Firenze Architettura 1999-1

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ARCH Lire 12.000 rivista semestrale anno III n. 1

UniversitĂ degli Studi di Firenze - Dipartimento di Progettazione dell'Architettura

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ARCHITETTURA E AMBIENTE: RILIEVO E DOCUMENTAZIONE


Dipartimento di Progettazione dell’Architettura

Direttore Carlo Chiappi

Sezione Architettura e Città Professori Ordinari Gian Carlo Leoncilli Massi Loris Macci Piero Paoli Professori Associati Giancarlo Bertolozzi Andrea Del Bono Alessandro Gioli Marco Jodice Maria Gabriella Pinagli Mario Preti Ulisse Tramonti Ricercatori Alberto Baratelli Antonella Cortesi Renzo Marzocchi Enrico Novelli Valeria Orgera

Sezione Architettura e Contesto Professori Ordinari Roberto Maestro Adolfo Natalini Professori Associati Giancarlo Cataldi Carlo Chiappi Stefano Chieffi Benedetto Di Cristina Gian Luigi Maffei Guido Spezza Virginia Stefanelli Paolo Vaccaro Giorgio Villa Ricercatori Carlo Canepari Gianni Cavallina Pierfilippo Checchi Piero Degl’Innocenti Maurizio De Marco Serena De Siervo Grazia Gobbi Sica Carlo Mocenni

Sezione Architettura e Disegno Professori Ordinari Emma Mandelli Professori Associati Marco Bini Roberto Corazzi Domenico Taddei Ricercatori Maria Teresa Bartoli Alessandro Bellini Gilberto Campani Marco Cardini Carmela Crescenzi Marco Jaff Enrico Puliti Michela Rossi Marco Vannucchi

Sezione Architettura e Innovazione Professori Ordinari Antonio D’Auria Giuliano Maggiora Professori Associati Roberto Berardi Alberto Breschi Remo Buti Giulio Mezzetti Ricercatori Lorenzino Cremonini Paolo Iannone Flaviano Maria Lorusso Pierluigi Marcaccini Marino Moretti Vittorio Pannocchia Marco Tamino

Altri docenti Professori Ordinari Aurelio Cortesi Maria Grazia Eccheli Rosario Vernuccio Paolo Zermani Professori Associati Paolo Galli Bruno Gemignani Mauro Mugnai Fabrizio Rossi Prodi Assistenti Ordinari Vinicio Somigli

Personale Tecnico Coordinatore Tecnico Giovanni Pratesi Funzionari Tecnici Giovanna Balzanetti Massimo Battista Enzo Crestini Mauro Giannini Paolo Puccetti Assistente Tecnico Edmondo Lisi Operatori Tecnici Franco Bovo Laura Maria Velatta

Personale Amministrativo Funzionario Amministrativo Manola Lucchesi Assistente Contabile Carletta Scano Assistente Amministrativo Debora Cambi Gioi Gonnella Operatore Amministrativo Grazia Poli


ARCH IITETTURA TETTURA

FIRENZE

1. 99 d o s s i e r Periodico semestrale del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura via Cavour, 82 Firenze tel.055/2757721 fax. 055/2757720 http://www.unifi.it/unifi/progarch/

Sommario

Emma MANDELLI Presentazione

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Anno III n.1 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4725 del 25.09.1997 Prezzo di un numero Lire 12.000 Abb. annuo Lire 20.000

Marco BINI Documentazione e rilievo per lo studio dei beni culturali

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DIRETTORE

Alessandro BELLINI Dalle città invisibili alla città visibile

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Michela ROSSI L’architettura del sistema territoriale

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Emma MANDELLI Disegnare il paesaggio

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Marco VANNUCCHI Architetture del verde nello stato delle sei miglia: le ville gentilizie lucchesi e il loro territorio

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Enrico PULITI Architettura storica e documentazione: un problema metodologico

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Carlo Chiappi

DIRETTORE RESPONSABILE Marino Moretti

COMITATO SCIENTIFICO Maria Teresa Bartoli, Roberto Berardi, Marco Casamonti, Carlo Chiappi, Marino Moretti, Paolo Vaccaro

COMITATO EDITORIALE Eugenio Martera, Enrico Puliti

REDAZIONE Alessandro Bellini, Marco Bini, Roberto Corazzi, Enrico Puliti

INFO-GRAFICA E FOTOGRAFIA Massimo Battista

DTP Laura Maria Velatta

COORDINATORE TECNICO Gianni Pratesi

Marco CARDINI Il centro religioso di Firenze dal tardo antico al Rinascimento il ruolo del disegno e la progettazione inversa 40

COLLABORATORI Massimo Bianchini, Roberto Corona

Roberto CORAZZI Il coro della Cattedrale di Santa Maria del Fiore

46

Domenico TADDEI Riuso e riqualificazione dell’architettura fortificata

52

Maria Teresa BARTOLI Disegno, rilievo e analisi metrologica

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PROPRIETÀ UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

Gilberto CAMPANI Le griglie ortogonali nella composizione architettonica

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PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE

Marco JAFF L’astrolabio del Brunelleschi. Ragionamenti per un’ipotesi non ancora del tutto provata sulla scoperta della prospettiva lineare 70

COPERTINA Eugenio Martera, Laura Maria Velatta

SEGRETERIA DI REDAZIONE tel. 055/2757792 E_mail: progarch@prog.arch.unifi.it.

E AMMINISTRAZIONE

Questo numero è stato curato da Marco Bini

Centro Editoriale del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Fotolito Saffe, Firenze Finito di stampare nel Gennaio 1999 da Arti Grafiche Giorgi & Gambi, viale Corsica, 41r Firenze

Carmela CRESCENZI Stereotomia. “Scienza del taglio dei solidi”

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nel prossimo numero di FIRENZE

ARCHI T E T T U R A FIRENZE

ARCHITETTURA :

DOSSIER ARCHITETTURA E CITTÀ

2. 99 d o s s i e r

Contributi di: Alberto BARATELLI, Giancarlo BERTOLOZZI, Antonella CORTESI, Andrea DEL BONO, Alessandro GIOLI, Marco JODICE, Gian Carlo LEONCILLI MASSI, Loris MACCI, Renzo MARZOCCHI, Enrico NOVELLI, Valeria ORGERA, Piero PAOLI, Maria Gabriella PINAGLI, Mario PRETI, Ulisse TRAMONTI

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A M B I E N T E:

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Questo numero della rivista ha origine da comuni interessi disciplinari confluiti all'interno della sezione Architettura e Disegno del Dipartimento. L'insieme degli studi qui pubblicati - animato e ordinato in modo da formare una connessione di intenzioni intorno a temi decisivi per l'architettura della città - è concentrato su un'area di confronto indubbiamente ampia, ma ben riconoscibile: quella della Rilevazione e della Rappresentazione del costruito. Senza chiudersi o delineare un unico e definitivo profilo, l'analisi propone una serie di documenti ed investigazioni sull'esistente sia rigorosamente costruita su protocolli di lettura - atti a fornire un quadro sistematico sui caratteri di un manufatto e dell'ambiente di cui fa parte - sia per campioni indagati mediante un procedimento di tipo logico deduttivo (che diviene via via metodo-logico). E se da un lato si fa il punto su un dibattito ormai maturo che ha fecondato interessanti iniziative didattiche e di ricerca negli ambienti universitari più avanzati (basta scorrere le note, in cui si rimanda a pregevoli studi apparsi in Italia), dall'altro il contributo teorico degli autori - coscienti di lavorare dentro il mezzo e con i suoi propri mezzi - sembra costituire il momento di una riflessione in progress, quasi la presa di coscienza di una situazione nuova in cui si dibatte l'eterno e ambiguo legame tra disegno, rilievo e verità della Rappresentazione. Il Rilievo era sempre restio a qualsiasi espediente: non inventava, era l'autentificazione stessa e subordinava il senso a codici e tecniche di restituzione prestabilite, apparentemente neutrali; ora compone insieme sistemi diversi di misurazione che consentono di sovraesporre il dettaglio, elabora e/o simula modelli digitali che offrono la possibilità di una lettura continuamente rivedibile e permettono di interpretare e stratificare le proprietà del manufatto senza appesantire inutilmente il calcolo e la rappresentazione. Questa dimensione iperreale ed insieme virtuale del Rilievo eccede a tal punto il Disegno che lo scambio dei ruoli diviene di una ricchezza e di una sottigliezza affascinanti a dispetto dell'opacità del mezzo, anzi talvolta grazie proprio a quell'opacità. Appare qui in tutta evidenza come i territori del Disegno e del Rilievo si stiano sempre più contaminando dal di dentro e dal di fuori. Decifranti, formalizzanti o tautologiche, le vie del Rilievo sono anch'esse finalmente destinate a svelare sensi "altri", a mostrare il fine anziché il mezzo, il bersaglio invece della freccia, perché il lavoro di lettura che vi è implicato non è più solamente un atto di fedeltà all'essenza del manufatto; non sospende più il Disegno (e il Giudizio), ma lo "provoca" e lo fa agire quasi istantaneamente, pur liberandolo da un mondo personale di umori e di travestimenti. Impresa, questa, della quale i rilevatori testimoniano criticamente la difficoltà e la necessità. Forse la modernità del Rilievo comincia proprio là dove il conflitto col Disegno si è inflesso facendosi ritorno perpetuo, stabilendo continue catene di equivalenze, riaprendo il processo di analisi; designando, cioè, il "passaggio" tra il tempo della conoscenza del testo, analitico e diacronico (ciò che è e ciò che è stato), quello dell'interpretazione (ciò che potrebbe essere), allusivo e metaforico e quello della ri-costruzione, logico e deduttivo (ciò che dovrà essere ). (Marino Moretti)


P R E S E N T A Z I O N E

EMMA MANDELLI Il binomio “Architettura e Disegno” appare scontato ai più per l’aspetto strumentale del mezzo grafico nei confronti dell’Architettura. Viceversa la connessione fra le due parti in causa è tale da rendere ardua la scissione critica dei rispettivi contenuti filosofici, ontologici e generatori della forma. Disegnare, come è stato scritto, significa oggettivare una immagine soggettiva, assegnarle un limite, uno spazio, una forma, etc. e, al contempo, lo “strumento disegno” è creato dal segno o meglio dai sistemi di segni che nascono dalla verifica e dal raccordo tra l’esperienza dell’autore e l’esperienza comune Questi aspetti, seppur molto sintetici e parziali, chiariscono il concetto di disegno quale un architetto lo intende: strumento primigenio per conoscere, per analizzare, per comunicare le proprie idee, per elaborare ed entrare semanticamente e costruttivamente nelle forme ed infine per rappresentare attraverso codici conosciuti. Nella funzione descritta si scorge anche un senso più profondo: la materializzazione di un complesso lavoro di memoria, di assemblaggio di significati figurativi-filosofici, di simbolo e manifestazione di una filosofia del progetto che in parte resterà nella sostanza dell’opera finita. Tutto questo per il progetto, ma sarebbe un pensiero incompleto se non risalissimo all’origine delle possibilità descritte. Infatti è proprio nel guardare, nel documentare, nel disegnare le opere esistenti che la mente sintetizza e affina le proprie capacità “colte” e solo con un progressivo lavoro di apprendimento, complice il disegno, riesce a restituire con cognizione di causa il “documento” (unica vera memoria dell’esistente) tratto dall’architettura, da un luogo, da un paesaggio. Allora il binomio “Architettura e Disegno” non vuole perimetrare un campo strettamente applicativo. Viceversa vuole indicare la metodologia e la strumentazione, a questa omogenea, per indagare due momenti peculiari della progettazione: la conoscenza (di ciò che esiste e di ciò che è in noi); la scelta (da comunicare per dar luogo al processo creativo). I saggi qui riportati sono la testimonianza di alcune sperimentazioni di ricerca, le quali, seguendo percorsi metodologici e obiettivi diversificati, hanno in comune il linguaggio del mezzo grafico usato per documentare al fine di possedere nella memoria oggettiva la realtà esistente nella sua complessità storica, formale e progettuale.

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To conserve you need to study what has reached us and what we are called to operate on. The architectonic heritage graphic documentation becomes a fundamental staging area in the cognitive phase, effective support for best use and conservation. The graphic analysis and the structure study of technique construction, as building materials knowledge and utilization knowledge, give indications for a correct comprehension of the manufacturing. The architectural measurements is then fundamental for correct knowledge of forms, functional organization and consistence before embarking upon any kind of operative situation. Quality knowledge of manufacturing and place relief becomes a important moment during the planning routine , to manage to modify correctly and consciously, as the architectural was gave to us originally. This is the direction that studies are following.

DOCUMENTAZIONE E RILIEVO PER LO STUDIO DEI BENI CULTURALI Marco Bini Il contributo che la rilevazione e la rappresentazione possono dare alla conoscenza del patrimonio architettonico e ambientale non è certamente limitato e parziale. Al contrario è spesso determinante per una reale comprensione delle trasformazioni formali avvenute nei secoli. Credo sia indiscutibile che, dopo anni di dibattiti, mostre e interventi sperimentali, si debba riconoscere al patrimonio storico/ architettonico e paesistico/ambientale un preminente valore universale tale da considerarlo un bene dell’umanità di cui ognuno debba considerarsi depositaria e responsabile nei confronti delle generazioni future. Ne consegue un impegno incondizionato verso la tutela e la valorizzazione di questo patrimonio culturale che millenni di storia hanno consolidato e tramandato. La salvaguardia del territorio, con tutte le sue architetture, i suoi centri, i suoi paesaggi, è senz’altro un bisogno primario, una necessità che né l’individuo né la collettività, possono trascurare. Da queste considerazioni nasce in primo luogo la necessità di conoscere sempre più da vicino gli oggetti, le forme, le cause e le ragioni del loro essere stati e del loro organizzarsi attuale. In questo senso la documentazione grafica del patrimonio architettonico ambientale, diviene una tappa fondamentale della fase conoscitiva, supporto efficace alla conservazione ed alla miglior utilizzazione del patrimonio stesso. Per conservare occorre, infatti, studiare a fondo ciò che ci è stato tramandato e su cui si è chiamati ad intervenire. Senza avere la pretesa di esplorare criticamente l’ampio dibattito che da anni si svolge sull’argomento “beni culturali”, credo sia doveroso sottolineare quali siano gli aspetti fondamentali del problema, nel momento in cui ci poniamo l’obiettivo di indagare e documentare col rilievo il patrimonio culturale, se pure nel solo settore dei beni architettonici e ambientali. Come il concetto di monumento anche quella di bene culturale ha avuto negli ultimi decenni una notevole evoluzione, andando ad interessare direttamente sedimentazioni e stratificazioni di un territorio nel quale “l’opera di umanizzazione è giunta nei secoli a dei livelli di così intima, indistricabile presenza, da non poter essere più “catalogata” come divisa, oppure disciplinarmente separata, ma piuttosto letta nelle sue sostanze dinamiche di organizzazione, evoluzione e sviluppo”1. Il concetto è stato esteso, negli ultimi anni, ad architetture e attività fino ad oggi ritenuti secondari e come tali trascurati; estensione che permette di considerare il bene culturale non come presenza qualificata di cui venga privilegiato il solo valore estetico o artistico, ma quale elemento coerente alla cultura che lo ha generato e strumento da utilizzare, in quanto portatore di segni significanti, per la comprensione della realtà ambientale, sociale ed economica in cui gravita e che spesso è il risultato di una lenta e misurata integrazione storica. In questo senso va cercata la possibilità di creare un quadro sistematico di conoscenza della vita passata e presente dell’oggetto studiato, superando la pura concezione del rilevamento documentario di situazioni e interpretando i processi in atto al fine di fornire criteri per accrescere la capacità di comprensione e d’intervento su ogni aspetto della realtà architettonica.

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Figg.1,2 - Frigidarium delle Terme romane di Massaciuccoli - Lucca. (Rilievi di Ilaria Andreazzi). Un’attenta misurazione ed una restituzione non solo bidimensionale rendono esplicite le peculiarità prettamente archeologiche dell’oggetto. Nel prospetto minuziosamente misurato e rappresentato in scala 1/20, attenzione è rivolta alla tessitura muraria dove sono più o meno chiaramente visibili le trasformazioni e le manomissioni subite nei secoli, proprio tramite il confronto dimensionale dei vari tipi di laterizio utilizzati. (Le riproduzioni fotografiche dei disegni sono di Enzo Crestini)

Per contribuire alla definizione di questi criteri credo sia necessario anticipare alcune considerazioni preliminari. Umiltà e rispetto con cui ci si accosta ad un monumento e continua obiettività di osservazione dei dati, devono accompagnare le varie fasi della ricerca, intesa come mezzo e fine per la conoscenza del manufatto, che non deve basarsi su schemi fissi o teorie preordinate, siano esse di natura tecnica o critica, ma deve cercare di indirizzare le proprie indagini al fine di un’obiettiva definizione degli aspetti della conoscenza. Tutto ciò è perseguibile mediante una serie d’operazioni interrelate fra loro e la cui sommatoria non potrà che portare ad avvicinarsi sempre più alla conoscenza del manufatto, nei suoi molteplici aspetti formali, materiali, esistenziali, passati e presenti. La documentazione grafica deve in quest’ottica superare il semplice valore di illustrazione per tendere alla soluzione di problematiche specifiche, divenendo essa stessa documento da leggere e interpretare. La fotografia riveste inoltre un ruolo molto importante nella documentazione, anche quale strumento per la misurazione e la determinazione di componenti dell’apparecchio murario. Fig. 3 - Complesso architettonico di presumibile origine longobarda a Sant’Angelo a Raggiolo - Arezzo. (Rilievi di Francesca Finetti). L’organizzazione della trama muraria, analizzata nelle singole unità stratigrafiche individuate e rilevate tramite raddrizzamento fotogrammetrico, è evidenziata con chiarezza direttamente sull’immagine fotografica ridotta a prospetto in scala 1/20. Ad ogni unità stratigrafica corrisponde un’accurata descrizione dei materiali usati, della forma e dell’assemblaggio dei singoli elementi lapidei, dello spessore e della qualità dei giunti.

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Fig. 4 - Analisi comparata delle tessiture murarie medievali del Castello di Gressa - Arezzo. (Rilievi di Federico Baldini e Stefano Biserni). La localizzazione, l’immagine fotografica, il rilievo diretto, l’individuazione delle unità stratigrafiche, sono sistematizzate in una scheda grafica che, confrontata con altre simili, da il quadro territoriale di riferimento per la catalogazione delle murature dei castelli medievali del Casentino.

Lo studio delle strutture e delle tecniche costruttive, come l’analisi dei materiali, la loro lavorazione e modalità d’impiego, lo studio dell’apparato decorativo, per se stesso e rapportato con l’edificio, forniscono indicazioni cui non è possibile rinunciare per una corretta comprensione del manufatto stesso. La storia dell’edificio, attraverso la ricerca delle fonti, ma anche attraverso la lettura stratigrafica2 delle sue fasi di modifica, conferiscono “oggettività” alle considerazioni sulla conformazione originaria. L’analisi metrologica3, necessaria per un’esatta definizione delle unità di misura utilizzate e per verifica dell’impianto architettonico, oltre che dell’area culturale d’appartenenza del manufatto, e il proporzionamento4, quale strumento di verifica delle geometrie ma anche ricerca della primitiva idea progettuale, sono due modi di avvicinarsi all’edificio cui non si deve rinunciare. In quest’ottica i beni culturali rappresentano e costituiscono la struttura formale del territorio; nel relazionarsi con questi scattano dentro di noi meccanismi di riconoscimento e di appartenenza ad un luogo fisico, che ognuno legge ed interpreta secondo chiavi di lettura personali, scaturite dall’esperienza, dalla memoria, dal raffronto e dal ragionamento. La rilevazione degli oggetti architettonici in un determinato territorio è quindi uno dei fondamenti per una corretta conoscenza della sua forma, della sua organizzazione funzionale, della sua consistenza, prima di intraprendere una qualsiasi fase Figg. 5,6 - Chiesa di Santa Maria in Borgostrada a Pistoia. (Rilievi di Enrica Capecchi). Un rilievo geometrico morfologico particolarmente accurato e mirato, permette di rileggere modalità di progetto non sempre percepibili. Metrologia e proporzionamento ci aiutano nell’individuare l’idea generatrice possibile, non solo dell’intero impianto, ma anche di particolari architettonici significativi. Il confronto con altri organismi coevi presenti in un’area omogenea (la diocesi) dimostra la permanenza di regole e modalità operative spesso persistenti nel tempo.

