Beato Don Ignazio Klopotowski

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Don Ignazio Klopotowski è un umile Sacerdote che, negli anni a cavallo tra l’800 e il 900, ha lavorato per la diffusione del Regno di Cristo nella sua patria, la Polonia. Caratteristica del suo apostolato, è stata un’azione pastorale senza confini e senza tregua, alimentata da una intima e continua unione con Dio e con la Santissima Vergine. Prima che un grande Apostolo, Don Ignazio fu un grande Mistico, forse uno dei più grandi che la Polonia abbia espresso in quegli anni, accanto a Padre Kolbe e a suor Faustina Kowalska . A Lublino, benché giovanissimo Sacerdote — oltre alla cura della parrocchia, dei malati dell’ospedale e all’insegnamento in Seminario — lo vediamo dedicarsi ai poveri più abbandonati ed aprire per loro una casa (la “Casa del Guadagno”) che sarà dormitorio, luogo di lavoro e di riabilitazione sociale: di “guadagno” appunto. In essa entreranno a centinaia poveri emarginati ed oziosi e ne usciranno sarti, falegnami, fabbri, calzolai, cestai, utili a se stessi e alla società. Quasi contemporaneamente — anche se tra diffidenze e critiche — Don Ignazio apre la casa per la redenzione delle povere ragazze perdute, a Lublino che affiderà prima alle Terziarie


dopo alle Suore di Gesù Buon Pastore e che lui assisterà come guida spirituale e come catechista. Il cuore della sua casa è la Cappella dove ognuno può incontrarsi con Gesù Sacramentato, ma in essa attiva anche una lavanderia, una stireria, una sartoria, una tessitura e una piccola fabbrica di calze. Suo principio è che sia ai poveri che alle ragazze non si deve fare soltanto elemosina: si deve donare la Carità di Cristo, che è liberazione dal vizio e dall’ozio e avvio a una vita onesta e laboriosa. Principio questo che, nella Polonia di allora, suona nuovo e veramente innovatore. Ma come se tutto ciò non bastasse, Don Ignazio inizia in quegli stessi anni una attività editoriale tutta tesa alla diffusione della verità e della vita cristiana in mezzo al popolo. È significativo che le sue prime due operette religiose abbiano per titolo: «Visite al Santissimo Sacramento» e «Sii figlio di Maria», alle quali però seguiranno decine e decine di agili libretti sui più svariati temi religiosi e morali che Don Ignazio distribuiva spesso sempre... gratuitamente. Poi, non contento, apre una propria tipografia con una quarantina di dipendenti dove stampa un quotidiano, Il Polacco Cattolico, un settimanale, La Semente e un mensile, La Lavoratrice Polacca. Il tutto, naturalmente, scritto da lui durante la notte... Quando, nel 1908, viene trasferito a Varsavia, la sua attività editoriale prende il volo: tra il 1908 e il 1914 stamperà sei milioni di libri ed opuscoli, senza contare i giornali e le riviste che raggiungono la tiratura di quaranta-cinquantamila copie al numero: cosa eccezionale per quei tempi! La sua fedeltà alla Chiesa e ai poveri gli procura — come è immaginabile — critiche ed avversità. La sospettosa polizia zarista, che da sempre vede in lui un cattolico e un patriota irriducibile, arriva a processarlo e ad incarcerarlo. Ma Don Ignazio non cede di un millimetro. Anzi, a Radzwillow apre un grande orfanatrofio, che affida alle Suore della Carità. Quando il Vescovo lo nomina parroco della Chiesa di San Floriano, al quartiere Pragha di Varsavia, nel suo cuore si fa strada un nuovo progetto apostolico, il più bello ma anche più arduo di

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tutta la sua vita sacerdotale: la fondazione di una nuova Congregazione religiosa che continuasse nel tempo la sua opera. Quasi trasferendo nelle future Suore la sua anima di mistico e di apostolo, egli le pensa totalmente unite a Dio e totalmente dedite alla salvezza delle anime, specialmente attraverso l’apostolato della stampa. Ed è così che sorretto e incoraggiato dal proprio Vescovo, Mons. Kakowski, e dal Nunzio Apostolico a Varsavia, Mons. Achille Ratti (il futuro Papa Pio XI), il 31 luglio 1920 Don Ignazio ha la gioia di donare l’abito religioso alle prime Suore della “Congregazione delle Beata Vergine di Loreto”, come egli la volle chiamare. Inizia così l’ultimo decennio della sua vita: il più intenso, il più carico di consolazioni ma anche di sofferenze: da allora il suo abituale nutrimento spirituale è la meditazione della Passione di Gesù. Alle sue Suore che lo supplicano di rallentare il ritmo di lavoro e di concedersi un po’ di riposo egli risponde sempre che «si riposerà in Paradiso». E saranno le sue stesse Suore che lo troveranno morto, stroncato da un infarto, nel suo appartamento, in ginocchio. Era il 7 settembre 1931. Aveva 65 anni.


Lublino 1891 - 1908 «Un sacerdote attivo e zelante» L’esordio pastorale Ignacy diventa sacerdote il 5 luglio del 1891, nella cattedrale di Lublino: non ha ancora venticinque anni. Un mese prima ha ultimato gli studi a Pietroburgo con il titolo di laureato in teologia; sempre a Pietroburgo, nel 1889, ha ricevuto l’ordinazione diaconale. A Lublino lo attende un duplice incarico: viceparroco nella chiesa della Conversione di San Paolo e professore in seminario. Il vescovo Franciszek Jaczewski lo vede capace e disponibile, e qualche mese dopo rincara la dose degli impegni pastorali: nel 1892 lo nomina cappellano dell’ospedale San Vincenzo de’ Paoli. Nel dicembre dello stesso anno, mons. Jaczewski lo trasferisce dalla parrocchia della Conversione a quella della Cattedrale, sempre in qualità di viceparroco; è una parrocchia impegnativa: quindicimila anime. Vi rimarrà fino al 1896.

Don I. Klopotowski ord inato sacerdote dal Vescovo Franciszek Jaczewski

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Come sdebitarsi con Dio?

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«Come ti sdebiterai di fronte al Signore per l’eccelsa dignità sacerdotale alla quale ti ha innalzato?». È la domanda che un amico rivolge a Ignacy nel giorno della sua ordinazione. Il tono è quello delle frasi di circostanza, il cui destino è di essere dimenticate subito. Ma per il neosacerdote non è così: la domanda dell’amico gli entra nel cuore, gli torna alla mente e diventa oggetto di preghiera. Sente un richiamo interiore forte, tanto forte che lo identifica con la voce stessa del Signore: comprende, fin dai primi tempi del suo sacerdozio, di essere chiamato a lavorare per i poveri, e in particolare per quelli che tutti rifiutano. Gli sembra di intuire il suo futuro: «Ho visto davanti a me un vasto campo di lavoro, non occupato da nessuno», scriverà quindici anni più tardi ricordando quel momento. L’attenzione ai più poveri si radica nel cuore del Vangelo: nella persona stessa di Gesù che fu per eccellenza – scrive ancora

Don I. Klopotowski nel 1894

Uno dei poveri assistiti da Don Klopotowski


Padre Ignacy – «il più povero dei poveri»; ed è pure un’imitazione del comportamento del Maestro che «ai poveri dava il primo posto nei suoi miracoli, nei suoi insegnamenti, nelle sue promesse». Infine, si allinea nella tradizione della Chiesa, il cui segno distintivo è stato «in tutti i tempi l’aiuto agli infelici e ai poveri». Dunque, la tradizione della Chiesa, gli insegnamenti del Vangelo e, ancor di più, l’imitazione di Cristo: sono queste le radici che faranno tanto fruttuosa la carità di Padre Ignacy. Quanto alle modalità, egli è molto chiaro: «Atteniamoci in pratica a questo principio: quando da ogni parte li rifiutano, noi li accettiamo. [...] Per questo i nostri poveri io li chiamo i più poveri»: una frase che riecheggia, quasi alla lettera, il programma di Madre Teresa di Calcutta: servire «i più poveri fra i poveri».

La parrocchia, l’ospedale, il seminario Nel secolo XIX le usanze della Chiesa polacca vogliono che il parroco e i suoi collaboratori si dedichino in modo pressoché esclusivo alla catechesi, alla liturgia e all’amministrazione dei sacramenti. Le attività caritative, che nell’odierna mentalità sono parte integrante della vita parrocchiale, rappresentano più un’eccezione che una regola. Padre Ignacy abbraccia subito il suo dovere. Poi – prestissimo – arriveranno le attività caritative. Ma il suo posto è prima di tutto accanto all’altare. Non è impegno di poco conto; le funzioni liturgiche sono lunghe: la domenica poi, la celebrazione eucaristica è preceduta dal mattutino, dall’Ufficio della Madonna, dalle litanie, dalle “coroncine” e dalle consuete preghiere del mattino. Ampio spazio è dato poi alla catechesi, tanto dei bambini che degli adulti: il metodo seguito è quello tradizionale delle domande e risposte da memorizzare. A tutto ciò si aggiunge la lunga serie di devozioni particolari, sempre care alla religiosità popolare: il mese di maggio e di ottobre, dedicati – allora come oggi – al rosario; le funzioni legate alla passione (devozione particolarmente viva presso i polac-

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blino

ione di San Paolo a Lu

La chiesa della Convers

nzo de’Paoli

L’ospedale di San Vince


chi), e le svariate novene, fra le quali sono molto frequentate quelle della Madonna del Perpetuo Soccorso. Padre Ignacy si adegua allo stile pastorale dell’epoca; nel suo ardente apostolato della preghiera, come vedremo in seguito, la sua preoccupazione sarà non tanto quella di ritoccare o rinnovare le forme, ma di richiamare e ravvivare il loro contenuto e di farlo entrare nel cuore e nella vita dei fedeli. Impegnativa è anche la cura dell’ospedale San Vincenzo: i malati non sono molti (l’istituzione conta appena cinquanta posti) ma l’assistenza è capillare: celebrazione dell’Eucaristia nella cappella dell’ospedale, amministrazione dei sacramenti e visita ai singoli malati per andare incontro alle loro necessità spirituali. Gli capita di affrontare situazioni difficili: poco dopo essere stato nominato cappellano, deve entrare in una stanza dove sono ammassati trenta malati di colera; qualcuno già agonizza. Racconterà un giorno: «Ero quasi sicuro di prendere la malattia. Dio mi ha salvato, non l’ho presa». Nel 1893, un altro caso drammatico: deve confessare quattro carcerati ricoverati a causa del tifo. Sono incatenati l’uno all’altro: per garantire la segretezza della confessione, Padre Ignacy è costretto ad avvicinarsi molto al loro viso. Lo assalgono timori angosciosi, che ricorderà a distanza di anni: «Mi perseguitava il pensiero di ammalarmi e morire dopo appena due anni di sacerdozio, al quale mi ero preparato per otto anni... ma dovevo compiere il mio dovere di confessare i peccatori per riavvicinarli a Dio». E neppure per questa volta rimane contagiato. Terzo impegno affidato dal vescovo è quello dell’insegnamento in seminario. Klopotowski è un professore tuttofare: esordisce con storia universale e letteratura polacca; dal 1893 insegna catechetica e dal 1895 lingua polacca. Alla fine del secolo lo troviamo sulla cattedra di Sacra Scrittura. Questo disinvolto alternarsi da un insegnamento all’altro parla in favore della versatilità di Padre Ignacy; ma ci fa anche comprendere che nel seminario di Lublino, in questo momento, si va perdendo la tendenza alla specializzazione dei singoli insegnanti: il che va a scapito del lavoro di ricerca e della creatività culturale. Ma non è necessariamente un male: Padre Ignacy, che

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pure ha ricevuto a Pietroburgo un’ottima formazione e che – volendo – potrebbe dedicarsi alla ricerca teologica o scritturistica, preferisce orientarsi verso una forma di letteratura popolare e divulgativa. I suoi scritti, la cui produzione comincerà molto presto, non saranno in alcun modo legati all’ambiente accademico, ma saranno un prolungamento della sua attività pastorale.

Dom Zarobkowy (La Casa del Guadagno) Dom Zarobkowy, ovvero la Casa del Guadagno è la sua prima realizzazione nel campo sociale e caritativo. Il giovane sacerdote ha già alle spalle una certa esperienza nel settore, risalente agli anni di Pietroburgo. Ma ancor più ha nel cuore quel richiamo interiore verso i più poveri che ha sentito fin dal momento dell’ordinazione. Il tempo di prendere contatto con gli impegni ministeriali e di assestarsi in essi, ed ecco che Padre Ignacy è già sul piede di partenza. Nel 1892 diventa membro dell’Associazione di Beneficenza di Lublino, che svolge un’intensa attività caritativa. Ma l’associazione (con la quale peraltro mantiene ottimi rapporti) non basta al suo zelo. Nel 1894 fonda a Lublino la Casa del Guadagno. Suoi modelli sono le analoghe Dom Pracy (Case del Lavoro) che in quegli anni erano state istituite in Polonia da diverse famiglie religiose: fra esse, i figli di don Bosco e di don Orione. La casa di Lublino nasce come semplice ospizio, in alternativa al dormitorio pubblico, il cui clima di deprimente miseria ha colpito molto Padre Ignacy1. Ma ben presto il fondatore dà alla 1

Così, nel suo libro Lubelski Dom Zarobkowy (La Casa del Guadagno di Lublino), Padre Ignacy descrive la situazione dell’ospizio pubblico: «Dormono sulla nuda terra, senza coperte e senza lenzuola, vestiti come vanno in giro di giorno; sotto la testa hanno una tavola inchiodata a pendìo. [...] Sono quasi del tutto storditi dall’acquavite e dalla nicotina. In una parola, un quadro di miseria morale e materiale, poiché esse vanno sempre appaiate; la miseria morale di solito procura quella materiale».


Casa del Guadagno l’impostazione che ha in mente fin dall’inizio: una sorta di centro di collocamento che aiuta i poveri a trovare un lavoro retribuito. Padre Ignacy è un apostolo della carità, non delle elemosine: amico della giustizia individuale e sociale, non si intenerisce troppo quando scopre che alla radice di una situazione miserevole c’è l’ozio. «I poveri», scrive, «non si sostengono con le elemosine, ma col cercare e fornire loro un lavoro». E agli inevitabili malevoli secondo i quali le istituzioni benefiche sarebbero un incoraggiamento alla pigrizia, risponde battagliero che «la Casa del Guadagno non dà mai in mano nemmeno un centesimo». La felice impostazione voluta dal fondatore – ricordiamo per inciso che la Casa del Guadagno è la prima cooperativa del Regno di Polonia – dà ben presto i suoi frutti: nel giro di pochi anni viene organizzata una mensa a basso prezzo: vi lavorano gli stessi ospiti della Casa del Guadagno. Dunque, i poveri lavorano per i poveri. Ben presto sorge anche un centro per i bambini poveri. Per i piccoli accattoni viene organizzata una scuola dove, sotto la guida di un maestro, i ragazzi imparano un lavoro. Dalla scuola escono sarti, falegnami, fabbri, calzolai, cestai. La fantasiosa carità di Padre Ignacy ormai procede a pieno ritmo: la Casa del Guadagno si arricchisce anche di un centro di raccolta per ragazze orfane (che vengono smistate presso famiglie fidate, dove imparano i lavori domestici) e di una specie di scuola per cameriere, che raccoglie le ragazze sole, le avvia al lavoro e – cosa che sta molto a cuore al fondatore – le preserva dai pericoli morali ai quali la loro situazione le esporrebbe.

