Il Porto del Corallo

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IL

PORTO DEL

CORALLO Analisi Storica del Porto di Torre del Greco



Il Porto del CORALLO Analisi Storica del Porto di Torre del Greco

a cura di Giuseppe Troina con la consulenza scientifica di Flavio Russo

E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche Torre del Greco 2007


I edizione: luglio 2007 Progetto grafico, impaginazione e copertina: Ferruccio Russo I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i paesi ISBN 978-88-95430-01-0

E.S.A.

-

Edizioni Scientifiche e Artistiche

Š 2007 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata www.edizioniesa.com info@edizioniesa.com


Il Porto del CORALLO è stato realizzato con il patrocinio della

CITTÀ DI TORRE DEL GRECO

ed il contributo di

D’AMATO NAVIGAZIONE s.p.a. DEIULEMAR s.p.a. Compagnia di Navigazione

PERSEVERANZA s.p.a.

di Navigazione

GIUSEPPE BOTTIGLIERI

UNITRAMP s.r.l.

di Navigazione s.p.a.

CANTIERI NAVALI

DIMAIOLINES s.p.a.

Shipbrokers

CIRCOLO NAUTICO TORRE DEL GRECO

ICAD s.r.l.


Cagliari, monumento funebre in memoria degli equipaggi caduti dei sommergibili del VII gruppo, al quale apparteneva anche il Corallo.


Prefazione

l porto di Torre del Greco, per molti aspetti, risulta unico del suo genere, nonostante il gran numero di similari, lungo i quasi 8000 Km del perimetro costiero italiano. Lo è già come genesi geologica, rappresentando l’esito temporaneo dello scontro tra fuoco e acqua, tra magma incandescente e mare ribollente. Fra i due elementi in perenne conflitto si colloca, con orgogliosa temerarietà e superba incoscienza, l’opera dell’uomo. Tagliata la dura lava si ricavò, macigno dopo macigno, lo spazio per i cantieri delle barche, e con quegli stessi massi si eresse la diga foranea che le avrebbe protette. Fatica degna di Sisifo ma non per questo vana. Il perché, infatti, del testardo contrapporsi alle ire del vulcano costituisce la seconda, e maggiore peculiarità di questo porto: la sua prioritaria destinazione. Senza dubbio vi si ormeggiavano numerosissime barche da pesca, forse 400 secondo attendibili stime, sulle quali migliaia di pescatori sciamavano per la loro spossante e rischiosa attività. Ma non era il gustoso pesce del Tirreno che finiva nelle loro reti, o per meglio dire nei frammenti di reti, fissate alle due massicce travi dell’ingegno. Quello che issavano, con sfiancante sforzo, erano dei rametti di rosso corallo che il pesante ordigno strappava dagli scogli dei fondali. Prezioso fin dall’antichità, per la sua evidentissima somiglianza con un rivolo di sangue rappreso fu, da sempre, reputato un simbolo di vita e di fecondità, di fortuna e di salute. Per la mitologia era il sangue rappreso colato dalla testa recisa delle Gorgonie, per la Città la sola risorsa a cui doveva il benessere. Mastri d’ascia, cordai, calafati, ferrai, velai lavoravano in gran

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numero nella cantieristica corallina; armatori, marittimi, pescatori, padroni, corsari impiegati come dirigenti ed equipaggi lavoravano a bordo della flotta corallina; artigiani, sgrezzatori , incisori, lucidatori lavoravano intorno al corallo; rappresentanti, commercianti, esportatori lavoravano alla vendita di quei preziosi gioielli. In pratica, con il relativo indotto, l’intera Torre del Greco che, lavorando il corallo, finiva per gravitare intorno al suo porto: il porto del corallo per antonomasia La presenza di tanti marinai di Torre del Greco tra gli equipaggi delle Unità della Flotta italiana e il fervente attaccamento alla Forza Armata di coloro che avevano lasciato il servizio attivo, suggerirono alla Marina di prescegliere la Città di Torre del Greco per la consegna della bandiera di combattimento al Sommergibile Corallo. Proprio quest’anno ricorre il 70º anniversario di quell’evento. Il SMG. CORALLO era il Sesto dei dieci sommergibili della Classe 600 (695 tonnellate di dislocamento), serie PERLA, costruiti nel 1936 presso i cantieri di Monfalcone e La Spezia, rispettivamente in sei e quattro esemplari. Allo scoppio delle ostilità il SMG. CORALLO era dislocato a CAGLIARI da dove, il 13 Dicembre del 1942, partì per la sua ultima missione nelle acque del Canale di Sicilia. All’interno della base navale di CAGLIARI proprio il 10 Giugno 2005, grazie alla generosa iniziativa del CAV. UFF. Enrico Casagrande, Presidente emerito del Gruppo ANMI di Frascati e a suo tempo membro dell’equipaggio del SMG. AVORIO, è stato inaugurato a perenne memoria dei marinai caduti con i battelli del VII Gruppo SOMMERGIBILI a cui il SMG. CORALLO apparteneva. Questi in estrema sintesi gli argomenti che esperti e studiosi hanno esposto nelle pagine di questo bel libro, voluto, piace ricordarlo, dall’iniziativa del Comandante della locale Capitaneria di Porto C.F. Giuseppe TROINA.

Roberto Cesaretti Ammiraglio di Squadra Componente Marittima del Comando Alleato - Napoli


Premessa

elineato dai contorni della lava del Vesuvio, il porto di Torre del Greco sembra voler fare da specchio a case, strade e persone. La misteriosa mano della natura lo ha sistemato ai piedi dell’antica Turris Octava, dove l’acqua salata bagna una costa ridisegnata da secoli di sbalzi orografici. Per chi viene dal mare è la porta d’ingresso nell’universo vesuviano. Per chi arriva dall’alto è la finis terrae. Alfa e omega d’un territorio ricco di storia e di eventi geofisici. Ma anche di straordinarie vicende umane, che lungo il fluire dei tempi proprio qui si sono condensate, nello spazio di mare attrezzato alla fine dell’800 per fissare in un semicerchio liquido il destino marittimo d’una popolazione. La pesca, le reti calate nell’acqua, le barche guidate con mano ferma per evitare scogli insidiosi e burrasche improvvise. Il fiorire di virtù artigiane legate al mare e alla vita tra le onde. I maestri d’ascia, i calafati che ostruivano le fenditure degli scafi coi fili di canapa, i remaiuoli, i costruttori di vele e pennoni. Gli intagliatori che scolpivano polene beneaugurati. I fabbri che davano peso ai natanti. E i segatori, intenti a scomporre tronchi robusti con la fatica di mani e schiene e gambe piegate. Poi, l’epopea del corallo. Una storia lunga e complessa, intessuta di sogni, realtà, lavoro duro, inventiva, risorse mentali. Le barche coralline: molte centinaia negli ultimi decenni del secolo 19esimo. L’ultima in disarmo nel 1988. Intorno, cantieri navali, i mulini Marzoli, il varo delle imbarcazioni sul molo della Scarpetta.