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Fig. 7 - Prospetto del castelletto di Montebenichi a Bucine - Arezzo. (Rilievi di Mario Fiori e Stefano Greco). La policromia dei materiali usati evidenzia l’impostazione medievaleggiante del progetto novecentesco che ha stravolto completamente l’originale struttura medievale del castello. In particolare gli elementi goticheggianti risaltano sulla tessitura muraria accentuando il senso di “falso” dell’intera facciata.

operativa di intervento. Risulta evidente la necessità di far precedere lo studio del bene all’intervento sul manufatto. Sarà appunto nei limiti forniti dalle indagini condotte che il progetto di conservazione o di valorizzazione troverà gli spunti per una più esatta determinazione. La conoscenza della qualità del manufatto e del luogo attraverso il rilievo, diviene un momento fondamentale nell’iter progettuale, per poterlo modificare correttamente e coscientemente, o per rivitalizzarlo e restituirlo alla collettività così come concepito e a noi tramandato. Da quanto qui detto risulta evidente però che anche la ricerca di notizie storiche, tendenti a chiarire l’evoluzione dell’organizzazione dello spazio antropizzato e le variazioni del rapporto uomo ambiente, è importante ai fini della comprensione del processo di formazione e organizzazione dei manufatti giunti a noi nelle forme che possiamo direttamente vedere e studiare. Ciò soprattutto allo scopo di individuare e preservare tutti quei valori rappresentati dai beni culturali che, come già detto, sono i primi a scomparire in situazioni di squilibrio. Ricostruire le fasi di una certa organizzazione formale e prendere coscienza delle cause della sua trasformazione attraverso l’analisi dei processi, fatti d’interconnessioni e relazioni fra molti fattori caratterizzanti, è certamente Fig. 8 - Sezione del castelletto di Montebenichi a Bucine - Arezzo. (Rilievi di Mario Fiori e Stefano Greco). Nello studio del manufatto, fortemente trasformato agli inizi di questo secolo, la sezione svela i segreti dell’organizzazione spaziale e dell’apparato strutturale.

9 - Pianta del Castello di Cennina - Arezzo. (Rilievi di Mario Fiori e Stefano Greco). La conformazione del castello è vista nel suo insieme planovolumetrico per un confronto delle tessiture murarie con altri castelli più o meno coevi della Val d’Ambra aretina.

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Fig. 10 - Via Mario Pagano a Trani (Rilievi di Carlo De Pinto. Anche il tessuto cosiddetto minore, contribuisce a dare il carattere del luogo, quel “genius loci” che sempre dovremmo ricercare nel momento del progetto, anche del particolare apparentemente più insignificante Fig. 11 - Pianta del teatro romano di Nora in Sardegna. (Rilievi di Marco Loche e Antonio Fadda). L’uso del colore completa la documentazione del rilievo esaltando la matericità dei resti archeologici.

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12,13 - Plastico ricostruttivo del teatro romano di Nora in Sardegna. (Realizzazione di Marco Loche e Antonio Fadda). Da un rilievo attento alla conformazione generale del reperto ma anche ai particolari architettonici apparentemente poco significativi, è possibile ricavare le informazioni necessarie per una ricostruzione attendibile del teatro.

14 - Prospetto dell’ex Fabbrica Etruria a Compiobbi - Firenze. (Disegni di Valentina Sorgi, Alessandro Veneziani e Filomena Visone). Con l’aiuto di cartografie in scala e vecchie fotografie è stato possibile “ricostruire virtualmente”, anche nei dettagli, le volumetrie di un complesso industriale abbattuto alcuni anni fa, restituendo forma e dimensione ad un oggetto degno di entrare in un catalogo di archeologia industriale toscana. Nei disegni sono riconoscibili i vecchi capannonni con gli elementi di servizio adiacenti.

compito non facile ma indispensabile per un concreto contributo alla conoscenza del nostro patrimonio. In questa direzione stanno andando gli studi che negli ultimi anni abbiamo portato avanti; infatti, all’impostazione dei lavori abbiamo dato un taglio che documentasse ogni edificio o tessuto indagato, in tutte le sue implicazioni formali e strutturali, in modo che la sua documentazione non prescindesse da un’attenta lettura dimensionale e qualitativa che solo il rilievo diretto può dare. E’ altrettanto vero poi che i vari stadi della rilevazione debbano correre su binari paralleli con la conoscenza indiretta dell’oggetto, fornita da notizie storico-archivistiche, e che fra le due linee di ricerca debba intercorrere un profondo rapporto d’interrelazione, è altrettanto vero. In questo quadro, il lavoro fin qui intrapreso, può assumere una concreta utilità.

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A. EMILIANI, Una politica dei Beni Culturali, Torino 1974, p.9. L’applicazione del metodo stratigrafico rimane fondamentale nella ricerca delle trasformazioni edilizie in quanto permette di parcellizzare le varie componenti dell’organismo, per poi ricomporle in un quadro cronologico sintetico. Sull’argomento fra i molti contributi editi si veda I. HODDER, Reading the post, Cambridge University Press, 1986, ed in particolare R. PARENTI, Le tecniche di documentazione per una lettura stratigrafica dell’elevato, sulle possibilià di datazione e di classificazione delle murature, in “Archeologia e Restauro dei Monumenti, Firenze 1988. 3 La definizione dell’unità di misura e l’identificazione degli eventuali rapporti geometrici nell’impianto architettonico sono elementi da considerarsi comunque con cautela, anche se spesso forniscono indicazioni importanti. La loro identificazione, a prima vista affascinante, non deve far pensare alla scoperta della regola, unica ed assoluta, per la costruzione architettonica. La costruzione di una qualsiasi opera architettonica non è, infatti, sempre fedele all’astrazione geometrica posta alla base dell’impianto architettonico, ma risente spesso, con risultati a volte particolari, di tutte quelle modifiche dovute all’uomo stesso che esegue il lavoro, al materiale usato, all’ambiente naturale, e cosi via. Per una prima ricognizione sull’argomento si veda M. DOCCI, D.MAESTRI, Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Bari 1994 4 Oltre a M. DOCCI, D. MAESTRI, cit., si veda la voce Proporzionamento nell’Enciclopedia Universale dell’Arte 2

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Border between sensation, intuition and knowledge is often little perceptible; therefore our existing quality in the contemporary urban cohesion is almost dependent, not only on physical places but also on casual events, occasional or periodic that we can perceive and so they condition our being and mind feelings. The dilemma we get into is: What is more real between contemporary city and what appears in many description? It is possible to get the meanings in what is really visible or we get subjugated on daily gettings? This kind of approach induce to see the city as physical and virtual places that often are not connected with logical organization therefore is a constant adaptation. Still now the terminology used to describe the city (centre/outskirts residence/work houses/infrastructure living spaces/connections) is military and industrial city, and are survival of previous reality.

DALLE CITTA’ INVISIBILI ALLA CITTA’ VISIBILE Alessandro Bellini Il confine tra sensazione, intuizione e conoscenza è spesso assai poco percepibile; perciò la qualità del nostro esistere nella compagine urbana contemporanea è quasi sempre dipendente, più che dai caratteri fisici del luogo, da eventi casuali, occasionali ed episodici che percepiamo e che condizionano tutto il nostro essere di uomini generando in noi stati d’animo differenti a seconda delle situazioni che in quel luogo si verificano di volta in volta. Questo senso della contraddittorietà che ci accompagna nell’esistenza quotidiana all’interno della città è, come dice Italo Calvino,1 “il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina”. Allora ci si pone di fronte un dilemma: nella città contemporanea è più vero ciò che fisicamente è, oppure quello che ogni volta ci appare, nelle sue innumerevoli connotazioni? E’ possibile coglierne i significati oggettivi in ciò che è visibile e razionalizzarne il senso, oppure è ineluttabile l’essere soggiogati dalla sempre più complessa e sorprendente quotidianità? Nei secoli passati, le descrizioni dei viaggiatori hanno sempre percorso il sottile e talvolta ambiguo filo che separa il giudizio in merito alle cose materiali da quello legato alle situazioni; il convincimento dei lettori sui valori positivi o negativi che riguardano gli ambienti descritti è quasi sempre scaturito da fattori più legati alla qualità del testo letterario che non alle qualità intrinseche del luogo. A proposito del nostro Paese, “è nello specchio del Grand Tour che l’Italia assume coscienza di sé: e alla formazione di tale coscienza il contributo maggiore lo portano proprio i viaggiatori stranieri attraverso la loro diretta esperienza.... Fonti letterarie e documenti iconografici si integrano a vicenda e sono agenti essenziali della formazione di una mentalità collettiva”.2 Da quelle immagini si possono dedurre indizi diretti su quella che fu la mentalità con la quale ad essa guardarono i viaggiatori, descrizioni dalle quali traspare evidente il giudizio soggettivo spesso più subordinato a sensazioni derivanti da ciò che appare piuttosto che da una analisi del reale. Ma proprio quelle sensazioni descritte hanno condizionato comportamenti e mosso centinaia, migliaia di altri viaggiatori alla ricerca di identità diverse che potessero consentire loro di scoprire la propria dimensione esistenziale. Proprio in un’epoca in cui, stante la diffusione capillare dei mezzi d’informazione, ci si avvia sempre più verso una mondializzazione dei caratteri culturali dell’uomo, quando sembra ineluttabile che il destino della civiltà occidentale sia quello di scomparire sotto la spinta di migrazioni bibliche che, con tutta probabilità, porteranno in un futuro prossimo alla formazione di nuove società multietniche, forse proprio per questo quella somma di tutte le meraviglie ci appare proprio e sempre più spesso uno sfacelo senza fine né forma senza però comprendere fino in fondo che proprio il nostro trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro rovina. Allora che fare se tutto è inutile, come dice il Gran Kan,3 “se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale” nella quale

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Fig. 1 - ZIRMA - “… Torno anch’io dalla città di Zirma: il mio ricordo comprende dirigibili che volano in tutti i sensi all’altezza delle finestre, vie di botteghe dove si disegnano tatuaggi sulla pelle dei marinai, treni sotterranei stipati di donne obese in preda all’afa. I compagni che erano con me nel viaggio invece giurano d’aver visto …” Fig. 2 - VALDRADA - “Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive d’un lago con case tutte verande una sopra l’altra e vie alte che affacciano sull’acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell’una Valdrada che l’altra Valdrada non ripeta …”

veniamo risucchiati dalla corrente? Vi sono due modi “per non soffrirne” gli risponde Marco Polo: uno facile, quello cioè di esserne parte “fino al punto di non vederlo più”, l’altro “è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

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I. CALVINO, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972, (prologo), da cui sono tratte le didascalie. C. DE SETA, L’Italia del Gran Tour - da Montaigne a Goethe, Electa, Napoli, 1992. 3 I. CALVINO, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972, (epilogo). 2

Fig. 3 - ZENOBIA - “...essa sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e ...” Fig. 4 - MORIANA - “... l’uomo si trova di fronte tutt’a un tratto la città di Moriana, con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, ... le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate … l’uomo sa già che le città come questa hanno un rovescio: basta percorrere un semicerchio e si avrà in vista la faccia nascosta di Moriana, una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, … Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva … invece non ha spessore, …”

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Fig. 5 - ZOBEIDE - “… dopo sei giorni e sette notti, l’uomo arriva a Zobeide, città bianca, ben esposta alla luna, con vie che girano su se stesse come in un gomitolo. Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda. Sognarono d’inseguirla.”

Fig. 6 - TECLA - “Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: - Perché la costruzione di Tecla dura così a lungo? - … - Perché non cominci la distruzione, – rispondono. … … Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l’occhio alla fessura d’una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellature che rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. – Che senso ha il vostro costruire? – domanda – Qual è il fine di una città in costruzione se non una città? Dov’è il piano che seguite, il progetto?

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CONOSCERE FIRENZE DA UN INSOLITO PUNTO DI VISTA

città, l’evoluzione dei tracciati viari un tempo percorsi dagli

di Marcella Manco

omnibus a cavalli, poi dai tramvai e oggi dagli autobus, ed

Abitualmente siamo portati a conoscere una città come una

infine occorre comprendere la composizione del tessuto

sommatoria di fenomeni episodici che generalmente corri-

sociale in relazione non solo alla destinazione funzionale

spondono ad ambienti ed opere di architettura importanti,

degli edifici ma anche all’uso degli spazi aperti.

vuoi per motivi di carattere storico vuoi per i loro intrinseci

Arrivare a vedere la città come ha affermato Gabriele Basili-

caratteri dell’architettonico, vuoi infine per talune funzioni

co1 in una recente intervista “...qualcosa di umano: gli edifi-

cui queste opere sono destinate.

ci sono delle persone simpatiche, hanno delle fattezze di

La possibilità di spostarsi da un punto ad un altro della città

sensualità, o si divertono. Anche i luoghi tetri e malinconici

mediante un qualsiasi mezzo di trasporto permette all’indi-

diventano spazi con i quali si può tentare un dialogo. C’è

viduo di carpire i caratteri e le morfologie che identificano la

sempre dietro chi disegna un progetto una dimensione po-

città come continuo storico e sociale.

sitiva. Guardare le cose in un modo o in un altro può far

Quando per motivi di lavoro mio padre doveva soggiornare

scricchiolare alcune sicurezze, alcune competenze: allora

per lungo tempo in una nuova città, appena arrivato aveva

grandi signori ben vestiti possono diventare ridicoli, se visti

una sorta di rituale a suo dire utile da seguire che lui stesso

in un certo modo, e allo stesso modo persone semplici,

definiva una giornata particolare.

umili, possono diventare importanti. Come le fabbriche, che

Si trattava di passare una giornata in autobus o in tram ad

assumono i valori chiaroscurali della luce e diventano forti”.

osservare le immagini che via via scorrevano dal finestrino, in maniera tale non solo da orientarsi in un luogo ignoto ma soprattutto a conoscerlo ad apprezzarlo e ad incuriosirlo.

1

Emanuela De Cecco, Gabriele Basilico, attraverso lo spazio racconto me stesso e quello che penso del mondo, in Flash Art anno XXX n° 203 aprile-maggio, editore G. Politi, Milano, 1997

Questo tipo di approccio induce a vedere la città come una sommatoria di luoghi fisici e virtuali che spesso restano fra loro autonomi e rispondono a logiche organizzative diverse, compenetrandosi e riadattandosi costantemente. Tutto ciò rende la città un ambiente densissimo di funzioni, ma spesso privo di sintassi e di struttura. I termini e le grammatiche che ancora oggi vengono utilizzati per descriverla (centro/periferia, residenza/lavoro, case/infrastrutture, spazi di vita/collegamenti) sono sopravvivenze di precedenti

Fig. 7 - Firenze nord-ovest: stazione dello Statuto

realtà (la città militare, la città industriale, ecc.) Osservare un paesaggio fortemente antropizzato che si presenta come un intreccio fitto e singolare della collina toscana con le colture, la viabilità, gli edifici, all’industria deve avvicinare l’individuo alla comprensione e interpretazione degli aspetti contraddittori che a volte coesistono. Comprendere ad esempio che un’emergenza architettonicoambientale non è solo la bella villa rinascimentale o il grandioso parco settecentesco ma lo è anche una “brutta” industria prefabbricata o un imponente svincolo autostradale. Occorre rappresentare la città visibile cogliendo i caratteri della città a prima vista non visibile: la stratificazione storica, gli antichi borghi lineari ormai conurbati al resto della

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Fig. 8 - Firenze nord-ovest: evoluzione storica del tessuto urbano

Fig. 10 - Firenze sud: lettura del paesaggio collinare

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Fig. 9 - Firenze nord-ovest: individuazione delle specificitĂ urbane


Fig. 11 - Firenze Castello: villa La Petraia

Fig. 12 - Tavarnuzze: i tralicci della stazione elettrica

Fig. 13 - Rovezzano: lettura dei caratteri dell’ambiente

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Survey means knowledge of architecture and its relations with environment and landscape. The same practice is applied from building to territory, with codified ways for extremes. On a large scale; architecture leaves monument meaning to get expression of its determining factors. The cataloguing of homogeneous building nets is a useful geographic unit survey mean. Nets express territory dynamic and landscape transformation. Methodology, requiring systems hierarchical individuation to chose catalougation level, has been applied to religious sistem in Sieve Valley, surveyed until building measurement and comparison. S. Duvernoy identifies landscape elements and historical development of plebal net in Mugello. P. Mancini describes rural settlements of villas and farms in a champion area of the region.

L’ARCHITETTURA DEL SISTEMA TERRITORIALE considerazioni sul rilievo per reti omogenee come metodo di conoscenza e documentazione delle trasformazioni del territorio Michela Rossi Il rilievo esprime l’accezione più vasta della conoscenza del manufatto architettonico nei suoi rapporti con il contesto ambientale, accomunando in un’unica metodologia disciplinare studi a scala molto diversa, che vanno dal singolo edificio alla maggior estensione del rilievo territoriale. Lo stesso termine viene riferito alla restituzione grafica della misurazione architettonica e alla stesura cartografica di quella topografica, individuando una serie di operazioni di conoscenza differenziate che non possono prescindere da interazioni tra le diverse scale, dovute al rapporto di continuità che lega il costruito al territorio. Sia alla scala architettonica che a quella territoriale gli aspetti operativi della disciplina sono stati definiti da procedure che possono essere considerate unificate e che contemplano la misurazione come base della conoscenza scientifica del costruito e dell’ambiente. Nelle sue scale estreme del manufatto architettonico e dell’ambito territoriale, il rilievo dimensionale si manifesta attraverso grafici a scale definite. Nella cartografia queste variano in rapporto alla dimensione e all’estensione dell’area considerata e consentono la lettura degli aspetti evidenziati dall’approfondimento della conoscenza. Nella pratica del rilievo la discrezionalità della restituzione rende necessaria una scelta finalizzata all’uso previsto, che si manifesta in una serie di elaborati tematici nei quali vengono selezionati gli aspetti emersi dallo studio come più importanti. Tra i due estremi, che interessano da una parte gli architetti e dall’altra topografi e cartografi, può essere individuata una dimensione intermedia di rilievo, meno definita negli aspetti metodologici, la cui importanza è destinata ad affermarsi in relazione allo sviluppo di un interesse scientifico per il paesaggio, inteso come espressione mediata tra il territorio e le presenze dell’antropizzazione, cioè del rapporto che si sviluppa tra il costruito e gli elementi naturali, attraverso fattori storici, politici, produttivi e culturali che condizionano le trasformazioni dell’ambiente ad opera dell’uomo. La comprensione di questo rapporto è alla base di qualsiasi conoscenza del territorio, e consente di individuarne le dinamiche di cambiamento, nella cui logica si inserisce il controllo degli ulteriori processi di trasformazione. A scala territoriale l’architettura si presenta come un insieme di manufatti artificiali che costituiscono il principale segno della presenza umana sul territorio. Come ogni elemento ripetitivo, l’edificio perde il significato di fatto unitario e diventa un elemento di un insieme organico di oggetti omogenei costruiti nel paesaggio. Rispetto all’ambiente essi manifestano rapporti di causa-effetto riconoscibili e ripetitivi che determinano la presenza di elementi costruiti simili per destinazione, uso, forma (cioè per architettura in senso lato) e quindi producono la formazione di reti omogenee di edifici, individuabili come una serie di insiemi definiti e sovrapposti tra loro. La loro definizione è legata ai fattori primari della colonizzazione del territorio e della sua organizzazione, quali la conquista, l’insediamento, lo sfruttamento produttivo, il controllo difensivo e l’amministrazione civile-politica; ma attraverso ognuno di essi si può ricostruire la storia della trasformazione del paesaggio. All’interno dei sistemi, organizzati in insiemi chiusi, si riconosce una struttura gerarchica con un numero di livelli variabile a seconda dell’estensione dell’area considerata, definiti da una serie di reti omogenee a maglie sempre più fitte, che fanno capo all’elemento

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dominante del distretto. I diversi sistemi, autonomi nella loro funzione specifica, presentano dei rapporti reciproci che si possono manifestare nella corrispondenza dei poli o nella sovrapponibilità delle maglie, ma che difficilmente producono la coincidenza di più elementi in un unico edificio. La diversificazione dei livelli è correlata all’articolazione geografica e in un qualche modo essa è connessa alla morfologia del territorio; qualsiasi frazione definita in modo unitario presenta i suoi sistemi di insiemi con le loro reti omogenee gerarchizzate, anche se non sempre i contorni degli insiemi coincidono con i segni morfologici del territo-

definizione distretto individuazione sistemi scelta del sistema di riferimento

ricognizione

individuazione struttura riconoscimento reti omogenee scelta del livello significativo

individuazione

inventario elementi omogenei rilievo e catalogazione confronto e lettura

conoscenza

rio1. A volte l’elemento superiore mantiene ruoli caratteristici di quelli dipendenti, appartenendo di fatto a due livelli. All’aumento di complessità corrisponde una gerarchia più articolata, ma ci sono anche sistemi poco gerarchizzati, come quello industriale. Attraverso i confini fisici dell’area passano gli elementi di raccordo tra i poli paritetici di sistemi diversi che individuano e definiscono un sistema connettivo spesso comune. A grande scala l’edificio perde così il significato di monumento contestualizzato che emerge dal rilievo architettonico, per evidenziare la sua importanza in relazione a quei fattori che ne caratterizzano la presenza. Quest’ultima non traspare dal rilievo a scala territoriale, che traspone sul rilevamento topografico una lettura di tipo tematico e individua elementi fisici e concreti quantificabili come intensità o estensione, senza evidenziare in modo diretto il rapporto che esiste tra il costruito e il territorio. Ne deriva la necessità di definire un ulteriore metodo di rilievo a grande scala basato sulla conoscenza generalizzata degli elementi architettonici di una rete, in grado di individuare i rapporti di condizionamento reciproco tra l’architettura e l’ambiente, e di rappresentarlo con modelli sintetici. La schedatura tematica degli insiemi territoriali omogenei del costruito si propone come strumento di rilievo di vaste aree di territorio, delimitate da elementi naturali e caratterizzate da un trascorso storico comune che le connota come regioni unitarie, nelle quali a loro volta è possibile individuare altre unità a scala minore, che corrispondono ai livelli gerarchici inferiori del sistema. Tale tipo di rilievo da una parte evidenzia il rapporto tra l’architettura e l’ambiente, facilitando la lettura della logica delle trasformazioni del territorio, dall’altra permette di approfondire la conoscenza del costruito attraverso il confronto delle

distretto

............. sistema produttivo sistema religioso sistema difensivo sistema insediativo sistema agricolo

sistemi antropici (ambiente costruito) unità territoriale

territorio cellule

morfologia idrografia vegetazione clima ............

