La conoscenza per il progetto| Matteo Zambelli

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designerly ways of knowing

Pensare da progettisti? Bryan Lawson negli anni Settanta fece un esperimento per verificare se ci fossero delle differenze nel modo di pensare degli architetti rispetto ai laureati in discipline scientifiche e, in caso positivo, se queste differenze riflettessero la natura e l’indole proprie delle persone o se, al contrario, dipendessero dal tipo di formazione che gli veniva impartita all’università [Lawson (1979), pp. 59-68; Lawson (2006), pp. 41-44; Lawson (2019), pp. 65-66]. Per riuscire a dare una risposta ai due interrogativi, Lawson ideò un esperimento finalizzato alla soluzione di un problema senza che le persone coinvolte dovessero possedere competenze specialistiche per venirne a capo. I soggetti partecipanti all’esperimento erano studenti dell’ultimo anno della Birmingham School of Architecture e studenti di scienze postgraduate al quinto anno presso l’Università di Aston, complessivamente erano diciotto. Per evitare che i partecipanti fossero in qualche modo intimiditi dai valutatori, risolvevano i problemi al computer, ed era ancora il computer a proporre i diversi problemi e, al contempo, a dire se la soluzione proposta fosse ammissibile. Il computer dava a tutti dei blocchetti modulari per formare un parallelepipedo a base rettangolare di 3x4 unità. I blocchetti, colorati, erano composti da quattro coppie, quindi erano otto in tutto. I blocchetti delle quattro coppie erano a due a due di forma identica, ma ogni blocchetto della singola coppia era diverso dall’altro, perché uno aveva le superfici superiore e inferiore colorate di bianco, mentre quelle dell’altro di nero, poi perché i due blocchi di ogni coppia presentavano diverse campiture di rosso e blu sulle superfici verticali. Nei diversi problemi presentati veniva chiesto ai soggetti di costruire il perimetro verticale del parallelepipedo a base rettangolare in modo che fosse il più rosso o il più blu possibile. Il compito veniva reso complesso dall’introduzione di alcune regole combinatorie nascoste che normavano la relazione fra i blocchi, rendendo quindi possibili solo certe combinazioni. Le regole variavano a ogni nuovo problema e i soggetti, pur non conoscendole, sapevano tuttavia che erano in funzione ed erano diverse da quelle del problema precedente, e veniva chiesto loro di trovare la soluzione ritenuta migliore ponendo il minor numero possibile


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