Erodoto108 n°10

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Ritorno nell’isola. Quasi cinquanta anni fa, un terremoto devastò la Valle del Belice. Una disgrazia rese celebre questa geografia dimenticata.

SICILIA I TRE CANI DI GIBELLINA TESTO E FOTO DI MARCO BILEDDO

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uando la notte tra il 14 e il 15 Gennaio del 1968 i muri delle case si sgretolarono, rivelando tutta la loro fragilità, chissà a cosa pensarono i gibellinesi. Forse che la guerra fredda si era in fine surriscaldata. Che da quelle lontane terre, viste solo qualche volta nel bianco e nero sbiadito di uno dei pochi televisori che erano arrivati in paese, quegli uomini che parlavano straniero, avevano schiacciato i loro bottoni. Il pensiero, che una probabile terza guerra mondiale potesse avere avuto come punto sensibile da colpire proprio Gibellina, si dissolse facilmente. Era qualcosa di diverso. Non una bomba che veniva dal cielo, ma una forza che veniva dal basso, dalla terra, dal culo della montagna. Era tutto più semplice: il terremoto. La terra si era data una scrollatina, per togliersi un po' di polvere dalle spalle. Poi, improvvisamente, aprire gli occhi e vedersi sopra la testa il cielo stellato. Non più il tetto. Le pareti soltanto brandelli. Le strade non ci sono più, cancellate come un disegno fatto male. La gente comincia a emergere dai cumuli di macerie. Questi fantasmi impolverati si guardano con occhi spauriti. C'è chi grida, chi urla alla luna, chi piange sommessamente, chi non dice niente e contempla il nulla che si è appena creato tutt'intorno. Tutto da rifare. Un mondo che stava lì chissà da quante migliaia di anni inghiottito dalla terra.

Vi arrivarono artisti famosi. Disseminarono il nuovo paese di statue. Oggi si cammina, sotto un cielo blu-siciliano, in strade vuote, musei deserti e un teatro mai costruito. Il racconto di un artista palermitano emigrato in un altro Sud.


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