Erodoto108 n°4

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a mia Palestina (Israele/Palestina) sono immagini che, spesso, mi ricompaiono in testa all’improvviso. Non è possibile cancellare memoria, nostalgia, malinconia, gioia, dolore al pensiero di questa terra. Anni fa, siamo riusciti, con Mario Boccia, a scrivere un libro per turisti perfino sulla Palestina. Dovevamo varcare di continuo il Muro, affrontare i checkpoint dei giovanissimi soldati israeliani. È una esperienza da fare e rifare. A volte eravamo privilegiati: eravamo europei, una fila (vuota) riservata per noi e così non ci incastravamo nei corpi del palestinesi che nemmeno immaginavano quanto tempo avrebbero passato in quella coda di fronte ai cancelli. Non ho l’ironia di un Palestinese, né una Terra Promessa della quale impossessarmi: per questo, io che sostengo di essere capace di vivere ovunque, non vivrei mai qui. Non posso e non voglio essere all’erta ogni minuto del giorno. Non voglio vivere sentendomi, ogni giorno, accerchiato da un nemico.

INVISIBILI NELLA “TERRA STRETTA”

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Eppure ho ricordi dolci, dolcissimi, dei mesi passati in Palestina. Il caffè di Ahmed Oliyam, a Gerico, a esempio. Ahmed è un mukthar, un saggio del paese. Se ne sta seduto dietro a una piccola scrivania al fondo del locale. Qui si viene a fumare il narghilè dal tabacco aromatizzato, a giocare a carte, a bere caffè e limonata. Ecco, chi ha assaggiato la limonata zuccherata di Ahmed non può sapere cosa sia la bellezza di questa terra. Fa caldo a Gerico e la limonata, con una fogliolina di menta, salva la vita e l’anima. Ma poi il mio paesaggio diventa anche la mano molle di un soldato israeliano. Doveva avere vent’anni e imbracciava un fucile che mi appariva immenso. Aveva dei guanti neri dai quali spuntavano le dita. Era sudato, in apprensione. Ci aveva tenuto sequestrati in un appartamento di Nablus per una intera notte. Si combatteva nelle strade della città che ci ospitava. Una guerra a bassa intensità che a noi, quella notte, apparve di una violenza estrema. Al mattino, i soldati dovevano andarsene e noi, inopportuni giornalisti italiani, loro prigionieri, avremmo dovuto coprire con i nostri Nelle immagini il saponificio e il mercato di Nablus


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