Un anno intenso Nel 1896 Padre Ignacy ha trent’anni. Assai incoraggiato dal buon andamento della Casa del Guadagno e ancor più dalla certezza di trovarsi nella volontà di Dio, il giovane sacerdote allarga il campo delle sue iniziative.

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L’Ospizio sant’Antonio

In primo luogo, mette a punto un progetto che aveva in cuore fin dai tempi dell’ordinazione: l’istituzione di una casa (che chiamerà Ospizio Sant’Antonio) per la redenzione spirituale, morale e sociale delle donne traviate. Un progetto che all’inizio deve scontrarsi con lo scetticismo dei lublinesi, al punto che nessuno vuole affittargli un edificio a tale scopo. Nello stesso 1896 Padre Ignacy pubblica il suo primo libro: le “Visite al Santissimo Sacramento”, un’opera nella quale sono già presenti i tratti caratteristici della sua produzione letteraria: la grande semplicità espositiva, la chiara destinazione pastorale, lo stile ampiamente popolare. Al ’96 risale pure un altro “esordio”: quello delle indagini poliziesche nei suoi confronti. Il capo d’accusa è, in questo caso, la sua collaborazione con un facoltoso benefattore del Pulawy sospettato di propaganda patriottica. In questo medesimo, intenso anno, Padre Ignacy, dopo essere stato sollevato dal ministero presso l’ospedale cittadino, viene trasferito dalla cattedrale alla chiesa di San Stanislao, della quale sarà rettore fino al 1906.


Dunque, negli ultimi anni del secolo, don Klopotowski si trova impegnato su molti fronti: la chiesa di San Stanislao, l’insegnamento in seminario e le attività caritative che si vanno moltiplicando vertiginosamente: la Casa del Guadagno con le sue molteplici iniziative, l’Ospizio Sant’Antonio, la collaborazione con laici impegnati; inoltre, i primi passi nell’apostolato della stampa. Ha acquistato ormai la fama di essere «un sacerdote molto zelante e attivo», come lo definirà il venerato Padre Honorat Kozminski2, uno dei tanti religiosi che il rettore di San Stanislao chiamerà a collaborare nelle proprie iniziative. Le opere chiamano altre opere. «Nella mia attività benefica», ricorda Padre Ignacy, «mi sono imbattuto nella più svariata povertà e miseria. Non si sa a chi provvedere per primo». Il trentenne sacerdote ha, per così dire, imboccato una via senza ritorno: quella della carità, che quanto più viene esercitata, tanto più fa sentire i suoi richiami imperiosi. D’ora in poi sarà un turbine di opere. Ma prima di procedere nell’elenco delle iniziative, soffermiamoci un momento ad osservarne l’inesauribile ideatore.

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Il Cappuccino Padre Honorat Kozminski, nato a Biala Podlaska nel 1829, fu una delle figure più insigni nella Chiesa polacca del secolo scorso. Ancora giovane ebbe grandi responsabilità in seno all’ordine; ma dopo i moti del 1863 venne obbligato dalle autorità civili a risiedere prima nel convento di Zacroczyn e poi in quello di Nowe Miasto, sotto una stretta sorveglianza della polizia. Di fronte alla progressiva estinzione della vita religiosa polacca (era proibito ricevere novizi, e chi voleva farsi religioso il più delle volte andava all’estero), maturò l’idea – rivoluzionaria per quei tempi – di una forma di vita consacrata “nascosta”: senza mai spostarsi dal convento, dal suo confessionale fondò e diresse qualcosa come ventisei istituti religiosi (di cui diciassette esistenti tuttora!): i loro membri emettevano i voti, ma non portavano l’abito religioso, né vivevano in conventi, né dichiaravano il loro stato. Questa forma di vita, nata per una necessità contingente, ben presto si rivelò feconda e ricca per se stessa, sia come prolungamento della “vita nascosta” della Sacra Famiglia a Nazareth, sia come “lievito” che – senza essere veduto – fa fermentare la società in cui opera. Giovanni Paolo II lo ha proclamato Beato nel 1988.

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Di nome di fatto Anche se la sua vera etimologia rimane incerta, al nome Ignazio (di cui Ignacy è la versione slava) si attribuisce tradizionalmente il significato di “infuocato”. Nomen omen, dicevano i romani; il nome è tutto un programma, diciamo nel linguaggio attuale. Padre Ignacy ha un temperamento di fuoco: basta vedere il suo sguardo, come l’ha fissato l’obiettivo fotografico. È ardente negli affetti, fulmineo nelle decisioni, energico – per non dire travolgente – nell’azione, battagliero nella difesa delle verità di fede. La vista della sofferenza altrui (e di quella infantile in particolare) accende in lui un’immediata e irresistibile compassione. È di una generosità senza limiti e di una sincerità senza ombre. Qualche piccolo episodio lo ritrae al vivo non meno che l’elenco delle sue opere. È studente a Pietroburgo. Ha tra le mani un giornale per sacerdoti. L’articolista sostiene che il sacerdote, per essere più libero nel ministero, non dovrebbe avere presso di sé neppure i parenti più cari. Il giovane Ignacy, che ama intensamente la sua famiglia, non si trova d’accordo. Ma non si accontenta di dissentire silenziosamente in cuor suo. «Buttai in terra il mensile», ricorderà molti anni dopo, «tanto mi sembrava ripugnante quell’opinione». Possiede un’energia straordinaria, frutto dell’incontro fra una forte vitalità naturale e uno zelo soprannaturale per il Regno di Dio. Il cugino don Kazimierz Czarkowski ci lascia questa vivace pennellata: «Per Lublino non camminava: quasi correva, tanto che la mantellina sventolava». È ancora al cugino che dobbiamo questa piacevole e incalzante descrizione: «Ricordo che una volta arrivò come un fulmine nella sua libreria a Lublino [...], sbrigò molto in fretta quello che doveva sbrigare ed ancora più in fretta uscì per un altro impegno». Ama i poveri, per i quali – come hanno fatto tanti santi nella storia del cristianesimo – sfida in pace il galateo. Il sacerdote don Mystkowski racconta fra il divertito e l’ammirato: «È capita-


to anche questo: che don Klopotowski, professore del seminario di Lublino, prese un carretto, e, sistematavi sopra la scritta Il superfluo datelo ai poveri, non esitò ad andare dietro il carretto attraverso le vie di Lublino». Naturalmente, date le premesse, non possiamo pretendere che don Klopotowski sia anche diplomatico. Dice quello che pensa, senza sfumare i concetti ma – se mai – colorandoli vivacemente. Come è generoso in prima persona, è pure esigente con i propri collaboratori. Gli anni e la sofferenza lo addolciranno sempre di più e svilupperanno in lui un caldo spirito paterno; ma per adesso ascoltiamo quello che scrive di lui in una lettera alle sue suore il già citato Padre Honorat: «Di don Klopotowski si sa che, come egli stesso non pone limiti alla sua totale dedizione, così esige anche dalle suore cose troppo difficili: bisogna resistergli». Imbevuto di un profondo senso della giustizia, è portato allo sdegno non meno che alla compassione; né si fa premura di nasconderlo. Va da sé che la sua natura appassionata lo espone alla collera e agli scatti d’ira. Ma collera ed ira, al momento di prendere il sopravvento, devono fare i conti con la Grazia di Dio e con l’umile buona volontà del suo servo fedele. Quando sente avvicinarsi la tempesta, Padre Ignacy ricorre alla più mite di tutte le armi: la sua inseparabile corona del rosario. L’afferra e, camminando nervosamente, recita un’Ave Maria dopo l’altra, finché il cielo del suo cuore si è rischiarato. Qualche psicologo troverà da ridire sulla scientificità del metodo adottato; qualche teologo discuterà sull’interiorità di una preghiera fatta in simili condizioni. Ma Dio, che ama l’umiltà, va incontro al suo servo fedele e lo aiuta a trionfare su se stesso. Un giorno i suoi collaboratori potranno dire di non ricordare «che don Klopotowski abbia mai litigato, né con gli altri sacerdoti, né con i parrocchiani, né con i sacrestani». Il che – i sacerdoti lo sanno – non è piccola impresa.

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don Ignacy


Fra tradizione e rinnovamento «Nello spirito nazionale e sempre cattolico» Nell’ultimo scorcio del secolo XIX si respira, almeno negli ambienti cittadini, un’atmosfera tutta particolare. Le conquiste della scienza e della tecnica (che a quell’epoca dovettero apparire davvero strabilianti) stanno alimentando una specie di ottimismo a oltranza; si ha l’impressione di essere entrati in un’era splendida – la belle époque – e irreversibilmente felice. Ma si tratta di un ottimismo arrogante, che esclude Dio dall’orizzonte dell’uomo. Lo esclude nei comportamenti pratici e lo esclude anche nelle sue teorizzazioni: naturalismo, positivismo, materialismo. Sull’altro fronte, gli immancabili fautori del “si è sempre fatto così”, non vogliono sentir parlare di cambiamenti: ma il loro atteggiamento è spesso motivato da piccoli preconcetti più che da solidi ideali. Accanto a questa, molte altre contrapposizioni: fra imperi che vorrebbero essere “universali” e popoli che rivendicano l’autonomia; fra città scintillanti e squallide periferie; fra veloci accumuli di capitale e altrettanto veloce degrado negli ambienti operai. Tra questi contrasti emergono, sempre più chiare e sempre più in opposizione, due concezioni dell’economia (e non soltanto dell’economia): quella capitalista e quella marxista. Guidata dallo Spirito Santo, la Chiesa non si accontenta di collocarsi nel “giusto mezzo” (che, tra l’altro, sarebbe ben difficile da determinare in una realtà in continuo movimento); appoggiandosi invece a Cristo, Centro della storia, e alle sue parole che non passeranno, elabora una dottrina sociale chiara nei princìpi e flessibile nelle applicazioni, che trae occasione dalle contingenze (i nuovi rapporti creatisi fra le classi dopo la

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rivoluzione industriale) ma che allo stesso tempo le supera: nasce così la Rerum Novarum, che Leone XIII pubblica nel 1891 e che ancor oggi è considerata la Magna Charta della dottrina sociale della Chiesa. L’enciclica raccoglie l’interesse sociale che già da alcuni decenni fermentava tra molti fedeli, e allo stesso tempo lo incoraggia e lo sviluppa: le iniziative benefiche nate a cavallo tra i due secoli non si possono contare.

Una svolta per la chiesa polacca Salvo alcune eccezioni, nel corso del secolo XIX la Chiesa polacca non dimostra un interesse spiccato per il sociale. È verso la fine del secolo e ancor più agli esordi del secolo seguente che, dietro l’impulso della Rerum Novarum e l’esempio dei cattolici “occidentali”, si assiste a un fiorire di iniziative che coinvolge tutta la nazione, dal nord “prussiano” fino al sud “asburgico”. Il clero parrocchiale si impegna nell’organizzare asili infantili e opere assistenziali di ogni genere; si diffondono le Conferenze di San Vincenzo; i laici si lasciano coinvolgere nelle confraternite, nel Terz’Ordine francescano, nei Circoli del Rosario. Dagli orfani ai poveri, dai malati agli abbandonati, nessuna categoria sembra rimanere esclusa da questa ondata di carità evangelica.

Una carita’ avveduta Figlio fedelissimo della Chiesa, Padre Ignacy si inserisce a pieno titolo in questa espansione e anzi vi occupa una posizione di avanguardia. Il suo impegno caritativo, fin dall’esor-


dio con la Casa del Guadagno, si caratterizza per un duplice movimento: si incarna nelle situazioni locali, ma è attento alle novità che vengono dall’occidente; sulla solidità dei princìpi del Vangelo si innesta una singolare creatività di mezzi; infine, la carità di Padre Ignacy non si ferma mai alla semplice compassione, ma sfocia sempre in un coinvolgimento attivo della persona assistita.

Wiktoryn, la casa dove il Fondatore raccolse le ragazze di strada

Entriamo per un momento in una delle istituzioni a lui più care: il già citato Ospizio Sant’Antonio. È sistemato in un’ampia costruzione in via Bernardynska. Padre Ignacy l’ha trovata a fatica, perché nessuno voleva credere alla validità e all’affidabilità di una simile impresa: la riabilitazione delle prostitute. Invece, a pochi mesi dalla fondazione, le ragazze che vi alloggiano sono una quarantina. Non stanno in ozio: dirette dalle suore terziarie di Plock (appositamente chiamate da Padre Ignacy) gestiscono una lavanderia, una stireria e una sartoria. Han-

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no imparato un mestiere onesto e mandano avanti una piccola azienda tessile ed una fabbrica di calze. Hanno ricevuto un poco di istruzione, e il marciapiede è abbandonato per sempre. L’opinione pubblica, in principio così scettica, comincia a guardare l’ospizio con occhio benevolo. Ma a Padre Ignacy non basta il riscatto sociale: nemmeno a Gesù sarebbe bastato. «Più di ogni altra cosa», afferma, «occorre una cappella». Detto, fatto: accanto all’impegno morale, le ragazze cominciano a praticare l’impegno spirituale. Il fondatore tiene regolari lezioni di catechesi, assicura la celebrazione della messa, invita confessori e perfino predicatori di esercizi spirituali. Ormai può affermare con segreta soddisfazione che il principale scopo delle donne ospitate è quello di «lavorare per la propria santificazione e salvezza e con ciò riacquistare la dignità calpestata e disprezzata».

Paesaggio di Lublino


Vietato l’accattonaggio Neppure i mendicanti, molto numerosi nella Lublino dell’epoca, sfuggono allo sguardo di Padre Ignacy. Ma bisogna aggiungere che non è uno sguardo sempre indulgente: li studia con attenzione e conclude che «non di rado fonte dell’accattonaggio è l’ozio, il desiderio di accumulare denaro in maniera facile e assicurare un futuro a sé e alla propria famiglia». Può appurare che normalmente si “tramandano” l’attività «da nonno a nipote», che la maggior parte di essi si affretta a convertire le elemosine in bevande alcooliche e che qualcuno è «oltremodo benestante». La compassione di Padre Ignacy va ai poveri veri, non ai professionisti della povertà, come li definisce. All’inizio del secolo organizza due ospizi per i mendicanti e contemporaneamente lancia una curiosa iniziativa: la vendita di cartelli con la scritta: “È vietato l’accattonaggio”, cui si accompagna la raccomandazione di non sostenere con l’elemosina i mendicanti di strada. La vendita (il ricavato è destinato ai due ospizi) ha successo; meno successo ha invece l’iniziativa nel suo insieme: dei duecento accattoni “censiti”, soltanto i poveri veri – una quarantina – si dirigono verso i due ospizi. Tutti gli altri rifiutano ostinatamente di abbandonare il marciapiede: e con ciò, indirettamente, danno ragione al giudizio severo di Padre Ignacy.