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Ma questo porto non è solo testimone della vita reale e produttiva. Nel corso degli anni è divenuto anche osservatore muto di ciò che poteva essere e non è stato: uno scalo all’altezza dei tempi nuovi, un approdo turistico, circondato da un territorio risanato e vitale. Nel concreto o nell’immaginario, comunque, un luogo fisico con un’anima. Cioè con un suo carattere e una benigna personalità. Sia che accogliesse, un tempo, i pescatori con le lunghe canne in fila sul molo, sia che come un vecchio saggio stimolasse sguardi e riflessioni sulla realtà terrestre che lo circonda: la storia (il castello baronale, il codice corallino, il fortino di Calastro, Santa Maria di Costantinopoli, le barche nel Mediterraneo, il banco di corallo nel mare di Sciacca che provocò euforia e delusione, le eruzioni vulcaniche, le scoperte archeologiche, le speranze, le gioie e i sacrifici di uomini e donne). Allo stesso modo, questo volume, fondendo vari punti di osservazione, consente di avere un quadro completo e unitario del passato, presente e futuro del territorio che gravita sul vecchio, glorioso porto. Analisi approfondite (come quella sul Vesuvio, che unisce alle emozionanti testimonianze storiche le più recenti intuizioni scientifiche), o quella, di natura economica, sulle attività cantieristiche. O ancora, la carrellata sui resti delle ville romane sulla linea della costa: emergenze archeologiche che restituiscono il senso di un affascinante passato remoto, e agli studiosi consentono di misurare l’espansione in mare delle sponde travolte dal magma. Una costruzione interdisciplinare che viene a colmare un vuoto letterario. Una ‘civilis historia’ che si legge come un romanzo.

Mimmo Liguoro Giornalista RAI


Presentazione

n viaggio nel tempo, un percorso che si snoda attraverso i vicoli, la chiesa, il Mulino, le ville, le coralline, guidandoci alla riscoperta delle radici di Torre del Greco. Una ricostruzione puntuale e appassionata della storia di una città, della sua comunità e del legame indissolubile con il mare. Un mare che ha disegnato il volto di Torre del Greco, nota ai più per i suoi cantieri, le barche, la pesca e la lavorazione del corallo, tesoro dell’artigianato locale e simbolo indiscusso della sua storia marinara e commerciale. Il racconto di una Torre del Greco, la cui identità si incentra sul porto, ombelico della città, centro propulsore delle attività, nel tempo approdo commerciale e turistico, base di scambi e comunicazione che ne ha storicamente favorito lo sviluppo. Un porto che purtroppo, e la considerazione dell’antico splendore ne accentua l’amara consapevolezza, si presenta oggi vecchio, piccolo e inadeguato alle esigenze dei diportisti, degli armatori, degli stessi cittadini. Il porto è stato, e continua ad essere, pertanto, oggetto di numerose proposte e progetti. Progetti mai realizzati, perché inadeguati o troppo costosi, perché quella relativa all’area portuale di Torre del Greco è una progettualità complessa, che non può e non deve prescindere dai vincoli urbanistici e delle emergenze storico-momumentali, che deve saper realizzare interventi integrati attraverso i quali far fronte ai problemi sismico-vulcanici, ai rischi del sabbiamento, alle incognite meteo-marine. Ed è su queste considerazioni che si deve improntare il rilancio e la riqualificazione dell’area portuale.

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Principalmente perché è ora che si consideri tale sfida per l’insieme delle opportunità che rappresenta per Torre del Greco: dare al porto una nuova funzionalità significa restituire valore alle attività tradizionali, recuperare l’enorme valenza della tradizione marinara e ritornare alla vitalità cittadina del ‘700, quando i torresi erano i primi costruttori di navi coralline in Italia e il porto era il fulcro di importanti scambi commerciali. Al tempo stesso, riqualificare il porto e l’area circostante significa fronteggiare ben altre sfide, quale quella di collegare il porto alla città e alle vie di comunicazione, alle aree e ai comuni limitrofi, proiettando la città in un’ottica strategica di nodo essenziale di scambi commerciali e culturali, costruendo una nuova identità della città nello scenario internazionale della geopolitica mediterranea. Non meno importanti, tuttavia, sono da considerare i risvolti sociali di un recupero dell’area portuale. Ritornare al mare, idealmente e concretamente, vuol dire ritrovare un’identità e renderlo nuovamente parte attiva, essenza e simbolo della città. Per Torre del Greco, aldilà di essere fonte di ricchezza economica, il mare rappresenta il carattere antropologico di un popolo che costruisce la sua peculiarità culturale attorno ad esso e a cui, seppure lontano dalla sua terra, collega le proprie origini, è il legame ideale, luogo di partenza e di ritorno e nodo di confluenza di scambi culturali. Oggi il rapporto tra Torre del Greco e il mare non è più quello di un tempo; il porto non rappresenta quasi più un polo attorno al quale ruotano i momenti della vita quotidiana, compresi quelli del tempo libero, non rappresenta più un richiamo, non invita a viverlo come un tempo, quando era a misura d’uomo. E allora sarebbe non meno importante e ambizioso preoccuparsi di restituire agli abitanti della città il “lusso” ed il piacere di una passeggiata, di sera, alla luce dei lampioni, tra quei vicoli che profumano di mare… Particolarmente meritoria ci appare l’iniziativa di questo volume, fortemente voluto dal Comandante della Capitaneria di Porto di Torre del Greco, Giuseppe Troina, e scritto da varie e autorevoli personalità, come auspicio di un futuro aperto sull’orizzonte del mare, nella celebrazione orgogliosa di un passato che ci auguriamo di non aver dimenticato e perduto per sempre.

Avv. Leopoldo Spedaliere L’Amministratore Delegato di Tess – Costa del Vesuvio

Dott. Angelo Pica L’Amministratore Delegato del Patto Territoriale del Miglio d’Oro


Indice 1. Il Porto: evoluzione e prospettive di sviluppo....................p.

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2. Evoluzione della costa vesuviana nel territorio...............p.

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3. Le ville marittime romane...............................................p.

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4. Osservazioni storiche sul Castello...................................p.

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Giuseppe Troina

Gennaro Di Donna - Giuseppe Luongo Mario Pagano Mario Pagano

5. Osservazioni tecniche sul Castello..................................p. 101 Flavio Russo

6. Architettura e urbanistica del centro storico....................p. 109 Gioia Seminario

7. Il quartiere del Mare........................................................p. 121 Giorgio Castiello

8. La Chiesa di S. Maria di Portosalvo................................p. 149 Francesco Rivieccio

9. Il fortino di Calastro........................................................p. 173 Flavio Russo

10. ...400 coralline................................................................p. 197 Giuseppe Rajola

11. Storia della cantieristica navale.....................................p. 233 Raimondo Martorano

12. I Mulini Meridionali Marzoli e il porto........................p. 259 Domenico Izzo - Elvira Loffredo

13. Il Circolo Nautico..........................................................p. 291 Aldo Seminario

14. Bibliografia storica su Torre del Greco.........................p. 305 Francesco Rivieccio


Carta Ufficiale del Porto di Torre del Greco aggiornata al 2006

17-22 6


1. Il Porto: evoluzione e prospettive di sviluppo Giuseppe Troina - Cap. Fregata (CP) - Comandante del Porto di Torre del Greco Giuseppe Troina - Cap. Fregata (CP) - Comandante del Porto di Torre del Greco

i piedi dello “sterminator Vesevo”, in posizione strategica al centro del Golfo famoso nel mondo, sorge, nella seconda metà del XIX secolo, il porto di Torre del Greco. Nell’indagare questo luogo particolare è necessario attraversare i mutamenti e i continui movimenti di un insediamento sconvolto, nel corso dei millenni, da conflagrazioni vulcaniche che ne hanno caratterizzato la plurimillenaria storia. Colate fangose, colate magmatiche e le conseguenti stratificazioni del materiale eruttivo hanno modificato l’orografia del luogo. Torre del Greco è stata colpita da eruzioni terribili come quelle del 79 d.C., 1631, 1794, 1861 che ne hanno modificato le linee di costa. “Su l’arida schiena del formidal monte”, come definito da Giacomo Leopardi, nella naturale fatalità gli uomini sono ritornati a vivere dopo ogni eruzione. A seguito delle numerose distruzioni risulta difficile tracciare l’antica linea di costa, gli studiosi fanno riferimento a quattro elementi monumentali presenti in contrada Calastro per una possibile linea di costa in epoca romana: a ovest i resti della villa romana Breglia, a monte la necropoli della chiesa Santa Maria del Principio e il Monastero degli Zoccolanti, a oriente il Castello Baronale. Probabilmente la costa rientrava presso la chiesa di Santa Maria del Principio e il mare lambiva il Castello Baronale. Secondo gli studiosi, la prominenza di Calastro, si formò probabilmente con le eruzioni del 472 d.C.; le eruzioni successive del 526 d.C. e 685 d.C. contribuirono a rendere maggiore tale prominenza, usata dai marinai come riparo. Molto probabilmente il profilo della costa, tracciando una linea ideale, partendo dall’attuale muraglione di conteni-

