Environnement n. 64

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Ambiente e Territorio in Valle d’Aosta Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. - 70% - DCB Aosta

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Anno XIX ~ N° 64 ~ Dicembre 2014 ~ ISSN-1720-6111

CAMBIAMENTI CLIMATICI

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Ambiente e Territorio in Valle d’Aosta Sommario REGIONE AUTONOMA VALLE D’AOSTA Assessorato territorio e ambiente Direzione e redazione loc. Grand Chemin, 34 Saint-Christophe (AO) Direttore responsabile Sandra Bovo Coordinamento redazionale Luca Franzoso, Marisa Gheller Redazione e impaginazione Matteo Giglio (Cooperativa “La Traccia”) Hanno collaborato D. Bertolo, M. Castelli, E. Ceaglio, E. Cremonese, M. Curtaz, H. Diémoz, D. Dufour, G. Filippa, L. Franzoso, M. Galvagno, M. Gheller, M. Isabellon, C. Lucianaz, C. Minelli, U. Morra di Cella, S. Muti, C. Pasquettaz, E. Pasquettaz, G. Pession, M. Piccardi, P. Pogliotti, S. Ratto, A. Roasio, M. Ruffier, A. Theodule, I. Tombolato, C. Trèves, M. Vagliasindi, M. Zublena Fotografie Arch. ARPA VdA, Arch. Assessorato territorio e ambiente, Arch. Fond. montagna sicura, M. Giglio Progetto grafico Arnaldo Tranti Stampa Tipografia Valdostana (Aosta) Registrazione presso il Tribunale di Aosta n° 8 del 30/04/1996 In copertina Il Lago del Miage (Val Veny) nel 2014 (foto archivio Fondazione Montagna Sicura) Stampa su carta ecologica e cellophanatura con film biodegradabile

Notizie

Editoriale 3

Cambiamenti climatici Cambiamenti climatici

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Mitigazione e adattamento

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Agricoltura e cambiamenti climatici

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Gli effetti sulla salute

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Vegetazione e cambiamenti climatici

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Criosfera e cambiamenti climatici

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Aria e cambiamenti climatici

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Ghiacciai e cambiamenti climatici

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Recensioni

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con piacere che saluto i lettori di Environnement. Abbiamo voluto dedicare questo numero monotematico ai cambiamenti climatici, argomento di grande rilevanza e attualità anche per la nostra Regione. È scientificamente riconosciuto che il cambiamento climatico è da considerarsi una realtà. I rapporti periodicamente pubblicati dall’IPCC (International Panel for Climate Change) evidenziano molti indicatori inequivocabili dell’evoluzione del clima e individuano le Alpi, e in generale le aree di montagna, come uno dei settori dove tali cambiamenti sono - e prevedibilmente saranno - più importanti. Nella nostra Regione molti effetti sono già visibili agli occhi di tutti: sono evidenti, ad esempio, gli effetti che l’aumento della temperatura determina sui ghiacciai e che porta ad un arretramento delle loro fronti e ad una diminuzione del loro volume; altri impatti sono invece meno conosciuti e visibili, come quelli sul ciclo vegetativo delle piante, ma hanno conseguenze importanti ad esempio sul settore agricolo e forestale. A livello locale non è possibile intervenire in modo diretto sulle cause che determinano o contribuiscono a tali fenomeni, come ad esempio sulla riduzione delle emissioni in atmosfera che rientrano nelle politiche internazionali. È invece necessario prendere delle misure di adattamento tenendo conto degli effetti che il cambiamento climatico determina. A livello europeo, nel 2013 la Commissione Europea ha adottato un documento che detta le linee guida per la definizione di strategie di adattamento a livello nazionale; al momento 21 Stati europei si sono dotati di una strategia nazionale, mentre solo 13 stanno implementando politiche e piani di adattamento. In Italia, è all’esame della Conferenza Stato-Regioni la Strategia nazionale, che fornisce indicazioni sulle misure da intraprendere nei diversi settori, dall’agricoltura al turismo, dalla gestione del territorio e dei rischi naturali alla sanità. A livello regionale diverse singole iniziative esistono già, e sono qui presentate; è tuttavia fondamentale l’avvio di una fase di pianificazione strategica e intersettoriale mirata all’adozione di misure concrete e coerenti le une con le altre. In questo panorama, l’Assessorato territorio e ambiente, cui compete il coordinamento della tematica, ha avviato con le Strutture regionali e con gli enti strumentali ARPA Valle d’Aosta e Fondazione Montagna sicura un percorso volto alla definizione di un Documento regionale di adattamento, che dovrà tener conto di tutti i settori. Il primo passo è rappresentato dall’individuazione delle azioni che esistono già in ambito regionale e che rispondono alle linee guida ed alle direttive del documento nazionale ed europeo; una prima raccolta di elementi è già stata effettuata all’interno del Comitato scientifico di Fondazione Montagna sicura, nel quale sono coinvolti diversi enti regionali e altre strutture sono state consultate dal Dipartimento territorio e ambiente. Da questa prima analisi sarà possibile individuare i settori in cui è necessario svolgere approfondimenti e le azioni che occorre sviluppare, arrivando così alla definizione delle priorità di intervento e degli obiettivi a breve e medio termine, che costituiranno il nucleo della Strategia di adattamento regionale. Auguro a tutti una buona lettura e un sereno 2015! Luca Bianchi Assessore al territorio e ambiente

environnement@regione.vda.it


Notizie

Trekking Nature 2014 nche per il 2014, è tornato il Trekking Nature, iniziativa di carattere ambientale promossa dall’Assessorato territorio e ambiente che, nei mesi di luglio e agosto, organizza escursioni settimanali nel territorio alpino regionale, con pernottamento in strutture extraalberghiere, come rifugi e bivacchi allo scopo di avvicinare i giovani partecipanti alla montagna, sensibilizzarli verso tematiche legate alla natura e in generale al rispetto dell’ambiente. Le novità introdotte in quest’ultima edizione sono state principalmente due: soggiorni di 5 giorni (dal lunedì al venerdì) anziché di 6 come negli anni precedenti e l’organizzazione di un turno dedicato ad escursioni in mountain bike. L’esperienza è stata destinata, come di consueto, ai bambini residenti in Valle d’Aosta, di età compresa tra i 7 e i 16 anni, ed ogni turno è stato accompagnato da personale specializzato che ha guidato i giovani escursionisti nell’ambiente alpino, coinvolgendoli in giochi e attività legate alla scoperta della montagna, connesse a tematiche di educazione ambientale e rispetto del territorio, con particolare attenzione al tema “I suoni e i colori della monta-

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gna”, scelto dai ragazzi partecipanti all’edizione 2013. Tutti i turni hanno avuto come filo conduttore l’organizzazione di attività comuni come l’insegnamento di tecniche di orientamento declinate, ovviamente, in modo diverso, a seconda dell’età dei partecipanti e momenti di approfondimento sui comportamenti corretti da tenere in montagna, sulla gestione dell’acqua e viveri, sulla preparazione dello zaino e sul comportamento da tenere in caso di incidente. Una particolare attenzione è stata inoltre dedicata alle attività riguardanti la lettura e l’interpretazione delle cartografie, di identificazione e pianificazione degli itinerari e l’uso della bussola. Le serate estive sono state invece dedicate a momenti meno impegnativi per i ragazzi come giochi con le carte, laboratori di disegno, gara di barzellette, gioco dei mimi, battaglia navale e teatro improvvisato. Non sono mancati ovviamente i “racconti della sera” come antidoto alle crisi di nostalgia o a quelle di iperattività giornaliere. “I suoni e i colori della montagna”, tema dell’edizione 2014, sono stati esplorati attraverso particolari laboratori che hanno condotto i bambini ad osservare il

CONCORSO FOTOGRAFICO TREKKING NATURE 2014 Il primo premio è stato assegnato ai ragazzi del turno 4 che hanno partecipato al campo itinerante in Mountain Bike dal 14 al 18 luglio. La motivazione della commissione :“Il gioco di luci e il contrasto di colori ben si coniugano con l’atmosfera di amicizia protagonista dell’esperienza escursionistica vissuta.” Il secondo premio è stato conferito al 1° turno che ha effettuato un trekking semi-itinerante dal 7 all’11 luglio nella Val d’Ayas. La motivazione della commissione: “La goccia d’acqua racchiusa all’interno di una simmetria di forme naturali e colorate evoca serenità ed emozioni.” Ed infine al 3° turno semi-itinerante che ha soggiornato a Valgrisenche dal 14 al 18 luglio, è stato consegnato il terzo premio. a motivazione della commissione : “Il regno del colore viene qui espresso dal contrasto tra il giallo dei fiori alpini, il cielo terso e il nevaio bianco sullo sfondo. Il dolce fruscio del vento accarezza gli esili steli verdi dei pascoli montani.” Le tre immagini vincitrici si trovano all’interno di questo numero della rivista e possono essere comodamente estratte aprendo i punti metallici.

paesaggio attraverso l’uso di tutti i sensi. Grazie invece ad una serie di semplici ma divertenti esperimenti a carattere scientifico e di tipo creativo, i giovani escursionisti hanno potuto scoprire i colori della natura, l’intensità della luce e del buio notturno con osservazioni del cielo e il riconoscimento delle principali costellazioni. Il Trekking Nature 2015 avrà come

tema “Sole, pioggia, vento: come cambia il nostro clima e perché”, scelto dalla maggioranza dei partecipanti all’edizione 2014. Marisa Gheller (Assessorato territorio e ambiente)

Les Randonnées transfrontalières autour du Mont-Blanc roposer aux jeunes une expérience singulière dans le territoire de l’Espace Mont-Blanc, faire découvrir sur site les richesses naturelles du territoire alpin et la vie à la montagne dans les domaines de la gestion des espaces naturels (faune, flore et glaciers), de l’hébergement, par l’intervention de spécialistes tout au long du trekking et permettre aux jeunes des

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3 côtés du Mont-Blanc de partager un moment convivial dans un contexte unique en langue française, afin de renforcer les liens entre les 3 territoires» sont les objectifs poursuivis par la Fondation Montagne sûre de Courmayeur qui, chaque été, organise des séjours pédagogiques transfrontaliers. En collaboration avec les partenaires français et suisses de l’Espace Mont-Blanc (EMB), l’ini-

tiative proposée au mois de juillet 2014 (13-17 juillet, 20-24 juillet et 27-31 juillet) a vu la participation de 4 jeunes de chaque pays par semaine, âgés de 11 à 16 ans (années 1998, 1999, 2000, 2001, 2002 et 2003) et s’est déroulée sur 5 jours sur le territoire de l’Espace MontBlanc (France, Italie et Suisse) avec 4 nuits passées en refuges de montagne ou auberge. Tous les groupes de 12 jeunes ont été

accompagnés en permanence par, au moins, 2 adultes de nationalité différente et notamment par un accompagnateur en Montagne. Marisa Gheller (Ass. du territoire et de l’environnement) Daniela Dufour (Fondation Montagne sûre)

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Notizie

In Valle d’Aosta, la sesta edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti

nche per il 2014, l’Assessorato territorio e ambiente ha aderito alla Settimana Europea di Riduzione dei Rifiuti (SERR), che si è svolta dal 22 al 30 novembre in tutti i paesi membri. Il tema centrale della sesta edizione e filo conduttore di tutti gli eventi messi in atto da ogni singolo aderente, è stata la “Lotta allo spreco alimentare” intesa come prevenzione e riduzione del rifiuto finale, ma soprattutto rivolta a promuovere tutte quelle azioni a favore del riuso e della preparazione per il riutilizzo, nonché la promozione della raccolta differenziata, la selezione e il riciclo. La SERR è un’iniziativa nata all’interno del Programma LIFE+ della Commissione Europea, con l’obiettivo primario di sensibilizzare le istituzioni, gli stakeholder e tutti i consumatori circa le strategie e le politiche di prevenzione dei rifiuti messe in atto dall’Unione Europea, che gli Stati membri devono perseguire. L’Amministrazione regionale, anche quest’anno, nell’ottica della continuità e coerenza, ha partecipato alla “Settimana”, promuovendo sul territorio valdostano

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azioni di sensibilizzazione rivolte alle varie fasce di consumatori. Tra le iniziative regionali, è stato organizzato un Concorso di Ricette “Non solo polpette - fantasia di ricette con avanzi nostrani per il pranzo di domani”, volto a valorizzare la capacità di cucinare piatti, i cui ingredienti erano rappresentati da cibi avanzati ma ancora utilizzabili, oltreché di valorizzare i prodotti e i sapori del territorio regionale. Hanno aderito circa sessanta persone tra cui casalinghe, cuochi professionisti e studenti, e tutti i contributi pervenuti sono stati raccolti e pubblicati in un unico ricettario. Una commissione di esperti composta da membri di Slow Food Valle d’Aosta, Unione Cuochi Valle d’Aosta e dell’Assessorato territorio e ambiente, ha selezionato le migliori ricette per capacità di riutilizzare, con estro e fantasia, il cibo e le materie prime avanzate, soddisfacendo al meglio la “filosofia” della riduzione dello spreco alimentare. Venerdì 28 novembre 2014, a Châtillon presso l’Istituto Professionale Regionale Alberghiero (IPRA) si è svolta la premiazione del Concorso di ricette “Non solo

polpette, fantasia di ricette con avanzi nostrani per il pranzo di domani” nell’ambito di una cena solidale. Questo particolare evento serale, organizzato dall’Amministrazione regionale in collaborazione con l’Associazione Slow food Valle d’Aosta, la Fondazione Comunitaria della Valle d’Aosta, la Fondazione per la Formazione Professionale Turistica di Châtillon e l’Unione Cuochi Valle d’Aosta, a cui sono stati invitati gli autori delle ricette vincitrici, ha voluto dimostrare come i prodotti alimentari possono avere una seconda vita e che, riutilizzando il cibo avanzato dal pasto precedente, si può creare un menu assolutamente degno di una vera cena conviviale. La finalità della serata, tenuto conto che prevenire lo spreco alimentare ha soprattutto uno scopo etico, è stato anche quella di raccogliere fondi per un progetto solidale che alimenterà un fondo dedicato a “Trasformare lo spreco in risorse”, nato in seno a Fondazione Comunitaria onlus e Slow Food della Valle d’Aosta. L’obiettivo è di recuperare il fresco in scadenza della grande distribuzione che verrebbe eliminato per,

viceversa, utilizzarlo nelle mense e nei punti di aiuto e sostegno alla richiesta alimentare che aumenta sempre più anche nella nostra realtà. L’iniziativa ha voluto creare una certa consapevolezza al fine di dimostrare come la “lotta allo spreco alimentare” può diventare un’azione orientata al “contrasto della povertà”. Mercoledì 26 novembre 2014 ad Aosta, nel Salone della biblioteca regionale, si è svolto l’incontro serale dal titolo “Lotta allo spreco alimentare, come contrastare la povertà e preservare la salute”. La serata ha rappresentato il momento di sintesi delle diverse problematiche connesse alla prevenzione dello spreco alimentare, attraverso l’informativa ai consumatori sugli acquisti consapevoli, in particolare l’attenzione alle scadenze dei prodotti sia freschi che a lunga conservazione, la corretta interpretazione delle etichette; le modalità di conservazione dei prodotti freschi integri e delle confezioni già aperte e l’attenzione alle quantità di cibi acquistati. Inoltre, con l’ausilio dei soggetti coinvolti nell’iniziativa è stato promosso il cibo buono, per le sue qualità organolettiche,


per i valori identitari e affettivi intrisi al cibo, il cibo pulito, inteso in modo ecosostenibile e rispettoso dell’ambiente e del cibo giusto, conforme all’equità sociale nella fase produttiva e della commercializzazione. Infine, Domenica 30 novembre 2014, sotto i portici del Comune di Aosta, in collaborazione con la Coldiretti Valle d’Aosta, l’Agrimercato Lo Tsaven Campagna Amica di Aosta ha ospitato la SERR e a coloro che hanno acquistato consapevolmente prodotti per importo

totale superiore a 15 euro, è stata offerta una borsa ecologica (fino ad esaurimento scorte). Gli eventi della SERR promossi in Valle d’Aosta dall’Assessorato territorio e ambiente, sono stati organizzati in collaborazione con vari attori e istituzioni del territorio regionale, tra i quali il Comune di Aosta, la struttura d’Igiene e Alimenti dell’Azienda Sanitaria valdostana, la struttura regionale delle Politiche sociali afferente all’Assessorato sanità, salute e politiche sociali, l’Associazione

no-profit Slow Food, la Fondazione comunitaria della Valle d’Aosta, la Coldiretti Valle d’Aosta e l’Unione Cuochi Valle d’Aosta. L’Amministrazione regionale è convinta che solo con il contributo e il coinvolgimento delle varie entità territoriali private e pubbliche si possano raggiungere importanti risultati. L’Italia, che nel 2013 si era aggiudicata il primo posto tra i 27 Paesi aderenti alla SERR, per numero di iniziative promosse (ben 5399 tra le 12682 azioni a livello europeo), ha raggiunto e

superato quest’anno, il traguardo della passata edizione: nel 2014 il Comitato promotore nazionale ha registrato e validato un totale di 5.643 azioni su tutto il territorio italiano. Un ottimo risultato, se si pensa che la SERR è nata come campagna di comunicazione ambientale in seno a pochi Stati, circa un decennio di anni fa, e oggi registra invece un numero così elevato di azioni e di aderenti! Marisa Gheller (Assessorato territorio e ambiente)

Cambiamenti climatici e gestione delle vie di accesso ai rifugi d’alta quota: a febbraio 2015 un incontro transfrontaliero ad Aosta

ell’ambito del progetto di cooperazione transfrontaliera Alcotra “Eco innovation en altitude”, mercoledì 4 febbraio 2015, ad Aosta, l’Università della Valle d’Aosta ospiterà il seminario, promosso dall’Assessorato Territorio e Ambiente e organizzato da Fondazione Montagna Sicura, sul tema della gestione delle vie di accesso ai rifugi d’alta quota in conseguenza dei cambiamenti climatici. La Regione autonoma Valle d’Aosta, capofila del progetto, ha infatti affidato a Fondazione Montagna sicura la conduzione di un’indagine, a livello di arco alpino, relativamente agli impatti dei cambiamenti climatici sugli accessi all’alta montagna. Nello specifico l’attività di Fondazione Montagna sicura ha lo scopo di raccogliere le pratiche di adattamento e di messa in sicurezza degli accessi ai rifugi, di identificarne gli elementi di responsabilità giuridica e di proporre gli strumenti di aiuto alla decisione ad uso dei gestori di ri-

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fugio e delle amministrazioni locali. All’incontro prenderanno parte diversi professionisti, delle tre regioni ai piedi del Monte Bianco, legati al mondo della montagna. Nel corso del seminario, saranno innanzitutto presentate venti buone pratiche di messa in sicurezza delle vie di accesso all’alta quota recensite in tutto l’Arco alpino, cui seguirà un approfondimento specifico dedicato all’aspetto della “responsabilità giuridica” nella gestione dei sentieri. Saranno analizzati alcuni casi specifici del territorio montano transfrontaliero, in particolare le problematiche legate al “Rifugio La Charpoua” di Chamonix, alcuni interventi realizzati nel Cantone Vallese per dare una risposta concreta ai disagi d’accessibilità causati dal ritiro di ghiacciai che in passato consentivano il raggiungimento di rifugi d’alta quota, ed infine sarà presentata la passerella del “Rifugio dei Conscrits” nel comune francese di Contamines Montjoie in Alta Savoia. Non mancherà un

particolare approfondimento, da parte dei Fondazione Montagna sicura, sulle strategie adottate per il monitoraggio del seracco delle Grandes Jorasses di Courmayeur e per la gestione della via di accesso all’area sottostante. Chi fosse interessato ad avere ulteriori informazioni, può inviare una mail al seguente indirizzo: mpiccardi@fondms.org

Marisa Gheller (Assessorato territorio e ambiente)

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Notizie

Rendiconto Nivometeorologico 2013/2014: tutto quello che c’è da sapere sullo scorso inverno valdostano

unedì 15 dicembre 2014, nel Salone delle manifestazioni di Palazzo Regionale, si è tenuto un incontro pubblico sulle iniziative in materia di nivologia e glaciologia delegate dalla Regione autonoma Valle d’Aosta alla Fondazione Montagna sicura - Montagne sûre. In ambito nivologico, è stato presentato il volume Rendiconto Nivometeorologico - Inverno 20132014, elaborato dall’Ufficio neve e valanghe della Regione e realizzato, dal 2009, con il supporto tecnico di Fondazione Montagna sicura. Il compendio giunge alla sua IX edizione e rappresenta un utile strumento per tutti coloro che, a titolo professionale, di studio, di interesse personale o per semplice curiosità scientifica, vogliono approfondire i tratti salienti degli inverni valdostani, spaziando dalla descrizione dell’andamento nivometeorologico, attraverso l’attività previsionale del pericolo valanghe e concludendo con la descrizione approfondita dei