elemento dominante

sistemi fisici (ambiente naturale) derivazioni

elementi di base elementi subalterni

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caratteristiche architettoniche dei singoli elementi di una rete. La schedatura deve essere completa rispetto ad un’area di riferimento definita da confini riconoscibili. Essa deve essere basata sulla raccolta di dati omogenei sintetizzabili in un modello schematico, o in una serie di modelli tematici che evidenziano le caratteristiche specifiche dei singoli elementi. Tale organizzazione facilita il confronto reciproco dei poli della rete, facilitando la lettura delle logiche di insediamento e della variabilità architettonica e dimensionale, cioè la diversificazione tipologica e la crescita del modello. La schedatura sistematica degli insiemi omogenei richiede una conoscenza organica dell’architettura dell’insieme che culmina nel rilievo architettonico degli elementi della rete in modo da poter effettuare il confronto su basi comuni per raggiungere risultati scientificamente accettabili. L’operatività induce a prendere in esame un livello gerarchico intermedio: quello superiore fa spesso riferimento ad aree troppo vaste, mentre quelli inferiori possono essere molto frammentati. La schedatura delle pievi del Mugello2 offre un esempio compiuto di lettura della dinamica delle trasformazioni del territorio attraverso lo studio organico di un sistema territoriale che si è affermato coesistendo con i cambiamenti che hanno interessato la regione per un millennio, sino a diventare un elemento di riferimento del paesaggio3. La valutazione del costruito come insieme omogeneo permette di individuare la struttura e l’organizzazione del sistema, la cui trasformazione denuncia i rapporti della popolazione con il territorio. La dissoluzione della rete dovuta all’emigrazione recente della popolazione verso i distretti urbanizzati, sottolinea la perdita del significato religioso/amministrativo del sistema senza lo sviluppo di un ruolo funzionale alla struttura attuale del territorio. Lo studio della rete plebana è iniziato con la individuazione del sistema dell’amministrazione religiosa e dei livelli della sua articolazione gerarchica, sino a definire gli elementi che dovevano essere catalogati e i dati della schedatura vera e propria. I primi sono stati individuati nelle sedi plebane, facenti capo direttamente al vescovo e centri di riferimento dei distretti territoriali dell’organizzazione ecclesiastica, dalla quale erano indipendenti le presenza monastiche regolari. L’indagine storica generale sul ruolo e sulle funzioni dell’istituzione ha chiarito il significato della distribuzione e le catatteristiche dell’articolazione architettonica con elementi peculiari quali il campanile, il fonte battesimale, il cimitero, la residenza del clero e in alcuni casi cripta e chiostro. L’approfondimento contestualizzato ha aiutato a comprende le caratteristiche dell’insediamento nella vallata e il rapporto con gli elementi fisici della stessa. Il numero delle suffraganee, variabile nel tempo, è legato alla consistenza della popolazione ed è indicativo dell’importanza delle pievi. Esse sono state censite come indicatrici dell’estensione del piviere. Su questa base si è proceduto all’individuazione dei collegamenti tra gli edifici, appartenenti a due diocesi diverse, e delle sue fasi di sviluppo e consolidamento, mettendola in relazione con la morfologia del territorio, con le principali direttrici di attraversamento e con la posizione dell’insediamento antropico. L’osservazione rivela la soppravvivenza parziale degli antichi percorsi nei tracciati rurali, evidenziando maglie con tempi di percorrenza costanti. L’organizzazione in una rete di controllo del territorio riflette distribuzione e spostamenti della popolazione nel contado. Le pievi sugli attraversamenti flu-

civitas

cattedrale

viali sono diventate poli di insediamento, quelle di fondazione più recente sono situate all’interno dei centri, mentre nel basso medioevo l’istituzione di nuove pievi all’interno dei centri abitati del fondovalle è un effetto della sua bonifica e

pagus

pieve

colonizzazione, stimolata da fattori politici ed economici; gli spostamenti delle sedi plebali non incidono sul sistema.

vicus

suffraganea

I dati sono stati organizzati in una scheda descrittiva-illustrativa: il testo riassume le principali caratteristiche architettoniche dell’edificio, la tipologia, un regesto storico con istituzio-

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domus

oratorio


ne (ed eventuali spostamenti della sede), costruzione, accrescimenti, trasformazioni e interventi recenti e le fonti documentarie; la parte grafica evidenzia lo schema tipologico, l’inserimento topografico, la planimetria del complesso e lo stato attuale con alcune fotografie. La schedatura è conclusa dal rilievo misurato della chiesa e del campanile, in alcuni casi anche del cimitero, la cui lettura metrologica è servita a individuare lo schema tipologico di riferimento. Il confronto tipologico-dimensionale ha chiarito la variabilità architettonica come effetto della diversificazione e della crescita di un modello comune.

1

Un esempio significativo di questo fatto si trova nelle pievi del Mugello, alcune delle quali sono insediate all’esterno del bacino idrico di riferimento; la spiegazione può essere trovata nel rapporto delle pievi con gli ostacoli geografici posti sotto il loro controllo, che ha determinato l’estensione dei pivieri a cavaliere di questi ultimi. 2 La schedatura delle pievi Mugello e Val di Sieve è stata condotta sulla base degli elaborati prodotti dagli studenti del corso di recupero di Disegno e Rilievo della facoltà di Architettura di Firenze, tenuto dalla Prof. Emma Mandelli nell’anno 1994/95. Per l’approfondimento si rimanda agli esiti della ricerca. 3 Una sintesi dello studio del sistema plebale come elemento di riferimento del paesaggio, condotto da S. Duvernoy nel corso del Dottorato in Rilievo e Rappresentazione del Costruito, si trova nella nota che segue.

LA RETE DEGLI EDIFICI RELIGIOSI NEL PAESAGGIO di Sylvie Duvernoy Le logiche d’insediamento. Nelle zone collinari e di bassa montagna, chiese e pievi si sono insediate sempre in cima ai poggi, o sulla sommità dei promontori. Posizione strategica, certo, ma anche conveniente: i pendii inferiori e spazi pianeggianti a mezza costa rimangono così sfruttabili a fini agricoli o venatori. Per accedere a queste chiese occorre lasciare la rete viaria principale che scorre lungo i fiumi nel fondo delle valli, ed immettersi nella rete viaria secondaria dei sentieri di montagna che spesso si presentano come strade bianche. Il fondo valle del Mugello non è una vasta e uniforme pianura, ma piuttosto una zona pianeggiante erosa dagli affluenti della Sieve. Gli sproni che scendono dall’Appennino diventano morbidi conoidi, e le gole dei torrenti diventano solchi nel terreno, prima di scomparire sulla riva del fiume. In questa conca, le logiche d’insediamento delle pievi e chiese seguono gli stessi criteri che sui rilievi più alti: le troviamo sempre in posizione dominante: sui crinali più elevati, sulle punte dei terrazzi o sull’orlo dei ripiani. Riconoscibilità nel paesaggio. Nelle zone montagnose, e in cima ai poggi, la vegetazione è prevalentemente boschiva: soltanto i campanili sporgono alti abbastanza da creare emergenze nella silhouette della linea d’orizzonte, visibili dalla valle e dalle colline circostanti (segnali intrinsechi). Nel fondo valle invece, la presenza di un edificio religioso interrompe l’orditura dei campi generando intorno a se un nucleo costruito di abitazioni e servizi, ma anche emergenze vegetali specifiche che segnalano la sua presenza.. Oltre alla vegetazione agricola, ordinata e curata dall’uomo, al verde “spontaneo” dei boschetti, alberi e arbusti che crescono lungo fiumi e torrenti, si legge nel paesaggio anche un verde “simbolico”: alberi piantati per arredare i dintorni degli edifici importanti, essenze arboree monumentali, quali cedri per esempio, o filari di cipressi che bordano i viali di accesso ad alcune chiese o pievi, oppure fanno da collegamento con il cimitero annesso (segnali indotti). Il bivio stradale fra l’asse principale che scorre lungo i crinali secondo un orientamento perpendicolare alla Sieve, e il percorso secondario ortogonale che porta verso una pieve o una chiesa attraverso campi e torrenti, viene sempre corredato da un crocefisso, o una croce, come un vero e proprio elemento di segnaletica. Queste sculture religiose sono di importanza variabile, ma grandi o piccole che siano, sono così numerosi da formare sul territorio una seconda rete di architetture religiose: le “micro architetture”: tabernacoli, croci, crocefissi, stazioni di via crucis: oggetti altrettanto ricorrenti quanto i campanili, diffusi in modo regolare e uniforme nel paesaggio (segnali diffusi). In conclusione possiamo notare che due terzi delle parrocchie del Mugello sono oggi “soppresse”… Pertanto la nostra percezione della rete territoriale degli edifici religiosi, dalla ridondanza tipica dei secoli passati, corrisponde ad una realtà sociale e storica superata. Gli edifici sono rimasti: il paesaggio si presenta così come un palinsesto sul quale ogni epoca ha scritto la sua storia senza cancellare gli scritti precedenti.

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Fig. 1 - Vista assonometrica della conca della Val di Sieve. Distribuzione degli edifici religiosi: in rosso sono evidenziate le parrocchie soppresse.

Fig. 2 - Richiami sui crinali presso la Pieve di S. Maria a Fagna

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Fig. 3 - Bivio per accedere alla Pieve di S. Giovanni Maggiore


APPUNTI PER UN RILIEVO DELLA ‘RETE NATURALE’ di Paolo Mancini La ricerca di una metodologia, trova un primo elemento di complessità nella stratificazione storica di elementi, culture e segni rintracciabili nel territorio. In particolare alla costruzione del paesaggio agrario hanno contribuito sia gli episodi che potremmo definire architettonicamente eccezionali, come la costruzione delle Ville, sia gli episodi edilizi comuni come la più capillare rete delle case coloniche. Se poi nell’osservare il territorio ci si sofferma alle tracce che lo compongono, si evidenzia una sovrapposizione di segni naturali e antropizzati; il corso del torrente con il verde arboreo che ne definisce le sponde incrocia spesso i percorsi di attraversamento intercollinare, mentre i percorsi di servizio alle unità poderali disegnano a terra nuovi confini di proprietà e di uso. Lo stesso verde viene differenziato nel significato: da elemento funzionale nell’area cortilizia, a segno territoriale di riconoscimento, come il cipresso, oppure elemento decorativo, talvolta fuori scala, come le sequoie. Per rendere ragione di questi segni il disegno ha a disposizione un repertorio di viste che vanno da quella canonica zenitale, base comune per la ricerca interdisciplinare sul territorio fatta da geografi, agrari, architetti, ingegneri, idraulici, ecc., a quella rapportata alla scala dell’uomo e cioè la visione prospettica, in questo caso paesaggistica. Negli schemi abbiamo documentato come la complessità del paesaggio agrario sia composta da elementi tutto sommato semplici, segni in cui il rapporto fra forma e significato è univoco. E questo, forse, rende ragione di come la nostra percezione del paesaggio diviene oggi percezione estetica, cioè coscienza di una qualità nel disegno e nei segni del territorio agrario.

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The research aims is studying landscape and formal components through drawing. In this intention, it tries to c1assify the constituent elements of the environment through the current terminology and the graphic synthesis. The adopted methodology is tested directly on the Mugello region ( Alto Mugello, Mugello, Val di Sieve) first analysing the landscape in general under two different protocols and using several techniques, CAD included, and then developing the most significant thematic representation both on land and architectural size.

DISEGNARE IL PAESAGGIO Emma Mandelli UNA METODOLOGIA DI INDAGINE Nella ricerca, condotta con gli strumenti scientifici propri del campo figurativo, l’insieme delle varianti e delle invarianti da prendere in considerazione nel paesaggio è tale da richiedere una organizzazione metodologica che riesca ad ordinare e ad assemblare i dati pluridisciplinari in maniera omogenea e trasmissibile. I materiali scientifici elaborati debbono poter garantire la base “tecnica” nelle operazioni di progettazione e conservazione di quel territorio. La “rappresentazione” del paesaggio, o di quanto è opportuno descrivere attraverso un sistema di immagini, non è la semplice trascrizione grafica di una “vista”. Gli aspetti da classificare sono frutto di stratificazioni complesse derivanti non solo dalle conoscenze in campi di indagine specifici ma anche dal loro essere attributi e/o varianti essenziali nei processi di trasformazione continua dell’ambiente naturale e di quello artificiale creato dall’uomo. La ricerca così impostata persegue come fine il mantenimento e riconoscimento della “identità” di un luogo; ne consegue che gli obiettivi, che si pongono come essenziali nella rappresentazione della complessa compagine naturale/artefatto del paesaggio, sono la verifica della qualità e della quantità. La qualità e la quantità debbono essere però concetti applicabili alla realtà fisica in maniera sufficientemente oggettiva attraverso un sistema di segni. Le operazioni di riconoscimento delle emergenze (o evidenze) del contesto e la conoscenza integrata - storica, geografica, idrografica, vegetazionale, antropica etc. - sono la traduzione operativa dei due parametri valutativi. Nonostante la presenza di numerosi studi intorno a questo argomento la nozione di paesaggio è ancora oggetto di molte interpretazioni che possono risultare ambigue nel creare le ipotesi e gli obiettivi per una determinata ricerca. E’ cosa risaputa che la parola paesaggio possiede in sé diverse valenze interpretative, la più diffusa è quella legata all’idea del godimento estetico contemplativo, altra, geografica, fa riferimento ai caratteri tipici sensibili dei luoghi, altra ancora lo definisce ecosistema derivante dalle permanenti interazioni delle sue caratteristiche naturali, faunistiche ed artificiali. In generale in queste classificazioni non si fa riferimento alla fusione degli elementi specifici costitutivi di un ambiente con gli elementi di comunicazione insiti in esso. Il paesaggio interpretato come significante di qualità estetiche, attraverso la lettura dei parametri individuati, assume i connotati necessari per una corretta rappresentazione e permette di stabilire i principi idonei e compatibili con l’ottica della ricerca in atto. Filtrando il pensiero degli architetti sull’ambiente, e separandolo dalle argomentazioni dei geografi, degli urbanisti e degli artisti, si può ravvedere nella definizione “figura del paesaggio” la nozione più rispondente al concetto di impatto visivo del paesaggio stesso. Infatti la parola figura esprime qui l’aspetto doppio di forma del paesaggio, con le sue caratteristiche intrinseche –estetiche e di comunicazione -, e di immagine che lo rappresenta. Nell’adozione e sperimentazione delle possibilità figurative peculiari dei mezzi di rappresentazione usati occorre trovare il

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punto di incontro tra la rappresentazione simbolica (da secoli caratteristica delle planimetrie descrittive) e la rappresentazione reale (legata alle vedute) senza che il prodotto finale si trasformi in una rappresentazione pittorica ma viceversa si avvalga in maniera scientifica del contributo vedutistico della osservazione diretta. I tracciati viari, nei continui interventi di antropizzazione, rappresentano i segni sensibili persistenti e di primaria importanza non solo per la loro funzione precipua ma ancor più per la funzione di memoria incisa sul territorio. La loro presenza ci svela le strategie di insediamento legate agli assetti sociali e politici che si sono avvicendati nel tempo. Le strade, matrici fondamentali per la comprensione di un ambiente, sono anche il luogo naturale dal quale avviene la prima presa di contatto con il contesto panoramico di un sistema organizzato. Il filo conduttore che a terra guida l’osservazione di un paesaggio è infatti il percorso che unisce due punti significativi. Lungo il cammino, o linea di congiunzione, si attua la visione, statica o in movimento, dell’orizzonte percepibile, partendo da un punto fino ad arrivare ad un altro punto (stazione nodale: emergenza, scambio, insediamento). Attualmente la visione aerea e la sua traduzione virtuale informatizzata permettono di osservare dall’alto e conoscere in maniera immediata e continua la morfologia del territorio anche di grandi dimensioni e, con l’uso di programmi adeguati, di cambiare punto di osservazione “navigando”, (secondo il termine tecnico) in tutte le direzioni. La descrizione del paesaggio così elaborata fornisce di sicuro la base indispensabile di riferimento per il controllo dei dati e della metodologia scelta, ma non esaurisce, anche se la simula, la rappresentazione mirata del paesaggio che deve essere accompagnata dall’integrazione qualitativa di altri tipi di visione. Una ulteriore considerazione, che è la premessa a tutti i tipi di analisi e documentazione sul territorio, nasce dalla copiosa narrativa scientifica esistente sull’argomento. Gli aspetti omogenei che sono considerati, dalla maggior parte degli studiosi, il riferimento di base, poiché ordinano con leggi precise l’insieme dei sistemi presenti nel territorio, sono tre: 1) le caratteristiche fisiche-morfologiche del territorio; 2) le caratteristiche vegetazionali spontane e antropizzate; 3) le caratteristiche antropiche stratificate – assetto del territorio; percorsi; insediamenti; reti civili, religiose, rurali - etc. Dall’esame dei dati generali di questa classificazione si può avviare la elaborazione diretta sul campo. Lo svolgimento analitico porta ad un insieme di dati in parallelo che nelle sintesi secondo metodologie interpretative si collegano e si sovrappongono dando luogo ad elaborati puntuali e originali di “lettura grafica”. LA SPERIMENTAZIONE La premessa sulla filosofia del metodo di analisi e della resa grafica vuole spiegare il senso della ricerca, iniziata qualche anno fa ed ancora in atto,1 sulla rappresentazione del paesaggio. Il territorio scelto per la ricerca e la sua sperimentazione è stata l’area del Mugello, una valle a nord di Firenze percorsa da un fiume con caratteristiche morfologiche e insediative notevoli. Le fasi di analisi sono state ordinate su due binari secondo un criterio di contemporaneità: A) indagine storico-cartograficadocumentaria; B) verifica e approccio diretto con i luoghi. L’indagine è stata ordinata in una sequenza di tavole illustrative, in esse sono riportate le letture attente degli elementi geomorfologici e la interpretazione cronologica della evoluzione storica e delle trasformazioni operate dall’uomo nell’area dall’Alto Mugello alla Val di Sieve. I risultati attraverso le tavole tematiche originali mettono in chiaro gli elementi caratterizzanti a scala territoriale, diventando il riferimento per le letture successive. Partendo sempre dalla conoscenza a grande scala di base sono stati sperimentati due tipi di analisi che hanno portato a due metodologie di acquisizione dei dati finalizzati, in ambo i casi, alle elaborazioni di trasformazione, restauro e conservazione del paesaggio esistente. Il primo metodo fonda l’analisi e la documentazione sulla classificazione delle aree per caratteristiche naturali (pianura, valle, pendio etc.) e costruite (sistemi agricoli di coltivazione, distribuzione delle aree, insediamenti etc.) La lettura degli elementi territoriali o ambiti è stata razionalizzata con l’uso di una griglia definita con assi cartesiani opportunamente orientati. Ogni scomparto che definisce anche dimensionalmente le superfici è stato denominato piastrella.

