papa giovanni giugno2012

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(Anno XXIX) Nuova serie - Anno 11 n. 3 - Maggio/Guiugno 2012 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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Con quell’abbraccio espresse tutto il suo amore per l’Italia

“Una mostra per tornare allo spirito del Concilio”

Roncalli: “Amo la patria, l’onestà e la gente semplice”

Aspettando la Pasqua ascoltò le sinfonie di Beethoven

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

RICORDIAMO CHE PER RICEVERE UNO DEI SEGUENTI OMAGGI: CALENDARIO CON LA FOTOGRAFIA DEI BAMBINI, LA PERGAMENA PER IL BATTESIMO, LA PRIMA COMUNIONE, IL MATRIMONIO, E’ NECESSARIO INDICARE L’INDIRIZZO COMPLETO A CUI INVIARLO

I nonni Giovanna e Mario chiedono e affidano al Papa Buono la sua benedizione e protezione per la loro nipotina Ludovica

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La bisonna Federica affida a papa Giovanni il piccolo Federico

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Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:

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via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo

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CON QUELL’ABBRACCIO ESPRESSE TUTTO IL SUO AMORE PER L’ITALIA

RONCALLI: «AMO LA PATRIA, L’ONESTÀ E LA GENTE SEMPLICE»

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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«DEVO IMPARARE A FAR TESORO SEMPRE PIÙ DEL MIO TEMPO»

ASPETTANDO LA PASQUA ASCOLTÒ TUTTE LE SINFONIE DI BEETHOVEN

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DA MEDICO A PRETE: «OGGI MI PRENDO CURA DELL’ANIMA»

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Con quell’abbraccio espresse tutto il suo amore per l’Italia

“Una mostra per tornare allo spirito del Concilio”

«UNA MOSTRA PER TORNARE ALLO SPIRITO DEL CONCILIO»

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GHIAIE: CATECHESI, STORIA E LEGGENDA A RADIO MARIA

(Anno XXIX) Nuova serie - Anno 11 n. 3 - Maggio/Guiugno 2012 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

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Roncalli: “Amo la patria, l’onestà e la gente semplice”

Aspettando la Pasqua ascoltò le sinfonie di Beethoven

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n. 3 bimestrale maggio/giugno

Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga Direttore editoriale Claudio Gualdi

DON SEGHEZZI, UN EROE CRISTIANO SEMPRE ATTUALE

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MARCIA PER LA VITA, UNA SFIDA CHE VA RACCOLTA DAI GIOVANI

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PELLEGRINAGGIO NELLA TERRA NATALE DI KAROL WOJTYLA

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EDITRICE BERGAMASCA ISTITUTO EDITORIALE JOANNES Anno XXIX

Redazione: mons. Gianni Carzaniga mons. Marino Bertocchi don Oliviero Giuliani Claudio Gualdi Pietro Vermigli Giulia Cortinovis Marta Gritti Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”

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AVVENIMENTI

CON QUELL’ABBRACCIO ESPRESSE TUTTO IL SUO AMORE PER L’ITALIA Maggio 1963: Roncalli stravolse il protocollo incontrando il Presidente al Quirinale della consegna del premio Balzan, per la pace, che gli era stato conferito». Monsignor Loris Capovilla parla nel suo studio di Cà Maitino, dalle finestre si vede il sole che tramonta. Ha il fisico minuto, la memoria di ferro. Racconta: «Quando siamo passati davanti all’altare della Patria il Papa si è alzato nella vettura, c’era un sacco di gente nelle strade che lo acclamava. Si è alzato in piedi, ha benedetto il monumento del milite ignoto. E mi ha raccontato di Domenicuccio. Era il marzo del 1917, il Papa era cappellano negli ospedali militari di Bergamo, fra i tanti ricoverati c’era un ragazzo di Ascoli Piceno di diciannove anni, Domenico Orazi, aveva la polmonite, presa nella trincea».

Nello scorso mese di dicembre si sono chiuse le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Con il proposito di sollecitare ulteriori riflessioni, il quotidiano L’Eco di Bergamo ha ritenuto opportuno presentare all’inizio di gennaio due servizi, a firma di Paolo Aresi, per stimolare il confronto con episodi che esprimono il sentimento di Patria che caratterizzava Papa Giovanni XXIII. Entrambi gli articoli, quello che segue e l’altro a pagina 6, li riproponiamo ai nostri lettori.

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Era l’11 maggio del 1963, il Papa era nell’ultimo mese della sua vita, era stanco, si muoveva con difficoltà. Ma Giovanni XXIII amava la sua Italia e non poteva non recarsi al Quirinale dal presidente della Repubblica nell’occasione

Il sacco leggero «Don Angelo gli stette accanto, lo consolò, pregò per lui, scrisse di lui sul suo diario: “Che caro giovane questo Orazi Domenico... Umile contadino ha l’anima pura come un angelo. Gli traluce dagli occhi intelligenti, dal sorriso ingenuo e buono. Stamane e stasera sentendolo ragionarmi all’orecchio mi inteneriva... Per me, signor cappellano – mi disse – morire ora è una ricchezza, io muoio volentieri, perché sento ancora per grazia di Dio, di aver l’anima innocente. Se morissi più vecchio, chi sa, chi sa, il sacco diverrebbe pesante... E io invece, caro Menicuccio, voglio pregare tanto il Signore perché ti lasci vivo per lunghi anni. Il mondo ha bisogno della permanenza di queste anime elette e semplici... e anche noi sacerdoti ne abbiamo bisogno per sentirci edificati alla virtù e allo zelo”». Invece Menicuccio morì, morì nel giorno di Pasqua, l’8 aprile del 1917. Annotò il cappellano Roncalli: «Il mio caro soldato Domenico Orazi è morto oggi improvvisamente al Ricovero Nuovo, dove l’avevano trasportato per un’operazione chirurgica... Finché l’Italia ha di questi figlioli che salgono al cielo non

Un primo piano sorridente di Papa Giovanni XXIII

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avvenimenti

può dubitare delle benedizioni di Dio». Monsignor Capovilla si interrompe, guarda per un momento verso la finestra, poi continua: «Papa Giovanni nell’auto mi raccontò questa storia. Era una delle manifestazioni di stima e di amore nei confronti dell’Italia». Capovilla, segretario del Roncalli cardinale a Venezia e poi Pontefice, ha novantasei anni, vive a Sotto il Monte, continua il suo lavoro infaticabile: tenere viva nel mondo e fare conoscere la testimonianza della vita di Papa Giovanni XXIII, il Pontefice che ha cambiato la storia della Chiesa con il suo atteggiamento, con i suoi modi, le sue parole, e con la convocazione del Concilio Vaticano. Un gesto d’affetto Continua il racconto di quell’11 maggio 1963: «Arrivammo al Quirinale, per il Papa era un sacrificio, ma lo aveva deciso proprio come atto di deferenza verso il suo Paese, riconoscendo di dovere molto non solo alla sua Bergamo, ma all’Italia intera. Me lo confidò poco prima di arrivare. Il Papa scese dall’auto, tenne il discorso. Fu un discorso improntato al tema della pace, Papa Giovanni ribadì la necessità di una pace fra i popoli che fosse stabilita da un “retto ordine basato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto dalla libertà”. Terminò l’incontro, il protocollo prevedeva infine la stretta di mano con il presidente della Repubblica prima di risalire in auto; il Papa strinse la mano di Antonio Segni e poi stravolse il protocollo, abbracciò il presidente, disse: “A lei e all’Italia”». Roncalli e l’Italia. Da adolescente, Angelo Roncalli aveva divorato “Il Bel Paese” di Antonio Stoppani mandandone a memoria non poche pagine. Dice Capovilla, in questo freddo pomeriggio d’inverno: «Un’altra situazione in cui mi manifestò il suo amore per la Patria, intesa come radici comuni, come patrimonio di cultura e di valori, fu quando decise di recarsi in pellegrinaggio a Loreto e ad Assisi, in treno, attraversando i luoghi che erano appartenuti allo Stato Pontificio».

Il Pontefice in treno mentre si reca in pellegrinaggio a Loreto

deposto, ma come un padre, senza nessuna intenzione di qualsivoglia rivalsa. Il treno attraversò regioni “rosse”, passò da Terni dove c’erano le grandi acciaierie che non chiusero certo per il passaggio del convoglio papale. Ma furono gli stessi operai a lasciare il posto di lavoro per andare nelle stazioni, lungo i binari, e acclamare il Pontefice». Capovilla prende un volume dalla scrivania, lo apre, dice: «Papa Giovanni teneva un minuzioso diario, fin dalla giovane età; annotò in quella sera di giovedì 4 ottobre 1962, festa di San Francesco, patrono d’Italia: “Questa è data da scriversi aureo colore nella mia vita: il pellegrinaggio che volli fare – e pochi giorni bastarono al concepirlo, al farlo e a riuscirvi con l’aiuto del Signore – alla Madonna di Loreto e a S. Francesco di Assisi, come implorazione straordinaria di grazia per il Concilio Ecumenico, Vaticano II. Lo pensai, al solito, con semplicità... Scrivo questa nota al termine della giornata che di fatto resterà una delle più sante e felici del mio umile pontificato”».

Viaggio in treno «Il Papa affrontò quel viaggio non come un principe 5

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ANNOTAZIONI

RONCALLI: «AMO LA PATRIA, L’ONESTÀ E LA GENTE SEMPLICE» Risultano significative alcune riflessioni scritte nel 1918 dal futuro Papa Giovanni

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el pensiero di Papa Giovanni XXIII la parola Italia evocava la terra, evocava il mondo contadino, i lavoratori che ogni giorno si sacrificavano per portare avanti la famiglia e il Paese. Evocava la tradizione, i valori cristiani della gente semplice, la bontà, il reciproco aiuto, l’onestà delle mani ruvide, degli obiettivi raggiunti a prezzo di dura fatica.

Ha scritto monsignor Loris Capovilla, arcivescovo emerito di Mesembria, per tanti anni segretario del cardinale e poi Papa Roncalli: «Amico degli umili e degli ultimi, rimase col cuore sempre accanto ad essi, ne parlava e scriveva correntemente la lingua irta di asprezze aspirate e gutturali, ne intuiva le necessità, ne interpretava i profondi desideri. Non aveva difficoltà a conversare con loro, perché non gli erano estranei non solo gli assillanti problemi quotidiani, ma nemmeno le lontane motivazioni... Desiderò la pace religiosa d’Italia come premessa della effettiva unità degli italiani e dell’apporto di tutti alla edificazione di una società più giusta. Fece volentieri il servizio militare per dimostrare, giovane ventenne, che i cattolici hanno un alto concetto del nome di patria. Negli anni 1915-1918 assolse con impegno il servizio di sergente di sanità dapprima, di tenente cappellano poi con la certezza di cooperare, in quell’ora di sacrificio tremendo e misterioso, all’incontro e all’intesa per i giorni della pace». Il futuro Papa visse intensamente la Prima Guerra Mondiale così come la seconda. Nella Seconda viveva lontano dall’Italia, in Turchia, come nunzio apostolico, e si impegnò per la pace, per salvare i più deboli, gli ebrei. Sorgenti del malumore Leggiamo alcuni passi scritti dal futuro Papa durante il 1918. Ecco quanto annotava il 31 gennaio: «Attraverso a piedi le vie di Milano sino al Duomo: quanto paganesimo rivivo! Breve preghiera a S. Carlo per me, per i miei soldati, per la Chiesa, per la patria. Il Card. Arciv. mi accoglie sempre amabilissimo. Parliamo di guerra. Rilievi e considerazioni meste e gravi, un saggio di ciò che si prepara sott’acqua: la confessione di un prete liberale: “Sono cinquant’anni che i governi d’Italia stavano preparando la situazione attuale”. Io