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principali eventi valanghivi spontanei e degli incidenti da valanga registrati. Dallo studio, emerge, in modo sintetico, che in Valle d’Aosta durante la scorsa stagione (2013-2014), le prime e abbondanti nevicate di ottobre e novembre hanno fatto sì che l’inizio dell’inverno fosse caratterizzato da un manto nevoso di 40-100 cm di spessore a 2500 m; poi però buona parte del mese di dicembre ha registrato un’assenza di precipitazioni e un momentaneo rialzo delle temperature che hanno riportato il grado di pericolo a 1-debole per alcuni giorni. Poco prima del Natale 2013, con una nuova serie di importanti nevicate, è subentrato l’inverno vero e proprio che, ad eccezione di una manciata di giorni caratterizzati da tempo stabile e temperature in lieve rialzo tra il 6 e il 12 gennaio, si è protratto, di nevicata in nevicata, fino alla prima decade di marzo. Si è trattato di un periodo perturbato eccezionalmente lungo, di due mesi e mezzo, caratterizzato dal transito senza sosta di perturbazioni atlantiche, ora provenienti da ovest, ora dai quadranti meridionali, che hanno determinato un innevamento impressionante su buona parte del versante meridionale della catena alpina. In questo periodo, in cui le temperature medie a 2000 m si sono mantenute sempre sotto gli zero gradi, senza mai essere eccessivamente rigide (28 e 29 gennaio le giornate più fredde con -13°C), si sono verificati in tutti i settori, gli eventi nevosi più critici della stagione: il grado di pericolo 5- molto forte viene sfiorato il 26 dicembre

quando è assegnato un 4-forte in rialzo a 5-molto forte nel settore della bassa valle, mentre il grado 4-forte viene confermato in 4 giornate nelle valli di Gressoney, Ayas e Champorcher (27 dicembre e 1-2-4 marzo), in 3 giornate nell’alta valle e nei settori di confine con Francia e Svizzera (14-15 febbraio e 6 marzo), in 2 giornate nelle valli del Gran Paradiso (14 febbraio e 2 marzo) e in 1 giornata nei settori che si affacciano sulla vallata centrale della Valle (14 febbraio). Da metà marzo 2014, è arrivata la primavera: con temperature via via più miti e precipitazioni assenti fino alla seconda decade di aprile, il grado di pericolo è sceso a 2-moderato e poi a 1-debole con la frequente persistenza di un aumento del pericolo nelle ore più calde della giornata. Nella terza decade di aprile e a cavallo con i primi giorni di maggio, ancora qualche nevicata, più abbondante oltre i 2000 m di quota e associata ad un momentaneo abbassamento delle temperature, ha riportato il grado di pericolo a 3-marcato, con condizioni decisamente invernali oltre i 2800-3000 m. Passata questa fase perturbata, un promontorio anticiclonico ha riportato condizioni stabili e temperature di nuovo primaverili; l’ultimo Bollettino neve e valanghe è stato emesso il 9 maggio con grado di pericolo pari a 1-debole in rialzo a 2-moderato nelle ore più calde della giornata. Fine maggio e inizio giugno sono stati caratterizzati da un’alternanza di periodi stabili e perturbazioni in transito. Questo ha determinato il lungo persistere di condizioni invernali oltre i 3000 m e, in generale, di ottime condi-

zioni scialpinistiche che si sono protratte anche nel periodo estivo. Infatti anche giugno e luglio, ad eccezione di un’unica ondata di calore associata all’instaurarsi di un promontorio anticiclonico a giugno, sono stati caratterizzati da brutto tempo e da continue perturbazioni, nevose in quota. Luglio risulta, secondo alcune serie storiche del Centro funzionale regionale, «il più piovoso degli ultimi 120 anni». A scala regionale, da ottobre a maggio si sono verificate ben 40 nevicate a 2000 m (13 nella città di Aosta) per un totale di 88 giorni con neve a 2000 m. Grazie alla predominanza di correnti atlantiche miti e umide, il settore maggiormente interessato da nevicate abbondanti e conseguenti criticità è stato dunque quello della bassa valle ovvero delle valli di Gressoney, Ayas e Champorcher dove si sono verificati ben tre gli episodi stagionali (21 novembre, 24-26 dicembre, 27 febbraio-1 marzo) in grado di por-


tare localmente più di un metro di neve fresca in una singola nevicata. Nella Valle di Gressoney, alla stazione del Gabiet, l’altezza totale della neve fresca cumulata a fine stagione raggiunge ben 1302 cm. La bassa valle ha ricevuto un apporto nevoso costante e abbondante per tutta la stagione, mentre in alta valle gli apporti maggiori sono avvenuti nei mesi di gennaio e febbraio. I massimi valori di neve al suolo sono stati raggiunti nel settore sud-orientale ai primi di marzo (315 cm a Weissmatten, 229 cm a Gressoney la Trinité e 219 cm a Champorcher), mentre nel settore nord-occidentale il massimo innevamento è stato raggiunto il 13 febbraio (216 cm a Plan Praz, 145 cm a La Thuile e 130 cm a Courmayeur).

Il mese più nevoso è stato ovunque febbraio (19 giorni con nevicate), con medie intorno ai 2 metri di neve fresca, seguito da gennaio (17 giorni con nevicate). Febbraio ha contato il maggior numero di incidenti da valanga censiti (ben 4 per 3 vittime); insieme a marzo, risulta anche essere il mese con la maggiore attività valanghiva spontanea registrata (150 eventi su 200): febbraio per via dell’intensa nevicata di metà mese, marzo per via del primo consistente rialzo termico della stagione. La Valle del Lys ed in particolare il comune di Gressoney Saint Jean vantano il maggior numero di valanghe censite. Per quanto riguarda invece le iniziative messe in atto in materia di rischi di origine glaciale, durante

l’incontro pubblico è stato illustrato il Piano di Monitoraggio del rischio glaciale sul territorio valdostano, attuato dalla Fondazione Montagna sicura su mandato della Struttura Attività geologiche dell’Assessorato opere pubbliche, difesa del suolo e edilizia residenziale pubblica della Regione. Il Piano nasce dalla necessità di tenere conto, a livello sia di pianificazione territoriale che di protezione civile, della forte interazione che esiste in ambito regionale tra le dinamiche di origine glaciale e le strutture antropiche, dovuta principalmente alla conformazione fisica del territorio ed in parte accentuata dall’attuale fase climatica. Sono stati inoltre dettagliati anche alcuni casi concreti di monitoraggio, tra cui quello del

Ghiacciaio sospeso delle Grandes Jorasses (Courmayeur) e la sua recente evoluzione. Elisabetta Ceaglio (Ufficio neve e valanghe Fondazione Montagna sicura)

Cambiamenti climatici e ambiente urbano: un seminario a Sion per comunicare le nuove strategie di adattamento n interessante seminario su un tema che sta divenendo sempre più cruciale si è tenuto a Sion (CH), in Vallese, lo scorso 20 novembre. Il titolo stesso chiarisce bene l’argomento: Adaptation au changement climatique: quelles contributions l’urbanisme peut-il apporter? Infatti mette in relazione il tema dell’adattamento al cambiamento climatico in corso con quello della pianificazione urbana, ponendo l’attenzione su un modo nuovo e previdente di progettare la città di domani. Quella dell’adattamento ai cambiamenti climatici è una problematica divenuta di particolare rilevanza alla luce del Quinto Rapporto di Valutazione pubblicato nel 2013 dal IPCC, il rag-

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gruppamento internazionale di scienziati e istituti di ricerca che fanno il punto sull’andamento del clima del nostro pianeta, il quale evidenzia che gran parte del riscaldamento osservato negli ultimi 50 anni è attribuibile alle attività umane e che gli attuali livelli di emissione di gas serra sono più elevati di quelli richiesti per rispettare la soglia dei 2°C, limite oltre il quale gli impatti sugli ecosistemi e sulle persone divengono più problematici e di più impegnativa e costosa soluzione. Nei prossimi decenni gli effetti di tali cambiamenti potrebbero infatti portare a inondazioni più dannose, ondate di calore più frequenti ed intense ed un significativo aumento del livello del mare. L’impegno internazionale è volto

ad individuare appropriate misure di risposta ai cambiamenti attesi lungo due direttrici tra loro strettamente correlate, la mitigazione e l’adattamento. Nell’ottobre 2014, il Consiglio europeo ha individuato i nuovi obiettivi di mitigazione da raggiungere entro il 2030: • ridurre del 40% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto al 1990 (obiettivo vincolante a livello nazionale); • arrivare ad almeno il 27% della quota di energia da fonti rinnovabili sul totale dell’energia prodotta (obiettivo vincolante a livello europeo ma indicativo a livello nazionale); • aumentare l’efficienza energetica del 27% (obiettivo vincolante a livello europeo ma indicativo a

livello nazionale); • completare il mercato interno dell’energia. Per quanto riguarda l’adattamento, nel 2013 è stata approvata la Strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici, con l’obiettivo di attivare misure e introdurre una mentalità operativa in grado di migliorare la capacità degli Stati membri di rispondere agli impatti negativi e cogliere le opportunità derivanti dal riscaldamento globale. Da parte sua, l’Italia sta portando a temine l’adozione della propria Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, in coerenza con quanto stabilito a livello europeo. Anche la Confederazione Svizzera si è attivata per ridurre l’impatto

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del riscaldamento globale e per tempo. In particolare, per quanto riguarda l’adattamento, nel 2009 il Consiglio federale ha disposto una analisi dei rischi legati ai cambiamenti climatici per la Svizzera e l’elaborazione di una strategia di adattamento al fenomeno. La Strategia è stata quindi approvata nel 2012 per la parte riguardante gli obiettivi, i principi e le sfide intersettoriali che dovranno essere affrontate a livello federale e nell’aprile 2014 per la parte relativa al piano d’azione per il periodo dal 2014 al 2019. Il piano individua 63 misure di adattamento volte a: “cogliere le opportunità dei cambiamenti climatici, ridurre al minimo i rischi e potenziare le capacità di adattamento della società, dell’economia e dell’ambiente”1. In questo contesto è stato organizzato il seminario di Sion, organizzato dall’Ufficio federale dello sviluppo territoriale ARE in collaborazione con ASPA-SO (sezione sud occidentale Associazione svizzera per la pianificazione nazionale VLP-ASPAN) e con la Città di Sion allo scopo di sensibilizzare un numeroso pubblico di professionisti della pianificazione urbana al tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici e alle possibili azioni da mettere in atto, attraverso la presentazione del più recente documento predisposto dalla Confederazione Svizzera sulla strategia di adattamento al cambiamento climatico e l’illustrazione di alcuni casi studio sullo stesso tema realizzati sia in territorio svizzero che in Francia, con particolare attenzione all’esperienza della città di Sion, coinvolta in una specifica sperimentazione di interesse federale. Nel pomeriggio, infatti, i lavori sono proseguiti sul campo con una visita nel centro della città durante la quale pianificatori e tecnici dell’amministrazione comunale hanno illustrato la realizzazione di alcuni progetti che risultano già attenti alle parole d’ordine dell’adattamento al cambiamento climatico. L’argomento della giornata è stato quindi quello dell’adattamento al cambiamento climatico in ambiente urbano, riconosciuto come molto sensibile all’incremento delle temperature e al cambiamento del regime delle precipitazioni. Infatti, si caratterizza per la densità dell’edificato e le estese superfici

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impermeabilizzate, che portano ad avere un microclima con caratteri più marcati di quello delle aree circostanti, con maggiori temperature, particolare circolazione dell’aria e il ruscellamento delle acque non assorbite dal suolo; ciò a fronte di una maggiore densità demografica, con la conseguente necessità di gestire il benessere di un elevato numero di persone anche in presenza di fenomeni tipici del cambiamento climatico quali gli eventi estremi, come le ondate di caldo e le piene. Durante i lavori sono stati presentati gli scenari climatici della Svizzera e la loro incidenza sulle città, le azioni della Strategia di adattamento, gli interventi di vegetalizzazione della città di Nantes, in Francia, e della programmazione per l’adattamento delle città di Zurigo e Bienne, oltre alla presentazione al pubblico del Programma ACCLIMATASION della città di Sion, nell’ambito del programma pilota finanziato dalla Confederazione «Adattamento ai cambiamenti climatici», che promuove progetti innovativi ed esemplari per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Un intervento conclusivo ha poi evidenziato la necessità di coordinare le misure di protezione dalle inondazioni del Rodano con lo sviluppo del territorio circostante in un tratto sottoposto ad una forte pressione urbanizzativa quale è quello compreso tra Sion, Martigny e il Lago Lemano facilitando la fruizione del fiume. Tra le azioni messe in atto o in previsione particolare attenzione è stata data agli interventi di vegetalizzazione urbana, quali le coperture a verde sia dei tetti sia delle facciate degli edifici, che permettono di migliorare la climatizzazione degli interni e ridurre i costi energetici, gli interventi di rinverdimento, anche puntuale, delle strade e delle piazze per favorire il raffrescamento non solo delle abitazioni ma anche dei percorsi urbani, lo sviluppo di orti urbani, il miglioramento delle connessioni tra gli ambienti urbani e le aree rurali più vicine attraverso percorsi fruibili con le modalità della mobilità dolce. In conclusione, è ormai sempre più evidente che le strategie di adattamento al cambiamento climatico si rivelano essere non solo

uno strumento per far fronte alle nuove emergenze ambientali ma una occasione per migliorare la qualità della vita e valorizzare le relazioni sociali della città e del suo intorno, non solo per le generazioni future ma anche per quelle di oggi. Chantal Trèves (Struttura Pianificazione territoriale Assessorato territorio e ambiente)

Note: 1 www.bafu.admin.ch.


Cambiamenti climatici

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ause, effetti, strategie, interventi e sistemi di monitoraggio e previsione del riscaldamento globale.

CAMBIAMENTI CLIMATICI di LUCA F RANZOSO *

uesto numero di Environnement è dedicato ai cambiamenti climatici; i lettori più attenti certamente ricorderanno che già nel passato il nostro periodico si era occupato di tale argomento. I nuovi indirizzi comunitari, gli studi effettuati, le conoscenze acquisite e la maggiore consapevolezza collettiva hanno spinto l’Assessorato territorio ed ambiente a realizzare un nuovo numero di approfondimento anche per dare alcune risposte ai tanti interrogativi che gli abitanti della Valle d’Aosta si pongono in merito ai continui passaggi mediatici connessi ad eventi correlati al recente enfatizzarsi dei fenomeni atmosferici. Il cambiamento climatico non costituisce di per sé una novità, il nostro pianeta è stato oggetto di diverse fasi di riscaldamento e di raffreddamento globale generate dalla normale dinamica di un pianeta alla continua ricerca di un equilibrio, come dimostrato da numerosi studi climatici relativi alla storia più antica della terra basati ad esempio sullo studio della composizione degli strati più profon-

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di dei ghiacciai, sui fossili, sull’analisi dei sedimenti geologici. Le variazioni climatiche registrate nel passato hanno peraltro diverse scale temporali, le più note sono le ere glaciali, della durata di milioni di anni, ma sono stati anche registrati periodi glaciali di migliaia di anni, e fasi di riscaldamento e raffreddamento climatico con scala temporale di decine o centinaia di anni. Gli esperti del settore ritengono che le principali cause dei cambiamenti climatici registrati nel passato siano imputabili a variazioni dell’irraggiamento solare, di variazioni dell’orbita terrestre e dell’inclinazione dell’asse di rotazione del nostro pianeta. Occorre inoltre tenere conto che la composizione dell’atmosfera è assai mutata nel corso della storia della terra. La concentrazione di anidride carbonica (CO2), principale responsabile dell’effetto serra, era all’inizio della storia del nostro pianeta assai elevata a causa delle continue eruzioni vulcaniche e dei frequenti impatti di asteroidi. A seguito dell’apparizione delle prime forme di vita la CO2 fu

progressivamente assorbita dai meccanismi fotosintetici che contribuirono a ridurne la presenza e a mutarne progressivamente la composizione dell’atmosfera determinando decisi cambiamenti del clima terrestre. Perché allora si parla oggi sempre più insistentemente di cambiamento climatico? La risposta è semplice seppur molto controversa. Molti studiosi indicano come causa del recente fenomeno di riscaldamento climatico, registrato negli ultimi 150 anni, l’aumento delle concentrazioni dei gas serra dovuto alle emissioni provenienti dalle attività umane, ovvero l’uomo sta diventando, per la prima volta nella storia della terra, il responsabile di un cambiamento a scala globale. Cosa sono innanzitutto i gas a effetto serra? Sono gas presenti in atmosfera, che lasciano passare liberamente la radiazione solare in entrata sulla Terra (sono per così dire “trasparenti”) ma impediscono, o più propriamente, contrastano il rilascio della radiazione in uscita dal nostro pianeta 9


Cambiamenti climatici (sullo spettro dell’infrarosso) creando per l’appunto un effetto simile a quello che si può osservare nelle serre laddove il vetro, che si comporta come questi tipi di gas, assorbe in un’unica direzione la radiazione accumulando calore all’interno della costruzione. I gas serra sono sia di origine naturale che prodotti dall’uomo (origine antropica); i più noti e diffusi sono il biossido di carbonio (CO2), principale responsabile dell’effetto serra, il vapore acqueo (H2O), l’ozono (O3), gli ossidi di azoto (NOx) e il metano (CH4). In particolare il CO2 deriva in gran parte dai processi di combustione di carburante fossile (petrolio o carbone), gli NOx derivano principalmente dall’inquinamento indotto dal traffico e dai processi industriali, mentre il metano deriva dall’industria energetica, dalla produzione di rifiuti e dall’agricoltura. Accanto a questi gas, ve ne sono altri di origine prettamente industriale come i gas utilizzati per le bombolette e gli impianti di condizionamento ovvero gli Alocarburi. Tra questi gas, i più conosciuti sono i clorofluorocarburi (CFC), gli idroclorofluorocarburi (HCFC) e gli idrofluorocarburi (HFC). Malgrado il fatto che il diretto rapporto di casualità tra attività dell’uomo e l’attuale fase riscaldamento del pianeta sia tuttora argomento oggetto di accese discussioni a carattere scientifico, è tuttavia innegabile che negli ultimi 150 anni, ovvero dall’inizio della rivoluzione industriale, la temperatura globale è mediamente aumentata di circa 0.8 ºC e che tale fenomeno è tuttora in fase di sviluppo. L’innalzamento della temperatura è ovviamente diverso nelle varie parti del pianeta e risulta particolarmente sensibile in corrispondenza delle zone alpine dove il valore sfiora addirittura i 2 ºC. Il riscaldamento del pianeta comporta ulteriori effetti rispetto a quelli catastrofici e di immediata percezione mediatica cui siamo ormai tristemente abituati dalle cronache televisive. Gli impatti diretti sul nostro territorio dovuti al cambiamento climatico 10

in atto sono molteplici. Tra i tanti si possono citare la ridotta disponibilità della risorsa idrica, collegata anche al ritiro dei ghiacciai, la maggiore presenza di pollini e sostanze allergizzanti, ma anche la maggiore esposizione alle radiazioni solari. Il cambiamento climatico incide anche sul tessuto socio economico inducendo impatti negativi su molteplici settori tra i quali si citano ad esempio quelli turistico ed agricolo; sono anche a rischio i fragili ecosistemi alpini, minacciati soprattutto nella biodiversità, nel degrado del suolo e nell’integrità delle foreste. Il cambiamento climatico incide negativamente anche sulla sicurezza dei cittadini imponendo riflessioni sulle opere a difesa dal dissesto idrogeologico e sulle future programmazioni di tipo urbanistico. Molti di tali aspetti sono trattati in questo numero di Environnement. L’attuale trend di crescita può secondo alcuni studiosi portare ad un aumento delle temperature che potrebbe arrivare a toccare nel 2050 valori record di 4/5 ºC. Tale dato è piuttosto allarmante in quanto il limite massimo indicato da alcuni studi autorevoli come soglia di non ritorno, oltre la quale ben difficilmente potranno essere intraprese azioni efficaci per un futuro sostenibile del pianeta, è individuato nell’intorno dei 2 ºC. Il cambiamento climatico impone due diverse linee di azione che devono essere portate avanti contemporaneamente: il contrasto e l’adattamento. La strategia del contrasto prevede di metter in campo azioni atte a ridurre l’emissione di gas ad effetto serra e ad aumentare la capacità di assorbimento da parte dell’ambiente naturale attraverso la conservazione e lo sviluppo dei cosiddetti serbatoi di CO2 (foreste e i suoli agricoli). Tali azioni devono essere necessariamente svolte a livello globale, specialmente da parte dei paesi maggiori produttori di gas serra. Parallelamente al contenimento delle emissioni occorre mettere in atto strategie di adattamento in quanto anche gli scenari più ottimistici pre-

