nella sua capacità di immortalare con immagini vivissime il fluire inarrestabile dell’esistenza. 9

Michela Zanarella

Michela Zanarella è nata a Cittadella, Padova, nel 1980. Pubblica una sua prima raccolta di Poesie dal titolo «Credo» con l'associazione culturale MeEdusa. Altre pubblicazioni: «Risvegli», ed. Nuovi Poeti, «Vita, infinito, paradisi» ed. Stravagario, 2009, «Convivendo con le nuvole», 2009, Edizioni GDS. «SENSUALITÀ, poesie d’amore d’amare», 2011, Sangel Edizioni. Riconoscimenti: 1° classificata al Premio “pubblica con noi 2011 – Fara Edizioni. Il Teatro Argot Studio, a Roma, l’8 marzo 2011, organizza Risveglio di primavera in poesia, “Michela Zanarella in recital” con la sponsorizzazione della Provincia di Roma.


Questo il potere più grande della sua parola, un potere che la poetessa sa sempre dosare con una cura ed un equilibrio davvero tutti femminili. Uno stupor mundi che in questo caso non è da intendersi come l’esaltazione di un grande evento storico ma come una celebrazione della vita, troppo spesso offesa ed umiliata, da noi stessi in primo luogo. Perché forse, oggi, la vera battaglia da vincere e da immortalare è proprio quella per restituire un senso profondo e sincero alle nostre esistenze. “Cerco un ordine ai sensi, / Ma lampi di guerra / Invadono le ingenuità del mio fiato.”

«Meditazioni al femminile» Michela Zanarella Sangel Edizioni ISBN 9788897040750 www.michelazanarella.it wordpress.espressionelibri.autori.

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Marco Incardona

Marco Incardona nasce a Vittoria (RG) il 25/06/1978. Consegue nel 1997 la maturità classica al Liceo Andrea da Pontedera, di Pontedera. Sempre nel 1997 si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze, seguendo il Corso di Laurea in Storia. Nel 2003 si laurea con una tesi sulle elezioni presidenziali messicane del 1934 e sulla figura di Lázaro Cárdenas. Nel 2005 consegue il D.E.A. (Diplôme d'étude approfondie) c/o l'E.H.E.S.S. di Parigi. Risulteranno decisivi i ripetuti soggiorni a Moutier nel Jura svizzero e l'Erasmus del 2001 – 2002 a Madrid. Dopo confusi anni fiorentini, si trasferisce a Parigi nell'ottobre del 2009 dove studia e lavora. Rientrato in Italia, si divide attualmente tra Firenze e Castelfranco. «Domande al silenzio», pubblicato a fine 2011 dalla Nuova Rosa editrice, è il suo esordio letterario.


Recensioni Respiri di Luna di Francesca Coppola “Respiri di luna”, già dal titolo, evoca immediatamente delicati struggimenti, sospiri sospesi in assenza di gravità, pensieri di rimbalzo da quella musa ipocrita che è il nostro satellite, in romantici riverberi, esaltati o attesi che siano. Poi ti addentri in questa interessante raccolta poetica di Francesca Coppola e ti accorgi che altro non è se non un suo intenso viaggio emotivo attraverso e intorno alla misteriosa terra chiamata Amore. Terra mai del tutto conquistata, ampia, dai confini diversi nel vissuto di ognuno. Terra rischiarata per tutta la silloge da una metaforica luce lunare che strania e conquista. L’autrice l’affronta con passi nuovi, pur ricalcando orme di sempre, in variazioni di ritmo e direzione per sperimentare la focalità linguistica del personale sguardo interiore, quasi a comprendere la misura di se stessa; con “Respiri di luna” ci invita a seguirla in empatia di sensi. La «Sinossi» iniziale, ossia l’esposizione sintetica e schematica, che Francesca Coppola subito ci offre in preparazione del percorso poetico che stiamo per iniziare, affina la curiosità di incontrare e conoscere l’autrice stessa attraverso le sue parole. È onesta la cifra della sua somma poetica, considerata anche la sua giovane età e l’affrontare per la prima volta il pub11

A cura di Oliviero Angelo Fuina

blico mostrando le proprie nudità emotive intercalate da molte corazze di sopravvivenza, indossate in aspre mappe esistenziali a prevenire inevitabili agguati interiori. Felici intuizioni si alternano a naturali ingenuità in cui spesso l’amore fa indugiare. È parte della natura di questa Terra Emotiva d’ogni confine, del resto; nelle parole di Francesca Coppola acquistano anch’esse dignità poetica. Dice bene la sinossi introduttiva che queste poesie vanno percepite e ricostruite internamente, da ogni viaggiatore al suo seguito, in gradini lirici e didascalici, provando ad allineare il proprio respiro a quello dell’autrice, nel suo sperimentare cadenze comu-


nicative, spesso di piacevole e riconoscibile ridondanza. Nelle poesie di questa raccolta non mancano riferimenti al quotidiano, al proprio personale vissuto, lievi contaminazioni del tema dominante: un amore permeante e codificato. “Respiri di luna” sono, anche, i sospiri dell’autrice che gonfiano il petto e spesso precipitano nella mente, segnando il passo giovane ma chiaro del suo attraversare lande sconfinate, racchiuse in un abbraccio col quale vestirsi e vestire. Un caldo indumento da ricercare senza posa, in orizzonti ancora ondivaghi, incerti, lontani.

Lario», «Racconti del Mattino», «C'è Tempo e tempo – Improbabile Romanzo», «Il bacio di vetro», «L'uomo nudo con le mani in tasca».

Francesca Coppola

Oliviero Angelo Fuina

Oliviero Angelo Fuina nasce a Neuchatel (Svizzera) nell'Agosto del 1962. Vive a Oggiono, in provincia di Lecco, ai bordi di un lago che caratterialmente ben lo rappresenta. Pubblicazioni: «Scampoli e Assenze», «Cieli di carta», «Vocali in apnea», «Lido Venere – conchiglie all'anima», «Blocco Note», «Titoli di coda», «Corti – Circuito», «Mah!», «Bambini del 12

Francesca Coppola nasce in provincia di Napoli nel Novembre 1989. Attualmente frequenta la facoltà di Lingue, culture e letterature moderne europee presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”. Amante della musica, si dedica allo studio amatoriale del canto e della chitarra classica. La raccolta poetica «Respiri di Luna» rappresenta il suo primo impegno in qualità di poetessa.