Il Papa bergamasco nel bassorilievo eseguito sul portale della chiesa parrocchiale di Sotto il Monte

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annotazioni

amo l’Italia ma detesto i governi che l’hanno guidata sin qui. Altro è la patria ed altro è lo Stato. Bisogna distinguere sempre. Purtroppo c’è poco da sperare. Le cause delle nostre iatture sono notissime: e chi sta in alto va a perdersi in piccinerie d’ogni specie. Si va a caccia del disfattismo dove non ce n’è, e si trascurano le vere sorgenti del malumore. Purché si faccia dell’anticlericalismo... Io però ripeto a S. E. che se il clero nostro sarà santo e disinteressato, l’Italia domani sarà della Chiesa e di Cristo ancora... Alla stazione di Milano piccola cena con due uova al tegame lire 1,40 senza il resto: siamo in guerra...». E il primo di febbraio annotava: «Mio fratello Zaverio è tornato da Ancona con alcuni giorni di licenza... Riferisce d’aver sentito dire che i Tedeschi ripetono degli Italiani: “Soldati di ferro: cannoni di legno: ufficiali di carta”. Sarà probabilmente una fiaba però è espressiva». Il 9 maggio: «Molti soldati a S. Spirito per la messa consueta. Da Pasqua ad ora veramente la loro frequenza è confortante. Ascoltano volentieri la buona parola che loro rivolgo, anche se è quasi sempre la stessa: conforto, coraggio, e unione con Cristo sofferente nei dolori dell’umanità». Il 31 maggio: «Per domenica è indetta una grande dimostrazione cittadina in omaggio all’esercito. A tutto si è pensato fuorché a far sentire un po’ di messa ai nostri soldati; i quali si troveranno, come altre volte, in faccia alla solita contraddizione: si vuol sollevare il loro morale e si trascura l’elemento religioso che per moltissimi è il solo che ancora valga qualche cosa».

Papa Giovanni nel quadro realizzato con tecnica mista dal pittore bergamasco Angelo Capelli nel 2003

sacerdotale sia volta a deplorare con astio, con acre ironia, quasi con malcelato desiderio del fuoco dal cielo, questi difetti, questi errori dei governi e delle sette, senza che per la Patria ci sia una parola buona mai, mai e tutto sia volto in ridicolo, in sospetto, in condanna, mentre è pur certo che anche in Italia in mezzo a tanto male della guerra c’è pure tanto bene, e non si può ammettere che proprio tutti quelli che comandano siano dei male intenzionati, queste abitudini di mente, di spirito, di linguaggio io non le capisco e tanto meno comprendo come la si possa comporre coi buoni principi evangelici di cui siamo maestri ai popoli».

Accuse ingiuste Il 9 luglio, illustrando la conversazione con i professori del Seminario, a tavola: «Per gli Imperi Centrali non vi sono che attenuanti: per l’Intesa non vi sono che accuse. Io non dissimulo a me stesso i torti dell’Intesa, in particolare dell’Italia... ma che tutta l’anima

Doppia ricorrenza ad aprile per Papa Benedetto XVI Papa Benedetto XVI ha festeggiato, nello scorso mese di aprile, una doppia ricorrenza: lunedì 16 il suo 85° compleanno e il 19 i sette anni dalla sua elezione avvenuta nel 2005. Significative sono state le attività che hanno

contrassegnato finora il suo pontificato: tre encicliche, tre esortazioni apostoliche conseguenti ad altrettanti Sinodi sull’Eucarestia, la Parola e l’Africa, due libri su Gesù, tre Giornate mondiali della gioventù, 26 viaggi apostolici in Italia e

23 fuori, 63 nuovi cardinali, innumerevoli udienze, discorsi, omelie e messaggi. In questo percorso Ratzinger ha avuto modo di farsi conoscere e apprezzare per le sue doti di maestro eccezionale, soprattutto nei confronti dei giovani.

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INIZIATIVE

«UNA MOSTRA PER TORNARE ALLO SPIRITO DEL CONCILIO» Allestita nella basilica romana di S. Paolo, ricorda l’annuncio dato da Giovanni XXIII

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Stasera quanto tornerete a casa fate una carezza ai vostri bambini...»: può capitare di essere accolti in un chiostro dalla voce di Giovanni XXIII con il suo famoso «Discorso della Luna» di cinquant’anni fa, all’apertura del Concilio Vaticano II. Se poi nella sala è distesa una gigantografia dell’aula conciliare con le sue ordinate file di vescovi attorno alla navata centrale di San Pietro, allora si è arrivati alla mostra «Sanctus Paulus extra moenia et Concilium Oecumenicum Vaticanum II» allestita nella Pinacoteca del chiostro della basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma per ricordare il mezzo secolo trascorso dall’inizio del Concilio, il cui annuncio fu dato da Giovanni XXIII proprio in questo luogo il 25 gennaio del 1959. Questo l’inizio del servizio, a firma di Chiara Santomiero, proposto su L’Eco di Bergamo alla fine dello scorso febbraio, che poi così prosegue. Fanno parte dell’esposizione oggetti e documenti legati all’annuncio del Concilio e alla sua apertura

avvenuta l’11 ottobre del 1962, dal testo autografo del discorso di Giovanni XXIII per quell’occasione alla Bolla di apertura, «Humanae salutis», al calice che il Beato donò alla basilica il 25 gennaio del 1959, a copie anastatiche di tre pagine de L’Osservatore Romano di quel giorno. Sul pavimento una lastra d’acciaio traforata al laser riproduce la pianta della basilica, del chiostro e della sala del monastero dove Giovanni XXIII diede l’annuncio. Su due monitor scorrono fotografie digitalizzate del 1959 e del 1962, mentre ampio spazio è dedicato ai reperti filatelici e numismatici dell’epoca. Tra i documenti più suggestivi un’immagine in bianco e nero di Karol Wojtyla durante i lavori del Concilio e il passaporto di servizio che gli fu rilasciato dalla Santa Sede per l’occasione. La mostra, ideata dal cardinale Francesco Monterisi, arciprete della basilica di San Paolo con i suoi collaboratori e dall’abate Edmund Power osb, con l’allestimento dell’architetto torinese Maria Pia Dal Bianco, rimarrà aperta fino al 24 novembre 2013. Gli orari sono quelli di apertura della basilica: tutti i giorni, dalle 7.30 alle 18.30. «Presso il Sepolcro glorioso dell’Apostolo delle genti, si è svolta ieri la prima visita di Giovanni XXIII all’abbazia e alla basilica di San Paolo». Iniziava così la cronaca riportata sull’Osservatore romano della visita del «Papa buono» alla tomba dell’apostolo il 25 gennaio 1959, destinata a rimanere nella storia perché Giovanni XXIII colse proprio quell’occasione per dare l’annuncio della prossima convocazione del Concilio Vaticano II. In pratica la mostra «Sanctus Paulus extra moenia et Concilium Oecumenicum Vaticanum II» racconta attraverso documenti, foto e altri oggetti il cammino di preparazione alla grande assemblea. Alcuni aspetti

La sala centrale della mostra, con la gigantografia della navata di San Pietro durante il Concilio

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iniziative

anno straordinario voluto dal Papa nel solco del Concilio». La basilica di San Paolo ha un legame particolare con i Pontefici? «I Papi hanno trovato spesso qui una sorta di pulpito particolare per annunciare eventi che riguardano non solo la Chiesa universale ma anche il mondo. Di sicuro questo avvenne a Giovanni XXIII quando dichiarò la sua intenzione ai cardinali e ai monaci benedettini dell’abbazia riuniti per la festa della conversione di San Paolo, nel 1959. Sempre qui, nel giugno di due anni fa, Benedetto XVI ha annunciato la creazione del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione. In entrambi i casi l’intento dei Papi è stato quello di mettersi nella scia dell’apostolo San Paolo, il grande missionario entusiasta del Vangelo che percorse lungamente le strade del mondo per proclamare alle culture del suo tempo la buona notizia della vittoria di Cristo sulla morte attraverso la croce».

dell’iniziativa sono spiegati dal cardinale arciprete di San Paolo, Francesco Monterisi, che ha risposto ad alcune domande. Come è nata l’idea di questa mostra? «Dopo l’annuncio, avvenuto proprio nella Basilica di San Paolo, dell’intenzione di convocare un Concilio, passarono tre anni prima della sua celebrazione, il tempo necessario per prepararlo. Anche tra la pubblicazione da parte di Benedetto XVI del “Motu proprio”” con il quale ha indetto uno speciale Anno della fede e l’inizio della sua celebrazione – l’11 ottobre prossimo, cinquantesimo anniversario del giorno di apertura del Concilio – trascorreranno alcuni mesi di preparazione. Abbiamo pensato di riunire degli oggetti che ricordano l’annuncio di Giovanni XXIII e i primi passi del Vaticano II in una mostra che svolga non solo una funzione di memoria storica di avvenimenti centrali per la vita della Chiesa e del mondo, ma sia anche di preparazione per i fedeli che la visitano durante questo

Santuari mariani, un patrimonio di fede e storia Si racconta che già i capitani della Serenissima Repubblica veneta che governavano il territorio di Bergamo (1428-1796) restavano meravigliati per la diffusione capillare di santuari mariani. Questa realtà era e rimane un patrimonio sentito dalla gente in ogni epoca. Lo «zelo per la casa di Maria» si esprime con restauri e feste solenni negli anniversari delle Apparizioni, ancor più se sono ricorrenze centenarie. Tra i più recenti anniversari va citato il 5° centenario dell’Apparizione (28 aprile 1510) nel santuario della Madonna della Castagna in località Fontana, sui Colli di Bergamo Alta, il più antico della città. Le iniziative religiose – durate un anno e concluse con l’intervento del vescovo Francesco Beschi – hanno raccolto vasta rispondenza. C’è stata anche la ristampa anastatica della storia del santuario scritta nel 1910 dall’allora don Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII. Un altro anniversario è del 2007 nel santuario della Madonna

delle Grazie ad Ardesio (Bergamo) per il 4° centenario dell’Apparizione (23 giugno 1607). Fra le iniziative anche un convegno sulla figura di Maria e la rappresentazione sacra «Vestita di luce». Grandi solennità nel 2002 anche per il 4° centenario dell’Apparizione (18 giugno 1602) nel santuario di Bergamo dell’Addolorata in Borgo Santa Caterina, restituito all’antico splendore. Nell’occasione sono state predisposte diverse iniziative pastorali e un volume sulla storia del santuario. Anche gli anniversari dell’incoronazione vengono ricordati con solennità. Nel 2009, il santuario della Madonna della Gamba a Desenzano di Albino (Bergamo) ha ricordato il 150° dell’incoronazione (10 ottobre 1858): per l’occasione, dopo vent’anni è stato portato in processione il simulacro settecentesco dell’Apparizione. Nello stesso anno nel santuario del Buon Consiglio a Villa di Serio (Bergamo) è stato ricordato il 90° dell’incoronazione (27 aprile 1919), voluta dai reduci della Grande guerra

come ringraziamento. Nel 2008, è stata la volta del centenario dell’incoronazione della Madonna della Cornabusa (4 ottobre 1908), nella grotta-santuario di Cepino Imagna (Bergamo). Venne incoronata dal cardinale Pietro Maffi, arcivescovo di Pisa. Presente il vescovo di Bergamo Giacomo Maria Radini Tedeschi con il segretario don Angelo Roncalli che, cardinale patriarca di Venezia, nell’agosto del 1958, a due mesi dell’elezione pontificia, presenziò al 50° dell’incoronazione.