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Una porzione-campione del territorio è stata oggetto di una rappresentazione descrittiva e percettiva, quest’ultima anche con l’uso di viste panoramiche eseguite da posizioni strategiche. A supporto e corredo della descrizione e della sintesi iconica, (di lettura non immediata) sono stati redatti l’abaco degli elementi naturali e l’abaco degli elementi costruiti. (Cfr. M. Incerti, Ipotesi per una lettura del sistema paesistico del Mugello, Figg. 1, 2) Il secondo metodo di indagine è strutturato sulla formulazione di una sintesi del territorio effettuata per mezzo di tre riferimenti geometrici: il punto, la linea, la superficie. La presenza costante nella valle Mugellese del fiume e dei due versanti montuosi ha portato facilmente alla formulazione di un ideogramma lineare (la direttrice segnata dal fiume) intersecato da linee ortogonali secondarie. Gli enti geometrici sono la chiave di lettura di questo percorso collocato nel quadro generale di riferimento denominato palinsesto del territorio. La sintesi, che ordina e astrae desumendole dalle forme reali le trasformazioni e gli elementi paesaggistici, trova la logica lettura nel quadro sinottico finale impostato sugli assi cartesiani. Il tipo di immagine adottato ha nella rappresentazione compiuterizzata un mezzo facile e veloce per la consultazione dei dati. (Cfr. M. Bonaccorsi, Verso una lettura integrata). A lato degli approfondimenti descritti sono stati sperimentati alcuni programmi informatici avanzati che permettono la ricostruzione tridimensionale del territorio e la sua visione dinamica. Sul modello virtuale è possibile riportare nel tempo ulteriori dati, selezionandoli in relazione alle finalità di gestione desiderate, o ricercare i dati già inseriti nella loro precisa localizzazione. L’individuazione e il censimento dei sistemi di insediamento posti strategicamente sul territorio mettono in luce problemi tecnici e di resa grafica per molti aspetti diversi da quelli fino ad ora descritti. La schedatura dei manufatti, inseriti nelle reti civili, religiose o militari, aiutata dalla rilevazione adeguata, rientra per metodologia e resa grafica nell’ambito della rappresentazione a più scale. La metodologia, validamente sperimentata, colloca gli edifici all’interno di un preciso sistema (geografico, naturale e costruito) per poi descrivere graficamente le caratteristiche di ciascuno (tipologiche, formali, strutturali etc). ( Cfr. M. Rossi, L’architettura come sistema territoriale; Cfr. S. Duvernoy, La rete degli edifici religiosi del Mugello: lettura nel paesaggio, Cfr. P. Mancini, Il Paesaggio agrario,). L’insieme delle presenze architettoniche, della costruzione artificiale dell’ambiente e le sue caratteristiche intrinseche determina un vero e proprio ecosistema dell’uomo.2 Nella rappresentazione di qualsivoglia forma un aspetto di grande e significativo interesse è dato dal passaggio di scala che si effettua disegnando un insieme o un particolare ravvicinato. In relazione a questo problema lo studio del centro storico di Scarperia si pone come ricerca delle matrici storiche e analisi dello stato attuale. (Cfr. P. Iacono, Dal territorio alla città. Il caso di Scarperia. Fig. 3). L’analisi scientifica nell’ordinare e classificare il materiale esistente segue un procedimento di penetrazione passando dai sistemi ai sottosistemi per entrare nelle aggregazioni e definire i fattori unitari di partenza (elementi costitutivi). Il primo elemento costitutivo di relazione del territorio è il percorso. Qualsiasi trasformazione di grande o piccola rilevanza coinvolge i percorsi anche se storicamente, fino ad oggi, essi possono essere considerati una delle permanenze primarie. Le finalità che hanno dato il via alla ricerca sul Mugello e alla metodologia scelta, hanno trovato in questo elemento un riferimento fondamentale. La scelta delle “viste” ad esempio ha seguito il filo della via d’acqua, spina dorsale del sistema geografico o le vie trasversali costruite dall’uomo per superare il valico degli Appennini. Le rappresentazioni ordinate per sezioni sono il risultato ottenuto. Il materiale è però volutamente sperimentale, indicativo di un metodo, e non definitivo, nella ricerca di nuovi contributi scientifici, per una messa a punto ancora aperta.

1

La ricerca illustrata brevemente nello scritto è estrapolata da un ampio studio dal titolo. Il paesaggio e le preesistenze nella Val di Sieve – Utilizzo di tecniche avanzate miste per l’analisi e il rilievo dell’esistente costruito/naturale lungo la valle del corso d’acqua della Sieve; dalla sorgente nel Mugello fino alla confluenza nel fiume Arno. La ricerca è Iniziata nel 1994 e il gruppo di lavoro dell’università fiorentina rappresenta l’unità operativa locale nell’ambito della ricerca nazionale (ex 40%) dal titolo “Emergenza Rilievo”, Coordinatore dell’unità di ricerca è la scrivente. Hanno partecipato alla ricerca i docenti facenti parte del collegio del Dottorato di Ricerca in “Rilevo e Rappresentazione dell’ambiente e dell’Architettura” e i dottorandi del IX e X ciclo. La ricerca è ancora in atto. 2 Termine introdotto dall’ecologo inglese A. G. TANSLEY nel 1935. Nell’insieme dei fattori determinati dalla presenza di animali e piante, e che da luogo all’ecosistema, è stato individuato come biotopo l’aspetto fisico e come habitat l’insieme dei biotopi in cui può vivere una specie; quest’ultimo termine è entrato nella terminologia corrente per indicare il rapporto dell’uomo con il suo ambiente.

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UNA LETTURA DEL SISTEMA PAESISTICO DEL MUGELLO di Manuela Incerti Tra i tre sistemi fisici in cui è apparsa suddivisibile la Valle è parso opportuno limitare il campo di indagine ad uno di essi. E’ stato prescelto il sistema chiamato comunemente “Mugello”, che parte dalla fonte della Sieve ed arriva sino al punto in cui il fiume devia il suo percorso tra Vaglia e Dicomano. Scegliendo una adeguata scala di riduzione (1:25.000) sono stati riportati alcuni dei segni caratterizzanti il territorio, al fine di comprendere la presenza e la natura dei vari sistemi di reti (curve di livello, fiumi, torrenti, fossi, strade principali, secondarie, interpoderali, ferrovia, autostrada, centri abitati, castelli, pievi, conventi e ville). Contiguamente sono state realizzate una serie di sezioni nelle quali sono evidenziati gli “sfondi” e cioè le proiezioni dei sistemi montuosi sul piano di sezione. Su tali sezioni sono state sottolineate le emergenze antropiche (castelli, centri abitati, ville, pievi) e le emergenze vegetazionali (boschi, campi coltivati, vegetazione di lungofiume), come primo tentativo di elaborare un sistema di segni la cui semplicità mira esclusivamente ad una migliore comprensione della conformazione del territorio. Sulla medesima area, schematizzata nei suoi tratti essenziali, è stata proiettata una maglia che suddivide il territorio in piastrelle di 1 miglio romano di lato. Le direzioni cartesiane imposte sono quelle indicate dal percorso di fondovalle e dai percorsi di attraversamento dell’Appennino, a loro volta coincidenti con le probabili tracce di centuriazioni romane. Scegliendo, dopo il primo livello di classificazione, di esaminare tra tutti il sistema paesaggistico vegetazionale, si è ipotizzato che i possibili livelli di analisi passino dalla dimensione territoriale, in grado di rilevare interi sistemi vegetazionali, alla dimensione puntiforme della singola specie, l’Ecotopo. Una rupe, il corso di un torrente, un pendio, una valle, possono costituire un ecotopo; l’analisi di ognuno di questi singoli elementi consiste nei rilievi delle associazioni, e cioè dell’insieme delle singole specie, realizzati mediante fotografie, viste prospettiche, abachi del verde, planimetrie e sezioni che raccolgono in maniera sintetica, e soprattutto simbolica, i dati caratterizzanti ogni piastrella. Le singole associazioni vegetali del complesso vegetazionale tendono naturalmente a collegarsi tra loro. Il prodotto dei legami, estensibili anche agli ambiti degli artefatti costruiti dall’uomo, può rappresentare il principio d’ordine che differenzia un sistema territoriale da un altro. (Fig. 1, 2) Fig. 1 - Analisi di una “Piastrella” tipo (disegni Patrizia Iacono, Manuela Incerti)

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Fig. 2 - Analisi del sistema territoriale e del complesso vegetazionale del sistema paesistico del Mugello (disegni Patrizia Iacono, Manuela Incerti)

DAL TERRITORIO ALLA CITTÀ. IL CASO DI SCARPERIA di Patrizia Iacono Il metodo di ricerca territoriale e urbana si avvale dell’apporto interdisciplinare in quanto il territorio è realtà complessa. Procedendo per gradi scalari di lettura è possibile ricostruire i processi tipici di formazione che portano alla costituzione dell’organismo, dell’impianto e del tessuto, fino all’individuazione del tipo, sia esso edilizio, urbano o territoriale. Dalla lettura territoriale, il Mugello emerge come area fortemente romanizzata. Significativa appare, in tale contesto, la presenza di Scarperia, città di fondazione medievale facente parte del programma di costruzione delle Terre Nuove intrapreso da Firenze nel XII secolo. L’interesse si focalizza sulla ricerca di possibili preesistenze romane territoriali e urbane che abbiano influenzato il progetto medievale. L’analisi è condotta secondo il metodo della lettura del territorio nelle sue componenti naturalistiche e antropiche e nella verifica metrologica sul tessuto urbano. Dal montaggio particellare delle planimetrie catastali dei piani terra in scala 1:200 è ottenuto il rilievo urbano, che appare strumento indispensabile. Operazioni di digitalizzazione della planimetria catastale, come di trilaterazione tra fronti strada han-

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Fig. 3 - Scarperia - Planimetria generale: piano terra – Sezione.


no permesso l’ancoraggio degli isolati. Il rilievo diretto di bucature in facciata e delle linee di confine tra proprietà immobiliari sono ulteriore strumento di verifica per il raggiungimento di un accettabile livello di approssimazione alla realtà. Tale base misurata rende possibile il riconoscimento dei caratteri tipologici del tessuto urbano, delle sue peculiarità, consentendo infine, attraverso l’uso della metrologia antica, di formulare ipotesi sulla presenza di possibili persistenze celate (Fig. 3).

VERSO UNA LETTURA INTEGRATA di Mauro Bonaccorsi Data la natura integrata della ricerca si è pensato all’ausilio del mezzo informatico in quanto strumento con grande possibilità di memoria ed elaborazione dati. Gli obiettivi sono stati la ricerca di una tipologia dei luoghi, la individuazione e perimetrazione delle aree omogenee, in definitiva una ricerca finalizzata non solo alla semplice documentazione ma una vera valutazione qualitativa dei luoghi. I contenuti hanno quindi potuto essere elaborati in forma tale da essere letti da più soggetti con un approccio divulgativo o tematico/specialistico. A tale scopo la prima operazione svolta è stata la elaborazione di uno strumento conoscitivo ossia la sintesi attraverso schemi semplici combinabili fra di loro delle caratteristiche di un’area geografica. Gli elementi di riferimento sono stati la linea, la superficie e la griglia. La seconda operazione effettuata è stata quella di suddividere il territorio in una serie di sistemi principali e secondari e in sottosistemi fino a scendere ad elementi più semplici (matrici), combinazioni essenziali di elementi di base. L’applicazione sulla realtà di questi “strumenti” tende a rendere comprensibili le fasi di trasformazione sia naturali che artificiali intervenute nel tempo. Lo studio è avvenuto anche attraverso la formulazione del ”modello” tridimensionale e la “sezione”. La sezione usata con il duplice scopo: - il primo per evidenziare elementi significativi sul territorio, anche falsando i rapporti dimensionali per evidenziare gli elementi salienti; - il secondo per fornire una immagine coerente ed omogenea dei luoghi.

Fig. 4 – Tavola sinottica elementi del paesaggio.

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Cataloguing work was undertook from 1973 by the “Cultural goods” department in now forwarded to about 400 model of villas located in the “stato delle sei miglia “valley ( so named by Arrigo VII at beginning of XIV century). Up to now have been examined specially the historical and stylish meaning related at the handmade, while knowledge of the palace area pertinence has passed in second aspect, so-called “closed”. With the work that has been presented in these notes, we tend to put in evidence the fact of single gardens, real and proper green architecture, must be considered alike the exclusive palace. The means utilized for the research plan, the study of villa’s garden aim, has made use relief measuring techniques and cartographic analysis (even of historical cartographic, land registry and “martilogi” and “terrilogi” realized by singular land-owners); all integrated by geomorphologic characteristic valuation of places and botanical essential observation.

ARCHITETTURE DEL VERDE NELLO STATO DELLE SEI MIGLIA: le ville gentilizie lucchesi e il loro territorio Marco Vannucchi INTRODUZIONE In queste note sono presentate alcune riflessioni preliminari che aprono il discorso sulle valutazioni che dovranno riguardare il complesso del lavoro di catalogazione e rilievo dei giardini delle ville storiche di alcune zone privilegiate della Toscana; i casi che vengono presentati adesso si riferiscono ad un piccolo numero di giardini sopravvissuti allo smembramento delle antiche proprietà terriere, alle ingiurie del tempo o ad una manutenzione disinvolta e casuale. Il territorio in cui sono collocati questi esemplari è quello delle aree agricole storicamente coltivate e delle zone pedecollinari della cosiddetta “piana delle sei miglia” che comprende Lucca e altri quattro comuni prossimi al comune capoluogo. In totale si tratta di 29 esemplari di giardino che illustrano le sistemazioni dei terreni di più stretta pertinenza di varie tipologie di ville: vengono infatti esaminati sia gli spazi verdi di pertinenza di ville fattoria sia gli esemplari più aulici dove la funzione produttiva cede il passo a funzioni più rappresentative per arrivare a prendere in considerazione aree di parco articolate e complesse, come quella della ex villa reale di Marlia, che al suo interno contiene ville minori con i propri terreni di pertinenza (tab. 1). Un discorso ancora a parte meritano i casi particolari: non si possono dimenticare infatti né i cosiddetti “giardini perduti” -ai quali è sopravvissuto solo il palazzo accerchiato di case recenti- né i giardini sopravvissuti al crollo della casa padronale di cui erano un corredo né, infine, il caso dei terreni di pertinenza di costruzioni nate con funzioni non residenziali e successivamente ridotte ad abitazione. La citazione dell’articolazione di queste tipologie nella zona di studio era necessaria per la completezza del discorso anche se alla fine non tutte hanno potuto essere trattate con la necessaria ampiezza per i riflessi negativi che le vicende del manufatto effondono anche sui terreni di pertinenza. AGGREGATI DI VILLE E COMPRENSORI PAESISTICI Nella scelta dei giardini da esaminare si è cercato di tener conto dell’interferenza tra questi episodi monumentali e l’ambiente naturale da cui sono circondati: i giardini censiti sono stati scelti all’interno di aggregazioni di ville che, con la loro presenza fisica, con le relazioni visive che generano, con i manufatti di corredo da cui sono circondate e con la viabilità minore che dà loro accesso, qualificano la forma della struttura urbana di alcuni insediamenti periferici. I comprensori paesistici che sono stati oggetto di studio sono fondamentalmente tre: - una zona pedecollinare extraurbana posta sul versante sud dei rilievi collinari che risalgono verso le Pizzorne e che è compresa all’interno delle frazioni di Marlia, Saltocchio, Matraia; le ville che con i loro giardini sono poste più in basso risultano legate alla struttura urbana dei paesi e delle frazioni che si sono recentemente consolidate con crescita di abitanti, servizi, attività produttive non più legate all’agricoltura; - una zona dove gli insediamenti di villa sono posti lungo una dorsale collinare che dalla zona di S. Alessio risale fino all’insediamento dell’antica pieve S. Stefano: in questo caso la giacitura dei terreni ha maggiore pendenza che a Marlia; a differenza

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Tab. 1 ELENCO DELLE VILLE CENSITE GIARDINI DELLE VILLE DI CUI E’ STATO FATTO UN RILIEVO COMPLETO n°

denominazione

già di:

località

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29

Giardino di villa De Notter Giardino della villa Rossi Giardino di villa di Puccio Giardino di villa Bernardini Giardino di villa Cecchini Giardino di villa Vignocchi Giardino di villa Lazzareschi Giardino di villa Nardi Giardino della villa 4 torri oggi Pera Giardino della villa Pera Giardino della villa Bartoli Giardino della villa Minutoli Giardino della villa Mariti Giardino della villa Masini Giardino della villa Guerrieri Giardino della villa Castelli Giardino della villa Perini Giardino della villa Giurlani Giardino della villa Infante Giardino della villa Martini Giardino della villa Reale Giardino della villa Oliva Giardino della villa Grabau Giardino della villa Butori Giardino della villa Trebiliani Giardino della villa Ada Giardino della villa Cardella Giardino della villa Enrica Giardino della villa Specola

(Sesti, Garzoni) (Burlamacchi, Santini, Montecatini, Nien Werkerke, altri) (Balbani, Garzoni, Dunnet, De Navasquez, ist. Canovia) (Bernardini) (Talenti, Gradi) (Burlamacchi, Micheli, Pagliai) (Antognoli, Campriani, Guidi) (Sergiusti, A. e G. Rinaldi, A. Mansi) (Bernardini) (Controni, Nannelli, Matteucci,Fannechi,Montauti) (Arnolfini, Garbesi) (Tegrimi) (Sbarra, Fascheni) (Mansi) (Busdraghi, Brancoli) (Parensi) (Centurini) (Giurlani) (Albertini) (Martini) (Buonvisi,Orsetti) (Buonvisi, Poniatowsky, Rosselmi) (Diodati,Gualanducci,Orsetti) (Arnolfini,poi villa reale detta villa Sirti) (Torre) (Gambarini, Fabrizi) (Arnolfini, Leonardi) (Cenami) (già osservatorio astronomico)

Gattaiola Gattaiola Vicopelago Vicopelago Vicopelago Massa Pisana Massa Pisana Massa Pisana Coselli Vorno Vorno Vorno Vorno Vorno Vorno S. Michele di Moriano S. Michele di Moriano Arsina Carignano S. Lorenzo di Moriano Marlia San Pancrazio San Pancrazio San Pancrazio Saltocchio Saltocchio Marlia Saltocchio S. Pancrazio

Altre proprietà esaminate dal punto di vista storico ma senza rilievo del giardino 1 2 3 4 5 6 7 9 10 11 12 13

Giardino della villa Terigi Giardino della villa Pollera Orsucci Giardino della villa Cheli Giardino della villa Principessa Giardino della villa Ferri Giardino della villa Del Becchi Giardino della villa Trenta Giardino della villa Gualanducci Giardino della villa Lippi Giardino della villa delle suore Dorotee Giardino della villa Franceschini Giardino della villa Nottolini

Massa Pisana Massa Pisana Massa Pisana Massa Pisana Coselli Coselli Vorno Vorno Vorno Vorno Vorno Vorno

di quelli già citati gli insediamenti di ville costituiscono qui degli episodi edilizi rarefatti e mimetizzati in un ambiente naturale intatto senza dar origine ad aggregazioni urbane di paese o di nucleo abitato o simili; - due zone che sono poste sui versanti nord e nord-ovest dei rilievi collinari dei monti Pisani, unite tra di loro da antichi legami generati dalla viabilità ottocentesca, ancora esistente, e dalle relazioni dovute al sistema dei “bottacci” e alle altre opere idrauliche realizzate per contenere i fenomeni di piena dei corsi d’acqua posti al limite della pianura. L’area insediativa posta più a sud-ovest è quella compresa tra la chiesa di Gattaiola, il centro di Vicopelago e gli insediamenti posti in prossimità della chiesa di S. Michele in Escheto. La zona posta in direzione sud è quella di Vorno e Coselli, dove il sistema delle ville è fuso con gli insediamenti residenziali e produttivi circostanti: in questi luoghi gli episodi delle ville qualificano con la loro presenza antichi percorsi urbani e sono mescolate ai casolari e alle corti rurali che utilizzano il territorio di questa stretta valle con una densità maggiore rispetto ai casi precedentemente citati. RAPPORTI TRA VILLE EXTRAURBANE E SVILUPPO DELLE ZONE AGRICOLE PEDECOLLINARI DELLA CAMPAGNA LUCCHESE Le tracce lasciate da questo sistema di ville nell’assetto territoriale si percepiscono attraverso la comprensione dell’organizzazione attuale di alcune porzioni di aree extraurbane che appartengono al comune di Lucca e a quello di Capannori: in certi casi, infatti, il confine comunale divide in due zone omogenee dal punto di vista ambientale (questa considerazione vale per il territorio della campagna storica sia per quello della collina). I relitti dell’organizzazione del territorio agricolo connessi alla presenza di queste case gentilizie possono essere così brevemente elencati: - in primo luogo devono essere citati gli “stradoni” di accesso alle singole ville: sono gli antichi viali di accesso i cui assi

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dovevano “trapassare” per le due facciate principali del “palazzo in villa”; in certi casi si estendevano per alcuni chilometri procedendo in linea retta dal piano fino all’accesso del villa e proseguendo quindi anche nei terreni agricoli posti alle spalle della casa padronale (fig. 1); - sia nella pianura storica che nel sistema della collina esiste una sinuosa trama di vie, ancora visibile nella cartografia ottocentesca, che si snoda al contorno delle alte recinzioni e dei terreni originariamente proprietà o dominio delle singole ville: talvolta questa rete viaria risulta inselvatichita, ridotta a sentiero o a prato fino al punto di confondersi con i terreni coltivati circostanti; - quando tale sistema viario antico si può ritrovare si scopre che spesso, all’origine, era qualificato da elementi di arredo e di corredo -sia costruiti che di carattere vegetale- posti di preferenza in prossimità degli ingressi delle “chiuse”; - ciò che sopravvive con maggiore frequenza è la vegetazione lussureggiante e qualificante dei giardini che costituisce la più evidente emergenza paesaggistica. Tali sistemazioni vegetazionali sono distinguibili nei confronti della regolare trama delle coltivazioni agricole circostanti formata da olivi e viti; risulta peraltro visibile per la presenza di piante secolari di gran mole anche nei confronti del sistema delle aree boscate che coprono la sommità dei rilievi più alti ed i versanti collinari più ombrosi, esposti a nord; - al contorno degli insediamenti di villa storica esistono ancora ampi terreni coltivabili che sono stati resi tali attraverso un processo di sistemazione della morfologia del territorio ottenuta con la realizzazione di terrazzamenti e di ciglionamenti: i terrazzamenti sono sostenuti da muretti a secco e il materiale lapideo è ottenuto dallo spietramento delle zone coltivabili, i ciglionamenti sono realizzati invece attraverso poggi di terra. Questa ultima sistemazione dei terreni di collina è probabilmente quella più diffusa e si configura anche come il modo per ottenere spazi coltivabili in piano che consente un impatto visivo meno evidente di quello ottenuto con muretti a secco: questi ultimi vengono preferiti in corrispondenza di vie carrabili ed altri percorsi. Per accedere ai terrazzamenti coltivati vi era poi una dovizia di strade campestri e sentieri, fosse per la raccolta delle acque meteoriche, ponticelli, gradonate, cancelli, edicole, pergolati, immaginette, crocifissi, alberi segna confine, ecc. che completavano e specificavano il quadro ambientale. Il loro valore è piuttosto ambientale che monumentale, il materiale di cui sono fatti è povero e deperibile, la loro manutenzione si è ridotta in proporzione alla diminuita sensibilità contempora-

Fig. 1 - Immagine del viale di accesso alla villa Querci a Saltocchio; la strada rettilinea aveva in origine la lunghezza di quasi 6 chilometri e giungeva alle porte della città di Lucca.