«Respiri di Luna» Francesca Coppola Editore: Arduino Sacco ISBN – 9788863546873


Petali d’arte volteggiano leggeri cosmica danza (Stella Stollo)

(elaborazione grafica di Adrena)

Parole e immagini dal blog (Le vostre cartoline)

Puntano il cielo d’autunno betulle nel bosco a colori (Livio Gec)

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Lo sapevate che… A cura di Maria Capone

«Il ragazzo che corre» Sara Monetta Editore: Badiglione ISBN: 9788896756027 romanzisaramonetta.blogspot.it

«Sensualità - Poesie d’amore d’amare» Michela Zanarella 14 Sangel Edizioni ISBN: 9788897040163 www.michelazanarella.it

Il quarto giovedì del mese di Novembre viene festeggiato in America ed in Canada il tradizionale Thanksgiving day, più comunemente conosciuto come “Giorno del Ringraziamento”, una festività di origine cristiana. La storia della sua nascita è tuttora controversa; infatti, mentre secondo alcuni fu festeggiato per la prima volta nell’anno 1578, quando l’esploratore inglese Martin Frobisher arrivò nel nuovo continente e ordinò una cerimonia per ringraziare Dio per la protezione data al suo gruppo durante la lunga e pericolosa attraversata oceanica, per altri la celebrazione nasce nell’anno 1621, dopo l'approdo dei Padri pellegrini (gruppo di cittadini inglesi di religione cristiana puritana), in territorio americano, a bordo della Mayflower. Tuttavia, fu William Bradford, governatore della Colonia fondata dai Padri Pellegrini a Plymouth nel Massachusetts, a ordinare un giorno di ringraziamento a Dio per l’abbondanza del raccolto ottenuto, e fu George Washington, primo presidente degli Stati Uniti d'America, a proclamarla festa nazionale nel 1789.


La seconda domenica di novembre la Chiesa, in Italia, celebra la Giornata Nazionale del Ringraziamento: viene proposta nel periodo che va dalla festa di San Martino (11 novembre) alla festa di Sant’Antonio Abate (17 gennaio). La nostra Festa del Ringraziamento, sebbene meno sentita, sembra ancor più antica, infatti, nel radiomessaggio del Santo Padre del 9 novembre 1963, egli fa riferimento ai suoi albori risalenti al lontano 1351. Al di là delle date, il vero significato di questa festa è quello di raccogliere il frutto di un intero anno di lavoro, di trepidazioni, di attese, per essere riconoscenti al Signore, per implorare la pienezza delle sue benedizioni. In concomitanza con questi festeggiamenti tradizionali, di origine cristiana, da qualche anno è stata istituita la “Giornata dello scrittore emergente”. Noi vogliamo associarci a questa inconsueta ma simpatica tradizione invitandovi a comprare, in questo periodo dell'anno, un libro di un autore esordiente o emergente, il nostro compito è proprio quello di farveli conoscere attraverso la nostra rivista.

«L’inverno degli Angeli» Davide Gorga Casa Editrice: Montedit ISBN 9788860377456 www.davidegorga.it

«Oltre la nuvole» Alessio Del Debbio 15

Sovera Edizioni ISBN: 8881249237 www.oltrelenuvole.eu


Interviste

A cura di Francesca Coppola

(fotografia di Lucia De Vita)

Intervistando Francesco Petrone Introduzione a cura di Emanuele Tanzilli

Non tutto oro è ciò che luccica, tantopiù se a questa dimensione attribuiamo una valenza che, proponendosi di trascendere le apparenze, finisce per diventare ancora più vulnerabile a manipolazioni e storture di ogni genere. Ce lo dimostra Francesco Petrone, giovane trentenne dottorando presso la Universidad de Barcelona. Nel suo libro, “Quando la ONLUS diventa un guadagno”, l’autore si ripropone di estrapolare quei contorti meccanismi che talvolta si nascondono anche dietro le organizzazioni più insospettabili, come appunto quelle non lucrative; ciò che scopriamo, spesso, è un lato oscuro che si giostra ai limiti del consentito, che danza sul filo della legge, per perseguire fini ben diversi da quelli di utilità sociale, legati a personalismi e ad affarismi tutt’altro che lodevoli. Con la sua ricca esperienza di studio, prima in Italia, poi all’estero, e la sua esperienza diretta nel mondo delle organizzazioni non governative, l’autore ci presentata una realtà ben diversa da quella che immaginiamo, in palese contrasto con l’opinione pubblica e che si inserisce e stride con una realtà drammaticamente problematica come quella attuale. 16


Dopo anni trascorsi all’estero, il rientro in Italia ha per te rappresentato motivo di scontro con la dura realtà. Quali sono stati i sentimenti, le sensazioni che hai provato, le riflessioni che ti hanno investito e le problematiche che ti hanno maggiormente colpito? Quando sono arrivato in Italia ero carico di ottimismo. Certo, nel 2008 la crisi stava per iniziare e un po’ ovunque se ne avvertivano già i primi effetti. Credevo che in Italia, per via delle mie esperienze lavorative e di studio, avrei potuto trovare un lavoro “normale” con maggiore facilità. Devo dire che invece mi sono scontrato con una realtà dura: quella di molti giovani precari che cercano di sbarcare il lunario. Vedere poi che molte menti brillanti devono adattarsi a lavori veramente poco gratificanti, e per tempo determinato, era veramente frustrante. Qualche anno prima il “lavoretto” era pure piacevole svolgerlo, soprattutto perché si era coscienti che sarebbe durato per un breve periodo. All’epoca molti giovani si sentivano privilegiati se riuscivano a trovare questo tipo di lavori. Credo si debba fare di più per creare migliori condizioni lavorative e, soprattutto, per premiare il merito. Ma è chiaro che ancora non si stia facendo niente. Anche i giovani in cerca di lavoro sono diventati dei mezzi usati dalla demagogia politica. Com’è cominciata la tua esperienza lavorativa per il fund-raising e quali 17

sono state le tue impressioni a riguardo? Ero anche io in cerca di un lavoro momentaneo, che mi aiutasse a coprire le prime spese una volta arrivato a Roma. In più speravo di potermi occupare di cooperazione e di diritti umani. Ho quindi accettato la posizione di dialogatore per questa grande onlus che si occupa dei diritti dei bambini, pensando che avrei col tempo potuto occuparmi in maniera più diretta di ciò che mi interessava realmente. Invece, ho vissuto l’esperienza che raccontato in “Quando la onlus diventa un guadagno”. Le impressioni sono state molte, tante. Riassumerle qui sarebbe riduttivo, ma nel libro ne parlo in maniera dettagliata. L’unica cosa che posso dire è che sono rimasto davvero deluso da com’è organizzato il fund-raising in certe onlus, e soprattutto ho scoperto una realtà che pensavo fosse diversa da come invece è nei fatti. Che cosa pensi della situazione dei giovani lavoratori – o forse sarebbe meglio dire “non lavoratori” – al giorno d’oggi, e del fatto che spesso il compromesso rappresenti l’unica strada percorribile per combattere il precariato? Come dicevo prima, spero che si possa trovare una soluzione che dia più speranza e che apra le prospettive per un futuro più giusto! Ma nella realtà, invece, assistiamo a un sempre mag-