vedono che la temperatura del globo continuerà ancora ad aumentare qualunque azione venga oggi intrapresa. Esse comportano l’adozione di azioni tese a minimizzare gli effetti negativi del cambiamento climatico e i costi sociali ad essi connessi. Si calcola che nella sola Unione Europea il costo minimo complessivo per sostenere i danni derivanti da eventi correlati al cambiamento climatico a causa di un mancato adattamento è stimato tra i 100 miliardi di Euro all’anno nel 2020 e i 250 miliardi di Euro nel 2050; è stato infine calcolato che in Italia ogni euro investito oggi in prevenzione potrebbe evitare sei euro di spesa per porre rimedio a futuri dissesti causati dal cambiamento climatico. Si tratta pertanto di attuare interventi preventivi quali sistemi di monitoraggio e previsione, opere di difesa, bacini di accumulo di acqua, ecc. A livello mondiale l’azione politica si è concretizzata soprattutto attraverso l’approvazione nel 1997 del Protocollo di Kyoto che si propone di contrastare la produzione dei gas serra e di riportarli entro limiti tali da garantire uno sviluppo sostenibile; in particolare il trattato prevede di raggiungere una riduzione dei gas climalteranti pari all’8% dei valori registrati nel 1990. La durata del Protocollo che scadeva nel 2012 è stata prorogata con l’accordo Doha fino al 2020. Il protocollo di Kyoto è però diventato operativo solo a partire dalla sottoscrizione dello stesso da parte di un numero di nazioni tali da rappresentare almeno il 55% della produzione di gas serra, ciò è avvenuto nel 2005 con l’adesione della Russia. È importante sottolineare che importanti interessi economici hanno frenato di fatto l’efficacia del protocollo, si pensi che gli Stati Uniti, che detengono il 16% del peso di emissioni, non hanno mai ratificato l’accordo e che le economie emergenti, quali Brasile, Cina e India non sono tenute ad applicarne i principi in quanto considerati paesi non responsabili della produzio-


ne di tali gas durante il periodo di industrializzazione. La recentissima conferenza Onu di Lima sui cambiamenti climatici ha approvato un documento che sarà discusso durante il vertice di Parigi in programma nel 2015, in occasione del quale dovrebbe essere approvato un documento che dovrà sostituire il protocollo di Kyoto. Il testo approvato da 145 paesi si pone l’obiettivo di giungere ad un accordo vincolante a livello planetario per limitare il riscaldamento climatico a 2 ºC, attraverso la definizione di impegni diversificati per le diverse nazioni, storicamente industrializzate (Europa, ecc.), industrializzate (Cina, India, ecc.) e in via di sviluppo e l’individuazione di meccanismi compensativi per i paesi maggiormente esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici come le piccole isole dei Caraibi. Si può affermare con un certo orgoglio che l’unica entità politica che ad oggi si è fattivamente adoperata, per ottenere risultati tangibili, è l’Unione Europea che ha stabilito precise azioni e obiettivi da raggiungere nel medio termine che ogni stato membro è tenuto a rispettare. Il primo atto della CE è il cosiddetto libro verde “L’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa – quali possibilità di intervento per l’UE” cui è seguito nel 2009 il Libro Bianco intitolato “L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo” con il quale vengono individuate quattro linee d’azione fondamentali per l’adattamento:

pubbliche e private) per assicurare l’effettiva riuscita dell’adattamento; • sostenere la cooperazione internazionale per l’adattamento assieme agli Stati Membri per integrare l’adattamento nella politica estera dell’UE. In tale libro viene anche per la prima volta fissato un concetto fondamentale, ovvero che gli effetti attesi del cambiamento climatico saranno diversi sul territorio dell’Europa e dovranno essere affrontati con strategie differenti a scala regionale. Il libro bianco e la costituzione della Direzione Generale per l’Azione sul Clima - DG CLIMA sono stati il trampolino di lancio per la definizione della Strategia di adattamento europea presentata il 16 aprile 2013 con un evento pubblico presso la Commissione a Bruxelles. Il documento principale della strategia è la Comunicazione della Commissione Europea “Strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climatici” che illustra gli obiettivi e le azioni da intraprendere da parte della Commissione in tre aree prioritarie d’azione:

• integrare l’adattamento nelle politiche chiave europee (“mainstreaming”);

1. Promuovere e supportare l’azione da parte degli Stati Membri. La Commissione incoraggia tutti gli Stati Membri a elaborare strategie di adattamento nazionali che siano coerenti con i piani nazionali per la gestione del rischio di disastri naturali e siano inclusive delle questioni transfrontaliere. Entro il 2014 verrà messo a punto un quadro di valutazione (“scoreboard”) della preparazione dei Paesi in termini di adattamento, che attraverso indicatori chiave, concorrerà a determinare se la qualità e la copertura delle strategie nazionali sia sufficiente. La Commissione metterà a disposizione fondi per aiutare gli Stati Membri a migliorare le loro capacità di adattamento.

• utilizzare una combinazione di strumenti politico-economici (strumenti di mercato, linee guida, partnership

2. Assicurare processi decisionali informati. La Commissione si impegnerà a colmare le lacune nelle

• sviluppare e migliorare la conoscenza di base sugli impatti dei cambiamenti climatici, la mappatura delle vulnerabilità, e i costi e i benefici delle misure di adattamento;

conoscenze in fatto di adattamento mediante il ricorso a programmi di finanziamento dedicati alla ricerca e dell’innovazione e al potenziamento della piattaforma informativa europea sull’adattamento ai cambiamenti climatici Climate-ADAPT. 3. Promuovere l’adattamento nei settori particolarmente vulnerabili. La Commissione continuerà la sua azione di integrazione dell’adattamento nelle politiche europee. Inoltre, la Commissione farà sì che l’Europa possa contare su infrastrutture più resilienti attraverso una revisione degli standard nei settori energia, trasporti e costruzioni. Infine promuoverà l’uso delle assicurazioni per la tutela contro le catastrofi e altri prodotti finanziari per la gestione e riduzione del rischio nel mercato europeo. L’impegno dell’Europa è anche rivolto al contrasto al cambiamento climatico, in tale direzione assume un ruolo centrale la strategia per la crescita “Europa 2020, per la transizione verso un’economia sostenibile, efficiente dal punto di vista delle risorse, attenta all’ecologia e caratterizzata da basse emissioni di carbonio; tale strategia è incardinata su cinque punti e prevede per quanto concerne i cambiamenti climatici e la sostenibilità energetica: • la riduzione delle emissioni di gas serra del 20% (o persino del 30%, nel caso in cui venga concluso un accordo internazionale sui cambiamenti climatici) rispetto al 1990; • che il 20% del fabbisogno di energia sia ricavato da fonti rinnovabili (compreso un obiettivo del 10% sui biocarburanti); • un aumento del 20% dell’efficienza energetica. Tale strategia dovrebbe concorrere all’obiettivo di evitare che la temperatura in Europa superi di più di 2 °C quella dell’epoca preindustriale. Al 11


Cambiamenti climatici produzione dei gas serra, basti pensare che la produzione di energia da fonti rinnovabili contribuisce al 51 % del fabbisogno energetico complessivo della regione, ben superiore al valore obiettivo europeo e molto vicino al valore obiettivo del 52,1% da raggiungere entro il 2020 fissato dallo Stato come contributo della regione per concorrere al perseguimento dell’obiettivo a livello nazionale.

momento l’Europa si sta riscaldando più in fretta, circa 1.3 °C rispetto alla media mondiale di 0.8 °C. Per l’Italia tale obiettivo si concretizza in una riduzione del 13% rispetto al 2005 delle quote di emissione di gas serra e nel raggiungimento della quota del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili. In generale gli obiettivi posti sono molto ambiziosi; l’Italia è tuttavia una delle poche nazioni europee a non avere ancora approvato un propria strategia per affrontare il cambiamento climatico. Malgrado questo, sono stati fatti importanti passi nella direzione della definizione di tale strategia già a partire dal 2012 con la definizione di un tavolo tecnico nazionale il cui lavoro è stato la base per la predisposizione del documento “Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici” che è stato sottoposto nel 2013 a consultazione pubblica. La Strategia Nazionale, che dovrebbe essere approvata nel corso del prossimo anno, individua dodici settori di azione. L’Italia ha comunque agito per concorrere al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla strategia europea; la nostra nazione risulta in linea con i target prefissati nei settori delle energie rinnovabili, e dell’efficienza 12

energetica, mentre appare attardata per quanto concerne la riduzione delle emissioni di gas serra. La Valle d’Aosta è maggiormente esposta, come regione alpina, al cambiamento climatico, il progressivo aumento della media delle temperature, molto prossima ai 2 °C, è in parte responsabile di numerosi fenomeni immediatamente percepibili quali il ritiro dei ghiacciai, il minor innevamento naturale, il verificarsi di eventi di dissesto idrogeologico. La Valle d’Aosta ha contributo e continua ad operare per contrastare la

Il vantaggio ambientale della Valle d’Aosta rispetto alla media nazionale, in termini di riduzione di CO2 derivante dal ricorso alle energie rinnovabili per la produzione di energia elettrica, è facilmente osservabile nel grafico soprastante. Molto rilevante, al contrario, è l’apporto derivante da impianti di riscaldamento a gasolio o biomassa usati intensivamente durante il periodo invernale. In Valle d’Aosta, la produzione di gas serra dei quali, ricordiamo, il più importante come effetto complessivo sull’ambiente è la CO2, deriva essenzialmente dal riscaldamento civile, dai trasporti e dall’Agricoltura, meno importanti sono i contributi derivanti dai processi produttivi. In Valle d’Aosta, il contributo dell’assorbimento di CO2 dalle foreste e più


in generale dalla vegetazione è piuttosto importante e va a compensare come bilancio la produzione derivante dalle attività condotte dall’uomo. Il crescente numero di edifici ad alta efficienza energetica e i numerosi interventi di adeguamento di costruzioni esistenti, grazie alle politiche di incentivazione, hanno contribuito a ridurre il fabbisogno energetico; il ricorso al metano come combustibile per il riscaldamento e il rinnovo del parco macchine hanno permesso di conseguire ulteriori benefici in termini di contenimento delle emissioni. Grazie a queste ed ad altre politiche di contenimento, la concentrazione degli inquinanti prodotti dal traffico e del riscaldamento sul territorio è in continua diminuzione, anche se il recente sempre maggior ricorso a combustibile derivante da biomasse, più economico, potrebbe ridurre l’efficacia della azioni fino a qui svolte. La Valle d’Aosta dovrà tuttavia, a fronte del continuo aumento di temperatura indotto dall’emissione di gas serra a livello planetario, porre in essere misure per adattarsi ai futuri scenari di cambiamento climatico. Adattarsi significa innanzitutto conoscere. In questo campo la Valle d’Aosta sta conducendo molte azioni per tramite di enti deputati alla ricerca e monitoraggio, quali ARPA e Fon-

dazione Montagna sicura. Per quanto concerne la variazione del clima, ARPA da anni raccoglie numerose informazioni riguardanti i valori di temperatura, le concentrazioni di gas e polveri in aria, ma anche importanti ricerche riguardo il cambiamento delle stagioni, la deposizione della neve in quota, lo stato di arretramento dei ghiacciai e la variazioni di temperatura nel permafrost. Sotto il profilo del monitoraggio sono state fatte importanti esperienze per il monitoraggio strumentale in remoto dei volumi di pioggia delle portate nei torrenti, delle frane e dei movimenti di ghiacciai e masse nevose. Le conoscenze acquisite nel corso degli ultimi anni inducono ad immaginare un quadro in rapido cambiamento. Adattarsi comporta anche mettere in atto azioni ben mirate atte a ridurre gli effetti derivanti da un progressivo innalzamento delle temperature; nei settori più coinvolti:

• rischi naturali; • degrado del suolo. Tramite la definizione di strumenti di pianificazione coerenti con i mutamenti previsti, di sistemi di monitoraggio e di allerta e la realizzazione preventiva di opere di difesa. La Valle d’Aosta sta lavorando per non farsi trovare impreparata rispetto alle nuove sfide che si profilano all’orizzonte. Nel seguito di questo numero di Environnement sono descritte alcune importanti esperienze sul fronte conoscitivo afferenti la qualità dell’aria, il mutamento del clima e gli effetti dell’innalzamento delle temperature in quota. Importanti esperienze sono state fatte anche riguardo la prevenzione, si citano ad esempio il monitoraggio degli spostamenti e la realizzazione di opere di protezione della frana di La Saxe o il monitoraggio e la previsione del crollo del ghiacciaio delle Grandes Jorasses e delle relative azioni di protezione civile.

• risorse idriche; • energia; • agricoltura e allevamento; • turismo - diversificazione; • salute e qualità dell’aria; • patrimonio artistico e paesaggistico; • ecosistemi, biodiversità e aree protette; • foreste;

* Assessorato territorio e ambiente.

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Cambiamenti climatici

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e misure necessarie per far fronte ai cambiamenti climatici.

MITIGAZIONE E ADATTAMENTO di C HIARA MINELLI*

ell’ultimo periodo, il dibattito sui cambiamenti climatici si è fatto strada con maggiore insistenza investendo, in particolar modo, la politica e la società civile. Non è raro sentir, oggigiorno parlare di misure da intraprendere per combattere i cambiamenti climatici, attraverso azioni che ne riducano l’entità e altre invece che diminuiscano le vulnerabilità dell’ambiente e delle attività umane alle variazioni del clima. Si parla rispettivamente di misure di mitigazione e misure di adattamento. Le misure di mitigazione non sono di certo una novità: l’idea di misure concrete per limitare i cambiamenti climatici ha cominciato a prendere piede negli anni ’80, assieme ad una crescente presa di coscienza della minaccia da essi rappresentata. Nel 1992 venne approvata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) allo scopo di promuovere un’azione coordinata mirata a stabilizzare le concentrazioni di gas serra in atmosfera. Il Protocollo di Kyoto entrò invece in vigore nel 1997, impegnando i Paesi sottoscrittori ad una riduzione quantitativa delle proprie emissioni di gas serra, nel 2012, rispetto ai propri livelli di emissione nel 1990 in percentuale diversa da Stato a Stato. Concretamente, la mitigazione dei

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cambiamenti climatici comprende interventi di riduzione delle sorgenti di emissione di gas serra e attività per la promozione dell’assorbimento forestale compensativo di CO2, dovuto al ciclo fotosintetico delle piante, attraverso la diminuzione della deforestazione ed il contemporaneo aumento della superficie forestale. La stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche di gas serra richiede misure di riduzione delle emissioni in tutti i settori chiave quali la produzione e l’uso di energia, i trasporti, l’edilizia, le industrie, l’uso del suolo e gli insediamenti umani. Oltre a campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione, il cui obiettivo è quello di promuovere un comportamento sostenibile e attento all’ambiente, altri esempi di misure di mitigazione consistono in incentivi per l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, nella costruzione di edifici a basso consumo energetico, nella limitazione del transito di mezzi inquinanti e nella promozione dell’utilizzo di mezzi pubblici in modo da limitare la necessità di utilizzare l’auto, soprattutto nelle città. Tuttavia, nonostante le misure di riduzione già attuate in vari Paesi, le emissioni di gas serra hanno continuato a crescere causando un ulteriore riscaldamento e cambiamenti

in tutte le componenti del sistema climatico. Le proiezioni climatiche per i prossimi decenni e per la fine del XXI secolo mostrano che i cambiamenti climatici sono destinati a continuare: anche se si riuscissero a raggiungere gli ambiziosi obiettivi stabiliti dagli accordi internazionali, la maggior parte degli aspetti del cambiamento climatico perdurerebbero, comunque, per parecchi secoli. Il clima sta cambiando in modo molto rapido e la mitigazione da sola non sarà sufficiente, nel medio termine, ad arginarne gli effetti sui sistemi ambientali e sui settori socio-economici. Per quanto le politiche e gli sforzi volti a ridurre le emissioni si possano rivelare efficaci, qualche cambiamento climatico è inevitabile; pertanto, sono necessarie anche strategie e azioni per adattarsi al suo impatto. Le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici consistono proprio in misure intraprese per ridurre le conseguenze avverse e sfruttare le eventuali opportunità portate dal mutamento delle condizioni climatiche. Adattarsi vuol dire apportare le modifiche necessarie ai processi, alle pratiche o alle strutture che potrebbero risentire negativamente dei cambiamenti climatici, diminuendo la vulnerabilità dei sistemi ecologici, e dei settori socio-economici ed au-


mentandone la resilienza agli effetti dei cambiamenti climatici già in atto. Il concetto di adattamento ha cominciato a prender piede a metà degli anni ’90. Nel 1994, con l’entrata in vigore dell’UNFCCC, che attribuiva un ruolo prioritario ai meccanismi di riduzione dei gas, si è cominciato a prendere in considerazione il fatto che, pur nell’ipotesi teorica che le emissioni antropiche di gas serra possano essere azzerate, nel medio termine gli impatti dei cambiamenti climatici dovranno in qualche modo essere affrontati. L’adattamento, a differenza della mitigazione, ha una dimensione molto più locale dato che regioni diverse sono interessate dai cambiamenti climatici in maniera differenziata a causa di una non uniforme distribuzione delle capacità adattive e delle caratteristiche delle popolazioni, dei settori socio-economici e dei sistemi naturali. Perché sia efficace, una strategia di adattamento deve avere un focus locale, che tenga conto della peculiarità del luogo per il quale è elaborata. Nel corso degli anni molti Stati ed alcune regioni hanno approvato Strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, solitamente seguite da Piani d’azione specifici in cui vengono delineate le misure concrete da intraprendere per l’adattamento. Per la Valle d’Aosta, regione alpina prevalentemente montuosa, quella di una strategia di adattamento è una tematica estremamente sensibile in quanto le regioni montane sono particolarmente colpite dai cambiamenti climatici e dai loro effetti sulla morfologia del territorio ed i correlati rischi naturali. L’adattamento consiste, in parte, in interventi strutturali specifici, come misure di protezione contro le piene e contro le frane, immagazzinamento dell’acqua in bacini di ritenuta là dove si teme la sua scarsità, miglioramenti della rete di distribuzione delle risorse, gestione sostenibile in settori come turismo e agricoltura e monitoraggio delle specie animali e vegetali a rischio. Tuttavia, oltre alla definizione di linee guida riguardo ad in-

terventi strutturali e alla diffusione di informazioni utili e buone pratiche, un importante obiettivo attorno al quale ruotano tutte le strategie di adattamento è quello di colmare il più possibile le lacune conoscitive in ambito di cambiamenti climatici. Le lacune sono presenti anche a causa dell’elevato grado di incertezza che caratterizza le dinamiche climatiche e di conseguenza la previsione e la quantificazione economica dei possibili impatti. L’intento è prima di tutto quello di produrre informazioni coerenti sull’andamento della situazione climatica, sugli impatti dei cambiamenti e sui possibili danni, costi e benefici dell’adattamento; sarà importante perfezionare i metodi di analisi e valutazione del rischio, implementare processi decisionali più efficaci e predisporre mezzi di monitoraggio e di valutazione delle misure di adattamento. Seppur costoso, l’adattamento rappresenta l’unica via percorribile complementarmente alla mitigazione: i costi economici e sociali derivanti da un mancato adattamento sono stimati in Europa dai 100 miliardi di euro l’anno nel 2020 ai 250 miliardi nel 2050. Per saperne di più sull’adattamento: Climate-ADAPT è la piattaforma europea sull’adattamento e contiene un ampio insieme di dati e di informazioni sui rischi dei cambiamenti climatici, sulle politiche di settore dell’UE, sulle pratiche di adattamento e le iniziative nazionali: http:// climate-adapt.eea.europa.eu/

matico e dei suoi impatti sul territorio montano e sui settori socio-economici. Eco innovation en altitude Il progetto ALCOTRA “Eco innovation en altitude” per il quale l’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Autonoma Valle d’Aosta è capofila, coinvolge partner francesi e svizzeri. Il fine è quello di giungere all’applicazione di strumenti comuni per la gestione sostenibile delle strutture ricettive in quota e proporre soluzioni specifiche riguardo all’efficienza nella gestione delle risorse idriche, del ciclo dei rifiuti e dell’energia.

Che cosa si è fatto e cosa si sta facendo in Valle d’Aosta?

ACQWA Il progetto ACQWA (Assessing Climate Impacts on the Quantity and quality of Water) è stato coordinato dall’Università di Ginevra e si è concluso nel 2013, dopo cinque anni di attività. Vi hanno partecipato l’ARPA Valle d’Aosta, l’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, la Compagnia Valdostana delle Acque e Fondazione Montagna Sicura. Il progetto è stato incentrato sulla valutazione delle risorse idriche nelle regioni montane e della loro vulnerabilità agli effetti dei cambiamenti climatici. I risultati ottenuti dai modelli climatici sono stati utilizzati per quantificare gli impatti ambientali, economici e sociali di un’eventuale variazione della disponibilità e della qualità delle risorse idriche in modo da valutare l’adeguatezza dei sistemi di gestione attuali e da identificare le strategie di adattamento necessarie per alleviare gli impatti più negativi dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche.

