Tesi | Pietrabuona

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LA CARTIERA BOCCI DI PIETRABUONA. DOCUMENTAZIONE E VALORIZZAZIONE A CURA DI

ALESSANDRO MERLO RICCARDO BUTINI

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La serie di pubblicazioni scientifiche DIDATesi ospita i risultati delle tesi di laurea condotte all’interno della Scuola di Architettura dell’Università di Firenze che, per l’interesse dei temi trattati, le peculiari modalità di ricerca adottate e l’originalità degli esiti conseguiti nell’ambito del progetto dell’architettura, del territorio, del paesaggio e del design, meritano di essere diffusi al di fuori delle aule universitarie. Le tesi di laurea, che sempre meno si connotano come esercizi accademici, sviluppano in molti casi la continua sperimentazione che unisce ricerca, formazione e progetto nel Dipartimento di Architettura. Spesso le tesi esprimono nel modo più efficace la relazione di cooperazione che il DIDA intrattiene sia con altre Università che con i territori, con le loro Associazioni, ONG, Amministrazioni, Enti ed imprese. Le pubblicazioni scientifiche DIDATesi sono soggette ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari, affidata ad un apposito Comitato Scientifico del Dipartimento, secondo i criteri della comunità scientifica internazionale e dell’editore Firenze University Press. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire una comunicazione e valutazione più ampia ed effettiva, aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.



La Cartiera Bocci di Pietrabuona: documentazione e valorizzazione


Le tre tesi contenute nel volume sono state realizzate con la collaborazione di: Comune di Pescia Museo della Carta Associazione Onlus Associazione Pro Loco Il Castello di Pietrabuona.

Le tesi si sono sviluppate nell’ambito della ricerca scientifica di Ateneo (ex quota 60%) sul tema del “Rilievo e documentazione dei centri minori della Svizzera Pesciatina: gestione del patrimonio architettonico e ambientale”, responsabile Prof. Alessandro Merlo.

Comune di Pescia

Museo della Carta di Pescia

Proloco di Pietrabuona

Progetto Terraviva

Il volume è stato stampato con il contributo dell’Associazione Progetto Terraviva Onlus e della Banca di Pescia

Si desidera ringraziare la famiglia Bocci, nella persona di Alessandro Bocci, attuale proprietaria dell’omonima cartiera che oltre ad aver permesso ai laureandi di rilevare i manufatti oggetto delle tre tesi, è stata una fonte importante di informazioni inerenti sia l’opificio sia le lavorazioni che in esso venivano svolte.

progetto grafico

dida labs

Laboratorio Comunicazione e Immagine Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

© 2014 DIDA Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 14 50121 Firenze ISBN 9788896080214

Banca di Pescia


La Cartiera Bocci di Pietrabuona: documentazione e valorizzazione a cura di Alessandro Merlo Riccardo Butini



Presentazione

Con questo volume, curato da Alessandro Merlo e Riccardo Butini, si inaugura una nuova collana del DIDA dedicata alle tesi di laurea che per il valore degli esiti raggiungi meritano di essere portate all’attenzione della comunità. Il primo numero racchiude tre tesi che hanno per oggetto una cartiera dismessa da pochi anni in Pietrabuona (Pescia, PT). L’ambito dell’archeologia industriale, ed in particolare il tema della conservazione e valorizzazione degli opifici di fine Ottocento-inizio Novecento, è stato ampiamente dibattuto negli ultimi decenni, ma ancora oggi è in grado di stimolare delle riflessioni sia all’interno delle accademie che fuori dalle loro mura. Un esempio calzante è dato proprio dalla cartiera Bocci, un piccolo complesso industriale che, al fianco dei più blasonati opifici della Valleriana, ha contribuito alla fortuna internazionale dell’industria cartaria italiana, che proprio in questa valle ha riunito per secoli le sue eccellenze. Venuti meno i presupposti economici e finanziari che sorreggevano l’indotto manufatturiero pesciatino sono rimasti sul terreno una numero cospicuo di manufatti, testimonianza viva di una società ormai scomparsa, che oggi è necessario recuperare a nuovi usi compatibili con la natura degli edifici e con i caratteri dei luoghi che li ospitano, al fine di sottrarli all’abbandono, all’incuria o al facile attacco di improvvidi speculatori. Da degrado a risorsa così recita il titolo di una delle tesi presenti nel volume ed è proprio con questo atteggiamento che dovremmo iniziare a considerare queste architetture, un patrimonio per la collettività che le ha prodotte e per coloro che ancora potranno fruirle in una rinnovata veste. Realizzato all’interno della più ampia ricerca che Alessandro Merlo conduce da anni nella cosiddetta Svizzera Pesciatina, il lavoro delle tre tesi mette inoltre in evidenza le relazioni che sussistono tra università, amministrazioni pubbliche e imprese private, finalizzate, in questo specifico caso, alla salvaguardia e promozione di un territorio attraverso lo strumento del progetto. L’interdisciplinarietà diventa così un elemento imprescindibile, come ben dimostrano i lavori racchiusi nel volume; alla necessaria documentazione dei beni si affiancano le analisi del degrado e le successive proposte di conservazione e riutilizzo che investono non solo l’opificio, ma l’intero ambito di appartenenza.

Saverio Mecca Direttore DIDA Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Cartiera Le Carte, Pescia, Prima metà del secolo XX Associazione Museo della Carta Onlus

La complessità del progetto di architettura Fabio Capanni

Nella successione di laboratori didattici che caratterizza il percorso di apprendimento di uno studente di Architettura sono rare le occasioni per accedere ad un’esperienza progettuale che ricomponga le conoscenze acquisite nei vari ambiti disciplinari e permetta di sperimentare in concreto il progetto di architettura, unitamente alla delicata attività di sintesi che esso sottende. La dimensione interdisciplinare del progetto di architettura spesso latita nelle aule universitarie e gli stessi docenti tendono sovente a mortificarla per limitare in sicurezza la loro attività didattica al proprio specifico disciplinare, svuotando di fatto il significato dell’intero lavoro. Questa carenza che spesso affligge la formazione dello studente di Architettura in Italia pare, ancora oggi, segnare una distanza significativa con le altre scuole europee, nelle quali il progetto di architettura è saldamente posto al centro del progetto formativo e l’integrazione fra le varie discipline nell’ambito dell’esperienza progettuale è, davvero, la spina dorsale dei corsi di studio. Il profilo di architetto che emerge al termine del percorso formativo rischia

perciò di risultare viziato da tale carenza e debole proprio in quella attività di regia necessaria a governare la natura sintetica dell’attività di progetto, minando la competitività dei nostri laureati in ambito internazionale. E’ stato certamente significativo l’impegno profuso negli ultimi anni all’interno del Dipartimento di Architettura di Firenze nello sviluppare un assetto didattico volto ad una maggiore integrazione fra le varie discipline nell’ambito del progetto ma, senz’altro, in questo volume, rileviamo la punta più avanzata di questo impegno. Estremamente significativa la collaborazione allestita da Alessandro Merlo, Riccardo Butini e Maurizio De Vita, docenti di discipline diverse che hanno deciso di sedersi, insieme agli studenti, intorno ad un unico tavolo di lavoro, dando vita ad un ambiente fertile nell’ambito del quale gli studenti stessi, all’interno del lavoro di tesi di laurea, hanno potuto sperimentare il progetto come attività complessa di conoscenza e di trasformazione. Su quel tavolo le conoscenze, gli strumenti e le domande, si sono potuti finalmente sommare, incrociare, sovrapporre, financo scontrarsi, facendo emergere la parte più vitale dell’at-

tività progettuale, sfidando così le capacità e le intelligenze dei protagonisti. Al di là dell’estremo interesse rappresentato dall’argomento trattato nei lavori di tesi, ovvero la salvaguardia e valorizzazione di un piccolo insediamento medioevale in Toscana, e oltre alla qualità degli esiti finali, tutti di ottimo livello, preme qui promuovere la bontà degli intenti e la lungimiranza del metodo didattico improntato al confronto, alla collaborazione e all’integrazione disciplinare che emerge con chiarezza osservando i lavori presenti nel volume. Un augurio, per concludere: che l’esperienza didattica promossa da Merlo, Butini e De Vita non cada nel vuoto ma, così come è stata funzionale ad inaugurare la nuova collana DIDAtesi venga raccolta e sviluppata per dare vita ad una nuova stagione anche all’interno del Dipartimento di Architettura, una stagione nel corso della quale gli studenti possano finalmente sperimentare in concreto la complessità del progetto di architettura.

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Nelle pagine introduttive dell’Itinerario museale della carta in Val di Pescia, scritte alla metà degli anni ’80 del secolo scorso, Carlo Cresti invitava ad adoperarsi per la creazione di un progetto complessivo di promozione, di recupero e di valorizzazione di alcune delle abbandonate cartiere di maggiore rilevanza storica e tipologica presenti nella valle proponendo adeguate indicazioni d’uso e sollecitava le forze produttive e culturali del territorio a farsi carico di un tale problema così ricco di potenzialità e di prospettive di sviluppo. Cresti basava la sua ipotesi di progetto sull’individuazione di scelte concrete e sul reale riconoscimento dell’importanza del documento storico, non solo dal punto di vista estetico formale ma quale espressione di una vocazione territoriale sedimentata, mettendo in guardia al contempo dalla tentazione di trasformare ogni cartiera in un monumento ed ogni monumento in un museo.

Trasformare ogni cartiera in un monumento ed ogni monumento in un museo

Massimiliano Bini

Le immagini del contributo si riferiscono all’interno della cartiera Le Carte, Pescia. Prima metà del secolo XX. Associazione Museo della Carta Onlus,Fondo fotografico “Carlo Magnani”

A tre decenni dall’uscita del volume è possibile tracciare un breve bilancio. Alcuni di questi capisaldi del paesaggio industriale sono stati infatti trasformati in complessi alberghieri, come nel caso delle cartiere denominate “San Lorenzo” e “Il Cerreto”; altri più recentemente sono stati oggetto di discutibili operazioni di edilizia residenziale (Cartiera “Il Camminone”, Cartiera “Il Paradisino”), altri infine come la Cartiera “Santa Caterina” o la Cartiera “San Frediano” si sono trasformati in ruderi difficilmente recuperabili. Ciò che mi preme particolarmente sotto-

lineare è che si è in parte smarrito nel tempo il prospettato disegno di uno sviluppo unitario ed integrato. La nascita del Museo della Carta nell’ex scuola elementare di Pietrabuona nel 1996 e l’avvio nel 2011 del progetto di restauro e recupero funzionale dell’antico opificio “Le Carte” per farne la sede del Nuovo Museo della Carta di Pescia hanno promosso una rinnovata attenzione per questi manufatti ed hanno riproposto con forza la questione del riutilizzo delle cartiere in una recuperata visione sistemica e d’insieme, capace di interfacciarsi con la necessaria salvaguardia e la tanto auspicata valorizzazione degli insediamenti medioevali, le così dette dieci “Castella”, presenti in Valleriana. In questo spirito si è consolidata negli ultimi anni la collaborazione con il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, che ha prodotto due importanti pubblicazioni quali il lavoro monografico su Pietrabuona nel 2012 ed i risultati del workshop internazionale pubblicati nel 2014 sotto il titolo di Pietrabuona. Strategie per la salvaguardia e la valorizzazione degli insediamenti medioevali e che trova ora continuità nelle tre tesi di laurea centrate sulla Cartiera “Bocci”, sempre a Pietrabuona. I lavori di Giulia Mazzoni, Riconversione

dell’ex cartiera Bocci in birrificio; Chiara Bardelli, La cartiera di Pietrabuona. Rilievo e Progetto e Lorenzo Cecchi, Opifici abbandonati, da degrado a risor-


sa per il territorio. La ex cartiera Bocci a Pietrabuona, puntano a sottolineare il ruolo di cerniera funzionale dell’opificio fra Castello e Nuovo Museo della Carta e la puntigliosa opera di rilievo e documentazione prodotta sorregge ipotesi suggestive di riutilizzo che paiono riecheggiare e riprendere le parole del già citato Cresti, che ipotizzava di assegnare stagionalmente i locali delle cartiere, come residence-studio, ad artisti italiani e stranieri di notorietà, o di adattarli permanentemente a sede di istituzioni pubbliche di ambito comprensoriale come la comunità montana, le associazioni della valle, oppure destinarli a laboratori artigiani.