giore ricorso al ”compromesso”, che spesso si traduce anche in stages interminabili e non remunerati, orari indecenti e datori di lavoro tiranni. Se qualcuno dall’alto non prende seriamente a cuore la situazione dei giovani, non vedo una reale via d’uscita. Per ora mancano segnali concreti in merito. In che modo, a tuo avviso, si potrebbe far fronte ad una situazione tanto drammatica? Di sicuro bisogna fare in modo che le situazioni assurde vengano denunciate e che si attiri l’attenzione di chi di dovere. Ovviamente da parte di chi è costretto a scendere a compromessi, c’è l’obbligo, anche morale, di non darsi mai per vinti. Tuttavia questa loro continua battaglia nella ricerca di una posizione lavorativa “ideale” deve poter esser premiata in tempi non molto lunghi, altrimenti è facile alimentare lo scoraggiamento. Inoltre fa ridere il commento del Ministro Fornero quando dice che i giovani devono essere “meno selettivi” nella ricerca del primo lavoro; la realtà è che solo pochi privilegiati possono permettersi di essere selettivi: la maggior parte sono invece costretti a questo compromesso con lavori non qualificati, benché abbiano una preparazione che dovrebbe far loro ricoprire altri ruoli. Il tuo romanzo d’esordio si occupa di tematiche molto importanti: lo sfruttamento di immagini che ritraggono 18

bambini in difficoltà a scopo di lucro. Cosa ti ha spinto principalmente a raccontarci questo mondo sconosciuto ai più? Ti ha mai spaventato l’idea di possibili ritorsioni? Che cosa significa per te “aiutare veramente il prossimo”, secondo il rispetto delle norme etiche e morali? Mi ha spinto l’esigenza di raccontare un mondo che si riteneva in un modo, e che in realtà nascondeva lati veramente nefasti. Un ambiente in cui molte persone cambiavano completamente la loro personalità, vedendo la possibilità di arricchirsi in quel modo, cioè “vendendo povertà”. Credo che per aiutare veramente, almeno fin quando non viene fatta chiarezza sui metodi di raccolta fondi e non se ne pensino di più etici e trasparenti, bisogna rivolgersi a chi ci è più vicino, o aiutare le piccole onlus che sorgono a livello locale. Finora non ho ricevuto alcuna ritorsione, a volte ho un po’ di paura. Credo che se dovessi riceverne da parte di chi si occupa di filantropia e di diritti umani sarebbe veramente assurdo, non credi? In che modo gli anni di studi all’estero, prima a Bruxelles, poi a Barcellona, hanno influenzato il tuo modo di vivere e pensare, le tue scelte e i tuoi obiettivi? Senza dubbio vivere fuori dal proprio Paese serve tantissimo e fa vedere molte cose da un’ottica diversa. Molti luoghi comuni vengono sfatati e mol-


te situazioni che per noi sono normali diventano invece assurde viste dall’estero. Per quanto riguarda le mie scelte, non saprei cosa dirti. Viviamo in un mondo globalizzato in cui, se si fanno determinate scelte, si deve esser pronti ad esser “liquidi”, come dice Zygmunt Bauman, cioè a spostarsi dove venga richiesta la nostra presenza. Pensi di scrivere ancora romanzi che curino in modo approfondito questo tema, o che comunque canalizzino l’interesse del pubblico su quella che è l’attenzione per i diritti umani? Se mi si presenterà l’occasione di parlare di realtà simili a quella che descrivo nel mio libro, di sicuro non mi tirerò indietro.

«Quando la onlus diventa un guadagno» Francesco Petrone Narrativa Aracne ISBN 9788854828056

Francesco Petrone

Francesco Petrone ha trent’anni ed è dottorando presso la Univesidad de Barcelona in Spagna dove si occupa di Global Governance, diritti umani e processi di transizione democratica. Ha studiato Filosofia presso l’Università “Federico II” di Napoli e Scienze Politiche presso la Universitè Libre de Bruxelles in Belgio. Parla perfettamente cinque lingue e ha svolto vari lavori come organizzatore di eventi, traduttore, giornalista per alcune riviste locali. Tra le diverse esperienze lavorative c’è anche quella che viene descritta nel suo romanzo d’esordio.

19 Fotografia di Angelica Intersimone


Sgrammaticando

A cura di Nadia Beldono

(disegno di Maria Forleo)

A scuola ci hanno insegnato… “C’è chi c’ha gli occhioni belli…” cantava Nino Frassica qualche decennio fa in “Canzone esagerata”. C’è chi c’ha. Chi c’ha. C’ha. Un’espressione molto usata nella lingua parlata, il verbo averci. Ma, a pensarci bene… A scuola ci hanno insegnato che il verbo avere nel significato di possesso non è mai preceduto dalla particella pronominale ci. La particella ci, invece, può ben precederlo in altri contesti (es. “io ci ho visto bene”), ossia quando il verbo avere funge da ausiliare. Eh, già! Quante cose ci hanno insegnato a scuola! Ad esempio, ci hanno insegnato che non si dovrebbe usare la parola cose qualora la stessa possa essere sostituita da termini più specifici. In questo caso, avrei potuto benissimo usare il vocabolo nozioni. 20

A scuola si studia la grammatica, ti insegnano a scrivere e leggere, a parlare correttamente rispettando alcune regole, più o meno semplici. Ci hanno insegnato che davanti alla B e alla P dobbiamo sempre mettere una bella M. Ci hanno insegnato che il pronome gli è per il maschile e le è per il femminile. Ci hanno insegnato ad usare le virgole, i punti e i due punti… A scuola ci hanno insegnato che non si usa l’articolo determinativo davanti ai nomi delle persone: “La Laura, il Gigi”. Ci hanno spiegato la differenza tra accento acuto e accento grave, a destra o a sinistra per intenderci. Eh già! Quante nozioni ci hanno dato, sui banchi di scuola. Tra le altre cose, ci hanno insegnato (o almeno ci hanno provato... perché non sempre abbiamo acquisito) come parlare, come avviene la comunica-


zione e come non sia agevole comunicare senza rispettare alcune importanti regole. Questi principi sono studiati dalla grammatica. Ma che cos’è la grammatica? Nel contesto della teoria generativa del linguaggio, il termine assume il significato di «modello della competenza linguistica di un parlante nativo». Inoltre, il termine si riferisce anche allo studio di dette regole, attraverso l'utilizzo della morfologia, della sintassi e della fonologia, spesso utilizzando anche il supporto di fonetica, semantica e pragmatica. Questa rubrica è stata creata per affrontare alcuni temi inerenti la grammatica e la linguistica in generale. Ci occuperemo dei cambiamenti che avvengono nella nostra lingua parlata, cercheremo di cogliere le trasformazioni, di fugare dubbi e incertezze di chi vorrà chiedere. Il tutto condito da una bella dose di ironia e simpatia. In attesa di ricevere le vostre domande (chiedete pure, vi sarà sempre risposto), vi vorrei raccontare un piccolo aneddoto: mentre entravo l’auto in garage, dopo aver sceso il cane per i bisogni, ho dimenticato che avevo i vetri abbassati e mi ha entrato un ape in macchina e quando ho visto la Sara gli ho detto che a me Luigia mi aveva imparato un stranerrimo gioco.

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Come avrete capito, questo è solo un esempio di quello che può succedere quando non vengono rispettate le regole grammaticali!