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nea per queste tracce di una cultura passata e a seguito della ridotta frequentazione dei luoghi lontani dalle attuali vie di traffico motorizzato. Si tratta però di elementi a cui si deve prestare molta attenzione perché più facilmente possono essere asportati, rotti, dimenticati come le ragioni ideali, simboliche, funzionali che li avevano generati. In sintesi si può sottolineare che come il fenomeno delle corti rurali ha connotato l’insediamento extraurbano della pianura storica, quello delle ville padronali ha costituito la matrice dell’insediamento collinare: entrambi emergono come invarianti strutturali che qualificano il sistema dei beni culturali di una parte consistente dell’area lucchese. INFLUENZA DEL PAESAGGIO NATURALE E AGRARIO NELLA DEFINIZIONE DEL PROGETTO DEI GIARDINI DELLE VILLE GENTILIZIE. La logica della localizzazione delle ville storiche pedecollinari lucchesi risponde a vari parametri insediativi. In via del tutto preliminare si possono distinguere quelli più prettamente ambientali, climatici, geologici o idrogeologici da quelli legati all’economia, al gusto, alla tradizione, alla cultura. Secondo E. Sereni è stata l’organizzazione agraria del paesaggio, finemente articolata in terrazzamenti per consentire di utilizzare a scopo produttivo anche i terreni collinari più acclivi, a suggerire il modello base per la formazione del giardino rinascimentale. Si deve sottolineare che tali terrazzamenti, sorretti da muretti in pietra o da ciglioni in terra, non sono mai stati realizzati completamente in piano: il problema della loro stabilità oltre che alle caratteristiche geologiche del terreno è stato sempre ancorato alla necessità di difendersi dal dilavamento determinato dalle acque meteoriche e dalla necessità di utilizzare il sistema delle acque superficiali: tutte le zone che potevano essere coltivate dovevano avere una certa pendenza sia nel senso del profilo della collina sia nel senso dell’andamento delle curve di livello, in modo da consentire all’acqua di irrorare il terreno senza però determinare fenomeni di ristagno o impaludamento dei suoli, di indebolimento degli elementi di sostegno. Tutto questo insieme di operazioni di base e le coltivazioni che erano legate a questi suoli, resi produttivi in modo artificiale, creava una organizzazione del paesaggio i cui ingredienti si ritrovano e sono resi aulici all’interno delle chiuse delle ville: al vertice di questa organizzazione quasi piramidale c’era il bosco visibile e indispensabile per gli usi di legnatico, quindi si disponevano le aree coltivate a vigneto e le zone olivetate che in certi casi costituivano una integrazione delle aree di interesse forestale, più in basso si articolavano terrazzamenti sempre più ampi sino ai terreni, naturalmente, in lieve pendio che si confondevano con il piano e che erano destinati ai pomari, alle colture cerealicole, agli ortaggi. Invisibile ma presente la trama delle fosse campestri, dei sentieri, delle vie con i loro manufatti di corredo; un sistema di vene vitale e indispensabile che si sta perdendo in modo quasi irrimediabile in proporzione al mutamento dei sistemi colturali e all’abbandono dell’attività agricola. Anche il giardino della villa che sorge sulle pendici collinari si struttura in modo assai simile al paesaggio circostante per rispondere, contemporaneamente, alle esigenze di carattere estetico, a quelle produttive e funzionali, a quelle della stabilità di tutto il complesso: si realizza quindi come una serie di terrazze che degradano lievemente verso il piano e che sono collegate da scalinate, gradonate e vari manufatti costruiti sia di valore ambientale sia monumentale, posti al confine tra una terrazza e l’ altra. Le terrazze accolgono i giardini formali, ma la loro distribuzione e caratterizzazione risente di un programma comune e condiviso di corretta utilizzazione dei comprensori agricoli: a sud i terreni accolgono nelle loro partizioni geometriche anche l’orto, a nord si realizzano le parti più private e fresche del giardino, intorno alla casa vi sono gli spazi “pubblici” e rappresentativi; la cornice del complesso è costituita dalla zona a selvatico che comprende il bosco di più stretta pertinenza della villa confuso talvolta con le aree più naturali circostanti. La presenza dell’acqua costituisce l’elemento di aggregazione di vasti comprensori di insediamenti umani, siano essi semplici case coloniche o ville gentilizie: ai margini di valloncelli vivificati dalla presenza di corsi d’acqua di una certa importanza si dispongono quindi gli insediamenti delle ville che con le loro pertinenze di servizio e casolari colonici determinano la struttura dell’aggregato urbano di una zona periferica.

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LA CATALOGAZIONE DEI GIARDINI DELLE VILLE ATTRAVERSO IL RILIEVO GRAFICO DEGLI SPAZI DEDICATI ALL’OTIUM E ALLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE Nel 1973 la Soprintendenza ai monumenti di Pisa (da cui dipende anche la provincia di Lucca) ha avviato un lavoro di catalogazione delle ville lucchesi che sono ubicate nella vallata dello “stato delle sei miglia” (come fu definito questo territorio da Arrigo VII, ai primi del XIV sec.): questo lavoro ha costituito, a suo tempo, la base per una serie di vincoli ed altre riflessioni territoriali di Piano Regolatore. Il lavoro di catalogazione che fu intrapreso allora si è esteso su circa 400 esemplari di villa di cui sono stati esaminati soprattutto gli aspetti storici e stilistici relativi ai manufatti mentre è stato posto un minore interesse alla conoscenza dell’area di più stretta pertinenza del palazzo (la cosiddetta chiusa); i piani regolatori che furono realizzati nella seconda metà degli anni ’70 andarono oltre e furono poste sotto tutela sia le aree delle varie chiuse sia vasti terreni di pertinenza a destinazione agricola che si trovavano intorno. Gli studi di carattere storico-territoriale e i vincoli conseguenti tesero a conservare infatti, anche gli spazi aperti che dovevano permettere un’ampia fruizione visiva di tutti i manufatti e del loro intorno. Si deve sottolineare peraltro che sia in un caso che nell’altro la finalità del lavoro non comprendeva neppure la catalogazione sommaria degli spazi verdi, men che meno il rilievo dei giardini di queste ville. Il quadro che si viene tracciando in queste note tende invece a mettere in luce il fatto che i singoli giardini, vere e proprie architetture del verde, devono essere considerati alla stregua del palazzo signorile e come tali parte integrante di un unico progetto e di un’unitaria ipotesi di tutela e di recupero. Per procedere in questo senso il mezzo utilizzato dal progetto di ricerca finalizzato allo studio dei giardini delle ville si avvale delle tecniche del rilievo misurato e dell’analisi cartografica (sia delle cartografie storiche e dei catasti ottocenteschi, sia dei “martilogi” e dei “terrilogi” realizzati per volontà dei singoli proprietari). A questa fase del lavoro si accompagnano anche valutazioni sulle caratteristiche geomorfologiche dei luoghi e soprattutto osservazioni essenziali di carattere botanico per la catalogazione delle essenze e sulla loro distribuzione, diffusione e dimensione. Il sistema di restituzione grafica delle ricerche sui giardini storici delle abitazioni extraurbane si basa principalmente sul rilevamento in pianta e in sezione. Le piante dei giardini che vengono realizzate sono solitamente due: viene disegnata una pianta del giardino come se l’osservatore si trovasse a circa un metro di quota rispetto al piano di campagna; in questa pianta si prende nota della trama delle aiuole, della disposizione delle piante di alto fusto la cui specie è individuata per lettera o per numero, sono quindi disegnati in pianta i manufatti di corredo del giardino. Dove la presenza dei manufatti di arredo è particolarmente ricca vengono realizzati degli ingrandimenti su singoli dettagli del giardino (fig. 2). Si realizza anche una pianta del giardino come se l’osservatore si trovasse a circa 15/20 metri di altezza da piano di campagna: questo consente di rappresentare le chiome degli alberi e l’immagine più accattivante di tutto il complesso. Talvolta sono aggiunte le ombre per rappresentare il portamento degli alberi presenti e la loro dimensione (fig. 3). La catalogazione dell’insieme si avvale anche di altri elaborati sono realizzate delle piccole planimetrie nelle quali sono indicate le varie funzioni e le zone in cui può essere suddiviso il giardino, le zone di accesso, quelle di sosta, le principali trasformazioni della forma originaria, gli smembramenti della proprietà e le eventuali addizioni. Alla rilevazione misurata fa da corredo quella fotografica le ville migliori sono state spesso fotografate, ma la fotografia risulta più espressiva quando il soggetto da riprendere è un edificio, ancorché circondato dal verde: il giardino nel suo insieme si fotografa male e sono risultate più espressive ed interessanti le planimetrie disegnate secondo il modo indicato. Il quadro grafico e cartografico si completa con un’analisi storica che tende a recuperare l’aspetto filologico del lavoro: a questo si aggiunge anche una descrizione puntuale delle varie parti del giardino che vengono presentate come se l’osservatore percorresse un itinerario di visita di tutto il complesso e dovesse illustrare ad un uditorio ciò che vede dal punto di vista formale, dal punto di vista botanico, dal punto di vista delle relazioni con l’ambiente e del degrado.

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Fig. 2 - Pianta cosiddetta tecnica del parco e dei vari giardini della villa reale di Marlia; nel disegno sono rappresentate le varie zone del parco, le aiuole, la vegetazione potata in forme regolari, la posizione dei tronchi delle piante di alto fusto, i viali, i corsi d’ acqua e gli elementi di arredo. Le chiome degli alberi sono invece appena accennate per consentire di vedere le sistemazioni al livello dell terreno. I rilievi misurati del complesso sono stati realizzati dalla dott. Elettra Ristori e dal dott. Alberto Secci.

Fig. 3 - Pianta cosiddetta architettonica del parco della villa reale di Marlia; in questo disegno appaiono le masse arboree con i loro volumi e le ombre che proiettano sul terreno. I rilievi misurati sono stati realizzati dalla dott. Elettra Ristori e dal dott. Alberto Secci.

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During architectural relief, methodology rules setting and determination of the work process are extremely important, these rules assume a sort of double meaning: on one hand they become the landmark inside the disciplinary field, and on the other hand they are used on the research of borderline cases or on the study of very relevant scientific subjects. The risk to leave out or even destroy useful information in order to continue the studies of the object surveyed, brings to realize a prudent and severe methodological choice so to compare the architectural appearance to a Cartesian scheme: on vertical direction, the dimensional principles put the object to survey in logical central position of information collecting, while on horizontal direction, on the same dimensional level, the multidisciplinary reality of the object is divided into several partial views, existence reason are so described in a parametric way.

ARCHITETTURA STORICA E DOCUMENTAZIONE: UN PROBLEMA METODOLOGICO Enrico Puliti LA METODOLOGIA GENERALE E L’ANALISI TERRITORIALE Quando si affronta lo studio di un oggetto architettonico la prima distinzione da operare è quella dimensionale. Il tema del rilievo può essere infatti considerato come facente parte di un ambito più allargato, allo stesso tempo contenuto e contenitore: il territorio come parte di un territorio più ampio, l’oggetto del suo ambiente, il particolare dell’oggetto di cui fa parte. Le variazioni di livello dimensionale sono finalizzate alla completa copertura delle esigenze dell’indagine: il livello territoriale, che descrive il rapporto tra l’oggetto e gli oggetti simili o collegati all’interno di una ripartizione del territorio; quello ambientale, che descrive i rapporti che l’oggetto intreccia con l’ambiente che lo circonda e con gli elementi ad esso collegati; la descrizione dell’oggetto in tutte le sue parti; la descrizione dei particolari dell’oggetto o connessi ad esso. Se visualizziamo i livelli dimensionali come un sistema di successioni verticali, necessiterà anche un sistema orizzontale che alla stessa scala permetta di isolare aspetti diversi da quelli formali. Il criterio è quello di considerare l’oggetto da rilevare come composto da una serie di rilievi parziali corrispondenti a parametri da descrivere. Il criterio appena esposto induce a trattare alla stessa stregua aspetti formali ed esistenziali, non attribuendo agli uni o agli altri un ruolo di supremazia, poiché tutti confluenti a dare un’interpretazione generale dell’oggetto. Combinando il criterio parametrico e la teoria dei livelli dimensionali, si ottiene una sorta di diagramma cartesiano, nel quale le ascisse sono rappresentate dai diversi parametri, le ordinate dagli scarti di scala di riduzione ed ogni casella definisce i rilievi parziali, i quali, ricomposti, forniscono l’immagine generale dell’oggetto. L’attuazione di questo modello metodologico permette di limitare l’interferenza della sfera culturale nelle scelte operate in fase di rilievo, riducendo al minimo la perdita di informazioni. L’analisi dell’ubicazione dell’oggetto di studio in un ampio contesto territoriale segnala i rapporti distanziometrici e gerarchici che intercorrono tra l’oggetto stesso e le emergenze territoriali ad esso contigue. Questa fase del lavoro ha una doppia funzione: da una parte permette al lettore di posizionare il manufatto rappresentato dal punto di vista geografico e quindi anche di collocarlo in un ambito culturale; dall’altro spinge l’operatore a definire e spiegare la dislocazione degli elementi presenti sul territorio, e soprattutto la natura e l’entità del loro rapporto con l’oggetto di studio. Una lettura parametrica della realtà del manufatto a questa scala consente di individuare le ragioni morfologiche, storiche e funzionali della collocazione di quello specifico oggetto in quella particolare area territoriale. Tale operazione permette di gettare solide basi per successive interpretazioni degli eventi collegati al manufatto studiato ai livelli dimensionali più dettagliati. Le figure da 3 a 19 sono tratte dall’esercitazione annuale del corso degli studenti F. Felici e F. Giannetti, «Rilievo del Chiostro Piccolo del complesso delle Oblate a Firenze», anno accademico 1996-97. Le rimanenti immagini sono a cura degli autori.

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Contenitore di livello dimensionale

C

PARAMETRI LIVELLI DIMENSIONALI

Livello dimensionale dell’oggetto edificio Rapporti fisici ed umani C

Contenitore di relazioni

S

Sistema attivo

TERRITORIALE

II

AMBIENTALE

III

OGGETTO

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PARTICOLARE

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METODO FASE

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C

Fig. 1 - I livelli dimensionali.

Lettura

1

Mediazione

2

3

4

Fig. 2 - Quadro riassuntivo della metodologia teorica del rilievo. La metodologia può essere schematizzata nel presente diagramma: operando le scelte richieste dallo stesso è possibile posizionare sia l’elaborato che la fase di ricerca nel criterio generale.

Fig. 3 - Esempio di individuazione dell’oggetto di studio e degli elementi contigui su cartografia in scala 1:2000. Fig. 4 - Individuazione su foto aerea dello stesso oggetto nel contesto urbano

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LA SCALA AMBIENTALE E PARAMETRI NON FORMALI di Massimiliano Masci Ogni manufatto architettonico condiziona con la sua presenza l’ambiente che lo circonda, non solo come elemento di connotazione spaziale ma anche come fonte di relazioni non sempre riconducibili alla sfera formale. Definire lo spazio ambientale di un oggetto significa determinare una serie di sub-ambienti che sarebbero privi di significato senza la sua esistenza: la presenza dell’oggetto implica la suddivisione dello spazio in porzioni logiche, una gerarchia dimensionale, dei contrasti cromatici e materici, degli allineamenti tra le parti, dei confronti funzionali e semantici. In altre parole si determina una rete di relazioni il cui confronto dialettico fornisce la percezione di quell’ambiente specifico su cui insiste l’oggetto che si sta studiando ed al quale l’oggetto stesso partecipa. Queste categorie, per l’osservatore non acculturato, si traducono in diversi ‘pesi’ emotivi attribuiti agli elementi recepiti, giudizi non certamente riconducibili alla sfera tecnico-scientifica, ma dipendenti dal tipo di preparazione disciplinare, dalle motivazioni e dalla predisposizione verso gli elementi stessi. La rappresentazione dell’ambiente di un oggetto si risolve nella oculata trascrizione del ‘dialogo’ che l’oggetto inevitabilmente intreccia con gli elementi naturali ed artificiali che lo circondano, ossia, per seguire il ragionamento espresso fin qui, nella

Figg. 5, 6, 7, 8 - Descrizione dei rapporti ambientali dell’architettura: ogni veduta evidenzia un particolare carattere delle relazioni dialettiche tra il manufatto oggetto di studio e gli elementi ambientali contigui.

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descrizione di tutte quelle relazioni che verrebbero a mancare in sua assenza. Generalmente le sole nozioni dimensionali e morfologiche non sono sufficienti a descrivere la complessa realtà di un oggetto architettonico, poiché la ragione d’essere dell’architettura si trova spesso alla confluenza di necessità che riguardano campi disciplinari distanti da quello strettamente architettonico-formale. Per descrivere esaurientemente i valori spaziali di un manufatto architettonico occorre introdurre nuovi aspetti, più o meno direttamente legati al fattore temporale, alla quarta dimensione, che esprimono le motivazioni funzionali, storiche e tecnologiche che hanno conformato l’oggetto architettonico come noi oggi lo vediamo. In sostanza si tratta di indagare non soltanto il «come» ma anche il «perché» del manifestarsi di un oggetto, considerando l’architettura come un testo ricco di rimandi e di indicazioni sulla cultura di chi lo utilizzava o lo utilizza. Lo studio e la rappresentazione di tali aspetti offrono una registrazione esauriente di tutte le qualità extradisciplinari riguardanti l’oggetto in esame, ridotte ad una forma confrontabile con i dati dimensionali e formali. Tali operazioni devono essere controllate da un adeguato strumento metodologico, che codifica i passaggi per ottenere una lettura parametrica ed affida al destinatario del rilievo il compito di ricostruire il quadro sinottico della realtà del manufatto mediante un intervento attivo sui dati simile, ma contrario, a quello necessario alla percezione.

Fig. 9 - Graficizzazione con ausilio di cartografia antica delle principali modificazioni che il manufatto ha subito nel tempo. Figg. 10, 11 - Analisi dei parametri funzionali in relazione alla utilizzazione storica ed attuale.

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IL RILIEVO E IL PARTICOLARE di Beatrice Naldi Dopo aver analizzato le relazioni che intercorrono tra l’oggetto studiato ed il contesto ambientale in cui è inserito, si procede alla realizzazione degli elaborati finalizzati alla rappresentazione di quest’ultimo così come è articolato nelle sue parti ed ai vari livelli, fase dell’indagine che corrisponde al terzo livello dimensionale. Nel livello precedente, al fine di definire esternamente il tema architettonico, si è utilizzato il metodo della poligonale esterna: tale operazione consente non solo di fissare i rapporti dimensionali che compongono la geometria dell’oggetto d’indagine, ma permette anche di conoscere la distanza di quest’ultimo dagli elementi contigui. In questa fase la misurazione in pianta viene eseguita con il metodo delle quadrilaterazioni che permette, attraverso la sesta misura, quella in eccedenza, il controllo e la correzione degli errori che si possono verificare in sede di ripresa. Talvolta, a

Fig. 12 - Particolare della pianta 1:50: il rilievo. Fig. 13 - Particolare della pianta 1:50.

Fig. 14 - Spaccato assonometrico del chiostro. Fig. 15 - Sezione longitudinale del chiostro.

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Fig. 16 - Sezione trasversale dell’oggetto rilevato.


titolo precauzionale e di ulteriore controllo, può essere utile prendere delle misure che mettano in relazione più quadrilateri, magari assimilabili ad ambienti diversi del medesimo oggetto architettonico. Procedendo nello studio dell’oggetto architettonico, si arriva ad affrontare il quarto livello dimensionale: il particolare. Si scelgono più elementi significativi e rappresentativi e si indagano nei loro aspetti dimensionali, formali e strutturali. Diminuisce la restituzione in scala e di conseguenza l’indagine si focalizza, a mano a mano che si procede, su un quadro sempre più ristretto, ma più dettagliato ed analitico. Dopo aver realizzato schizzi proporzionati, sui quali saranno presenti tutte quelle notizie utili, nonché necessarie per la puntualizzazione dell’elemento ‘raccontato’, si riporta su di essi il rilievo. In alcuni casi, come quello specifico dell’esempio proposto nelle immagini in basso, si può utilizzare, per una parte della misurazione, uno strumento chiamato profilografo o più semplicemente un filo di stagno: quest’ultimo viene posto sul profilo del basamento della colonna o del capitello e, modellandolo, ne rimarrà impressa l’esatta forma. In seguito questo rudimentale strumento di rilievo si appoggia sul foglio e con un lapis viene riportato, in scala 1:1, lo skyline desiderato. Necessaria, in questa fase dell’indagine, risulta essere una precisa caratterizzazione materica ed una puntuale analisi dello stato di degrado dell’elemento. Un’opportuna rappresentazione grafica diviene così il mezzo indispensabile per trasmettere un insieme importante di notizie completate, in seguito, da un’appropriata scelta cromatica.