Agli autori va dunque il merito di aver riproposto la questione centrale del recupero di questi opifici e di aver messo a disposizione ipotesi progettuali così dettagliate da scoraggiare, questo è il mio auspicio, qualsiasi atteggiamento di disinteresse. Alle istituzioni pubbliche e private ora l’arduo compito di lavorare alacremente e con sempre maggiore collaborazione alla ricerca di opportuni finanziamenti così da concretizzare progetti già in essere ed avviarne di nuovi. Grazie al percorso “La Via della Carta in Toscana” elaborato di concerto con il Distretto Cartario lucchese e nel quadro del dossier preparativo finalizzato alla

Domanda di Interessamento Governativo per la Candidatura della Valleriana nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, vi sono finalmente le condizioni affinché questo territorio possa

attrarre finanziamenti europei e conoscere una stagione di sviluppo creativo, sostenibile ed intelligente.

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Alessandro Merlo

Le tre tesi racchiuse in questo volume – che affrontano il tema della documentazione e valorizzazione della cartiera Bocci, un opificio recentemente dismesso a Pietrabuona (Pescia, Pistoia) – testimoniano in modo chiaro e perentorio un importante cambiamento in atto nella società contemporanea e, conseguentemente, nelle Scuole di Architettura, che hanno istituzionalmente il compito di formare gli Architetti del domani: il rinnovato interesse verso il patrimonio esistente, dovuto, forse per la prima volta, più a ragioni culturali che politico-economiche. Nel dopoguerra, e fino alla recente crisi finanziaria che ha investito molti paesi occidentali, si è costruito troppo e spesso male; all’industria del mattone devono la loro fortuna intere generazioni di imprenditori e di professionisti che, in barba alle più elementari regole che soggiacciono al buon governo del territorio e della città e forti delle innovazioni apportate da una ricerca in ambito tecnologico sempre più evoluta, hanno realizzato manufatti che il contesto non è riuscito in molti casi ad assimilare. A farne le spese è stato proprio il paesaggio, che sull’interazione uomo-natura si fonda, ed il patrimonio storico (architettonico, urbano e paesistico) che ne è parte integrante; una volta persa la sua “attrattiva” – le ragioni possono essere molteplici – inevitabilmente si innescano su di esso fenomeni di degrado, innanzitutto fisico, che talvolta hanno conseguenze rilevanti anche sul piano sociale ed antropologico. I tempi sembrano essere maturi per una vera e propria inversione di tendenza: si può e si deve investire sul patrimonio, che costituisce una risorsa inestimabile per il nostro paese. Lo hanno compreso da tempo coloro che

a lato Il fronte settentrionale dell’attuale opificio Bocci

Valorizzazione, documentazione e gestione: un’inedita progettualità

pagg. 14-15 Veduta di Borgo San Giovanni

operano nell’ambito, ad esempio, del mercato immobiliare dei beni culturali, sempre più richiesti da facoltosi stranieri desiderosi di vivere in prima persona all’interno di paesaggi unici nel loro genere, oppure del turismo culturale, che sposta eserciti di persone tra località d’arte, facendo circolare ogni anno milioni di euro. Tre sono i principali fattori sui quali oggi dovremmo operare, mediante una inedita progettualità, in grado di incidere sul futuro dei beni culturali: corretta documentazione, coerente progetto di conservazione/valorizzazione e conseguente gestione che ne assicuri un uso redditizio nel tempo. Queste componenti sono già da decenni indagate singolarmente dagli studiosi, ma raramente questo è avvenuto in forma congiunta e, soprattutto, dialettica, all’interno di gruppi pluridisciplinari, garantendo, almeno nelle intenzioni, che dagli esiti dell’uno abbiano origine le riflessioni dell’altro e viceversa. Su questo terreno si muove l’Unità di Ricerca DM_SHS (Documentation and Management of Small Historical Settlements), afferente al Dipartimento di Architettura (DiDA) dell’Università degli Studi di Firenze, la quale raccoglie, attorno alle tematiche specifiche della documentazione e gestione dei beni culturali, esperti (docenti e professionisti) con competenze diverse tra loro: rilevatore, storico dell’architettura,

archivista, archeologo, geologo, paesaggista, urbanista, compositivo, conservatore, tecnologo, strutturista, sociologo ed economista. L’Unità collabora nella sua attività rivolta alla salvaguardia e promozione del patrimonio tangibile ed intangibile con Enti ed Associazioni che operano sul territorio; nello specifico caso della cartiera Bocci, con l’Associazione Museo della Carta Onlus, la Proloco Il Castello di Pietrabuona, il Comune di Pescia e la famiglia Bocci proprietaria dell’omonimo opificio. Le tesi di laurea che si sviluppano all’interno di questo scenario dovrebbero consentire agli allievi architetti di acquisire maggiore sensibilità e competenza sulle tematiche del recupero e della valorizzazione. I lavori racchiusi in questa pubblicazione rientrano nel più generale progetto di conoscenza e tutela del paesaggio della Valleriana, Progetto Valleriana, i cui aspetti peculiari, quali il sistema delle cartiere, rischiano di andare persi per mancanza non solo di investimenti, ma per la ben più grave assenza di progettualità. Il Progetto Valleriana ha preso avvio nel 2007 con i primi studi sull’insediamento murato di Aramo, finalizzati a documentare la forma urbana del castello a partire da un rilevamento scanner laser, a dedurre le fasi di formazione e trasformazione dell’abitato e, infine, a comprendere i caratteri ti- 13


pici del luogo, mettendo in luce le risorse insite nel borgo e le problematiche che oggi lo affliggono. Aramo ha costituito in questo senso una vera e propria palestra in cui si sono formati i primi studiosi facenti parte del Progetto Valleriana, adattando i propri strumenti e metodi di ricerca alla specifica realtà della montagna Pesciatina. Gli esiti di questo primo lavoro hanno dato luogo ad alcuni saggi, ciascuno dei quali affronta un tema specifico della ricerca; in particolare con gli studi su Aramo sono stati avviati due filoni di studio: • Dai sistemi informativi territoriali 2D ai GIS 3D1.

• Procedure di reverse modeling and texturing per i contesti urbani pluristratificati2. Grazie al finanziamento pubblico e privato è stato possibile, negli anni successivi, proseguire con l’analisi di altri due insediamenti: Sorana (2008) e Pietrabuona (2010). Le due ricerche biennali hanno impegnato un cospicuo numero di esperti sia nella fase di documentazione sia in quella di lettura dei dati raccolti. In ciascun caso i risultati sono stati resi noti attraverso due pubblicazioni distinte: un DvD contenente i saggi dei singoli ricercatori e tutti i materiali consultati e prodotti cfr. Merlo A., Troiano D., Zucconi M., “Sistemi e mezzi informatici per il rilievo, la catalogazione e la gestione del patrimonio edilizio”, in AA.VV., Sistemi informativi per l’architettura, Alinea Editrice, Firenze 2007; Merlo A., Juan-Vidal F., Nuevas aplicaciones del levantamiento integrado (rilievo), in «Arché», numero 3/2008, Editorial de la Universidad Politécnica de Valencia.

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cfr. Merlo A., Troiano D., Zucconi M., Nuove metodologie GIS per il controllo delle qualità urbane, in «Paesaggio Urbano», 1/2008, Maggioli Editore, Rimini 2008; Merlo A., Verdiani G., “Digital modeling and integrated management for the architectonic and urban heritage”, in Actas del 13 Congreso Internacional de Expresion Grafica Arquitectonica, (Valencia, 27/29 maggio 2010), Editorial de la Universitat Politecnica de Valencia, Valencia 2010; Merlo A., “Dal modello della città ai sistemi informativi urbani 3D”, in Mandelli E., Velo U. (a cura di), Il modello in architettura: cultura scientifica e rappresentazione, Alinea Editrice, Firenze 2010.

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(in forma editabile) e una monografia che da tali saggi prende avvio per tracciare in forma organica la storia urbana del castello3. Dalla comparazione dei tre insediamenti studiati nel dettaglio è stato aperto un ulteriore ambito di studio:

DVD: Verdiani G. (a cura di), Il castello di Sorana: materiale per la ricerca, Edizioni ETS, Pisa 2010; Lavoratti G. (a cura di), Il castello di Pietrabuona: materiali per la ricerca, Edizioni ETS, Pisa 2010. Volumi: Merlo A., Il castello di Sorana, Edizioni ETS, Pisa 2010; Merlo A., Il castello di Pietrabuona, Edizioni ETS, Pisa 2012.

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• Forma urbana, tipologia edilizia e tecniche costruttive4. Parallelamente all’attività di ricerca vera e propria sono state portate avanti numerose iniziative con le quali si è cercato di coniugare ricerca e didattica: tra queste preme ricordare due workshop internazionali (Aramo_2008 e Pietrabuona_2012) rivolti a studenti e dottorandi delle scuole di Architettura e Ingegneria e due seminari di studio: “Il progetto nel contesto storiciz-

4 cfr. Merlo A., Lavoratti G., “An ante litteram newfoundland: the Castle of Pietrabuona”, in Parrinello S., Bertocci S., Pancani G. (a cura di), Between East and West. Transposition of cultural systems and military technology of fortified landscapes, Edifir, Firenze 2012; Lavoratti G., Meo A., “Pietrabuona (Tuscany, Italy). Building archaeology of a border settlement between Lucca and Florence”, in International Conference on Cultural Heritage and New Technologies (November 5-7, 2012 Vienna/Austria); Merlo A., Lavoratti G., Morelli E., “La Valleriana: dall’architettura al territorio, la formazione di un paesaggio”, in Galeotti G., Paperini M. (a cura di), Città e Territorio. Conoscenza tutela e valorizzazione del paesaggio Culturale, Edizione Centro Studi Città e Territorio, Debatte Editore, Livorno 2013.


zato: esempi a confronto” (Pescia, 17 maggio 2008) e “Strategie per la salvaguardia e la valorizzazione degli insediamenti medievali” (Pescia, 27 ottobre 2012). In entrambi i casi gli eventi sono stati oggetto di pubblicazione5. Le attività dei workshop erano dirette ad individuare dei possibili percorsi progettualivolti a valorizzare il patrimonio architettonico delle castella; mentre i seminari ambivano a pro5 cfr. Merlo A., Lavoratti G. (a cura di), Il progetto nel contesto storicizzato: esempi a confronto, Alinea Editrice, Firenze 2009; Merlo A., Lavoratti G. (a cura di), Pietrabuona. Strategie per la salvaguardia e la valorizzazione degli insediamenti medioevali, edizione DIDA | Dipartimento di Architettura, Firenze 2014.

muovere un confronto su teoria e prassi di intervento nella città storica. Gli studi preliminari condotti dal gruppo di ricerca hanno sempre costituito l’imprescindibile base documentale su cui si sono innestati i workshop. Più recentemente, a seguito dell’attivazione dei Seminari Tematici nella Scuola di Architettura di Firenze, negli A.A. 2011-2012 e 2012-2013 è stato svolto un Seminario dal titolo “Rilevare e progettare nel contesto storico: Pietrabuona” che ha visto gli studenti impegnati, assieme ai docenti dei distinti moduli, nello studio di alcuni dei caratteri specifici della Valleriana, sia dal punto di vista paesaggistico che da quello urbano ed architettonico, nell’individuazione delle problematiche che l’affliggono e nella proposta delle soluzioni più idonee per arginarle. Anche in questo caso gli esiti dei due cicli sono stati pubblicati dall’I.G.M. sulla propria rivista6 . 6

cfr. «L’Universo» nn. 1-6 del 2014.

