Non ascoltare più i lamenti

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RIZA

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Le lamentele ripetute e continue sono dannose per chi le pronuncia e per chi le ascolta. Abituano a vedere tutto nero, abbattono l’umore, riducono l’autostima, consumano energie fisiche e psicologiche, quindi ci espongono più facilmente a disturbi e malattie. Dare retta alle persone lamentose ci trasmette sentimenti nocivi e influenza il cervello: le parole negative condizionano il nostro atteggiamento e bloccano le nostre risorse. Nel libro spieghiamo come prendere le distanze da chi può influenzarci, ma anche come smettere di lamentarsi e ritrovare entusiamo, voglia di vivere e capacità di reagire alle difficoltà.

Non ascoltare più i lamenti

RIZA

Non ascoltare più i lamenti ti fanno ammalare

Il cervello è influenzato dalle parole I lamenti ci tolgono l’energia e le risorse

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NON ASCOLTARE PIÙ I LAMENTI TI FANNO AMMALARE

RIZA


Non ascoltare più i lamenti Ti fanno ammalare Testi di Annalisa Sgoifo Editing: Giuseppe Maffeis Grafica di copertina: Roberta Marcante Immagine di copertina: Alberto Ruggieri Foto: 123rf, Fotolia © 2016 Edizioni Riza S.p.A. via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it Tutti i diritti riservati. Questo libro è protetto da copyright ©. Nessuna parte di esso può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti senza il permesso scritto dell’editore. Le informazioni contenute nella presente pubblicazione sono a scopo informativo e divulgativo: pertanto non intendono sostituire, in alcun caso, il consiglio del medico di fiducia.


Sommario Capitolo 1

Origini del lamento: rito antico e voce infantile ....... 7 Capitolo 2

Lagnarsi spesso non aiuta, anzi fa male................. 19 Capitolo 3

Cosa provocano nel cervello le troppe lamentele ...... 39 Capitolo 4

Se dai retta a chi si compiange danneggi anche te ... 61 Capitolo 5

Ti commiseri spesso? Ecco come fare per smettere .... 85 Capitolo 6

Non lamentarti della vita,ma vivila! .................. 107 Epilogo

Se elimini le scorie mentali fai spazio al nuovo .... 133



Capitolo 1

Origini del lamento: rito antico e voce infantile Lamentarsi ha un’antica funzione rituale, quella di esprimere il dolore alla comunitĂ . Ăˆ anche lo strumento con cui i bambini chiedono aiuto, ed è alla base di una forma di preghiera. Ma se diventa un modo ripetuto di lagnarsi e brontolare con gli altri, perde queste funzioni e diventa dannoso


Capitolo 1

Perché ci lamentiamo? Le radici nel passato Molte persone hanno l’abitudine di lamentarsi spesso. Lo fanno più volte al giorno, anche per ragioni banali. Consumano parte del loro tempo e delle loro energie in questa attività mentale, più o meno consapevole. Letteralmente il termine lamento deriva dal latino lamentum e, probabilmente, in origine dalla parola clamentum, che deriva dal verbo clamare, che vuol dire urlare. Lamentarsi vuol dire letteralmente esternare il proprio dolore, anche attraverso urla e lacrime. Il lamento si caratterizza però non solo per le frasi che vengono dette ma anche per il tono e il ritmo cantilenante che assume la voce, un tono appunto “lamentoso”. La lamentazione è un lamento particolarmente lungo e accorato, spesso pronunciato in occasione di lutti e funerali; mentre nell’antica tragedia greca, indica il pianto di cordoglio del coro e degli attori insieme. In particolare, il lamento prolungato indica il pianto che si fa per la morte di una persona e, in questo senso, diventa un rito diffuso in tutte le parti del mondo, al fine di dare espressione al dolore per la morte di una persona in modi tradizionalmente codificati: con pianti, grida, nenie, canti. In senso ampio, invece, lamentarsi in modo insistente e noioso, si riferisce all’espressione di rammarico, di insoddisfazione o di risentimento con cui si esprime il proprio disappunto per qualcosa; è sinonimo, quindi, di lagnanza, rimostranza, lagna. Vediamo insieme da 8


Origini del lamento: rito antico e voce infantile

dove nasce il lamento e le caratteristiche che lo rendevano in origine un rito personale e sociale, con scopi importanti e positivi. Valori che potrebbe avere ancora oggi, ma che tende a perdere quando il lamento viene espresso pubblicamente e troppo spesso. Allora svaniscono i suoi significati rituali e diventa un’abitudine che può rivelarsi dannosa sia per chi si lamenta che per chi gli dà retta.