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IL PORTO

DEL

CORALLO

1.1 Foto aerea obliqua del porto di Torre del Greco.

mento ai piedi del palazzo municipale, rasentando i fabbricati a monte di via Fontana, proseguendo per il Corso Cavour doveva giungere fino a San Giuseppe alle Paludi ed oltre. Con l’eruzione del 1631, il centro abitato di Torre non fu cancellato dalla lava ma inondato da gigantesche lave di fango che fuoriuscivano dai fianchi del vulcano. L’enorme massa di detriti dette l’impressione che la “montagna” si fosse liquefatta e rotolata a valle. La costa avanzò nel mare di parecchio da San Giovanni a Teduccio a Torre Annunziata e nell’abitato di Torre del Greco, la linea che abbiamo idealmente tracciato, si spostò per una distanza quasi costante, fino ad includere l’attuale Corso Garibaldi. Questa zona fu chiamata del “mare seccato” e su di essa nacque il quartiere della marina. Il 15 giugno del 1794 ci fu un’altra violenta eruzione: la lava sotterrò 14


G. TROINA - IL PORTO: EVOLUZIONE

E

PROSPETTIVE

DI

SVILUPPO

1.2 Foto aerea obliqua del centro. In primo piano la parrocchia di Santa Croce.

più di un terzo del centro abitato della città. Ancora oggi, a testimonianza di ciò, resta il campanile della Parrocchia di S. Croce sommerso per un terzo. Durante questa eruzione la lava ignea riversandosi nella zona del borgo, fin nel mare, formò un roccione piatto detto “Scarpetta”. La ricostruzione fu rapida ed immediata, grazie alla sensibilità di Ferdinando IV di Borbone che, in un programma più vasto di opere pubbliche, permise la realizzazione di una rete stradale di collegamento tra Torre del Greco e Napoli, curò gli scavi di Pompei ed Ercolano, la conservazione dei reperti archeologici nel museo archeologico di Napoli, e realizzò la prima strada ferrata da Napoli a Castellammare e da Napoli a Caserta. La ricostruzione di Torre del Greco avvenne secondo un piano generale che prevedeva la creazione di un sistema di larghe strade delimitanti lotti regolari. Agli inizi 15


Torre del Greco, loc. Ponte di Rivieccio. Planimetria degli scavi del Novi, 1898


3. Le ville marittime romane Mario Pagano - Soprintendente per i beni archeologici del Molise

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a posizione centrale ed estremamente panoramica nell’arco del golfo di Napoli, il clima e l’esposizione ai venti rese il litorale di Torre del Greco (che prima del 79 d.C. faceva parte integrante del territorio ercolanese e, dopo l’eruzione, fu annesso al territorio della vicina Napoli) particolarmente apprezzato in epoca romana, anche per la facilità di collegamenti sia per terra che per mare. Quando, a partire dalla fine del II secolo a.C., ma particolarmente dalla metà del I secolo a.C. (dopo che Pompeo ebbe definitivamente debellato i pirati) si diffuse la moda dell’aristocrazia romana di costruire splendide e grandiose ville marittime sulle rive del Lazio e della Campania, alcune delle più importanti occuparono proprio il litorale ercolanese: in età augustea, come riferisce Strabone, esso aveva l’aspetto “di una sola città”; il soggiorno nella città di Ercolano era consigliato per i malati di tisi. All’esposizione climatica eccezionalmente felice si univa la vicinanza con Napoli, che conservava usi, costumi e cultura greca, e che era il regno delle scuole filosofiche, e con Puteoli, il grande porto dove confluiva il commercio mediterraneo; dall’altro lato, vicinissima era Pompei, altro importante emporio portuale alla foce del fiume Sarno. Nel territorio ercolanese è documentata una serie impressionante di grandiose ville marittime, molte delle quali individuate già nel Settecento: oltre la celebre villa suburbana dei Papiri, a S. Giovanni a Teduccio, dove pare furono rinvenuti frammenti di statue equestri di bronzo1, a Portici (ville del largo Arso, della Riccia, del convento dei Gesuiti, dell’Epitaffio, 1 Inv. 6105; M. R. WOJCICK, La villa dei Papiri ad Ercolano, Roma 1986, pp. 251 s., n. 1, tav. CXXVII; S. ADAMO MUSCETTOLA, in Cronache Ercolanesi, 20, 1990, pp. 152 ss.; M. PAGANO - R. PRISCIANDARO, Studio sulle provenienze degli oggetti rinvenuti negli scavi borbonici dell'antico Regno di Napoli, Castellammare di Stabia 2006, p. 207.

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IL PORTO

DEL

CORALLO

delle Scuderie Reali) e a Torre del Greco (loc. Calastro, Sora, TermeGinnasio). Come spesso accade, salvo due soli casi, non si è ancora riusciti a collegare nessuna di queste ville ai nomi dei grandi personaggi che sappiamo ne possedevano una nel territorio ercolanese: in primo luogo Ap. Claudius Pulcher, console nel 38 a.C., dotto amico di Cicerone, che decorò a sue spese la scena del teatro di Ercolano, e M. Nonius Balbus, che si era stabilito nella città. Ma anche M’. Aemilius Lepidus, console nell’11 d.C., giacché solo da qui provengono numerosi bolli su tegola col suo nome, e Q. Iunius Blaesus, console nel 10 d.C., del quale si conoscono molti liberti. Una tavoletta cerata testimonia una proprietà della ricca famiglia senatoria degli Ulpii; dalla città era probabilmente originario L. Mammius Pollio, console nel 49 d.C.; Plinio il Vecchio cercò di soccorrere la matrona Rectina, moglie di un Cascius o Tascius; Caligola avrebbe diroccato una lussuosa villa imperiale, adirato perché vi era stata precedentemente relegata la madre. Aperto rimane il problema dell’identificazione del proprietario della villa suburbana dei Papiri, di enormi dimensioni (1/10 dell’intera città), dotata di una biblioteca ricca di opere di filosofia, in gran parte di carattere epicureo. Alle ipotesi già avanzate (L. Calpurnius Piso Caesoninus, per i suoi noti legami con il filosofo Filodemo, il già ricordato Ap. Claudius Pulcher, M. Nonius Balbus), vorrei diversamente proporre il nome di C. Memmius L. f., marito della figlia di Silla, ricco, dottissimo e fervente epicureo, tanto da far suntuosamente restaurare la casa di Epicuro ad Atene durante il suo esilio, patrono di Lucrezio nella clientela del quale Filodemo potette gravitare prima dell’esilio; il gentilizio è, infatti, attestato ad Ercolano, da due iscrizioni. L’ipotesi è rafforzata dal fatto che, in uno degli ambienti oltre il peristilio rettangolare, campeggiava la statua di un fanciullo nudo in atto di declamare, evidentemente il ritratto dell’unico figlio di C. Memmius, morto in assai giovane età, ma che adulescentulus comparve al processo del fratellastro della madre M. Aemilius Scaurus nel 54 a. C., come ci informa Asconio, e in onore del quale fu realizzato ad Efeso un grandioso monumento.2 Il territorio di Ercolano, infatti, fu certamente oggetto, dopo la guerra sociale, delle confische sillane, il che spiega la possibilità di edificare una lussuosissima villa suburbana da parte di un personaggio strettamente legato al dittatore. Filodemo, prima di entrare nella clientela di L. Calpurnius 2 M. TORELLI, Il monumento efesino di Memmius. Un capolavoro dell'ideologia nobiliare della fine della repubblica, in ID., Il rango, il rito e l'immagine. Alle origini della rappresentazione storica romana, Milano 1997, pp. 152 ss.; CIL X, 1403d; A. VARONE, in Rivista di Studi Pompeiani, XI, 2000, p. 279.