Queste numerose iniziative hanno indubbiamente contribuito a far maturare negli allievi architetti che vi hanno preso parte un interesse verso il patrimonio culturale della Valleriana. In molti casi tale interesse è sfociato in una tesi di laurea, quasi sempre finalizzata ad un progetto di conservazione e valorizzazione del patrimonio, talvolta riferendosi ad una sola emergenza, talvolta ampliando il raggio di intervento all’intera valle, ma sempre tenendo ben presenti i caratteri peculiari dell’area, le esigenze della comunità che vi abita, nonché gli aspetti gestionali legati al progetto di riuso delle fabbricae o all’inserimento di nuove attività nel territorio.

Elenco delle Tesi Francesca Bulletti, Progetto di valorizzazione della chiesa di San Michele Arcangelo a Pietrabuona, relatore Alessandro Merlo, correlatori Stefania Franceschi, Leonardo Germani, Scuola di Architettura di Firenze A.A. 2014/2015. Elisabetta Del Grande, Il Castello di Sorana: nuovi spazi per l’Accademia enogastronomica, relatore Alessandro Merlo, correlatore Riccardo Butini, Scuola di Architettura di Firenze A.A. 2013/2014. Chiara Bardelli, La cartiera di Pietrabuona. Rilievo e progetto, relatore Alessandro Merlo, correlatore Riccardo Butini, Scuola di Architettura di Firenze A.A. 2013/2014. Lorenzo Cecchi, Opifici abbandonati, da degrado a risorsa per il territorio. La ex cartiera Bocci a Pietrabuona (PT), relatore Maurizio De Vita, correlatore Alessandro Merlo, Scuola di Architettura di Firenze A.A. 2013/2014. Giulia Mazzoni, Riconversione dell’ ex cartiera Bocci in birrificio, relatore Alessandro Merlo, correlatore Riccardo Butini, Scuola di Architettura di Firenze A.A. 2013/2014. Andrea Aliperta, La rocca di Pietrabuona. Patrimonio del passato, patrimonio del futuro, relatore Alessandro Merlo, correlatori Riccardo Butini, Filippo Fantini, Scuola di Architettura di Firenze A.A. 2011/2012. Duccio Troiano, Massimo Zucconi, La rilevazione integrata del castello di Aramo (PT). Nuove metodologie per il controllo delle qualità urbane, relatore Alessandro Merlo, Facoltà di Architettura di Firenze A.A. 2006/2007.

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Testimonianze di archeologia industriale toscana: un sistema territoriale ed un’architettura del lavoro fra abbandono e possibile destino

Sempre più frequentemente, negli ultimi anni, fra i temi didattici proposti per le tesi di laurea vi sono gli edifici storici progettati allo scopo di assolvere a programmi produttivi legati ai caratteri economici, geografici e sociali di specifiche aree, divenuti obsoleti dal punto di vista del “mercato”, abbandonati, spesso dimenticati ed aggrediti da un degrado veloce quanto crudele. Molto spesso questi edifici compongono, insieme ad altri ad essi simili e contigui, dei sistemi produttivi territoriali che hanno dato senso e lavoro ad intere generazioni di abitanti di aree urbane e periurbane, caratterizzando tali aree sia dal punto di vista architettonico, che dei valori e della memoria affidati alle persone, alle tante persone che qui hanno lavorato ed hanno vissuto. Questo è sicuramente il caso della valle nota come Valleriana, posta fra Lucca e Pistoia in area pesciatina, assolutamente centrale nella storia plurisecolare dell’industria cartaria toscana; questo è anche il caso della cartiera “Bocci Vincenzo”, attiva dalla fine del secolo XVIII fino a pochi decenni orsono, oggetto della ricerca e delle propo-

ste progettuali contenute nella più recente fra le tesi sull’analisi e restauro di edifici produttivi dismessi da me seguite in qualità di relatore. Non intendo qui riprendere le tante e comunque imprescindibili riflessioni già fatte in merito alla straordinaria capacità di tali edifici e dei sistemi territoriali a cui appartengono di trattenere la vita stessa dei luoghi che essi occupano, come quella dei lavoratori ed imprenditori che hanno dato loro un carattere e tanta parte della loro stessa esistenza. Certamente non voglio esimermi dal ribadire che anche questo è un motivo più che valido per dare e chiedere alle Istituzioni, ai soggetti privati, a noi stessi l’impegno più grande per la conservazione attiva, scientificamente rigorosa e coerente con le necessità del presente, di questi testi preziosissimi di storia territoriale. Desidero ricordare che con quell’impegno si può dare futuro ad una materia nata e voluta in simbiosi quasi perfetta con i caratteri geomorfolofologici dei luoghi, progettata e costruita in ulteriore simbiosi con il ciclo produttivo che interpretano ed i macchinari necessari, con la presenza di uomini e donne che

hanno reso possibile materialmente ed economicamente il tutto. Ecco dunque che la fondamentale analisi conoscitiva, i rilievi, le ricerche sulle modalità, gli spazi, le tecniche produttive e l’analisi delle patologie derivanti da diverse forme di degrado che colpiscono l’edificio debbono condurre, come è stato con la tesi in questione, a precise ipotesi restaurative delle componenti materiche del manufatto, mentre una nuova ed anche inedita proposta funzionale dovrebbe essere capace tanto di rispettare e valorizzare i caratteri storici, la storia stessa dell’edificio, quanto di attrarre nuova utenza, nuove forme di conoscenza ed intelligenti forme d’uso degli spazi dell’ex cartiera e di quelli d’intorno. Molto sinteticamente questa come altre tesi, auspicabilmente anche reali opportunità di restauro e riuso di tali edifici dismessi, dovrebbero sempre ricordare e ricomprendere al loro interno la loro autentica esistenza, trattenendo almeno in parte sezioni significative del ciclo produttivo, i macchinari usati (spesso bellissime ed ingegnosissime invenzioni meccaniche) e quanto può spiegare ed insegna-

Maurizio De Vita


Ortofotopiano del fronte settentrionale dell’attuale opificio Bocci Elaborati di progetto estratti dalla tesi di laurea di Lorenzo Cecchi

re quell’architettura di quel lavoro. Altre funzioni, che sappiano tradurre le necessità territoriali della produzione (caratteri orografici, presenza di corsi d’acqua, qualità paesaggistiche in genere) in modi originali ed attrattivi di soggiornare, visitare, lavorare, svolgere attività culturali, possono sostituire forme diverse di investimento, vitalità e manutenzione all’abbandono. Si tratta di non dimenticare mai che quell’albergo, quel congresso, quella caffetteria, sono “in cartiera”, per la cartiera, per la Valleriana e le sue generazioni di cartai. Quando poi le nuove funzioni ed esigenze tecnologiche dovessero rendere necessarie addizioni ed integrazioni architettoniche queste potranno e dovranno essere figlie dei nostri tempi e frutto di una riflessione critica profonda. Conservare per il futuro è quindi questo, è massima cura dell’esistente nella predizione di quel che verrà, è restauro scientificamente alto ed invenzione compatibile, è dialogo intelligente, colto e privo di inutili esibizionismi fra materia antica ed addizione contemporanea, fra archeologia del lavoro e nuove forme del lavoro per l’archeologia industriale.

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La progressiva scomparsa dei ‘sistemi’ che avevano determinato per molti secoli la trasformazione del suolo in paesaggio, attraverso un’intima connessione tra risorse naturali e pratica costruttiva, ha portato all’abbandono di una grande quantità di strutture che, oggi, si trovano sospese nello spazio e nel tempo, svincolate dalla vita, in attesa di un destino che, spesso, tarda ad emettere sentenze. Da alcuni anni ormai l’architettura contemporanea è chiamata a confrontarsi con il complesso tema del recupero e la valorizzazione delle fabbriche dismesse e delle aree ad esse legate, estensione, in termini di ricerca compositiva, della più stagionata, ma ancora attuale, questione del costruire nella città storica. La città si costruisce su se stessa, superando miserie, pestilenze, guerre e distruzioni. Come i singoli edifici che la compongono, si è fatta nel tempo, nel lungo tempo e appare ai nostri occhi come un organismo complesso e unitario. Le sue parti, pur mostrando evidenti differenze di linguaggio, s’incastrano e convivono in un’esemplare armonia. Allo stesso modo, le fabbriche non nascono, quasi mai, da un atto unico, ma prendono forma un po’ alla volta, attraverso delle annessioni, degli ampliamenti e come per la città, anche in questo caso, ogni addizione esprime una verità. Ma queste architetture, spesso, hanno subìto, più della città storica, interventi che, sebbene animati da buoni propositi e lecite esigenze produttive, non sempre sono stati eseguiti con competenza e rispetto. L’avvento di tecnologie moderne e la rinuncia all’impiego di materiali locali ha portato, poi, ad una progressiva perdita dei caratteri identitari, quindi all’alterazione del rapporto che tradizionalmente legava forma e funzione. La composizione architettonica, per-

Progettare nel costruito. Alcune, brevi, considerazioni ché di questo si tratta, sia che si intervenga su un organismo esistente o se ne realizzi uno nuovo, prevede uno spostamento continuo del punto di vista, attraverso cambiamenti di scala, anche notevoli, dal grande al piccolo, dall’insieme al particolare, che consenta il controllo complessivo del progetto. Questo esercizio richiede un confronto continuo con il tempo storico, con la tradizione e l’essenza più profonda dei luoghi. In essi, potremmo credere che risieda ancora il progetto, e che essi possiedano la capacità, attraverso letture aggiornate al nostro tempo, di suggerire funzioni e forme in grado di ristabilire gli equilibri sovvertiti. Ma una volta stabilito cosa conservare e cosa sostituire non si è che a metà dell’opera. Indipendentemente si stia lavorando alla scala del paesaggio, della città o dell’edificio, si tratterà allora di trovare il giusto modo di far convivere le parti vecchie con le nuove, nel segno di una rinnovata e necessaria continuità. Il progetto di architettura si confronta con il tempo e con il tempo stesso lavora. Far convivere le parti significa avvicinare i tempi dell’architettura fino a farli coincidere. Abbiamo assistito, negli ultimi anni, allo sviluppo di interessante filone di ricerca sulla questione del riuso

Riccardo Butini

Il castello di Pietrabuona pagina a fronte Elaborati di progetto estratti dalla tesi di laurea di Giulia Mazzoni

delle fabbriche dismesse, da un lato, e dall’altro ad un allarmante proliferare di interventi sciagurati, che ignorando le qualità morfologiche e architettoniche degli edifici, non hanno portato ad un necessario aggiornamento del tipo,

perderlo, sia per conservare il paesaggio, dobbiamo operare con una coscienza critica che non faccia commettere errori da sommare a quelli già commessi. Quindi, non può essere il tempo stringente, che da sempre ha contrassegnato la stagione della speculazione

ma piuttosto alla sua incondizionata cancellazione, con conseguenze preoccupanti. Se è vero che viviamo nell’urgenza e nella necessità di ri-utilizzare il patrimonio edilizio esistente, sia per non

edilizia e della distruzione dell’identità dei nostri luoghi a dettare legge, ma piuttosto una consapevole accelerazione della ricerca, sia essa condotta all’interno delle università che negli studi professionali.