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Un vecchio quartiere di

Varsavia


Varsavia 1908 - 1931 «Polak-Katolik» (Il Polacco Cattolico) Redattore, scrittore, editore Quando arriva a Varsavia, Padre Ignacy trova una città in piena espansione; basti dire che in meno di mezzo secolo gli abitanti si sono più che triplicati: erano 266 mila nel 1870 e saranno 884 mila alla vigilia della prima guerra mondiale. L’industrializzazione le sta dando il volto di una città moderna, mentre il vivissimo fermento culturale si concretizza in un vero e proprio “boom” dell’editoria. Dal punto di vista dell’impero russo, Varsavia è considerata una città di confine (cfr. cartina), da emarginare e “provincializzare” quanto possibile. Sforzo vano: per i polacchi la città sulla Vistola, già cuore geografico della nazione, sta assumendo sempre più il carattere di “capitale morale” della patria negata; ad essa, come a punto di riferimento, guardano anche i polacchi “austriaci” e quelli “tedeschi”3. Consapevole del suo ruolo – ufficioso ma assai vivo – di capitale, Varsavia ha dunque un motivo in più per osteggiare il dominio dello zar; e nel 1905 la miccia rivoluzionaria che si è accesa sulla foce della Neva ha raggiunto in fretta le acque della Vistola. A questi moti farà seguito l’ukase di tolleranza: ma, nel frattempo, il governatore Skalon si è affrettato a firmare oltre mille condanne a morte. Tuttavia questa insurrezione, rispetto a quella del 1863, ha un’impronta molto diversa: sia come ampiezza, sia come motivazioni ideologiche.

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Dal 1871 la Polonia del nord non è più soggetta al Regno di Prussia, ma all’Impero Germanico, nato dalla fusione tra la Prussia reduce dal vittorioso conflitto con la Francia (1870) e i numerosi staterelli tedeschi che costituivano la Confederazione Germanica.

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Il faticoso inizio

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Trasferendosi nella “capitale”, Padre Ignacy sa di contare sul pieno appoggio dell’arcivescovo di Varsavia. «Volentieri», aveva scritto monsignor Chosciak-Popiel al vescovo di Lublino, «concedo a don Ignacy Klopotowski l’autorizzazione a soggiornare per tre anni a Varsavia, fiducioso nell’opinione pubblica, a lui molto favorevole, ma soprattutto nella raccomandazione di Vostra Eccellenza...». Nell’approvazione dei vescovi Padre Ignacy legge la volontà di Dio. Dunque, l’essenziale c’è. Ma per il resto si accumulano difficoltà su difficoltà. Prima di tutto, sul piano logistico. Per un motivo che ci sfugge (forse gli era stato richiesto un aiuto pastorale?) Padre Ignacy, in un primo momento, non alloggia in città, ma a Radzwillow, una località a ben due ore di viaggio da Varsavia. Non è disagio da poco. Quando poi il lavoro di redazione si prolunga, Padre Ignacy non riesce a rincasare: allora, con spirito pionieristico, si adatta come meglio può: «Talvolta dormivo accanto alla redazione», racconterà ai suoi lettori, «in una stanza da bagno buia e senza stufa [...] non avendo potuto tornare per la notte nella mia abitazione lontana da Varsavia, che avevo per il mio servizio sacerdotale a Radzwillow». Altro disagio, i continui traslochi della redazione: quattro in cinque anni. Appena arrivato, sistema la tipografia in via Nowy Swiat; l’anno seguente, alcune circostanze lo costringono a spostarsi in via Piekna. Due anni dopo, altro trasloco, in un fabbricato di via Trebacka. Nel 1913, nuovo spostamento in via Krakowskie Przedmiescie, 71. È la quarta volta, ed è finalmente quella buona4!

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La centralissima via Krakowskie Przedmiescie è considerata la più bella di Varsavia. Ricca di chiese e di antichi palazzi nobiliari, è stata teatro di numerosi avvenimenti storici, dalle sanguinose insurrezioni contro il regime zarista fino alla firma (1955) del Patto di Varsavia. Chopin vi abitò fino a quando abbandonò definitivamente le patria per stabilirsi prima a Vienna e poi a Parigi.


Un ulteriore ostacolo viene poi dalle autorità russe; il timore– non certo infondato – di nuovi e più estesi moti rivoluzionari ha spinto lo zar Nicola II a rivedere le moderate concessioni fatte dopo il 1905 e a perseguire una politica di più severo controllo. Ci va di mezzo anche Padre Ignacy, che – fra un trasloco e l’altro– si dovrà anche fare un po’ di prigione.

L’edificio che ospitava la prima casa editrice di Don I. Klopotowski

Libri a milioni Malgrado tutto, Padre Ignacy esplica un’attività editoriale che ha del prodigioso: anzi, sono proprio questi gli anni più fecondi; nel periodo fra il 1908 e il 1914 stamperà sei milioni di libri e opuscoli, senza contare riviste e giornali. Rispetto agli anni di Lublino non c’è soluzione di continuità: servizio al Regno di Dio e professionalità sono ancora i suoi punti di riferimento:

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«Mi preme unicamente fare dell’apostolato», dirà, e continuerà a raccomandare «opuscoli scritti bene, in modo attraente». Sono cambiate invece le circostanze esterne in cui si trova ad operare. Varsavia è un centro editoriale vivacissimo: la principale tipografia della città (la Orgelbrand) occupa ben quattrocento operai; in più, si contano moltissime tipografie minori. Le librerie sono più di cento e i numerosi giornali hanno – data l’epoca – una tiratura sorprendente. Potremmo dire che, mentre Lublino appariva troppo piccola rispetto allo zelo editoriale di Padre Ignacy, stavolta accade il viceversa: è Varsavia che, con il suo fiume di pubblicazioni, sembra voler sommergere il preteeditore venuto dalla provincia. Ma ancora una volta le difficoltà gli fanno da stimolo: e la mole delle pubblicazioni è la risposta più eloquente. Come a Lublino – benché dichiari sulle colonne di Posiew (La Semente) che desidera anche «lettori di classi abbienti e colte» – la sua penna scrive per gli strati più umili della popolazione; solo nel 1922 don Klopotowski assumerà il compito di

Piccoli libretti scritti e

potowski

pubblicati da Don I. Klo


redigere la Rivista Cattolica, indirizzata principalmente al clero e agli intellettuali cattolici. Ma sarà appena per quattro anni: il suo ruolo più congeniale rimane quello del divulgatore. Prima di tutto prete, considera l’editoria come «il pulpito dei nostri tempi», ed è solo in questa ottica che il suo lavoro può essere compreso. Sempre in continuità con Lublino, la casa editrice mantiene il nome di Polak-Katolik; e tale sarà sempre anche di fatto. Non è un programma facile da attuare. Trovare il punto d’incontro fra nazione e religione non sempre riesce. Se Padre Ignacy lo trova, è solo perché il primo ad essere pienamente Polak-Katolik è lui. Lo è perché sa leggere la storia con quello sguardo soprannaturale che – nella mentalità odierna – suona quasi come un’offesa all’intelligenza “scientifica”. Per Padre Ignacy la nazione possiede – per usare un’espressione cara a Giovanni Paolo II – una sua “anima” che, come avviene per il corpo, è la vita più profonda della nazione stessa. Ne è convinto al punto di affermare (con una frase che metterebbe lo scompiglio fra i laicisti a oltranza) che «chi ha perso la fede, secondo il nostro modo di vedere, ha cessato anche di essere polacco».

Nuovi periodici Già dal primo di giugno del 1908 riprende l’uscita del settimanale Posiew e del quotidiano Polak-Katolik, che, nel dicembre dello stesso anno, sarà edito in formato più grande per accogliere il materiale giornalistico che affluisce sempre più copioso nella redazione. L’anno successivo inizia ad essere pubblicato il mensile Kolko Rozancowe (Il Circolo del Rosario): una rivista alla quale Padre Ignacy attribuirà sempre particolare importanza. In Polonia si andavano diffondendo i circoli del cosiddetto Rosario Vivo. A questi circoli, per lo più composti da umile gente del popolo, l’editore di Varsavia vuole offrire un sussidio che li incoraggi e allo stesso tempo incanali il loro slancio mediante una solida formazione dottrinale.

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Nel 1911 Padre Ignacy assume la direzione della rivista Aniol Stroz (L’Angelo Custode), che già da qualche anno usciva a Varsavia per iniziativa del conte Julian Ostrowski. La rivista è indirizzata ai bambini della campagna polacca, che frequentano la scuola nell’esigua misura del 15%. Ben volentieri la sollecitudine pastorale di don Klopotowski si prende a cuore questa porzione così trascurata. Ai piccoli lettori vengono proposti racconti e conversazioni, vicende di storia patria, vite di santi, informazioni sul mondo e sulla natura.

La rivista per i bambini “L’Angelo Custode”

La rivista “Il Circolo del Rosario”

Accanto alle pubblicazioni periodiche, dalla tipografia di via Krakowskie Przedmiescie continuano ad uscire libri e opuscoli di carattere religioso vario, tra i quali spiccano ancora la vite dei santi. Queste ultime – molto numerose – hanno una marcata impostazione popolare. Le esigenze della critica storica (notoriamente allergica al meraviglioso e all’aneddotico) non preoccupano troppo Padre Ignacy: una volta che ha dichiarato esplicitamente ai lettori di attingere alle raccolte agiografiche


popolari, riempie i suoi libri di quei fatterelli ed “esempi” che toccano il cuore della gente molto più di un elenco di documenti d’archivio.

Il Maestro di spiritualita’ popolare Ai tempi di Padre Ignacy, tra gli intellettuali cattolici è in atto un vivace dibattito sulla religiosità popolare, che a molti di essi sembra soltanto un insieme di riti stantii, dove il folklore prevale sulla fede e in cui, in definitiva, manca l’anima. È certo che la sequela di Cristo non consiste nel dipingere le uova a Pasqua, ma neppure – è ancor più certo – nel guardare con sufficienza chi lo fa. Quando, in nome di una non ben precisata “purezza della fede”, si disprezzano le tradizioni popolari, si corre il rischio di disprezzare contemporaneamente quella fede semplice– spesso veramente pura – che le anima. Padre Ignacy (che, a differenza di molti intellettuali, preferisce parlare al popolo che del popolo) non è amico dei discorsi accademici, e segue piuttosto l’esempio del Maestro che è venuto non per abolire ma per dare compimento. Riconosce che a minare la purezza della fede non sono certo i pisanki o l’oplatek (una specie di pane che si condivide come augurio nelle feste natalizie), ma – come in ogni altro angolo del mondo – l’incoerenza fra ciò che si professa e ciò che si vive. Nell’azione pastorale che svolge attraverso la stampa, egli non mette in discussione le espressioni della religiosità popolare: semplicemente, si sforza di far interiorizzare contenuti e significati; per esempio, prepara degli opuscoli da distribuire nel corso della tradizionale benedizione dei cibi pasquali, oppure pubblica dei testi di gorzkie zale (una preghiera cantata alla Madonna) di solido contenuto dottrinale e con la garanzia dell’approvazione ecclesiastica. Allo stesso tempo, richiama i lettori (con la striglia, se necessario) ai loro doveri di cristiani, e lo fa in modo concreto, portando esempi.

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Conosce certamente i limiti culturali dei suoi lettori, e proprio per questo adotta un linguaggio molto accessibile. Ma conosce anche il grande potenziale di santità che si nasconde tra la gente semplice, così come conosce la forza – mai abbastanza valutata! – dello Spirito Santo. E così, pur sapendo di parlare a persone indotte e magari analfabete (ricordiamo ancora una volta l’abitudine polacca delle letture collettive), Padre Ignacy non esita a corredare i suoi scritti di citazioni: la Sacra Scrittura, prima di tutto; poi, i Padri della Chiesa, i decreti del Concilio di Trento, la dottrina dei grandi Dottori della Chiesa, i documenti pontifici contemporanei, di cui è eccellente divulgatore. Profondamente persuaso di quella che oggi definiamo la “chiamata universale alla santità”, Padre Ignacy sembra quasi prendere per mano i suoi semplici lettori per condurli nel cuore della nostra fede: l’unione con Dio. Raccogliamo qualcuna delle sue espressioni. Pur insistendo molto sulle preghiere vocali, non ha dubbi che i suoi buoni lettori possano giungere alla pratica dell’orazione mentale. «La preghiera mentale [...] non è altro che una preghiera fatta col solo pensiero, col solo cuore, col solo spirito. [...] è un fissarsi in Dio con gli occhi dell’anima». «Se l’uomo loda Dio col solo pensiero» – teniamo presente che questi suggerimenti sono tratti da un supplemento al popolare Polak-Katolik – «e non pronuncia alcuna parola, anche questa è preghiera. Tale preghiera si chiama orazione mentale [...] e può farla anche una persona che non sa leggere». «Da ogni parte siamo attorniati dalle opere di Dio. Esse sono un libro nel quale ogni uomo può leggere. D’estate, in mezzo ai campi, lancia uno sguardo sul magnifico spettacolo della natura [...] questa vista susciti in te o l’ammirazione per la sapienza di Dio o la riconoscenza per i generosi benefici della Divina Provvidenza». «La pratica dell’orazione mentale deve far passare dall’atto della preghiera allo spirito di preghiera, ossia a quell’attenzione


costante alla presenza di Dio per la quale», sono ancora parole sue, «la vita si unifica con la preghiera». Un traguardo altissimo; e il fatto che Padre Ignacy lo proponga ai suoi umilissimi lettori, ci dice quanto li stimi e li ami.