La Regione è attualmente impegnata nella stesura di una Strategia locale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici ed è attiva nel comprendere e combattere i cambiamenti climatici nell’ambito dei vari progetti europei nei quali è coinvolta. In collaborazione con vari enti ed associazioni, la Regione ha partecipato, negli anni, a numerosi progetti volti proprio alla comprensione del cambiamento cli-

AdaptAlp AdaptAlp è un progetto Alpine Space Programme, svoltosi tra il 2008 ed il 2011, al quale hanno partecipato ben 16 partner, tra i quali la Regione Autonoma Valle d’Aosta, provenienti da 6 diversi Paesi dell’arco alpino. Il progetto è risultato in un approfondimento delle conoscenze nell’ambito degli impatti climatici sul territorio alpino, sia in materia di proiezioni 15


Cambiamenti climatici climatiche ed impatti sulle risorse idriche, sia in materia di gestione del rischio geologico ed idrologico e nell’elaborazione di linee guida riguardo agli aspetti da migliorare nella gestione integrata del rischio. ClimAlp Tour Si tratta di un progetto Alpine Space Programme, svoltosi tra il 2009 e il 2011, che ha coinvolto l’intero arco alpino, dalla Slovenia alla Savoia, con la partecipazione della Regione Autonoma Valle d’Aosta attraverso gli Assessorati del Territorio e Ambiente e del Turismo, Sport, Commercio e Trasporti. Nell’ambito del progetto sono stati elaborati vari scenari al fine di identificare gli impatti dei cambiamenti climatici sul turismo montano e di elaborare eventuali strategie per oltrepassare i vincoli attuali e

per proteggersi dalle minacce future. Due delle 22 località pilota utilizzate come casi-studio sono state scelte in territorio valdostano; si tratta di Valgrisenche e dalla zona del Monte Rosa (composta dai comuni di Gressoney Saint-Jean, Gressoney-La-Trinité e Ayas). Tra le strategie proposte dai vari portatori di interesse coinvolti nel progetto spiccano quelle che mirano allo sviluppo di un tipo di turismo svincolato dalle stagioni, destinato a tutti e soprattutto alle famiglie e che, oltre alla promozione di iniziative sportive, miri ad incrementare le occasioni di contatto con la natura e la cultura locali.

l’Assessorato Territorio e Ambiente con il supporto tecnico di Fondazione Montagna Sicura e di ARPA Valle d’Aosta. L’obiettivo era quello di arrivare ad una migliore comprensione delle risposte termiche e geomorfologiche del permafrost ai cambiamenti climatici. Nell’ambito del progetto è stata realizzata una rete comune di monitoraggio del permafrost nello spazio alpino, oltre ad un catasto delle evidenze di permafrost ed una mappa della distribuzione del permafrost nelle Alpi. Sono inoltre state sviluppate delle linee guida per la considerazione del permafrost nella gestione dei rischi naturali.

PermaNET PermaNET è un progetto portato avanti nel periodo 2009 - 2011 al quale ha partecipato, tra gli altri,

* Tirocinante presso Assessorato territorio e ambiente.

L’ESPACE MONT-BLANC ET LE RÉCHAUFFEMENT CLIMATIQUE La Conférence transfrontalière Mont-Blanc, entité de coopération entre l’Italie, la France et la Suisse, créée en 1991 pour la valorisation et la sauvegarde du territoire du Mont-Blanc, a élaboré et mis en place, au fil des années, sa stratégie commune de développement durable. En sus des nombreuses actions concrètes réalisées par un vaste partenariat public et privé dans des secteurs tels que l’efficacité énergétique, le tourisme doux, l’éducation à l’environnement, les produits à km 0, l’Espace Mont-Blanc a lancé, en 2013, une réflexion ponctuelle sur la thématique du changement du climat. Partant du constat que le réchauffement climatique a un impact majeur dans les Alpes et que ses conséquences sont bien visibles - pensons au retrait des glaciers -, il a été estimé stratégique de faire du massif glaciaire du MontBlanc et des vallées qui l’entourent, un territoire favorisant la prise de conscience des évolutions climatiques, à tous les niveaux. Chercheurs, techniciens et experts des trois régions au pied du Mont-Blanc se sont donc rapprochés afin de saisir l’opportunité des fonds européens 2014-2020 et concevoir des actions communes. Le défi est réussir la mise en œuvre d’outils adaptés pour favoriser la résilience de cette région transfrontalière, considérée un véritable thermomètre du réchauffement climatique. Quatre pistes de travail ont d’ores et déjà été retenues : • planification et aménagement d’un territoire qui change, avec l’objectif d’intégrer les changements climatiques dans les outils de planification territoriale ; • réseau permanent des études et données scientifiques, avec l’objectif de faire du territoire du Mont-Blanc un centre de compétence pérenne et ambitieux ; • gestion des ressources (exemple de l’eau) et gestion du risque, avec l’objectif d’améliorer la réponse des collectivités locales et leur fournir des outils d’aide à la décision ; • éducation et sensibilisation des différents publics visés : citoyens, professionnels de la montagne, techniciens, élus. Stefania Muti (Assessorat du territoire et de l’environnement)

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Cambiamenti climatici

C

he cosa è cambiato in agricoltura e gli effetti registrati in Valle d’Aosta.

AGRICOLTURA E CAMBIAMENTI CLIMATICI di EDI P ASQUETTAZ*

agricoltura dipende strettamente dalle condizioni del clima, in modo particolare dalle temperature e dalle precipitazioni per cui ogni cambiamento climatico provoca delle modifiche a volte sostanziali alle quantità e qualità delle produzioni. Tenuto conto dell’importanza dell’agricoltura per il nutrimento del Pianeta è necessario monitorare con attenzione le possibili variazioni del clima e gli effetti di queste modificazioni e orientare la politica verso scelte (strategie di mitigazione e adattamento) anche complesse per la salvaguardia di questo settore fondamentale per il benessere e la sopravvivenza stessa dell’uomo sulla Terra. I numerosi dati relativi alle proiezioni future dei cambiamenti climatici, non sempre coincidono fra loro, tuttavia gli studiosi concordano sul fatto che la tendenza per il futuro è

L’

I cambiamenti climatici avranno un particolare impatto sulle colture erbacee che sono alla base del sistema agricolo valdostano fondato prevalentemente sulla zootecnia.

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Cambiamenti climatici un progressivo aumento delle temperature, a causa dell’immissione in atmosfera dei gas serra, con conseguenze estremamente gravi per la vita e le attività dell’uomo. Variazioni di temperatura e precipitazioni La relazione “Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012” rileva che in tutta Europa sono state osservate temperature medie più elevate rispetto al passato, nonché precipitazioni in diminuzione nelle regioni meridionali e precipitazioni in aumento in Europa settentrionale. La crosta ghiacciata della Groenlandia, i ghiacci nell’Artico e numerosi ghiacciai in Europa si stanno sciogliendo, le superfici innevate sono diminuite e il permafrost si è riscaldato. Gli eventi climatici estremi degli ultimi anni, quali ondate di caldo, alluvioni, siccità, frane, hanno causato in Europa un aumento dei costi legati ai danni ambientali. Se da un lato sono necessari maggiori elementi per capire il ruolo svolto dal cambiamento climatico nel delinearsi di questo scenario, dall’altro la crescita dell’attività umana nelle aree a rischio si è rivelata un fattore decisivo. Si prevede che gli eventi climatici estremi diventeranno sempre più intensi e frequenti e i futuri cambiamenti climatici contribuiranno ad accentuare la vulnerabilità di tale situazione. Il decennio 2002-2011 è stato il più caldo registrato in Europa, con una temperatura della superficie terrestre più alta di 1,3 °C rispetto alla temperatura media in epoca preindustriale. Diversi modelli di proiezione climatica evidenziano che la temperatura in Europa potrebbe alzarsi di 2.5 – 5 °C verso la fine del XXI secolo, rispetto alla media del periodo 1961-1990. L’aumento delle temperature intensifica il ciclo dell’acqua per cui nelle zone più a rischio il cambiamento climatico accentuerà il fenomeno delle inondazioni, in particolare nell’Europa settentrionale. 18

La siccità dei fiumi sembra essere diventata più grave e frequente nel sud dell’Europa. Secondo le proiezioni più attendibili, in estate il livello minimo dei fiumi diminuirà significativamente in particolare nell’Europa meridionale, pertanto anche nel nostro paese. È ormai evidente che i ghiacciai delle Alpi, a causa dell’aumento della temperatura e della diminuzione delle precipitazioni nevose, hanno perso una parte importante del proprio volume (circa due terzi con riferimento all’anno 1850) e le proiezioni indicano che la tendenza continuerà anche in futuro. Si presume, infatti, che si assisterà alla scomparsa dei ghiaccia entro la fine del XXI secolo, con gravi conseguenze sui flussi delle acque di superficie. Tralasciando l’esame di eventi estremi come le alluvioni, si può affermare che le conseguenze del riscaldamento globale, dovuto all’emissione dei gas serra, stia manifestando i suoi effetti anche a livello locale. In Valle d’Aosta la temperatura è l’indicatore climatico che più direttamente mette in evidenza il cambiamento del clima. Negli ultimi trent’anni si è visto che è la primavera la stagione che presenta la tendenza al maggior aumento di temperatura, mentre in autunno il fenomeno è meno evidente. Per quanto concerne il regime delle precipitazioni si è rilevato che sulla metà occidentale della Valle prevale il massimo pluviometrico autunnale e il minimo estivo, mentre sulla metà orientale prevale il massimo primaverile e il minimo invernale. La carenza di precipitazioni nel periodo estivo può diventare nel futuro, concomitante con l’aumento delle temperature, un problema per l’agricoltura, specialmente lungo i versanti soleggiati della valle centrale, in cui l’evapotraspirazione è più intensa e i temporali estivi sono meno frequenti rispetto alle valli laterali. È noto che sin dal medioevo, a causa della siccità generalizzata di una regione endoalpina come la Valle d’Aosta, sono stati costruiti numerosi

canali (rû) lungo i versanti che prelevano l’acqua dagli alvei dei torrenti per distribuirla, dopo lunghi percorsi, a vasti comprensori agricoli composti da prati, prati-pascoli e colture fruttifere. Il ritiro dei ghiacciai, e la conseguente diminuzione delle risorse idriche, potrà rappresentare pertanto, a medio-lungo termine, una incognita per lo sviluppo della nostra agricoltura. Dall’esame dei dati storici raccolti in alcune stazioni della nostra regione, a conferma dei cambiamenti climatici globali, risulta che il 2014 è stata mediamente più calda delle precedenti. La primavera è stata caratterizzata da scarse precipitazioni, mentre l’estate è stata fresca e piovosa e ciò ha influito diversamente sulle produzioni delle colture. Influenza dei cambiamenti climatici sulla vegetazione e in generale sull’agricoltura I cambiamenti climatici, in particolare l’aumento delle temperature e la modifica del regime delle precipitazioni, hanno, e avranno maggiormente in futuro, un impatto sulla vegetazione e sulle colture erbacee, che sono alla base del sistema agricolo valdostano fondato prevalentemente sulla zootecnia, nonché sulle colture arboree. Va precisato che gli effetti delle variazioni climatiche sull’agricoltura sono dovuti non soltanto a fenomeni quantitativi di precipitazione e temperatura ma spesso alla frequenza dei fenomeni. Oggi è più che mai evidente l’aumento di eventi “estremi”(siccità, grandinate, piogge intense e di breve durata, gelate, allagamenti di vaste aree) che provocano enormi disagi alle attività economiche e in particolar modo all’agricoltura. In relazione ai comprovati cambiamenti climatici la stessa politica agricola comunitaria ha profondamente modificato gli indirizzi di programmazione, passando da un orientamento di sostegno alle produzioni a interventi di sostegno alla eco-compatibilità dell’attività agricola, al


mantenimento del territorio e della biodiversità. Nella nuova politica comunitaria assumono pertanto maggiore importanza gli aspetti ambientali e sociali, la conservazione e la qualità delle risorse naturali, in particolare della risorsa idrica. L’attenzione, soprattutto nelle zone montane, è rivolta pertanto non solo al mantenimento delle produzioni, pur importanti per la sostenibilità economica dell’agricoltura, ma fondamentalmente alla conservazione e manutenzione del territorio. In un quadro di cambiamenti climatici rapidi la presenza dell’uomo coltivatore e manutentore in montagna diventa l’elemento fondamentale per la difesa idrogeologica e ambientale del territorio valdostano e delle zone limitrofe di pianura. I due fenomeni illustrati, ossia l’aumento delle temperature e la modifica del regime delle precipitazioni, influenzano tutti i settori dell’economia ma, per brevità, ci soffermeremo solo sul settore agricolo. Le analisi fenotipiche effettuate in diversi paesi europei evidenziano una precocità delle fasi primaverili rispetto al passato. Negli ultimi trent’anni si è registrato un progressivo anticipo del periodo di fioritura delle piante che può comportare rischi per l’allegagione a causa di gelate tardive. Studi sulla biodiversità dei pascoli alpini hanno dimostrato che è in atto una variazione delle composizioni della flora con adattamento delle specie autoctone e migrazione nelle parti alte dei versanti di specie neofite che rifuggono dalle zone originarie a causa delle temperature elevate per collocarsi in habitat più adatti. Per alcune colture agrarie, in particolare nel caso di cereali come il grano, con l’aumento delle temperature si è accertata una diminuzione di produzione e un impoverimento del valore nutrizionale. Per la vigna e per le colture arboree l’anticipo della fenologia potrebbe costituire un rischio per le possibili gelate nel periodo della fioritura. Gli

studi in ambito francese hanno prefigurato che l’aumento della temperatura media si può tradurre in condizioni complessivamente favorevoli per la viticoltura con un aumento del tenore in alcool e una diminuzione di acidità. Il problema è piuttosto ravvisabile nel mantenimento della tipicità che rappresenta il valore aggiunto delle produzioni. Anche per le foreste, nonostante l’aumento del diossido di carbonio nell’atmosfera, che dovrebbe permettere un aumento dell’attività fisiologica delle piante, si è rilevata una limitazione degli accrescimenti nelle aree in cui l’aumento delle temperature è stato particolarmente accentuato. Gli eventi climatici estremi rendono inoltre le colture più vulnerabili a parassiti e funghi. Ad esempio il mais, utilizzato nei mangimi per bovini, nelle estati molto secche è attaccato dalle aflatossine, sostanze cancerogene derivanti da un fungo (Aspergillus flavus) che attacca i raccolti rendendo inutilizzabili le produzioni. La conseguenza negativa per la nostra agricoltura di montagna è l’aumento dei prezzi all’acquisto dei mangimi. Studi recenti hanno dimostrato che anche i parassiti delle foreste, come ad esempio la Processionaria del Pino (Thaumetopoea pityocampa) insetto defogliatore che interessa le pinete della Valle d’Aosta centrale, con l’aumento della temperatura ha accresciuto il proprio areale verso nord e verso le parti alte dei versanti. In Valle d’Aosta, pur non avendo a disposizione studi specifici sugli scenari futuri dei cambiamenti climatici in ambito agricolo, si analizzano da anni, attraverso l’ufficio servizi fitosanitari dell’Assessorato agricoltura, i dati raccolti dalle stazioni metereologiche regionali al fine di fornire indicazioni sugli interventi di difesa delle piante. È noto, infatti, che lo sviluppo delle fitopatie dipende dall’interazione pianta-patogeno-clima. Emblematiche sono alcune malattie quali l’oi-

dio e la peronospora della vite e la ticchiolatura e l’oidio delle pomacee i cui attacchi sono influenzati in modo diretto dalla piovosità e dall’umidità dell’aria. Per le pomacee, il 2014 è stata favorevole alla qualità. La ticchiolatura, proprio grazie alle scarse precipitazioni primaverili, non si è sviluppata in modo preoccupante e le piogge estive hanno contribuito a compensare la mancanza d’acqua dei terreni sciolti della Valle d’Aosta. Diversa è stata la situazione per la vite: peronospora e oidio sono stati fortemente favoriti rispettivamente dalle piogge estive e dall’elevata umidità dell’aria. Molti vigneti hanno subito inoltre gravissimi danni dovuti a marciume acido, attribuito in gran parte a un insetto Drosophila suzukii, di origine asiatica, arrivato in Valle d’Aosta nel 2011 e capace di deporre le sue uova negli acini integri. In realtà l’azione del suddetto insetto è stata sopravvalutata. Le temperature fresche e l’elevata umidità hanno favorito, infatti, lo sviluppo di tutti i drosophilidi, compresi quelli locali che in presenza di acini danneggiati da oidio e peronospora hanno trasportato all’interno degli acini i lieviti e batteri responsabili del deterioramento. La dannosità di Drosophila suzukii, è stata invece chiaramente dimostrata sui piccoli frutti a maturazione tardiva la cui produzione è stata distrutta in molti campi. L’impronta del cambiamento climatico, in particolare l’incremento costante della temperatura media annuale, a partire dagli anni 70 in poi, comporta dal punto di vista enologico, come si è detto sopra, vini con gradazioni alcoliche più elevate, acidità ridotte, tonalità coloranti più opache. Per quanto riguarda gli aspetti produttivi della trasformazione, questo diverso equilibrio, può indurre problemi di arresto delle fermentazioni, maggiore frequenza di infezioni batteriche indesiderate, conservazione e maturazione di maggiore difficoltà e complessità. 19


Cambiamenti climatici Il settore frutticolo dovrà adattarsi ai mutamenti climatici scegliendo delle varietà resistenti agli aumenti di temperatura.

Su varietà medio-tardive, ci possono essere problemi di maturazione fenolica incompleta o comunque insufficiente, con espressione di tannini ruvidi ed amari . Tutto ciò significa l’implementazione di nuove” strategie” nella vinificazione, dalla scelta di ceppi di lievito meno performanti nella trasformazione zucchero/alcol, alla sottrazione di vinaccioli ed all’utilizzo di macerazioni differite dalla fermentazione, per compensare una maggiore “asprezza” tannica. In conclusione, doveroso evidenziare come la prospettiva di un inevitabile aggravamento in futuro dei cambiamenti climatici, in particolare di un aumento progressivo delle temperature e di una modifica dei regimi delle precipitazioni, obbliga a mettere in atto delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici. Competerà in primo luogo ai decisori politici, a livello europeo e mondiale, definire le strategie ormai indifferibili volte a mitigare l’effetto serra con misure più mirate alla conservazione dell’ambiente, in particolare diminuendo drasticamente la produzione di gas serra, indirizzando i paesi verso forme alternative di produzione dell’energia, ed evitando la deforestazione nelle zone ancora densamente boscate. 20

Con l’aumento progressivo della popolazione mondiale, l’agricoltura assumerà in futuro una importanza strategica per la produzione dell’alimentazione, soprattutto nei paesi del sud che sono confrontati con i problemi della desertificazione. A livello locale si potranno limitare gli effetti dei cambiamenti climatici adattandosi all’impiego di nuove tecniche di coltivazione e all’impiego di nuove varietà colturali. Nelle zone di montagna una particolare attenzione dovrà essere rivolta all’utilizzazione delle acque che, con la progressiva riduzione delle superfici dei ghiacciai, diventeranno particolarmente preziose sia per gli usi alimentari che per la produzione agricola. Un eccessivo prelievo da parte di impianti idroelettrici ormai diffusi nelle nostre vallate potrebbe creare in futuro dei problemi alla produzione primaria e generare dei conflitti sull’uso delle acque. Si tratterà pertanto di applicare con puntualità le prescrizioni del Piano regionale delle acque modificando gli indirizzi secondo le esigenze che si verranno a creare nel breve e medio periodo. Sarà indispensabile altresì razionalizzare l’utilizzo delle acque in particolare quelle utilizzate per l’irrigazione. Le zone agricole della Valle d’Aosta sono peraltro dotate in buona parte di impianti di irrigazione a pioggia

che permettono un risparmio notevole di acqua. Un ulteriore intervento di adattamento ai cambiamenti climatici è rappresentato dall’utilizzazione di fonti alternative di energia. Con il procedere della modernizzazione le aziende agricole si sono dotate in modo consistente di impianti fotovoltaici contribuendo pertanto ad una diminuzione dei gas serra. Infine in ambito forestale, si può affermare che la Valle d’Aosta ha contribuito nell’ultimo mezzo secolo alla conservazione e al miglioramento delle foreste con una attività di monitoraggio dei boschi pubblici e privati e con una intensa e moderna attività selvicolturale.

* Coordinatore del Dipartimento Agricoltura Assessorato Agricoltura e Risorse naturali. In collaborazione con Massimo Bellocchia, Rita Bonfanti Rita e Giovanni Vauterin.

Bibliografia - CLIMAGRI, Cambiamenti climatici e Agricoltura, Cagliari 16-17 gennaio 2003. - Agriregionieuropa, anno 6, n. 21, giugno 2010. D. Pettenella, L. Ciccarese. - CIPRA,Agricoltura e cambiamenti climatici, n. 2/2011. - Regione autonoma Valle d’Aosta, Cambiamenti climatici in Valle d’Aosta, opportunità e strategie di risposta. Società meteorologica Subalpina.


Cambiamenti climatici

U

na buona attività di prevenzione sanitaria e una sorveglianza epidemiologica costante sono azioni fondamentali per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sull’uomo e sugli animali.