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La Cartiera Bocci di Pietrabuona tesi di laurea In questo capitolo vengono illustrati in forma sintetica i contenuti delle tre tesi. Per evitare ripetizioni si è preferito far confluire in un unico testo a cura dei tre laureandi la ricerca storica e la descrizione del processo di rilevamento della cartiera, lasciando invece distinte le singole proposte progettuali.

Chiara Bardelli La cartiera Bocci di Pietrabuona. Rilievo e progetto relatore Alessandro Merlo correlatore Riccardo Butini Lorenzo Cecchi Opifici abbandonati, da degrado a risorsa per il territorio. La ex cartiera Bocci a Pietrabuona relatore Maurizio De Vita correlatore Alessandro Merlo Giulia Mazzoni Riconversione dell’ex cartiera Bocci in birrificio relatore Alessandro Merlo correlatore Riccardo Butini 21


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1: La Valleriana e le sue cartiere

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2: Fotografie storiche di alcune cartiere della Valleriana: a_ Cartiera Cerreto, b_ Cartiera Le Carte, c_ Cartiera Paradiso, d_ Cartiera San Lorenzo, e_ Cartiera Santa Caterina 3: Macchinari per la lavorazione della carta: a_ Pila, b_ Pressa, c_ Tino

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Relazione Storica Chiara Bardelli Lorenzo Cecchi Giulia Mazzoni

Nei secoli in Valleriana, la media ed alta collina alle spalle della città di Pescia, lungo il corso della Pescia Maggiore si è formato un fiorente sistema manifatturiero caratterizzato da opifici andanti ad acqua per la produzione della carta [fig. 1]. Questo sistema, assieme alle cartiere della vicina Villa Basilica, ha costituito fino agli inizi del Novecento il polo cartario più grande dell’inte-

ro territorio italiano. Con il XX secolo la produzione, non più legata né alla forza motrice dell’acqua né al vento delle gole montane che asciugava il prodotto, venne spostata nella piana lucchese, dove è presente una consona rete infrastrutturale, formando il distretto cartario di Capannori. Il trasferimento pressoché totale delle industrie ha lasciato nel territorio della Svizzera Pesciatina un gran numero di manufatti in disuso che, nel corso degli anni, hanno avuto destini diversi: alcune fabbriche sono state riutilizzate con un distinto uso, altre invece sono state abbandonate ad un lento processo di “ruderizzazione”; prese nel loro insieme formano però un suggestivo itinerario di archeologia industriale [fig. 2]. Il distretto cartario pesciatino La produzione della carta nell’area pesciatina cominciò verso la metà del XV secolo, con la costruzione della prima cartiera da parte della famiglia Turi-

3c ni. Tuttavia, per la comparsa di un vero apparato manifatturiero bisognerà attendere la metà del XVII secolo, con l’arrivo della famiglia Ansaldi, proveniente dalla zona di Voltri (Genova), uno dei più fiorenti centri cartari dell’intero continente. La costruzione di nuove fabbriche tra Pescia e Pietrabuona da parte della famiglia Ansaldi e la specializzazione in carta pregiata da scrivere e in carta bollata segnarono un decisivo sviluppo del comparto produttivo. Se al 1730, grazie all’operosità di quest’ultima famiglia, si contavano ben quattro opifici funzionanti nel territorio, si deve all’arrivo di un’al-


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6 tra importante casata genovese, i Magnani, l’avvio di un nuovo periodo caratterizzato da un sorprendente dinamismo: vennero aperte nuove fabbriche, il cui numero si accrebbe nell’arco di un trentennio passando dalle cinque iniziali a oltre venti e la produzione si attestò su livelli prima sconosciuti. Dal conseguimento dell’unità nazionale e per tutta la seconda metà del XIX secolo l’industria cartaria pesciatina continuò a crescere, affermandosi anche nei mercati mondiali, in particolare in quelli dell’America Latina [fig. 3]. Alla metà del XX secolo anche l’industria cartaria dovette far fronte ad inedite esigenze dovute al continuo allargamento del mercato, alla pressante concorrenza straniera ed alle nuove tecnologie, che spinsero ad abbandonare il precedente modello produttivo basato sulla piccola imprenditoria diffusa per privilegiare i comparti produttivi raggruppati e le fabbriche dal-

9 le grandi dimensioni. Dall’area della Svizzera Pesciatina le cartiere si spostarono lungo la direttrice dell’A11, costituendo nella piana lucchese uno dei poli cartari più grandi al mondo, rimarcando, pur nella diversa localizzazione geografica, la persistente vocazione territoriale verso questo particolare settore. Oggi il distretto cartario pesciatino conta poche fabbriche ancora funzionanti, specializzate nella produzione di carte pregiate e con un livello occupazionale molto lontano rispetto a quello di inizio Novecento. La cartiera “Bocci Vincenzo” di Pietrabuona La storia della carta nel territorio pesciatino risulta fortemente legata alle

principali famiglie di cartai, come i già ricordati Ansaldi e Magnani, che hanno gettato le basi necessarie al successivo proliferare di un tessuto produttivo molto ampio, all’interno del quale si inserirono un numero elevato di piccole cartiere a conduzione familiare. Tra queste vi è la “Cartiera Bocci Vincenzo”, situata ai piedi del medioevale castello di Pietrabuona, sul lato destro del Rio San Rocco [fig. 4]. Non vi è una data certa per la sua costruzione, ma ciò che è possibile affermare con sicurezza è che venne edificata durante la fase di espansione dell’industria cartaria toscana di fine Settecento. Questa tesi è avvalorata da due documenti, che restringono ad un quarantennio, dal 1783 al 1825, il periodo nel quale l’edificio fu eretto: la prima data è l’anno di redazione della Carta dei Capitani di Parte Guelfa, oggi conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze (Piante dei Capitani di Parte Guelfa, piante sciolte 64H) [fig. 5], probabilmente una “prova” per la stesu ra del successivo catasto Leopoldino, la quale raffigura la riva sinistra del rio San Rocco priva della cartiera; la seconda è l’anno di stesura del vecchio catasto terreni (conservato presso l’Archivio di Stato di Pistoia – sezione K, numero 2) [fig. 6], nel quale l’edificio è invece presente, con destinazione d’uso a cartiera, e risulta appartenere a Francesco Baroni.

4: La cartiera Bocci di Pietrabuona 5: Carta dei Capitani di Parte Guelfa, 1783 Archivio di Stato di Firenze, Piante dei Capitani di Parte Guelfa, cartone XXVI, numero 36 6: Catasto Terreni, 1825 Archivio di Stato di Pistoia - sede di Pescia, sezione K, numero 2 7: Nucleo primitivo della cartiera Bocci in una fotografia del 1935. 8: Peschiera posta tra il fronte occidentale dell’opificio e la collina. 9: Turbina Pelton, in situ ma non più attiva. 10: schema evolutivo della cartiera Bocci: prima fase

Al 1890 i possessori dell’opificio erano i Calamari ed è certo che al 1935 (come testimoniato da una fotografia) [fig. 7] la proprietà era già della famiglia Bocci, artefici del notevole ampliamento del primitivo edificio e attuali proprietari. Dalle analisi effettuate sugli elaborati del rilievo e sulla scarna documentazione esistente è stato possibile ipotizzare le varie fasi di ampliamento del manufatto e assegnare alle parti dell’edificio una plausibile datazione. Il nucleo originario dell’opificio è il volume denominato nel catasto ottocentesco “cartiera” situato ad Ovest rispetto al torrente Pescia di Pescia e separato dalla “casa con resede” abitata dai proprietari, direttamente prospiciente il rio San Rocco. L’edificio censito è di 104 braccia quadre (pari a 35,424408 mq); in base a tale valore è quindi possibile ipotizzare che delle tre stanze che compongono oggi il nucleo produttivo dell’ala Ovest, quella pre-

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11: schema evolutivo della cartiera Bocci: seconda fase 12: schema evolutivo della cartiera Bocci: terza fase 13: schema evolutivo della cartiera Bocci: quarta fase 14: La “macchina continua” presente in cartiera fino al 2012 15: Pillo ad una macina (Cartiera Bocci) 16: Pillo a due macine (Cartiera Bocci)

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sente nel catasto del 1825 sia la stanza più a Nord [fig. 8]. All’interno di questo vano tutt’ora giunge l’acqua proveniente da una vasca collocata tra l’edificio e la collina limitrofa, ad una quota superiore rispetto a quella del piano di calpestio del vano stesso, ed alimentata a sua volta da una canalizzazione che si dirama dal Rio San Rocco [fig. 10]. La caduta dell’acqua consentiva infatti il funzionamento dei primi macchinari presenti nell’opificio ed ancora nel corso degli anni ’50 tale caduta era utiliz-

zata per far girare una ruota a pale metalliche a cui venne attaccata una turbina Pelton per la produzione di energia elettrica (tutt’ora presente in loco ma non più attiva). Adiacente a questo vano ne fu costruito un altro più piccolo, il quale ospitava tre pile, oggi smantellate, della cui esistenza resta come testimonianza una fenditura nel muro che verosimilmente alloggiava il macchinario che azionava i martelli per battere il pesto. Il terzo ambiente, al cui interno si trovava il maglio (strumento utilizzato per una prima rifinitura del foglio di carta, il quale, ripetutamente colpito, diveniva più liscio) venne costruito in una fase successiva alla realizzazione del secondo vano, come testimonia la finestra che dalla sala delle pile guarda in quest’ultimo [fig. 11]. Tale bucatura permette di ipotizzare che in una prima fase essa dovesse aprirsi verso un esterno, come si evince anche dalle discontinuità del paramento murario e dai ben visibili cantonali in pietra listata, che separano gli ambienti tra loro, testimoniando le differenti fasi di costruzione. Una fotografia del 1935, scattata per celebrare la fine dei lavori di costruzione dello spanditoio elevato sulla sala del maglio, permette di datare questa nuova espansione [fig. 12 ]. Tra il 1946 e il 1949 venne realizzato il grande edificio che fronteggia il Rio e che ancora oggi caratterizza l’intero