Uno sguardo d’insieme Per sintetizzare e far comprendere l’immenso lavoro editoriale di Padre Ignacy conviene anticipare qui alcuni dati. Dopo il rallentamento dovuto alla prima guerra mondiale (nel corso della quale sospende quasi tutti i periodici e riduce al minimo lo stesso Polak-Katolik), l’editore di Varsavia riprende il suo intenso lavoro. Dalla fine della guerra al 1926 (anno in cui cede la tipografia) pubblica ancora alcuni milioni (circa quattro) fra libri e opuscoli. Quando muore, la tiratura complessiva delle sue pubblicazioni ha sfiorato i dodici milioni di copie. In più, le edizioni delle sue opere effettuate dopo la morte. Ha all’attivo almeno centoventi titoli; ad essi vanno aggiunti gli innumerevoli articoli di giornale, ora pubblicati con la propria firma, ora pubblicati sotto pseudonimo; senza contare gli articoli redazionali che, se non vengono propriamente dalla sua penna, certamente sono l’espressione del suo pensiero. Alla sua attività letteraria si possono pure assimilare le traduzioni e le rielaborazioni di opere anteriori. E ancor più difficile da quantificare è l’influenza che la sua produzione ha avuto sulla società polacca. La più volte menzionata abitudine alla lettura collettiva senz’altro moltiplica il numero dei suoi lettori e conferisce peso notevole alla tiratura (circa quarantamila copie) dei suoi periodici. Se poi si considera che in molti ambienti le sue pubblicazioni dovevano costituire l’unica lettura, appare ancora più vasta la sua sfera di influenza nel cattolicesimo polacco dei primi decenni di questo secolo. Per quanto riguarda la distribuzione, Padre Ignacy si avvale delle “sue” librerie (dopo quelle di Lublino, Czestochowa,

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Kijow e Varsavia, ne apre anche a Siedlce, Leopoli e Lodz) e dell’ampia rete di abbonamenti, sempre caldamente sostenuti dai vescovi locali. Ma, volendo rivolgersi anche alle famiglie più povere e disabituate alla lettura, adotta pure il paziente metodo del porta-a-porta. Una delle suore della congregazione da lui fondata nel 1920, ricorderà: «Ogni giorno ci mandava con gli opuscoli religiosi, che dovevamo distribuire ovunque, sia dietro un’offerta libera, sia completamente gratis». Volentieri regala plichi e plichi di opuscoli a quei sacerdoti che sa particolarmente zelanti e impegnati, come il gesuita Jan Urban, apostolo fra gli Uniati del Podlasie. «Gratuitamente e con gioia», conferma un altro sacerdote, «don Klopotowski dava ciò che veniva stampato nella propria tipografia». Come già a Lublino, anche a Varsavia le edizioni Polak-Katolik ricevono la piena approvazione dell’episcopato polacco; sacerdoti e seminaristi incoraggiano gli abbonamenti o acquistano e distribuiscono le sue pubblicazioni. Ma fra tutte, un’approvazione gli è gradita: «Hai una bella missione nella Chiesa»; chi gli dice queste parole è il nunzio apostolico a Varsavia Achille Ratti, nella cui voce egli legge «la volontà dello stesso Santo Padre». E questa impressione avrà una conferma nel 1922, quando sarà proprio il nunzio di Varsavia a salire sulla Cattedra di Pietro con il nome di Pio XI. Dai vertici della Chiesa alle case degli umili! I lettori amano le edizioni di Padre Ignacy, come testimoniano le lettere che giungono in redazione; e la tiratura delle sue riviste, in sé piuttosto contenuta, appare sorprendente se si considera che a sostenerla sono per lo più gli strati più modesti della popolazione. Chi stenta ad apprezzare la produzione di Padre Ignacy sono invece gli intellettuali, e tra essi anche dei cattolici. Il linguaggio popolare e colorito, la fedeltà senza discussione alla Chiesa e al suo magistero, la lettura semplice e lineare delle vicende storiche e sociali non possono piacere agli amici della dialettica. È tacciato di conservatorismo e gretto clericalismo; e lo si accusa di non aver tenuto abbastanza alto il livello culturale delle sue


opere. La polemica non si è certo arrestata con la sua morte. Nel 1987 una studiosa polacca, nel dichiarare la sua avversione per «la mentalità religiosa polacca in versione di massa», scrisse che Padre Ignacy ha la responsabilità «per la forma del cattolicesimo polacco non solo nel ventennio [1919-1939], ma anche durante l’occupazione [tedesca] e molti anni dopo». A ben pensarci, non è un elogio da poco.

La scrivania di Don I. Klopotowski

33 Vari opuscoli stampati

da Don I. Klopotowski


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«Senza compromessi» In carcere Dopo i moti rivoluzionari del 1905 e la loro sanguinosa repressione, l’inatteso ukase di tolleranza (unitamente ad altre concessioni) è sembrato l’avvio di un nuovo corso politico. Ma ben presto lo zar si accorge che quelli del 1905 non sono moti da catalogare come una delle tante insurrezioni che scoppiano qua e là nell’impero. Questa volta le dimostrazioni hanno un raggio d’ampiezza fino ad allora sconosciuto; e tra i motivi ispiratori la componente socialista ha una parte preponderante. Nicola II si rende conto che le concessioni fatte, anziché calmare gli animi, chiamano altre e più ampie concessioni; e che, accanto alle tendenze riformiste (le quali già costituiscono una spina nel fianco per l’assolutismo zarista) stanno prendendo piede quelle rivoluzionarie. Il nome di Lenin sta circolando sempre più spesso fra gli operai come fra i contadini. Di fronte alla prospettiva di una rivoluzione armata – tutt’altro che rosea e tutt’altro che infondata – lo zar fa marcia indietro e, a pochi anni dall’ukase, si aggrappa di nuovo alle maniere forti di un tempo.

Un giro di vite Padre Ignacy, subito dopo l’ukase, ha avuto una vita abbastanza facile. Ma a Varsavia le cose stanno già cominciando a cambiare. I controlli sulla stampa si vanno facendo più severi. Fin dal 1908 l’ufficio per la censura di Varsavia accresce la sorveglianza sui suoi scritti: d’altronde un titolo come Polak-Katolik già da solo attira i sospetti e ha – come notavano gli stessi ammiratori di Padre Ignacy – il sapore di una sfida.


Il lungo elenco di verbali di cui è stato oggetto non lo ha intimorito: egli rimarrà fino alla fine «incurante del proprio interesse e del proprio pericolo, anzi sempre pronto a esporsi, a proteggere col proprio petto la cosa amata...»; né temerà mai «le conseguenze del suo atteggiamento senza compromessi di difensore della fede e della morale cristiana». E poco dopo l’avvio della sua attività editoriale nella “capitale”, inizia per Padre Ignacy un triennio di guai giudiziari, che si apre con una condanna del tribunale di Varsavia (gennaio 1910) e si chiude con un breve periodo di detenzione (novembre 1912). Nel frattempo, Padre Ignacy non si perde d’animo: allestisce due librerie, effettua un trasloco (il terzo!), organizza un orfanotrofio, avvia la pubblicazione della già citata rivista Aniol Stroz (L’Angelo Custode) e accetta di stampare il mensile ufficiale della curia metropolitana Notizia dell’Arcidiocesi di Varsavia, al quale collabora pure come redattore, utilizzando però, come ama fare spesso, uno pseudonimo (in questo caso don Zegota). Nello stesso periodo inizia a prestare il suo servizio pastorale presso l’antica chiesa di Sant’Anna, dove da una ventina d’anni è rettore don Fiatowski, suo amico e antico compagno di studi a Pietroburgo.

Unica politica, il Vangelo Le disavventure di Padre Ignacy con il potere zarista suggeriscono una riflessione sulle sue posizioni “politiche”. Lo scriviamo tra virgolette, perché per gli amici di Dio non esistono “opinioni politiche” separate dalle “opinioni religiose”: esiste la fede, che investe tutto l’uomo e tutta la storia e che porta anche a prendere posizioni sulla vita civile: ma con criteri che sfuggono ad ogni catalogazione; i santi, più che da destra o da sinistra, guardano le cose dall’Alto. E questo è il motivo per cui non si riesce ad etichettarli.

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Padre Ignacy ci fornisce un esempio in proposito. Per i russi è un patriota pericoloso, che continuamente solleva la questione polacca e che getta il discredito sul governo zarista attraverso – ad ammetterlo è la stessa polizia – l’efficienza delle sue iniziative. Perquisizioni, controlli, censure, interdizioni e carcere: non si può dire che egli abbia sempre praticato la tattica del “vivi e lascia vivere”. Eppure, fra i suoi compatrioti, vi è chi lo accusa di non avere avversato con sufficiente energia il potere zarista e addirittura – giacché non ha seminato rancore – di essere stato «un opportunista». Ancora: all’inizio del secolo, quando l’impero mette in atto severe misure contro gli ebrei e tollera gli ignobili pogrom5, Padre Ignacy, pur sapendosi nel mirino della polizia, difende i «tranquilli ebrei, non colpevoli dell’assalto»; quando poi, finita l’occupazione russa, saranno gli stessi polacchi ad avere rapporti difficili con gli ebrei, ricorderà ai connazionali che «l’aggressione è sempre un peccato grave [...] perciò a nessun ebreo deve cadere un capello dal capo». Ma questi e gli altri appelli alla concordia e al rispetto non lo salvano dall’accusa, mossa dai posteri, di antisemitismo. Padre Ignacy non aveva il minimo pregiudizio razziale contro gli ebrei: in quanto discepolo del Vangelo, ciò gli era impossibile. Ma, in nome dello stesso Vangelo, gli era altrettanto impossibile chiudere gli occhi sul monopolio economico che gli ebrei avevano conquistato su molti generi primari (sale, grano, scarpe, tessuti, bestiame etc.) dei quali fissavano i prezzi, suscitando forte malcontento fra le classi disagiate. Contro questa forma di speculazione il redattore di Varsavia proponeva ai cattolici polacchi la più pacifica e leale delle battaglie: rimboccarsi le maniche e dar vita a una rete alternativa di negozi e attività commerciali che, facendo concorrenza a quelli gestiti dagli ebrei, permettessero una maggiore equità nei prezzi, nei servizi e specialmente nei crediti. Di qui, l’accusa – comoda e scorretta – di antisemitismo. Comoda, perché postuma; scorretta, perché formulata quando 5

Si tratta di assalti proditori da parte del popolo contro gli ebrei, con aggressioni personali e saccheggi di negozi. Furono assai comuni nel mondo slavo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX.


l’antisemitismo aveva assunto un significato ben più tragico di quello – semplicemente e pacificamente commerciale – attribuibile a Padre Ignacy. Altro acceso dibattito, la questione operaia. Anche Padre Ignacy prende posizione, e lo fa quasi ricalcando il programma indicato dallo stesso Gesù: giustizia, misericordia, fedeltà (cfr. Mt 23,23). Prima di tutto, la giustizia. Nella tradizione della Chiesa la “giusta mercede agli operai” è sempre stato considerato dovere gravissimo, e la sua inadempienza rientra nei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. Chi ha studiato il catechismo di San Pio X certamente ricorda questa terribile definizione. Padre Ignacy conosce le condizioni di sfruttamento in cui vivono gli operai agli inizi del secolo e, quando i lavoratori manifestano a Lublino nel gennaio del 1905, si schiera pubblicamente dalla loro parte. Imitando il suo amato vescovo Jaczewski, si offre come mediatore fra gli operai e i datori di lavoro, come risulta dai documenti della polizia zarista. Ma quando le rivendicazioni operaie vengono progressivamente monopolizzate dal movimento socialista, Padre Ignacy si affretta a condannare duramente quella lotta di classe che così radicalmente si oppone alla misericordia cristiana; quando poi il socialismo assume una colorazione apertamente anticlericale, la sua fedeltà al Vangelo dà alla sua penna un vigore battagliero: «Chi ha gridato in numerosi comizi a Varsavia», scrive già nel 1906, «“Via la croce”? I socialisti. Chi ha lanciato sassi contro le processioni nelle strade? I socialisti! Chi fa confusione nelle chiese, impedendo alla gente di pregare? Ancora i socialisti!». In queste parole ormai c’è soltanto il pastore, preoccupato non certo dei sassi che vengono dall’esterno, ma dalle defezioni che potrebbero venire all’interno del gregge. Per questo mette in guardia i suoi fedeli sulla matrice anticristiana del pensiero marxista. Ma non si limita a sorvegliare la porta dell’ovile. Allineandosi con la Rerum Novarum ed i numerosi movimenti ad essa ispirati, Padre Ignacy, dalle colonne del suo quotidiano, sostiene con vigore le associazioni operaie di ispirazione cattolica e anzi

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sarà tra i primi a suggerire (1924) la formazione di una «intellighenzia operaia» sulla quale «si baserà tutto il movimento cristiano-sociale». Un’annotazione: mentre chi è immerso nel “mondo” ben difficilmente capisce le cose di Dio, chi è immerso in Dio possiede quasi sempre la capacità di leggere anche le cose del mondo e di proporre soluzioni valide pure sul piano materiale. Anche se, il più delle volte, rimane inascoltato.

Il carcere Torniamo alle disavventure giudiziarie del triennio 19101912. Nei suoi articoli infuocati la polizia non fatica a trovare gli estremi della «aggressione verbale», come è scritto nell’accusa. Di qui, processi su processi; in più, la minaccia della deportazione in Siberia. Il tutto si concretizza in una lunga serie (sette!) di multe, oscillanti fra i cento e i cinquecento rubli. Infine, l’arresto: un suo articolo sui «disgraziati Mariaviti» non piace alle autorità zariste, che si sentono in dovere di proteggere questa setta eterodossa con inatteso zelo: e il tribunale di Varsavia, con sentenza del 23.1.1910, condanna Padre Ignacy all’arresto di cinque giorni. Senza troppa fretta, per la verità: perché la condanna sarà scontata quasi due anni dopo. Nel frattempo il vescovo Jaczewski di Lublino – alla cui diocesi Padre Ignacy continua ad appartenere – ottiene che la detenzione sia effettuata presso i Cappuccini di Nowe Miasto; Padre Ignacy accetta la mediazione del vescovo e, nel novembre del 1912, lo troviamo “incarcerato” nel convento sul fiume Pilica, dove ancora vive, quasi nonagenario, il venerato Padre Honorat. A Padre Ignacy, che in gioventù aveva desiderato il martirio e che aveva confermato l’autenticità del suo desiderio attraverso l’eroico servizio ai malati infetti, questi pochi giorni di carcere trascorsi nella quiete del convento francescano devono essere parsi piccola cosa: la vita gli riservò, come vedremo, altre soffe-


renze, meno vistose ma più profonde. Giunto alla sera della sua esistenza terrena, confidando ad una suora i suoi desideri giovanili di versare il sangue per la fede, non fece neppure cenno all’avventura dell’incarcerazione; disse invece, con l’esperienza che viene da una vita, che «anche la quotidianità può essere un martirio».

«Pronto a dare tutto» Carita’ inesauribile Padre Ignacy si è trasferito a Varsavia per motivi legati all’attività editoriale. Ma in lui è sempre vivo il giovane sacerdote che, poco dopo l’ordinazione, ha visto «un vasto campo di lavoro, non occupato da nessuno»: i più poveri tra i poveri. Anzi, a Varsavia questo campo sembra ancora più grande e desolato. Come in ogni metropoli, l’anonimato incoraggia e protegge il male. Le strade brulicano di bambini trascurati dai genitori o del tutto abbandonati: già nel 1897 se ne contavano trentamila! L’urbanizzazione incontrollata aumenta il numero dei senzatetto, che durante l’estate trovano un riparo fra i mucchi di legname o sulle rive della Vistola, e d’inverno si rifugiano negli essiccatoi o nelle fabbriche. E, accanto a quella materiale, la miseria morale: a Padre Ignacy il lavoro non manca. Prima di tutto, non dimentica le sue fondazioni di Lublino, la Casa del Guadagno e l’Ospizio Sant’Antonio. Mantiene una fitta corrispondenza e compie ripetuti viaggi nella città che ha visto nascere le sue prime iniziative caritative e alla cui diocesi continua ad essere formalmente legato. Contemporaneamente, apre gli occhi sulla miseria di Varsavia, che, ancor più di quella di Lublino, gli deve apparire quel «vasto campo» che aveva intuito negli anni giovanili. Fin dai primi mesi del suo arrivo nella città, Padre Ignacy si mette in contatto con le istituzioni benefiche già esistenti e vi collabora attivamente. Ma, come già a Lublino, ben presto incomincia a sviluppare progetti personali.