La processione tenuta nel Comune di Ardesio

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nuovi dogmi ma – in senso pastorale – per una nuova presentazione del cristianesimo che fosse compresa dai contemporanei e accolta. Il Papa si preoccupava che la Chiesa presentasse il messaggio di Cristo in modo adeguato – “aggiornamento” era la parola chiave – alla società contemporanea». E’ lo stesso obiettivo della «nuova evangelizzazione» di oggi? «Sostanzialmente lo stesso, dopo 50 anni. Nuove realtà sono sorte ma la continuità del Concilio rappresenta una garanzia dell’integrità della fede. Per questo Benedetto XVI insiste molto sulla sua corretta interpretazione: il Concilio non è stato una rivoluzione ma un aggiornamento nella continuità. Dobbiamo tornare allo stesso spirito di apertura al mondo contemporaneo con una presentazione del cristianesimo adatta ai nuovi problemi che l’umanità ora si pone». Su cosa mette l’accento la mostra? «Sul Vangelo. Durante le sessioni del Concilio ogni mattina un evangeliario veniva intronizzato al centro della navata di San Pietro per indicare che era quella la base delle discussioni e dei lavori. Per questo su una parete della mostra abbiamo collocato quattro quadri del 1600 che raffigurano gli evangelisti. Un evento importante in questo percorso di preparazione è stata anche la beatificazione di Giuseppe Toniolo che è avvenuta nella basilica lo scorso 29 aprile: nell’ottica di un annuncio del Vangelo con più entusiasmo, è importante ricordare quei cristiani che hanno avuto il coraggio di una serena testimonianza di fede in ambienti laici come l’Università». Quali sono gli oggetti più importanti esposti? «I due autografi di Giovanni XXIII – uno è il testo del discorso con il quale annunciò il Concilio – il calice che offrì in quell’occasione all’abbazia, e un oggetto che suscita una certa curiosità: il passaporto di servizio che la Santa Sede preparò per l’ausiliare di Cracovia monsignor Karol Wojtyla. Poiché era difficile per un polacco ottenere il passaporto per venire in Italia, la Santa Sede ottenne il visto ma su un proprio passaporto di servizio: così Wojtyla poté venire al Concilio e iniziare quel percorso che lo avrebbe portato a diventare il Beato Giovanni Paolo II».

Il giovane vescovo polacco Karol Wojtyla (al centro) sui banchi del Concilio

Si può intravedere quindi una continuità tra i due annunci? «In mostra sono esposte le note autografe di preparazione del discorso che Giovanni XXIII pronunciò nel primo giorno del Concilio ecumenico, in italiano – anche se il discorso fu poi pronunciato in latino; e abbiamo anche il video e l’audio di quel discorso. Il primo obiettivo del Concilio è la riaffermazione della fede nella sua integrità, non per proclamare

11 ottobre 1962: solenne apertura del Concilio ecumenico Vaticano II

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AVVENIMENTI

«DEVO IMPARARE A FAR TESORO SEMPRE PIÙ DEL MIO TEMPO» Questa riflessione dominava il trentacinquenne Angelo Roncalli durante la Quaresima

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Faceva come aveva imparato nella sua Sotto il Monte, nella sua famiglia contadina. Faceva la Quaresima in modo semplice. Al mattino beveva il caffè senza mettere lo zucchero...». Monsignor Capovilla parla di come Papa Giovanni affrontava i «quaranta giorni di deserto», di preparazione alla passione e alla resurrezione di Gesù. L’articolo che pubblichiamo, a firma di Paolo Aresi, è stato proposto a metà marzo su L’Eco di Bergamo, in vista della Pasqua che si è celebrata l’8 aprile. Dice Capovilla nel suo studio di Cà Maitino a Sotto il Monte: «Ogni giorno il Papa meditava sulla passione di Cristo, ogni giorno. Sempre il Papa dedicava alla meditazione una parte della giornata, ma durante la Quaresima la sua riflessione si occupava in particolare di quei temi. Papa Giovanni è sempre stato frugale, ma durante la Quaresima non prendeva il suo bicchiere di vino né a pranzo né a cena. E alla sera non guardava la televisione, nemmeno il telegiornale. Era un digiuno televisivo, sì. Oggi ce ne sarebbe bisogno molto più di ieri». Digiuno televisivo, digiuno da Internet. Digiuno da una dimensione che per una parte della popolazione è diventata una dipendenza. Condizionati dalle immagini, da Internet, dal proprio smartphone. Il senso del digiuno, dice Capovilla, non è la privazione pura e semplice. E’ il dimostrare che come uomini siamo di più delle nostre abitudini. Continua l’arcivescovo che è stato segretario del cardinal Roncalli a Venezia e poi di Papa Roncalli a Roma: «Alla sera Giovanni XXIII ascoltava una sinfonia di Beethoven, diceva che quella musica aveva qualcosa di profondamente religioso. E al venerdì digiunava, sebbene avesse superato ampiamente l’età nella quale la Chiesa chiede ai suoi fedeli di astenersi dal cibo». Insieme all’arcivescovo Capovilla facciamo un salto

indietro nel tempo. Era il mercoledì delle Ceneri del 1917. Don Angelo Roncalli aveva 35 anni, era impegnato come cappellano militare nell’ospedale di Bergamo che raccoglieva feriti e malati che arrivavano dal fronte. Quel primo giorno di Quaresima scriveva: «Penitenza, raccoglimento, preghiera. Così intendo passare la S. Quaresima. Come richiamo a tutti i miei doveri propongo di levarmi sempre dal letto alle ore 6 tutte le mattine. Devo imparare a far tesoro sempre più del mio tempo, pensando che la mia età presente è quella dei frutti più abbondanti e migliori». Il discorso del tempo, del produrre frutto, dell’essere il meglio di se stessi è sempre presente nel futuro Papa. Ecco che cosa scriveva durante la Quaresima del 1945. Il vescovo Roncalli era appena stato nominato nunzio apostolico a Parigi: «Ciò che è avvenuto della mia povera vita in questi tre mesi, non cessa di recarmi stupore e confusione. Quante volte non mi accadde di confermare il buon principio di non preoccuparmi di nulla, di non cercare nulla

Papa Giovanni durante la visita alla parrocchia romana di Centocelle domenica 6 marzo 1960

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possa essere quaggiù, perché lo voglio santificato e santificatore...». Ancora scriveva il futuro Papa in quei giorni in cui la terribile guerra volgeva al termine: «A dare semplicità a tutto ricorderò le virtù teologali e le cardinali. La prima delle cardinali è la prudenza. E’ qui che si battono, e spesso restano battuti, Papi, vescovi, re e comandanti. Questa è la virtù caratteristica del diplomatico. Io debbo averne un culto di preferenza. A sera un esame rigoroso. La mia facilità di parola mi sospinge sovente alla esuberanza nelle mie manifestazioni verbali. Attento, attento; saper tacere, saper parlare con misura; sapermi astenere dal giudicare le persone... Specialmente vigilare alla salvaguardia della carità. Questa è la mia regula». Nel 1930 monsignor Roncalli era visitatore apostolico in Bulgaria. Scriveva durante la Quaresima: «Di questa calma e letizia voglia il Signore sia sempre più penetrata dentro e fuori tutta la mia persona e tutta la mia vita. Ciò non costa moltissimo alla mia natura; ma le difficoltà e i contrasti possono turbarmi nell’avvenire. Sarò ben vigilante per la custodia di questa gioia interiore ed esteriore. Bisogna saper soffrire senza neanche far intendere che si soffre: non fu questo uno degli ultimi insegnamenti di monsignor Radini?... L’immagine di S. Francesco di Sales che mi piace, “Io sono come un uccello che canta in un bosco di spine”, deve essere un perenne invito per me». E ancora nel periodo di Quaresima, in un’omelia del 1928: «Vorrei fare il giro del mondo e non predicare che questo, perché in realtà qui c’è veramente tutto. Nella carità splende la nostra comunione con Cristo, l’onore e la gioia della vita presente, il pegno della gloria futura. Fratelli, amiamoci fra di noi come il nostro Gesù ci ha amato».

Una via Crucis del cardinal Roncalli a Venezia nel 1958

quanto al mio avvenire! Eccomi da Istanbul a Parigi: ed ecco superate – parmi felicemente – le prime difficoltà della introduzione...». Sempre nel diario di quel mese di marzo, durante il ritiro spirituale a Solesmes, il vescovo Roncalli annotava: «Non debbo nascondere a me stesso la verità. Sono incamminato decisamente verso la vecchiaia. Lo spirito reagisce e quasi protesta sentendomi ancora così giovane, ed alacre, ed agile e fresco. Ma basta un’occhiata allo specchio per confondermi. Questa è la stagione della maturità: debbo dunque produrre il più e il meglio, riflettendo che forse il tempo concessomi a vivere è breve e che mi trovo già vicino alle porte della eternità. A questo punto Ezechia si voltò verso il muro e pianse. Io non piango. Io non piango e neppure desidero tornare indietro per fare meglio. Affido alla misericordia del Signore quello che ho fatto, male o meno bene, e guardo all’avvenire, breve o lungo che

Addio a suor Flavia, la «monaca degli angioletti» Era conosciuta come «la monaca degli angioletti» perché li costruiva ricavandoli dal cartone, li colorava e li donava ai fedeli che frequentano la chiesa del monastero benedettino di Santa Grata. E’ morta lo scorso 18 febbraio suor Flavia Rossi. Aveva 76 anni. Era nata il 20 novembre 1935 a Fontanella al Piano (Bergamo) e battezzata con il nome di

Luigia. Il 27 agosto 1957 entrò in monastero, assumendo il nome di Flavia. Dopo alcuni anni si ammalò gravemente, ma poi si ristabilì. «Era veramente un’anima gioiosa e semplice, capace di trasmettere gioia a tutti», ricorda la madre badessa Clementina Salvioni. Suor Flavia era soprattutto famosa per la sua arte di fabbricante di angioletti, che ricavava dal

cartone e che poi colorava con i pastelli. In occasione delle feste natalizie, le sue abili mani riuscivano a fabbricarne oltre duemila. Li donava a parenti, benefattori, fedeli e amici del monastero. Pregava anche per le vocazioni. I funerali si sono tenuti nella chiesa del monastero. La salma è stata poi trasportata nella parrocchiale di Fontanella.

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ASPETTANDO LA PASQUA ASCOLTÒ TUTTE LE SINFONIE DI BEETHOVEN Era il 1963 e rappresentò la colonna sonora dell’ultima primavera del futuro Beato

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enitenza e mortificazione. E’ il binomio quaresimale che ha timbrato tutte le stagioni del cammino verso la Pasqua di Angelo Giuseppe Roncalli. Dal giorno della Prima Comunione «ricevuta un mattino di Quaresima freddo e senza solennità nella chiesa di Santa Maria di Brusicco» fino all’ultima Quaresima del 1963, «la prima dopo l’inizio del Concilio», il giovane Angelino diventato Giovanni XXIII, non mancherà mai di abbracciare questo tempo liturgico nella sua pienezza. Il seguente articolo che proponiamo, scritto da Emanuele Roncalli, pronipote del Papa bergamasco, è tratto da L’Eco di Bergamo che l’ha proposto lo scorso 18 marzo, nel suo inserto domenicale «Vita della Chiesa». Gli scritti del Pontefice, i diari personali aiutano a comprendere il senso della Quaresima per Roncalli. In altre pagine emergono riflessioni attribuibili più a un Papa Pastore. E’ il caso delle lettere ai familiari, che in parte sono una vera e propria catechesi rivolta ai suoi cari sui tempi liturgici dell’anno. La Quaresima, dunque, spiegata alla gente semplice e umile, come quella del suo paese natale.

vazioni alimentari, all’astinenza dalle carni. In una lettera al fratello Giovanni, inviata da Sofia il 28 marzo 1928, annoterà: «Nei prossimi giorni cercate di procurare buone impressioni ai bambini. Tutto parla alla loro immaginazione e ai loro cuori quello che vedono in chiesa nella settimana santa. Bisogna condurli e spiegar loro bene tutto. Attraverso questi piccoli fili che sono le impressioni dell’infanzia, il Signore attacca spesso le grandi grazie del loro avvenire». E più oltre. «Bisogna poi insegnare a tutti che il modo di piacere al Signore consiste non solo nella obbedienza e nella pietà, ma ancor nel saper mortificarsi nelle piccole cose. I bambini non possono digiunare. Però bisogna abituarli al saper astenersi da qualche piccola cosa per amore del Signore; ed a fare poi liberamente le loro piccole mortificazioni». Un concetto che il vescovo Roncalli declinerà da Papa 35 anni dopo, allorquando nel radiomessaggio del 27 febbraio 1963 così si esprimerà: «Le pratiche esterne hanno il loro valore, ma bisogna approfittare della Quaresima per applicarsi al gravissimo dovere dell’istruzione religiosa e per dare alla penitenza vera ed efficace il posto che le compete, secondo la vocazione e le condizioni di ciascuno». In un’altra missiva al nipote Battista da Parigi il 28 febbraio 1949 riecheggia ancora una volta la catechesi: «Ora comincia la Quaresima. Cerca di penetrarti dello spirito di penitenza e di mortificazione: non come tanti novellini che guardano a queste pratiche come a delle cose sorpassate, e non pensano che sono più necessarie che mai come reazione allo spirito del secolo che è tutto divertirsi, far quattrini ed imporsi. Colla Quaresima comincia il mese di San Giuseppe, che è il patrono della vita interiore. Tu sai quanto io l’ami e come io ponga in lui la confidenza più assoluta».