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3.1 Planimetria degli scavi di Villa Sora nel 1992. Disegno M. Pagano, U. Pastore.

Piso Caesoninus, potè far parte della cerchia del filelleno C. Memmius. Tutte queste ville erano dotate di comodi approdi, talvolta artificiali.

LA VILLA ROMANA DI CONTRADA SORA Il più importante sito archeologico del litorale di Torre del Greco è posto in contrada Sora, tra il cimitero e la ferrovia Napoli-Salerno.3 In questo 3 L. A. SCATOZZA HORICHT, Ville nel territorio ercolanese, in Cronache Ercolanesi , 15, 1985, p. 152 ss.; M. PAGANO, La villa romana di contrada Sora a Torre del Greco, in Cronache Ercolanesi , 21, 1991, p. 149 ss.; ID., in Rivista di Studi Pompeiani, VI, 1993-94, pp. 266 ss.; ID., Un lucus di Giove alle radici del Vesuvio, in Les bois sacrés. Actes du Colloque international de Naples 1989, Collection du Centre Jean Bérard, 10, Naples 1993, pp. 53 ss.; ID., La villa romana in Contrada Sora a Torre del Greco, in “Pompei-Picta fragmenta, Decorazioni parietali della città sepolta”, Yokohama Museum of Art, 1997, pp. 47ss. e 57 ss. Ripubblicato in Pompeii. Picta fragmenta, Torino 1997; ID., in Pitture nella Reggia dalle città sepolte, Napoli 1999, pp. 43 ss. Sui siti tardo-antichi nell’area vesuviana v. M. PAGANO, L’area vesuviana dopo l’eruzione del 79 d. C. , in Rivista di Studi Pompeiani, VII, 1995-6, pp. 35 ss.; ID.,Il sepolcreto e la grotta di S. Biagio a Castellammare di Stabia: le origini e una nuova interpretazione, in Rivista di Studi Pompeiani, XIV, 2003, pp. 257 ss. ; ID., La rinascita di Stabiae (dal 79 d. C. al tardo impero) e la Grotta S. Biagio, in Pompei, Capri e la Penisola Sorrentina, a cura di F. Senatore, Pompei 2004, pp. 179 ss.

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3.2 Località Ponte di Rivieccio, ora demolito.

punto e poco più oltre, in loc. Ponte di Rivieccio i ruderi romani e la stratificazione archeologica erano da sempre ben visibili nella ripa lungo la spiaggia, dove fu anche individuato lo scheletro di un fuggiasco dell’eruzione. I resti osservabili nel Seicento erano così notevoli da far supporre allo storico torrese Francesco Balzano che lì fosse da ubicare l’antica Ercolano 4, nonostante che già Fabio Giordano e il Celano avessero correttamente identificato Ercolano con Resina. Sempre nel Seicento vi fu rinvenuto il celebre bassorilievo marmoreo con Orfeo, Hermes ed Euridice, ospitato per alcuni anni nel castello di Torre del Greco e poi trasportato a Napoli, ove tuttora si conserva nel Museo Archeologico Nazionale, ivi confluito con la collezione Carafa di Noja. 4 F. BALZANO, L’antica Ercolano, ovvero la Torre del Greco tolta dall’oblio, Napoli 1688, pp. 17 ss.; I. SORRENTINO, Istoria del monte Vesuvio, Napoli 1734, pp. 69, 78; F. LA VEGA, in Giornale degli Scavi di Pompei, n. s. 1861, pp. 286 s.

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3.3 Orfeo, Euridice ed Hermes, Museo Nazionale di Napoli, rilievo in marmo, rinvenuto nel ‘600 a Torre del Greco, Villa Sora.

Altri scavi vi furono condotti nel 1733 e poi nel 1741 dal Bardet.5 Dopo una lunga interruzione, nel 1797, una vasta porzione della villa fu scavata a spese dell’allora principe ereditario Francesco I di Borbone, e rilevata da La Vega. La collezione degli oggetti rinvenuti, della quale possediamo un dettagliato elenco, che comprendeva due affreschi di soggetto teatrale e una bella copia in marmo del Satiro versante attribuito a Prassitele, fu donata nel 1831 al Museo di Palermo. Dalla villa non proviene, invece, l’Ercole che abbatte il cervo in bronzo e la vasca marmorea, rinvenuti nel 1805 nell’atrio della casa di Sallustio a Pompei, come attestano i documenti di scavo.6 5 M.RUGGIERO, Storia degli Scavi di Ercolano, Napoli 1885, p. 87; M. PAGANO, I primi anni degli Scavi di Ercolano, Pompei e Stabia, Roma 2005, pp. 11,31. Lo scavo iniziò l’8 agosto 1741 in seguito al ritrovamento fortuito di una colonna. 6 M.PAGANO, I diari di scavo di Pompei, Ercolano e Stabiae di Francesco e Pietro La Vega (17641810), Roma 1997, p. 169.

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Giuseppe Morghen (inc.) e Antonio Ciofi (diseg.). Dimostrazione Scenografica e Tecnografica di tutti gli effetti prodotti dall'Eruzione del Vesuvio succeduta nella notte dè 15 Giugno del corrente anno 1794 colla Pianta della Città della Torre del Greco e colle dovute corrispondenti descrizioni, Incisione, Napoli, Museo Nazionale di S. Martino, Archivio Piante e Disegni, Particolare


7. Il quartiere del Mare Giorgio Castiello - Architetto e storico dell’architettura

L’

eruzione del Vesuvio del 1794 fu per il nostro territorio una delle più disastrose accadute nel ‘700. Per tutto il secolo il vulcano dominò con la sua figura, malefica e benefica allo stesso tempo, il nostro territorio, entrando come assoluto protagonista, in un numero crescente di rappresentazioni realizzate con le più diverse tecniche artistiche, fin quasi a costituire argomento esclusivo di un genere a sé stante che, specie con la produzione à la gouache, avrebbe trovato notevole fortuna tra i turisti che visitavano la città, fino oltre la metà dell’Ottocento.1 Una di queste rappresentazioni è l’incisione che Giuseppe Morghen2 eseguì in occasione di quell’evento. Essa è una testimonianza degli effetti devastanti causati dall’eruzione apprezzata soprattutto nell’ambiente scientifico, che seguiva con attitudi-

1 I viaggi intrapresi a Napoli erano una sorta di estroversione spaziale che si serviva anche del vedutismo, ma non solo, come oggetto ambito di possesso, che ricordasse e simboleggiasse il viaggio, ma anche come elemento di documentazione e di studio. Nasce il vedutismo dei pittori viaggianti, che accompagnati dal loro inseparabile taccuino, spesso in compagnia di ricchi “granturisti” e dei loro eruditi accompagnatori, o da architetti e letterati, disegnavano tutto ciò che a loro sembrava singolare durante il viaggio, o quanto veniva loro indicato. 2 Giuseppe Morghen. (Napoli, ultimo decennio del XVIII secolo - attivo fino al 1840 ca.) incisore di figure e di topografia. Giuseppe è un altro dei figli di Guglielmo, attivo come incisore nel campo cartografico. Avviato in giovanissima età all’arte dell’incisione, nel 1809 fece domanda di assunzione, col fratello Luigi, nella Stamperia Reale. Dopo questo tentativo, peraltro fallito, ripiegò sull’incisione cartografica, allora fiorente presso il Burò topografico murattiano. Il periodo durante il quale lavorò nell’istituzione topografica è invero molto breve: dopo alcuni anni di apprendistato fu ammesso, nel 1815, in qualità di incisore ma, come accadde per altri impiegati, per ristrettezze di bilancio fu nominato, due anni dopo, incisore soprannumero di prima classe con lo stipendio dimezzato.