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Grandi iniziative…

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«Tutte le volte che il prossimo ha bisogno di qualche cosa, dobbiamo sentir risuonare dentro di noi le parole del Vangelo: Il Signore ne ha bisogno (Lc 19,34)». È questa la considerazione che rende Padre Ignacy sensibile a tutte le miserie. Ma c’è una sofferenza di fronte alla quale egli è vulnerabile in modo particolare: quella, innocente, dei bambini. E a Varsavia la sofferenza infantile riempie le strade. Padre Ignacy non perde tempo. A Radzwillow, dove alloggia subito dopo il trasferimento da Lublino, organizza un orfanotrofio: affitta un vasto podere con gli edifici annessi e affida la cura dell’istituzione alle Suore della Misericordia, note a Varsavia per la loro instancabile attività a favore dei più poveri6. A neppure un mese dalla sua istituzione, la casa viene «riempita di orfani», ricorda in un suo articolo lo stesso Padre Ignacy, «in modo tale che sarebbe impossibile poterne sistemare un altro». Ben presto viene organizzato un secondo ospizio, a Oryszow, nei locali di un ex-zuccherificio. L’ambiente è da ristrutturare e il denaro manca, ma Padre Ignacy non si perde d’animo: «Dio mi ha aiutato fino ad oggi», ama dire, «mi aiuterà anche in seguito». Allo stesso tempo il fondatore porta avanti la politica già attuata a Lublino: la carità non deve accontentarsi di assistere, deve anche coinvolgere. Così vediamo i suoi orfani al lavoro, nei campi della tenuta o nella gestione della casa. Come già nella Casa del Guadagno, i ragazzi si rendono autonomi e si preparano a inserirsi nella società. Altra piaga di Varsavia - i senza-tetto. Sono un mondo variegato: accattoni che si trasmettono la “professione” da una generazione all’altra, musicisti ambulanti, invalidi. Vi sono pure uomini di estrazione intellettuale che la passione per l’alcool ha progressivamente distrutto. Mentre per i primi (i “professionisti”) 6

Le Suore della Misericordia, fondate nel 1862 per la redenzione delle giovani traviate, estesero poi il loro apostolato a tutte le forme dell’emarginazione umana e sociale. Alla congregazione è appartenuta la popolare suor Faustina (1905-1938), dichiarata Santa nel 2000.


Padre Ignacy fin dai tempi di Lublino nutre poca tenerezza e poche speranze, negli altri vede degli autentici poveri da soccorrere o un potenziale umano da riabilitare7. Nasce così, fra debiti e difficoltà di ogni genere, un altro ospizio nel parco di Oryszow: anche stavolta la carità di Padre Ignacy, sostenuta dalla generosità delle Suore della Misericordia, l’ha spuntata.

… e piccoli episodi Le grandi iniziative ci dicono i confini “materiali” della carità: ma sono i piccoli episodi che ce ne danno il sapore. Scegliamone qualcuno. Antosia è una piccola orfana che gli stenti hanno reso rachitica e incapace di camminare. Padre Ignacy le procura un soggiorno in una casa di suore, in una località di cure climatiche presso Lublino. Perché la bimba non si senta spaesata, vuole che la segua Janina, una sua amica più grandicella. Accompagna le bimbe nel viaggio in treno; nel tragitto fra la stazione e la casa porta Antosia in braccio. La strada è sabbiosa, l’abito talare e i bagagli rendono il tragitto ancor più faticoso. Come se non bastasse, durante il viaggio è stato derubato. Sarà Janina a ricordare con precisione questi particolari. Dopo un soggiorno di un paio di mesi Padre Ignacy va a riprendere Antosia. La bimba cammina. Crescerà e formerà una famiglia. A distanza di 7

Ai tempi di Padre Ignacy l’alcoolismo era molto diffuso, ed era possibile incontrarlo anche negli ambienti socialmente più elevati; Padre Ignacy ebbe molto a cuore questo problema (cfr. nota 4, cap. XI); compose delle Litanie per ottenere la sobrietà e arrivò a proporre ai cristiani più volenterosi di astenersi da ogni bevanda alcoolica per offrire un esempio agli alcoolizzati e incoraggiarli sulla via della riabilitazione. È certo che egli per primo mise in pratica il suggerimento, secondo la testimonianza concorde di chi lo frequentò. Un altro vizio combattuto da Padre Ignacy fu quello del gioco: nelle cronache della parrocchia di Wrzelowiec (dove si trovavano le proprietà dei Kleniewski) si ricorda che una volta Padre Ignacy, avendo sorpreso un gruppo di giocatori, parlò loro con tanta persuasione che quei buoni uomini finirono per bruciare carte e tavolino!

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molti anni ricorderà: «Durante il viaggio [don Klopotowski] si occupò molto di me; ricordo che mi diede anche da mangiare». Si direbbe che l’aver trovato un cuore di padre le sia stato ancor più dolce dell’aver ritrovato la salute. Nel quartiere abita un fabbro alcolizzato. La moglie, all’ennesima gravidanza, viene sfiorata dal pensiero dell’aborto. Padre Ignacy la incoraggia a portare avanti la maternità, incarica una suora di darle del denaro ed escogita qualche lavoro da far effettuare all’uomo, ben sapendo che non ne verrà fuori un’esecuzione da manuale. E il denaro guadagnato – la carità di Padre Ignacy non ha mai avuto gli occhi bendati – viene consegnato alla sposa. È il sabato santo: il sacrestano muore; moglie e figlia restano sconvolte. È il giorno in cui le famiglie sono solite allestire il tradizionale cesto con i cibi da far benedire. «Di sicuro non ci hanno pensato», dice Padre Ignacy consegnando ad una suora un ricco cesto perché lo recapiti alle due donne. La figlia ricorderà questo gesto per tutta la vita. Helena ha il corpo devastato da una forma cancerosa; disgustati dalla malattia, i parenti l’hanno lasciata sola nel suo appartamento. Ha poco da vivere e moltissimo da soffrire. Padre Ignacy si interessa al suo caso, invia dei medici che le allevino il dolore, cerca una donna fidata che lavi la biancheria e l’aiuti a riassettarsi. Infine, sceglie per lei le portate migliori dalla propria mensa e se le nasconde nella tasca del cappotto. Lo fa con destrezza, ma non abbastanza per sfuggire al controllo di Maria Bielak , la sua buona perpetua che rimane, in questo e in mille altri casi, una delle testimoni più accreditate delle carità segrete di Padre Ignacy.


Una famiglia di poveri

Don I. Klopotowski co

n i suoi poveri

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I conti in tasca a Padre Ignacy

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È fuor di dubbio che la personalità e l’attività di Padre Ignacy costituissero – vuoi per ammirazione, vuoi per invidia – un ghiotto argomento nelle conversazioni fra i sacerdoti di Varsavia. Che fosse sempre «pronto a dare tutto quello che gli si chiedeva»5 era ormai fuori discussione, e fin dai tempi di Lublino. Quello che meravigliava i confratelli era il coraggio con cui prendeva a carico un’iniziativa dopo l’altra. Per fare un esempio, l’orfanotrofio di Radzwillow fu avviato, come confidò egli stesso, «senza il becco di un quattrino». «Dà agli altri mentre non ha per sé», dicevano, e si chiedevano come riuscisse a far fronte a tutto. Anche noi ci facciamo la stessa domanda dei preti di Varsavia e cerchiamo di sondare le “fonti” alle quali attingeva Padre Ignacy. Prima di tutto, Padre Ignacy sa accontentarsi di poco: abito povero, mensa solitamente frugale, pochi mobili. Dunque la sua prima fonte di proventi è proprio la sua stessa semplicità, che gli permette di serbare per i poveri buona parte delle sue entrate. Per i poveri e per l’acquisto dei macchinari tipografici sono state messe a disposizione anche le proprietà avute in eredità: il che ha scontentato molto i parenti ed ha creato penose tensioni8. Un’altra fonte di entrate è la tipografia, che, nonostante i prezzi contenuti delle pubblicazioni (quando non sono distribuite gratuitamente), riesce quasi sempre a segnare un certo attivo: anche questo è destinato alle opere di carità. Infine, i benefattori: Padre Ignacy sa farsi stimare ed amare, e numerose nobili famiglie polacche lo sostengono generosamente. Accanto ai nobili e ricchi proprietari terrieri, tanti contadini: a coin8

I dissapori legati all’eredità costituirono una pagina molto amara nella vita di Padre Ignacy. Rimasto l’unico Klopotowski tra i figli di Izabela (la sorella Anna era morta non ancora ventenne per le conseguenze di una broncopolmonite) e nominato esecutore testamentario dello zio don Franciszek, egli si trovò a fronteggiare i fratelli Niewiarowski e i figli delle sorelle di Izabela, che pure accampavano pretese. Le fonti testimoniano che Padre Ignacy rispettò i diritti (e forse anche le pretese) di tutti: ma la cosa non bastò. Il fatto di aver destinato per le sue opere (caritatevoli ed editoriali) tutta la parte a lui spettante scatenò presso alcuni familiari un forte e insanabile malcontento.


volgerli sono dei sacerdoti che organizzano di propria iniziativa collette e questue per le opere di Padre Ignacy. Bastava il suo nome e «tutte le porte si aprivano», ricorda una suora. Fin qui, le risorse “terrene”. Ma gli amici di Dio sanno di poter contare anche altrove. Quando non ha di che pagare gli operai (cosa alla quale il suo senso di giustizia tiene moltissimo) sa a chi rivolgersi. «Domani dirò una messa a Sant’Antonio, e i soldi arriveranno», assicura ai collaboratori. E l’amico del cielo puntualmente “incarica” qualche amico della terra di ricambiare la cortesia e la fiducia.

Nella grande guerra Dal 1913 Padre Ignacy si è trasferito in via Krakowske Przedmiescie, in un piccolo appartamento annesso alla tipografia. Non è più costretto al tragitto pendolare da Radzwillow e può dedicare più tempo alle sue iniziative benefiche. Nel 1914 la Provvidenza gli offre un ulteriore campo di lavoro: viene nominato rettore della chiesa di San Giacinto, in via Freta, presso la quale funziona un asilo per bambini abbandonati. A gestirlo sono le già citate Suore della Carità, che trovano in Padre Ignacy un collaboratore sollecito e competente. Quanto ai bambini, trovano un padre: «Molto spesso veniva nel nostro asilo e con noi si comportava come un protettore, come il migliore educatore e padre [...] Con noi bambini fu sempre spontaneo, cordiale, gioioso e affabile». Poco dopo, un nuovo evento interpella la carità di Padre Ignacy. Nell’estate del ’15 (5 agosto) gli austro-tedeschi, dopo avere sfondato la linea russa a Gorlice, entrano a Varsavia. In ottobre gli occupanti introducono la distribuzione controllata del pane e della farina. Per rispondere al razionamento e al suo inseparabile compagno – il mercato nero – molte parrocchie organizzano mense a buon mercato. Anche Padre Ignacy collabora con l’associazione vincenziana presente presso la chiesa

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di via Freta; sensibilizza l’opinione pubblica sulle sofferenze dei malati di tifo; sollecita iniziative a favore dei disoccupati, cercando di coinvolgere anche gli ebrei. Né pensa solo al pane materiale: distribuisce gratuitamente le sue pubblicazioni a tutti gli istituti benefici di Varsavia e, quasi a sfidare la desolazione morale che la guerra porta con sé, apre una sala nella quale si organizzano pubbliche serate di lettura di libri religiosi. In una circostanza, però, la sfida di Padre Ignacy alla brutalità della guerra non si limita ad essere simbolica. Alcuni soldati tedeschi si recano di notte in via Freta e chiedono al rettore la chiave del campanile. Obiettivo, il furto delle campane. Padre Ignacy si oppone e afferma che le campane non appartengono a lui, ma al popolo di Dio, e che di conseguenza non può disporne. I soldati non gradiscono la spiegazione e rispondono a suon di calci, colpendo Padre Ignacy sulla testa e al volto. Ma la chiave non viene consegnata, e le campane restano al loro posto.

Anno 1919 Per Padre Ignacy, un nuova svolta. Ormai il ritorno a Lublino appare sempre più improbabile. Per giunta, l’arcivescovo di Varsavia Kakowski desidera affidargli una parrocchia cittadina; ma formalmente l’editore di Polak-Katolik è ancora “incardinato” (è il termine con cui si designa l’appartenenza di un sacerdote a una diocesi) a Lublino. Il vescovo di Lublino, Fulman, che pure conosce e stima Padre Ignacy, concede l’escardinazione, ossia il trasferimento formale e definitivo alla diocesi di Varsavia. Subito dopo, a Padre Ignacy viene affidata la parrocchia della Madonna di Loreto nel quartiere Pragha: una delle più impegnative della città. Alle vicende personali del nuovo parroco di Pragha fa da sfondo, in questo stesso 1919, una svolta storica per la Polonia.


L’impero degli zar, già vacillante per il diffuso malcontento e per l’andamento sfavorevole della guerra, è crollato nel 1917 in seguito alla cosiddetta «rivoluzione di febbraio». Dopo un vorticoso succedersi di governi, la rivoluzione d’ottobre porta, attraverso sanguinose lotte fratricide, alla vittoria dei bolscevichi di Lenin. Per il neonato stato sovietico il problema più urgente è quello di uscire, costi quel che costi, dal conflitto mondiale. Lo fa con l’armistizio (1917) e la durissima pace di Brest con la Germania, nel 1918. Nell’autunno successivo, lo sfacelo dell’Austria trascina con sé la Germania; e la Polonia, nel giro di un anno, vede aprirsi fondate prospettive di indipendenza: che saranno confermate dal trattato di Versailles (1919). La “schiavitù nazionale”, dopo oltre centovent’anni, è finita. Per la Polonia inizia una nuova pagina della sua storia. Per Padre Ignacy iniziano gli ultimi, fecondi, dodici anni della sua vita.