14 complesso. Il fabbricato venne eretto a lato del volume che nel catasto del 1825 risultava essere l’abitazione dei maestri cartai, il quale al piano terra ospitava i locali adibiti all’imballaggio e allo stoccaggio della carta e al primo piano le stanze che costituivano l’appartamento vero e proprio. [fig. 13] Per allineare correttamente il nuovo corpo a quello preesistente, venne deciso di demolire parzialmente quest’ultimo; un grande spanditoio avrebbe infine coperto entrami i manufatti. Al piano terra venne edificata una nuova vasca, nella quale accumulare l’acqua proveniente da quella più a monte, per il funzionamento di un’altra pila e un cilindro olandese. Anche in questo caso il rilievo del fabbricato ha fornito elementi che testimoniano queste fasi, come la presenza di cantonali in pietra nel punto di giunzione tra i due edifici e la spessa parete che taglia in diagonale l’immobile, dalla quale è possibile evincere l’orientamento della fabrica più antica. Tra il 1961 e il 1987 vennero attuati ulteriori lavori tesi ancora una volta ad ampliare i volumi esistenti: • realizzazione ex novo dei due nuovi appartamenti che in parte compenetrano lo spanditoio dell’edificio più antico; • ampliamento della fabbrica lungo la strada con la costruzione di un nuovo capannone per accogliere la “macchina continua” [fig. 14] e la realizzazione di un nuovo deposito/magazzino davanti al quale venne posta la pesa [fig. 18]. Il confronto tra la struttura della cartiera Bocci e la cartiera tipo illustrata

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16 nel “Regolamento dell’Arte della carta all’uso di Toscana” – un’importante documento redatto intorno al 1820 nel quale sono illustrate le attrezzature ed i metodi di produzione, oltre che stabilite le mansioni ed i doveri delle differenti figure professionali che operavano in fabbrica – permette di comprendere in che misura il manufatto in analisi rispondesse o meno a dei criteri comunemente condivisi [fig. 17]. La cartiera Bocci presenta dimensioni minori rispetto a quelle del “Regolamento”, sia per il numero di pile, che sono tre al posto delle 6 indicate, sia per le misure effettive dell’edificio. L’organizzazione dell’uso degli spazi ri-


17 specchia invece quella indicata nel documento, con tre stanze adibite alle diverse lavorazioni del prodotto. Al piano più alto, in entrambi è previsto lo spanditoio, un ambiente munito di numerose finestre ed utilizzato per asciugare la carta. Si può notare che la stanza delle pile è in lunghezza la metà di quella del “tipo” (di fatto le pile sono la metà di numero) e la medesima in profondità interna, e che i muri hanno uno spessore pari ad 1 braccio fiorentino (0.583626 m). Le numerose modifiche, variazioni e sistemazione apportate alla cartiera Bocci nel corso del tempo non permettono di avanzare ulteriori ipotesi sulle vicende costruttive della fabbrica. Nel 1961 la cartiera era capace di produrre 25 quintali di carta al giorno, usufruendo di circa 200 KW di poten-

za. Nel corso dei secoli la tipologia della carta prodotta è cambiata, allineandosi a quella dell’intera area: da una prima fase in cui si fabbricava carta da scrivere usando come materia prima gli stracci, si è passati alla produzione di carta di “cartucce”, ovvero prodotta con il riciclo di carta usata o difettata e utilizzata principalmente per l’imballaggio. Il cambio di materia prima richiese il completo rinnovamento delle attrezzature; a tale scopo le vecchie pile vennero smantellate per fare posto a un pillo (macchina costituita da una massiccia ruota in pietra serena che gira intorno ad un asse di acciaio verticale su un fondino, anch’esso in pietra, dentro una vasca a base circolare, in grado di generare un impasto denso ed omogeneo di acqua e carta di recupero) ad una macina [fig. 15]; un secon-

do pillo più grande a due macine [fig. 16] venne costruito nella sala della turbina Pelton. Questo tipo di produzione è durato fino alla cessazione dell’attività, avvenuta il 31 dicembre del 2011.

17: Schema della cartiera tipo, contenuto nel “Regolamento dell’Arte della carta all’uso di Toscana” Archivio di Stato di Firenze, Segreteria di Gabinetto, Regolamento dell’arte della carta all’uso di Toscana e dei suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi negli edifizi di Pescia in Toscana e nello Stato di Genova, 165, 42 18: schema evolutivo della cartiera Bocci: quinta fase.

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Chiara Bardelli Lorenzo Cecchi Giulia Mazzoni

Il rilievo dell’esistente

Il processo di conoscenza La cartiera Bocci si presenta oggi come un articolato complesso di manufatti di un certo interesse, sia per la tipologia architettonica – il ritmo, ad esempio, delle ampie finestrature degli spanditoi lasciano subito intendere la funzione dell’interno, facendo immaginare i grandi fogli tesi ad asciugare – sia per quanto concerne la conoscenza dei macchinari e delle tecniche di produzione della carta. Operazione preliminare a qualunque intento di valorizzazione della cartiera, è quella di documentare ciò che è stato ed è oggi l’edificio, partendo da una campagna di rilevamento integrato, dalla quale è possibile desumere i dati geometrici, dimensionali e materici del manufatto. Il progetto di rilevamento della consistenza fisica della cartiera è stato redatto tenendo conto dell’articolazione fra le diverse strutture e dei modi e dei tempi con cui vengono utilizzate. Per la quasi totalità degli interni sono state impiegate le tecniche del rilievo diretto, mentre per gli esterni e per gli ambienti produttivi, si è optato per un rilevamento indiretto tramite stazione totale e fotogrammetria digitale. Dall’integrazione e dalla rielaborazione di questi dati sono state ottenute le piante e le sezioni dell’intero complesso [fig. 19]. Nel processo conoscitivo di un’architettura – a maggior ragione di un manufatto caratterizzato da fenomeni di degrado, irregolarità e lacune prodotte dall’azione dell’uomo e del tempo – è risultata di grande utilità la fotogrammetria digitale, che ha permesso di ot-

tenere un modello 3D texturizzato, con caratteristiche geometriche e cromatiche esattamente corrispondenti alla realtà. Utilizzando uno strumento comune e accessibile ai più, la macchina fotografica, e processando le immagini attraverso il software Agisoft Photoscan, che utilizza i principi della fotogrammetria per ottenere dei modelli Image Based, si è ottenuta una nuvola densa di punti e successivamente un modello mesh sul quale sono state riproiettate le fotografie, generando una texture del colore apparente. Mediante questa procedura è stato pertanto possibile ricavare degli ortofotopiani che sono stati utilizzati per l’analisi dei paramenti murari e dei fenomeni di degrado a cui sono sottoposti. La campagna di rilevamento ha confermato ciò che si percepisce anche ad occhio nudo, e cioè di avere di fronte un’architettura fatta dal tempo e dalle necessità, che non nasconde le sue diverse parti, dichiarate nelle stratificazioni e variazioni. Oggigiorno, in architettura, si parla sempre più di riuso, di riqualificazione e di “volume zero”, oltre che di conservazione e di tutela. Le ragioni di questo cambio di rotta rispetto agli ultimi decenni del XX secolo sono legate essenzialmente ad una accresciuta sensibilità degli operatori culturali verso l’ambiente ed il paesaggio nel quale viviamo. In Valleriana le cartiere hanno supportato l’economia del territorio per secoli (dalla fine del Quattrocento ai

Bibliografia Cresti C. (a cura di), Itinerario museale della carta in Val di Pescia, Periccioli, Siena 1988.

primi anni del Novecento) introducendo consuetudini sociali, lavorative e abitative nuove, e legando di fatto a sé il destino delle sue valli. Non sorprende quindi che nel progetto per la candidatura della Svizzera Pesciatina a patrimonio dell’UNESCO sia stato incluso, come punto di forza, il sistema di cartiere, viva testimonianza dell’ideale connubio tra lavoro dell’uomo e natura. La società no profit Lucense si è già mossa in questa direzione e con un progetto denominato “La via della Carta della Toscana” ha posto le basi per il recupero di architetture ed antiche memorie finalizzato all’attivazione di nuovi percorsi didattico-museali all’interno del territorio. Il progetto è partito con il restauro dell’opificio Le Carte a Pietrabuona e la sua riconversione in museo della carta. Le tre proposte progettuali presentate in questo volume si inseriscono in questo progetto di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale di Pietrabuona.

Docci M., Maestri D., Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Laterza, Bari 2009. Merlo A., Il castello di Pietrabuona, Edizioni ETS, Pisa 2012. Merlo A., Fantini F., Lavoratti G., Aliperta A., Hernández Lopez J. L., Mappattura e ottimizzazione dei modelli digitali reality-based: la chiesa della compania de Jesus, in «Disegnarecon» n. 12/2013. Merlo A., Fantini F., “I sistemi di ottimizzazione image based per la gestione dei modelli digitali 3D a scala urbana”, in Lavoratti G. (a cura di), Il castello di Pietrabuona: Materiali per la Ricerca, Edizioni ETS, Pisa 2012. Merlo A., Fantini F., Lavoratti G., Aliperta A., Hernández Lopez J. L., “La mappatura dei modelli digitali ottenuti mediante sensori attivi: verso nuove e più ampie prospettive di utilizzo”, in Rossi M., Siniscalco A. (a cura di), Colore e colorimetria. Contributi multidisciplinari, Maggioli Editore, Rimini 2013. Sabbatini R., Tra passato e futuro l’industria cartaria a Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca 1990. Sabbatini R., Di bianco lin candida prole, la manifattura della carta in età moderna e il caso toscano, Franco Angeli Storia, Milano 1990. Tischer S., Dalla Valleriana alla Svizzera Pesciatina, Pacini, Ospedaletto 2012. Velo U., “Due cartiere dismesse a Pietrabuona”, in Lavoratti G. (a cura di), Il castello di Pietrabuona: materiali per la ricerca, Edizioni ETS, Pisa 2012.


EIDOTIPI

Rilievo Topografico

Rilievo Diretto

Rilievo Fotogrammetrico

Rielaborazione dati

Trilaterazioni Coltellazioni

Esterni

Interni

Stazione totale Leica Ts 200 no prism

con programmi di disegno vettoriale

ambienti produttivi

• PIANTE E SEZIONI

• Campagna fotografica Fotocamera digitale Nikon D5100

• Camera Resectioning

ALIGN PHOTO Agisoft Photoscan Nuvola densa di punti

• BUILD GEOMETRY Agisoft Photoscan Mesh high poly

• Inus Rapidform Geometrie di riferimento

• RETOPOLOGY McNeel Rhinoceros Mesh low poly

• BUILD TEXTURE Agisoft Photoscan Modello texturizzato

• 19: Schema sinottico del processo di rilevamento della cartiera, delle fasi di restituzione dei dati e dei prodotti che ne sono derivati con indicati i software utilizzati.