Fig. 17 - Pianta e prospetti di una colonna, particolare del chiostro. Fig. 18 Il capitello, particolare. Fig. 19 - Veduta assonometrica del fronte interno di una colonna del chiostro. L’elemento architettonico è sempre riportato con il suo ‘contorno’: importantissima è la contestualizzazione nel microambiente che contiene l’oggetto rilevato e che rappresenta la sua unica realtà.

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The problem about the origin of the baptistery of San Giovanni, the ancient and demolished Basilica of S. Reparata in Florence is still open nowadays. Marco Ciardi expose in this communication the methods and results of multidisciplinary researches about genesis and development of the Religious Florentine Centre pubblied in “Il bel San Giovanni e Santa Maria del Fiore” volume. The method of research used, tries to blend in different aspect the ancient architecture, from the analysis of archaeological excavation to the plan technology, from construction technology at the building site and from historical liturgical evolution at the reading of urban genesis in the Religious Centre of Florence. A historic architectural and urbanistic journey of thousand years from the palaeochristian period until the ending of Santa Maria del Fiore cathedral.

IL CENTRO RELIGIOSO DI FIRENZE DAL TARDO ANTICO AL RINASCIMENTO IL RUOLO DEL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE INVERSA1 Marco Cardini Sono note le diverse posizioni culturali sull’origine del Battistero fiorentino: dalle antiche certezze di un impianto tardo romano alle ottocentesche convinzioni di una costruzione romanica. Il dibattito ha subito una notevole accelerazione in questi ultimi decenni quando sono stati resi noti i primi risultati degli scavi effettuati fra il 1969 ed il 1973 sotto il Duomo e nell’area compresa fra questi ed il Battistero, quando sono emersi i resti archeologici di una basilica paleocristiana, di un dimenticato cimitero medievale ed alto medievale, le fondazioni di un protiro della basilica, oltre a tracce di collegamenti fra la basilica stessa ed il Battistero. Gli ultimi scavi hanno quindi ampliato notevolmente il panorama dei resti archeologici fino allora conosciuti nell’area del centro religioso. La ricerca si è sviluppata sull’ipotesi, da dimostrare, di un’origine tardo-antica del centro religioso. La prima operazione preliminare è stata quella di redigere un accurato rilievo topografico dell’intera area volta ad accertare la posizione reciproca dei tre elementi architettonici in giuoco: Battistero, S. Reparata e la parte basilicale di S. Maria del Fiore, nonché la rilevazione delle quote altimetriche dei reperti archeologici dell’antica basilica, del piano interrato e del calpestio attuale del S. Giovanni e della cattedrale. A questo rilievo sono stati rapportati sia i rilievi archeologici recenti sia quelli eseguiti in tempi diversi a partire dal 1895. Si è ottenuto così una mappa planimetrica esatta sulla quale ragionare ed un complesso di dati utili alle verifiche delle ipotesi formulate. Innanzi tutto siamo convinti che per comprendere la “forma” dei monumenti, specialmente nella loro genesi, essi non possono essere studiati separatamente, e soltanto con un’ottica “disciplinare”. Questo, ovviamente, non significa che l’ottica “disciplinare” non sia necessaria! Si ritiene tuttavia insufficiente a comprendere il senso di certe scelte, specialmente quando oggetto dell’analisi è un monumento che, come il battistero di S. Giovanni, ha una forte carica simbolica. Infatti il Battistero è parte integrante di uno stesso organismo funzionale: il centro religioso. Per questo è legittimo domandarci, qualunque sia il tempo nel quale si ritiene sia stato costruito, quanto la sua forma sia stata condizionata dalla basilica paleocristiana e quanto, il centro religioso nel suo complesso è stato, a sua volta, condizionato dalle preesistenze proprie della città. Questi interrogativi di tipo urbanistico, religioso e simbolico hanno indirizzato la ricerca verso l’analisi della complessa realtà della città, che vuol dire anche storia dello sviluppo urbano, dei suoi abitanti e delle istituzioni che li governano; ma anche quali motivazioni sono state presenti alle origini dei manufatti prodotti e, più˘ in generale, quali cambiamenti abbiano subito sia la società urbana sia la città che ne è stata espressione. Il complesso dei resti archeologici del centro religioso costituiti da reperti di edifici preesistenti agli attuali, hanno messo in luce anche connessioni estremamente significative fra battistero e basilica ad est, e tra battistero ed episcopio ad ovest, nonché a nord dai resti delle fondazioni di antiche mura repubblicane, rigorosamente

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paralleli all’asse S. Reparata-Battistero. Resti che se analizzati nella loro totalità, e contestualmente alle vicende storiche, alla documentazione pervenutaci, alla evoluzione della cultura in generale, compresa ovviamente quella religiosa e liturgica, quella urbana ed architettonica in particolare, possono, suggerirci ipotesi attendibili sia sui singoli monumenti che sulla stessa forma del centro religioso e della città. Nel caso specifico, sulla forma di quella parte della città occupata dal centro religioso e degli spazi aperti ad esso connessi nelle varie fasi che si sono succedute, fino ad assumere la configurazione attuale. Questa angolazione della ricerca è anche consona alla nostra cultura specifica di architetti, quella che è sembrata utile approfondire. Del resto esistono già molte pubblicazioni disciplinari (anche recenti) delle quali ovviamente ci siamo valsi. La copertina stessa del volume pubblicato evidenzia il prevalente interesse urbanistico ed architettonico che ci ha guidato. Per comprendere ogni costruzione della portata del centro religioso, è fondamentale cercare di risalire a ciò che l’ha prodotta: quale esigenza postula? Con quali finalità è stata progettata, realizzata, modificata? L’esigenza di risalire alla committenza vuol dire cercare di conoscere quali istanze religiose e cultuali operavano nel contesto della Chiesa, ciò ha portato al coinvolgimento interdisciplinare di una storica della cultura e della prassi religiosa (la prof. Anna Benvenuti) e di un liturgista (Padre Lamberto

Fig. 1 - Planimetria delle fondazioni del complesso S. Reparata-Battistero e dei resti archeologici murari.

Fig. 2 - Ipotesi ricostruttiva dell’ingresso est del Battistero e del Paradiso (periodo tardo antico). Fig. 3 - Pianta e sezione del Battistero nel periodo tardo antico: ricostruzione e proporzionamento.

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Crociani): i loro contributi sono stati essenziali per la ricerca. Terzo assunto è stato l’indispensabile approfondimento della conoscenza della cultura architettonica ed urbanistica, con particolare riguardo alla cultura del progetto, cioè a quella parte essenziale che precede ed accompagna la costruzione di ogni grande opera architettonica: programma, impegno economico, funzioni, forma, materiali, tecnologia adottata e l’organizzazione di cantiere. Poiché la basilica, Fig. 4 - Ricostruzione ipotetica dell’interno del Battistero paleocristiano. Fig. 5 - Sezione del Battistero paleocristiano che videnzia la struttura e la geometria.

parte essenziale del centro religioso, era di origine tardo antica, si trattava, prima di tutto, di approfondire la conoscenza della cultura che l’ha prodotta, ed in particolare la cultura innescata dal trionfo del cristianesimo e quindi dalla necessità di rispondere, con la costruzione di edifici religiosi, alle esigenze pratiche e simboliche richieste da quella nuova cultura. Così dopo aver redatto la mappa planimetrica del centro religioso, composta dai soli reperti archeologici tardo antichi compreso il battistero (derivata da quella generale) siamo stati colpiti dalla concordanza morfologica tra ciò che appariva nella planimetria e le tipologie di molti centri religiosi costruiti, nel tardo antico, e sparsi nella vasta area dell’impero, a partire dall’età di Costantino (prima metà del IV secolo): forse un caso? Un secondo elemento di riflessione è stato la conoscenza e lo studio dell’ampia documentazione sulle capacità tecniche evolutesi nelle costruzioni tardo antiche, specialmente nella copertura a cupola di grandi spazi a partire da quella del Pantheon di circa 43 mt. di diametro (prima metà del II secolo). Nello studiare le cupole realizzate nel tardo antico, seguendo l’evoluzione che si era prodotta con l’impiego di forme geometriche emisferiche, troncoconiche ed ogivali, abbiamo costatato una singolare assonanza con quella realizzata nel Battistero e, nell’analiz-

Fig. 6 - Proporzionamento del rivestimento esterno del Battistero attuale. Fig. 7 - Confronto fra il Battistero ed il progetto della facciata di S. Maria del Fiore del Buontalenti.

zare la costruzione nel suo complesso, ci siamo convinti che la sua appartenenza alla stessa cultura tardo antica era tutt’altro che da escludere. Un segno rivelatore è certamente il modo di realizzare la cupola disponendo prima la pietra e poi i mattoni (fra l’altro della dimensione del sesquipedale romano) murati a strati pressoché orizzontali e gradualmente sporgendo gli uni sugli altri verso l’interno. D’altronde il progetto di un simile monumento concluso dalla grande cupola (la più˘ ampia costruita in occidente dopo quella del Pantheon fino a quella di S. Maria del Fiore) non poteva nascere dal nulla: certe strutture progettate in modo

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così organico e intelligente, (vedi lo spessore estremamente sottile della volta in rapporto alla sua dimensione geometrica) non si possono improvvisare nè essere realizzate con apporti parziali assemblati sul posto. Presuppone, di contro, la conoscenza di un’ampia sperimentazione precedente su costruzioni analoghe. E’ significativo tuttavia il contrasto stridente che si riscontra tra la raffinatezza progettuale e la sua esecuzione: a partire dalle sprecisioni riscontrate che si verificano nelle diverse dimensioni dei lati dell’ottagono; si riscontrano anche veri e propri aspetti di rozzezza come, ad esempio, la realizzazione delle volticciole di sostegno della copertura piramidale. A nostro parere è significativo, inoltre, che la minor capacità esecutiva cresca via via che la costruzione procede dal basso verso l’alto: un indizio dello scorrere dei tempi gradualmente più˘ difficili nei quali si operava, con un crescere dello iato tra cultura ed esecuzione. Ma i dati ricavabili dal solo esame della costruzione, per quanto significativi, non sono stati da noi considerati assoluti. Per questo è stata sviluppata l’analisi urbanistica e simbo-

Fig. 8 - Particolari della muratura alla base del Battistero.

lica. E’ con l’insieme di queste analisi che, nella pubblicazione, si cerca di dimostrare la validità delle nostre ipotesi.

Fig. 9 - Ricostruzione assonometrica di S. Reparata preromanica.

Un elemento importante di riflessione, ed ampiamente noto, sono state le caratteristiche proprie della progettazione in età romana e tardo antica: in primo luogo dell’importanza che veniva attribuita dagli architetti di quell’età all’uso della geometria nella costruzione dei progetti e nella realizzazione degli stessi, oltre che al significato simbolico e pratico stesso. Era normale l’uso delle figure geometriche elementari (quadrato, rettangoli di varie proporzioni, ottagono, cerchio, ellisse), delle proporzioni geometriche e dei rapporti numerici. E’ ampiamente documentato che nel momento del declino politico ed economico dell’età tardo romana, corrispondeva un comportamento di intensa spiritualizzazione che si esprimeva anche con l’impiego, nella costruzione degli edifici destinati al culto cristiano, di rapporti numerici e proporzionali che assumevano un significato trascendente: impiegarli significava, per i progettisti e costruttori del tempo, seguire le stesse orme della creazione. Su questa base culturale siamo andati alla ricerca del “tracciato regolatore geometrico” che, presumibilmente, sosteneva il progetto tardo antico del centro religioso.

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Tali analisi geometriche sono state assunte in toto da padre Lamberto Crociani, che vi ha visto rispecchiate le proprie convinzioni liturgiche, storiche, simboliche e funzionali che aveva maturato precedentemente alla nostra ricerca, dimostrando come dopo l’invasione Longobarda la funzione liturgica divenne altra cosa da quella della prima Chiesa fiorentina, riscontrata nei resti archeologici del S. Giovanni. Sul modo di come si è proceduto a visualizzare attraverso il disegno architettonico le varie fasi di trasformazione del centro religioso, va precisato che ci siamo avvalsi di un espediente che abbiamo chiamato “progettazione inversa”. Questa deriva dalla nostra esperienza di architetti e di docenti sia nell’analizzare gli edifici, che nel progettarne e costruirne di nuovi. Una formazione professionale che ci porta non solo a rilevare l’esistente, ma anche a cercare di ricostruire il progetto, le intenzione, le modificazioni con eventuali progetti successivi che hanno determinato la costruzione. A ciò si unisce la conoscenza teorica e pratica integrata dalla sperimentazione svolta in questi ultimi decenni nello studio dello sviluppo storico-critico della cultura del progetto. Muovendo così dai rilievi archeologici, raggruppati secondo la loro successione temporale, ed avendo una sufficiente conoscenza del contesto storico e culturale, si cercato di risalire al progetto, e ai progetti sottesi alle costruzioni, a partire da ipotesi orientative sulle forme possibili dei progetti stessi. Ad ogni ipotesi seguivano verifiche sulla compatibilità con i reperti archeologici con le strutture architettoniche documentate e rilevate, e contemporaneamente con il contesto storico e culturale del periodo esaminato. Un procedimento che è stato tutt’altro che lineare avanzando spesso per tentativi, ripensamenti, che rinviavano ad ulteriori approfondimenti, a nuovi controlli e misurazioni, fino a trovare una soluzione coerente alle conoscenze. Questo modo di procedere ha costituito una dei momenti più˘ significativi e produttivi della collaborazione interdisciplinare. In essa il disegno ha assunto un insostituibile e potente mezzo di comunicazione e di ricerca, poiché l’evidenza dell’immagine Fig. 10 - Ricostruzione assonometrica del centro religioso e dell’area urbana circostante prima della demolizione delle mura carolinge.

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consentiva la riduzione graduale dei margini di incertezza interpretativa. La rappresentazione delle ipotesi e delle soluzioni, dal quale non poteva essere esente un pur controllato spirito di Fiction, ha favorito la riflessione sintetica sui fatti da parte dei diversi specialisti che vi hanno collaborato. ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI Era prevedibile che il settecentesimo anniversario della fondazione di S. Maria del Fiore, stimolasse diverse pubblicazioni sull’argomento e nelle quali si esprimono punti di vista diversi. Siamo coscienti che ogni grande opera, come il centro religioso fiorentino, dopo che è stata costruita, qualunque sia il processo storico attraverso il quale è stata realizzata, assume una propria ed autonoma identità, per il fatto stesso di esistere. Ciò consente a chi la studia di formulare differenti valutazioni a seconda delle finalità, del taglio culturale e della metodologia con la quale viene studiata. Sappiamo inoltre che la ricerca della verità dei fatti, quali in realtà si sono svolti, pur scontando l’impegno degli studiosi e l’impiego dei mezzi d’indagine, anche i più˘ sofisticati, rimane in minore o maggiore misura nascosta, poiché ineliminabile la soggettività stessa dei ricercatori che, inevitabilmente, influisce sulle loro interpretazioni. Conseguentemente gli stessi fatti possono essere interpretati in maniera diversa. Anche in questo consiste il fascino dei monumenti simbolo come il bel S. Giovanni, ed in genere di tutte le opere d’arte. E’ ovvio che quanto presentato non sfugge a quanto sopra affermato, per cui non pretende di esprimere la verità assoluta. Crediamo tuttavia che, anche per l’inconsueta angolazione interdisciplinare con la quale abbiamo affrontato la ricerca, di aver portato un utile contributo alla conoscenza del Centro Religioso Fiorentino, e quanto questi abbia influito nella crescita di Firenze. 1

Criteri metodologici adottati nella ricerca sulla genesi e sviluppo del centro religioso fiorentino pubblicata in Il bel San Giovanni e Santa Maria del Fiore a cura di D. CARDINI, A. BENVENUTI, A. BUSIGNANI, M. CARDINI, L. CRUCIANI, G(MO). MAETZKE, G(LA). MAETZKE, Ed.Le Lettere, Firenze, 1996 Fig. 11 - Ricostruzione prospettica della piazza interposta fra il Battistero e S. Reparata poco prima dell’inizio della costruzione di S. Maria del Fiore.

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Documentation was fully obtained by relief research, and original lines and graphics were gave back to the choir. The actual documents do not include graphic elaboration except Bernardo Sansone Sgrilli drawings (XVIII century). These documents show the choir before the transformation that Gaetano Baccani architect has done during the middle 800, he intervened with decision on the original work giving so the actual look. On the base of these graphic elaboration it has been possible to retrieve the original choir look. It was also possible to research the original “pieces” that were strip down with the Bacani intervene. Therefor the graphic elaboration obtained from direct, instrumental and framed relief, integrated to a careful analysis of the ancient drawings and strip down parts founded in the museum, have become the “executive drawings” for who have actually realized the threedimensional model of Baccio Bandinellis choir made of wood and plaster.

IL CORO DELLA CATTEDRALE DI SANTA MARIA DEL FIORE Roberto Corazzi Quando mi è stato proposto l’incarico di rilevare il Coro di Santa Maria del Fiore sono stato ben contento dell’argomento, data la sua importanza, ed anche perché fa parte della “zona” su cui in questi anni sto operando, con l’aiuto dei collaboratori, sia tramite convenzioni stipulate fra il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura e l’Arcivescovado (o l’Opera del Duomo), sia a livello didattico, tramite rilievi eseguiti dagli studenti del corso di Elementi di Fotogrammetria tenuto dal sottoscritto. Il rilievo e la conseguente restituzione grafica avevano lo scopo di ottenere una documentazione precisa del Coro, peraltro inesistente, come è emerso dalle ricerche effettuate negli Archivi dell’Opera del Duomo. I documenti esaminati, infatti, sono privi di elaborati grafici, l’unica eccezione è costituita dai disegni di Bernardo Sansone Sgrilli (XVIII sec.). Questi mostrano il Coro prima delle trasformazioni subite a causa dell’intervento dell’architetto Gaetano Baccani che, intorno alla metà dell’ottocento, intervenne in maniera decisa sull’opera originaria, dandole l’aspetto attuale. Proprio sulla base di questi elaborati grafici è stato possibile “ricostruire” l’aspetto originario del Coro. Inoltre ciò ha permesso di “ricercare” i vari “pezzi” che erano stati smontati durante l’intervento del Baccani. Fra questi esiste ancora solo uno dei quattro archi marmorei, sovrastanti il perimetro basamentale, che si trova esposto all’interno del Museo dell’opera del Duomo. Altri pannelli marmorei con bassorilievi si trovano invece nelle cantine del Museo. Di tutti è stato eseguito un accurato rilievo, come per le parti esistenti in Cattedrale. Infatti lo scopo ultimo della ricerca era quello di analizzare, fino nei minimi dettagli, ogni elemento architettonico, per realizzare poi il modello tridimensionale dell’oggetto. Dunque gli elaborati grafici derivati dal rilievo diretto, integrati da una attenta analisi dei disegni antichi e delle parti smontate e ritrovate nel Museo, sono diventati i “disegni esecutivi” per coloro che hanno realizzato materialmente il modello ligneo tridimensionale del Coro di Baccio Bandinelli. Il risultato di questo lavoro di rilievo e di ricerca si è spinto nei dettagli, fino all’analisi cromatica dei marmi usati, come si vede negli esempi qui pubblicati. Inoltre è stato svolto un rilievo accurato del pavimento circostante il Coro, con la relativa restituzione cromatica. Figg. 1,2,3 - Modello in legno e gesso eseguito da Franco Gizdulich; veduta prospettica del Coro; ricostruzione del prospetto del Coro al 1842