I ricordi d’infanzia «Serietà, temperanza, mortificazione, raccoglimento, preghiere» sono i proponimenti del 24enne Roncalli (26 febbraio 1903). Non parla di digiuno, non ce n’era bisogno viste le ristrettezze della famiglia. Sullo sfondo dei ricordi emerge la campagna sottomontese, vero preludio pasquale: l’odore delle zolle smosse dalla vanga, l’incedere lento del padre con il secchio della semina, la fioritura, una tavola senza carne e il venerdì l’arrivo del carretto del pesce dell’Adda portato da un ambulante di Brivio. Il digiuno – come segno del vivere la Parola di Dio – per Roncalli non poteva essere legato (solo) a pri13

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Fino al XII secolo, era usanza che i fedeli camminassero scalzi dalla basilica di Sant’Anastasia fino alla basilica di Santa Sabina, sull’Aventino, dove i Pontefici celebravano la messa stazionale. La pratica fu sospesa nel Settecento e poi ripresa da Giovanni XXIII nel 1962, con inizio dalla chiesa benedettina di Sant’Alselmo, a poca distanza da Santa Sabina. Nell’intento del Pontefice vi era anche la volontà di approfittare del tempo quaresimale per fare visita alle chiese di Roma dei quartieri periferici. Un modo per avvicinarsi alla gente più lontana. Tornato dalle messe stazionali, Papa Roncalli (nel 1963 era già gravemente malato) si concedeva un riposo, leggendo o ascoltando musica classica. «Nell’ultima sua Quaresima – rivelerà il suo segretario monsignor Loris Capovilla – volle ascoltare tutte e nove le sinfonie di Beethoven». Una musica carica di tensioni ed emozioni. Colonna sonora dell’ultima primavera del futuro Beato.

Roncalli nel 1902 a Bergamo, soldato del 73° Reggimento fanteria

Pazienza e mitezza Come già accennato, Papa Giovanni XXIII durante le domeniche di Quaresima usciva da San Pietro e si recava in diverse chiese della sua diocesi di Roma, la diocesi di cui il Papa è anche vescovo. Prediligeva i quartieri popolari, perciò lo si ritrova a Centocelle, a Primavalle, al quartiere Nomentano... Arrivava con l’auto papale, scendeva sul sagrato, salutava la folla. C’era molta semplicità in questi spostamenti. E proprio in questa semplicità, testimonia l’arcivescovo Loris Capovilla, Papa Giovanni si trovava benissimo. «Capitava – dice Capovilla – che, quando l’auto papale passava in mezzo al traffico senza staffette della polizia, la gente la riconoscesse meno facilmente. Ma qualche volta la riconosceva e allora salutava, si sbracciava e il Papa rispondeva con gioia. E qualche volta mi diceva che avrebbe voluto camminare in mezzo alla gente, per strada, semplicemente». «La Quaresima – aggiunge Capovilla – partiva con la celebrazione nella magnifica basilica in Laterano. Il Papa invece decise di partire da una chiesa umile e andò a Centocelle. Le accoglienze cominciarono in forma trionfale fin dalle prime vie del quartiere, non si può immaginare il tripudio che caratterizzò

Lasciata la Francia, il cardinale Roncalli farà il suo ingresso a Venezia come Patriarca proprio una domenica di Quaresima. Da Papa ripristinerà le messe stazionali quaresimali.

Settembre 1918: Roncalli (il secondo seduto da sinistra) con i compagni dell’unità sanitaria durante la prima guerra mondiale

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l’avvenimento. Il Papa disse: “Qui tutti i cuori sono tranquilli, tutti i cuori sono riposati; sgorga dall’intimo il sentimento della lode al Signore e della diffusione della fratellanza”». Quando nel pomeriggio di domenica 20 marzo 1960 arrivò a Primavalle si trovò davanti alla nuovissima chiesa del quartiere e disse: «Si afferma, di solito, che unicamente gli antichi sapevano costruire magnifiche chiese. Anche i moderni riescono a farle, un po’ a modo loro, ma portando tuttavia qualche nota che risponde al sentire del momento... quando, in una comunità, si innalza una chiesa, anche i cuori si elevano: e c’è un’aura di soavità che si propaga in tutte le case... Ma ancora più bella della chiesa è la presenza del popolo in essa; è la partecipazione data al rito quaresimale, tanto semplice e significativo». E Papa Giovanni quel giorno andò alle radici della nostra religione, disse: «Che cosa si fa nella chiesa? Innanzitutto il grande Sacrificio. Ogni cristiano sa che la storia della propria fede incomincia con l’Angelus domini nuntiavit Mariae... Con la redenzione la terra è unita al cielo... Il Salvatore redime l’uomo e lo fa attraverso il sacrificio». Papa Giovanni venne definito «il Papa buono» prima che l’aggettivo «buono» cadesse in disuso, sostituito dalla sua accezione negativa, «buonismo», una sorta di condiscendenza – di comodo – verso tutto e tutti. Ma che cosa intendeva lo stesso Papa Roncalli per «bontà»? Disse quel giorno a Primavalle: «L’esercizio della fraternità, della pazienza; la costanza nel compatire, nel sopportare, nella disciplina interna del carattere e nei rapporti della vita sociale». Essere miti, essere umili di cuore. Pochi mesi prima di morire, il 27 febbraio del 1963, mercoledì delle Ceneri, il Santo Padre rivolse ai fedeli di tutto il mondo un radiomessaggio che venne trasmesso alle otto di sera. Parlò dalla sua biblioteca privata della Quaresima come del tempo più indicato per realizzare «la legge dell’amore», disse: «Un amore che per edificare gli uomini vuol dare ad essi la conoscenza di quelle verità che rischiarano il cammino, dissipano i dubbi, vincono ogni debolezza; di un amore che si offre in esempio di austerità di costume, di gaudio sereno, di armo-

Papa Giovanni durante la visita nella parrocchia romana di Primavalle nel 1960

niosa convivenza domestica e sociale... Ecco come, con la istituzione della Quaresima, la Chiesa non conduce i suoi figli a semplice esercizio di pratiche esteriori, ma ad impegno serio di amore e di generosità per il bene dei fratelli, alla luce dell’antico insegnamento dei profeti: “Non è piuttosto questo il digiuno che io amo? Sciogli i legami dell’empietà – ammonisce Isaia – manda liberi gli oppressi, e rompi ogni gravame. Spezza il tuo pane all’affamato e apri la tua casa ai poveri e ai raminghi... Allora la tua luce spunterà come il mattino”». E poi Papa Giovanni concludeva: «Salga questa preghiera, in questa sera di sereno raccoglimento, dalle singole case ove si lavora, si ama, si soffre».

Un momento della predicazione del Papa durante la visita a Centocelle, il 6 marzo 1960

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GHIAIE: CATECHESI, STORIA E LEGGENDA A RADIO MARIA Le risposte ai dieci capitoli della «leggenda» secondo monsignor Marino Bertocchi

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orniamo sull’argomento Ghiaie di Bonate. Lo spunto ci viene offerto da una lettera pervenutaci da don Sandro Longo, seguita da una serie di precisazioni. Carissimo Direttore, sulla rivista da lei diretta, «Amici di Papa Giovanni», a fatica trovo scritti a favore delle presunte apparizioni delle Ghiaie. Sempre e solo articoli di mons. Marino Bertocchi, visceralmente contrario alle presunte apparizioni; nell’articolo apparso nel numero di maggiogiugno della sopracitata rivista, è tornato con insistenza sulla leggenda «Ghiaie di Bonate», ripetendo la stessa tesi fino alla noia. a) Già la parola «leggenda» appare dispregiativa per un credente. Ho tentato di contare quante volte questa parola è stata usata nell’articolo, ma poi ci ho rinunciato. b) Seguo Radio Maria da anni e non mi risulta che l’emittente abbia più di tanto divulgato quanto si è detto o scritto riguardo a questo affaire. Non ho mai sentito Padre Livio parlarne, in tutt’altre faccende af-

faccendato; solo persone serie, oneste e preparate, ne hanno parlato: Padre Tentori, la dott.ssa Lucia Amour e tanti altri. c) Tutte le pubblicazioni sulle «Ghiaie» sono a favore delle apparizioni. Allora, caro don Marino, non è che tu sia infastidito dal fatto che nessuno abbia sposato la tua tesi? Vediamo i capitoli principali della «leggenda», trattati da mons. Bertocchi 1) Il silenzio sulla contrarietà delle apparizioni da parte dei parroci della zona Come si fa a parlare di silenzio dei parroci, quando lo sapevano anche i sassi? Piuttosto, come spiegare la loro sicurezza, fondata su principi di teologia ascetica, manifestata già nelle prime settimane, senza bisogno di interrogare la bambina, senza conoscere i messaggi e tutto quanto avvenuto dopo le negazioni? «Non crediamo perché abbiamo veduto»: così affermarono i quattro parroci dell’Isola. Ma che cosa avranno mai visto? Mi lascia molto perplesso questa loro eccessiva sicurezza. I quattro parroci dell’Isola affermarono inoltre che «alla luce dei più elementari e sicuri principi di teologia ascetica, non vi è altra conseguenza logica che questa: i fatti delle Ghiaie sono di origine umana». Caro don Marino, seguendo tali ragionamenti si potrebbe sostenere che anche i fatti di Lourdes, Fatima ecc. siano di origine umana. E mi permetto di aggiungere che c’è stato chi ha manifestato, e manifesta, una sicurezza a favore delle apparizioni mariane, senza ricorrere ad alcun principio di teologia ascetica. Ne cito alcuni: Padre Stefano Lamera, don Piccardi, mons. Battaglia, fino a esponenti della vita religiosa dei giorni nostri come Padre Maria Tentori, Padre Tognetti, Padre Gabriele Amorth e tanti laici come la dott.ssa Lucia Amour.