La chiesa della Madonn a di Loreto a Varsavia nel quartiere di Pragha

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La Madonna di Loreto


Il fondatore delle Suore Loretane «La mia consolazione e la mia gioia» Nel momento in cui si accinge a prendere in mano la parrocchia di Pragha, Padre Ignacy ha in cuore un progetto che, per impegno e portata, supera tutti quelli condotti a termine fino a quel momento: la fondazione di una nuova congregazione religiosa. Nella realizzazione di questo progetto, che d’ora in poi considererà come la missione della sua vita, convergono due elementi: uno di carattere storico (il passaggio della Polonia dalla “schiavitù” all’indipendenza) e uno tutto interiore: l’intuizione che l’apostolato della stampa (di cui ha compreso la somma importanza) non richiede semplicemente persone esperte, ma anime consacrate che facciano del loro lavoro un tutt’uno con la loro vita di unione con Dio. Né va esclusa la presenza di un voto alla Madonna emesso alcuni anni addietro.

Un mosaico da ricostruire È quello della vita religiosa polacca, che gli anni della schiavitù nazionale hanno ridotto al lumicino, almeno nelle sue strutture e nelle sue manifestazioni esteriori. Le autorità prussiane e russe, attraverso le ripetute soppressioni, hanno quasi del tutto liquidato le famiglie religiose che esistevano in Polonia prima dello smembramento; e le congregazioni fondate durante la schiavitù hanno svolto per lo più un’attività nascosta e senza segni esteriori di consacrazione. Fa eccezione la Polonia meri-

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dionale (Galizia) ex-asburgica, dove le famiglie religiose hanno potuto operare in un clima di libertà, in modo pubblico e palese. Ed è dalla Galizia che, come un seme gelosamente conservato, i religiosi polacchi si irradiano in tutta la patria ritrovata e recuperano i conventi soppressi dagli occupanti. Ma la ricostruzione del mosaico avviene anche da un altro punto di partenza: è dall’interno della stessa Polonia risorta che, con energia e rapidità, sorgono nuove famiglie religiose, con una “media” di oltre una all’anno. È in questo contesto di fervorosa rinascita che si colloca l’opera di Padre Ignacy.

Chiamato per questo La ritrovata libertà è stata certamente il fattore che ha messo in moto Padre Ignacy; come è nel suo stile, non ha perso tempo: la Polonia è dichiarata indipendente nel 1919, e l’anno seguente la congregazione è già nata. Ma è certo che egli accarezzava in cuor suo il progetto già da qualche anno, come del resto andava confidando ai più stretti fra i suoi collaboratori. Ciò significa che all’origine del suo progetto non c’è una semplice contingenza storica, ma una vera illuminazione dello Spirito Santo: il “carisma fondazionale”, come si suol dire. Ancora giovanissimo, con occhio lungimirante, Padre Ignacy ha compreso l’immenso potenziale apostolico della stampa: ma non è stato l’unico. Ciò che costituisce invece la sua peculiarità è il legame fra consacrazione religiosa e apostolato della stampa, così che quest’ultimo assume tutto il carattere di una “missione”. Che poi tale missione sia affidata a delle donne, viene ad essere un ulteriore elemento di originalità: nella Polonia dell’epoca infatti le religiose si dedicavano alle tradizionali attività educative e caritative. L’intuizione di Padre Ignacy dovette apparire una novità, sia nell’idea di partenza che nella sua realizzazione. Che Padre Ignacy avesse la certezza di essere depositario di un’ispirazione è fuori dubbio: «Dio mi ha chiamato per que-


sto», dirà poco prima della morte. Il che dà a queste parole un solenne sigillo di verità.

I primi passi La sicurezza con cui Padre Ignacy si orienta nella fondazione ci dice quanto il carisma sia ormai chiaro nella sua mente e nel suo cuore. Prima di tutto, parla con il arcivescovo di Varsavia Kakowski: che accoglie il progetto a scatola chiusa e, prima ancora di vedere una sola suora, lo prende sotto la sua protezione: a far da garanzia basta la stima che ha per il redattore di Polak-Katolik. Nella primavera del 1920 Padre Ignacy, che ama invitare alla sua mensa sacerdoti e prelati, accoglie un ospite d’eccezione: è il nunzio apostolico Achille Ratti, al quale lo lega un rapporto di amicizia e stima. Il discorso si porta sulla nuova congregazione: non è una conversazione generica, dal momento che si parla già dell’abito che indosseranno le suore. Padre Ignacy anche in questo è stato concreto e previdente, perché ha raccolto in un album diverse fotografie di abiti religiosi; ma certamente cerca un “tocco” particolare che distingua le “sue” suore dalle altre congregazioni. Ed è proprio il futuro Papa Pio XI che gli dà l’idea: una piccola croce di tessuto bianco con bordo giallo (i colori del Vaticano) da applicare sul velo nero, poco sopra la fronte. Padre Ignacy, parlando con le suore, ricorderà volentieri che la crocetta delle Loretane «è un’invenzione del nunzio»: anzi, del Papa! Il carisma c’è, l’approvazione informale dei superiori anche, e così pure il modello dell’abito: Padre Ignacy è pronto per partire. Coraggioso anche in questa circostanza, fa bastare due suore per avviare la congregazione: sono Kazimiera Jaworska, una consacrata che assisteva le ragazze nell’ospizio di Lublino, e Bogumila Binczuk, proprietaria di un laboratorio di ricamo. Le due donne, attratte dall’ideale proposto da Padre Ignacy, l’estate seguente vestono l’abito religioso; alla cerimo-

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nia, semplice e solenne insieme, presenziano Padre Ignacy e due sacerdoti suoi amici. È il 31 luglio del 1920: sono nate le Suore Loretane.

Le Suore Loetane con

lio Vaticano II

l’abito prima del Consi

Lo sviluppo iniziale A suor Kazimiera e suor Bogumila si uniscono, qualche mese dopo, suor Gabriela e suor Nazarena; le quattro donne fanno vita comune in un alloggio del quartiere Brodno. Ben presto si presentano altre ragazze: ma la selezione è severa, e per parecchi anni il numero delle religiose rimane ridotto: alla morte di Padre Ignacy saranno una trentina: sarà in seguito che aumenteranno, secondo la previsione del fondatore: «Dopo la mia morte vi svilupperete».


Ma torniamo agli inizi; Padre Ignacy affida alle sue prime suore l’asilo parrocchiale (cento bambini!) e la tipografia. Per il primo, nessun problema. Per la seconda, tanta apprensione: le suore si sentono smarrite di fronte ad un impegno che richiede cultura e competenza; e anche resistenza fisica, dal momento che esse si occupano pure – almeno nei primi anni – dell’imballaggio e della spedizione. Gli stessi sacerdoti amici di Padre Ignacy scuotono la testa: come è possibile, di punto in bianco, mettere in mano una casa editrice a un piccolo manipolo di donne totalmente digiune nel settore? L’unico che non si scompone è il fondatore. Alle suore che vorrebbero veder entrare in congregazione qualche ragazza diplomata, risponde: «Dio, per convertire il mondo, scelse dodici semplici pescatori. Anche voi siete state designate dal Signore, perciò non potevo prenderne altre. Il Signore sceglie chi vuole ed ha scelto voi perché mi aiutiate». Le suore si lasciano contagiare dalla fede intrepida del Padre; e finiscono per superare tutti i problemi di natura professionale. Un’altra difficoltà è ricordata da suor Antonina, una delle prime Loretane: «Agli inizi del nostro lavoro in tipografia, sperimentammo condizioni molto primitive e ci capitò spesso di patire anche la fame. Cuocevamo con un solo pentolino su di un fornellino a gas una minestra, e quella ci doveva bastare». Ma Padre Ignacy non tarda ad accorgersene; e si affretta, secondo il suo solito, a rubare dalla propria mensa le portate più gustose: la carne e le paste. «Padre», tentano di dire le suore, «non faccia così, tenga per sé...». «Un padre», risponde, «può rinunciare a tutto per suoi bambini!».

Il cuore della Congregazione Non vi è dubbio che le prime realizzazioni editoriali, la progressiva affezione al lavoro e, perché no, i pranzetti furtivi por-

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tati dal fondatore aiutino e incoraggino le suore nella via che hanno intrapreso. Ma al di là degli stimoli esterni e al di là della stessa fiducia nell’apostolato della stampa, quello che muove dal profondo le Loretane è un altro ideale: esprimere con la vita il mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, sul modello della Santissima Vergine. Il cuore della congregazione è qui. Una considerazione: quel Padre Ignacy che non esita a lanciare nell’avventura dell’editoria un gruppetto di suore senza preparazione è poi lo stesso che – con tutti gli impegni che ha – dedica lunghe ore di tempo alla formazione interiore delle sue figlie. Sa per esperienza che i frutti dell’apostolato, se le radici non sono fondate in Dio, rimarranno sempre acerbi: se non ne fosse convinto, non dedicherebbe alla preghiera tante ore giornaliere del suo prezioso e stringatissimo tempo! Da questa convinzione, la sua sollecitudine. Quando confessa, non guarda l’orologio: «Si interessava della nostra vita», ricorda suor Rafaela, «chiedeva, consigliava, ci dava qualche insegnamento. Non aveva fretta, mai».

La prima tipografia delle

Suore


Vuole che ogni anno le Loretane facciano gli esercizi spirituali; ed è capace di chiamare un predicatore per sole due suore. Egli stesso poi, appena può, tiene delle conferenze sullo spirito religioso e lo spirito di preghiera. E quest’ultimo punto gli sta particolarmente a cuore. Vuole una preghiera impegnata: almeno tre ore al giorno fra messa, rosario, litanie, meditazione e lettura spirituale. Vuole una preghiera autentica: «Il padre della terra», dice ad alcune suore che recitano, forse un po’ meccanicamente, il rosario, «vi sente: ma fate in modo che vi senta anche il Padre del Cielo...». Vuole una preghiera continua: «Nelle sue conferenze», ricorda suor Teresa, «parlava della preghiera del cuore, e dell’unione con Dio in ogni momento e in ogni lavoro». Vuole una preghiera affettuosa: «Quando si ama qualcuno», dice a suor Rafaela nel raccomandarle le litanie del Nome di Gesù, «si desidera ripetere mille volte lo stesso nome in diverse maniere». Vuole una preghiera fiduciosa: «A Dio potete chiedere qualunque cosa; Egli non può non concederla [...] la preghiera, la penitenza e il digiuno commuovono il Cuore di Gesù: non può non ascoltarvi».

Cuore paterno L’età (quando fonda la congregazione ha già passato la cinquantina) e l’intenso rapporto con Dio nella preghiera hanno conferito a Padre Ignacy uno spirito paterno sempre più marcato; e si direbbe che con il piccolo gregge delle sue Loretane mostri quella sollecitudine affettuosa che fino ad allora aveva riservato ai suoi prediletti, i bambini. Il suo sguardo ha delle sfumature perfino materne. «Cercava di essere Padre e Madre», ricordano le sue figlie. Un giorno incontra una suora infreddolita e si affretta a regalarle la propria giacca nuova di lana, dono natalizio della madre superiora. Una mattina sta confessando; con la coda dell’occhio vede, in fondo alla fila dei penitenti, un paio di suore inginocchia-

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te sul pavimento ed esce dal confessionale appositamente per raccomandare di accomodarsi sul banco: «Quando finisco», le assicura, «vi chiamo io». Alle suore che lavorano in tipografia suggerisce di seguire non l’itinerario più breve ma quello che consente loro di «prendere l’aria buona»; per le suore ammalate va a comperare le medicine anche a tarda ora; segue con affetto le loro vicissitudini familiari e al fratello di una suora arriva a pagare gli studi in seminario. Se nota una mancanza di virtù ne soffre profondamente. Dopo l’ennesima lamentela di una suora (che finirà per uscire dall’istituto) le altre Loretane lo vedono allontanarsi con le lacrime agli occhi. I progressi spirituali delle sue figlie lo riempiono di una soddisfazione che non riesce a nascondere. «Quando la vedo così il mio cuore gioisce», dice a una suora che ha osservato camminare per strada raccolta e composta. «Sono orgoglioso del suo comportamento», dice ad una che si è presa il faticoso incarico di trasportare un mucchio di rifiuti, e aggiunge: «Voi ripulirete dai rifiuti le anime degli uomini». Una sera squilla il telefono: è il fondatore che si congratula per un atto di virtù che ha notato durante la giornata. «Voi siete la mia consolazione e la mia gioia», confiderà alle Loretane quando, alla sera della sua vita, sarà amareggiato da una sofferenza dopo l’altra. È padre e ne ha coscienza: «Ricordatevi che il vostro padre sono io», dirà poco prima di morire, quasi presagendo che il carisma iniziale sarebbe stato più volte in pericolo prima di trovare una sua connotazione definitiva. Ma non è un padre possessivo, anzi: «Se mancherà il padre», dice alle suore che non vogliono rassegnarsi al pensiero della sua morte, «si troveranno altri sacerdoti che si occuperanno di voi, e andrà bene così». Ma una di loro, suor Antonina, insiste: «Padre, chi ci dirigerà, chi la sostituirà?». Il fondatore la tranquillizza: «Sarà Dio il vostro Padre più buono: sorella, confidi in Lui».


Loretto Nel 1928, una nuova iniziativa da parte di don Ignacy. Volendo offrire ai figli degli operai una località di vacanza e alle suore loretane un ambiente di sollievo, acquista una vasto terreno in parte boschivo, a un’ottantina di chilometri da Varsavia. All’imponente complesso (che comprende, oltre alla cappella, le case per le suore e per i piccoli ospiti) dà il nome di Loretto (proprio in onore del santuario italiano: la doppia t è voluta dal fondatore per distinguere la località polacca da quella marchigiana). Presto viene aggiunto un ospizio per anziani; viene organizzata una salutare attività agricola e viene persino allestito un cimitero – dall’aria serena e agreste – per le suore della congregazione. Le quali, per la verità, in un primo momento non sembrano troppo entusiaste di Loretto: sono abituate ai ritmi intensi della capitale, e l’assoluta solitudine le fa sentire spaesate. «Ma perché questo Loretto? Che faremo in questo deserto?». Il Padre le incoraggia con una risposta imprevista: «In questo cimitero il primo ad essere sepolto sarò io. Se avrete difficoltà, venite da me. Io vi ascolterò e vi aiuterò, e toglierò il peso del vostro cuore, perché pregherò Dio». Ancora una volta Padre Ignacy è profeta, e lo è doppiamente: perché sarà davvero il primo ad essere sepolto a Loretto e perché la sua tomba sarà per le sue figlie sorgente inesauribile di grazie.