Nadia Beldono

Nadia Beldono è nata il 12 marzo del 1976 a Reggio Calabria ma vive a Udine dal 2001. Dopo aver insegnato per sette anni Lingua Inglese ai bambini delle scuole elementari, si è specializzata per il sostegno agli alunni disabili, con i quali lavora tutt'oggi. Alcune sue opere sono state pubblicate nella raccolta «Realfiabe» (Montedit) e nell’antologia «Briciole di senso» (Montedit). «L'ombra della montagna» è la sua prima raccolta poetica.


Come si fa?

La presentazione del libro

(fotografia di Lucia De Vita)

a cura di Maria Capone

Talvolta le Case Editrici organizzano, per conto degli autori, presentazioni dei libri pubblicati ma, in realtà, questo accade di rado, o, se ci riferiamo ad autori esordienti, praticamente mai. Qualora invece l’autore sia già considerato “emergente”, si presuppone che la sua precedente esperienza nel mondo editoriale gli abbia insegnato come agire. Programmare la presentazione dei propri lavori che hanno fatto seguito a quello d’esordio sarà quindi sufficientemente agevole ma posso assicurarvi che, anche in questo caso, si sentirà (e a ragione) ben poco supportato. Si ritroverà così con il suo libro tra le mani, esibendolo con orgoglio a parenti ed amici – che, proprio in quanto tali, riterranno giusto riceverlo in dono più che comprarlo. E l’autore li asseconderà, regalerà copie su copie 22

pur di conoscere la loro opinione, pur di sentirsi gratificato, di ricevere qualche parola di elogio. Con il tempo imparerà tante cose; anche a discernere le critiche costruttive dai complimenti di circostanza. Tutto questo non deve preoccupare più di tanto. Il vostro libro è appena nato e dovete costruire un’atmosfera d’attenzione ed interesse. Il primo passo sarà preparare una presentazione scritta, qualcosa che incentivi la curiosità del vostro pubblico, che lo inviti alla lettura. Ponetevi alcune domande chiave necessarie affinché la presentazione sia completa: a quale genere letterario appartiene? È un romanzo, una raccolta di racconti, una silloge poetica? È un saggio, una biografia, un noir, un fantasy? Evidenziate la struttura della trama, l’argo-


mento centrale, la caratterizzazione dei personaggi, l’ambientazione e le altre caratteristiche che rendono il vostro lavoro unico. Non dimenticate di individuare la fascia di pubblico cui è preminentemente indirizzato – sempre ve ne sia una in particolare. Rileggete la presentazione che avete redatto e procurate di averne numerose copie; recatevi quindi presso le librerie della vostra città e chiedete che siano esposte; non tutti i librai accetteranno di buon grado ma anche questo è un piccolo passo da tentare. Il successivo sarà quello di organizzare un incontro promozionale dove avrete anche la possibilità di dialogare con il vostro pubblico. In molte città la Biblioteca Municipale ha una sala riunioni che mette a disposizione proprio per questo tipo di eventi. Ci sono anche bar e pubblici esercizi che affittano delle salette interne per queste occasioni. Dopo avere definito luogo e data (cercate di prendervi almeno una ventina di giorni per organizzare tutto al meglio), preparate un comunicato stampa, così come già esposto nel precedente numero della nostra rivista e inviatelo alle testate giornalistiche locali. Preparate gli inviti per l’evento e spediteli per e-mail. La vostra nascita come autori dev’essere condivisa con gioia. Se avete pensato di arricchire la serata con musica e videoproiezioni comunicatelo negli inviti; in questo modo i destinatari sapranno già che la serata sarà più vivace; un incontro piacevole e sereno. Invitate i vostri amici e chiedete di estendere il vostro invito anche ai loro. 23

Qualunque sia stata la vostra scelta sul luogo della presentazione ricordatevi di promuovere l’evento su facebook e su tutti gli altri social network o canali ai quali siete iscritti. Statisticamente, soltanto il dieci per cento delle persone che avrete invitato verrà alla vostra presentazione, quindi, invitate quante più persone vi è possibile. Adesso non vi rimane che godervi la vostra serata e far conoscere il vostro lavoro. È soltanto la vostra prima presentazione, avrete modo di organizzarne altre. Cercate di tenere un elenco delle persone intervenute e di conoscere le loro impressioni sull’opera. Fatene tesoro. Per la vostra attività letteraria, le future presentazioni, per l’investimento emotivo che ogni creazione rappresenta.

Fotografia di Adrena


Riflettori puntati su…

Ho conosciuto persone che preferiscono leggere più libri contemporaneamente ed altre, invece, che stabiliscono metodicamente il numero delle pagine dello stesso libro che leggeranno nell'arco della giornata. In entrambi i casi, quale che sia la nostra preferenza, leggeremo a puntate. Lasciamo e riprendiamo perché difficilmente riusciremmo a terminare un volume in un solo giorno. Indipendentemente dal tempo che riserveremo alla lettura, avremo bisogno di meritati periodi di pausa per mantenere la concentrazione. La pausa, in questo caso, sarà dettata dalle nostre personali esigenze. Diversamente, quando l'intervallo fra una lettura e l'altra non dipenderà più da noi ma da cadenze di uscita prestabilite (quotidiani, settimanali, mensili, ecc.), parleremo di attesa. E l'attesa, spesso, non è altro che quel lasso di tempo necessario per stimolare la nostra curiosità e la nostra fantasia. In questa rubrica punteremo i riflettori su alcuni racconti, proponendovene la lettura a puntate. 24

Ad aprire questa iniziativa è Emanuele Tanzilli (in arte Diamond Phoenix) con il racconto “I buchi neri e l'arcobaleno”, pubblicato per la prima volta nella raccolta «Realfiabe», 2006, Montedit.

Un progetto letterario di Adrena con la preziosa partecipazione di: Amelia Impellizzeri – Davide Gorga – Diamond Phoenix – Francesco Paolo Dellaquila – Giulia Rinotti – Mauro Splendore – Nadia D. Beldono – Nicoletta Berliri – Oliviero Angelo Fuina – Sabrina La Rosa – Serena Carnemolla.


CHE COS’Ẻ UNA REALFIABA?

Per spiegarla al meglio devo partire da cosa non è. Di certo non è una favola perché i protagonisti non sono mai animali ma creature umane e nello stesso tempo non è una fiaba venendo a mancare i personaggi chiave quali elfi, fate, streghe, orchi, giganti e così continuando. Le realfiabe non sono altro che racconti di vita quotidiana dove la realtà deve necessariamente incontrarsi con la fiaba al fine di regalare un finale positivo e risolutivo. Esse sono un ponte lanciato entro i nostri ristretti confini mentali per abbracciare l’umanità intera attraverso i solidi, oggi spesso perduti, valori della famiglia, dell’amicizia, dell’amore e della generosità.