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7.1 Alessandro D'Anna, L'eruzione del Vesuvio del 1794 vista da Napoli con la processione della Vergine, Napoli, collezione Gaetani.

ni non dilettantesche questi eventi sia nell’area vesuviana, che nei Campi Flegrei.3 L’eruzione iniziò la notte del 15 giugno dopo che una bocca si aprì sul fianco del vulcano dal quale scaturì un fiume incandescente; altre bocche si aprirono e la lava investì e distrusse quasi totalmente la città di Torre del Greco. L’enorme massa di fumo, spinta dal vento, attraversata dai lampi e dalle scariche elettriche, si spinse verso Napoli, mentre una pioggia di cenere cadde sulla città. Il popolo in processione portò il busto di S. Gennaro e l’immagine dell’Immacolata sino al ponte della Maddalena, da dove si poteva scorge3 La pianta del Morghen ha la seguente didascalia: “Dimostrazione Scenografica Iconografica di tutti gli effetti prodotti dall’Eruzione del Vesuvio succeduta nella notte dè 15 giugno del corrente anno 1794 colla Pianta della Città della Torre del Greco e colle dovute corrispondenti descrizioni”. Giuseppe Morghen incisore, Antonio Ciofi disegnatore. Incisione; 460x640. La tavola si compone di tre quadri e due leggende. Nel primo quadro è collocata una precisa pianta dell’abitato di Torre del Greco, sulla quale è indicato il percorso della lava dalle falde del Vesuvio fino al mare. Il secondo quadro delle stesse dimensioni è un profilo panoramico del centro di Torre che contava ben 18.000 abitanti: dall’abitato ripreso dal mare, si levano nuvole di fumo e prospiciente la costa pescatori tirano le reti da un mare calmo. Al centro in asse della tavola una veduta iconografica del territorio vesuviano. Le didascalie sono dedicate ad illustrare le opere notevoli distrutte dall’eruzioni e i danni da essa provocati.

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G. CASTIELLO - IL QUARTIERE

DEL

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re la figura del vulcano coperto da una fitta coltre di cenere bianca e il golfo reso pumbleo dalla estesa massa del fuoco nero. Le statue erano procedute da una moltitudine implorante, circondate da due ali di popolani e gentiluomini, mentre alcuni di essi, in carrozza, osservavano la scena.4 La lava investì Torre del Greco attraversandola, invadendo le strade del centro e raggiungendo un’altezza media di oltre tre metri, seppellendo gli edifici fin quasi al culmine.5 4 Similare ed anch’essa con finalità scientifiche è la pianta eseguita da Francesco La Vega e disegnata dal fratello Pietro La Vega, su incarico dell’Accademia Ercolanese, per l’illustrazione dell’opera delle Antichità di Ercolano, ed inserita nella “Dissertatio isagogicae” pubblicata nel 1797. La pianta fu ripubblicata da M. Ruggiero nella sua Storia degli Scavi di Ercolano nel 1885. Francesco La Vega nacque a Roma il 25 giugno del 1737, da una famiglia di origine spagnola. Assurse alla massima carica di Architetto e Direttore degli Scavi di Antichità del Regno di Napoli, emergendo per i suoi criteri nel restauro degli antichi edifici. E’una delle figure più nobili e oneste dell’archeologia pompeiana. Morì a Portici il 24 dicembre 1804. La mappa riporta questa intestazione. “Topografia dei Villaggi di Portici, Resina e Torre del Greco e di porzione dè loro territori per quanto serve a rischiarare altra Carta dell’Antico stato dell’agro Ercolanese… Levata sotto la direzione dell’Accademico Ercolanese… Francesco La Vega . Incisa in rame da A. Cataneo.”. Essa comprende la Topografia degli allora villaggi di S. Giorgio a Cremano, Portici, Resina e parte di Torre del Greco, dalla linea del litorale alle prime basse pendici del Vesuvio, allo scopo di indicare la diversa natura geologica del terreno e di ben circoscrivere l’area dei depositi eruttivi della 79 d.C. dalle aree dei materiali vulcanici anteriori e posteriori a quell’eruzione. Questa pianta non riporta alcuna traccia dello scavo dell’antica Ercolano, se non il pozzo da cui si estrassero le prime statue della scena del teatro. In una lettera del 28 giugno del 1794 Francesco la Vega parla di questa sua pianta in occasione dell’eruzione che distrusse gran parte della città di Torre del Greco il 15 giugno: “…Nell’avere già fatto la carta topografica di questi contorni, relativa a quella dello stato antico di Ercolano, vi è incluso un gran tratto del suolo per dove è corsa la notte de i 15 di questo la grande eruzione del Vesuvio, che ha devastato quasi per intiera la Torre del Greco… Il Cav .re Macedonio Intendente di questi R(ea)li Siti, ed incaricato da S.M. al sollievo degl’abitanti di essa Torre del Greco, mi ha impegnato ad abbracciare l’assunto di fare una carta di tale eruzione, con dimostrarvi il danno apportato. Io ho creduto di soddisfare alle sue premure, dacchè mi trovavo già con i borri della sopra nominata Carta, come vi restano espressate tutte le altre corse da i tempi di Tito fin oggi…mi faccio a chiederle, che le carte da me fatte dell’antico, e nuovo stato di questo contorno…che trovansi passate nelle mani dell’incisore d. Aniello Cutaneo per inciderle, voglia queste ritornarmele, onde potere seguitare la detta eruzione, quale come sarà ivi determinata passarò esse carte di nuovo presso di V.E.” . Il 9 agosto La Vega restituisce, aggiornata, la carta topografica dei contorni di Ercolano. Fu l’Arcivescovo di Napoli, Francesco Buoncompagno, ad affidare per la prima volta a S. Gennaro le sorti della città di Napoli minacciata dalla eruzione del 1631. A ricordo di questo evento fu posta una lapide nell’atrio della Chiesa di S. Gennaro extra moenia ed in onore del Patrono, la chiesa, nel 1632, istituì una terza festività annuale quella del 16 dicembre. Nel messale dell’Arcivescovo di Napoli nell’introduzione alla liturgia del giorno si legge: “......con questa festa si vuole ricordare il patrocinio che costantemente San Gennaro ha esercitato verso la città di Napoli e debitamente ringraziarlo”. Nell’eruzione del 1631 Napoli restò indenne, San Gennaro volle risparmiare la città. 5 Ai primi soccorritori si presentò un quadro desolante e si pensò subito ai primi interventi per alleviare le sofferenze della popolazione ed avviare l’opera di ricostruzione. Sono molte le testimonianze che ci raccontano le fasi dell’evento e quelle successive come ad esempio l’interessante carteggio ritrovato e pubblicato dal Di Donna, dell’avvocato Fedele Fanelli che informa in ogni dettaglio il sig. cap. Francesco Peccheruda soprintendente dell’università di Torre del Greco, Portici e Resina, sulla fenomenologia post eruttiva del vulcano.

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7.2 Saverio Della Gatta, Eruzione del 1794, a Torre del Greco, collezione privata.