Ritorna il sereno Con il tempo, le suore finiscono per affezionarsi a Loretto, un po’ per la bucolica bellezza della località (dove si alternano i momenti di riposo, la cura dei campi e la festosa presenza di centinaia di bambini), un po’ per la sollecitudine con cui il fondatore se ne occupa. Alleggerito ormai da tante tensioni, e

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ino Varsavia La Cappella a Loretto vic di Loreto a nn do dedicata alla Ma

La capella funeraria di Don I. Klopotowski regazione nel cimitero della Cong a Loretto


con il cuore affinato dalla sofferenza, in questo ultimo scorcio della sua vita Padre Ignacy mostrerà alle sue figlie i tratti di una paternità sempre più affettuosa e amabile. Qualche episodio. Suor Gabriela ha dimenticato una partita di cavoli in un box, e la temperatura bassissima della notte li ha parzialmente congelati. Padre Ignacy la chiama e la rimprovera. Pochi minuti dopo, una nuova chiamata. È ancora il Padre, con un barattolo in mano e il sorriso sul volto. Chiede alla suora che cosa contenga quel barattolo. «Sapeva benissimo che era marmellata di prugne», commenta con un po’ di simpatica malizia suor Gabriela nel rammentare l’episodio, «era tornato indietro soltanto per raddolcire il rimprovero...». Vedendo alcuni lavori di riparazione effettuati a Loretto da un operaio di fiducia, Padre Ignacy vuole sapere quanto è stato pagato. «Gli ho dato quello che ha chiesto», risponde suor Anna, «e cioè venti zloty». «Gli dia ancora altrettanto», ribatte il Padre con un sorriso, «e poi anche della farina. E il figlio maggiore prenda il carro e vi carichi tutta la legna che può. In quella casa ci sono tanti bambini». Una mattina Padre Ignacy sta tornando in treno da Vilno a Varsavia. All’altezza di Lochow, gli sovviene che Loretto non è molto lontana e che ha una buona occasione per celebrarvi la messa. Scende alla prima fermata e chiede un passaggio ad un carrettiere. Arrivato al fiume Liviec, si rende conto che l’unico modo per accorciare la strada è quello di attraversarlo. E così, senza tener conto né del fresco autunnale, né della presenza dei bagagli, né dei sessant’anni passati, scende dal carro, toglie le scarpe e passa il fiume a guado. E tutto per arrivare a Loretto prima che le suore abbiano fatto colazione, così da trovarle ancora digiune per la comunione. La giovane suor Rafaela deve tritare il mangime per i pulcini con una costosa e robusta macchina che il Padre – gli è sem-

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pre piaciuto essere aggiornato – ha comperato appositamente in Germania. La ragazza mette troppo zelo, e la macchina si rompe. «Neanche un cavallo ci sarebbe riuscito», commenta la superiora; e lo fa con tale disappunto che suor Rafaela teme di essere allontanata dalla congregazione. Dopo una notte insonne, raccoglie il coraggio a due mani, confessa al Padre l’accaduto e, tutta trepidante, gli chiede che cosa ha intenzione di fare: «Dirò una santa messa di ringraziamento per avere in congregazione delle suore così forzute». I soggiorni a Loretto sono anche un’occasione di più intensa preghiera, quella preghiera che sempre più sta diventando il respiro della sua anima. Le suore che scendono in cappella alle sei del mattino lo scorgono che già sta facendo meditazione, passeggiando lungo la sponda del Liviec; durante il giorno lo vedono camminare nel bosco con la corona o il breviario fra le mani. La sera poi, notano che si inoltra lungo il sentiero che conduce alla cappella, dove sosta a lungo: al punto che una volta si sentono in dovere di andarlo a recuperare, con tanto di cane e di pila. Padre Ignacy, geloso della sua vita interiore, fa il possibile per sfuggire i controlli delle sue figlie. Talvolta, proprio per non dare nell’occhio, non chiede neppure la chiave della cappella; si limita ad accostarsi al muro, in corrispondenza del tabernacolo, e ad adorare da lì il Santissimo presente oltre la parete. Precauzioni inutili: quando il Padre non c’è, le suore sanno benissimo dove trovarlo. E al fondatore non resta che lamentarsi amabilmente: «Perché spiate il Padre?».

Sempre più unito a Dio Ma tutta la sua diligenza, così come non ha potuto mascherare il suo dolore, ora non può nascondere lo stato di profonda intimità con Dio nel quale si trova la sua anima. «Questa unione


Esposizione del Santi ssimo nella Cappella di Loretto

Interno della Cappella funeraria di Don I. Klopotowski a Loretto, in Polonia

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con Dio», ricorda suor Zenobia, «si vedeva in ogni circostanza: nel modo di recitare il rosario o il breviario, nel modo di confessare, nel modo di celebrare e nel modo di affrontare la vita». Una volta suor Paula, avendo una richiesta urgente, dovette interpellare Padre Ignacy quando, dopo la sua consueta, lunga e silenziosa preparazione, si accingeva a celebrare la santa messa. Il Padre girò il volto verso di lei: era così radioso e come trasformato che la suora non poté fare a meno di pensare che «era appena tornato dalla contemplazione mistica». Gli impegni continuano ad essere numerosi, ma non hanno il potere di disperderlo: la sua vita è sempre più concentrata e come racchiusa nel tabernacolo: «Il mio segreto è in una parola: Santissimo Sacramento». «O Prigioniero! È il tuo amore che ti ha legato, e io mi rinchiudo con te...». «Che cosa sarebbe di me senza il Sacramento dell’altare?». Nelle raccomandazioni che fa alle sue Loretane la parola che compare con più insistenza è “amore”. Spera di trovarle «piene d’amore»; raccomanda che «rispondano con amore», che «si comportino con amore», che la superiora in primo luogo «abbia amore per le suore»; ricorda che «Gesù accoglie le preghiere solo se vedrà l’amore reciproco» e che il Signore le ricompensa «secondo la misura dell’amore». Viene spontaneo il paragone con il focoso apostolo Giovanni, che negli ultimi anni della sua lunghissima vita sembrava non aver altra parola sulla bocca e nel cuore. A dare tanta profondità al suo rapporto con Dio certamente deve aver contribuito il lungo periodo di contraddizione legato alla cessione della tipografia; un periodo che, al di là dei fatti esteriori, gli ha fatto conoscere quegli aspetti della sofferenza che forse ancora mancavano alla sua esperienza. Ha provato il dubbio e l’incertezza, proprio lui che sembrava esserne come immunizzato. Fino ad allora aveva potuto affermare che «quando nella preghiera si chiede a Dio che cosa si deve fare, Dio risponde sempre». Ma per una volta le cose sono andate diversamente, e per lunghi mesi la risposta di Dio non è sembrata così chiara e immediata; Padre Ignacy ha vissuto uno di quei momenti in cui Dio sembra allontanarsi dalla sua creatura per saggiarne il cuore: un po’ come il pittore che di tanto in


tanto si allontana dal quadro che sta dipingendo per osservarlo meglio. Ha sperimentato che, quando si prende una decisione con retta coscienza e alla luce della preghiera, non per questo si resta immediatamente liberati dal peso della sofferenza. Ma è proprio dal torchio della prova che la sua umanità esce più ricca e intensa. «Ogni sacerdote», scrive ai lettori, «deve passare attraverso tante prove che non può rivelare agli altri, ai quali può solo chiedere: “Prega per me”. Quante volte, restando solo con Dio, desidera poter parlare con Lui con il fervore delle anime devote, versando lacrime di consolazione, e invece deve condividere il destino del divino Maestro quando era nell’orto degli Ulivi e come lui soffrire la solitudine e l’agonia, mentre gli amici dormono e non pregano con lui. Il mondo chiede tanto, tantissimo al Sacerdote; e davanti a queste necessità delle anime il Sacerdote ha come testimone solo Dio. [...] Pregate per lui: anche lui ha un’anima da salvare...». Ed è ancora dal torchio della prova che viene il suo insegnamento più bello. Ad una suora che gli confida alcune difficoltà, Padre Ignacy – proprio lui, che agli occhi della gente era il simbolo stesso dell’attività travolgente – ricorderà che «a un certo punto la vita ti persuade che su questa terra non vi è altro da fare che pregare e soffrire, pregare e perdonare, pregare e amare».

«Non sarò disoccupato» Il passaggio all’altra riva Quando, nell’estate del 1931, compie sessantacinque anni, Padre Ignacy è ancora sulla breccia. Da cinque anni ha ceduto la tipografia, ma il lavoro non gli manca di certo: la congregazione, della quale si occupa con cura sempre più sollecita, gli assorbe molto tempo. Oltre a ciò, continua a portare avanti la duplice fatica di apostolo della carità e di sacerdote diocesa-

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no. La lettera con la quale, nel febbraio del ’26, aveva chiesto all’arcivescovo di essere esonerato dagli impegni pastorali non è neppure stata presa in considerazione: Pragha e il decanato rimangono saldamente sulle sue spalle. Che però non sono più robuste come una volta.

Il declino fisico L’attività prodigiosa di Padre Ignacy è sempre stata sorretta da una volontà indomita e anche da una buona salute: ma, nell’ultimo scorcio della sua vita, di ferreo non gli è rimasta che la prima. Le dolorose contraddizioni patite intorno alla metà degli anni ’20 hanno lasciato il segno. Il cuore si è fatto fragile, il fegato è soggetto ad attacchi dolorosi. A tutto ciò si aggiunge la presenza di fastidiosi calcoli renali. Ma non si compiange: tanto che i suoi collaboratori o non si rendono conto del suo stato generale o addirittura ignorano i suoi problemi fisici: «Non sentii mai dire che fosse ammalato, che gli facesse male qualche cosa», ricorda don Kaminski, viceparroco a Pragha dal 1930. E uno dei sacerdoti prefetti, don Antoni Ruran, aggiunge: «Non ho mai sentito che si sia lamentato qualche volta, che abbia detto di sentirsi male o che era malato». Abituato a conservare per sé sentimenti ed emozioni, Padre Ignacy non fa fatica a tenere per sé anche le sofferenze fisiche, e fa in modo che non abbiano alcuna interferenza nel suo ministero pastorale. Ma neppure in questa circostanza può sfuggire allo sguardo vigile delle Loretane, che per giunta hanno molte occasioni di avvicinarlo: le conferenze spirituali, l’allestimento della nuova sede, le frequenti visite a Loretto. Inoltre una delle Loretane, suor Gabriela, dirige la canonica dove il parroco di Pragha abita dal 1927: e anzi sarà proprio lei la testimone della sua ultima giornata di vita. Le suore ormai notano sempre più spesso i segni della sofferenza sul volto del fondatore; il quale, a sua volta, incomincia ad affrontare l’argomento della separazione.


Una partenza prevista Tutte le testimonianze sono concordi: Padre Ignacy ha un presentimento chiarissimo della morte imminente. Forse ha avuto qualche malessere premonitore, o forse ha una di quelle intuizioni dal sapore profetico che già abbiamo osservato in lui. Sta di fatto che, mentre fino a non molto tempo prima era pieno di progetti (aspettava che fosse terminata la sede della congregazione per prendere «la camera più piccola» e «occuparsi totalmente» delle costituzioni delle Loretane), con l’estate del ’31 ogni sua parola sa di congedo: anche se esteriormente la sua attività è intensissima come sempre. A suor Antonina, che si reca in canonica per ritirare una bozza, Padre Ignacy, reduce da uno dei suoi ormai quotidiani attacchi di fegato, dice: «Stanotte mi son sentito così male che pensavo di non potermi alzare e che al mattino le suore avrebbero trovato solo il mio corpo». E, indicando un ripiano dell’armadio: «Lascio qui il mio testamento: così non farete fatica a trovarlo». Avverte le Loretane: «Posso morire da un momento all’altro; dovete essere preparate. La mia partenza non vi deve sorprendere». E confida che vorrebbe morire in una festa della Madonna o in una sua vigilia. Una ricorrenza lo attira più delle altre: la Natività di Maria. Le sue figlie non vorrebbero accettare il pensiero della separazione. Le rassicura: «Mi occuperò di voi dall’altro mondo; non sarò disoccupato. Se sarete buone, se vi amerete fra di voi e se sarete obbedienti, non vi succederà niente di male». «Se amerete Dio e la Madonna, Dio non vi lascerà. Confidate in Lui». «Dopo la morte potrò chiedere a Gesù e potrò fare molto di più». Padre Ignacy mantenne la promessa fin dai primi tempi che succedettero alla morte: suor Gabriela, che soffriva di emicranie violentissime, si trovò totalmente e stabilmente liberata dopo aver appoggiato il capo sulla tomba di Padre Ignacy; suor Michelina, irrimediabilmente minata dalla tisi, guarì in modo perfetto dopo una fervente preghiera che le Loretane fecero al fon-

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datore. È interessante notare che suor Michelina, pur stimando il fondatore, gli aveva sempre dimostrato antipatia. Intercedendo per lei dal cielo, Padre Ignacy ha continuato a mettere in pratica quanto era solito insegnare sulla terra: «Nel fare il bene alle persone non guardiamo se ci amano, ma se hanno bisogno». Non dubita della sopravvivenza della congregazione, allora ancora molto piccola. La cosa che gli sta più a cuore è un’altra: «La mia maggior preoccupazione è per voi, perché siate sante».

n I. Klopotowski

L’ultima fotografia di Do


L’addio alla Madre Anche se nel linguaggio comune siamo soliti darle un senso di irrevocabilità, la parola addio in realtà è piena di speranza: è l’augurio di ritrovarsi un giorno davanti a Dio. Dev’essere con questi sentimenti che Padre Ignacy, il 15 agosto del ’31, celebra e prega davanti all’immagine della “sua” Madonna, quella di Jasna Gora. Con ogni probabilità “sente” che è l’ultima volta. L’emozione con cui, pochi giorni prima di morire, rievocherà questi momenti, ce ne lascia intravedere l’intensità. Padre Ignacy ha amato molto la Madonna, molto più di quanto la sua riservatezza l’abbia manifestato. Chi lo ha conosciuto ha notato in lui i segni inconfondibili di un sacerdote totus Suus, tutto di Maria: l’amore per il Papa, la trasparenza del cuore, la stima per la castità sacerdotale, l’affetto per San Giuseppe (che elesse a patrono della sua attività editoriale), il pudore e la compostezza, la fedeltà al rosario. Alcune sue attenzioni delicate e affettuose verso la Madre di Dio non sono sfuggite; per esempio, portava al dito un cammeo raffigurante il volto di Maria; e quando i fedeli, secondo la consuetudine del tempo, lo salutavano baciandogli la mano, raccomandava «di baciare la Madonna, non la sua mano»: sono quelle piccole sfumature che – più delle grandi dichiarazioni – svelano i cuori. E, date queste premesse, ci sembra lecito immaginare che questo “addio alla Madonna” sia stato per lui il più dolce dei congedi e il più trepido degli appuntamenti.