La realfiaba di Diamond Phoenix Tratto da “Nota e ringraziamenti” Si apre alla lettura, esternando da subito, già nelle prime frasi, la propria interiorità e la sua anima, la realfiaba di Diamond Phoenix. Attraverso il protagonista, reso disabile da un incidente, la ricerca della verità è condotta nel profondo segreto che circonda gli uomini e la vita; si vedono e si provano sensazioni che talvolta sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Poiché l’essenza ultima giace al fondo delle cose, nella comunione mistica con il mondo essa si rivela in una luce interiore ben più significante e viva della realtà esteriore, dell’apparenza sensibile. Portarla alla conoscenza degli altri diviene il fine ultimo dell’artista, che vede con la mente ancor prima che con gli occhi, paradigma del percorso spirituale di ogni uomo.

QUAL Ẻ LA STRUTTURA DELLA REALFIABA? Escludendo la classificazione di racconti fantastici la realfiaba rispetta la tipica modularità di fiabe e favole. In tutte e tre le classificazioni, infatti, sono sempre presenti un protagonista, un antagonista e un aiutante. Nella realfiaba il protagonista rimane sempre l’eroe coraggioso che è destinato a superare delle difficoltà, l’antagonista è rappresentato unicamente dal problema da affrontare quale la scarsa autostima, l’abbandono e così via, l’aiutante svolge una funzione di tramite ben precisa: ritrovare il coraggio e la forza interiori per lottare creando così una sorta di svolta di vita. In rari casi quest’ultima figura umana è sostituita da quella soprannaturale degli angeli. 25


I buchi neri e l’arcobaleno di Diamond Phoenix 1 Ho sempre amato il cielo. Credo, per il suo essere camaleonte: mai un istante uguale a se stesso. Caligine fumosa che diviene e passa. Credo che vi potrei annegare, come fanno i naufraghi dell’oceano, potrei annegare senza appigli ore ed ore, e poi risorgere dall’apnea, riprendere fiato ed annegare ancora. Ah! … Mischiare la mia anima alle nuvole, farmi zucchero filato nel vento, giungere lì dove Leonardo anelò tutta la vita. Sì, io credo al cielo. 2 Una locomotiva affranta fischiettava vaporosamente, inanellando filari d’alberi e appezzamenti coltivati a grano senza cenni di saluto. La sua eco sibilava densa fino a disperdersi tra i cementi della cittadina. Wesley ne carpì appena un barlume, sufficiente a sguinzagliare altrove la sua fantasia. Il professore inamidato scomparve d’un tratto, e scomparvero il proiettore, e le noiose carte enciclopediche, e la scomodità della sediolina in legno. Al loro posto prese a vagheggiare un’inquieta sensazione di distanza, un’essenza liquida nella mente che lo trascinava ondeggiando per più vasti lidi. Barcamenando gli occhi tra le terse azzurrità marine e le piaghe di colore della pianura, si di26

pinse nella testa una veduta ottocentesca, di fumaiole ardenti, polverosi viali, cubi di Rubik da riordinare tra i rami accesi e le filigrane d’erba. Poi, come in uno strappo, la sua tela immaginaria si squarciò di netto. –Ehi, tutto bene? –… Sì, sì, scusa, ero un po’ sovrappensiero. –Lo sei troppo spesso in questo periodo. Se ti perdi le spiegazioni non supererai mai gli esami. –Lo so, Antima, lo so. Adesso perdonami, devo tornare a casa. Ho da fare. –Ma… 3 Wesley era un disastro, all’università. Aveva iniziato medicina più per inerzia che per sincera convinzione, teso ad accondiscendere le volontà di suo padre Kirk. Ma gli anni si protraevano vanamente, e la laurea rimaneva ancora un vago miraggio. Perché a Wesley piaceva dipingere. Ruotò la maniglia (doveva lucidarla) con sollecitudine, aprì e richiuse la porta con noncuranza e, dopo aver lanciato sul divano cappotto e bisaccia, si versò un bicchiere di Coca e si sedette sullo sgabellino di fronte alla tela, accompagnandosi della tavolozza. I colori fluivano come sangue venoso, fittamente, impastandosi, mescendosi, come acqua e vino in un calice, richiamando le proiezioni mentali che solo poco prima avevano attraversato il suo cervello, scatenate dal sibilo del treno.


Sarebbe sicuramente rimasto lì per un paio d’ore, guidando le sue dita tra i fremiti dell’ispirazione, pascendosi della policromia gotica in punta al suo pennello. 4 Il giorno seguente, Wesley si ritrovò nuovamente nell’Aula Magna della sua facoltà. Antima, come ogni mattina, gli aveva serbato un posto a sedere. Non capiva come mai si desse tanta premura di usargli tale cortesia, ma del resto non poteva nemmeno rifiutare tale gentilezza. Come lunghi e noiosi flashbacks scorrevano le voci, i minuti, le teorie e le immagini anatomiche, in dicotomica contesa con i ricordi del dipinto appena terminato, e si ritrovò più che spesso a pensare all’inanità dei suoi (pur vaghi) sforzi da studente universitario. Se la sua vita, il suo destino (senza dubbio), erano legati a doppio filo alla pittura, quello che passava tra alchimie insensate e pagine millenarie gli pareva tempo più che perso. Ma, come al solito, andava avanti per inerzia, e sì, un giorno avrebbe conquistato quell’ambito attestato, e allora avrebbe reso felice suo padre, che lo sosteneva calorosamente, e sarebbe anche diventato un buon dottore. Pressappoco, sarebbe andata così. 5 –Andiamo, ti accompagno a casa. –Davvero? 27

–Sì, ogni tanto tocca a me fare il gentile. Così il signor Fletcher e la signorina Barros si congedarono dalla buia sala a forma ovale, percorrendo con placida lentezza i marmi palladiani dell’ateneo, e gli scalini inumiditi dal piovasco. Fuori era sempre tutto più bello. Il brulicare della gente semi– indaffarata, così simile a quello delle formichine, e poi gli squilli di clacson ai semafori, i fugaci voli delle rondini affamate, le negoziazioni inarrestabili sulle bancarelle e nei centri commerciali, tutto così vivo. Non riusciva nemmeno per idea ad immaginarsi un viso solo come un collage ben riuscito di epidermide, cornee, avorio, cheratina e quant’altro. Un viso, signori, è un’emozione. Glielo si legge in faccia (ma che battuta squallida…); per la miseria, un viso è un universo in scala ridotta, un meltin’ pot di suggestioni, sensazioni, sogni e chimere. Che poi nasconda elementi corporei, beh, quello passa in secondo piano. Antima, per esempio. Ha qualcosa. Morde con insofferenza qualche cosa. Sarà arrabbiata, tesa, o nervosa. I suoi occhi viaggiano più lontano della strada. Segno che è alla ricerca di un posto ben più lontano del marciapiede. Ed io? Come apparirò agli altri, di fuori? Sarò uno, nessuno e centomila? O il solito Wesley Fletcher di sempre, il fannullone pittore? Sarò trasognato o inespressivo? Sarò… –Ehi, di nuovo trasognato? A cosa pensi?