La piccola Adelaide Roncalli, a 7 anni, in un momento di estasi

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La testimonianza di don Stefano Lamera a favore delle apparizioni merita un accenno, visto che è contemporanea a quella dei quattro parroci suddetti. Don Stefano, anche lui di origini bergamasche, un Paolino doc, collaboratore diretto di don Giacomo Alberione, sacerdote pubblicista di Famiglia Cristiana e di altre testate, responsabile di un movimento spirituale che raggruppa vescovi, sacerdoti e laici, grande innamorato di Maria, morto in concetto di santità, si dichiara a favore delle apparizioni. La sua testimonianza fa da contrappeso a quella dei quattro parroci, ne riduce la forza, o, quantomeno, ha lo stesso valore. Perché è stata snobbata la sua testimonianza? 2) La reticenza sul numero delle negazioni di Adelaide Sulle negazioni della bambina non è ammessa reticenza, anzi, Adelaide stessa lo ha spiegato. Padre Gabriele Amorth afferma a tal proposito: «Non stupisce questa dichiarazione: era più facile seguire l’indirizzo del professor Cortesi, che dare credito a una bambina povera e ignorante […]. Due, quattro o quaranta siano le negazioni non fa alcuna differenza, perché era una piccola terrorizzata, e sappiamo da chi». Le affermazioni positive di Adelaide non cambiano più fino all’ultima, fatta davanti al notaio in data 28.02.1989. Ma perché cercare di svuotare la ritrattazione di Adelaide, fortemente condizionata da don Cortesi. Anche l’aver terrorizzato la fanciulla, dicendole che se avesse detto di aver visto la Madonna avrebbe fatto peccato, è una leggenda, caro don Marino? 3) Il silenzio sui motivi del cambiamento di don Cortesi Don Marino ha affermato a riguardo che «la leggenda ha offerto un vuoto assoluto». Bravo, caro don Marino, perché tu che sei così informato non ci spieghi questa affermazione? Io ho tentato di dare una spiegazione nella mia relazione al vescovo. 4) La lamentela che Adelaide non ha avuto l’avvocato al processo Riguardo a questo punto, che cosa hai da dire, caro don Marino? Adelaide veramente in grado di rispondere da sola, senza l’ausilio di un avvocato? Ma ti rendi conto di ciò che dici? E’ vero o no che mons. Bramini fu presente una sola volta durante il processo? E’ vero che in quei giorni è andato a interrogare una veggente,

Fiori e ceri sul luogo delle apparizioni in un’immagine del 1947

anch’essa interessata al fenomeno? E’ vero che scrive al cardinal Biondi della S. Congregazione «De propaganda fide», invitandolo a intervenire, perché aveva capito l’orientamento dei commissari? Nella lettera mandata a quest’ultimo, mons. Bramini dichiara: «Si deve intervenire prestissimo per arrestare almeno la marcia a grandi passi verso il pronunciamento negativo». Anche per questo fatto si è dimesso prima del giudizio conclusivo della Commissione? E poi, quante cose dire sul processo. Che valore ha un interrogatorio a una bambina senza la presenza di un adulto? E la par condicio, dov’è in questo processo? A mio parere appare evidente solo il forte condizionamento di don Cortesi sui commissari, da grande figura di statura morale e culturale qual era. E’ da considerare linciaggio esprimere parere contrario, criticare il voltafaccia

La folla sui luoghi delle apparizioni in una foto del 1958

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clamoroso di don Cortesi, essere favorevole, chiedere una revisione del processo? 5) La lamentela che al processo non sono stati esaminati i miracoli Tu stesso lo ammetti e sposti il problema e, in questo modo, i miracoli registrati ai tempi delle presunte apparizioni e soprattutto le decine di avvenimenti che si sono riscontrati nei decenni successivi contano meno di zero. Caro don Marino, tu sposti il problema, dicevo, con un ragionamento che ritengo contradditorio e viziato alle origini. Mi spiego meglio: in un primo momento affermi che «la cosa è certa, ma la leggenda non informa che la decisione risale al Santo Ufficio». Ma certo, se al Santo Ufficio si dice che non constat, era ovvio si arrivasse alla conclusione che «era inutile prendere in esame alcune guarigioni, se non risultavano sufficientemente provate», suggerendo una clausola concernente le dette guarigioni, da aggiungere al giudizio definitivo. Come si vede, se è vero quanto dice il Santo Ufficio, è altrettanto vero che tutto è condizionato dal giudizio della Commissione. Se secondo la commissione Adelaide era una bugiarda, allora è certo che anche il giudizio del Santo Ufficio si sia posto sulla stessa linea d’onda. A conferma di questo ragionamento, ecco quanto dice mons. Bernareggi: «Si potrebbe anche dire che sono avvenuti dei miracoli, ma se la bambina dice che non è vero, che cosa me ne faccio di questa affermazione?». Mi permetto di ricordare una miracolosa guarigione: un reduce della campagna di Russia, rimpatriato cieco, causa una granata scoppiatagli in faccia, recuperò la vista alle «Ghiaie» il 13.07.1944, nonostante entrambe le cornee, da un punto di vista fisiologico, fossero rimaste bruciate. Un miracolo che a Lourdes il bureau médical definì «supermiracolo». 6) La richiesta che il processo, ritenuto invalido, andrebbe rifatto Così hanno chiesto e chiedono in molti, dai vescovi Battaglia e Benedetti rivolti a Papa Giovanni, da mons. Bramini che si è rivolto al Santo Ufficio, ai vari Padri Testori, Tognetti, Amorth e Lucia Amour. «La risposta della Santa Sede fu sempre negativa: questo rifiuto continuo della Santa Sede di rivedere il processo, significherà pur qualcosa?», così afferma don Marino. Caro don Marino, per quale motivo ne sei

così sicuro? Non ti viene il dubbio che tutto sia stato condizionato da ciò che è stato detto a Bergamo? «Non essendovi norme giuridiche penali per processi di questo genere, il giudizio apparteneva alla potestà amministrativa». Va bene, ma allora chi decide? Il Santo Ufficio, il CDC (Codice Diritto Canonico) o il giudizio amministrativo? Anche un profano come me, al quale non interessa disquisire in materia giuridica ma esaminare quanto avvenuto a diversi livelli, viene spontaneo chiedere una revisione in merito, non tanto per affermare la veridicità delle apparizioni, ma per fare giustizia ad Adelaide e ai famigliari e per riparare un processo che lo stesso don Marino dice non essere esente da lacune. Che cosa aspettiamo? Adelaide ha 73 anni! Un processo senza avvocato difensore, inoltre, è una cosa che non sta né in cielo né in terra, come insegna qualsiasi civiltà. Come spiegare questo fatto? L’imputata è una ragazza di 7 anni! Che dire? C’è solo da vergognarsi! Anche questa andrebbe aggiunta alle tante vergogne per le quali Giovanni Paolo II si è scusato durante il Giubileo del 2000. Va aggiunto inoltre che il tribunale ecclesiastico esamina in sei sedute (dal 21 maggio 1947 al 10 giugno 1947) solo alcuni aspetti della vicenda, tralasciandone altri come messaggi, miracoli, relazioni mediche di Padre Gemelli e tutto quanto avvenuto successivamente. A Lourdes e a Fatima i processi sono durati rispettivamente 4 e 8 anni, per non parlare del processo di Medjugorie, tuttora in atto per opera di una commissione speciale presieduta dal cardinal Ruini. L’esperta Commissione di Bergamo, invece, risolse tutto in 41 giorni e, questo, fa molto riflettere. A questo proposito il vescovo di Tarbes dice: «La Commissione non deve tralasciare nulla per avere chiarimenti e raggiungere la verità, qualunque essa sia». Come spiegare tutto quanto successo a Bergamo? Eccesso di zelo, fretta di concludere, troppa sicurezza dei commissari? Forse un po’ di umiltà, di prudenza e di pazienza in più non sarebbero state inappropriate. Manco a dirlo, tutti questi ragionamenti portano a una conclusione: il processo va ripreso. Don Sandro Longo 1 – continua 18

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DA MEDICO A PRETE: «OGGI MI PRENDO CURA DELL’ANIMA» Pronipote di don Bepo e gastroenterologo, Piero Vavassori si è dedicato al sacerdozio

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ra i ricordi di bambino c’è don Bepo Vavassori che finge che il cucù abbia portato le caramelle. C’è il Tilio, il giardiniere matto che al Patronato di Bergamo aveva trovato quiete e dignità. Ci sono le strade e la parrocchia della Malpensata, tra la ferrovia e i quartieri ancora operai. Piero Vavassori, pronipote del fondatore del Patronato San Vincenzo, a 42 anni, lasciando il lavoro di medico e docente universitario, è stato ordinato sacerdote il 14 maggio dello scorso anno a Roma nella Basilica di Sant’Eugenio a Valle Giulia. Il 22 maggio alle 10,30 don Vavassori ha poi celebrato la Messa nella parrocchia di Santa Croce alla Malpensata (Bergamo) con il parroco don Angelo Bettoni e con il superiore generale del Patronato don Giuseppe Bracchi. Su questa storia riportiamo un’intervista di Susanna Pesenti apparsa su L’Eco di Bergamo. Professor Vavassori, l’aspetta un bel cambiamento. «Non così grande, è una storia lunga...». Proviamo dall’inizio. «All’inizio c’è la mia famiglia, mia madre Maliucci, mio padre Sandro, che per molti anni è stato caporedattore a L’Eco di Bergamo, mia sorella Maria. Sono andato alle elementari alla Malpensata e alle medie Mazzi. Ho frequentato il Liceo Lussana cercando di studiare il meno possibile. Una ragazza, amici, l’università. Lì ho cominciato a studiare davvero perché la medicina mi interessava». La laurea, la specializzazione in gastroenterologia, il dottorato e poi la ricerca a Roma Tor Vergata. «Per quindici anni ho fatto il mio lavoro, divertendomi molto. D’estate prendevo i miei allievi e andavamo a lavorare come medici volontari in

Bolivia, in Polonia, in tutto il mondo. L’idea del sacerdozio non c’era proprio, però una vocazione l’avevo, a 23 anni sono entrato nell’Opus Dei come numerario. I numerari sono coloro che decidono di restare celibi per essere a disposizione dell’organizzazione». Perché l’Opus Dei? «Mio padre ne faceva parte. La cosa non mi aveva mai interessato, da studente frequentavo San Giorgio. Poi, mentre studiavo a Roma, mi sono avvicinato. Quando ne ho parlato con un gesuita mio amico, mi ha detto “se è questo che senti,

Piero Vavassori durante l’ordinazione diaconale a Roma. Il vescovo ordinante è mons. Javier Echevarria, vescovo prelato della Prelatura dell’Opus Dei