È un rituale sociale Il lamento possiede un profondo valore antropologico e sociale tanto che in molte culture è stato codificato e ritualizzato. In particolare è parte delle cerimonie funebri; in questi casi è utile a lasciar andare le emozioni e il dolore in modo che non si cristallizzino all’interno della persona ma vengano condivisi all’interno della comunità, migliorando l’unione tra le persone. Nelle situazioni più tristi, quindi, come i funerali o le carestie, il lamento viene ritualizzato per manifestare disperazione e dolore; serve a scacciare timori e le angosce di morte. Esempio tipico sono le anziane signore vestite di nero, che piangono e si strappano i capelli e sono ancora visibili durante i funerali nell’Italia del sud, figure derivanti dall’antica tradizione greca. Invitate alla cerimonia, anche se non conoscono il defunto, queste donne con le loro espressioni di dolore amplificano il dolore provato dai familiari e lo rendono pubblico condividendolo quindi con la comunità. Ciò permette alla sofferenza e alle emozioni negative 9


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di trovare uno spazio autorizzato in cui esistere, non solo a livello interiore, ma all’esterno, dove possono essere viste apertamente dalla comunità, quindi sfogate, in modo rituale, per poi scomparire pian piano. Ecco come il lamento, ritualizzato all’interno delle culture

Le donne del pianto La prèfica (in latino: praefica), nel mondo antico, era una donna pagata per piangere ai funerali. Tali presenze, note fin dall’antico Egitto, in Grecia e a Roma, precedevano il feretro e seguivano i portatori di fiaccola durante il corteo funebre; con i capelli sciolti in segno di lutto, cantavano lamenti funebri e innalzavano lodi al morto, accompagnate da strumenti musicali, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli. Visti i suoi eccessi, il rito fu proibito a Roma, dalla legge delle XII tavole. Questa abitudine si mantenne tuttavia anche in epoca cristiana, sebbene osteggiata e condannata dalla Chiesa. Fino agli anni ‘50 nei paesi della Grecia salentina sopravvissero le “chiangimuerti” o “rèpute”, delle donne che entravano nella casa del defunto e iniziavano a gridare disperatamente per poi iniziare a intonare le lunghe cantiche, tramandate di generazione in generazione e derivanti dalle famose nenie di origine greca in cui vengono richiamate anche antiche figure mitologiche greche, come Caronte e Tanato.

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antiche, ha modo di manifestarsi e di ridimensionarsi all’interno della comunità, senza creare disagio interiore né trasformarsi in una modalità consueta, quanto deleteria, di relazione con gli altri. Trova infatti il suo posto nelle occasioni di lutto, tragedia e calamità.

È uno strumento infantile Troviamo il lamento inteso come lagna, piagnucolio e simile al capriccio, nello stadio infantile dello sviluppo umano quando il bambino, lamentandosi e piangendo, riesce a ottenere dagli adulti ciò che vuole. Il neonato, che non sa ancora esprimersi con le parole, manifesta il lamento attraverso un codice non verbale caratteristico: il pianto con la cantilena, lo stringere i pugni ma non troppo, e la tipica espressione del volto, che è l’unico modo che ha per esprimere il suo stato di bisogno e disagio, legato spesso a stanchezza e malessere non identificato. Più avanti, nonostante possa parlare, il bambino utilizza ugualmente una forma simile di lamento allo scopo di “commuovere” il genitore e ottenere ciò che vuole, specialmente quando è stanco o sa di aver combinato qualche marachella. L’obiettivo del lamento è quindi ottenere attenzione e soccorso ma non viene sempre raggiunto, perché il più delle volte questa espressione infantile viene considerata un capriccio e i genitori non vanno incontro al desiderio del bambino. Invece, nei confronti dei lamenti dei bambini che 11


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esprimono dolori fisici, mamma e papà sono molto più attenti e pronti a reagire nel modo più appropriato. Ma è ben noto come, specialmente durante l’infanzia, può accadere che il mal di pancia, insieme ad altri sintomi somatizzati, sia spesso un segnale che esprime un disagio psicologico, ovvero qualcosa che proprio al piccolo non va di fare o che lo fa star male più psicologicamente che fisicamente. Sta al genitore comprendere quale sia l’origine vera dello stato di disagio, portando comunque attenzione, conforto e supporto al figlio. Quindi nelle situazioni in cui ci lamentiamo da adulti, è come se rientrasse in campo la nostra voce infantile e prendesse in mano il microfono interiore per farsi sentire. In questo caso il lamento di tipo infantile chie-

Il rito scaramantico prima delle prove C’è un rituale di lamento che si mette in atto prima di una prova di qualsiasi tipo: punta a ottenere incoraggiamento e a calmare l’ansia della performance. Allo stesso tempo, dà voce al volto più scaramantico di noi, quello che cerca di sdrammatizzare e scacciare paure e timori, dando loro voce. Per esempio corrisponde all’abitudine di ripetere, prima di un esame o di una prova, a tutte le persone che abbiamo intorno: non ce la farò mai... non sono capace. Il lamento, in questo caso, è il tentativo pratico di abbassare il livello di ansia e di paura e farsi incoraggiare dall’esterno.