GLI EFFETTI SULLA SALUTE

cambiamenti climatici, già in atto, hanno certamente un impatto sugli ecosistemi e sulla salute delle popolazioni, dei singoli individui ed in particolar modo, del mondo animale. Appare necessario quindi prevedere degli interventi di sanità pubblica che possano, integrandosi con informazioni di altra natura, contrastare gli effetti del cambiamento in maniera efficace. Il ruolo della ricerca epidemiologica dovrà essere quella di produrre prove di associazione tra esposizione a fattori climatici ed effetti (diretti ed indiretti) sulla salute esaminando ambiti ancora poco esplorati, identificando, nella popolazione, i soggetti più vulnerabili. Sarà inoltre necessario anche prevedere, orientando la ricerca verso modelli complessi in grado di chiarire quale sarà l’impatto sulla salute, gli scenari climatici futuri.

dizioni di rischio per la salute della popolazione (vedasi le ondate di calore, il cambiamento della stagionalità e dell’intensità delle epidemie, l’incremento delle tossinfezioni alimentari ...), studiare programmi di prevenzione mirati a sottogruppi di popolazione a maggior rischio, ipotizzando progetti elaborati dalle comunità scientifiche e degli operatori sanitari al fine di produrre evidenze per i decisori politici sugli interventi di mitigazione da adottare e sulla loro efficacia. Non ultimo quello di informare la popolazione su comportamenti e stili di vita da modificare, e rendere partecipi delle decisioni gli operatori sanitari che possano intervenire capillarmente sul territorio.

I

In materia di salute umana, la risposta immediata, per contrastare questi effetti, è quella dell’adattamento, ipotizzando sistemi di allarme, per prevedere in anticipo l’arrivo di con-

di MAURIZIO C ASTELLI

E

MAURO RUFFIER*

In Valle d’Aosta, l’Azienda Usl, nei prossimi anni sarà impegnata nell’applicazione del Piano Nazionale della Prevenzione e nel Piano Regionale della Prevenzione 20142018 che prevede fra l’altro, nei suoi macro-obiettivi, quello di ridurre l’esposizione ambientale potenzialmente dannose per la salute. Sarà quindi

fondamentale prevedere strategie per contrastare i fattori di rischio tenendo conto delle attività già previste in altri ambiti (economia, trasporti, ambiente eccetera). Sarà necessario mettere a punto, o potenziare strumenti, che siano in grado di integrare dati epidemiologici e ambientali disponibili, combinati con quelli di tipo demografico e socio- economico al fine di orientare le decisioni politiche in ottica integrata (facciamo ad esempio il caso del potenziamento dei registri di patologia come il registro tumori, degli studi di sorveglianza, di attività di promozione di stili di corrente) rendendo contestualmente protagonisti delle scelte i singoli cittadini. Nella pratica sarà indispensabile stabilire linee di indirizzo operativo allo scopo di attuare azioni appropriate rispetto al livello di rischio ambientale/sanitario. Si dovranno attivare nuove e più approfondite ricerche per la comprensione dei meccanismi di nocività degli inquinanti nei soggetti esposti, prevedere un percorso di formazione del personale sanitario (soprattutto MMG e PLS) e istituire 21


Cambiamenti climatici una corretta campagna di comunicazione. È fondamentale l’istituzione di una regia competente e autorevole della risposta istituzionale da collocare a livello regionale. La valutazione degli atti sanitari delle modificazioni ambientali indotte dalle politiche settoriali infatti soffre, tuttora, della mancanza di integrazione e sistematicità. In ambito veterinario, si sta assistendo al costante ingresso sul territorio europeo di patologie nuove, un tempo considerate esotiche, quali West Nile Disease, Dengue, Chikungunya, Blue-tongue, tutte o quasi trasmesse da vettori. Oltre alle patologie riemergenti, prime tra tutte la tubercolosi. In un’era di grandi cambiamenti climatici e della globalizzazione le malattie emergenti e ri-emergenti costituiscono un problema sia per i Paesi in via di sviluppo sia per le economie più avanzate, una minaccia globale reale a causa della stretta interdipendenza economica su scala mondiale e dei movimenti internazionali di merci, animali vivi e persone e, con questi, di vettori e patogeni. Come prevenire la diffusione di patologie emergenti? Quali i meccanismi di controllo? Lo strumento più valido per monitorare l’introduzione delle malattie emergenti e ri-emergenti è la sorveglianza epidemiologica costante che consente, grazie alla sua flessibilità, di individuare e fronteggiare le emergenze sanitarie veterinarie. Prioritariamente, quindi, controllo sanitario di frontiera e sul territorio da parte dei servizi veterinari e medici come vigilanza della potenziale diffusione di molte malattie di origine esterna. A tale categoria di agenti patogeni occorre aggiungere altre patologie non trasmesse da insetti vettori che si sono recentemente affacciate nel bacino del Mediterraneo o comunque avvicinate ai territori Europei, sia a seguito del commercio internazionale di animali e loro prodotti sia in seguito al peggioramento dei sistemi di controllo veterinari dovuti a pro22

blematiche politico-sociali che hanno interessato diversi Stati. La comparsa di malattie quali, ad esempio, l’afta epizootica nel nord-Africa, la Peste dei piccoli ruminanti in Marocco oppure la diffusione di zoonosi quali la rabbia o il carbonchio ematico che, ancora oggi, rappresentano grosse problematiche sanitarie in diverse aree dell’Est Europeo e dei Paesi del Caucaso, rappresenta un forte campanello d’allarme per l’Europa e per l’intero Bacino del Mediterraneo. Anche l’Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale (OIE), conscia dei problemi sopra riportati, ha attivato recentemente un proprio ufficio a Tunisi, fortemente voluto e sostenuto dalle autorità veterinarie italiane. L’Italia è chiaramente in prima linea rispetto al governo di tali complessi fenomeni, sia per la sua collocazione geografica nel centro del Mediterraneo, sia come Paese forte importatore di animali e di materie prime. L’Italia, pertanto, già da tempo si è dato un sistema di prevenzione, gestione ed intervento delle emergenze legate alle malattie degli animali riconosciuto tra i migliori del mondo. Il coordinamento svolto dal Centro Nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali, attivo presso il Ministero della Salute, assicura l’armonica attuazione su tutto il territorio nazionale delle azioni di sorveglianza, anche grazie alla rete dei Centri di referenza nazionale istituiti in diversi Istituti Zooprofilattici Sperimentali. Centri di referenza come quelli, ad esempio, sull’influenza aviare presso l’Istituto Zooprofilatico Sperimentale di Padova, il Centro di Referenza per lo studio delle malattie esotiche, presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo e il Centro di Referenza per le Malattie degli Animali Selvatici (CERMAS) di Aosta dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta assicurano un supporto tecnico-scientifico di eccellenza indispensabile per la scelta delle strategie di controllo e di eradicazione delle malattie stesse. Tali Isti-

tuzioni, inoltre, funzionano sia come centri di ricerca di eccellenza, sia da luoghi di sviluppo di strategie d’intervento globali ed interdisciplinari, che rappresentano i soli approcci che, quando concertati con le Istituzioni veterinarie dell’Unione Europea e l’Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale (OIE), possono creare i presupposti per azioni realmente efficaci nel controllo e nella lotta delle patologie emergenti. Nel Bacino del Mediterraneo, un caso esemplare di variazione della distribuzione, anche con conseguenze sanitarie notevoli è quello della Culicoides Imicola, un piccolo moscerino largamente diffuso anche in Italia e presente anche in Valle d’Aosta, che trasmette tramite puntura il virus della febbre catarrale degli ovini nota come Bluetongue. La Bluetongue è una malattia virale che colpisce tutti i ruminanti (domestici e selvatici); in particolare, mentre i bovini risultano essere portatori sani, gli ovini manifestano pienamente la malattia. Tra i principali sintomi: febbre alta, calo di peso, edema delle labbra, emorragie linguali, arrossamento della mucosa di labbra e lingua fino ad arrivare alla cianosi (da qui il termine lingua blu), zoppia, tendenza a camminare sulle ginocchia, assottigliamento del vello. La malattia può portare alla morte (anche per l’indebolimento dell’animale). Va tenuto presente che la maggior parte delle specie del complesso Imicola sono africane ed è l’unica specie del complesso identificata nel bacino del Mediterraneo. Il primo focolaio di Bluetongue conosciuto in Italia (agosto 2000) è stato in Sardegna ma nello stesso anno anche Sicilia e Calabria sono state colpite dall’epidemia; da allora la malattia si ripresenta ogni anno con andamento stagionale (soprattutto in tarda estate: periodo settembre - ottobre). Nel 2014 è in corso un’epidemia di tale malattia che sta interessando gran parte delle Regioni Italiane del centro-sud. Esiste un sistema di sorveglianza attiva di tale malattia che


Concorso Trekking Nature 2014 - secondo classificato: turno 1

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24 Concorso Trekking Nature 2014 - primo classificato: turno 4


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Concorso Trekking Nature 2014 - terzo classificato: turno 3

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impegna i servizi veterinari del dipartimento di prevenzione dell’Azienda USL della Valle d’Aosta, consistente nel controllo sierologico periodico di bovini definiti “sentinella” e nel posizionamento di ovitrappole per la cattura del vettore. I controlli effettuati nel 2013 sono stati 612 per quelli sierologici e 103 per quelli entomologici: entrambi non hanno evidenziato la malattia e, quindi, la Regione Valle d’Aosta continua a essere considerata territorio libero dalla malattia. Questo è un esempio dell’impegno e dei relativi costi per il sistema sanitario per la prevenzione di una malattia, che in questo caso non è contagiosa per l’uomo e che prima non esisteva sul territorio nazionale. Zone di restrizione per la presenza della malattia al 18/11/2014 definite ai sensi del Reg. 1266/2007 della Commissione Europea e delle note della Direzione Generale della Sanità animale e dei Farmaci veterinari.

Un altro esempio di malattia, che invece in questo caso colpisce anche l’uomo, è la West Nile Disease (WND), che è una malattia trasmessa dalla puntura di zanzare appartenenti soprattutto al genere Culex. Il ciclo naturale del virus prevede il passaggio dell’agente patogeno dal vettore ad un elevato numero di specie di uccelli selvatici. Il virus può infettare diverse specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili) e tra i mammiferi l’uomo ed il cavallo possono manifestare una sintomatologia clinica. Nell’uomo la maggior parte delle infezioni da WNV decorre in modo del tutto asintomatico. Circa il 20% dei

soggetti infetti sviluppa una malattia sistemica febbrile chiamata comunemente febbre di West Nile (WNF). In meno dell’1% dei casi la malattia si manifesta come una malattia neuroinvasiva (solitamente encefalite, meningo-encefalite o paralisi flaccida) che può avere decorso fatale. Esiste anche qui un sistema di sorveglianza della malattia, diverso a seconda della presenza della malattia nell’uomo e/o negli animali in un determinato territorio, che comprende anche la sorveglianza sui casi umani di WNND, che consente, insieme alla sorveglianza animale ed entomologica, di evidenziare la circolazione del virus in un determinato ambito territoriale e di avere una stima della sua entità attraverso l’individuazione sistematica dei casi clinici emergenti. Una volta identificata un’area affetta è necessario intraprendere azioni dirette alla riduzione del rischio di trasmissione, che includano sia azioni mirate contro il vettore che misure precauzionali finalizzate a prevenire la trasmissione dell’infezione attraverso la trasfusione di sangue ed emocomponenti (incluse le cellule staminali emopoietiche) e con trapianti di organi e tessuti infetti (vedi provvedimenti stabiliti dal Centro Nazionale Sangue e dal Centro Nazionale dei Trapianti). Il Piano nazionale per il 2014 di sorveglianza nazionale per la Encefalomielite di tipo West Nile contempla per la

A destra, tabella della distribuzione dei casi confermati di malattia neuro-invasiva da WNV in Italia, 2008-2012.

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Cambiamenti climatici Valle d’Aosta il monitoraggio sierologico a campione su sieri di cavalli per rilevare la presenza di anticorpi IgM di 74 campioni da svolgere su campioni prelevati da luglio a novembre; è obbligatoria la notifica immediata di tutti i casi sospetti di sintomatologia nervosa negli equidi e di tutti gli episodi di mortalità in uccelli selvatici non riferibili ad altre patologie infettive. La sorveglianza passiva sull’avifauna prevede che ogni animale trovato morto ed appartenente agli ordini dei passeriformi, ciconiiformi, caradriiformi e strigiformi debba essere recuperato ed inviato all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale competente per territorio per l’esame anatomo-patologico. Anche in tale caso i controlli sierologici ed entomologici effettuati nel 2013 in Valle d’Aosta non hanno riscontrato la malattia né nell’uomo né negli animali né nei vettori, ma occorre evidenziare che nel 2014 la circolazione del virus è già arrivata nella provincia a noi relativamente vicina di Alessandria, mentre è endemica in alcune Regioni come l’Emilia-Romagna. In riferimento alle misure di prevenzione della trasmissione trasfusionale dell’infezione da WNV, si applica su base nazionale il provvedimento ai donatori, che abbiano soggiornato anche solo una notte nelle province in cui sia stata dimostrata la circolazione del virus, della sospensione temporanea della donazione per 28 giorni. Un altro esempio, in questo non di malattia ma di parassitosi, è la comparsa per la prima volta in Italia a inizio di settembre 2014 di un focolaio di Aethina tumida in provincia di Reggio Calabria. Si tratta di un coleottero della famiglia dei Nititulidi che ha provocato già smisurati danni al patrimonio apistico del Nord America. Il prof. Vincenzo Palmeri, dell’Università di Reggio Calabria, autore del ritrovamento e dell’identificazione del parassita esotico, ha avvertito il Ministero della Salute ed il Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali affinché vengano attivate le procedure necessarie per circoscri28

vere ed eradicare eventuali ulteriori altri focolai nonché impedire la diffusione del parassita sul territorio nazionale. Anche se la provincia di Reggio Calabria dista 1400 chilometri dalla Valle d’Aosta, data la gravità dell’evento, le misure di prevenzione adottate prevedono che tutti gli apicoltori pongano la massima attenzione relativamente all’acquisto di nuclei, regine e pacchi d’api provenienti dal territorio extraregionale. Soprattutto per quando riguarda la compravendita dei “pacchi di api” è risaputo che i maggiori produttori sono aziende apistiche del Sud Italia che grazie al clima temperato sono in grado di fornire “api nude” in anticipo rispetto al Nord Italia; ancorché molte aziende professionali del Centro e del Nord Italia svernano le loro colonie al Sud per poi risalire al Centro per sfruttare le fioriture di Robinia e Castagno. In relazione alla necessità di arginare tale propagazione, il Ministero della salute ha richiesto a tutte le Regioni di effettuare dei controlli negli apiari per cui la valutazione faccia propendere per una situazione di rischio e, quindi, anche la Regione Valle d’Aosta sta effettuando tali controlli.

* - M. Castelli, direttore del Dipartimento della Prevenzione Azienda USL Valle d’Aosta. - M. Ruffier, dirigente della Struttura d’Igiene e Sanità pubblica e veterinaria Assessorato Sanità, Salute e Politiche sociali.


Cambiamenti climatici

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l riscaldamento globale e gli impatti sulla vegetazione: le attività di ARPA in Valle d’Aosta.

VEGETAZIONE E CAMBIAMENTI CLIMATICI di EDOARDO C REMONESE, MARTA G ALVAGNO, G IANLUCA F ILIPPA, UMBERTO MORRA DI C ELLA*

li ecosistemi alpini sono influenzati dal clima e quindi i cambiamenti climatici hanno forti impatti sulla vegetazione: l’aumento di temperatura, la variazione nel regime delle piogge e della neve e gli eventi estremi (gelate tardive, ondate di calore, siccità...) alterano i cicli vitali delle piante, il loro funzionamento e la distribuzione delle specie vegetali. Gli impatti dei cambiamenti climatici si possono manifestare sia in effetti visibili a lungo termine (20-30 anni) sia in un incremento delle differenze tra anni successivi (variabilità

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interannuale). Per osservare nel tempo tali impatti e per comprenderne le dinamiche, ARPA Valle d’Aosta ha realizzato due siti di monitoraggio in ecosistemi tipici della nostra regione: una foresta di larice e un pascolo di alta quota. Entrambi i siti si trovano a circa 2100 m di quota nel Comune di Torgnon (figura 1). Le misure fatte in questi siti hanno lo scopo di quantificare, in particolare, l’impatto dei cambiamenti climatici sulla fenologia della vegetazione e sullo scambio di CO2 tra l’ecosistema e l’atmosfera.

Fenologia vegetale La fenologia vegetale è il ritmo delle stagioni; è la disciplina che studia la relazione tra il clima e i cicli vitali delle piante come la comparsa e lo sviluppo delle foglie in primavera e l’ingiallimento e la caduta delle foglie in autunno (figura 2). La fenologia è l’evento naturale maggiormente influenzato dal riscaldamento climatico e il più facile da osservare: è l’indicatore ideale per quantificare gli impatti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione data la forte influenza che il clima ha sui cicli stagionali delle piante. Nu-

A sinistra, figura 1. La foresta di larice e il pascolo a Torgnon: siti di monitoraggio e strumenti per la misura degli impatti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione. In basso, figura 2. La fenologia della foresta di larice.

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Cambiamenti climatici

Dall’alto verso il basso. Figura 3. Anomalie nella fenologia della foresta di larice. Figura 4. Sviluppo stagionale della quantità di verde calcolata utilizzando immagini digitali.

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merosi studi indicano che il periodo di crescita delle piante si è allungato negli ultimi decenni: è stato osservato un anticipo dell’inizio della stagione vegetativa di circa 4-7 giorni ogni 10 anni a partire dal 1970, dovuto alle maggiori temperature registrate nel periodo invernale e primaverile. Negli ultimi anni inoltre anche la fine della stagione si sta posticipando a causa del riscaldamento del clima.

La figura 3 mostra la fenologia della foresta di larice a partire dal 2005 espressa in termini di differenza (anomalia) rispetto alla media del lungo periodo: un punto al di sotto della linea grigia indica, nel caso dell’inizio della stagione, una primavera anticipata. Per la fine e la durata della stagione, punti al di sopra della linea grigia indicano rispettivamente, un autunno ritardato e una lunghezza della stagione maggiore. Le anomalie sono determinate dalle condizioni climatiche: i punti colorati in rosso evidenziano l’effetto di temperature più calde della media, mentre i punti in azzurro indicano l’effetto di condizioni fredde. In linea con quanto osservato sia a livello globale che nelle Alpi, negli ultimi dieci anni lo sviluppo primaverile del larice è stato generalmente anticipato (7 anni su 10) con alcuni anni eccezionalmente precoci (2007 e 2011), in risposta ad inverni e primavere sempre più calde. La fine della stagione invece varia molto meno di anno in anno e ingiallimenti autunnali ritardati sono stati tanto frequenti quanto quelli anticipati. Negli ultimi anni in entrambi i siti, il monitoraggio della fenologia viene eseguito utilizzando anche immagini digitali: a partire dai colori contenuti nelle immagini è possibile calcolare un indice che rappresenta la quantità di verde e che quindi dipende dallo sviluppo della vegetazione. La figura 4 mostra un esempio di traiettoria stagionale della quantità di verde nel lariceto: il verde è basso in inverno in presenza di neve o rami spogli (Gennaio-Maggio), inizia a salire quando la vegetazione si sviluppa in primavera (Giugno), ha valori elevati durante l’estate (Luglio-Settembre) e scende in autunno (Ottobre-Novembre) mentre le foglie ingialliscono per tornare ai bassi valori invernali (Dicembre). La figura 5 mostra il confronto, tra diversi anni, dello sviluppo della quantità di verde (GCC - green chromatic coordinate) nel lariceto. Dalla posi-


zione reciproca delle diverse curve è possibile osservare: 1) primavere precoci come quelle del 2012 e del 2014, in cui il GCC inizia ad aumentare prima, rispetto al 2013; 2) autunni anticipati come quello del 2014; 3) differenze nel verde durante l’estate legate alla variazione tra gli anni della biomassa fogliare (quantità e dimensione degli aghi) o della quantità di clorofilla contenuta negli aghi. A partire dal 2008, durante i progetti Interreg Alcotra PhenoAlp e e-pheno la rete valdostana per il monitoraggio della fenologia si è ingrandita arrivando ad includere, oltre al pascolo e alla foresta di larice di Torgnon, siti gestiti dal Parco Nazionale del Gran Paradiso, dal Parco Naturale Mont Avic, dal Corpo Forestale Valdostano, dal Servizio Aree Protette e dall’Institut Agricole Régional. Ciclo dell’anidride carbonica Le variazioni stagionali ed interannuali della fenologia non rappresentano solo una variazione visibile della comparsa di determinate fasi, ma guidano numerose funzioni degli ecosistemi come l’inizio la fine e la durata della fotosintesi e il sequestro di CO2. Per questo motivo approfondire il monitoraggio della fenologia con misure legate al funzionamento della vegetazione è importante per capire in che modo gli ecosistemi possono (o non possono) mitigare i cambiamenti climatici. L’anidride carbonica (CO2) è un gas a effetto serra: l’aumento della concentrazione atmosferica di CO2, dovuto alle attività umane, è causa del riscaldamento globale (www.ipcc.ch/ report/ar5/wg1/). Gli ecosistemi vegetali scambiano CO2 con l’atmosfera: l’anidride carbonica entra negli ecosistemi attraverso il processo della fotosintesi (GPP), mediante il quale le piante producono le sostanze necessarie alla loro vita. Una parte della CO2 entrata nell’ecosistema, viene in seguito restituita all’atmosfera attraverso la respi-

razione (Reco) di tutti gli organismi (vegetali, animali e microorganismi) presenti nell’ecosistema; la differenza tra la quantità di CO2 assorbita e quella riemessa in atmosfera determina lo scambio netto di un ecosistema (NEE) e permette di valutare se quest’ultimo svolge complessivamente il ruolo di sottrazione netta di CO2 dall’atmosfera (sequestro) o di rilascio netto di CO2 (sorgente). Ecosistemi vegetali con uno scambio netto annuale negativo tolgono CO2 dall’atmosfera e quindi, riducendo la concentrazione

Dall’alto verso il basso. Figura 5. Confronto interannuale dello sviluppo stagionale del indice di verde nella foresta di larice. Figura 6. Confronto interannuale dello scambio ecosistemico netto (NEE) di CO2 cumulato nel pascolo.