(vivo, o morto?) –Scusami, io… –Sì, sì, ho capito. Hai fretta. Starai pensando a tutto quello che hai da fare, un nuovo quadro, una lettera per papà, l’ultimo capriccio della tua ragazza… –Ma io… –Lascia stare, tanto ormai siamo arrivati. Grazie per avermi accompagnato. Ci vediamo domani. Ti conserverò un posto. –Antima, io… –Sì? –… Niente. È stato un piacere. A domani.

Il “segnalibro”

«L’attesa, spesso, non è altro che quel lasso di tempo necessario per stimolare la nostra curiosità e fantasia». (Maria Capone)

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Emanuele Tanzilli, nato a Napoli il 9 Gennaio 1987 e residente a Casoria. Il suo percorso letterario è iniziato nel 2005, attraverso le pagine del portale «Il Club dei Poeti», concretizzando quell’esperienza pubblicando il racconto «I buchi neri e l’arcobaleno» nella raccolta «Realfiabe» di Montedit. La sua unica partecipazione a concorsi gli è valsa un terzo posto al premio di poesia «Castelli, Magico Mondo...» patrocinato dal Comune di Ariccia, con l’opera intitolata «Il Giaciglio». In seguito, ha iniziato a collaborare con varie testate online, come «Notiziedelgiorno», «RnB Junk» e «PassionEducativa», per cui ha curato una rubrica sulla legalità, e cartacee, come «LALTROLATO» e «Il Giornale di Casoria». Attualmente, è caporedattore presso il periodico di notizie e cultura locale «Libero Pensiero» ed è al lavoro sul suo primo romanzo.


L’arte che gira intorno

Doctor beat, band capitanata da Katia De Felici (voce – referente e booking cover band) e Giulio Abiuso (chitarra – voce – responsabile e coordinatore musicale)

Con: Nando Corradini (basso), Valentino Uberti (batteria)

Ho incontrato per la prima volta i Doctor beat una manciata di anni fa ed è successo durante uno degli spettacoli del mio mito Teo Teocoli… “incontrato”, si fa per dire, loro erano sul palco insieme a lui ed io, fra il pubblico. Mi hanno conquistato subito, non tanto per la loro innegabile bravura, quanto per la capacità di intrattenere il pubblico con classe, eleganza e leggerezza, doti che apprezzo molto e che sono diventate piuttosto rare, nel 29

mondo in cui viviamo. In seguito, ho trovato Katia De Felici, la bellissima cantante della band, su MySpace e ci siamo mantenute in contatto, con la doverosa discrezione che considero le sia dovuta, anche attraverso Facebook canale che ho utilizzato per proporle l’intervista che state per leggere e a cui, rappresentando tutta la formazione del suo gruppo, ha gentilmente accettato di sottoporsi. Signore e signori… ecco a voi, Doctor beat!


Ciao Katia, innanzitutto, grazie per aver accettato di sottoporti al breve ma intenso fuoco di fila delle mie domande! La prima, è la seguente… ci sveli cosa o chi vi ha ispirato nella scelta del nome e come mai, personale curiosità, Doctor in maiuscolo e beat invece no? Ciao Roxie, grazie a te per averci coinvolto e quindi per l’interesse dimostratoci, ci fa molto piacere anche per le cose che hai detto di noi. Il nome è stato ispirato dall’esigenza di rilevare che la band non si è mai limitata a proporre un repertorio definito a un “genere musicale”. Dopo anni di esperienza nell’impresa di di30

vertire con la musica, ti rendi conto che a tuo modo ti sei specializzato, sei diventato un esperto ovvero un “Dottore in …” (chiedo scusa se pecco di presunzione), ecco la spiegazione della prima parte del nome. Beat, (questa volta in maiuscolo ma solo per una questione di etica ortografica come Doctor) esprime diversi concetti, come “generazione beat” che ha sì molto a che fare con la musica ma nel nostro caso significa proprio “battito”o “ritmo” che poi sta anche nell’acronimo “bpm” (battito per minuto), la velocità del metronomo che si usa per tenere il tempo. Il nostro logo rappresenta un cuore che esprime il battito, il ritmo naturale della vita come uno strumento musicale per chi come noi vive una vita per la musica… comunque, il nome è scritto anche con beat, tutto minuscolo, Dr. Beat o come capita ebbene siamo sempre noi! Spesso, abbiamo anche un cognome di convenienza ed è “la band di Teo Teocoli”. Ci vuoi raccontare quando e a chi è venuta l’idea di mettere in piedi la band e come vi siete incontrati, tu e i musicisti? La band nasce sempre per l’esigenza di espandere quello che per un paio d’anni è stato un duo (io e Giulio). Volevamo dare più impatto al nostro repertorio, diventato molto nutrito e contenente vari generi musicali. Nando è sempre stato il bassista della band, dando grande supporto con il


suo talento e l’esperienza, mentre Valentino è il nostro sesto batterista! È il giovane della band (si fa per dire) un ottimo batterista autodidatta. La nostra forza è l’insieme o l’affiatamento che, a mio avviso, è il primo elemento basilare sul quale fondare una band musicale. Sul vostro sito, (www.doctorbeat.it), si legge che vi proponete con un repertorio di cover internazionali, che spazia dal pop al rock, dalla dance ai mitici anni ’70 e ’80, fino ad arrivare alle hit del momento che comprendono anche successi italiani… oltre a complimentarmi per la vostra abilità, posso chiederti che tipo di lavoro comporta? Quanto allenamento richiede e quante prove, vantare un repertorio tanto vasto e continuamente aggiornato?

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È sempre una questione di creatività e di gusto musicale, le idee dei brani da proporre arrivano in qualsiasi momento e devono essere subito memorizzate per poi essere elaborate e provate, spesso per soddisfare l’esigenza del luogo che può essere il più prestigioso o il piccolo locale di provincia oppure per la soddisfazione ed il desiderio di suonare un brano a noi molto caro. Dobbiamo intrattenere pubblico che spesso, ahinoi, è abituato ad ascoltare ciò che i media impongono o che ha una cultura musicale che orbita attorno al “trash”. La nostra filosofia deve cercare di trasformare quel genere in “Doctor trash”… questa è la missione e cioè fare in modo che piaccia anche a noi. Del resto, non c’è musica bella o brutta ma solo musica fatta bene o male, dopodiché c’è “piace o non piace”.