• ORTOFOTOPIANI

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Pianta piano terra (stato di fatto)

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Pianta piano primo (stato di fatto)

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Pianta piano secondo (stato di fatto)


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Sezione H-H (fil di ferro, stato di fatto) Sezione H-H (ortofotopiano, stato di fatto)

pagina a fronte Sezione G-G (fil di ferro, stato di fatto) Sezione G-G (ortofotopiano, stato di fatto)


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Sezione I-I (fil di ferro, stato di fatto) Sezione I-I (ortofotopiano, stato di fatto)


Sezione F-F (fil di ferro, stato di fatto) Sezione F-F (ortofotopiano, stato di fatto)

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a lato Macchinari presenti ancora in cartiera al momento del rilievo in basso Sezione A-A (fil di ferro, stato di fatto) Sezione B-B (fil di ferro, stato di fatto)


a lato Macchinari presenti ancora in cartiera al momento del rilievo in basso Sezione D-D (fil di ferro, stato di fatto) Sezione C-C (fil di ferro, stato di fatto)

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Masterplan Chiara Bardelli Lorenzo Cecchi Giulia Mazzoni

La campagna di rilevamento, che ha interessato sia la cartiera Bocci che l’intero castello di Pietrabuona1, e gli elaborati che ne sono conseguiti hanno permesso di studiare e conoscere a fondo questo manufatto ed il contesto di cui è parte integrante, comprendendo le ragioni della loro struttura, del loro funzionamento e dei cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli. Su queste basi sono state elaborate delle proposte di riassetto dei luoghi, racchiuse in un masterplan, inerenti il patrimonio culturale di Pietrabuona e della sua valle, in larga parte legato alla tradizione cartaria del territorio. In linea di principio sono stati esclusi tutti quegli interventi che potrebbero pregiudicare la salvaguardia del paesaggio attuale o implicare la perdita del tessuto storico esistente. Si è optato, quindi, per la conservazioIl castello è stato rilevato tra il 2010 ed il 2012 dal gruppo di ricerca diretto dal prof. Alessandro Merlo. Gli esiti sono racchiusi nel volume Merlo A., Il Castello di Pietrabuona, Edizioni ETS, Pisa 2012

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ne e la riabilitazione del patrimonio, cercando usi alternativi che consentano la necessaria integrazione tra Pietrabuona e le altre località della Valleriana, in grado di stimolare un’auspicabile ripresa economica dell’intero territorio basata sul brand dello Sport Tourism mobility in aree di particolare pregio paesaggistico. Quale destino per gli opifici dismessi? Prima di entrare nel merito alla proposta progettuale relativa alla cartiera Bocci è stato pertanto necessario compiere una riflessione più ampia sul destino dei numerosi edifici, oggi non più utilizzati, disseminati nel fondovalle del torrente Pescia Maggiore. Da alcuni anni la Lucense (Società Consortile per Azioni no profit finalizzata allo sviluppo del sistema economico territoriale, dal 2011 gestore del Polo di Innovazione del Settore Cartario “Innopaper”) ha avviato un progetto per la realizzazione di una serie di percorsi turistici (“La via della Carta”), immersi tra natura e archeologia industriale, attraverso le cartiere della Svizzera Pesciatina. Fulcro di tale iniziativa è il restauro, in corso di ultimazione, dell’opificio “Le Carte” a Pietrabuona e la sua conversione in museo. Sulla scia di questo progetto sono state preliminarmente prese in esame le possibili nuove destinazioni d’uso delle

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restanti cartiere dimesse, valutando la compatibilità tra gli spazi esistenti e le necessità di tipo turistico-ricettivo che si verranno a creare a seguito dell’attivazione degli itinerari previsti ne “La via della Carta”. Dalle analisi svolte è emerso, ad esempio, che le parti destinate originariamente ad abitazione dei mastri cartai potrebbero essere adibite a camere e sale comuni, andando così a costituire l’ossatura di una struttura ricettiva low cost diffusa nell’intera valle. Allo stesso modo, i piani terra ben si presterebbero ad ospitare attività di vendita e noleggio di attrezzature per il trekking, il trekking a cavallo e il cicloturismo. Gli ambienti maggiormente suggestivi, come gli spanditoi [fig.1] ed i piani terra voltati [fig.2], potrebbero essere impiegati per attività collettive, quali mostre, presentazioni e corsi didattici legati alle attività artigianali presenti nel territorio. Le sale che ancora oggi ospitano i macchinari dovrebbero, invece, essere rese visitabili, trasformandole in luoghi della memoria. Non è da escludere, infine, anche un’attività produttiva limitata, volta al recupero delle antiche lavorazioni per la realizzazione di carta pregiata. L’abitato di Pietrabuona Le due cartiere Bocci – includendo anche la cosiddetta “Fabbrichetta”

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5 [figg.3, 4] collocata più a Nord rispetto 3c all’opificio più grande, sempre in prossimità del rio San Rocco – hanno contribuito negli ultimi due secoli alla crescita economica di Pietrabuona, ed ancora oggi sono in grado di influenzare, con valenze diverse, la vita del paese. I due opifici, posti entrambi sull’argine opposto del rio San Rocco rispetto all’abitato medioevale, comunicano con quest’ultimo attraverso due piccoli ponti e le relative strade che si inerpicano sulla collina per raggiungere la piazza della chiesa [fig.5]. Anche il vicino opificio “Le Carte” [fig.6] è collegato direttamente a Pietrabuona con un percorso pedonale che si dipana lungo


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7 il colle fino a raggiungere il fronte meridionale del circuito murario trecentesco. L’attività produttiva cartaia, che si svolgeva nel fondovalle, era quindi in stretta relazione con il centro storico;

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dato non secondario in un progetto di riorganizzazione generale dell’intera area volto a rivitalizzare il paese. Per ciò che concerne le problematiche dell’abitato, urge in primo luogo risolvere quelle relative all’accesso e alla mobilità e, secondariamente, quelle legate alla ricettività turistica, alla corretta segnalazione degli itinerari (di visita e sportivi) ed al ripristino di una rete di piccoli esercizi commerciali ed artigianali, in grado di far riavvicinare abitanti e turisti al luogo. Le cartiere dismesse, come il borgo antico, verranno pertanto integrate in un unico sistema urbano, nel quale le diverse componenti assolveranno a ruoli distinti: • abitato medievale, Rocca e oratorio di San Michele: verrà preservata la destinazione residenziale degli immobili, incentivando il recupero delle emergenze architettoniche per usi collettivi (la Rocca dovrà

essere restaurata e tornare fruibile come punto panoramico privilegiato [fig.8], mentre l’oratorio potrebbe essere impiegato per seminari di studio e piccole mostre) e l’utilizzo di alcuni beni a bed and breakfast per soggiorni di breve durata; • nuovo Museo della Carta nell’opificio “Le Carte”: una volta restaurato, il fabbricato ospiterà il centro di documentazione sulla storia della produzione cartaria in Valleriana, fungendo da polo di aggregazione per studiosi e visitatori; • borgo La Croce, attuale Museo della Carta e cartiera Bocci grande: la riqualificazione di quest’ultima consentirà di ripensare l’assetto attuale di questo tessuto edilizio, convertendolo nel principale spazio pubblico del paese; • Fabbrichetta Bocci: trasformata in struttura ricettiva potrebbe ospitare coloro che praticano trekking o mountain biking [fig.7]. Per consentire a queste realtà di dialogare fra loro sarà necessario riattivare i percorsi esistenti ma non utilizzati e prevederne, ove necessario, dei nuovi. Questi sentieri, opportunamente ripristinati, potrebbero creare un percorso anulare che dalla cartiera Bocci conduca alla Rocca, passando per la Fabbrichetta, e che poi ridiscenda dalla Rocca verso la cartiera Le Carte. Da qui un nuovo cammino dovrebbe ricollegarsi alla piazza La Croce [fig.9]. Una piazza riconquistata Sull’odierna piazza La Croce, utilizzata oggi come parcheggio, si affacciano sia la cartiera Bocci che l’attuale Museo della Carta, un edificio degli anni ‘20 privo di caratteri architettonici rilevanti. Elevato di pochi metri rispetto al piano della piazza, un fronte di case prospetta sull’antica via di mezzacosta che univa Pescia a Pietrabuona, dove era situato l’edificio della dogana. Il rio San Rocco funge da margine

10 1: Spanditoio orientale della cartiera Bocci. 2: Pilastro di una volta a crociera del piano terra della cartiera Carrara 3-4: La “Fabbrichetta” 5: Il ponte sul percorso che conduce dalla “Fabbrichetta” all’abitato di Pietrabuona 6: Cartiera Le Carte. 7: Riqualificazione del percorso che conduce dalla Cartiera Bocci alla “Fabbrichetta”. 8: Riqualificazione della Rocca di Pietrabuona. 9: Riqualificazione dei muretti a secco lungo i percorsi dell’insediamento. 10: Veduta del borgo La Croce dalla strada Mammianese.

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settentrionale dello spazio pubblico, mentre il percorso della strada provinciale Mammianese lo delimita su quello orientale [fig.10]. L’idea progettuale è quella di creare un sistema di piazze e percorsi sui quali riportare abitanti e turisti. A tal fine è stato deciso, in primo luogo, di demolire l’ex Museo della Carta, ottenendo così un duplice beneficio: arrivando da Pescia sarà possibile apprezzare il castello di Pietrabuona, prima ostruito, con ai piedi la cartiera, mentre sostando nella nuova piazza prospiciente l’opificio lo sguardo si potrà aprire sul greto del torrente Pescia. La pavimen-

tazione verrà lastricata con un materiale autoctono della valle, la pietra serena, che sarà anche impiegata per le sedute. Privato delle automobili e restituito agli abitanti, questo spazio diverrà il principale polo urbano di Pietrabuona, punto di aggregazione per chi giunge da Sud e passaggio obbligato di qualsiasi itinerario. Un parcheggio da realizzare ex novo tra la via Mammianese e una vasta ansa del torrente, in grado di ospitare sia automobili che pullman, consentirà la pedonalizzazione pressoché totale del borgo La Croce.

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LA CARTIERA BOCCI DI PIETRABUONA. RILIEVO E PROGETTO

Il rilievo e le successive analisi realizzate sui fabbricati hanno consentito di mettere a nudo le modifiche e le annessioni avvenute nel corso dei decenni, le quali hanno portato ad una generale perdita dei caratteri identitari delle fabbricae. L’intervento prevede di preservare i manufatti originari in cui sono ancora riconoscibili gli elementi tipici delle cartiere della Valdinievole; la demolizione diviene, pertanto, una scelta progettuale consapevole, finalizzata a valorizzare gli edifici liberandoli dalle superfetazioni e dalle annessioni, spesso estemporanee, avvenute nel corso dei decenni per andare incontro alle esigenze lavorative. A più larga scala, l’idea progettuale è quella di ridare vita ad un sistema

di piazze e percorsi - che caratterizzavano un tempo questa parte di Pietrabuona dove aveva sede la dogana e da cui dipartiva la strada per la Valleriana - a servizio di abitanti e visitatori. Il modello da seguire è suggerito dal paesaggio circostante, dall’impianto del castello, dalle sue strette strade e dalle sue piazze, spazi in genere intimi che acquisiscono un maggior respiro in presenza degli edifici pubblici [figg. 1, 3]. I terrazzamenti delle colline, ad esempio, hanno suggerito il disegno delle gradinate, regolare e morbido, che portano alle due piazze limitrofe alla cartiera [fig. 11]. Una componente fondamentale del progetto è il verde che scende dalla collina fra i vuoti lasciati dagli edifici e si