L’addio alle Figlie Siamo a Loretto, nella piccola cappella nel bosco, che tante volte è stata testimone della preghiera schiva e silenziosa di Padre Ignacy. Il fondatore ha raccolto le suore per la consueta

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conferenza mensile di formazione. In cuor suo sa bene che è l’ultima; e, a conferenza terminata, lo percepiranno anche le Loretane. Esordisce ricordando il suo pellegrinaggio d’addio alla Madonna Nera: «Ero a Czestochowa davanti alla Madonna [...] ho pregato per ogni singola suora, e ad una ad una vi ho raccomandate alla Madonna...». Quindi, ricordano le suore presenti, il tono del discorso si fa ancor più intenso, come profetico: «Voi avrete altri protettori, confessori, padri spirituali, ma ricordate che il vostro padre sono io. Dio mi ha chiamato per questo. Io ho preso sulle spalle questo compito». Ormai è tutto proiettato verso la vita futura: «Se sarete umili e obbedienti, sarete i gioielli della mia corona di gloria in cielo. Quella che sarà più santa sarà la più luminosa». Ancora una volta raccomanda l’amore fraterno, la devozione alla Madonna e la recita del rosario. Le suore colgono nelle sue parole una bontà ed un amore più intensi del solito, e sentono che dietro queste parole palpita una «strana emozione». Ancora pochi giorni, e avrebbero compreso che quello era il suo testamento.

Il passaggio all’altra riva Nella notte fra il 6 e il 7 settembre Padre Ignacy non riesce a dormire; cammina per la stanza, cercando sollievo ad un forte disturbo cardiaco. La mattina seguente – vigilia della Natività di Maria – suor Gabriela, che dirige la canonica e che durante la notte ha sentito i suoi passi, gli chiede spiegazioni. Il Padre ammette di essersi sentito «molto male». Ma ormai le sue sofferenze fisiche rientrano nell’ordinaria amministrazione; e suor Gabriela non si stupisce che il Padre si rechi in chiesa per celebrare la messa: l’ultima dei suoi quarant’anni di sacerdozio. Dopo la colazione, fa il bagno: una coincidenza o piuttosto una premurosa sollecitudine da parte di chi si sente vicinissimo alla morte? Quindi, si corica sul letto: questa breve sosta lo ritem-


pra un poco. Pranza, e nel pomeriggio si reca nel cantiere di via Namiestnikowska (oggi si chiama via Ignacy Klopotowski) per vedere come procedono i lavori della nuova sede delle Loretane. Al rientro è amareggiato: qualcuno ha cercato di portar via del materiale da costruzione. «Voleva rubare un’asse, e scappava», racconta Padre Ignacy. Quello che lo addolora è la clandestinità dell’atto. «Suor Gabriela, come si fa a ottenere la fiducia della gente, così che non abbiano più paura di noi? Di sicuro quell’asse gli serviva. Se me l’avesse chiesta gliene avrei data non una, ma tre». Nel tardo pomeriggio si dirige in bagno, ma, appena varcata la soglia, lo coglie un grave malore. Poco dopo suor Gabriela, insospettita dall’insolito silenzio, si mette alla sua ricerca. Lo trova in ginocchio, appoggiato alla vasca, con gli occhi chiusi e le braccia abbandonate. A nulla valgono i suoi ansiosi richiami, a nulla il pronto arrivo del medico. Padre Ignacy non dà più segni di vita. Un infarto se l’è portato via.

Don I. Klopotowski, pri ma dal funerale, circondato dalle Suore in preghiera

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Una sessantina di anni prima, Izabela e Jan Klopotowski, ritornando dalla messa, avevano udito da lontano la voce del loro bambino che, solo in casa, urlava con tutta la sua forza. Dopo una corsa affannata, l’avevano trovato tranquillamente seduto su una panca. Alla loro richiesta di spiegazioni aveva risposto, con tutta calma e padronanza di sé, che gridava a Dio «perché», aveva aggiunto, «voglio tanto vederlo». La madre gli aveva detto che in questa vita ciò non è possibile. «Allora voglio morire subito», aveva replicato Ignacy. E la donna, con la sua teologia semplice e profonda, aveva precisato che sì, anche in questa vita si può vedere Dio: nel tabernacolo e nel povero che viene a chiedere l’elemosina. La lezione non cadde nel vuoto. Questo figlio della Polonia e della Chiesa imparò a vedere e amare Dio proprio là dove la madre gli aveva detto: nascosto nel tabernacolo e nascosto in ogni uomo che soffre; al punto di fare di questo amore la ragione stessa della vita. Ed ora, dopo la sua operosa giornata terrena, vedeva finalmente realizzarsi il suo desiderio di bambino.

azione a Loretto

Il cimitero della Congreg


Don Ignazio - Beato Il passaggio agli altari Il Beato Don Ignazio Klopotowski diceva: “La santità per ogni uomo è possibile”. La sua beatificazione del 19 giugno 2005 ne è stata la conferma. Nella diocesi di Varsavia il processo di beatificazione è iniziato nel 1988. Ufficialmente la conclusione della parte informativa è avvenuta il 1° ottobre 1992. Il 16 ottobre la documentazione è stata portata a Roma dove è stata aperta il 16 novembre 1992. Il 9 dicembre 2000 è avvenuta la riesumazione del corpo, che è stato trasportato dal cimitero delle suore Loretane al Santuario della Madonna di Loretto, vicino a Wyszkow, 60 kilometri da Varsavia. Nel 2002 è terminata la stampa della “Posizio di eroicità delle virtù” che il 23 settembre è stata portata alla Congregazione dei Santi. Il 5 ottobre 2004 la Posizio è stata giudicata dai Teologi e il 7 dicembre dai Cardinali con esito positivo. La lettura del decreto di eroicità delle virtù è stata fatta davanti al Santo Padre Giovanni Paolo II il 20 dicembre 2004. Contemporaneamente è stato seguito il processo del probabile miracolo che è avvenuto nel 1991 per intercessione del Servo di Dio Don Ignazio Klopotowski. Il 20 marzo 1997 si è conclusa, a livello diocesano, la pratica sul miracolo ed è stata portata a Roma. Il 25 novembre 2004 una commissione formata da medici dichiarava che Don Antonio Latko era salvo per intervento soprannaturale. Il 3 maggio 2005 tale dichiarazione è stata confermata anche dai Cardinali che riconoscevano, in questo, l’intercessione del Servo di Dio Don Ignazio Klopotowski. Restava da fare ancora la lettura del decreto del miracolo ma, per intervento del Santo Padre Benedetto XVI, ne è arrivata la dispensa con inclusa la data di Beatificazione (che sarebbe avvenuta in Polonia il 19 giugno 2005).

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rpo di La riesumazione del co

don Ignazio, 9 dicembre

05, Varsavia

n Ignazio, 19 giugno 20

La beatifacazione di do

2000, Loretto


Le grazie ottenute Molte persone hanno testimoniato di aver ricevuto grazie da Don Ignazio ma, nella Congregazione delle Canonizzazioni a Roma, si è lavorato soprattutto sulla grazia ricevuta da Don Antonio Latko a Szeroka (in Polonia).

Il miracolo Durante la notte tra il 21-22 giugno 1991 Don Antonio è stato aggredito e picchiato da alcuni sconosciuti. Il primo ad accorgersene è stato il suo coadiutore che lo ha trovato privo di sensi e insanguinato, nella sua camera. All’ospedale a Jastrzebie è stato dichiarato irrecuperabile per le gravi lesioni alla testa. Il paziente era in stato comatoso per tredici fratture craniche e per molte altre lesioni e rotture delle ossa. Conoscendo la particolare devozione di Don Antonio Latko per Don Ignazio Klopotowski, il coadiutore iniziava insieme ai parrocchiani una novena di preghiere per intercedere per salvezza della sua vita. Grazie all’intervento straordinario di Don Ignazio, all’improvviso, Don Antonio Latko recuperava completamente la salute con grande stupore dei medici che lo tennero fino al 19 luglio sotto controllo per verificare la sua completa guarigione. Il 20 luglio Don Antonio si recava sulla tomba di Don Ignazio e celebrava una Santa Messa di ringraziamento.

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Cronologia della vita

74 1866

20 luglio. Nasce a Korzeniowka di Drohiczyn sul Bug (al confine con la Bielorussia) dai nobili di campagna Jan Klopotowski e Izabela Dobrowolska. Ufficialmente il piccolo Ignacy è suddito dello zar: infatti dal 1795 la Polonia, annientata nella sua identità statale, è spartita fra Russia, Austria e Prussia. 22 luglio. Riceve il battesimo nella chiesa parrocchiale di Drohiczyn.

anni ’70

Con ogni probabilità riceve l’istruzione elementare con la sorellina Anna (n. 1868) in forma domestica, secondo le usanze del tempo. Avverte un forte interesse per la vita sacerdotale.

1877

Si iscrive al ginnasio di Siedlce, incoraggiato e aiutato dallo zio materno don Franciszek.

1883

Con l’inizio del nuovo anno scolastico, abbandona il ginnasio di Siedlce per entrare nel seminario di Lublino, dove sarà notato per la sua «condotta esemplare».

1887

Viene inviato a proseguire gli studi nella prestigiosa Accademia di Pietroburgo.

1889

A Pietroburgo riceve suddiaconato e diaconato.


1891

11 giugno. Si laurea in teologia a Pietroburgo. 5 luglio. È ordinato sacerdote nella cattedrale di Lublino. Celebra una delle sue prime messe davanti alla Madonna Nera di Czestochowa. Inizia la sua attività di professore in seminario: lo sarà fino al 1908.

1892

È nominato cappellano dell’ospedale San Vincenzo de’ Paoli e viceparroco della cattedrale di Lublino. Primi contatti con gli ambienti caritativi della città.

1894

Fonda la Dom Zarobkowy (Casa del Guadagno).

1896

Viene sollevato dal ministero presso l’ospedale. È nominato rettore della storica chiesa di San Stanislao. Fonda l’Ospizio Sant’Antonio. Dà alle stampe la sua prima pubblicazione: Le visite al Santissimo Sacramento. Incomincia ad essere sorvegliato dalla polizia zarista per la sua attività ritenuta patriottica.

fine sec. XIX

Prosegue l’insegnamento in seminario e

inizio sec. XX

porta avanti le attività caritative avviate, collaborando con diverse famiglie religiose. Si accosta al mondo dell’accattonaggio. Intensifica la produzione editoriale. È oggetto di una sorveglianza sempre più stretta da parte della polizia zarista.

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1901

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Durante la notte fra il 1 e il 2 ottobre. Subisce una perquisizione nel proprio alloggio.

1902

Rischia la deportazione, che gli viene risparmiata probabilmente per i motivi di opportunità politica. Effettua un viaggio di aggiornamento pastorale nell’Europa occidentale, spingendosi fino a Londra.

1905

Lo zar emana l’ukase di tolleranza. Padre Ignacy ottiene il permesso di aprire a Lublino una tipografia e una libreria. Inizia a pubblicare la rivista Posiew (La Semente).

1906

Inizia a pubblicare il quotidiano Polak-Katolik (Il Polacco Cattolico) e il mensile Dobra Sluzaca (La buona serva), divenuto poi Pracowinca Polska (La Lavoratrice Polacca).

1905 - 1908

Dà grande incremento all’attività editoriale: al momento di lasciare Lublino (1908) ha all’attivo una cinquantina di titoli per complessivi due milioni di copie. Viene proposto alla nomina episcopale, ma le autorità zariste rifiutano il benestare.

1908

Si trasferisce da Lublino a Varsavia, onde far fronte alle aumentate esigenze editoriali. Alloggia per qualche tempo in una località fuori Varsavia (Radzwillow), dove esercita il ministero pastorale e organizza un orfanotrofio.


1908 - 1914

Stampa complessivamente sei milioni fra libri e opuscoli, cui vanno aggiunti i giornali e le riviste.

1911

A motivo della franchezza delle sue pubblicazioni è condannato ad alcune pene pecuniarie, agli arresti domiciliari e ad una breve detenzione. Inizia la pubblicazione della rivista per bambini Aniol Stroz (L’Angelo Custode).

1912

Ottobre. Gli viene concesso di scontare la breve pena nel convento cappuccino di Nowe Miasto (La Città Nuova).

1913

Assume il rettorato della chiesa di San Giacinto e si prende cura dell’asilo per bambini abbandonati ad essa annesso.

1915 - 1918

Si adopera con generosità per far fronte alle sofferenze portate dalla guerra.

1919

Dopo il ritiro della Russia dal conflitto mondiale (1917) e la durissima sconfitta degli imperi centrali (1918) la Polonia vede finalmente riconosciuta la sua indipendenza dal trattato di Versailles. Padre Ignacy viene definitivamente incardinato nella diocesi di Varsavia ed è nominato parroco di Pragha, popolosissimo quartiere di Varsavia, nonché responsabile del decanato omonimo.

1920

Primavera. Riceve l’approvazione e l’incoraggiamento per la sua attività editoriale dal cardinale Achille Ratti.

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78

31 luglio. Fonda le Suore Loretane.

1922

È nominato canonico della cattedrale.

1926

Maggio. Dopo una lunga e sofferta riflessione, cede la casa editrice Polak-Katolik (Il Polacco Cattolico) al cardinale di Varsavia. Nella sua carriera di scrittore e editore ha dato alle stampe dodici milioni di copie fra libri e opuscoli.

1927

Accetta la redazione della rivista Glos Kaplanski (La Voce dei Sacerdoti). Intraprende la costruzione della sede della famiglia religiosa delle Loretane.

1928

Acquista per le Loretane una vasta proprietà a nord est di Varsavia (Loretto).

1931

Il suo fisico è provato dal lavoro indefesso e ancor più da una lunga serie di sofferenze. Ha un chiaro presentimento della propria morte. 15 agosto. Si reca a Czestochowa per l’ultimo saluto alla Madonna Nera. settembre. Dopo una notte trascorsa tra forti disturbi cardia7 ci, dedica la giornata alle consuete occupazioni ministeriali. Un infarto lo stronca nel tardo pomeriggio. 10 settembre. Funerali solenni e partecipatissimi.


1932

Dopo una permanenza temporanea nel Cimitero Comunale di Varsavia, la sua salma è trasferita a Loretto.

1988

10 dicembre. Il Primate di Polonia card. Jozef Glemp ne introduce la causa di canonizzazione.

2000

9 dicembre. La riesumazione del corpo di don Ignazio a Loretto, Polonia.

2005

19 giugno. La beatificazione di don Ignazio, Varsavia.

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Il breviario e la corona

La penna, l’orologio e

di Don Ignacy

y uno scritto di Don Ignac


Preghiera

Il Crocifisso di don Ignacy

O Dio, che hai instillato nel cuore sacerdotale del Tuo servo Ignazio tanto amore verso la Parola Incarnata e la sua Vergine Madre, ispirando in Lui il desiderio di lavorare nel Tuo regno con zelante imitazione dell’amore di Cristo verso i fratelli poveri ed abbandonati, e facendo di Lui l’apostolo della stampa e delle pubblicazioni cattoliche, ascolta le nostre umili suppliche e fa che per Sua intercessione, con gioia collaboriamo noi pure alla salvezza del mondo. Padre infinitamente buono, degnati di esaudire la nostra preghiera che a Te rivolgiamo con fiducia e con fede per l’intercessione del Beato Don Ignazio. Per Cristo, nostro Signore. Amen. Ave Maria..., Madonna di Loretto - prega per noi, beato don Ignazio - prega per noi Con il permesso della Curia Metropolitana di Varsavia-Praga del 2 VI 2005 nr 684/K/2005

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