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Cambiamenti climatici

DA SAPERE • Il funzionamento degli ecosistemi vegetali dipende dal clima ed è quindi influenzato dai cambiamenti climatici. • ARPA Valle d’Aosta studia gli impatti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione in un lariceto e in un pascolo nel Comune di Torgnon. • La fenologia e la misura dello scambio di anidride carbonica (CO2) tra ecosistemi e atmosfera sono gli indicatori di impatto misurati nei due siti. • Negli ultimi dieci anni lo sviluppo primaverile del larice è stato generalmente anticipato (7 anni su 10) con alcuni anni eccezionalmente precoci (2007 e 2011) in risposta ad estremi climatici come ondate di caldo o fusione precoce della neve. • Estremi climatici e anomalie fenologiche influiscono sulla capacità degli ecosistemi di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera.

di un gas a effetto sera, sono potenzialmente in grado di mitigare i cambiamenti climatici. A questo scopo, dal 2009, nella foresta di larice e nel pascolo di Torgnon viene misurato lo scambio netto di CO2 (NEE) e le sue variazioni durante la stagione e nei diversi anni: il valore annuale di NEE infatti può cambiare in funzione delle condizioni climatiche e della fenologia del ecosistema. La figura 6 mostra i valori di NEE cumulati, dal mese di gennaio a quello di dicembre a partire dal 2009. Da inizio anno fino alla fusione della neve, il pascolo emette CO2 perché le piante sotto la neve non fanno fotosintensi: in questo periodo avvengono solo processi di respirazione che liberano CO2. Alla fusione della neve (Maggio-Giugno), inizia lo sviluppo della vegetazione e la fotosintesi diventa superiore alla respirazione: il pascolo sequestra CO2 e le curve decrescono fino ad autunno inoltrato periodo in cui, per il ritorno della neve o per condizioni di luce e temperatura sfavorevoli, la respirazione ritorna ad essere maggiore della fotosintesi. Da tale periodo fino alla fine dell’anno, il pascolo torna a rilasciare CO2. I valori di fine dicembre rappresentano lo scambio netto di CO2 annuale: valori negativi indicano un sequestro netto di CO2 mentre valori positivi indicano un rilascio netto di CO2. 32

L’ecosistema generalmente sequestra CO2 ma l’entità di tale sequestro varia di anno in anno: ad esempio, il sequestro del 2011 è stato molto elevato (-188 ± 55 gCm-2a-1) a causa di un forte anticipo della data di fusione della neve: il riscaldamento climatico causa una fusione della neve anticipata ed un allungamento della stagione vegetativa (cfr figura 3) che risultano in un incremento del sequestro annuale. Considerando altri anni, condizioni meteorologiche non ottimali nel periodo estivo del 2012 si sono tradotte in un bilancio annuale molto vicino alla neutralità (2 ± 35 gCm-2a-1) mentre il caldo prolungato della seconda parte dell’estate 2013 ha causato un notevole sequestro annuale (-98 ± 35 gCm-2a-1). Le condizioni climatiche e la fenologia sono i fattori principali che regolano la variabilità interannuale del valore cumulato di NEE. È per tale ragione che accoppiare le osservazioni fenologiche e le misure di scambio di CO2 nella foresta di larice e nel pascolo è un modo efficace per comprendere meglio gli impatti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione in Valle d’Aosta.

* ARPA VdA.


Cambiamenti climatici

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hiacciai, neve e permafrost: i casi studio in Valle d’Aosta.

CRIOSFERA E CAMBIAMENTI CLIMATICI di EDOARDO C REMONESE, G IANLUCA F ILIPPA, MICHEL ISABELLON, UMBERTO MORRA DI C ELLA E P AOLO POGLIOTTI*

elle Alpi, ghiacciai, neve e permafrost sono le principali componenti della criosfera, tutti elementi molto importanti sia per l’ambiente che per l’uomo. I ghiacciai, ad esempio, sono una risorsa idrica fondamentale per sorgenti e falde ma anche per l’irrigazione delle coltivazioni nella Pianura Padana soprattutto in periodi di siccità. La neve contribuisce al mantenimento dei ghiacciai ed oltre ad essere essa stessa una risorsa idrica fondamentale è importante per la produzione di energia idroelettrica e oltre che per il comparto turistico. Il permafrost è la componente più misteriosa della criosfera perché non è direttamente visibile, ma gioca un ruolo cruciale per la stabilità in alta quota, sia dei versanti rocciosi e detritici, che delle infrastrutture presenti quali elettrodotti, funivie, rifugi, ecc. L’esistenza di ciascuna di queste componenti è determinata dal clima e di conseguenza i cambiamenti climatici hanno un grande impatto sulla criosfera. Nelle Alpi, gli studi sul ritiro dei ghiacciai sono certamente l’emblema del riscaldamento globale ma

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da soli non bastano per descrivere e comprendere a fondo le modificazioni che stanno avvenendo in un sistema ambientale complesso come quello alpino. La neve ed il permafrost ad esempio non rispondono in maniera altrettanto chiara ai cambiamenti climatici, quindi monitorare le differenti componenti è fondamentale per capire le dinamiche in atto e le conseguenze per l’ambiente e l’uomo. Questo approccio diversificato allo studio dei cambiamenti climatici è indispensabile per riuscire ad individuare delle priorità nella lunga lista dei potenziali problemi derivanti dagli impatti dei cambiamenti climatici e di conseguenza elaborare delle strategie di adattamento efficaci. È in quest’ottica che ARPA Valle d’Aosta sta conducendo da numerosi anni attività di monitoraggio su tutte le componenti della criosfera, con l’obiettivo di individuare e quantificare gli impatti a lungo termine dei cambiamenti climatici sulle masse glaciali, sulla quantità e durata della neve al suolo e sulla temperatura ed estensione del permafrost alpino.

Ghiacciai Nel corso del XX secolo le Alpi si sono dimostrate una delle aree più colpite dal riscaldamento globale. Dal termine della Piccola Età Glaciale (fase di espansione dei ghiacciai Alpini protrattasi dal 1450 al 1850 circa), le masse glaciali dell’arco alpino si sono ridotte di circa 2/3 in 150 anni. I ghiacciai rispondono in modo diretto alle variazioni climatiche modificando la propria massa e le proprie caratteristiche morfologiche. I principali cambiamenti a carico dei ghiacciai sono: il progressivo arretramento delle fronti glaciali, l’incremento delle zone crepacciate, la formazione di depressioni e di laghi superficiali, l’aumento dell’instabilità di seracchi pensili (es. Grandes Jorasses). L’arretramento delle fronti glaciali è la misura più facile da effettuare ed infatti numerosi ghiacciai nelle Alpi vantano serie storiche risalenti alla prima metà del 1800. Tuttavia in epoca moderna si è capito che le variazioni frontali di un ghiacciaio non sono “sincronizzate” alle variazioni climatiche perché dipendono molto dalla morfologia e dalla massa di ciascun 33


Cambiamenti climatici A lato, figura 1: il ghiacciaio del Timorion. In basso, figura 2: bilancio di massa del ghiacciaio del Timorion.

ghiacciaio. Per questo motivo è stata definita una procedura di misura che permette di realizzare il bilancio di massa del ghiacciaio, ovvero di quantificare annualmente la differenza tra la quantità di neve caduta durante l’inverno e la quantità di neve residua o ghiaccio fuso a fine estate. Se alla fine dell’estate la neve invernale è totalmente scomparsa, il ghiaccio esposto al sole ed alle alte temperature estive inizia a fondere ed il ghiacciaio perde massa riducendo il suo spessore. Le barre colorate in figura 2 mostrano i valori annuali del bilancio di massa (barre verdi, per il bilancio positivo o rosse, bilancio negativo) del ghiacciaio del Timorion (Valsavarenche, figura 1) calcolato come differenza tra accumulo (barre blu) e fusione, ovvero ablazione (barre gialle). La linea nera rappresenta invece l’andamento del bilancio cumulato ovvero la somma progressiva dei valori annuali. In li-

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nea con quanto osservato sia a livello globale che nelle Alpi, negli ultimi dieci anni i ghiacciai della Valle d’Aosta sono sottoposti ad una sistematica fase di riduzione di massa. La scarsa variabilità della pendenza sulla linea del bilancio cumulato indica una tendenza inesorabile al ritiro priva di battute d’arresto. Complessivamente dall’inizio delle osservazioni sul Timorion si è fuso uno spessore di ghiaccio equivalente ad una lama di acqua spessa 9 m che possiamo immaginare come spalmata sull’intera superficie del ghiacciaio; in termini volumetrici questo equivale approssimativamente a 5 milioni di m3 di acqua persi in 10 anni. Sembra una cifra modesta, ma il Timorion è un ghiacciaio molto piccolo (circa 0.5 km2), ovviamente più il ghiacciaio è grande più il deflusso per fusione è importante. Sul Ruitor ad esempio, uno dei ghiacciai più estesi della Valle d’Aosta (circa 8 km2) e monitorato dal

2005, la media annuale del bilancio di massa (negativo) negli ultimi 8 anni è pari ad una lama d’acqua di circa 1,5 m di spessore. Se moltiplichiamo per la superficie del ghiacciaio otteniamo un deflusso medio per fusione di circa 12 milioni di m3 di acqua all’anno. Soffermandosi un momento a ragionare su questi numeri è facile immaginare quanto sia importante in termini volumetrici il deflusso derivante ogni anno dalla fusione dei ghiacciai in Valle d’Aosta. Neve La neve riveste una grande importanza nel bilancio idrologico delle zone alpine, i cui deflussi tardo primaverili ed estivi sono alimentati in gran parte dalla fusione delle riserve d’acqua accumulate sotto forma di neve durante la stagione invernale. Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla temperatura, sulle precipitazioni e quindi sulla permanenza al suolo della neve possono influenzare direttamente la disponibilità idrica in una regione come la Valle d’Aosta. La stima dello Snow Water Equivalent (SWE), effettuata da ARPA ogni settimana tra novembre e maggio, consente di conoscere la quantità totale di acqua presente nella neve sul territorio regionale. L’SWE viene calcolato conoscendo la porzione di territorio regionale occupato dalla neve (SCA) e la distribuzione spaziale dell’altezza e della densità del manto nevoso. Queste ultime sono modellate a partire dalle misure automatiche dei nivometri della rete regionale e da misure eseguite da rilevatori manuali (rilevatori AINEVA, Corpo Forestale della Valle d’Aosta, Meteomont, Parco Naturale Mont Avic...). La modellizzazione si basa sulle relazioni che esistono tra le proprietà della neve (altezza, densità) e la morfologia del territorio (quota,


Dall’alto verso il basso. Figura 3: anomalia di accumulo di SWE negli ultimi 12 anni. Le tonalità blu e rosse indicano rispettivamente aree della regione con più o meno neve rispetto alla media storica dello stesso periodo. Figura 4: evoluzione stagionale dello Snow Water Equivalent.

esposizione, pendenza, distanze dai massicci principali...). L’insieme di dati attualmente disponibile per le analisi parte dal 2002 ed è costituito da mappe settimanali (da novembre e maggio) di SWE a scala regionale con risoluzione di 500 m. L’analisi di questi dati permette di valutare se nel corso degli ultimi 12 anni ci sono stati dei cambiamenti significativi ad esempio nella durata media della neve alle diverse quote, oppure nella quantità di neve caduta o ancora nelle date di arrivo e scomparsa della neve ad inizio e fine inverno e così via. In linea con quanto osservato sia a livello globale che nelle Alpi si evidenzia una crescente variabilità sia spaziale che temporale dell’SWE. Ad esempio la figura 3 mostra per ciascun mese la differenza di SWE rispetto alla media storica di quel mese. Le tonalità blu e rosse indica-

no rispettivamente aree della regione con più o meno neve rispetto a tale media. Spiccano ad esempio il l’inverno 2008/2009 con una quantità di neve superiore alla media per tutto l’inverno, oppure gli inverni dal 2004 al 2008 decisamente sotto la media. In alcuni mesi è anche evidente una grande variabilità spaziale, emblematico in tal senso è ad esempio il dicembre 2011-2012 con anomalie opposte tra i rilievi a sud e quelli a nord oppure il maggio 2009-2010 con anomalie opposte tra Monte Bianco e Monte Rosa. La figura 4 permette di osservare tale variabilità nel tempo. La linea rossa indica per ciascuna settimana l’SWE medio degli anni idrologici passati e l’area grigia ne indica la variabilità osservata. In blu sono riportati i valori di SWE dell’ultima stagione aggiornati all’ultima settimana disponibile e le barre nere verticali indicano l’incertezza delle simulazioni. I valori sono espressi in milioni di m3 di acqua. Allo stato attuale delle conoscenze, riuscire a quantificare ed analizzare la grande variabilità imposta dai cambiamenti climatici sulle precipitazioni nevose è fondamentale per elaborare strategie di adattamento efficaci volte ad una gestione più consapevole della risorsa idrica a livello regionale.

Permafrost Il permafrost è un fenomeno naturale correlato alla temperatura del sottosuolo. È definito come lo stato termico di un terreno (suolo o substrato roccioso) che permane (per pochi anni consecutivi o migliaia di anni) ad una temperatura inferiore a 0 °C, quindi in uno stato di congelamento perenne. Il permafrost è influenzato essenzialmente dal clima ma le caratteristiche della superficie topografica e del substrato giocano un ruolo fondamentale nella risposta del permafrost alle modificazioni climatiche. Per questa ragione il permafrost delle regioni montuose (permafrost montano) è caratterizzato da una elevata variabilità spaziale che rende il suo studio, in termini di monitoraggio, mappatura e modellizzazione, estremamente complesso. Nel contesto alpino le attività di monitoraggio rappresentano quindi un tassello fondamentale perchè forniscono un’evidenza diretta dello stato termico del permafrost ed implementano una base di dati essenziale per la calibrazione e la validazione dei modelli numerici. Il monitoraggio del permafrost si realizza calando una catena di termometri all’interno di un foro profondo praticato nel substrato. La catena di termometri è collegata ad un datalog-

DA SAPERE • Ghiacciai, neve e permafrost sono le principali componenti della criosfera alpina, sono molto importanti per l’ambiente e per l’uomo e stanno subendo importanti modificazioni dovute ai cambiamenti climatici. • ARPA Valle d’Aosta studia gli impatti dei cambiamenti climatici sulle masse glaciali, sulla quantità e durata della neve al suolo e sulla temperatura ed estensione del permafrost alpino. • Il bilancio di massa dei ghiacciai valdostani è costantemente negativo. Ogni anno vengono persi decine di milioni di metri cubi di acqua. • I cambiamenti climatici impongono una grande variabilità spaziale e temporale alle precipitazioni nevose. Indagare questa variabilità è fondamentale per elaborare strategie di adattamento efficaci volte ad una gestione più consapevole della risorsa idrica a livello regionale. • Nel sito di monitoraggio di Cime Bianche (3100m) le temperature del permafrost mostrano una evidente tendenza al riscaldamento.

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Cambiamenti climatici

Dall’alto verso il basso. Figura 5: il sito di monitoraggio del permafrost a Cime Bianche. Figura 6: andamento delle temperature nel tempo fino alla profondità di 10 m misurate nel foro profondo di Cime Bianche. Figura 7: andamento della temperatura del permafrost a Cime Bianche ed elaborazioni per il calcolo della tendenza. Esempio dal sensore a 15 metri. Figura 8: andamento dei tassi di riscaldamento del permafrost con la profondità a Cime Bianche.

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ger che consente di registrare le temperatura alle diverse profondità con frequenza oraria. In Valle d’Aosta il monitoraggio del permafrost è condotto in numerosi siti sia su versante che su pareti rocciose. Il foro più profondo, 41 metri, si trova presso il Colle di Cime Bianche (3100 m, Valtournenche) ed è equipaggiato per le misure dal 2008 (figura 5). La Figura 7 mostra le variazioni delle temperature del sottosuolo nel tempo ed alle diverse profondità misurate nel foro profondo di Cime Bianche. La linea nera è l’isoterma 0°C che materializza l’evoluzione dello strato attivo ovvero la porzione più superficiale di suolo che stagionalmente è soggetta a decongelamento. Nelle Alpi, lo spessore massimo dello strato attivo viene raggiunto solitamente tra la fine di settembre ed i primi di novembre. Questo spessore è molto variabile di anno in anno e dipende essenzialmente dalle condizioni di nevosità invernali e dalle temperature estive. In linea di massima, uno strato attivo di spessore ridotto è il risultato di un anno particolarmente freddo (ad esempio inverno poco nevoso ed estate mite) mentre uno strato attivo di spessore elevato segue a condizioni particolarmente calde (es. inverno nevoso ed estate calda). Lo spessore dello strato attivo è quindi un indicatore che consente di valutare l’effetto delle condizioni climatiche di ciascun anno idrologico sul regime termico del permafrost. Ad esempio, osservando la figura 6 si può notare come l’anno idrologico 2014, conclusosi lo scorso 30 settembre, sia stato un anno con condizioni molto fredde, che ha fatto registrare il minimo assoluto di spessore dello strato attivo dall’inizio delle osservazioni. Nel caso specifico è probabile che tale raffreddamento sia dovuto in larga parte alle insolite condizioni di maltempo che hanno caratterizzato i mesi estivi del 2014 con temperature molto basse in quota e frequenti nevicate. I dati di temperatura provenienti dal foro profondo di Cime Bianche sono adatti per studiare i cambiamenti cli-

matici perché sono registrati molto in profondità dove le variazioni stagionali di temperatura non riescono ad arrivare o sono molto attenuate. Il terreno infatti agisce da filtro per le variazioni di temperatura ad alta frequenza (giornaliere, mensili, stagionali) lasciando penetrare in profondità solamente i segnali con lunghezza d’onda più grande come le variazioni di temperatura annuali, decennali e secolari. Di conseguenza l’analisi delle serie di temperatura registrate in profondità permette di individuare (se esistono) delle tendenze (Trend) al raffreddamento o al riscaldamento del permafrost. La figura 7 mostra, a titolo di esempio, l’andamento delle temperature mensili a 15 m di profondità. La linea nera rappresenta l’andamento delle temperature ripulito dalle variazioni stagionali ad alta frequenza mentre la linea rossa rappresenta la retta della tendenza. Applicando questa procedura alle serie di temperatura registrate dai sensori sotto gli 8 metri e ricavando dalla retta di tendenza il tasso di variazione annuo (°C/anno) è possibile costruire il grafico di figura 8. Tale grafico mostra una tendenza al riscaldamento significativa che aumenta da fondo foro verso la superficie. Le linee tratteggiate orizzontali mostrano l’incertezza del modello usato per la costruzione della linea di tendenza presentata in figura 8. Considerando che la temperatura attuale del permafrost a Cime Bianche è circa -1.2 °C, con i tassi di riscaldamento rilevati oggi a fondo foro (circa 0.01 °C/anno) il permafrost a Cime Bianche potrebbe ritirarsi oltre i 30 metri di profondità entro un centinaio di anni. Queste stime sono rappresentative per siti analoghi ma ad esempio per quanto riguarda il permafrost delle pareti rocciose le tempistiche di degradazione saranno molto più rapide a causa del minor contenuto di ghiaccio con serie conseguenze sulla stabilità dei versanti.

* ARPA VdA.


Cambiamenti climatici

ARIA E CAMBIAMENTI CLIMATICI di MANUELA ZUBLENA*

i siamo appena lasciati alle spalle un’estate a dir poco bizzarra, sicuramente “fuori dalla media”: tanto freddo e tanta pioggia nei mesi tradizionalmente più caldi. Insomma una percezione di anomalia meteorologica, che tuttavia trova anche riscontro oggettivo nelle misure strumentali. Il Centro Funzionale della Regione Autonoma Valle d’Aosta segnala infatti come le precipitazioni dell’estate del 2014, pur non rappresentando un valore estremo rispetto alle serie storiche, siano state superiori alla media su tutta la Regione. In particolare la stazione di Aosta Piazza Plouves ha misurato nel mese di luglio precipitazioni superiori a 90 mm rispetto alla media storica della città di Aosta, le più abbondanti mai registrate rispetto a tutti i mesi di luglio dal 1891 ad oggi.