Chiara Bardelli

riappropria dello spazio e dell’architettura stessa. Concetto questo che si ribalta nell’area prossima alla collina: gradini e sedute disegnate nel terreno permettono di fruire quest’area, ammirando il castello e le antiche peschiere dell’opificio, nelle quali veniva raccolta l’acqua per la produzione della carta. Nello specifico, il progetto prevede la demolizione degli edifici costruiti dopo il 1951, come gli appartamenti che in parte compenetrano lo spanditoio dell’edificio più antico e il capannone che ospitava la macchina continua. Una volta eliminati i volumi di servizio, le aree recuperate saranno adibite a piazza: a Sud uno spazio intimo, provvisto di sedute a formare una sorta di cavea, con la collina che arriva a ridos-

so della piazza stessa lasciando che il verde se ne impadronisca; a Nord una superficie più dilatata, aperta sul paesaggio circostante [figg. 2, 10]. Un nuovo corpo contenente la distribuzione verticale verrà affiancato al nucleo primitivo della cartiera; una piccola annessione, mimetica nel materiale e dichiarata nell’attacco, un taglio che percorre tutto l’edificio e la copertura a capanna come l’esistente, ma priva di aggetti, che dichiara l’intervento senza essere invadente [figg. 4, 5, 6]. A ridosso di questo volume, un pozzo di luce consentirà di illuminare il piano seminterrato che verrà costruito sull’impronta del capannone. Una vasca d’acqua raso terra occuperà una parte di questo pozzo; un esplicito richiamo all’elemento che per decenni consentì di mettere in funzione i macchinari per la produzione della carta [figg. 7, 8, 9]. I restanti manufatti rimarranno intonacati e le pavimentazioni saranno realizzate con la pietra del luogo, il macigno, in grandi pezzature messe in opera a correre. La proposta funzionale è stata redatta con l’intento di riportare nel borgo alcune attività legate alla carta, in stretta relazione con il programma del nuovo museo Le Carte. Il nucleo storico della cartiera Bocci ospiterà una scuola di arti e mestieri e dei vani dove po1: Sezione ambientale

pagina a fronte 2: Render del fronte orientale



ter svolgere seminari inerenti le diverse forme di arte che impiegano la carta. La nuova ala a Nord sarà utilizzata per la produzione di carta fatta a mano di elevata qualità, dove potranno trovare impiego gli stessi studenti della scuola. Nell’edificio prospiciente il fiume verranno realizzate due sale espositive, una “calda” (munita di serramenti) al primo piano e una “fredda” (priva di serramenti) nello spanditoio, mentre il piano terra sarà destinato a caffetteria. Per lo spanditoio, in particolare, la scelta progettuale è stata quella di mantenere invariato l’attuale aspetto dell’ambiente, conservando i battenti delle ampie aperture nella loro posizione e non munendolo di infissi. Un parapetto continuo seguirà il perimetro del vano, proteggendo gli utenti dal rischio di caduta dall’alto; i fruitori potranno

Bibliografia Butini R., Giovanni Michelucci. Fotogrammi del museo, Diabasis, Reggio Emilia 2007. Zumthor P., Pensare Architettura, Electa, Milano 2003. Zermani P., Identità dell’architettura, I/ II, Officina edizioni, Roma 1995–2002. Rossi Prodi F., Carattere dell’architettura toscana: il pensiero compositivo nella scuola di Firenze, Officina, Roma 2003.

3: Planimetria di progetto

così godere di visuali sempre diverse del castello e della valle, inquadrati attraverso i grandi finestroni [fig. 12]. Negli interni l’impianto è pensato per avere spazi diafani in grado di assecondare esigenze di tipo diverso. Nell’edificio prospiciente il rio San Rocco i nuovi orizzontamenti saranno sostenuti da una struttura indipendente dalle murature esistenti, evitando così di intaccare l’involucro edilizio. I collegamenti verticali e i locali di servizio verranno concentrati al centro del grande vano. Nell’intercapedine che si verrà a creare tra le pareti perimetrali ed i solai saranno alloggiati dei corpi illuminanti; questa soluzione, che integrerà un apparato illuminotecnico idoneo a rischiarare gli ambienti, consentirà una lettura inedita e suggestiva degli spazi.



4: Pianta del piano terra 5: Pianta del piano primo

pagina a fronte 6: Pianta del piano secondo

 

legenda A caffetteria B spazio espositivo C laboratori D centrale termica E spazio espositivo F magazzino G ingresso H segreteria L spazio espositivo M magazzino N laboratori


A

A

B

B C

C  

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10: Render del fronte meridionale

pagina a fronte 7-8-9: sezioni AA, BB, CC per i riferimenti delle sezioni vedi fig. 6

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11: Render del fronte meridionale

pagina a fronte 12: Render dello spanditoio



OPIFICI ABBANDONATI, DA DEGRADO A RISORSA PER IL TERRITORIO. L’EX CARTIERA BOCCI A PIETRABUONA (PT) Analisi del degrado Gli edifici non sembrano soffrire di patologie gravi che potrebbero metterne a rischio la stabilità; tuttavia presentano un degrado diffuso dovuto sia a cause antropiche che naturali. Numerosi interventi realizzati dall’uomo nel corso dei decenni sulle strutture originarie per adeguarle alle mutevoli necessità produttive ne hanno in parte alterato l’aspetto e la funzione, mentre alla forte umidità ambientale e alla piovosità della zona, fenomeni contro i

quali non è stato intrapreso nel tempo alcun intervento di mitigazione, sono riconducibili la maggior parte degli episodi degenerativi. Dalla comparazione dei giorni piovosi e dell’indice pluviometrico tra la zona di Firenze e quella di Pietrabuona (negli anni compresi tra il 1995 e il 2005) e dall’analisi del vento (nell’arco di tempo racchiuso tra Novembre 2013 e Marzo 2014) si evince infatti che: • a fronte di pochi più giorni di pioggia nell’area di Pietrabuona rispetto a

Lorenzo Cecchi

quella di Firenze, l’indice pluviometrico della prima è di circa 1/3 superiore a quello della seconda; • il vento dominante a Pietrabuona è risultato essere quello proveniente da Nord-Est. Fatta eccezione per i due prospetti interni alla corte, protetti da una tettoia, il fronte meglio conservato è quello esposto ad Est, il quale gode sia dell’irraggiamento solare che dell’azione del vento, che aiutano ad asciugare più rapidamente il paramento murario dall’umidità e dalla pioggia. La facciata settentrionale, costituita da mattoni faccia-vista, non si avvantaggia invece dell’irraggiamento solare, presentando evidenti tracce di efflorescenza salina. Il prospetto meridionale, che data la sua esposizione dovrebbe essere il meglio conservato, risulta invece tra i più aggrediti dall’azione biologica, con vaste aree ricoperte da una fitta patina, probabilmente dovuta alla mancanza di accorgimenti atti a contrastare l’umidità presente nella parete. Le due facciate interne alla corte, meno soggette dall’azione dell’acqua piovana, soffrono più delle altre di un degrado di tipo antropico dovuto a “rappezzi incongrui”, quali tamponature lasciate a vista o mal eseguite, e alla presenza di numerosi “elementi impropri”, ad esempio il gran numero di canalette esterne per gli impianti [figg. 1,2,3,4,5].

Il Progetto di riuso Il progetto prevede la demolizione degli edifici costruiti a partire dagli anni ’70 (avendo meno di cinquanta anni non sono soggetti a tutela secondo la legge n.1089 del 1939) che opprimono il nucleo storico della cartiera. Nello specifico si prevede l’abbattimento degli appartamenti addossati alla parte Sud del primitivo corpo di fabbrica, dei manufatti privi di valore architettonico che in parte lo compenetrano riducendo lo spazio che un tempo era occupato dal primo spanditoio, un elemento di pregio che si intende recuperare. I due capannoni in muratura costruiti negli anni ’80 verranno anch’essi demoliti; al loro posto si prevede la realizzazione di due nuove piazze: una a Sud, rialzata rispetto a piazza della Croce, ma che di fatto ne costituisce una continuazione (i dislivelli sono superati mediante ampie rampe gradonate) ed una ad Est (nell’area del manufatto che ospitava la “macchina continua”) più isolata, che offre un punto di vista privilegiato sul castello (al di sotto di essa verrà realizzato un piccolo garage coperto) [fig. 6].


a lato 1: Analisi del degrado relativa al prospetto Nord in basso 2: Analisi del degrado relativa al prospetto Est interno alla corte pagina a fronte 3: Analisi del degrado relativa al prospetto Sud

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4: Analisi del degrado relativa al prospetto Est interno alla corte

5: Analisi del degrado relativa al prospetto Sud


Lo spazio esterno verrà lastricato in listelli di pietra arenaria, materiale già presente nelle architetture storiche del luogo, e caratterizzato dalla presenza dell’acqua, che rimanda ai metodi di produzione della carta ed al sistema idrografico circostante. Il percorso che oggi l’acqua compie all’interno degli edifici (dalle preesistenti vasche di raccolta poste ad Ovest del complesso diparte un canale che, passando per la turbina Pelton, conduce l’acqua alla vasca posizionata al piano terra dell’edificio posto davanti al rio San Rocco) verrà ampliato, consentendole di lambire il perimetro dei due opifici e, grazie a sistemi di “troppo pieno”, di giungere alle quote più basse, fino a riempire l’ultima vasca e da questa tornare al fiume [fig.9]. Degli appositi sistemi di illuminazione collocati all’interno delle stesse canalette nelle quali scorre l’acqua proietteranno una luce radente sulle pietre delle facciate dei due edifici; le ombre così generate conferiranno al complesso una maggior drammaticità e la loro vibrazione, dovuta al movimento stesso del liquido, metterà nuovamente in risalto la centralità di questo elemento. Le tre sale poste al piano terra del plesso ad Ovest, dove sono ancora presenti i due “pilli” con le molazze in pietra, costituiranno una sorta di percorso coperto nel quale i vecchi macchinari resteranno esposti a ricordare il lavoro che qui veniva svolto. Un fascio di luci LED, poste anche in questo caso a terra lungo il perimetro interno, illumineranno le pareti dal basso verso l’alto; lampade verticali munite di faretti orientabili daranno invece un adeguato risalto ai singoli macchinari. Al piano seminterrato dell’edificio posto lungo il fiume, con ingresso dal nuovo sistema di piazze, saranno radunati gli uffici della Comunità Montana (che attualmente si trovano all’interno dell’ex scuola elementare) e gli uffici della Pro Loco “Il castello di

Pietrabuona” (posti nella parte alta del paese, in una zona di scarsa visibilità e di difficile accesso) [fig.10]. Al primo piano, nei locali attualmente occupati dall’appartamento del proprietario della cartiera, saranno inserite le prime camere di un albergo diffuso, oltre alle sale comuni per gli ospiti della struttura. A quest’ultima parte del complesso si potrà accedere mediante una ripida scala posta al lato dell’ultima vasca, oppure direttamente dal percorso che collega le nuove piazze [fig.11]. I due spanditoi verranno uniti tra loro mediante una passerella di nuova costruzione, previa demolizione dell’incongruo solaio che attualmente li unisce. Il ponte è pensato come un’unica lastra di acciaio piegata, imbullonata allo stipite della finestra dello spanditoio Ovest e sostenuta da cavi. La passerella avrà una pendenza del 12% (pendenza massima consentita per l’accessibilità dei disabili in ambito di ristrutturazioni a fronte di una luce ridotta secondo il D.M.LL.PP. N.236 del 1989) ed entrerà all’interno dello spanditoio Est restando sollevata di 2 cm dal solaio, senza mai entrare in diretto contatto con il piano di calpestio. Nello spanditoio occidentale troveranno posto, all’interno di un’area chiusa da grandi infissi in legno vetrati, la hall dell’albergo e una piccola caffetteria. Lo spanditoio orientale resterà invece una zona diafana, priva di infissi, fatta eccezione per le persiane originali che ancora si conservano in buono stato, al fine di non alterare la natura dell’ambiente. Tale spazio sarà usato come sala polifunzionale legata alle attività dell’albergo, degli uffici della Comunità Montana e della Pro Loco, quali degustazioni e mostre per la promozione del territorio. All’interno degli spanditoi sarà installato lo stesso sistema di illuminazione LED previsto al piano terra nelle sale dei macchinari [figg. 12, 13]. La distribuzione verticale (scale e

6: L’edificio dopo gli interventi del 1949.