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devi seguire la tua strada”. In realtà la mia vita quotidiana non è poi cambiata, è cambiata la prospettiva. Avevo più di 35 anni quando ho capito che il sacerdozio mi interessava. A mio padre ho cominciato a dire che volevo lasciare la professione medica...». Non sarà stato entusiasta... «No, infatti. Per due anni sono andato a dirigere una struttura dell’opera a Perugia, giusto per capire se resistevo lontano dalla ricerca. Poi sono tornato a Roma e ho affrontato gli studi di teologia, il primo grado in Italia, laurea e dottorato a Pamplona in Spagna». Che ricordi ha di don Bepo prete, che le possano essere utili ora? «I miei ricordi arrivano fino ai miei sette anni, andavamo a trovarlo al Patronato e ci portava nel suo studio. Ricordo il suo modo di fare. Ricordo soprattutto l’atmosfera del Patronato, quella capacità di accoglienza totale che ti faceva sentire a posto, perché accettato com’eri. E per com’eri, si trovava un posto per te, il posto giusto che ti rendeva utile. Questo è quello che ho respirato da bambino, a parte poi la presenza del prozio nella storia e nelle storie della nostra famiglia, e penso che questo mi sarà utile nel sacerdozio, perché lavorerò a contatto con la gente: formazione, direzione spirituale». E dal lavoro di medico cosa si porta? «Tener conto della persona intera, come facevano i vecchi medici prima della tecnologia. La medicina ancora oggi può fare poco sui problemi davvero gravi. Un medico vero se ne rende conto e sa quando il suo compito diventa stare accanto, condividere, incoraggiare. Anche un prete tocca con mano le miserie umane. Può essere rigido oppure può dire: guardiamo in faccia la situazione, così non va, ma si può ricominciare. La fede è cominciare e ricominciare. L’obiettivo è diventare santi, cioè innamorarsi di Dio con il proprio cuore di uomini». Dalla gastroenterologia a qui, pare proprio un bel cambiamento... «Mah, io sono una persona pratica: la scelta vera è stata a 23 anni, ho lasciato la mia ragazza e preso una direzione precisa. Il resto, viene di conse-

guenza». A suo giudizio, qual è la priorità che mette in agenda, quello di cui questo momento storico ha bisogno? «Come cristiani abbiamo bisogno di più formazione ora, che in passato. In un mondo complesso e che va spesso da tutt’altra parte, senza idee chiare e cultura solida rischiamo di perdere il senso di noi stessi». La prelatura dell’Opus Dei L’Opus Dei è stato fondato nel 1928 e nel 1941 ricevette l’approvazione del vescovo di Madrid, nel 1947 quella della Santa Sede. Dal 1982 è una Prelatura personale della Chiesa Cattolica. Il Concilio Vaticano II ha creato la figura giuridica delle prelature personali per permettere lo svolgimento di specifiche missioni pastorali. Le prelature personali formano parte della struttura gerarchica della Chiesa. Sono composte da laici e sacerdoti i quali, sotto l’autorità di un prelato, cooperano organicamente per portare avanti la missione propria di ciascuna prelatura. L’attività dell’Opus Dei si riassume nella formazione dei fedeli della Prelatura affinché ciascuno possa svolgere, nel posto che occupa nella Chiesa e nel mondo, una multiforme attività apostolica. L’apostolato delle persone dell’Opus Dei si svolge nell’ambito del carisma specifico della Prelatura: la santificazione nel lavoro e nelle realtà della vita ordinaria. In virtù del carattere esclusivamente spirituale della sua missione, la Prelatura non interviene nelle questioni temporali che i suoi fedeli devono affrontare con completa libertà e responsabilità personali. Gli Statuti affermano che, per quanto riguarda l’attività professionale e le dottrine sociali, politiche, ogni fedele della Prelatura, nei limiti della dottrina cattolica sulla fede e sui costumi, gode della stessa piena libertà degli altri cittadini cattolici. Su queste materie le autorità della Prelatura devono astenersi nel modo più assoluto anche solo dal dare consigli (sito internet: www.opusdei.it). 20

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DON SEGHEZZI, UN EROE CRISTIANO SEMPRE ATTUALE Un convegno ha evocato la figura del sacerdote deportato a Dachau e morto nel 1945

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n sacerdote che ha donato la propria vita per la conquista e la difesa della libertà nel nostro Paese e per evitare che molti altri giovani fossero vittime, come lui, delle barbarie nazifasciste. La figura e l’opera di don Antonio Seghezzi, originario di Premolo (in provincia di Bergamo), morto nel campo di concentramento di Dachau il 21 maggio 1945, sono state al centro di un convegno promosso dall’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) di Bergamo, presso la sede Cisl in via Carnovali, alla fine dello scorso ottobre. L’evento è stato riportato su L’Eco di Bergamo a firma di Gianluigi Ravasio. Don Seghezzi, ordinato sacerdote nel 1929, viene inviato come cappellano militare in Eritrea nel 1935. Rientrato a Bergamo due anni dopo, viene nominato assistente della Gioventù maschile di Azione cattolica dal vescovo di Bergamo mons. Adriano Bernareggi. Dal 1940 risiede al Patronato San Vincenzo e diventa guida e padre spirituale di centinaia di giovani. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, don Seghezzi sostiene la Resistenza e segue i suoi ragazzi in montagna. Ricercato dai nazifascisti, si consegna il 4 novembre del 1943 per evitare rappresaglie contro l’Azione cattolica e la Chiesa di Bergamo; viene processato, condannato ai lavori forzati e deportato in Germania. Nell’aprile 1945 viene trasferito a Dachau: ormai minato gravemente nel fisico per il duro lavoro, muore pochi giorni dopo la liberazione del campo. Le spoglie di don Seghezzi, per il quale è in corso la causa di beatificazione, riposano nella cripta della chiesa parrocchiale di Premolo. Salvo Parigi, presidente provinciale Anpi, che ha conosciuto personalmente don Seghezzi, lo ricorda «come un punto di riferimento per i giovani che non sapevano come orientarsi dopo l’8 settembre. E’ stato un eroe: ha avuto il coraggio di presentarsi

ai tedeschi per evitare rappresaglie». L’insegnamento di don Seghezzi, prosegue Parigi, «è quello di un cattolico con una grande considerazione per il rispetto della persona umana». Il convegno sulla sua figura si è posto l’obiettivo di riscoprire l’insegnamento di don Seghezzi. Mons. Goffredo Zanchi, docente di storia della Chiesa, che ha tenuto la relazione durante il convegno, sottolinea la necessità di «ribadire le alte finalità civili e politiche dell’opposizione al nazifascismo. In don Seghezzi c’è una forte ispirazione morale e religiosa, è un sacerdote che vive nello spirito delle Beatitudini, che lavora per il Vangelo nella dedizione totale ai giovani». «E’ sorprendente – prosegue mons. Zanchi – vedere questo prete di fronte ai drammi dell’occupazione nazifascista: si impegna non solo sul piano spirituale, ma anche per sostenere in modo concreto le prime forme di resistenza».

La figura di don Antonio Seghezzi è stata al centro di un convegno organizzato dall’Anpi

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PUBBLICAZIONI

UN LIBRO RACCONTA LA STORIA DELLA MADONNA DEI CAMPI Nel 425° anniversario dell’Apparizione al santuario di Stezzano, vicino a Bergamo

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l territorio bergamasco, che ha dato i natali a Papa Giovanni XXIII, è sicuramente ricco di luoghi di culto. Uno dei più frequentati può essere considerato il santuario della Madonna dei Campi di Stezzano, Comune che sorge a pochi chilometri dal capoluogo. Su questa chiesa, sulle sue vicende storiche e sulla sua arte, è stato pubblicato di recente il volume «Il santuario di Nostra Signora della Preghiera nei campi di Stezzano». Su questo argomento proponiamo un servizio giornalistico, a firma di Carmelo Epis, apparso all’inizio di febbraio su L’Eco di Bergamo. La pubblicazione è stata pensata in occasione del 425° anniversario dell’Apparizione e preparata dal locale gruppo di ricerca «Stezzano la storia», con il patrocinio di Comune e Parrocchia e il contributo economico del centro commerciale «Le due torri». La storia del santuario affonda le radici in due eventi prodigiosi. Nel luogo dove sorge il santuario, c’era una cappelletta. Nel 1200, al suo interno

una donna vide una luce misteriosa e Maria con il Bimbo. La popolazione decise di costruire una chiesa dove fu affrescata un’immagine mariana. Nel 1586 si verificarono due eventi prodigiosi. Il primo avvenne fra maggio e novembre: dal pilastro su cui è posta l’immagine mariana sgorgò acqua copiosa, ritenuta miracolosa per le grazie ricevute. Il secondo evento avvenne il 12 luglio: dalla finestra della chiesa, due fanciulle stezzanesi, Bartolomea Bucarelli e Dorotea Battistoni, videro una Signora vestita in abito scuro. La mano sinistra reggeva un libro, mentre la destra indicava il Cielo. Come nella precedente Apparizione, Maria rimase in silenzio. Il volume, caratterizzato da un bellissimo apparato fotografico, è suddiviso in capitoletti. Nei primi due, «La linea del tempo» e «Memorie del santuario», sono riportate sinteticamente le date, le persone e gli avvenimenti più significativi delle vicende storiche del santuario dai secoli lontani fino ai giorni nostri. Si parla anche della figura e dell’attività che caratterizzò il parroco don Sperandio Carminati, il quale rilanciò il ruolo del santuario nel paese. Poi il capitolo «Arte e artisti», con raffigurazione e presentazione delle numerose opere d’arte. Quindi «Notizie dagli antichi documenti» e lo spazio giustamente riservato agli ex voto del santuario. Gli altri capitoli parlano di avvenimenti, cappellani, romiti, forme di religiosità e «Amici del santuario», gruppo nato nel 1985 che si prende cura della chiesa e dell’area circostante. Insieme alla pubblicazione è stato distribuito anche un agile volumetto, curato dalla parrocchia, intitolato «Ricordando la festa», dove sono raccolti fotografie e interventi che hanno caratterizzato le celebrazioni tenute nello scorso anno.

La facciata del santuario della Madonna dei Campi a Stezzano

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AVVENIMENTI

MARCIA PER LA VITA, UNA SFIDA CHE VA RACCOLTA DAI GIOVANI La 34° «Giornata» è stata celebrata domenica 5 febbraio in tutte le parrocchie italiane

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Giovani aperti alla vita» è stato il tema della 34ª Giornata per la vita, che si è celebrata domenica 5 febbraio in tutte le parrocchie italiane. Nella diocesi di Bergamo, così come riportato da L’Eco di Bergamo nel seguente servizio a firma di Carmelo Epis, la veglia diocesana di preghiera per la vita si è invece tenuta sabato 4 febbraio. L’appuntamento è stato ospitato nella chiesa del Carmine, da dove, alle 16, ha preso il via la marcia per la vita che è confluita in Cattedrale per la veglia, presieduta dal vescovo Francesco Beschi, durante la quale sono state raccontate le testimonianze di difesa della vita. In occasione della Giornata, i vescovi italiani hanno inviato un messaggio. «Educare i giovani a cercare la vera giovinezza, a compierne i desideri, i sogni, le esigenze in modo profondo, è una sfida oggi centrale. Se non si educano i giovani al senso e dunque al rispetto e alla valorizzazione della vita, si finisce per impoverire l’esistenza di tutti, si espone alla deriva la convivenza sociale e si facilita l’emarginazione di chi fa più fatica». I vescovi denunciano due grandi mali. «L’aborto e l’eutanasia sono le conseguenze estreme e tremende di una mentalità che, svilendo la vita, finisce per farli apparire come il male minore: in realtà, la vita è un bene non negoziabile, perché qualsiasi compromesso apre la strada alla prevaricazione su chi è debole e indifeso. In questi anni non solo gli indici demografici ma anche ripetute drammatiche notizie sul rifiuto di vivere da parte di tanti ragazzi hanno angustiato l’animo di quanti provano rispetto e ammirazione per il dono dell’esistenza». E’ necessario un rinnovato investimento educativo. «Per educare i giovani alla vita – scrivono ancora i vescovi italiani – occorrono adulti contenti del dono dell’esistenza, nei quali non prevalga il cinismo, il

calcolo o la ricerca del potere, della carriera o del divertimento fine a se stesso. I giovani di oggi sono spesso in balia di strumenti, creati e manovrati da adulti e fonte di lauti guadagni, che tendono a soffocare l’impegno nella realtà e la dedizione all’esistenza. Molti giovani non aspettano altro che un adulto carico di simpatia per la vita che proponga loro senza facili moralismi e senza ipocrisie una strada per sperimentare l’affascinante avventura della vita». Chi ama la vita – concludono i vescovi – non nega le difficoltà: si impegna, piuttosto, a educare i giovani a scoprire che cosa rende più aperti al manifestarsi del suo senso, a quella trascendenza a cui tutti anelano».