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ropa centro-occidentale e dal Mediterraneo, nei mesi di luglio e agosto, dell’anticiclone delle Azzorre e di quello africano. La mancata presenza di tali strutture, tipiche della stagione estiva, ha comportato la “deviazione” delle correnti fresche e perturbate verso le nostre latitudini. Che si tratti di un evento episodico e casuale nessuno ormai lo pensa più. Al contrario si riconduce questa situazione, così come altre “stranezze”, agli effetti dei cambiamenti climatici in atto, con la consapevolezza che sempre più spesso registreremo anomalie meteorologiche tanto da diventare forse, in un non lontano futuro, loro stesse la norma. Il clima sta cambiando e il mondo

scientifico pare concordare sulla responsabilità che le emissioni di gas serra (GES) hanno su questo fenomeno. Ma si sa che molte sorgenti di GES sono all’origine anche della produzione di inquinanti atmosferici comuni che hanno impatti sulla salute umana e sull’ambiente. Per chi si occupa di qualità dell’aria sono scontate a questo punto parecchie domande che necessitano ancora di approfondimenti: quali sono le relazioni tra le emissioni di gas serra e gli inquinanti tradizionali? e ancora, quali sono gli effetti dei cambiamenti climatici sulla qualità dell’aria? Le strategie di riduzione dell’inquinamento atmosferico possono contribuire alle politiche climatiche?

I meteorologici hanno attribuito la responsabilità di questa fresca e piovosa estate alla “latitanza” dall’EuFigura 1. Precipitazioni di tutti i mesi di luglio dal 1891 ad oggi registrate nella città di Aosta confrontate con la media del trentennio 1981-2010. Elaborazione a cura del Centro funzionale regionale su dati dell’ex Servizio Idrografico e Mareografico nazionale e di Arpa-VdA.

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Iniziative ambientali Figura 2. Misure di EC: carbonio elementare, OC: carbonio organico, NC: frazione non carboniosa su campioni di particolato PM10 prelevati ad Aosta e a Lillianes. Dati ARPA VdA.

Due problematiche distinte... La gestione della qualità dell’aria e la lotta al cambiamento climatico per molto tempo sono state trattate in modo distinto, dando origine a politiche condotte indipendentemente l’una dall’altra. Da un lato l’attenzione all’inquinamento dell’aria (intesa come l’aria che respiriamo), si è concentrata sullo studio degli inquinanti tradizionali (ovvero di ossidi di zolfo, di ossidi di azoto, di monossido di carbonio, di polveri fini, di composti organici volatili, di ozono...), responsabili degli effetti locali sulla salute umana e sull’ambiente e sulla individuazione di azioni a breve termine per il contenimento e la riduzione delle loro emissioni Dall’altro i cambiamenti climatici, che hanno focalizzato gli sforzi sulle emissioni dei GES (il cui principale rappresentante è il biossido di carbonio), con la definizione di politiche per stabilire obiettivi e impegni di riduzione a lungo termine e alla scala globale. ... eppure strettamente legate, in grado di interagire l’una sull’altra Se la scala spazio-temporale di riferimento e le specie di inquinanti implicati sono a priori diversi, le due problematiche sono in realtà strettamente legate ed i loro effetti si intrecciano sinergicamente, tanto da evidenziare l’esigenza di approcci congiunti. Sia i cambiamenti climatici che l’inquinamento atmosferico hanno una comune origine: sono gli stessi fenomeni naturali e le stesse attività umane (i trasporti, le industrie, l’agricoltura, l’habitat...) ad essere re38

sponsabili delle emissioni di inquinanti che influiscono su entrambi i fenomeni. Se l’anidride carbonica è riconosciuta essere la causa principale del riscaldamento globale e del cambiamento climatico, molti altri inquinanti atmosferici “tradizionali” contribuiscono al forcing radiativo: assorbendo o riflettendo componenti della radiazione solare, riescono a modificare il bilancio energetico dell’atmosfera. Tra questi un esempio sono gli NOx, il CO i COV, precursori dell’ozono troposferico. Le loro emissioni infatti, in presenza di radiazione solare, favoriscono la formazione di ozono al suolo, il quale, raggiunte elevate concentrazioni, può diventare nocivo per la salute umana e in grado di alterare il ciclo produttivo della vegetazione, con conseguente diminuzione della capacità di assorbimento di CO2 e aumento dell’effetto serra. L’ozono è a sua volta un gas climalterante, in grado quindi di contribuire lui stesso direttamente all’effetto serra. Anche gli aerosol, e dunque il particolato, sono considerati “forzanti climatiche”: si tratta di molecole complesse provenienti sia da fonti naturali (erosione delle rocce, aerosol marino…) sia da numerose attività umane (agricoltura, riscaldamento domestico, traffico, cicli produttivi…) emesse direttamente ma anche prodotte a seguito di reazioni fotochimiche. A seconda della composizione chimica

possono dare un contributo positivo o negativo al bilancio radiativo. L’effetto può essere diretto: il black carbon – carbonio elementare – risultante principalmente da una combustione incompleta di composti organici, produce un effetto riscaldante in quanto è in grado di assorbire parte della radiazione solare e di quella infrarossa d’origine terrestre; al contrario, i componenti solfati e nitrati degli aerosol tendono a retrodiffondere parte della radiazione solare verso lo spazio, provocando un raffreddamento. Ma l’aerosol può esercitare anche un effetto indiretto, alterando la composizione e le proprietà radiative delle nubi. La complessità dei processi chimici, biologici, climatici e fisici in gioco e la molteplicità delle variabili e delle componenti coinvolte rende molto difficile non solo quantificare l’azione esercitata dagli inquinanti sul clima ma anche fornire una descrizione esaustiva di tutte le interazioni che si realizzano. Alcune attività che ARPA oggi svolge con il fine di valutare la salubrità dell’aria ambiente potranno sicuramente fornire informazioni utili anche per comprendere l’interazione con la tematica dei cambiamenti climatici. Un esempio è rappresentato dalla determinazione della componente carboniosa (Figura 2) su campioni di particolato atmosferico comprendente la frazione organica (OC, ovvero il carbonio presente nelle molecole or-


Figura 3. Valori medi delle concentrazioni di ozono e di temperatura rilevate nei siti di La Thuile e Donnas nel periodo giugno-agosto. Dati ARPA VdA.

ganiche, costituite in genere da idrocarburi o da loro derivati con altri elementi come ad esempio l’ossigeno) e il carbonio elementare (EC, carbonio in forma non legata con altri elementi assimilabile al nerofumo); si tratta di un’attività che ARPA ha avviato dal 2013 con l’obiettivo di caratterizzare la composizione chimica delle polveri fini, un inquinante particolarmente critico per gli impatti sanitari, ma che potrà contribuire alla conoscenza sulla tematica del bilancio radiativo. Ma ancor più complesso è valutare l’influenza del clima sull’inquinamento atmosferico. Alla scala locale, alcune evidenze degli effetti prodotti dai cambiamenti climatici sulla qualità dell’aria sono state osservate. È il caso dell’ondata di calore dell’estate 2003 che ha prodotto un aumento generale di O3, registrato anche nelle stazioni di misura della Rete di monitoraggio della Qualità dell’aria della nostra regione. Nei grafici (figura 3) sono riportate le concentrazioni di ozono e di temperatura misurate a La Thuile e a Donnas.

Si può notare come le concentrazioni di ozono del 2003 risultino le più alte dal 1997 in corrispondenza dei più elevati valori di temperatura. La valutazione di questi dati non può certo condurre a facili conclusioni, ipotizzando una relazione lineare tra le variabili temperatura e O3, tenuto conto della complessità del fenomeno di formazione/distruzione dell’inquinante che coinvolge molte altre variabili.

In questa direzione va l’attività avviata negli ultimi anni da ARPA Valle d’Aosta riguardante il monitoraggio, attraverso osservazioni della radiazione solare, della concentrazione nell’intera colonna atmosferica - dal suolo fino alla “sommità” dell’atmosfera - di costituenti fondamentali per il clima del pianeta. Misure nella banda visibile e ultravioletta, ad esempio, consentono di determinare rispettivamente la quantità totale di biossido di azoto e di ozono, due gas capaci di assorbire la radiazione solare in atmosfera. In figura 4 e figura 5 sono rispettivamente riportati i contenuti di O3 e di NO2 colonnari.

Alla scala globale, molti sono i fenomeni che potranno influire e che devono essere attentamente valutati: la modifica della circolazione generale dell’atmosfera da cui dipendono le dinamiche di trasporto delle masse d’aria, la variazione della nuvolosità, dei regimi delle precipitazione, della frequenza e intensità dei fulmini, della frequenza degli situazioni di stagnazione dell’aria, condizioni che hanno influenza alla scala locale sul verificarsi di episodi acuti di inquinamento. Le risposte che il mondo scientifico deve dare sono ancora tante.

Le variazioni di ozono sono anche legate ai cambiamenti di circolazione a scala globale e all’effetto serra, poiché, in una prospettiva di bilancio energetico complessivo, al riscaldamento della troposfera corrisponde un raffreddamento della stratosfera, alterando quindi le dinamiche di formazione dell’ozono. Uno degli esempi più impressionanti è stata la recente e imprevista formazione di un “buco dell’ozono” sviluppatosi al polo nord nel 2011, con effetti periferici rilevati anche da ARPA alle nostre latitudini.

Da sinistra verso destra. Figura 4. Contenuto di ozono colonnare in atmosfera sopra la Valle d’Aosta, misurato dal Brewer di ARPA e dai satelliti NASA (TOMS e OMI). Figura 5. Confronto tra il contenuto di NO2 colonnare in atmosfera sopra la Valle d’Aosta (rilevato con Brewer) con le concentrazioni misurate al suolo dalle stazioni della Rete di Monitoraggio della Qualità dell’Aria. Dati ARPA VdA.

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Cambiamenti climatici Figura 6. Inventario regionale delle emissioni – anno 2013. Dati ARPA VdA.

La strumentazione fotometrica è in grado, inoltre, di determinare la concentrazione totale e le proprietà ottiche dell’aerosol, in particolare la frazione di radiazione solare assorbita e diffusa. Allo scopo di monitorare le attuali (e difficili da prevedere) variazioni della copertura nuvolosa e le conseguenze sul clima, ARPA ha inoltre recentemente attivato il monitoraggio della radiazione infrarossa, parametro essenziale per il bilancio radiativo del pianeta. La necessità di politiche integrate per la gestione delle due problematiche Sul piano delle azioni da mettere in campo, vale la pena di fare una riflessione. Pur consapevoli della necessità di maggiori conoscenze e approfondimenti che possano illuminare sulle relazioni reciproche esistenti tra i due fenomeni, inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici - dove il contributo fornito dalle attività di monitoraggio svolte a livello locale rappresenta un tassello importante del complesso mosaico conoscitivo - appare evidente la necessità di condurre in modo coordinato le politiche di contrasto a questi fenomeni. In linea generale si può concordare che alcune misure definite per limitare le emissioni inquinanti tradizionali possono essere adeguate anche per la lotta ai cambiamenti climatici. È il caso del risparmio energetico ottenibile dall’uso di caldaie ad alto rendimento o dal miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici: minore è il consumo di combustibili fossili e minore è l’emissione di GEC e di inquinanti. 40

Questa regola non è però sempre vera. Per la riduzione di GEC molte politiche hanno sostenuto l’utilizzo della biomassa. Se la combustione di legno o altri vegetali garantisce un bilancio neutro per la CO2 (la vegetazione assorbe durante la crescita tanta CO2 quanto ne rilascia durante la combustione) non è così favorevole il bilancio in termini di polveri fini, inquinante particolarmente problematico per la salute umana così come i microinquinanti da esse veicolati. Dalle misure svolte in zone dove il riscaldamento domestico è soddisfatto prevalentemente con l’utilizzo di biomassa legnosa, si registrano infatti valori superiori ai riferimenti normativi per microinquinanti come le polveri PM2.5 e il Benzo(a)pirene, tipico tracciante della combustione di legna. È il caso di piccoli villaggi di montagna della nostra regione con prevalente utilizzo di legna per il riscaldamento domestico, dove si sono registrati valori rilevanti per questi due inquinanti, confrontabili con realtà urbane a forte pressione antropica. Per coordinare le azioni di mitigazione dei due effetti e poter valutare eventuali antagonismi, è importante disporre di diversi strumenti conoscitivi. Tra questi va ricordata la rilevanza che hanno gli inventari delle emissioni inquinanti, redatti sia su base

europea, sia a livello locale; ARPA aggiorna annualmente l’Inventario regionale delle emissioni inquinanti (figura 6), censendo sia gli inquinanti responsabili della qualità dell’aria ambiente, sia i gas climalteranti prodotti da tutte le sorgenti emissive presenti sul territorio regionale. L’inventario permette non solo di individuare le priorità di intervento ma soprattutto di testare scenari di riduzione delle emissioni per valutarne l’efficacia su entrambe le problematiche. Se oggi il nostro orizzonte di osservazioni ci permette di cogliere segnali di alcune conseguenze sulla qualità dell’aria alla scala locale, molto lavoro deve essere svolto per poter contribuire alla quantificazione della portata globale dei fenomeni; è necessario dunque proseguire nelle attività di monitoraggio, collocando il tema dell’inquinamento atmosferico alla scala planetaria e alle prospettive future, per capire meglio le relazioni tra clima e qualità dell’aria e contribuire a definire politiche efficaci su entrambi i fronti.

* ARPA VdA. In collaborazione con Henri Diémoz, Giordano Pession, Sara Ratto e Ivan Tombolato.


Cambiamenti climatici

GHIACCIAI E CAMBIAMENTI CLIMATICI di DAVIDE BERTOLO, MICHÈLE CURTAZ, CLAUDIO LUCIANAZ, ANDREA ROASIO , ALEX THEODULE E MARCO V AGLIASINDI*

I rischi glaciali I ghiacciai e la criosfera alpina in generale sono ambienti che si evolvono con grande rapidità, a causa della facilità con cui il ghiaccio passa dallo stato solido a quello liquido secondo la temperatura, della forte acclività e della presenza di materiale detritico. Questa rapida evoluzione si traduce in processi geomorfologici in grado di provocare un’alterazione delle condizioni di equilibrio dei versanti e determinare quindi dei dissesti che si possono propagare anche a grandi distanze. La presenza di elementi antropici vulnerabili, quali ad esempio aree edificate o strade, nelle aree di potenziale espansione di questi fenomeni genera delle situazioni di rischio. Si parla quindi di rischi di origine glaciale (in seguito per brevità “rischi glaciali”), in tutti i casi in cui dei processi che si originano da ambienti glacializzati, propagandosi, arrivano ad interferire con aree antropizzate o infrastrutturate. Oltre agli ambienti in cui la presenza del ghiaccio è evidente, come i ghiacciai, vi sono anche settori in cui sono le condizioni termiche a influire sulle caratteristiche dei materiali: sono le

zone soggette a permafrost, ossia ad uno stato termico di gelo permanente per almeno due anni consecutivi. Il permafrost è diffuso nella aree di alta quota con una distribuzione molto variabile, dipendente da fattori come la quota, l’esposizione, l’irraggiamento, ed interessa tutti i materiali, dal detrito sciolto alla pareti rocciose. Anche per i materiali soggetti a permafrost, variazioni delle condizioni termiche possono provocare variazioni nelle caratteristiche meccaniche e quindi dei dissesti. L’evoluzione degli ambienti glaciali e periglaciali (caratterizzati cioè dalla presenza più o meno continua del gelo) è un fenomeno naturale, che avviene in qualsiasi condizione, e non è necessariamente ed esclusivamente legata al global warming (riscaldamento globale). Tuttavia, essendo principalmente determinata da forzanti meteoclimatiche, tale evoluzione diventa particolarmente sensibile in condizioni di rapido ed accentuato cambiamento del clima. In generale, i dissesti di origine glaciale possono essere classificati in tre categorie principali. Il crollo di seracchi da ghiacciai sospesi è un fenome-

no che interessa i cosiddetti ghiacciai freddi, substrato cioè i ghiacciai in cui non circola acqua liquida, posti su pendii molto ripidi ad alta quota. In questi ghiacciai, data la loro posizione a quote molto elevate, l’accumulo di neve che si trasforma in ghiaccio è maggiore della fusione che si ha in estate, e di conseguenza la massa del ghiacciaio accresce fino a diventare troppo pesante per rimanere in equilibrio sul pendio. Si verificano quindi crolli più o meno frequenti di masse di ghiaccio. In altri casi i crolli si verificano quando il ghiacciaio è posto sul bordo di un gradino roccioso e una parte della fronte, spinta dal naturale movimento del ghiacciaio, avanza oltre il cambio di pendenza. È un fenomeno periodico, che deve per forza, avvenire per mantenere il ghiacciaio in uno stato di equilibrio. Questo tipo di dissesto non è quindi legato all’evoluzione climatica, anzi una diminuzione degli accumuli nevosi può portare ad una diminuzione della frequenza dei crolli. Il crollo di seracchi può provocare valanghe di ghiaccio o, in presenza di neve, innescare valanghe miste di grandi proporzioni. Un secondo tipo di fenome41


Cambiamenti climatici no è il cosiddetto collasso glaciale. È un fenomeno che interessa i ghiacciai temperati, cioè quelli in cui circola acqua allo stato liquido o politermici (ghiacciai in cui la parte superiore è fredda e la parte inferiore temperata). L’instabilità di questi ghiacciai deriva da una combinazione tra le condizioni geometriche (pendenza) e la circolazione idrica. L’acqua gioca un ruolo chiave nel determinare l’instabilità, riducendo l’attrito ghiaccio/substrato e creando delle pressioni idrauliche che favoriscono lo scollamento del ghiacciaio stesso dal suo substrato. Questi fenomeni possono coinvolgere l’intero ghiacciaio o porzioni di grande volume, dando origine a valanghe di ghiaccio catastrofiche. L’innesco del collasso, risultando da una combinazione di diversi fattori, può prodursi in qualunque momento e non è di fatto prevedibile. Il terzo tipo di instabilità sono le rotte glaciali, chiamate in inglese GLOF. (Glacial Lakes Outburst Flood). Queste consistono nel rilascio improvviso di accumuli idrici formatisi all’interno del ghiacciaio (laghi endoglaciali), sulla sua superficie (laghi epiglaciali) o nelle aree perimetrali (laghi periglaciali). Una situazione tipica è quella di laghi che si formano tra le morene deposte dal ghiacciaio in fase di ritiro ed il ghiacciaio stesso. In assenza di drenaggio, l’accumulo d’acqua aumenta fino a che la pressione idrostatica supera la resistenza dello sbarramento o del ghiaccio circostante, e si verifica allora una rottura con rilascio improvviso di volumi d’acqua anche ingenti molto grandi. Nel caso di accumuli endoglaciali, il fenomeno è praticamente non prevedibile. Le rotte glaciali possono provocare onde di piena improvvise e non correlate a meteorici nessuna precipitazione, o fenomeni

Ghiacciaio del Miage.

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di trasporto di massa o colate detritiche, il cui innesco è favorito dalla presenza di materiale detritico nelle aree circostanti il ghiacciaio stesso. I dissesti di origine glaciale presentano caratteristiche che li rendono particolarmente critici dal punto di vista della gestione dei rischi. In generale si tratta di fenomeni caratterizzati da una frequenza di accadimento bassa ma che quanto avvengono possono coinvolgere volumi elevati ed assumere grande velocità ed energia. Il fatto di essere fenomeni poco frequenti o sporadici riduce le possibilità di studio volto alla previsione in termini temporali e alla localizzazione in termini spaziali. In secondo luogo si tratta di solito di fenomeni improvvisi, per i quali è difficile o talora impossibile individuare dei precursori, quantitativi o qualitativi, che ne consentano la previsione. Infine, i fenomeni innescati dai dissesti glaciali - valanghe di ghiaccio o miste, ondate di piena e colate di fango o detrito sono in grado di propagarsi con velocità molto elevate (da 50 fino a 300 km/h per le valanghe, 80-90 km/h per i debris flow) ed a notevoli distanze. Pertanto, anche se i ghiacciai possono sembrare degli oggetti “remoti” e le aree antropizzate sono poste a distanza, questo non significa che esse siano “a distanza di sicurezza”.