7: In tratteggio gli ampliamenti realizzati a partire dal 1961, dei quali il progetto prevede l’abbattimento.

8: Al riscoperto nucleo originale della cartiera si aggiungono due padiglioni contenenti i collegamenti verticali.

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ascensori), necessaria a collegare la zona interrata, nella quale si trovano il parcheggio e i servizi igienici pubblici, con la piazza occidentale e gli spanditoi, sarà posta all’interno di un piccolo padiglione [figg. 14, 15, 16, 17, 19]. Il nuovo volume, collocato nella parte Nord del complesso, in adiacenza all’edificio Ovest, ospiterà una terrazza panoramica, l’accesso alla caffetteria e, al piano terreno, dei locali commer-

ciali. Dal punto di vista compositivo, il progetto di questo corpo di fabbrica prende spunto dall’analisi delle strutture antiche, segnate dalla scansione verticale delle ampie finestre dello spanditoio chiuse da persiane in legno [fig. 18]. Non più inteso come elemento tecnico, la persiana sarà utilizzata come matrice per disegnare il padiglione. Le nuove persiane avranno una larghezza di 1m (come quelle esi-

stenti), un’altezza pari a quella totale dell’edificio e manterranno la scansione “a coppie” presente nello spanditoio orientale; saranno costituite da listelli in legno posti uno sopra l’altro, alternati da cilindretti di acciaio che, montati su apposite guide, ne consentiranno l’apertura a ventaglio ruotando attorno al palo di sostegno verticale, permettendo al corpo di fabbrica di assumere configurazioni sempre nuove

a seconda dell’altezza alla quale vengono aperte [fig. 20]. Le persiane così pensate saranno sostenute da una struttura leggera composta da tubolari di acciaio, i quali sorreggeranno anche il solaio della terrazza panoramica di pertinenza della caffetteria, oltre a costituire la copertura del sottostante negozio per il noleggio di biciclette e di attrezzatura per il trekking. La copertura del padiglione sarà costituita


pagina a fronte 9: Planimetria

in alto 10: Pianta piano terra in basso 11: Pianta piano primo

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da un brise soleil anch’esso in listelli di legno, retto dalla stessa struttura che sosterrà le persiane, e che seguirà il perimetro del tetto dello spanditoio, conferendo al volume una forma

estrusa direttamente dalla facciata del vecchio fabbricato. Un identico manufatto, ridotto in dimensione, sarà posto davanti al prospetto Sud dello stesso edificio, allo scopo di ospitare

un’altra rampa di scale e di proteggere dalle intemperie il sottostante “cilindro olandese”, rimasto all’aperto nella piazza dopo la demolizione degli appartamenti.

12: Pianta piano secondo. pagina a fronte 13: Render dell’interno dello spanditoio orientale.


Bibliografia Martelli L., Da degrado a risorsa, opifici dismessi e riqualificazione urbana a Pescia, EDIFIR, Firenze 1997. Roselli P., Forti A., Ragoni B., Cartiere e opifici andanti ad acqua, Alinea editrice, Firenze 1984. Franceschi S., Germani L., Il degrado dei materiali nell’edilizia, cause e valutazioni delle patologie, DEI, Roma 2007. Riegl A., “Il culto moderno dei monumenti”, in Scarrocchia S. (a cura di), Carte d’artisti, Abscondita editore, Milano 2011.

63


14: Sezione A-A’ 15: Sezione E-E’ pagina a fronte 16: Sezione B-B’ 17: Sezione D-D’ per i riferimenti delle sezioni vedi figg.9, 10.


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18: Render esterno e interno del nuovo padiglione

pagina a fronte 19: Sezione C-C’ 20: Esploso assonometrico della persiana


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RICONVERSIONE DELL’EX CARTIERA BOCCI IN BIRRIFICIO ARTIGIANALE, TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE L’obbiettivo che si è perseguito in questo studio è stato principalmente quello di riconoscere e valorizzare il patrimonio, sia tangibile che intangibile, dell’insediamento di Pietrabuona, legato in larga parte alla secolare tradizione cartaria del luogo e alle attività ad essa connesse [figg. 1, 2]. Partendo da queste premesse sono stati esclusi, fin dal principio, tutti quegli interventi che in qualche misura potessero alterare il paesaggio attuale, sposando i principi della conservazione e della riabilitazione del patrimonio industriale. Cercare usi alternativi in grado di portare a nuova vita manufatti che hanno perso la loro originaria funzione non significa rinunciare al progetto di architettura; è vero caso mai il contrario: solo attraverso una calibrata progettazione che salvaguardi

le peculiarità di questi edifici e al tempo stesso li renda nuovamente fruibili è oggi possibile mettere in atto un’efficace azione di tutela. Il progetto di conversione della cartiera Bocci in birrificio artigianale si fonda su due fattori principali: • la volontà di far riemergere la vocazione industriale di questo opificio, nel quale l’elemento acqua rivestiva un ruolo determinante sia come forza motrice, sia come componente essenziale nel processo di lavorazione della carta, in grado di condizionarne anche la qualità. In un birrificio l’acqua costituisce infatti l’85-90% della prodotto (essendo la restante parte formata da malto, luppolo e lievito); • la congruità degli spazi a disposizione con quelli necessari ad impronta-

Giulia Mazzoni

1: Sezione ambientale pagina a fronte 2: Planimetria

re un moderno birrificio artigianale. L’ex cartiera Bocci conserva i principali caratteri di questa tipologia di manufatti presenti in Valleriana, eppure le numerose trasformazioni (addizioni, suddivisioni, etc.) limitano di fatto la riconoscibilità dei tratti caratteristici dell’opificio. Per questo motivo si è scelto di demolire i volumi di servizio aggiunti nel corso del tempo, lasciando inalterati i due corpi di fabbrica principali: l’edificio lungo il rio San Rocco e l’originale cartiera prospiciente la collina [fig. 3]. Il nuovo birrificio verrà realizzato nello spazio lasciato libero dalla demolizione del magazzino a Nord che ospitava la macchina continua, all’interno di un’area delimitata dagli assi dei due fabbricati che in questo punto convergono. Il nuovo solaio di copertura verrà realiz-

zato ad una quota inferiore rispetto a quella del precedente manufatto, consentendo così di dare maggiore risalto ai fronti delle cartiere. Sulla copertura è pensata una piazza, scandita dai pozzi di luce che illuminano la sottostante zona di produzione [fig. 4]. Il birrificio si collegherà funzionalmente alla cartiera lungo il rio; al piano terra [fig. 5] ed al piano primo [fig. 6] verrà realizzata una zona bar che si affaccerà sulla piazza prevista sul fronte meridionale dei due fabbricati, creata dopo la demolizione del magazzino e degli ampliamenti della cartiera prospiciente la collina. Lo spanditoio, caratterizzato da lunghe finestre e dal soffitto a capriate, verrà adibito ad area di degustazione della birra in modo da creare uno spazio che lasci inalterati i caratteri di questo ambiente [figg. 7, 8]. La creazione della piazza a Sud, che costituisce una continuazione della piazza della Croce, offre una pregevole vista sulla vallata e permette allo stesso tempo di osservare la cartiera arrivando dalla via Mammianese. Per quanto concerne il nucleo originario formato dalle tre stanze ai piedi della collina e dal soprastante spanditoio, si è scelto di preservare il più possibile l’identità degli ambienti. Il piano terra, nel quale vengono mantenuti in loco i due tini con le relative molazze, ospiterà una mostra permanente sul-



la storia della cartiera, continuando così a testimoniare il passato di questo edificio. Lo spanditoio sarà adibito a sala per conferenze e ad aula didattica [fig. 9]. Sul fronte meridionale, il cui originario prospetto era stato demolito nel corso delle varie trasformazioni, si è deciso di realizzare un piccolo volume dove alloggiare i collegamenti verticali [fig. 10] al fine di non modificare in alcun

modo il nucleo originario della cartiera. I fronti di questo nuovo corpo di fabbrica saranno rivestiti in lastre di pietra serena di grande pezzatura, maggiormente conformi ad un linguaggio contemporaneo. La copertura dell’intero edificio sarà integralmente sostituita poiché gravemente danneggiata; al suo posto verrà realizzato un unico tetto a capanna privo di aggetti per entrambi i volumi.

Le murature portanti del vecchio immobile verranno restaurate ed intonacate. In situ verranno lasciati i cornicioni, che esalteranno le bucature sulle pareti chiare. Le finestre tamponate nel corso degli anni saranno riaperte entrando nuovamente a far parte del disegno complessivo dei prospetti [fig. 11].

Bibliografia Butini R., Giovanni Michelucci. Fotogrammi del museo, Diabasis, Reggio Emilia 2007. Zumthor P., Pensare Architettura, Electa, Milano 2003. Zermani P., Identità dell’architettura, I/ II, Officina edizioni, Roma 1995–2002. Rossi Prodi F., Carattere dell’architettura toscana: il pensiero compositivo nella scuola di Firenze, Officina, Roma 2003.

3: Render del fronte meridionale 4: Render del fronte orientale pagina a fronte 5: Planimetria



6: pianta del piano terra

 

7: pianta del piano primo pagina a fronte 8: pianta del piano secondo

legenda A reception B bar C birrificio D sala espositiva E sala conferenze F area degustazione


B 

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B C A

A 

D

D

73


9: Sezione D-D pagina a fronte 10: Sezione A-A 11: Sezione B-B 12: Sezione C-C per i riferimenti delle sezioni vedi fig. 8. pagine 76-77 13: Render dello spanditoio


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Indice

Presentazione Saverio Mecca

7

La complessità del progetto di architettura Fabio Capanni

9

Trasformare ogni cartiera in un monumento ed ogni monumento in un museo Massimiliano Bini

10

Valorizzazione documentazione e gestione: un’inedita progettualità Alessandro Merlo

13

Testimonianze di archeologia industriale toscana: un sistema territoriale ed un’architettura del lavoro fra abbandono e possibile destino Maurizio De Vita

16

Progettare nel costruito. Alcune brevi considerazioni Riccardo Butini

18

Relazione storica Chiara Bardelli, Lorenzo Cecchi, Giulia Mazzoni

23

Il rilievo dell’esistente Chiara Bardelli, Lorenzo Cecchi, Giulia Mazzoni

28

Masterplan Chiara Bardelli, Lorenzo Cecchi, Giulia Mazzoni

42

La cartiera Bocci di Pietrabuona. Rilievo e progetto Chiara Bardelli

46

Opifici abbandonati, da degrado a risorsa per il territorio. L’ex cartiera Bocci a Pietrabuona Lorenzo Cecchi Riconversione dell’ex cartiera Bocci in birrificio artigianale, tra tradizione e innovazione Giulia Mazzoni

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T dida tesi

Finito di stampare dicembre 2014 DIDA | Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 14 www.dida.unifi.it



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