Il fronte lavico, scendendo dalla strada della Ripa, si allargò a sinistra sino a coprire gli antichi lavatoi ed i nuovi, il mulino e la fontana vecchia6 e nuova, mentre a destra coprì l’intera via Fiumarello (attuale via Fontana) e via S. Giuseppe sino a raggiungere lo slargo dove termina la strada detta delle fosse del Carmine. La lava proseguì con un fronte compatto ed ampio, coprendo parte del quartiere del mare, raggiungendo la costa e rovesciandosi in mare, elevandosi sopra il pelo dell’acqua sino ad una altezza di 15 o 20 palmi. Restò fuori solo una piccola porzione del paese abitabile benché chiuso dalla lava, presso l’attuale largo Bandito. 6 Da un documento richiamato dalla “Platea della Regia Università della Torre del Greco” del 1754 si ricava, che Alfonso d’Aragona fece costruire per 50 ducati, con atto del 13 ottobre 1451, la fontana sotto la Rupe del Castello, che fu in funzione fino all’eruzione del 1794. La tradizione della costruzione di tale fontana da parte del re è riportata dal Sacco, e, nonostante i dubbi del Di Donna, non c’è ragione di non accoglierla: “Inoltre vi era un vasto edificio pubblico addetto parte per i magazzini e parte per posti di farina, per osterie e per istalloni ed una vaga fontana sotto il Castello edificato da Re Alfonso d’Aragona, la quale per mezzo di un gran Mascherone e di 24 cannuoli dava non solo acqua al pubblico, ma ancora animava un molino per macinare i grani”.

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DEL

MARE

Dalle lettere che il dott. Luigi Palomba testimone oculare, “perché uno di quei infelici torresi…” scrisse appena dopo l’eruzione all’Intendente di questi Reali Siti, ricaviamo che: “…..la lunghezza della lava partendo dalla prima apertura, sino dentro il mare per palmi 300 ( 80 metri), è di cinque miglia circa (9255 metri), atteso la sua tortuosità del torrente nel suo corso e cammino. La suddetta lava, nel primo sbocco fatta dalla apertura arrivò in circa quattro ore alla marina, avendo un’altezza di palmi 10 ( 2,64 metri), sicché in un primo momento le case dell’abitato, stavano in piedi e furono circondate bensì in parte ed anche ripieni dalla lava, ma non gia sopraffatte da essa, né sottoposti e soverchiati da essa. La loro ruina accade, dopo quando sopraggiunse una rifosa o una piena dell’istessa lava, che si sollevò e crebbe, nel territorio occupato raggiungendo una altezza tra i 15 ( 4 metri) e i 20 palmi (5,30 metri), mentre nell’abitato raggiunse i 30 (8 metri) e i 60 palmi ( 16 metri). Perciò la più bella parte della città né restò sepolta, e con tanta massa di pietre coverta, che appena in qualche luogo vi si vede qualche residuo della sommità dei più alti edifici come del campanile ed altri”. 7

IL QUARTIERE PRIMA DELL’ERUZIONE DEL 1794 Torre del Greco ha una sua specificità territoriale legata alla presenza del Vesuvio e del mare. Alcune eruzioni come quella del 1631 e quella del 1794, per ricordare solo le due più distruttive, hanno cancellato in gran parte la sua antica edificazione, sulla quale si è ricollocata la nuova. Il risultato è stato che, fino a quasi la metà dell’ 900, la città si è sviluppata solo su una limitata porzione di territorio, lasciando disponibili ampie aree a suolo agricolo che erano intensamente coltivate. Dalla pianta della città utilizzata dal Morghen, si può trarre la configurazione urbana del quartiere, prima dell’evento eruttivo del 1794. Sotto il banco lavico si notano una cortina d’edifici, che documentano una tipologia edilizia ricorrente: quella della casa urbana pre-capitalistica, inserita in edifici a blocco multipiani di uno o due livelli ed accorpati intorno a piccoli cortili. L’elemento ordinatore dell’insediamento era la morfologia del luogo, determinata dalla pendenza del suolo che, scendendo verso la costa, utiliz7 Da una lettera che l’avv. Fedele Fanelli scrisse il 17 giugno 1794, al sig. Cavaliere Francesco Peccheruda, soprintendente delle unità di Torre, Portici e Resina. descrivendo l’evento eruttivo.

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Il fortino di Calastro in un particolare della planimetria del Morghen


9. Il fortino di Calastro Flavio Russo - Storico militare

Q

uest’anno ricorre il terzo centenario della fine del viceregno spagnolo di Napoli. Dal momento che il fortino di Calastro fu eretto per procrastinare l’evento e, tenendo conto che la sua ubicazione dipese dal sottostante ancoraggio delle coralline, ci sembra corretto, rievocando le vicende del Porto di Torre del Greco, tracciarne una breve sintesi storica. Il 1° novembre del 1700, l’ultimo e derelitto sovrano asburgico spagnolo, Carlo II, morì. Non lasciando alcun erede, a dispetto delle sue estreme volontà, innescò la cosiddetta Guerra di Successione Spagnola, che avviatasi nel 1702 fra le forze franco-ispaniche e quelle austro-britanniche, si sarebbe protratta per ben 11 anni. In quello stesso anno aveva assunto l’incarico di viceré di Napoli don Giovanni Emanuele Fernandez Pacheco, duca di Escalona e marchese di Villena.1 A suo attivo una carriera militare ed una recente esperienza di viceré di Sicilia, dove tra l’altro si era prodigato nell’aggiornamento e potenziamento delle fortificazioni delle principali città. A rendere indifferibili tali interventi la potenza ormai attinta dalle artiglierie d’assedio. Ovvio che anche a Napoli si stesse studiando una analoga riqualificazione della sua cerchia, sia perché giubilata da tempo sia perché gli eventi non lasciavano presagire nulla di positivo. Da oltre un decennio, infatti, si andava definendo una diversa strategia difensiva incentrata sull'impedire ad un eventuale nemico di sbarcare nei suoi paraggi per investirla. In concreto, però, nulla era stato fatto per cui, quando il 15 febbraio il

1 Cfr. G. CONIGLIO, I vicerè spagnoli di Napoli, Napoli 1967, pp. 347-53.

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9.1 Resti del fortino di Vigliena.

Vigliena fu a Napoli, ne realizzò immediatamente l'inerme esposizione proprio agli attacchi da mare austro-britannici. Nel giro di pochi giorni, emanò le ordinanze per la costruzione di cinque fortini costieri da scaglionare tra Napoli e Castellammare. Per l'esattezza il primo, che ne tramanderà il nome, fu insediato sulla spiaggia dell'attuale San Giovanni a Teduccio, il secondo su quella del Granatello, inglobando una più vetusta torre costiera vicereale, il terzo a Calastro sul porto di Torre del Greco, il quarto sullo scoglio di Rovigliano alla foce del Sarno, anche in questo caso inglobando una torre del 1563, ed il quinto presso il porto di Castellammare. La brevità dei preliminari, circa un mese, non si accorda con la proverbiale lentezza della burocrazia spagnola e non si accorda nemmeno con i tempi tecnici richiesti dalla complessa progettazione di un'opera militare e, meno che mai, di cinque contemporaneamente e tutte diverse tra loro. Logico, pertanto, presumere che le relative fasi prodromiche fossero state già definite, limitandosi il Vigliena alla loro attivazione. In ogni caso il 24 aprile del 1703 il numero 17 degli Avvisi alla città di Napoli così recitava: Si sono già incominciate a farsi le fortificazioni ordinate dalla vigilanza di questo Eccellentissimo Signor Vicerè, fuori del ponte della Maddalena, e vi si seguiterà il 174


9.2 Resti del fortino del Granatello. 9.3 Idem.


9.4 Resti del fortino di Rovigliano. 9.5 Cannone del fortino di Castellammare, utilizzato come bitta.


9.6 Le pagine degli Avvisi alla città di Napoli con la notizia dell’inizio dei lavori a Calastro. lavoro con ogni sollecitudine per provvedersi convenevolmente a quelle cose che mai potessero avvenire…2