Come saprai, Espressione Libri è una rivista che si occupa di promuovere gli scrittori emergenti. Anche per questo, ti chiedo se qualcuno di voi compone musica… molti testi di canzoni possono essere interpretati come vere e proprie poesie! Testi di canzoni in poesia e poesia in canzone… sì, è vero e De Andrè ci ha insegnato. Giulio è un autore e scrive musica, anche per lo spettacolo di Teo le musiche originali sono composte da lui; anche Nando è autore, io invece interpreto le canzoni che scrive Giulio (testi e musica) che ogni tanto proponiamo così, per “sport”, a qualche produttore (adesso molto meno, rispetto a diversi anni fa). 32

Avete mai pensato di trasformarvi da band di accompagnamento o, come si usa dire oggi, cover band, ad un gruppo con una personale impronta musicale? Noi siamo sì una band di accompagnamento, siamo sì una cover band e siamo sì un gruppo con impronta personale, anche interpretando cover (è appunto lo scopo delle cover band o almeno il nostro…). Ho capito cosa intendi…. sì, ci piacerebbe molto poter fare concerti con la nostra musica ma l’ambizione dei vent’anni, quando pensavi che la cosa più importante fosse “sfondare”, si è trasformata nella gioia di conquistare l’assenso delle persone che incontriamo durante le nostre performances, come se ogni


volta fosse la “prima volta” che teniamo un concerto e per assurdo, con l’ansia e l’emozione di quando avevamo vent’anni. In effetti, la musica originale per gli italiani esiste ma ha senso solo se vai a Sanremo o se inventi il ballo dell’estate. Nel 2002, siete diventati la band ufficiale che accompagna lo showman Teo Teocoli dal vivo. Vuoi raccontarci come vi siete incontrati? Il tour estivo del 2002 di Ivana Spagna (con la quale abbiamo collaborato per quattro anni), per motivi d’incomprensione dell’artista con l’agenzia, fu sospeso e noi ci ritrovammo a spasso nel maggio di quell’anno. La stessa agenzia ci propose quindi di affiancare un altro artista Teo Teocoli. 33

Dapprima, arcuammo le sopracciglia e rimanemmo perplessi per un po’… in seguito, vuoi per lo spessore dell’artista, che in quegli anni aveva un successo impressionante, vuoi perché non era un personaggio prettamente musicale, vuoi anche per il timore di affrontare una nuova esperienza che si sarebbe potuta rivelare avvincente, finimmo per accettare con grande entusiasmo, quasi certi che si sarebbe limitata ad essere una parentesi momentanea. Senza fare prove, perché Teo non le fa, ci trovammo direttamente la sera della prima a Grazzano Visconti (in provincia di Piacenza), dopo esserci presentati e conosciuti soltanto il giorno prima in una sala prove, dove avevamo sperato che ci avrebbe anticipato cosa fare e dove lui ci disse,


con estrema semplicità e sincerità, la fatidica frase… “io non faccio prove, quindi andiamo al bar a bere un bel caffè”… ecco, lì capimmo cosa ci aspettava ma non per quanto tempo sarebbe durato. So anche per esperienza diretta che siete estremamente affiatati e che vi basta uno sguardo per comprendere le sue esigenze, sul palco. È stato difficile, per voi, adattarvi all’improvvisazione nella quale è maestro Teo Teocoli?

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Nel corso della nostra esperienza, ci era già capitato di fare musica legata al cabaret in una sorta di esperienza “demenzialpopolare”, chiaramente quell’esperienza non è bastata ma ci ha dato fiducia e voglia di migliorarci anche per un confronto con Teo che, a sua volta, ne era stimolato per superarsi… immagina il puro divertimento della creatività che oggi, dopo molti anni, ancora regna sul palco e si vede. Come dicevo prima “come se fosse la prima volta”… ci ha aiutati molto anche la stima ed il rispetto reciproco che si è subito instaurato e che tuttora vige. Siamo diventati amici.


Una domanda che potrà apparire sciocca ma… da donna a donna, quanto è complicato (sempre ammesso che lo sia…) essere l’unica femminuccia all’interno di un team di lavoro composto da soli uomini? La band è un progetto mio e di Giulio, il quale condivide la mia vita professionale e privata da sedici anni, quindi essendo io la “moglie del capo” ed essendo l’unica donna devo dire che in sostanza… “comando io”! Scherzi a parte, l’ingrediente basilare è il rispetto che non deve mai mancare. Ringraziandoti di cuore, ti lascio carta bianca per quella che sarà l’ultima domanda della mia intervista e quindi, ti propongo di dire qualcosa che non ti ho chiesto o semplicemente, di lasciare un tuo messaggio ai nostri lettori… Direi in definitiva che ci consideriamo molto fortunati e fieri di ciò che abbiamo avuto e dato fino ad oggi, la musica per noi non è mai stata un mezzo per diventare ricchi e famosi e infatti… però ci ha dato di che vivere e non è poco, con grandi soddisfazioni professionali. Tutto ciò che verrà sarà in più, per il momento, il successo per noi è continuare ad avere la possibilità di suonare ovunque sia richiesta la nostra partecipazione e chissà, magari di soddisfare il desiderio di chi vuole vederci diventare famosi, il che potrebbe anche succedere. Potrebbe… magari! Un bacio, Katia 35

Rossana Lozzio Rossana Lozzio è nata e vive a Verbania. Ha pubblicato: «Fino alla fine», «Hollywood e dintorni», «Le ali di un angelo» ed il suo seguito, «L’angolo delle fragole», editi da The Boopen. Ha preso parte per alcuni anni a “VCO Talenti Emergenti”, progetto itinerante che sostiene gli artisti del Verbano Cusio Ossola. Dal 2009 collabora con AFP (ALberto Fortis People); si occupa delle sezioni Tour e Eventi e News del sito ufficiale di Alberto Fortis e gestisce la sua pagina ufficiale su Facebook. Insieme al cantautore e a Maurizio Parietti ha collaborato alla stesura della sua biografia: «AL Che fine ha fatto Yude?», pubblicata nel dicembre 2009 da Aliberti Editore ed ora in seconda ristampa. Nel 2010 ha gestito la rubrica settimanale “La posta delle fragole” sul quotidiano online «Verbania News» e ha preso parte ad alcuni Comitati di Lettura per diverse Case Editrici. Nel mese di maggio del 2011, con il nuovo romanzo nato come esperimento su Facebook, «Una farfalla sul cuore», ha debuttato presso il Salone Internazionale del Libro di Torino. Del 2012, «Un pubblico di stelle… sorride», per Runa Editrice.


Rubrica aperta

A cura di Maria Capone La trama di un libro nasce quasi sempre per caso, Stevenson scrisse la sua opera più famosa, «Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde» dopo averlo sognato, e Mary Shelley ebbe la stessa fortuna con il suo Franknstein. Non tutti gli autori, però, hanno avuto queste illuminazioni; sembra che la maggior parte degli uomini, infatti, abbia smesso di sognare. Abbiamo chiesto ad alcuni autori del nostro blog di spiegarci come nascono i propri personaggi e se caratterialmente essi li rappresentino.