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Origini del lamento: rito antico e voce infantile

de a chi sta in alto (questa volta non più la mamma e il papà) di dargli ciò che vorrebbe o di eliminare ciò che non piace. Anche il tono di voce dei lamentosi ha qualcosa di infantile e di cantilenante. Questa vocina interiore è l’espressione della nostra parte “bambina” che si rivolge in realtà alle parti più mature e rigide della nostra personalità per ottenere ascolto.

È una forma di preghiera All’origine della preghiera troviamo proprio il lamento per le sventure e le sofferenze che pesano nel cuore dell’uomo e per le quali viene spontaneo chiedersi: perché mi è successo? Chi può rispondere a questo interrogativo se non un essere divino? All’origine di questo lamento “esistenziale” ci sono di solito eventi molto tragici, situazioni angosciose, che spingono anche a dubitare della bontà divina e a chiedere un aiuto “supremo” per superare le difficoltà. Ci si rivolge alla divinità per supplicarla e invocarla affinché alleggerisca l’uomo da questa angoscia. Il dialogo con la divinità è però un rapporto sostanzialmente intimo e personale, un dialogo privato tra Dio e se stessi. Il lamento per le sofferenze vissute nel corso dell’esistenza diventano una supplica alla divinità affinché intervenga a risolvere la situazione o almeno a dare la forza per sopportarla. La supplica rivolge a un’entità superiore le proprie angosce e le proprie speranze. È quindi una caratteristica della preghiera che sia lamentosa ma altrettanto privata. 13


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È uno stato d’animo intimo A livello personale, quindi, il lamento ha valore se rimane privato e intimo; è perciò ben diverso da quello che assume in ambito sociale, come espressione del lutto. Eppure oggi si tende a esteriorizzare il lamento a ogni pie’ sospinto, banalizzandolo. Si perde così la sua funzione principale che è quella di riflettere il pro-

Chiudi gli occhi e aspetta Tutte le religioni antiche conoscono la preghiera. Che cosa significa pregare? È parlare con un essere sconosciuto. Perché in realtà in tutti noi c’è un “essere sconosciuto”, ovvero la nostra anima, e si manifesta nei nostri stati interiori: gioia, ansia, invidia, desiderio, rabbia… Ci sono forze misteriose che non conosciamo. Come operano? Nel silenzio. Quindi la prima cosa da fare quando c’è un problema è chiudere gli occhi, sentire il vuoto, fare silenzio e aspettare, ascoltando questo essere sconosciuto che ci parla attraverso il silenzio interiore. Non è con il dialogo continuo con se stessi o con gli altri, su tutto ciò che non va, che migliorerà le cose. Se ci accorgiamo di non farcela da soli possiamo (o meglio dovremmo) chiedere aiuto a uno psicoterapeuta, che è ben altra cosa rispetto a parlare con un amico, un conoscente, un amante, un genitore, un figlio.

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Origini del lamento: rito antico e voce infantile

prio disappunto. Se solo si potesse ascoltare il lamento che emerge nello spazio interiore dell’uomo, prima ancora che esprimerlo a parole, esso offrirebbe infatti una domanda chiara, benefica, fondamentale: «Questa cosa non mi piace, l’accetto, la rifiuto o cambio prospettiva?» Questo accade ancora prima che diventi una nenia da riversare all’esterno. Ascoltando senza giudizio la propria voce interiore lamentosa, ognuno di noi può capire che cosa non va bene e investire le energie nel trovare una soluzione, piuttosto che nello sciorinare i lamenti alle orecchie altrui, che ben poco possono se non far finta di ascoltarci per l’ennesima volta. Vero è che ciò che accade ha sempre una ripercussione nel mondo interno, ovvero mentale. Allora, quando quel qualcosa proprio non piace o incombe un brutto pensiero, osservarlo da dentro senza giudizio, né troppa emotività, fa la differenza. Significa sentirsi liberi di ascoltare questa vocina insoddisfatta, che ha una funzione importante: quella di sfogarsi, di dire no. Un solo momento di osservazione interiore e segreta, permetterà di riconoscere e quindi prendere distanza da ciò che non fa bene all’anima e, allo stesso tempo, di cercare una soluzione e andare oltre. Solo in questo modo, infatti, lo sfogo avrà una funzione, senza appesantirsi e trasformarsi in un lamento. Se manteniamo la capacità di ascoltarci senza giudicare, la vocina sarà via via più confidente e ci guiderà verso la realizzazione personale, dicendo i suoi no senza più lamentarsi. Succederà, quindi, che non verrà più spontaneo recriminare a voce alta con gli altri. 15


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