Stando ad alcuni documenti d’archivio, a dirigere i lavori dei fortini di S.Giovanni e Granatello attese l’ingegnere don Filippo Marinello. Il 1° maggio, lo stesso foglio annunciava: S.E. che non è mai stanca di provvedere con tutta la attenzione più sollecita alle cose di questo Regno, non meno nell’arte della pace, che della guerra, continua a dar tutti gli ordini convenevoli, perché in queste parti non vi sia di che temere dagli insulti de’ nemici. Si riparano perciò, e si accrescono di nuove fortificazioni tutte le Città marittime, e tutte le Torri, che guardano i lidi del Regno: e si sta lavorando in questa costiera, di Napoli infin’a Castellammare, che parea troppo aperta, e per conseguente più esposta a qualche invasione, a farvi in varj luoghi cinque forti di molto rilievo, de’ quali il primo si fa a S.Giovanni a Teduccio, il secondo al Granatello, il terzo alla Torre di Resina, l’altro nello scoglio di Jovigliano e l’ultimo a Castellammare; per li quali sarà assai ben guardata questa spiaggia, per tutte le 20 miglia, che sono di suo giro…3 2 Avvisi alla città di Napoli, 1702-1703, p. 129 3 Id. p. 137.

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Splendidi rami di Corallium Rubrum (Corallo Rosso Mediterraneo). Fa da sfondo il porto di Torre del Greco


10. ...400 coralline Giuseppe Rajola - Imprenditore nel settore del corallo

D

omenica 20 Aprile 1794. Non era una domenica qualsiasi: era Pasqua! Don Vincenzo Romano, preposito curato della Parrocchia di Santa Croce, dopo aver detto messa, accompagnato da vicari, chierichetti e tutta una moltitudine di popolo, si accinse a uscire portando il Santissimo in processione. Aveva i paramenti sacri delle grandi occasioni, lo seguivano i labari delle istituzioni, quello della Compagnia del Corallo, fiori, candele, torce accese. Fiori e lenzuola di seta ai balconi. Andavano a dir messa sulla marina: era questo, infatti, il giorno fissato dai Consoli per la partenza delle feluche che andavano a pesca di corallo. In verità, i Consoli avevano fissato il 6 aprile quale primo giorno utile per partire. Poi il maltempo li aveva costretti, per due volte, a spostare la data. Qualche equipaggio di temerari, però, era già partito, sfidando le onde, nella speranza di arrivare primi, calare i pedagni (galleggianti consistenti in un sughero attaccato a un sasso) e così accaparrarsi i posti migliori per pescare. Alla marina c’era il caos più totale: barche pronte ad essere calate in mare, marinai, famiglie di marinai, armatori, bancarelle, venditori di cibarie. Il Cancelliere nominato dai Consoli correva da un equipaggio all’altro per registrare sul libro “de’ Rolli” i nomi degli ultimi marinai ingaggiati; il Cassiere, coadiuvato dai Razionali (oggi diremo i Ragionieri) si affannava in giro per raccogliere le ultime rate dai Capisquadra delle feluche che ancora non avevano pagato. Tutto questo vociare, urla, schiamazzi, pianti di bimbi cessò all’improvviso, quando uno scampanellio annunciò che la messa aveva inizio: l’ultimo rito religioso al quale prendere parte con la famiglia prima della partenza. 197


IL PORTO

DEL

CORALLO

Seguiva poi il giro delle benedizioni, impartite barca per barca, equipaggio per equipaggio, le offerte, le ultime raccomandazioni. Una parola buona per tutti, una carezza per i bambini frastornati e picciosi. Il rito della benedizione si sarebbe ripetuto ogni giorno, per almeno un paio di settimane. Il tempo che tutte le barche avessero preso il mare. Poi cominciava la lunga attesa del ritorno. In tanti lasciavano la giovane moglie incinta, che avrebbe partorito durante la loro assenza. A Torre del Greco i matrimoni si facevano solo in autunno-inverno, ed i figli nascevano solo in primavera-estate. Tutti, quasi tutti: qualche sorpresa c’era anche allora. Partivano in quattromila, circa, su una popolazione di circa 16.000 anime. Restavano solo i vecchi, le donne ed i bambini. Ora erano tutti lì, sulla marina. Una intera città pregava e faceva voti per quegli ardimentosi che andavano verso terre lontane a sfidare i tanti, tanti pericoli. Quell’anno, però, il pericolo vero lo avrebbero corso i loro cari che restavano a Torre: ’a Muntagna. Da lì a qualche mese, per l’esattezza il 15 giugno 1794, il Vesuvio preparava la più terribile e catastrofica eruzione che la città ricordi. Il ricercatore, lo storico, l’archeologo sono spesso aiutati da libri, manoscritti, dediche, epitaffi. Ricostruiscono pezzo per pezzo - quasi fosse un mosaico - la storia attraverso piccoli indizi, cose spesso insignificanti. Per Torre è molto più difficile. Tante, troppe volte questi sono stati distrutti dal Vesuvio. Pensate a tutti i libri, i registri, e manoscritti che nel 1794 erano custoditi presso la Parrocchia di Santa Croce e che sono andati distrutti sotto la lava. E così i registri del Monte dei Marinari, e le biblioteche, e le raccolte private, le opere d’arte: tutto distrutto, tutto perduto. Ma noi torresi siamo gente tosta, tenace e non ci arrendiamo. Per cui andiamo a tentare di ricostruire la nostra storia con quel poco che abbiamo e con quello che ci hanno tramandato i nostri vecchi. Il corallo si è sempre pescato. L’uomo è stato sempre attirato, affascinato da questo ramo rosso che vive - è il termine giusto - nell’acqua. Ne abbiamo traccia in affreschi e mosaici di epoca greca e latina. Ma Torre del Greco? La pesca del corallo nella nostra città nasce prima che questa esistesse ufficialmente quando ancora vi erano due villaggi, Calastro e Sola (o Sora), ubicati rispettivamente il primo nella zona intorno alla “Scala” ed il secondo, più o meno, dove oggi è il nostro cimitero. Vi devo pregare di fare mente locale. 198


10.1 Numerosissime colonie di Corallium Rubrum fotografate nel loro ambiente naturale, con i polipai completamente in espansione. Da notare il bellissimo strato di "coralligeno".

A quei tempi non c’era il porto attuale. Per cui dimenticatelo per un po’. Direte voi: e da dove partivano 400 coralline? Quattrocento coralline, messe strette strette, una vicino all’altra, occupano la superficie di due campi di calcio! Dove poteva mai essere tutto questo spazio per fare prima di ogni cosa - il rimessaggio delle feluche d’inverno, per armarle poi e - infine - per metterle in acqua? Ho fatto un po’ di ricerche, ho chiesto a qualche storico, ho avuto la fortuna di trovare disponibili alcuni geologi e geografi importanti e mi sento pronto ad azzardare un’ipotesi, audace sì, ma suffragata da dati incontrovertibili. Fino all’eruzione del 1631 doveva esistere, laddove c’è oggi la “scala”, una profonda insenatura, quasi un piccolo fiordo profondo 300-400 metri, che consentiva di tirare facilmente le barche a secco o di tenerle in acqua, negli ultimi giorni prima della partenza, abbastanza protette dai terribili venti di Libeccio e di Scirocco che, quando battono la nostra costa, sanno fare danni. C’è una considerazione che mi aiuta. Il famoso fortino di Calastro è stato edificato sui resti di difese costiere che già esistevano da epoche antichissime. Perché erano lì? Erano state edificate lì proprio per proteggere l’imbocco dell’insenatura. Un altro attracco, più modesto, doveva essere nel villaggio di Sola, 199