Rischi glaciali e cambiamento climatico Nell’attuale situazione climatica, i ghiacciai e la criosfera alpini stanno subendo una fase di importante riduzione e trasformazione: a titolo di esempio, la riduzione areale dei ghiacciai è valutata in oltre 50% dal 1850 al 2000. Soprattutto, però, la riduzione della massa dei ghiacciai comporta delle grandi variazioni morfologiche che hanno una forte influenza sul paesaggio, sull’ambiente montano e sulle dinamiche di dissesto. I principali effetti che sono evidenti nel paesaggio montano sono: • la scomparsa dei ghiacciai di dimensioni più piccole e situati a quote più basse, che si frammentano in piccole placche di ghiaccio di ridotto spessore e vengono completamente coperte da detrito; • la trasformazione di ghiacciai vallivi in ghiacciai sospesi (fenomeno a volte definito “amputazione”): la lingua valliva perde il collegamento con la zona di alimentazione, che rimane sospesa sul versante, la lingua, non più alimentata si ricopre di detrito, si assottiglia rapidamente e spesso, per effetto della circolazione dell’acqua, forma delle cavità di dissoluzione che possono a volte formare dei veri e propri laghi; • la copertura di detrito delle mag-


A destra, un lago alle sorgenti del Lys. In basso, il seracco delle Grandes Jorasses.

giori lingue glaciali; • la scomparsa o la riduzione dei ghiacciai lascia ampie aree di versante coperte dal detrito trasportato e deposto dai ghiacciai stessi, che è formato da materiali sciolti ed in particolare da grossi blocchi lapidei con una matrice fine. Queste trasformazioni, e molte altre, possono portare diversi effetti sui fenomeni di dissesto e sulla pericolosità delle aree glaciali e periglaciali. Ad esempio, la presenza di ampie aree ricoperte da depositi glaciali di recente deposizione, quindi non consolidati e privi di vegetazioni, e ricchi di materiale fine, rende disponibile molto materiale sciolto che può essere trasportato dalle acque ed innescare fenomeni di trasporto in massa e colate di detrito. In molte aree, ove vi sono le condizioni morfologiche, la scomparsa del ghiaccio lascia il posto a nuovi laghi, spesso contenuti dalle morene frontali o laterali del ghiacciaio, mentre altri laghi si formano all’in-

terno o sulla superficie dei ghiacciai stessi a causa della fusione accelerata. In alcune condizioni questi laghi possono dare luogo a fenomeni di svuotamento improvviso, dando così origine alle rotte glaciali e a conseguenti ondate di piena, inondazioni o colate di detrito. la trasformazione di ghiacciai vallivi in ghiacciai sospesi genera nuove fronti sospese da cui si possono innescare crolli di seracchi. L’aumento della temperatura può cambiare il regime termico dei ghiacciai da freddi a temperati, cambiando quindi le dinamiche di dissesto a cui essi sono soggetti, e favorisce la formazione di accumuli idrici endoglaciali. Anche le precipitazioni brevi e intense, tipiche degli ultimi anni, possono causare la saturazione delle cavità dei ghiacciai a bassa quota e improvvisi rilasci d’acqua, come è accaduto al Ghiacciaio del Miage lo scorso agosto. Le Alpi sono una delle catene montuose con più elevato grado di antropizzazione, sia per ragioni storiche che per il recente sviluppo turistico e delle infrastrutture di comunicazione. Ne deriva che le regioni alpine sono fra le aree del mondo in cui le situazioni di rischio di origine glacia-

le sono maggiormente diffuse. Nello stesso tempo, le Alpi sono anche una delle aree geografiche in cui l’attuale fase di riscaldamento climatico è più accentuata: dalla fine del XIX secolo, la temperatura media è aumentata di 2 °C, oltre il doppio dell’aumento mediamente registrato nell’emisfero settentrionale. Per questo le regioni di montagna sono forse una delle zone dove gli effetti dell’evoluzione climatica, in termini di rischi, si fa maggiormente sentire. In Valle d’Aosta Il territorio della Valle d’Aosta presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente soggetto ai rischi glaciali. Si tratta di un territorio montano (oltre il 50% del territorio è ad una quota superiore a 2000 m slm) in cui la presenza dei ghiacciai è rilevante sia in termini numerici che di superficie. Il dato riportato nel Catasto Ghiacciai della Regione autonoma Valle d’Aosta, attualmente aggiornato al 2005, indica la presenza di 209 ghiacciai che coprono una superficie di circa 135 km2, poco meno del 5% del territorio regionale. I ghiacciai sono localizzati in corrispondenza dei principali gruppi montuosi (Mon43


Cambiamenti climatici Una diga di ghiaccio.

te Bianco, Monte Rosa-Cervino, Gran Paradiso) e sono per la maggior parte di piccole dimensioni (area inferiore a 1 km2). Negli ultimi anni essi hanno subito forti trasformazioni e una marcata riduzione areale, passando da 175 km2 nel 1975 a 158 km2 nel 1999, fino a 135 km2 nel 2005. Tra le caratteristiche geomorfologiche del territorio valdostano vi è l’elevata energia del rilievo: il fondovalle ha una quota minima di 340 m slm e si sviluppa a quote medie di poco più di 600 m slm, mentre i rilievi più alti superano i 4000 m e quasi tutte le valli laterali hanno rilievi che superano i 3000 m. Questo si traduce in un’elevata acclività dei versanti che favorisce l’innesco e la rapida propagazione di fenomeni gravitativi, tra cui i dissesti di origine glaciale. La Valle d’Aosta presenta inoltre un elevato grado di antropizzazione: il forte sviluppo turistico ha portato alla realizzazione di insediamenti ed infrastrutture in aree remote rispetto al fondovalle e vicine ai ghiacciai ed alle loro aree di influenza. In altre parole il territorio presenta numerosi elementi di vulnerabilità rispetto ai fenomeni di origine glaciale. Per questo motivo La Regione autonoma Val44

le d’Aosta ed in particolare la Struttura organizzativa Attività geologiche del Dipartimento programmazione, opere pubbliche e difesa del suolo, ha messo in atto da alcuni anni un piano di monitoraggio del rischio glaciale, volto all’individuazione e prevenzione di questa tipologia di rischi. Il piano riguarda i fenomeni che possono interessare aree edificate o infrastrutture, escludendo totalmente i rischi soggettivi legati alla frequentazione alpinistica della montagna. Il piano è gestito da Fondazione Montagna sicura, in stretta sinergia con le strutture regionali, e prevede un sorvolo fotografico annuale di tutti i ghiacciai per valutarne l’evoluzione, e sistemi di monitoraggio specifici per situazioni di effettivo rischio. Tra i fenomeni di maggiore interesse e oggetto di monitoraggio, vi è il ghiacciaio sospeso delle Grandes Jorasses, che rappresenta un tipico ghiacciaio freddo da cui si verificano crolli periodici. L’ultimo evento di crollo, dopo oltre 15 anni di “quiete”, è avvenuto alla fine di settembre 2014, senza però causare effetti sul fondovalle né richiedere la necessità di misure di protezione per il fondovalle. Questo tipo di fenomeni è rela-

tivamente indipendente dal riscaldamento climatico, anzi l’accumulo di ghiaccio che dà luogo a crolli è maggiore quanto maggiori sono le precipitazioni nevose. Un interessante caso valdostano, legato invece al cambiamento del clima riguarda invece il Ghiacciaio del Lys: La lingua del ghiacciaio, staccatasi dal corpo principale nel 2007, ha subito una forte contrazione. La circolazione idrica subglaciale ha provocato la fusione dal basso del ghiaccio che si è assottigliato fino al collasso della parte superiore, con lo sviluppo di cavità. Una cavità formatasi al margine sinistro della lingua a partire dal 2005 si è evoluta fino a costituire un vero e proprio bacino lacustre di oltre 200 m di lunghezza e 70 di larghezza, situato dietro alla celebre zona nota come “Sorgenti del Lys”. Anche se alcune valutazioni di tipo idraulico e glaciologico hanno permesso di escludere un effettivo rischio per le zone di fondovalle, il lago è stato oggetto di monitoraggio dal 2011. Il settore di ghiacciaio circostante ha subito negli ultimi anni una rapidissima evoluzione che ha portato nel 2014 alla completa fusione della “diga” di ghiaccio che racchiudeva il lago, oggi quindi in comunicazione diretta con il torrente Lys. Con ogni probabilità la fusione di quanto resta della lingua glaciale continuerà nei prossimi anni, facendo ulteriormente espandere l’area occupata dal bacino lacustre forse fino alla zona sottostante la fronte, ormai sospesa, del ghiacciaio. Il controllo, di questo come di altri ghiacciai valdostani, continua, per monitorare l’evoluzione nei prossimi anni di questo importante elemento del territorio. * - M. Curtaz, C. Lucianaz, A. Roasio, A. Theodule e M. Vagliasindi, Fondazione Montagna Sicura. - D. Bertolo, geologo e Dirigente struttura attività geologiche.


LA STRUMENTAZIONE PER IL MONITORAGGIO DEI RISCHI GLACIALI Essendo i ghiacciai elementi molto attivi, diventa necessario attivare importanti misure di prevenzione, che per lo più consistono nel monitorare i fenomeni al fine di migliore la conoscenza e prevenire gli eventi. Gli strumenti che si possono adottare per il monitoraggio sono diversi secondo il tipo di dinamica glaciale. Ad esempio, i ghiacciai freddi (senza presenza di acqua) possono dare luogo a crolli di volumi di ghiaccio più o meno grandi, caso rappresentato tipicamente dal Ghiacciaio delle Grandes Jorasses. Per questo tipo di fenomeni, è possibile attuare una previsione, basata sul fatto che nelle fasi precedenti un crollo il ghiacciaio, che si muove normalmente con velocità limitate, aumenta progressivamente la sua velocità. È quindi necessario poter misurare in modo quasi continuo la velocità di spostamento del ghiacciaio stesso. Nel caso delle Grandes Jorasses, questo viene fatto mediante una stazione totale topografica, installata sul fondovalle, che legge la posizione di alcuni prismi posizionati sulla superficie del ghiacciaio stesso, a quasi 5 km di distanza! Il posizionamento dei prismi è un’operazione molto complessa che richiede l’impiego dell’elicottero e delle guide alpine. Lo strumento effettua automaticamente dei cicli di misure ogni ora, e trasmette i dati delle posizione dei prismi. I dati vengono elaborati, ricavando gli spostamenti e le velocità. In questo modo è possibile individuare le accelerazioni e prevedere eventuali crolli. Nel mese di settembre questo sistema ha permesso di prevedere due crolli di ghiaccio, ciascuno del volume di circa 50.000 metri cubi ciascuno, avvenuti a pochi giorni di distanza. Data l’assenza di neve, non è stato necessario prendere delle misure di sicurezza per il fondovalle, ma sono state diffuse informative sul pericolo per l’attività alpinistica. Questo sistema topografico, che ha un “punto debole” nelle condizioni di visibilità, è stato integrato a livello sperimentale con altri metodi di monitoraggio, che sfruttano il sistema satellitare GPS e misure sismiche. Inoltre sono state installate in sito alcune camere automatiche, che hanno permesso, grazie alla trasmissione in remoto delle immagini, di monitorare a livello qualitativo l’evoluzione delle fratture sul seracco fornendo importanti elementi per la valutazione della stabilità. Per i ghiacciai di tipo temperato, cioè con presenza di acqua, che hanno una dinamica molto diversa, e in parte ancora poco nota, sono stati adottati sistemi di monitoraggio di tipo fotografico, che riprendono e trasmettono da punti fissi delle immagini su cui è possibile sia effettuare osservazioni qualitative, sia analisi tramite appositi software. Un sistema di questo tipo è stato ad esempio installato sul ghiacciaio di Planpincieux, in Val Ferret. Lo scopo principale in questo caso è di comprendere meglio il comportamento del ghiacciaio e individuare eventuali indizi di fenomeni di instabilità. I sistemi attualmente in atto sul territorio regionale sono gestiti dalla Fondazione Montagna sicura nell’ambito di un “Piano di monitoraggio del rischio glaciale”, sotto il coordinamento della struttura Attività geologiche della Regione Autonoma Valle d’Aosta.

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Recensioni

l pianeta che scotta. Capire il dibattito sui cambiamenti climatici. Luca Fiorani, Antonello Pasini. Città Nuova Editore (collana I Prismi. Saggi), 2010.

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L’uomo della strada è disorientato di fronte al problema dei cambiamenti climatici. I mass media, infatti, lo bersagliano con messaggi contrastanti da «la fine del mondo è vicina» a «in realtà non sta succedendo niente». Per fare chiarezza, psi propone un testo divulgativo e rigoroso nello stesso tempo. Per introdurre anche il lettore non familiare con le scienze alla comprensione delle complesse relazioni che legano i vari elementi del «Sistema Terra» e per permettere di farsi un’idea della scienza, dei suoi limiti e dei suoi successi. Che cosa sono i cambiamenti climatici? Che ne sarà del nostro pianeta nei prossimi decenni? E’ la natura che sta facendo il proprio corso o siamo stati noi, umani, a provocare il riscaldamento globale? … Queste sono solo alcune delle domande che ruotano attorno al tanto discusso tema dei cambiamenti climatici, argomento ultimamente tanto popolare quanto dibattuto. A livello scientifico è ormai dimostrato e sostenuto all’unisono da tutti gli esperti del clima che il cambiamento climatico è una questione quanto mai seria ed urgente: non solo il clima sta cambiando, ma il suo rapido sviluppo è dovuto principalmente dall’aumento di emissioni dei così detti gas serra, risultato delle attività umane e della crescita economica degli ultimi decenni. Tuttavia, la confusione sorge nella popolazione, a causa di quella tendenza propria dei media di dar voce alle opinioni più disparate a riguardo, opinioni in netto contrasto tra loro. Esse provengono dai diversi portatori di interesse economico, dalle lobby del petrolio alle società che traggono profitto dalle energie verdi, ma anche da due visioni del mondo del tutto contrapposte; ad una visione antropocentrica, che pone l’uomo al centro del Sistema Terra del quale egli è “padrone” viene contrapposta una visione “ecocentrica”, in cui l’uomo è invece considerato il “cancro della Terra”, la fonte di ogni male.

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Chi ha ragione? Che cosa succede davvero intorno a noi e che ruolo abbiamo nel cambiamento climatico? Con quali mezzi la scienza cerca di rispondere a questi quesiti? Il pianeta che scotta, capire il dibattito sui cambiamenti climatici è innanzitutto un libro di divulgazione scientifica, il cui obiettivo è proprio quello di rendere accessibile a tutti il discorso sui cambiamenti climatici, cercando di introdurre anche il lettore non particolarmente familiare con le scienze alla comprensione dei diversi fattori che interagiscono tra loro nell’ambito del Sistema Terra e che determinano alcuni dei risultati a tutti noi visibili come, appunto, l’innalzamento della temperatura media globale. L’approccio adottato dagli autori, i due fisici Antonello Pasini e Luca Fiorani, è un approccio tuttavia rigoroso, pur nella sua semplicità, che permette a chiunque legga di comprendere non solo i fattori principali del Sistema Terra, ma anche i metodi utilizzati dagli scienziati per analizzarli, studiarli e comprenderli. Il breve volume è diviso in tre sezioni principali “Sistema Terra”, Modelli climatici e Il dibattito sui cambiamenti climatici. La prima parte si propone di dare al lettore un’infarinatura scientifica basilare per permettergli di seguire al meglio il procedere del discorso. Nella seconda sezione gli autori spiegano i metodi utilizzati per costruire i modelli climatici, per validarli e per utilizzarli nelle simulazioni dei vari scenari futuri; viene inoltre presentata una sintesi delle ricerche più accreditate in ambito di cambiamenti climatici, nonché delle proiezioni climatiche per i prossimi anni, lasciando spazio ad un paragrafo molto interessante dedicato agli impatti dei cambiamenti climatici sull’ambiente e sulle attività umane. La terza parte del libro, infine, è indirizzata al dibattito sui cambiamenti climatici, principalmente nei media, ma anche presso la comunità scientifica, e si propone di spiegare, in breve, il perché di tale divergenza di opinioni e la credibilità di determinate affermazioni, il tutto in un tono piuttosto oggettivo, che lascia al lettore la libertà di formulare una propria opinione in merito. Con un linguaggio semplice a grazie all’aiuto di tabelle e grafici riassuntivi nonché di esempi

tratti dalla vita reale, gli autori riescono nel loro intento di fornire a chiunque legga un quadro chiaro sulle dinamiche che coinvolgono il nostro pianeta e sulle cause e le conseguenze dei cambiamenti climatici, assegnando ai propri lettori i mezzi con cui giudicare in modo critico e consapevole il dibattito in atto e con cui comprendere la differenza tra negazionismo e critiche costruttive alle metodologie scientifiche, senza “abboccare” al catastrofismo esasperato dei media. Chiara Minelli (tirocinante presso Assessorato territorio e ambiente)


Recensioni

e mucche non mangiano cemento. Viaggio tra gli ultimi pastori di Valsusa e l’avanzata del calcestruzzo. Luca Mercalli, Chiara Sasso. Società Meteorologica Subalpina, 2004.

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Il mondo degli alpeggi è oggi uno strano connubio tra i ritmi lenti ed essenziali di un tempo remoto, dai tratti quasi medievali, e le pressioni della tecnologia e dell’economia moderne, prive di limiti apparenti. Entrambe queste culture hanno qualcosa da imparare l’una dall’altra, ma il messaggio di fondo che ci giunge dai pascoli d’alta quota è il rispetto dei limiti imposti dall’ambiente. La crescita infinita dei consumi, è un mito pericoloso, non consentito dalle leggi della termodinamica. Il mondo sostenibile va a bassa velocità. Il paesaggio intorno a noi è in continua evoluzione, un cantiere sempre aperto. Soprattutto nelle zone industriali, ai margini delle città, ma anche in luoghi in cui fino a poco tempo fa la natura era protagonista, sorgono cantieri, costruzioni e capannoni privi di coerenza, di senso estetico e di “qualsivoglia valore che non sia il profitto immediato”. Già nel leggere l’introduzione, a cura del famoso meteorologo Luca Mercalli, si capisce che Le mucche non mangiano cemento è un libro particolare, intriso di saggezza. Il titolo, dai toni forse un po’ provocatori, fa proprio riferimento alla contrapposizione tra la società rurale ed il capitalismo, tra le nostre radici ed il nostro futuro. Attenzione, però, non si tratta di un libro nostalgico che rimpiange i bei tempi andati, bensì di un insieme di spunti, riflessioni, commenti, il tutto corredato da citazioni colte tratte dagli ambiti più disparati, dalla letteratura umanistica a quella scientifica, dalla poesia alla scienza economica. In questo volume ampio spazio è dedicato ai marghé, i pastori della Val di Susa, testimoni, negli anni, del cambiamento della società e del territorio, diventati, ai loro occhi, quasi irriconoscibili. Si tratta di uomini e di donne di generazioni diverse, che condividono però il mestiere, quello duro di chi al primo posto ha sempre messo le “bestie”. Le loro storie sono vere e sembrano molto più antiche di

quanto non siano, poetiche e crude al tempo stesso; le loro vite sembrano quasi scorrere con più lentezza e sembra impossibile conciliarle con il mondo circostante. Eppure, con loro, e di fianco a loro, il progresso si fa strada, anche se di progresso non sempre si può parlare. I temi più disparati emergono nelle interviste della prima parte, curate da Chiara Sasso, e vengono ripresi nella seconda parte del volume, a cura di Luca Mercalli. È qui che le impressioni, le storie ed i commenti dei marghé vengono integrati dalla letteratura scientifica e socio-economica. Gli argomenti sono tanti e si ripetono, ma rispetto alla prima parte ora hanno termini più tecnici ed altisonanti. Si parte dal cemento, come simbolo dell’irrazionalità capitalistica, cemento che mina il ripristino naturale dei terreni agricoli e che nega le importanti funzioni ecologiche e socio-economiche svolte proprio dai suoli che esso viene chiamato a ricoprire. Si parla del consumismo, dell’insostenibilità del nostro stile di vita nel medio e lungo termine e dei limiti fisici del nostro pianeta, dalle risorse limitate. Vengono inoltre proposti modelli alternativi di sviluppo oltre a riflessioni sull’estetica del paesaggio, sulle grandi opere e sulla TAV. Le mucche non mangiano cemento è un volume dalla struttura non lineare, che può essere letto a pezzi, a partire dal fondo o da metà. Ci si può soffermare sulle interviste, sulle citazioni, sulle notizie racchiuse nei riquadri di approfondimento, sugli argomenti economici, scientifici o sociali. Poco importa come lo si legge, il libro risulta comunque estremamente piacevole, interessante e ben scritto. Può sembrare nostalgico, inizialmente, ma ben presto si scopre che si tratta di una storia che prende spunto dal passato solo per guardare meglio al futuro. Si tratta di un libro quanto mai attuale, che ci costringe a riflettere sul nostro stile di vita e sui limiti della natura, ma soprattutto sull’interazione tra l’uomo e l’ambiente e sulle conseguenze irrimediabili che possono scaturirne. Bisogna forse partire da qui, per comprendere a pieno la crescente preoccupazione nei confronti dell’evoluzione del nostro pianeta, del clima e degli ecosistemi; bisogna fermarsi un attimo a guardare

indietro, per poi ripartire, con più coscienza e più consapevolezza, verso un futuro migliore. Chiara Minelli (tirocinante presso Assessorato territorio e ambiente)

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