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RESTITUZIONE PROSPETTICA GRAFICA ED ANALITICA DEL CORO DI SANTA MARIA DEL FIORE di Barbara Aterini Quando si affronta un rilievo nasce sempre il problema di come rappresentare l’oggetto esaminato. Nel caso di monumenti, come ad esempio le parti della cattedrale di Santa Maria del Fiore, il lavoro si dilata notevolmente, poiché si tratta di spazi immensi, ma anche di un’opera costituita da tanti “particolari” che il rilievo prima e la restituzione grafica dopo devono riuscire a cogliere e a descrivere al meglio. Confrontando i rilievi che oggi siamo in grado di espletare con quelli di alcune decine di anni fa possiamo subito affermare che quelli attuali sono molto più particolareggiati. Infatti lo sviluppo progressivo dei sistemi di rappresentazione e la nascita di nuove tecnologie, permettono di raggiungere un grado di precisione impensabile fino a poco tempo fa. Così la rappresentazione di un oggetto architettonico, come ad esempio un pannello con bassorilievo, si può ottenere tramite il rilievo delle sue quote, con l’ausilio delle curve di livello, oppure con l’analisi del rapporto luce/ombra. I primi due sistemi sono stati usati fin dall’inizio di questo secolo, l’ultimo, invece, è più recente e si basa, come si è detto, sull’illuminazione del soggetto da rilevare. Il rapporto luce/ombra accentua, infatti, la sensazione di bassorilievo, che può essere sfruttata per ritrovare l’immagine reale dell’oggetto. Si tratta in pratica di operare una restituzione prospettica, cioè di passare da una proiezione centrale ad una proiezione ortogonale. Questa operazione viene utilizzata sempre, sia nel caso della fotogrammetria grafica che per l’elaborazione elettronica delle immagini. In particolare il problema di ricostruire un oggetto a due o tre dimensioni, di cui siano date prospettive o fotografie si risolve grazie ai nuovi sviluppi del metodo della proiezione centrale e di quella bicentrale o stereoscopica. La ricerca continua per risolvere i problemi di rilievo è giunta, oggi, a sistemi relativamente veloci, ma che comunque forniscono risultati accurati e scientificamente validi. Gli elementi fondamentali che stanno alla base di questi studi provengono dalla Geometria Descrittiva. Infatti, riprendendo l’antico concetto del metodo della prospettiva inversa, è nata la restituzione prospettica, che si realizza tramite un singolo fotogramma, sul quale siano individuabili un certo numero di punti rilevati direttamente; poi attraverso operazioni di geometria descrittiva e proiettiva è possibile risalire alla forma ed alla misura reale dell’oggetto e quindi disegnarlo. Questo insieme di operazioni grafiche si può eseguire, oltre che sul foglio da disegno, anche con l’elaboratore elettronico, utilizzando un qualsiasi programma CAD. Affrontando il rilievo e la relativa restituzione grafica della parte basamentale del Coro Bandinelliano in Santa Maria del Fiore questo tipo di operazioni si sono rese indispensabili, poiché, come si è detto, rilevare dei bassorilievi comporta non poche difficoltà, ed inoltre era necessario ottenere dei risultati precisi e scientificamente validi. Così è stato utilizzato un software per il raddrizzamento bidimensionale di immagini fotografiche che opera secondo i principi geometrici suddetti. In questo tipo di lavoro l’immagine fotografica viene acquisita dal computer tramite lo scanner e, dopo una preventiva elaborazione, per correggerne la luminosità ed altri fattori che ne migliorino la leggibilità, il programma ne opera il raddrizzamento, ottenendo una restituzione grafica che può essere considerata una Proiezione Ortogonale. Inoltre, tramite il rapporto con le dimensioni reali dell’oggetto la restituzione finale si ottiene nella scala voluta. Tali operazioni sono possibili nel caso in cui l’oggetto in esame può essere considerato come appartenente ad un unico piano, poiché questo raddrizzamento si basa sulle proprietà della Proiezione Centrale che definiscono una relazione omografica fra il piano dell’immagine fotografica originaria e quello dell’immagine raddrizzata. Nel caso dei bassorilievi del Coro l’oggetto da rilevare non era certamente composto da una sola superficie assimilabile ad un piano, così per risolvere la questione è stato necessario operare più di un raddrizzamento della medesima immagine e ricomporre il risultato finale con sovrapposizioni, sulla base delle misurazioni dirette. Questo tipo di programma ha utilizzato due sistemi di lavoro: uno geometrico, che utilizzando gli stessi rapporti omologici della restituzione prospettica grafica, introdotti nel software, ha realizzato ciò che possiamo ottenere anche col procedimento grafico, cioè la ricerca dei punti di fuga (intersezione delle rette parallele visibili sul fotogramma); l’altro analitico,

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basato cioè sul calcolo di matrici di trasformazione ottenute immettendo i dati dell’intersezione in avanti del rilievo topografico effettuato a priori. A questo proposito, ove non è stato possibile effettuare la ripresa topografica, si è creato sul fotogramma un poligono di riferimento, secondo una terna di assi cartesiani, di cui la misura diretta dei lati è servita per formare la matrice di trasformazione ed ottenere, tramite il solito processo analitico, il raddrizzamento bidimensionale dell’immagine fotografica. I risultati grafici computerizzati sono stati poi integrati dal disegno manuale di tutti quegli elementi architettonici, come ad esempio le cornici, di cui era stato eseguito il rilievo diretto. Questo intervento grafico manuale era comunque indispensabile per ottenere dei risultati omogenei e chiari. Infatti quando si effettua questa elaborazione non ci possiamo limitare alla restituzione meccanica dell’immagine, ma è necessario anche intervenire manualmente sul grafico ottenuto, per evidenziare gli aspetti particolari degli elementi architettonici principali, anche perché la prospettiva della foto viene accentuata dal processo di raddrizzamento e quindi va eliminata per non falsare il risultato visivo. Poiché il fine ultimo di tutto il lavoro di rilievo e restituzione grafica del Coro di Baccio Bandinelli era quello di ottenere, non solo una documentazione dell’oggetto architettonico, ma anche un valido supporto per la realizzazione del modello ligneo tridimensionale del Coro originario, cioè prima delle trasformazioni subite a causa dell’intervento dell’architetto Gaetano Baccani intorno alla metà dell’Ottocento, questi sistemi di elaborazione hanno permesso di analizzare anche le parti smontate dell’oggetto, oggi situate in altro luogo. Il raddrizzamento computerizzato delle immagini fotografiche si è rivelato particolarmente utile anche per la restituzione grafica dei marmi, presenti nella parte basamentale del Coro, dell’unico arco rimasto dei quattro originari (oggi conservato nel museo dell’Opera del Duomo) e del pavimento della zona absidale della Cattedrale, elementi architettonici e cromatici essenziali per una rappresentazione realistica del monumento.

Fig. 4 - Particolare di uno dei prospetti del Coro di Santa Maria del Fiore

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LA RAPPRESENTAZIONE TRIDIMENSIONALE DI PARTI DEL CORO DEL DUOMO DI FIRENZE di Amedeo Giovanni Giusti Parlando della rappresentazione di solidi tridimensionali, occorre distinguere fra quelli realizzati direttamente su supporto cartaceo e quelli ottenuti tramite modellazione solida, realizzata attraverso il computer. Entrambi i due modi di rappresentazione non esulano dalla conoscenza degli elementi fondamentali della Geometria Descrittiva, indispensabili per una esatta costruzione ed esecuzione dello spazio. Tutto questo richiede un passaggio che selezioni alcune caratteristiche degli oggetti da rappresentare, quali la forma e le dimensioni relative. Rappresentare un oggetto significa comprenderlo, avvalendosi dell’ausilio del rilievo; avvicinandosi alla sua immagine si mettono a fuoco solo alcuni dettagli che possono essere utilizzati per rappresentare una sezione, più o meno dettagliata, dell’immagine volumetrica. Oggi questo aspetto della rappresentazione appare semplificato grazie a mezzi che consentono la simulazione dello spazio (Virtual Design, proiezioni spaziali, immagini realistiche, filmati).

Figg. 5,6,7 - Particolare dell’altare e vedute del Coro

Fig. 8 - Pianta del Coro e della pavimentazione circostante

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La rappresentazione computerizzata unitamente alla Geometria Descrittiva ha lo scopo di dare la possibilità, a chi opera nel settore di una visione multipla dello spazio, di gestirlo e percorrerlo e rappresentare anche in due dimensioni le figure tridimensionali. Inoltre consente di poter ricavare, con semplici procedimenti inversi, dalle rappresentazioni grafiche, tutti gli elementi della figura rappresentata. Così si possono rappresentare i solidi mediante figure piane e risolvere i problemi che si riferiscono alle caratteristiche tridimensionali. E’ importante poter arrivare a una visualizzazione comple-

Fig. 9 - Veduta prospettica del Coro

ta dell’oggetto e questo è possibile quando si raggiunge

Fig. 10 - Veduta dell’altare del Coro

una conoscenza contestuale delle operazioni necessarie, tramite una intuizione-spaziale che permette la verifica della posizione reale del punto di vista. Per quanto riguarda la costruzione al computer di uno spazio grafico tridimensionale vanno tenute presenti tutte le possibili condizioni spaziali di visualizzazione. La rappresentazione di un oggetto (paraste, cornici, trabeazione, colonne) si realizza considerandone le sezioni ed il loro sviluppo, che può avvenire tramite traslazione o rotazione, considerando la sezione costante oppure variabile. Altrimenti il medesimo risultato si ottiene considerando il

Fig. 11 - Particolare delle anfore che sostengono la tavola d’altare

solido che schematizza l’oggetto che sarà modellato con operazioni successive. Così, ad esempio, per la rappresentazione dei vasi che sostengono la tavola d’altare al centro del Coro di Santa Maria del Fiore, utilizzando metà della sezione verticale rilevata direttamente (generatriceprofilo) e la sua rappresentazione, riferita a coordinate piane xz, stabilito l’asse di rotazione, è stato possibile realizzare il solido fornendone le dimensioni. Ottenuta la composizione finale di questi solidi è stato eseguito il montaggio di tutti gli elementi, dandone le esatte posizioni riferite al sistema di assi xyz. Durante queste fasi è possibile controllare la volumetria dell’oggetto da più punti di vista, tramite assonometrie o prospettive, ed evidenziarne solo il contorno apparente. Così, eliminando le linee nascoste è possibile ottenere campiture colorate. Successivamente si può passare all’attribuzione dei materiali e al posizionamento della sorgente luminosa, per procedere con il rendering ed ottenere così delle rappresentazioni realistiche.

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The architectural design (Building recovery in the notified and fortified architecture specialization) as scientific discipline is applied in university precincts trough potentiality intention of re-utilization and retraining of interior an exterior spaces in the “creative synthesis”. “Place” – “Information” – “Memory” will be the planning routine (“creative”) methodology applied. It is also to be considered that the “protagonist” of recovery and/or re-utilization, must be the building and not the future architect, because the parameter to be considered are not only proper creative and interpretative skills, but also what is really build and relative history of the architecture and possible use and retraining (formal and functional recovery) that can be expressed in contemporary projection.

RIUSO E RIQUALIFICAZIONE DELL’ARCHITETTURA FORTIFICATA Domenico Taddei METODOLOGIA DI SINTESI Ormai da diversi anni e con numerose Tesi di Laurea, presentiamo in Facoltà di Architettura, insieme a Laureandi particolarmente interessati, ricerche, nell’ambito della progettazione Architettonica Applicata, che hanno come tema il riuso e la riqualificazione dell’Architettura notificata e in particolare quello dell’Architettura Fortificata. Il campo è assai complesso sia per la difficoltà del tema che varia da tipologia a tipologia: “piombante”, “ficcante”, di “transizione”, o di “radenza”, e in funzione dello stato attuale di conservazione; sia perché, senza entrare in banali dissertazioni o inutili polemiche, cerchiamo di rivendicare la Progettazione Architettonica, come disciplina scientifica applicata in ambito universitario e quindi anche in ambito professionale, con la possibilità di riuso e riqualificazione degli spazi interni ed esterni nella “sintesi creativa”. Problematiche che sono sicuramente diverse da quelle della ricerca storico-analitica, della rappresentazione e del rilievo architettonico (manuale o computerizzato), del restauro architettonico e del consolidamento strutturale, con le varie metodiche e indirizzi culturali scientifici. Non vi è dubbio, tuttavia, che la base conoscitiva e scientifica per applicare la sintesi progettuale, (Progettazione o Composizione Architettonica) che cerchiamo di portare avanti in queste esperienze, ha come punto di riferimento e di inizio la conoscenza e l’applicazione di queste importanti discipline ed esperienze scientifiche (e didattiche), insieme all’applicazione delle metodologie di progettazione, ai rapporti di riuso funzionale e distributivo, sia delle parti interne, (costruito) che delle parti adiacenti o prospicienti di ogni edificio fortificato, che dovranno tenere conto del territorio circostante con le vocazionalità che questo edificio può rappresentare con il suo intorno ambientale e con la sua consistenza costruita. Pertanto un buon allenamento alla problematica della “Progettazione”, oltre alla ricerca di un ottimale fruibilità degli spazi, sarà anche quello di trovare soluzioni facilmente reversibili in modo che la proposta progettuale pur prevedendo, il più delle volte, un “radicale” cambiamento di funzione, abbia la possibilità di fare i conti con un uso diversificato e ottimale degli spazi in rapporto al vivere contemporaneo. Anche in questo caso gli apporti di “luogo”-“informazione”-“memoria” saranno alla base della metodologia che, rispetto alla sintesi di un edificio ex-novo, dovrà tenere conto, oltre che dell’esistente costruito, della sua storia, degli stilemi architettonici e delle possibilità di uso e riqualificazione (recupero funzionale e formale) che può esprimere in tutte le sue parti. Senza entrare in enunciazioni metodologiche dogmatiche, diciamo che le difficoltà nell’applicare le metodologie di progettazione vanno dalla ricerca di un modulo spaziale, all’uso di materiali considerati normali o trasgressivi, dal cambiamento funzionale alla ricerca della fruibilità ottimale, considerando eventuali stilemi di tendenza non come invenzione ma come “mimesi”. Si dovrà sempre tenere presente che al di sopra delle capacità creative del “laureando progettista”, per affrontare problemi di questo spessore, bisogna avere un’“informazione” ad altissimo livello, sia da un punto di vista culturale generale che partico-

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lare (la storia di quell’edificio e del sito di cui fa parte, nonché del periodo storico), ma anche avere la possibilità di conoscere l’oggetto attraverso il rilievo inteso come “documento” importantissimo per la progettazione. Il secondo punto importante da tenere presente è che in tutta l’operazione dell’iter progettuale (in un secondo tempo vi saranno poi problemi anche a carattere di fattibilità, in funzione dei costi) il “protagonista” del recupero e del riuso deve essere l’edificio e non il “futuro” architetto. Quest’ultimo aspetto, se non deve togliere nulla alla creatività del progettista e alle problematiche del progetto, è forse la fase più importante e di difficile applicazione, perché deve tenere in considerazione, comunque, la salvaguardia e la conservazione dell’edificio in tutte le sue parti proprio in funzione di “proposte” (recupero formale e funzionale) facilmente leggibili e reversibili, considerando poi le altre metodiche da affiancare al progetto come quelle del “restauro architettonico” o del “consolidamento strutturale”. Le “ricerche” (Tesi di laurea) che presentiamo in questa occasione e altre che abbiamo seguito e stiamo seguendo, molto semplicemente cercano proprio di fare allenamento su questo settore della “progettazione architettonica”, che come abbiamo citato prima, non vuol dire invadere il campo delle “discipline del restauro” ma rivendicare l’autonomia della progettazione architettonica (funzionale, formale, distributiva, etc.) alla “Progettazione e Composizione Architettonica”. Non vi è dubbio che il campo è delicato, considerando che poi il settore del “recupero” (o “riuso” o genericamente “restauro”) dei beni architettonici notificati e ancor più l’applicazione di questi prodromi di ricerca e di sintesi sull’architettura fortificata, (torri, castelli, rocche, fortezze, forti, etc.) rappresenta un campo ancora molto all’inizio dell’esperienza di sintesi su questa particolare tipologia dell’architettura. La progettazione e l’attuazione su questi edifici fortificati in molte occasioni soffre di pressappochismo o di una sintesi progettuale a volte molto generica, specie in alcuni settori istituzionali dello Stato, che invece auspichiamo dovranno sempre di più avere tecnici particolarmente attenti alle problematiche del “ riuso architettonico”. Le ricerche che stiamo conducendo con Laureandi partico-

Fig. 1 - Riuso e riqualificazione dell’Architettura Fortificata: Copertura del cortile del “Palatium“/ Castello dei Conti Guidi a Poppi in Casentino per la fruibililità degli spazi interni e la conservazione degli stemmi Vicariali - di Taddei, Greco, Serotti, Vagnoni, Sodi - 1994/’98 .

larmente motivati ed interessati all’argomento, cercano proprio, con la giusta umiltà, di specializzare sempre di più l’architetto in un campo che gli è proprio istituzionalmente, cercando di proiettare questa esperienza verso una verifica comparata delle potenzialità attuali in parte ancora non del tutto consolidate in Italia e in Europa. Ci sembra anche che ricerche ed esperienze di questo tipo, seppur molto faticose e mai esaustive, né per i Laureandi, né per i Relatori, aprano il dibattito non solo ad una ricerca scientifica (e ad un’attività didattica) in ambito interdisciplinare, ma abbiano forti possibilità nel mondo professionale dove sempre più si richiede la figura dell’architetto specializzata al “recupero” del patrimonio dell’architettura monumentale. Questi sono gli intenti per cui presentiamo alcune di queste Tesi di Laurea, che al di sopra di essere già state brillantemente valutate dalla Facoltà, crediamo possano anche dare un contributo scientifico e didattico ad un settore ben precisato dell’architettura di sintesi con obiettivi e risultati facilmente leggibili nel campo del progetto architettonico.

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Figg. 2,3 - Piante piani interrati, piano terra, piano primo; sezioni sul fossato dei laboratori e sul percorso d’ingresso Figg. 4,5 - Prospettive del museo storico del castello e delle sale espositive

IL CASTELLO DI LARI E IL SUO BORGO: PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE di Alessandra Tombesi La volontà di far rinascere uno stretto legame tra il castello, Figg. 6,7 - Prospettive della vetrata e dell’entrata dei laboratori

la città, e il territorio di Lari si è tradotta in una previsione di riuso dei locali del castello e nella creazione di nuovi spazi scavati nella grande “motta” su cui sorge il complesso fortificato. Attraverso la creazione di un organismo flessibile (seppure nei limiti del riuso) si é cercato di consolidare l’identità storica e culturale del castello (museo di se stesso), di riaprire la struttura ai suoi cittadini (sale espositive) e di ristabilire il giusto equilibrio tra il borgo storico di collina e il sistema produttivo di pianura (centro studi sul design del mobile). L’autonomia conferita alle singole parti è alla base di una gestione concreta; i percorsi riaperti o creati nella motta, gli spazi recuperati o “ritagliati” nell’antico organismo, insieme alla ricerca della maggiore accessibilità possibile, sono la risposta progettuale ad un riuso attivo del patrimonio storico.

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Figg. 8,9,10,11,12,13 - Planimetria generale, piante, sezioni e veduta della rocca secondo le ipotesi di riuso

LA ROCCA MAGGIORE DI ASSISI: IPOTESI DI RIUSO di Luisa Marini e Patrizia Materazzi La rocca Maggiore di Assisi appartiene alla tipologia delle fortificazioni della dorsale difensiva che parte da Roma e arriva ad Ancona, fatta costruire dal Cardinale Egidio Albornoz alla metà del ‘300. La proposta di un riuso parte dalla considerazione che se questa fortezza rappresenta un potenziale “contenitore” per nuove funzioni, è anche nel contempo “contenuto” di informazioni e testimonianze storiche. La destinazione d’uso è stata ripartita in “Museo di se stesso” nell’ultimo baluardo difensivo, (il Maschio) e in esposizione temporanea nella sala del Cassero, sfruttando allo stesso tempo la sua conformazione su due livelli per far compiere ai visitatori lo stesso tragitto dei difensori del castello. Le torri e il recinto sono state infine adibite a spazi di servizio all’attività museale. Il recupero della fortificazione quindi prevede il reinserimento nella vita sociale e nelle attività culturali della città, ma tiene anche conto della reversibilità dell’intervento e dei limiti posti alla modificazione dell’edificio.

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Fig. 14 - Ricostruzione ipotetica del castello nel 1600

Fig. 15 - Pianta del castello: pianta e prospetti cassero

Fig. 16 - Il progetto: pianta piano secondo

Fig. 17 - Il progetto: sezione longitudinale.

I CASTELLI DELLA VALDICHIANA: RIUSO DEL CASSERO DI MONTECCHIO di Silvia Fanticelli Il castello di Montecchio Vesponi (uno dei maggiori esempi di castello-recinto della Toscana), risale probabilmente al XIII secolo. La nuova struttura è completamente indipendente da quella dell’edificio esistente ed è costituita da un involucro di vetro ed acciaio così da creare una sorta di scatola trasparente Figg. 18,19 - Prospettiva dell’interno: piano secondo; il plastico

che funge da perimetro per il museo e allo stesso tempo permette di mantenere in vista il paramento murario in pietra forte dell’antico cassero e tutte le sue particolarità (buche pontaie, aperture, etc.). Vetro ed acciaio sono anche i materiali che caratterizzano gran parte degli interni. All’esterno la copertura è in rame con una curvatura in netta antitesi con la rigidezza geometrica della merlatura. Tuttavia tali caratteri architettonici non alterano il rapporto orizzontalità - verticalità attualmente esistente nel cassero in quanto notevole é lo sviluppo in larghezza delle mura perimetrali e in altezza della torre.