IL PORTO

DEL

CORALLO

borgo di pescatori nato intorno ai resti di Villa Giulia e delle Terme di epoca imperiale. Probabilmente qui le feluche potevano attraccare solamente a banchine di legno che si protendevano nel mare. Questo il quadro e la situazione dei nostri avi pescatori. Pescatori per necessità, prima che per vocazione. All’ombra del Vesuvio, in epoche nelle quali il vulcano non trovava pace tra eruzioni, ceneri, terremoti etc. era da folli immaginare una vita da agricoltori. Per cui l’unica possibile attività era “andare sull’acqua salata”. Pescatori che alternavano la pesca del pesce alla pesca del corallo. E gli affari, a dirla tutta, dovevano andare abbastanza bene se è vero - come è vero - che Antonio Carafa, i cui antenati avevano avuto dalla Corte Aragonese la Capitania di Torre del Greco e diritto di dogana, pensò bene di istituire una gabella sul corallo pescato nonché sulle barche che andavano alla pesca di corallo. Apriti cielo! I nostri antenati, toccati in quanto avevano di più caro - il denaro - fecero incredibilmente fronte comune e inviarono una istanza al Viceré che - sempre incredibilmente - la accolse. I Carafa erano una delle famiglie più importanti del tempo. Ebbene i nostri avi - dimostrando notevoli doti di unione, saldezza e forza d’animo - si opposero alle angherie di quest’ultimi e l’ebbero vinta. Grandi! Era il 10 marzo 1523. Questa è la prova di quanto fosse importante la pesca del corallo, già da allora, nell’economia del Napoletano. Sono gli anni in cui il casale (termine con il quale venivano allora indicate le piccole città) si avvia a divenire un importante centro commerciale. Per duecento anni circa cresce il fatturato e cresce la popolazione. Le feluche di Torre del Greco battono tutti i mari alla ricerca di corallo: le zone più frequentate sono la Sicilia, la Sardegna e – soprattutto – le coste africane di Tunisia ed Algeria. Ogni anno, da marzo/aprile fino a ottobre/novembre circa 300/400 feluche, imbarcazioni a vela latina di circa 12 metri, con equipaggi di 8-10 uomini ciascuna, partono da Torre, incuranti dei pericoli cui vanno incontro: tempeste, naufragi, pirati. Soprattutto i pirati.

IL MONTE DEI MARINAI A Napoli già esisteva, da oltre 300 anni il “Reggio Monte per il Riscatto dei Captivi”. A Torre la Corporazione dei marinai pensa bene di fare qualcosa di simile e fonda il Monte dei Marinai. 200


10.2 Modello di Corallina dell’800. Torre del Greco, Museo B. Liverino del Corallo e dei cammei


Foto storica del Porto di Torre del Greco. L’area con le barche in secca sarà in seguito destinata ai cantieri navali. Cortesia Luigi Mari


11. Storia della cantieristica navale Raimondo Martorano - ex Capitano di Macchina

N

egli ultimi decenni del 1800 la città di Torre del Greco aveva una florida attività produttiva, assecondata certamente dalla fertilità del suolo e dalla mitezza del clima - che avevano costituito delle condizioni ottimali per lo sviluppo dell’industria vinicola - e dalla vocazione vulcanica del sito - che aveva favorito la nascita di una manodopera addetta alla lavorazione della pietra lavica e di suo reimpiego nell’edilizia. Ma certamente il settore più vasto dell’economia torrese era caratterizzato, in quegli anni, dalle diverse attività inerenti al mare: in primo luogo dalla cantieristica navale, con tutte le attività ad essa connesse - e in secondo luogo il ramo mercantile - a cui era legata l’attività della pesca e, ancora di più, tutta l’industria del corallo. Da quanto detto si desume il motivo dell’importanza della cantieristica nell’economia di questa cittadina, risorsa fondamentale per lo sviluppo di tutte le attività connesse al mare. Presente sul territorio già nel 1700, questo tipo di attività, ancora a conduzione familiare, si basava essenzialmente sulla costruzione di piccoli natanti, che costituivano una flotta di circa seicento barche. Ma fu nel 1870, con la scoperta in Sicilia, nella zona di Sciacca, di nuovi banchi corallini, che la marineria torrese conobbe il suo maggiore sviluppo: furono costruite in quegli anni nuove imbarcazioni e nel 1879 furono raggiunte le 532 unità. La sola flotta corallina, tra il 1878 ed il 1880, subì un sensibile incremento, passando dalle 323 alle 402 unità, tutte costruite a Torre del Greco, dagli stessi proprietari e dalle loro famiglie. 233


11.1 Una suggestiva immagine del porto di Torre del Greco alla fine del XIX sec.

Le imbarcazioni venivano costruite lungo il tratto di costa che va dal ponte di Gavino all’attuale Capitaneria di Porto1 sfruttando tutti gli spazi idonei, compresi i vicoletti a monte di Corso Garibaldi che confinano con la Ferrovia dello Stato. Il varo avveniva attraverso appositi scivoli, ubicati in quel tratto di costa familiarmente detto “giù alla scarpetta”. E’ interessante, per comprendere la portata dell’attività cantieristica torrese di quegli anni, la valutazione dei dati emersi dalle indagini dell’epoca: come risulta dalla statistica dell’Ufficio di Porto di Torre, ogni anno venivano impiegati circa 3600 marinai che, a seconda delle diverse attitudini, si dividevano in quattro diverse categorie: i Comandatori, i Poppieri, i Marinari propriamente detti e i Mozzi. Tuttavia nella campagna del 1880 furono impiegati ben 4147 marinari: questo dato dà chiaramente il senso della portata che tale attività andava assumendo alla fine dell’Ottocento.

IL REGISTRO DEI VELIERI Il 20 maggio 1904 viene istituito, nel Regio Ufficio Marittimo di Torre del Greco dipendente dalla Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di 1 Da La Storia Dei Comuni del Mezzogiorno.

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11.2 Raffronto tipologico delle varie imbarcazioni a vela.

Napoli, il registro dei velieri, un fascicolo di 200 pagine che costituiva un primo strumento di catalogazione delle imbarcazioni torresi. Ciascuna pagina di questo registro costituiva la scheda di un’imbarcazione, in cui era possibile rintracciare tutti i suoi dati caratteristici: in primo luogo, venivano registrati la matricola, il tipo e il nome dell’imbarcazione, insieme ai dati del proprietario, il cantiere produttore, la data di immatricolazione, il luogo e la data del varo, ma venivano registrate anche le caratteristiche fisiche del mezzo, come le dimensioni, la stazza, l’immersione, il numero di ponti e di alberi, il materiale impiegato per la costruzione. Nei diversi riquadri a corredo venivano poi annotate tutte le notizie di tipo amministrativo: i lavori, l’eventuale cambio di nome, il cambio di compartimento e così via. Il riquadro più importante della scheda era quello della percentuale di possesso del mezzo, che era misurata in carati: avere 24 carati significava avere il possesso del mezzo al 100 %. L’immatricolazione delle imbarcazioni secondo questo criterio iniziò il 7 luglio 1904 e molti velieri costruiti a Torre del Greco con proprietari torresi vennero reiscritti nel registro dei velieri cittadino. La matricola n° 1 appartiene alla goletta Correale Secondo di Gennaro Bottiglieri, un’imbarcazione lunga 22,74 metri e di stazza pari 69,15 tonnellate, varata il 29 marzo 1877. Se l’istituzione di un registro torrese dei velieri, nei primi anni del ‘900, ha segnato una svolta per la marineria torrese, è anche vero che in quegli stessi anni si era ormai diffuso l’utilizzo dei battelli mercantili a motore, mezzi di trasporto marittimo più avanzati, privilegiati anche dalle autorità governative, che ormai non ritenevano più adeguate le prestazioni dei mercantili a vela. 235



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