Le risposte che abbiamo ricevuto sono state varie e da queste abbiamo stabilito che mentre taluni vivono di vita propria, altri sono l’opposto caratteriale dell’autore; sembianze, movenze e caratteristiche vengono scopiazzati qua e là da amici e parenti o da personaggi dello spettacolo, per quel poco che ci è dato conoscere. Tra gli autori vi è chi diluisce il proprio modo di essere nella somma dei tratti caratteriali dei vari personaggi, pur non riconoscendosi in uno di loro in particolare; chi invece si serve dei per-


“Donna oggetto” 60x80 acrilico su tela

sonaggi per esternare parti nascoste e generalmente represse di sé, per vivere altre vite nella finzione del racconto. Ma c’è anche chi cade preda di furor creativo di fronte al fascino emanato dalle immagini, siano esse descrizioni di fatti di cronaca sui giornali oppure opere di famosi artisti. Un autore può facilmente trarre ispirazione da dipinti metafisici di grande impatto visivo – come questo del maestro Conciatori – che per mezzo di colori e pennellate fanno affiorare sul37

la tela l’invisibile nascosto dietro l’apparenza, o che attraverso la trasfigurazione del reale trasmettono precisi messaggi sociali. Certo è che se l’artista cerca di portare alla luce le emozioni, le idee e i sogni che sottendono la realtà, lo scrittore realizza e concretizza emozioni idee e sogni, creando e vivendo le vite dei propri personaggi. Ma chi è il maestro Conciatori? Generalmente il maestro non ama propor-


re attestazioni, presenze, date, luoghi, per descrivere il suo curriculum vitae. Questo per il semplice motivo che non sono le varie apparizioni, più o meno numerose in varie gallerie o sale espositive che ne possano “certificare” l’importanza e titolo. Non a caso usa l’espressione «La bellezza nell’arte non è né un nome né una firma ma l’opera che suscita emozioni!» Questo a dimostrazione che sono, e sempre saranno, le opere a parlare per lui. Ad ogni buon conto, vista la necessità, si citano brevemente alcuni cenni di rilievo.

Vincenzo Conciatori nasce a Roma nel 1946. Si trasferisce a Cagliari nel 1970 per motivi di lavoro ove tutt’ora vive. Fin da giovanissimo (asilo) erano evidenziate le sue doti di disegnatore; alle scuole medie i suoi elaborati venivano esposti nei corridoi. Ben presto si stancò di concepire la sua pittura con il genere figurativo classico in quanto le sue opere, seppur di pregevole fattura, non potevano renderlo 38

“univoco”. Soprattutto per il fatto che mettevano in evidenza solamente la sua tecnica pittorica. Passò quindi, a 17 anni, al surrealismo (alla Salvador Dalì per intenderci). Questo gli permetteva di dipingere i suoi sogni, i suoi pensieri senza lasciare messaggi espliciti. Decise allora di inventare un nuovo stile: il “surreal–metafisico” che altro non è se non una miscellanea tra i suoi maestri di riferimento, quali Michelangelo (le possenti figure), Dalì (sfondi onirici) e De Chirico (per messaggio metafisico). Questa sua particolare versione di pittura suscitò dal principio incomprensione, forse perché troppo moderna, poi interesse e approfondimento. Conciatori è stato oggetto di attenzioni anche da oltre oceano (due Accademie di New York ed una di Chicago) oltre a segnalazioni su varie gallerie internazionali italiane e spagnole, annovera presenze anche in Germania (Stoccarda e Freiburg) Spagna, Repubblica Ceca... Oltre all’atti-vità artistica di pittore su tela è anche “muralista” ed ha realizzato opere di notevoli dimensioni, (fino a 300 mq) in strutture pubbliche, private e militari, sempre con espressione surreal–metafisica. Infine si segnala anche la sua attività di Art Director, presso l’Università degli studi di Cagliari ove ha fondato la sezione arte e cultura che mette a confronto artisti di ogni espressione e paese in una manifestazione (evento annuale). Vincenzo Conciatori abita a Monserrato (CA).


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«La vita in sintesi»

«Domande al silenzio»

Fiorella Carcereri

Marco Incardona

Libro Aperto Edizioni ISBN: 9788897818212

La Nuova Rosa Editrice wordpress.espressionelibri.autori.

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«Il suono nel testo» Anna Maria Benone Edizioni R.E.I. ISBN: 9788897362968 39

«Algoritmi di Capodanno» Stella Stollo ARPANet edizioni ISBN: 978887426140


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«L’orologio della torre antica»

«Hans Thorkild, Hastings anno 1066 »

Alfredo Betocchi

Roberta Strano

Editore: Il Campano ISBN: 9788865280171

Società Editrice Montecovello ISBN: 9788867330386

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«Racconti hunderground»

«L’ombra della montagna»

Luigi Pio Carmina

Nadia Beldono

Editrice Zona ISBN: 9788864382173 40

Editore: Albatros Il Filo ISBN:9788856741292


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«Un pubblico di stelle… sorride»

«Vergini astratte» Giuseppe Bonaccorso

Rossana Lozzio

lulù.com ISBN 9781291044119

Editore: Runa Editrice ISBN: 9788897674016

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«Il bacio di vetro»

«Fiori ciechi»

Adrena e Oliviero Angelo Fuina

Maria Antonietta Pinna

Boopen ISBN 9788865812341 41

Annulli Editori ISBN 9788895187358


Parliamone con Roxie (fotografia di Stella Stollo) Monica: Cosa fare di un testo già edito con una casa editrice che si vuol ripubblicare? Premettendo che poche case editrici sono interessate ad un testo già pubblicato...

Carissima Monica, effettivamente, anche per esperienza personale, posso concordare con quanto già hai avuto modo di appurare da sola e cioè che sia difficile trovare un editore interessato ad un libro già pubblicato in passato. Ti suggerirei, comunque, di non arrenderti e di effettuare una ricerca approfondita su internet, leggendo le indicazioni date dalle Case Editrici nelle pagine dedicate all’invio dei manoscritti sui loro siti. So, per esempio, che Faligi Editore li prende quanto meno in considerazione. Un’altra possibilità da valutare potrebbe essere quella dell’auto-pubblicazione oppure quella di cercare editori specializzati negli e–book, i 42

quali potrebbero essere maggiormente bendisposti verso l’idea di pubblicare un romanzo già edito in passato, questa volta sotto forma digitale. Spero di esserti stata utile e ti abbraccio, augurandoti buona fortuna! Roxie

Poni le tue domande contattando direttamente Roxie alla sua casella di posta elettronica. qui: el.rossanalozzio@email.it


Chi l’ha fatto?

(fotografia di Lucia De Vita)

L’autore della copertina della nostra rivista Mi chiamo Lucia De Vita e ho 27 anni. La mia passione per la fotografia credo sia sempre stata presente, anche se latente o poco ascoltata… Si impone seriamente circa sette anni fa nel momento in cui mi sono resa conto di quanto mi facesse star bene comporre e fissare un'immagine con una macchina fotografica. La mia esperienza è da completa autodidatta, amo documentarmi e imparare quanto più possibile su ciò che m'interessa. Ho quindi iniziato dai libri di teoria di fotografi come Feininger assimilando tutto, dal primo istante in cui l'alogenuro d'argento "registra" la luce al sensore digitale didelle diverso?» reflex,(Marilyn che ci Silverstone) sono tuttora, per poi passare ad un corso di foto43 in studio e di Photoshop. grafia

Per concludere mi affido alle parole di una fotografa che prima di me può aver espresso quello che sento: «La gente cominciava a vedermi come un tutt'uno con la mia macchina fotografica. Ma se non fossi una fotografa, cosa mai potrei essere? Sono qualcosa di diverso?» (Marilyn Silverstone)


Fotografia di Lucia De Vita

Quarta di copertina da definire

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