Una giovane mamma con il suo bambino

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Ringraziamo le persone che hanno sottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni ANTONIAZZO MARIA CAVAGNINO BAIARDI ADRIANO BARAGLIA RENATA BARBERINI PINUCCIO BARBESINO GIANCARLO BARZAGHI ANGELA DONZELLI BAZAN VANIA BERLANDA ARMIDA BERNO MONFRINOTTI LUIGINA BERTOLDI ANTONIA BONI PAOLO BONOMI ADELE BRACCHI ADELE BRUNELLI MARIA GRAZIA CANNA CLARA CARACCIOLO GINA CAROLINI MARIA CARONE ANGELA CARRARA LANDINO CASTIGLIONI ANNA CATTANEO LUCIA CHIAMETTI NATALINA CHIODO ISABELLA COLOMBO MARIA LUISA COMELLI MANSUETO COPES OSVALDO CRIVELLARO ANITA CRUSCANTI BENOCCI ADA DAMIANO ANTONIO DEGREGORI MARCO DELLE VILLE ANNA MARIA DI LIBERTO VITTORIO EMANUELE DI MUCCIO GIUSEPPE DONIZETTI BIANCA DOTTI TERSA

FARES ALDO FELINI MARIA FLORIAN SILVIO FONTANA GIUSI FRANCESCHINELLI PIERA FRANZINI ANNA GABBIAZZI FABIO GALBUSERA MARIANGELA GORLA ELSA IOLANDA GRECO MATILDE GRILLI GIUSEPPE GROPPO DONATELLA INVERNIZZI PINUCCIA LAPORTA PIERO LEDDA MADDALENA LEONARDI ELISA LIVRAGA BOMBELLI MARIA LOCATELLI eliDE LOT MARIA LOTTINI SILLA LOVATI VILMA LUNARDI ALDA LUZZI DILIA MANO MARIA ROSA MARTINUZZI GIANPAOLO MASCI MARIA GRAZIA MILESI DOMENICO MONACO ROSA ERRIQUES MONCAVALO CARMEN MORO ROBERTO MULAS ADA NARDI RAFFAELE NOBERASCO MARIA TERESA NOVELLI ERSILIA NOVENTA VITTORIA

PACHER GIULIETTA PARIANI ELDA PAULON CRISTINA PEDRANA LINA PERETTI MADDALENA PELLIZZAROLI POMPEO PERANO NATALINA PERISSUTTI RUBEN E MANUEL POLITI GRAZIELLA RASA DAFFINI MARIA C. RAVIZZA DOMENICA REICH LEONARDELLI TERESA RICCA FEDE RIGON POLINARI GIOVANNA RINALDI MADDALENA SALATO ROSALIA SALVI MARIA LUIGIA SAPPA GIOVANNI SCAPINELLO STELLA SIGNORELLI RITA SOLDARINI MARIA ED AUGUSTA TADDEII NORINA TANGHETTI COSTANZA TINCA GEROLAMA TRENTO ANTONELLA TRONCHINI MARGHERITA VASSALLO ESTERINA VERCELLONE ZANI EMILIA VICARDI MARCHESI ANNA ANTONIO VIGANO FLORA ZANOLLI LUCIA ZANONI MARIA ZIGGIOTTi MARIA ZINI GUIDO

Matris Domini, morta la priora suor Sarina Pintaudi Per decenni è stata economa del monastero domenicano Matris Domini. Fra i suoi impegni anche la realizzazione del progetto «Culla per la vita» per i bimbi abbandonati. Un male incurabile ha stroncato, lo scorso 9 febbraio, la vita di suor Sarina Pintaudi op, priora del monastero di via Locatelli a Bergamo. Aveva 62 anni. Era nata il 20 marzo 1949 a Sant’Angelo di Brolo (Messina). A 8 anni con la famiglia emigrò a Torino, dove si diplomò in ragioneria, lavorando

poi come segretaria nell’ospedale torinese delle Molinette. Da tempo sentiva la vocazione contemplativa, che confidò a una monaca di Matris Domini incontrata durante una vacanza in Valle d’Aosta. Nel 1978 lasciò famiglia e lavoro per il monastero di via Locatelli dove, dopo gli anni di formazione, emise la professione perpetua. Grazie alla sua esperienza amministrativa, venne scelta come economa del monastero. Nel 2006, insieme all’allora priora suor Antonella

Sana, fu protagonista della realizzazione concreta del progetto «Culla per la vita», portato avanti dal Soroptimist Bergamo con altre associazioni, enti e organismi. In pratica una moderna «ruota» all’esterno del monastero, realizzata come una culla termica con allarme acustico attivato da un sensore, dove genitori, madri o parenti lasciano un neonato invece di abbandonarlo per strada o altri luoghi. Nel 2009 suor Sarina venne eletta priora del monastero.

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AVVENIMENTI

«ERO MALATA E SONO GUARITA WOJTYLA MI HA FATTO RINASCERE» Il racconto della suora colpita dal morbo di Parkinson e miracolata da Giovanni Paolo me stessa, di essere un giorno su di una sedia a rotelle: la mia consacrazione religiosa non ne sarebbe stata indebolita, nulla, neanche la malattia mi avrebbe impedito di viverla fino alla fine. Potevo continuare a offrire la mia vita per la vita. Tale prospettiva non mi faceva più paura. «Non abbiate paura» aveva detto Giovanni Paolo II. Non aveva lui stesso sofferto e dato la sua vita fino alla fine? La madre superiora mi ha ascoltato con attenzione e mi ha chiesto di attendere il ritorno dal pellegrinaggio a Lourdes che avrei fatto in agosto, ricordandomi che tutte le comunità pregavano per invocare la mia guarigione per intercessione di Giovanni Paolo II. Ed ha aggiunto: «Giovanni Paolo II non ha detto l’ultima parola». Mi chiese di scrivere il suo nome quando non potevo più scrivere. Poiché insisteva, dopo la

E’ con grande emozione che ho accettato di dare la mia testimonianza. Sono rimasta profondamente colpita dal fatto di aver beneficiato di questa grazia di guarigione e di sapere che essa ha contribuito al processo di beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. Ero malata e sono guarita. Soffrivo del morbo di Parkinson dal 2001. Ero ancora giovane, avevo solo 40 anni. Dopo la diagnosi, avevo molta difficoltà a guardare Papa Giovanni Paolo II in televisione. Proponiamo il testo della testimonianza fornita da suor Marie Simon-Pierre a L’Eco di Bergamo e che il quotidiano ha pubblicato lo scorso anno.

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gli mi rinviava l’immagine della mia stessa malattia. Tuttavia, rimanevo molto vicino a lui con la preghiera. L’ho sempre ammirato, ammiravo la sua umiltà, la sua forza, il suo coraggio. Il suo esempio e la sua testimonianza di completa dimenticanza della sua persona per dedicarsi al suo ministero, mi stimolavano nella fede e nella lotta per accettare questa sofferenza e per offrirla, poiché senza amore tutto ciò non avrebbe senso. Sapevo che egli comprendeva ciò che io vivevo. Papa Giovanni Paolo II era per me un Pastore colmo di bontà e di tenerezza, un apostolo della misericordia. Era vicino a tutti, ai più deboli, ai più poveri, ai più piccoli, ai malati... Era un difensore della vita, della famiglia, della pace. Alla sua morte, ho sentito un grande vuoto, la sensazione di chi perde un amico, una persona cara, qualcuno che mi comprendeva. I segni clinici della malattia si sono aggravati nelle settimane successive alla morte di Giovanni Paolo II. Nel pomeriggio del 2 giugno ho chiesto alla superiora suor Marie Thomas di trovare un’altra suora che si assumesse la responsabilità del servizio delle Maternità Cattoliche essendo io priva di forze, sfinita. Le dicevo che accettavo, nel più profondo di

Fedeli in attesa della beatificazione di Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro

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avvenimenti

convinta di essere guarita. La mia mano sinistra – sono mancina – non trema più. Il mio viso è trasformato. Ricomincio a scrivere e a mezzogiorno interrompo di colpo tutte le terapie. Nel pomeriggio metto al corrente la superiora e non diciamo niente fino al 7 giugno. Il 7 giugno, come previsto, mi reco dal neurologo che constata con grande stupore la sparizione totale di tutti i segni clinici, fatica a comprendere il mio stato, mentre sono cinque giorni che non assumo più farmaci. Le Comunità renderanno grazie dalla sera del 7 giugno e manterranno il silenzio su ciò che è accaduto durante due anni. La mia guarigione era prima di tutto il risultato della preghiera di tutta una famiglia religiosa, un miracolo di fede. Sono sei anni che non assumo più farmaci. Dalla mia guarigione ho ritrovato un ritmo normale. Ciò che il Signore mi ha donato di vivere per l’intercessione di Giovanni Paolo II è un grande mistero difficile da spiegare a parole, talmente grande, talmente forte... A oggi, questo mistero rimane e mi sento piccolissima davanti a una tale grazia, ma niente è impossibile a Dio. E’ come una seconda nascita, una nuova vita. Niente è più come prima. Sono prima di tutto attirata dall’Eucaristia e dall’Adorazione eucaristica, e il rosario non mi abbandona mai. Il 2 di ogni mese, alle 21, dedico un lungo tempo alla preghiera per rendere grazie al Signore per ciò che ha reso grande in me. Resto una piccola suora fra le altre piccole suore e tengo a compiere il mio servizio nella semplicità e nella gioia presso le madri e i neonati. Il Signore mi ha donato un amore e una attenzione più sollecita per i più fragili, coloro che il nostro mondo così spesso rifiuta, quei neonati portatori di handicap e per i quali Giovanni Paolo II provava tanto amore. Ora porto nella mia consacrazione specialmente le famiglie più provate, i malati colpiti dal Parkinson e gli altri malati che domandano la preghiera di tutta la nostra famiglia religiosa. La nostra missione di Piccole Suore delle Maternità Cattoliche, ci invia anche presso di loro e ci chiama a dire al mondo che la loro vita ha un valore, che grande è la loro dignità.

Joaquin Navarro Valls con suor Marie Simon-Pierre miracolata da Wojtyla

terza volta, ho scritto il nome di Giovanni Paolo II. Davanti alla mia calligrafia così poco leggibile, siamo rimaste insieme per un lungo tempo a pregare. Dalla sera del 14 maggio, tutta la congregazione aveva cominciato, senza interruzioni, una novena per chiedere la mia guarigione sperando che un miracolo contribuisse alla causa di beatificazione di questo Papa che era stato tanto importante per il nostro istituto. Sono guarita nella notte dal 2 al 3 giugno 2005. Nella notte mi sono alzata con un balzo e sono scesa all’oratorio della Casa della Comunità per pregare davanti al Santissimo Sacramento. Una grande pace mi aveva invaso, una sensazione di benessere. Successivamente, sempre davanti al Santissimo Sacramento, ho meditato i misteri luminosi del rosario di Giovanni Paolo II. Sono rimasta raccolta in preghiera fino alle 6, poi ho raggiunto la Comunità nella cappella per il tempo di preghiera seguito dalle Lodi e dall’Eucarestia. Dovevo percorrere circa 50 metri. Mi accorsi allora, mentre camminavo, che il mio braccio sinistro che era come morto a causa della malattia, ricominciava a muoversi. Nel contempo provai una leggerezza in tutto il corpo, un’agilità che non provavo da tanto tempo. Nel corso di quella Eucarestia, fui pervasa da grande pace e da grande gioia. Era il 3 giugno, il giorno della solennità del Sacro Cuore di Gesù. Il nostro istituto ha una devozione particolare al Sacro Cuore. All’uscita dalla Messa sono

Suor Marie Simon-Pierre 26

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ITINERARI

PELLEGRINAGGIO NELLA TERRA NATALE DI KAROL WOJTYLA E’ organizzato in Polonia per metà luglio con il vescovo di Bergamo Francesco Beschi

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l pellegrinaggio diocesano con il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, ha per mèta quest’anno la Polonia nella seconda settimana del prossimo mese di luglio. Due le formule rivolte ai fedeli che hanno intenzione di prendere parte all’itinerario: dal 9 al 16 luglio in pullman oppure dal 10 al 15 luglio in aereo. L’iniziativa è organizzata dal Centro diocesano pellegrinaggi e dalla Ovet viaggi e vacanze, l’agenzia che ha sede in viale Papa Giovanni XXIII a Bergamo e che ogni anno accompagna nei luoghi simbolo della cristianità migliaia di bergamaschi e quanti decidono di aderire alle proposte. Quest’anno la scelta è caduta sulla terra natale di un grande Papa, Giovanni Paolo II, il cui operato ha contrassegnato il passaggio dal secondo al terzo millennio. Il pellegrinaggio toccherà quelle località che a vario modo hanno contribuito alla crescita e alla formazione del Pontefice polacco, come ad esempio Cracovia, Wielickza, Kalwaria, Auschwitz, Czestochowa e Katowice. E’ lo stesso vescovo Francesco Beschi, nella lettera che compare sul catalogo Ovet 2012, ad invitare i bergamaschi in Polonia per provare questa gratificante esperienza. «E’ un invito – si legge – alimentato dal desiderio di condividere con voi personalmente e con le comunità che intenderanno partecipare, un’esperienza intensa di fede, di ricerca, di vita, nel segno di un viaggio e di un viaggio speciale». «Ci muoviamo di città in città – aggiunge monsignor Beschi – di chiesa in chiesa, non soltanto con il corpo, con la testa, con il cuore, ma anche con lo spirito: quello che per alcuni è luogo interiore di ricerca e per gli altri è già sede dell’incontro e della relazione con Dio. Quest’anno la dimensione del pellegrinaggio è mariana e ci farà da guida un innamorato di Maria come lo è stato Giovanni Paolo II. Andiamo nella sua terra, a distanza di poco tempo dalla sua Beatificazione,

per raggiungere quelle sorgenti umane, culturali, storiche e spirituali che ne hanno fatto il Testimone che abbiamo conosciuto. Andiamo nella sua patria, che ci è diventata più familiare attraverso lui, per comprendere come una terra e una storia connotano la fede di una comunità e di chi vi appartiene». Il programma completo del viaggio può essere visionato consultando il sito www.ovetviaggi.it. Luna Gualdi

Il depliant del pellegrinaggio in Polonia con l’immagine di Karol Wojtyla

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PUBBLICAZIONI

«GESÙ, LA LUCE ACCESA DA DIO PER SCACCIARE OGNI PAURA» Papa Benedetto XVI, il cardinale Martini e Bruno Forte raccontano la fede ai piccoli

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Gesù è la luce che Dio accende per noi, affinché non abbiamo più paura del buio. E questa luce, benché nasca piccola come il bambino del presepe, illumina la notte, le tenebre non la spengono: una volta che si è accesa nel mondo è indistruttibile. Ha lo stesso calore dell’amore». E’ un’immagine potente, efficace, quella che il cardinale Carlo Maria Martini sceglie per parlare di Gesù ai bambini nel suo Chi sei Gesù (San Paolo, pagine 70, euro 16), un’immagine che arriva al cuore. E colpisce che un grande come lui si pieghi, come uno specialissimo nonno, all’orecchio dei piccoli per iniziarli alla fede con un tono poetico e sognante, che ha la dolcezza di una favola, ma con un gusto infinitamente più deciso. Molti credono che sia facile parlare ai bambini. Invece no. Soprattutto quando sono in gioco temi che prendono l’anima: la vita, la morte, dove va il mondo, che cosa sono il bene e il male, chi è

Dio, che cos’è la fede. L’articolo che proponiamo, a firma di Sabrina Penteriani, è stato pubblicato su L’Eco di Bergamo a metà gennaio. Le domande dei bambini mettono spesso in crisi genitori, educatori e preti. Insegnare ai piccoli chi è Gesù, educarli ai valori cristiani, in una società in cui gli stimoli e i messaggi che circolano sono tanti e contraddittori è una sfida non da poco. Il primo a raccoglierla è proprio Papa Benedetto XVI. E con lui alcune delle voci più forti e autorevoli che la Chiesa può esprimere: oltre a Martini anche il teologo Bruno Forte. Questo solo per citare tre interessanti albi illustrati appena usciti che parlano ai bambini dei fondamenti della fede. Maria, la mamma di Gesù, con l’introduzione di Angelo Scola e le illustrazioni di Franco Vignazia (Piccola casa editrice, pagine 40, euro 10) unisce in un solo racconto alcuni brani tratti da interventi di Papa Ratzinger sulla figura della Madonna. Il Papa parla di Maria a partire dal rapporto speciale che ogni bambino ha con la propria mamma: è il primo volto che impara a conoscere, e insieme il volto dell’amore e della tenerezza di Dio. «Seguendo il racconto del Papa – afferma il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nell’introduzione – vi accorgerete che la mamma di Gesù, concepita senza peccato, è davvero una come noi». Particolarmente interessanti i due titoli della collana «Se non diventerete come bambini» della San Paolo: ne fanno parte il libro già citato del cardinal Martini, illustrato con tocco raffinato da Angelo Ruta e Dio è amore dell’arcivescovo Bruno Forte (San Paolo, pagine 70, euro 16). Il cardinale Martini parla di Gesù a partire dalle domande che tutti si pongono sulla vita e sul mondo. Parte dalla realtà quotidiana e mostra come il Vangelo entra nella trama illuminandola.

Un’illustrazione di Marta Carraro tratta dal libro di mons. Bruno Forte «Dio è amore»

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PUBBLICAZIONI

UN LIBRO USATO COME BUSSOLA PER VISITARE LA TERRA SANTA I tre autori aiutano i pellegrini ad orientarsi. Note e consigli per scovare tesori nascosti

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età del prezzo di copertina, vale a dire nove euro per copia, vanno dritti al Caritas Baby Hospital di Betlemme, noto a molti pellegrini. Gli autori di questa singolare guida ai luoghi nascosti e segreti di Gerusalemme (pp. 124, edizioni Oltre) hanno infatti destinato all’ospedale a ridosso del muro tutti i diritti d’autore. L’iniziativa è stata resa nota attraverso un articolo di Susanna Pesenti pubblicato a metà marzo su L’Eco di Bergamo. Sono Raoul e Tommaso Tiraboschi e Andrea Gualazzi, che spiega: «Dietro la guida sta un pezzo della nostra vita e un poco della storia recente della diocesi». Il libretto è dedicato a don Silvio Agazzi «perché è stato lui, nel 1993 in parrocchia a Loreto e poi nel 1999 con il pellegrinaggio diocesano – 550 bergamaschi passati in Terra Santa fra luglio e settembre – , a diffondere un modo diverso di essere pellegrini, con molto cammino a piedi, attraversando tratti di deserto, riducendo le comodità all’essenziale. «Non per esotismo spirituale – sottolinea Raoul Tiraboschi – ma per avvicinarsi meglio alla conoscenza di Gesù nella sua terra. Si può benissimo conoscere Gesù a casa propria, se si va in Palestina è per scoprirlo proprio in questa dimensione di luoghi e storie». Anche dietro la guida c’è una lunga storia. I tre autori sono tutti capi scout dell’Agesci e dagli anni ‘90 frequentano – Intifada a parte – le strade di Giudea e Galilea. Dall’esperienza è nata, dentro l’Agesci, la «Pattuglia Terra Santa» che a Bergamo comprende tra gli altri anche Anna Cremonesi e don Alberto Maffeis. I componenti della Pattuglia si offrono come guide per gruppi di giovani e di adulti che vogliano un pellegrinaggio il più possibile a contatto con la gente e gli ambienti di vita della Terra Santa. «Siamo stati dal vescovo Francesco Beschi a presentargli il

progetto – raccontano Gualazzi e Tiraboschi – e ne abbiamo ricevuto l’assenso, a patto che sia un accompagnamento a pellegrini». E la guida? «Nasce dalla nostra esperienza di decine di viaggi e anni di permanenza in città. Non una guida turistica, ma qualcosa da mettere nello zaino accanto alla Bibbia, che possa accompagnare il cammino spirituale facendo immergere nel contesto della città, angoli quotidiani, odori e sapori, persone e botteghe. I posti che si attraversano con il cuore teso verso il Cristo che si spera di incontrare al Sepolcro, al Getsemani, al Cenacolo». Nascosti nelle pagine ci sono suggerimenti di incontri, indirizzi di chiese crociate e conventi armeni che celano tesori di storia religiosa e che il pellegrino da solo non immagina o non può raggiungere. Perché a Gerusalemme la memoria dei luoghi santi vive sotto strati di pietre, secoli di stravolgimenti architettonici e leggende.

Una veduta di Gerusalemme. Tre bergamaschi hanno messo a punto una guida singolare sui luoghi segreti e nascosti della città

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Scopo principale di questo organismo è quello di promuovere, di mantenere ed amplificare il messaggio di Papa Giovanni XXIII che racchiude una forte attualità così come rappresenta per l’intera umanità un progetto di costruttore all’insegna dell’amore e della pace. I soci fondatori del Comitato presieduto da Mons. Gianni Carzaniga in qualità di rappresentante delegato del vescovo di Bergamo, sono: Monsignor Marino Bertocchi, già parroco di Sotto il Monte, padre Antonino Tagliabue curatore della pinacoteca Giovanna di Baccanello, suor Gervasia Asioli assistente volontaria nelle carceri, padre Vittorino Joannes al servizio del personale di Angelo Roncalli Nunzio Apostolico a Parigi. A sostegno delle iniziative dell’Associazione, informiamo i nostri lettori, devoti di papa Giovanni XXIII, della possibilità di celebrare Sante Messe per sè e per i propri cari:

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IL SUFFRAGIO PERPETUO

Per la celebrazione di una Santa Messa per i tuoi cari, vivi o defunti, inviare la richiesta e i dati all’Associazione Amici di Papa Giovanni. L’offerta è subordinata alla possibilità del richiedente.

Il “perpetuo suffragio” è un’opera che si propone di dare un aiuto spirituale ai defunti, di stabilire un legame di preghiera fra l’Associazione Amici di Papa Giovanni XXIII e i fedeli del papa della Bontà e di dare anche un aiuto materiale per promuovere le iniziative dell’Associazione. Il “perpetuo suffragio” consiste in Sante messe, che l’Associazione è tenuta a far celebrare per i suoi sostenitori. Si iscrivono i defunti o anche i viventi, a proprio vantaggio in vita e in morte. L’iscrizione può essere per un anno o in “perpetuo”.

ACCENDI UN CERO L’Associazione si incarica di accendere un cero a Papa Giovanni XXIII su richiesta dei lettori. Per questo servizio si richiede una simbolica offerta libera che verrà utilizzata interamente per le azioni benefiche sostenute dall’Associazione.

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ASSOCIAZIONE AMICI DI PAPA GIOVANNI XXIII Le offerte vanno indirizzate sul C.C.P. 16466245 Amici di Papa Giovanni Via Madonna della Neve, 26 - 24121 Bergamo specificando la destinazione - I NOMI DELLE PERSONE CHE INVIERANNO LE OFFERTE VERRANNO PUBBLICATI SUL GIORNALE “AMICI DI PAPA GIOVANNI” Bergamo Via Madonna della Neve, 24 - tel. 0353591011 - fax 035271021 www.amicidipapagiovanni.it e.mail: info@amicidipapagiovanni.it 30

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In omaggio il calendario 2012, tessera con medaglia benedetta e pergamena

ABBONAMENTO SOSTENITORE € 68 In omaggio il calendario 2012, tessera con medaglia benedetta, pergamena e rosario

Rosario

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In omaggio il calendario 2012, tessera con medaglia benedetta, vetrofania Papa Giovanni, libretto preghiere, pergamena, rosario e libro su “Papa Giovanni”

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la rivista di chi ama Papa Giovanni Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga

Direttore editoriale Claudio Gualdi

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