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REALTÀ O”FANTASIA”? IL CASTELLO TRA IL VISIBILE ED IL “CELATO” di Claudia Gonnella e Simona Martelli Il castello può essere letto in diverse chiavi, da quella storico-giuridica a quella tecnica, da quella artistica a quella magico esoterica. Il castello è realtà o “fantasia”? Il castello è in contemporanea realtà e fantasia: il castello reale diventa “fantasia” nel momento in cui si legge o si rappresenta oltre il suo visibile. Il castello rappresentato, ovvero la “fantasia” diventa, realtà non solo nel momento in cui si vede (il

Fig. 20 - Pur essendo castelli normanni, sembrano architetture orientali per le forme scheletriche, l’accostamento di pochi colori ed una certa rigidità, quasi sicuramente dovuta al ricamo. Appaiono, nella loro totalità, castelli di pura fantasia, perché gli elementi riconducibili alla realtà acquistano funzione di simbolo e vengono arricchiti di letture nascoste: il castello di Hastenga (in alto) non è forse un cavaliere in assetto di guerra, con lancia e scudo? E il castello di Dol (al centro non è forse un elmo sul tipo della barbuta? E il fortilizio di Rednes (sotto non è forse un elmo arricchito da un “pennacchio” al vento? Fig. 21 - Realtà o fantasia? Realtà e fantasia. Il castello crea la sua rappresentazione come la rappresentazione crea il castello. Saumur (fig. 1), un castello nella valle della Loira, è rappresentato nel XV secolo in una miniatura dai fratelli de Limbourg (fig. 2). Walt Disney lo “rivisita” nel XX secolo, nel lungometraggio animato del 1950, per disegnare il castello del di “Cenerentola” (fig. 3), questo castello sarà poi “materializzato” a Disney World nel 1965 (fig. 4). Fig. 22 - Talvolta i “volumi” possono essere di varia natura, ma con un identico risultato. Walt Disney ha trasformato in torri le canne di un organo a formare un castello.

visibile), e soprattutto nel momento in cui si gode di esso (il celato). La raffigurazione fatta nei secoli ha evidenziato che al di là della sua concreta realtà, è anche espressione di quello che ognuno di noi porta nel cuore, ieri come oggi, e porterà domani, perché costituisce un oggetto di desiderio, voluto ed allontanato, amato e temuto. La tesi è stata la compilazione di un glossario di termini relativi al castello, i quali, pur tenendo conto di elementi più o meno reali, trasportano la castellologia in un mondo che non è né reale, né visibile: un mondo che si può definire “immaginifico”.

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Draw dimensions has different appearances and meanings in planners or in surveyors architectural drawings. In planner drawings, dimensions make symbolic geometry clearer and show the building process of planned shape and structures. In surveyors drawings, dimensions build shapes and their geometry. Metrological analysis, applied to surveying drawings helps us to find out the likely symbolic dimensions of the original plan. The metric test of a drawing (A267 in G.D.S., Uffizi) by Antonio da Sangallo The Young, containing a proposal for the model of St.Peter Dome, enables us to find out a certain meaning in ambiguous dimension notes and to understand the true planner intentions.

DISEGNO, RILIEVO E ANALISI METROLOGICA Maria Teresa Bartoli Tra i connotati che aiutano a riconoscere come tale un elaborato grafico d’architettura dotato di precisa intenzionalità tecnica, le quote sono certamente uno dei più evidenti. L’ordine, la completezza e l’essenzialità della quotatura sono tra i parametri che determinano il giudizio che gli esecutori si formano sulla qualità dei progettisti, giudizio di cui mai si parla, ma che condiziona molto il risultato, influendo sul livello di partecipazione e di consenso di chi deve realizzare le intenzioni espresse nel disegno. La quotatura di un disegno di progetto è un lavoro impegnativo, rivolto non tanto alla indicazione esplicita delle dimensioni del manufatto, già contenute nell’elaborato in scala, quanto alla rivelazione da un lato della genesi geometrica e dimensionale della sua forma, dall’altra dei processi esecutivi che la metteranno in atto. Genesi formale dell’idea compiuta e modalità esecutive devono essere tutte presenti nel momento della quotatura, e trovare in essa adeguata espressione. In questa ottica, il tracciamento delle quote, in quanto studio del percorso esecutivo di un processo compositivo, partecipa della natura simbolica del disegno d’architettura: la quotatura non è una applicazione meramente tecnica o passiva, da delegare al disegnatore come la messa a pulito o la lucidatura, bensì richiede da un lato la piena consapevolezza del modello ideale di riferimento e dei modi della sua realizzazione, dall’altro la capacità di rappresentarli. Questa valenza simbolica della quotatura è chiaramente esplicita, ad esempio, nei grafici del secondo dei Quattro Libri dell’Architettura di Andrea Palladio (Venezia, 1570), in cui egli illustra i suoi progetti di ville (fig. 1): proprio le quote indicate, in piedi vicentini, attestano le simmetrie (spesso anche con le loro deliberate assenze), le teorie compositive adottate, le misure e le proporzioni predilette. Infatti nel passato non solo la forma della quotatura contribuiva all’espressione simbolica, ma, tra le diverse quote, alcune avevano una pregnanza ed una intenzionalità cui la nostra cultura da molto tempo non è più abituata, e in cui stentiamo a riconoscere un significato. La denominazione originaria del Partenone fu Hekatonpedon, ovvero di cento piedi; colonne celebrative come quella Traiana o l’Antonina erano dette centenarie per lo stesso motivo. Il diametro esterno del Battistero di Pisa, planimetricamente definito alle varie altezze da poligoni regolari impostati su numeri multipli del 5 e del 6, misura 120 piedi, mentre, sempre a Pisa, il diametro interno della chiesa ottagonale del Santo Sepolcro, di poco precedente, misura 80 piedi. Pare evidente che alle principali dimensioni decise per un monumento di grande significato era attribuito un valore numerico che già di per sé conteneva un prestigio ed una autorevolezza particolari. E’ abbastanza ovvio che queste qualità fossero attribuite ai multipli esatti delle basi numerali e metriche (che erano ovviamente le stesse): quindi i numeri derivati dai successivi raddoppi del 2, i multipli del 10 e del 6 appaiono certamente tra i privilegiati. Ai numeri è stata connessa una emotività intellettuale, ben descritta da S. Agostino nel primo libro del De Musica, coltivata nel corso di millenni, testimoniata da molti filosofi, di cui l’architettura è stata tra le attività umane più partecipi.

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Quindi, se per noi oggi la scelta delle dimensioni di un manufatto è il risultato di calcoli meramente tecnici in cui un ruolo essenziale hanno le distanze obbligate dai confini, il massimo di volumetria e di altezza consentiti, e altre circostanze che con il simbolo hanno poco a che vedere, del tutto diverso fu l’atteggiamento del passato nei confronti delle misure. Ad una concezione essenzialista, convinta di attribuire una virtù alle cose anche attraverso un numero (non visibile), in quanto simbolo eccellente di un faticoso percorso umano di ricerca di strumenti operativi atti al controllo e al dominio di una realtà spesso ostile e mai facile, è succeduta una concezione esistenzialista, convinta che non ci sono a priori indiscutibili, ma sempre attributi da scegliere momento per momento, con le verifiche dell’esperienza. In entrambi i casi, l’architettura è stata sempre emblematica dell’approccio dell’uomo nei confronti del mondo: le sue fabbriche sono sempre state tra i più grandiosi modelli di verifica del punto di vista maturato sul proprio rapporto con la realtà esterna, rapporto il cui veicolo principale è da millenni divenuto il numero. Tra gli elaborati del disegno d’architettura, stanno oggi assumendo un’importanza sempre maggiore, col crescere della consapevolezza della rilevanza dell’ambiente che il passato ci ha trasmesso, quelli di rilievo. In generale, tutte le norme valide per il disegno di progetto, quanto a sistemi di rappresentazione, convenzioni, scale grafiche ecc., lo sono anche per quello di rilievo. Tutte, tranne quelle relative alla quotatura. La quotatura è forse l’elemento di maggiore evidenza (quando c’è) per l’immediata identificazione di un disegno d’architettura come appartenente al tipo rilievo. La forma della quotatura, almeno nei rilievi attuali, anziché cercare di esprimere la ratio geometrica e simbolica del manufatto, è rivolta ad accertarne la verità fisica con il maggior grado di probabilità: donde il quasi esasperato ricorso alle diagonali per trilaterare tra i punti notevoli dell’oggetto, che fa dei disegni di rilievo dei grafici coperti da ragnatele, nei quali è spesso difficile o impossibile leggere in maniera immediata quelle informazioni metriche che siamo abituati a ricavare velocemente in una pianta o in una sezione: le lunghezze principali di un ambiente, l’altezza libera di un vano ecc. (fig. 2). La ricerca della valenza simbolica della forma disegnata e delle sue misure è del tutto estranea a questi elaborati, la cui preoccupazione è tutta rivolta al modo d’essere dell’oggetto, che la quota, indifferente al perché, esplora, dubitando con metodo di ogni sensazione empirica. Questa indifferenza non è né insensibilità né ignoranza, bensì sforzo da parte del rilevatore di aderire il più possibile, senza mediazioni culturali devianti, alla verità autentica dell’oggetto del rilievo (obbiettivo ultimo impossibile da raggiungere), per offri-

Fig. 1 - Palladio, Pianta della Rotonda, dai Quattro Libri dell’Architettura, Venezia 1570.

Fig. 2 - Rilievo della chiesa di S.Sofia a Benevento, pianta (Castagnetti, Di Marco, Evangelista).

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re ad altri fruitori il risultato di uno studio che possa costituire un buon sostituto dell’oggetto stesso, fonte di ulteriori indagini conoscitive, da parte anche di soggetti e di competenze diverse. Quanto più affinata è la cultura personale del rilevatore, e approfondita la sua conoscenza dei parametri storicamente intervenuti nei processi del costruire, tanto più sottile e penetrante sarà la sua lettura del manufatto e il suo disegno aderente alla verità fattuale e idoneo a essere investigato per ulteriori esplorazioni. Tra queste, la ricerca e la esplicitazione delle diverse valenze simboliche e dei modelli ideali sono tra i fini che giustificano la stesura di rilievi. Proprio il rilevatore, per forma mentis conseguente al tipo di lavoro che fa, è più di altri preparato a compiere questo tipo di indagine. Allora, andare sulle tracce di una possibile quotatura simbolica in un rilievo (o in un antico disegno di progetto) può divenire un tipo di indagine adatto a far emergere una struttura carica di significati che rappresentano parte dei valori per cui un monumento è tale. Una forma di quotatura capace di far intravedere un significato simbolico nelle misure di un manufatto (in questo consiste l’analisi metrologica) può rappresentare un contributo spesso illuminante, anche se raramente definitivo, anzi, in genere aperto e problematico, per la conoscenza di alcuni aspetti delle opere architettoniche esistenti. La possibilità di avanzare ipotesi di carattere metrico richiede comunque una preparazione specifica rivolta a conoscenze appartenenti alla cosiddetta cultura tecnologica (spesso considerate quasi di serie B), in realtà ricche di connessioni con il pensiero scientifico e filosofico. La metrologia è stata spesso il terreno di ricerca di profondi pensatori, come ambito da cui è nato forse lo stesso concetto di numero, che, alla stregua del linguaggio, è stato tra i più potenti strumenti concettuali di cui l’uomo ha saputo dotarsi. Uno dei più forti ostacoli ad una convincente lettura metrica è costituito da quella sorta di lente filtrante che appanna le nostre capacità percettive costituita dal nostro sistema metrico, profondamente diverso, nella sua struttura e nelle sue implicazioni progettuali, dai sistemi operanti nel passato. Il nostro è strettamente legato al sistema numerale, che lo precede e lo informa; è caratterizzato da una assoluta continuità che consente di esprimere qualsiasi lunghezza, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. In esso, tutti i numeri hanno pari dignità, con una certa inclinazione (per altro quasi priva di conseguenze) a favore di quelli che finiscono per 5 e per 0. Tra i sistemi del passato, quelli dei maggiori paesi del bacino del Mediterraneo sono caratterizzati da una struttura millenaria (più o meno la stessa), che assicura loro continuità, passando dal grande al piccolo e viceversa, ma presenta dei limiti inferiori e superiori, al di là dei quali le dimensioni non sono più misurate da numeri piccoli e interi. Il loro rapporto con il sistema numerico è certamente stretto, ma sembra talvolta rovesciato: secondo Vitruvio il primato di alcuni numeri è giustificato dai rapporti metrici tra lunghezze caratteristiche del corpo umano: il 6, il 4, basi numerali importanti, derivano da osservazioni antropometriche. Solo il 10 sembra indipendente da rapporti di lunghezza. Su questi tre numeri, e su frazioni da essi composte, sono strutturati i sistemi metrici del passato, sulle cui canne metriche le tacche sono segnate non con la indifferente uniformità che caratterizza il metro, ma con le variazioni di intensità legate ai diversi tipi di frazionamento. Una sorta di mistica numerologica, che affonda le sue radici in tempi lontanissimi, associa simboli particolari a numeri e coppie numeriche, simboli che esprimono ancora lo stupore intellettuale provocato dalla scoperta di singolari (ma anche ovvie) proprietà e relazioni. Esse proiettavano una speciale luce metafisica su quello straordinario strumento concettuale inventato dall’uomo. In architettura, tali simboli spiegano le preferenze rivolte a certe misure, associate alle lunghezze di elementi che sono in genere quelli di partenza dei tracciati ordinatori. In questi ultimi si manifestano le “regole” che legano sequenze di numeri attraverso formule definite da discorsi apparteneti alla cultura matematica, filosofica, letteraria. Nello stretto e complesso legame tra la norma e il numero si manifestano molte delle implicazioni culturali che fanno ricca una tradizione architettonica. Dietro le quote esplicite di un grafico di progetto possono nascondersi più livelli di significato; essi possono riferirsi a strutture logiche diverse, anche se in relazione tra loro. L’occasione di queste considerazioni è stata offerta da un celebre disegno di Antonio da Sangallo il Giovane (il 267 A del Gabinetto dei Disegni e Stampe degli

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Uffizi a Firenze - progetto di cupola per il modello di San Pietro a Roma, fig.3 - dalle dimensioni notevoli di m 1.20x1.97), la cui interpretazione ha acceso un certo dibattito1 . Esso è dovuto alla difficoltà di stabilire una coerente relazione tra il grafico, che riporta la metà sinistra della sezione del tamburo e del profilo interno della cupola - facilmente riconoscibile come quello che oggi definiamo un sesto equilatero (gli archi di circonferenza sono ottenuti facendo centro con il compasso sui punti d’imposta e con raggio pari alla luce) - ed una lunga annotazione scritta, posta nel centro del disegno, il cui senso è stato chiarito in maniera inoppugnabile da Christof Thoenes2 . Essa definisce la regola di costruzione di una curva, che può essere assunta come tracciato del profilo di una cupola. La regola consiste nello sviluppo sul piano di una linea tracciata col compasso su un foglio appoggiato ad un semicilindro, la cui circonferenza direttrice è di raggio uguale a 7 passi. Il compasso, la cui apertura è pari alla diagonale del quadrato di lato pari al raggio (passi 9, 8/9), è puntato sul colmo del semicilindro (disposto con la faccia piana orizzontale) e descrive sul dorso di questo una curva gobba che la geometria analitica definisce trascendente e che, sviluppata nel piano, si trasforma in un “ovale” i cui assi stanno nel rapporto di 22 a 20 (anzi, per dirla più esattamente con Antonio, 22 a 19, 7/9). Se tracciamo la curva seguendo il procedimento indicato (curva esterna della fig. 4), il semiovale risulta poco più alto di una semicirconferenza (rapporto semidiametro / freccia = 10/11), ma con i fianchi piuttosto schiacciati vicino al colmo. La regola rende esplicito il significato della cifra grafica che la sovrasta, nella quale le seste di un compasso sono avvicinate dall’alto ad un cerchio in cui è iscritto un quadrato con un vertice posto nella sua sommità. I diversi studiosi che si sono occupati del disegno sono in imbarazzo nello stabilire la relazione tra la “regola” espressa e la curva della cupola disegnata, corrispondente al sesto che Antonio chiama “terzo acuto” (per noi è equilatero). Il Thoenes suggerisce che l’annotazione abbia una valenza critica verso il disegno, dando argomenti alla contrapposizione tra un primo modo “gotico” di disegnare il profilo, sotto la suggestione del disegno della cupola fiorentina del Brunelleschi, ed un successivo modo già presago di forme quasi barocche, tendente all’ellisse. Contrasta però con queste considerazioni il profilo interno della cupola dei successivi progetti, che non si discosta mai molto dal sesto equilatero; anche se sembra essere un po’ più basso, esso non arriva mai neppure vicino al rapporto tra larghezza e altezza indicato dalla “regola”. Se osserviamo attentamente il profilo tracciato con il procedimento indicato, esso non somiglia al profilo interno di nessuna delle varie cupole disegnate da Antonio o dai suoi aiuti. Colpisce invece la sua vicinanza al profilo esterno di molte di esse. Questo suggerisce l’idea che l’annotazione di Antonio contenga non una proposta diversa da quella disegnata, bensì l’indicazione utile per completarla con il profilo esterno, di cui è indicato il punto di attacco. Forse si intendeva accostare alla parte superiore del disegno, tagliato molto accosto al profilo di “terzo acuto”, un altro foglio che riportava lo sviluppo in piano di una curva tracciata appoggiandosi ad una botte. Cercando di ipotizzare diametro alla base e altezza di questo ovato dai pochi segni lasciati, notiamo che una linea orizzontale incisa, posta ad altezza poco superiore all’imposta degli archi del secondo loggiato (ne è marcato un punto all’intersezione con la verticale che individua l’ampiezza dell’“occhio”, di cui parleremo più avanti) è di fatto individuata dall’intersezione delle rette inclinate di 30° per gli estremi del diametro3. L’accenno di spiccato è posto ad una distanza dall’asse che si può valutare come di poco superiore a 110 palmi. Nello schema di fig. 4 è indicata la nostra ipotesi di percorso grafico. Il raggio di imposta della cupola esterna è pari all’altezza dell’arco acuto al di sopra dell’incontro dei raggi inclinati a 30°. Questo lo rende pari a circa 113,5 palmi, Dovendo il colmo della calotta essere 11/10 del raggio, questo porta ad un valore prossimo a 125 palmi. Una scritta in parte non trascrivibile posta in prossimità dell’imposta della cupola esterna menziona proprio questa misura: “125 alto avanti ecc.”. Può darsi che essa faccia riferimento proprio al calcolo che abbiamo ipotizzato. La scritta centrale prosegue poi con la indicazione dell’ampiezza dell’occhio, 1/5 del diametro dell’imposta, ampiezza graficamente segnata da un asse verticale tracciato non a penna, ma ugualmente ben visibile. Essa, non più collegata alla “regola”, deve essere messa in relazione con la nota successiva, “lo diametro sie 196 lo mezzo aovato dell’altezza 147”.

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Essa viene interpretata dal Thoenes come indicativa di una complessiva intenzione di ridurre l’altezza del sesto, che di fatto, sul disegno, in conseguenza del sesto equilatero, misura 196/2 palmi x 1,732 = 169.7 (l’applicazione della “regola” al profilo interno avrebbe portato un’altezza nel colmo di 98/10 palmi x 11 = 107.8). Se però accostiamo questa indicazione con altre due, tracciate a sinistra, disposte parallelamente all’asse verticale in prossimità della partenza del profilo, il senso della quotatura acquista tutt’altra evidenza: poco sopra il ballatoio-cornice alla base della cupola è segnato un trattino, attraverso il profilo, accompagnato da una scritta (solo in parte leggibile), trascritta dal Thoenes: “Dalli... al di sopra della cornice p. 290 e fino al... 300”. Questa scritta, se messa a confronto con il progetto nel suo insieme, non può fare riferimento che all’altezza da terra di due elementi: il primo è indicato nel piano del ballatoio o cornice, mentre il secondo è rappresentato dal trattino, graficamente 10 palmi sopra la cornice. Queste due misure permettono di quotare l’altezza - intermedia, poco sotto la metà tra i due livelli - del bordo del parapetto, segnalato in maniera molto visibile da una ben marcata linea a inchiostro. Questa linea rappresenta quindi la quota di 294 palmi, misura ottenibile sia moltiplicando il diametro (196 palmi) per 1,5, che l’altezza di 147 per 2. Allora appare evidente la logica dimensionale suggerita per il disegno, che attribuisce la proporzione di due quadrati e un quarto allo spazio coperto dalla cupola (tale rapporto - 9 : 4 tra altezza e diametro - è, dai tempi del Partenone, tra quelli privilegiati dall’architettura). L’altezza di questo spazio non è quella teorica corrispondente al punto d’intersezione dei due archi, bensì quella reale corrispondente al bordo dell’occhio. La determinazione geometrica, secondo le indicazioni di Antonio, è data dall’intersezione del profilo del sesto equilatero con la verticale distante dall’asse 1/5 del raggio di imposta. Assegnare una quota a quel punto al di fuori di una strategia grafica è oggi possibile, attraverso le equazioni, ma non era altrettanto facile per Antonio. La risoluzione delle equazioni dice che il punto individuato è alto sul piano dell’imposta 156 palmi circa, anziché 147; ma la quota del parapetto, alla quale si raggiungono i 294 palmi è 4 palmi più alta, e ciò riduce a 5 palmi la differenza rilevata; la quota di 300 renderebbe renderebbe graficamente pari a 147 palmi l’altezza della cupola (in realtà minore di un palmo). Può darsi che Antonio stesse affinando il suo calcolo per soddisfare tutti i requisiti geometrici che si era imposto nel suo tema compositivo. Di fatto, il disegno non è stato completato e se nei disegni successivi le diverse regole espresse in esso (l’ovale esterno e il terzo acuto) sono state abbandonate, possiamo intravedere ragioni per questo: all’esterno, la difficoltà di passare dal tracciato grafico alla sua realizzazione, ancora possibile forse nella dimensione del modello, ma non alla dimensione reale, impone il ricorso al profilo a pieno centro; all’interno, la ricerca proporzionale porta verso un occhio più basso, ottenuto, sembra, spostando più verso l’interno la punta del compasso. Se l’analisi è giusta, il confronto che Antonio propone nella sua annotazione tra l’ovale della regola e il sesto equilatero non presuppone alternativa, ma, anzi, interazione, in quanto l’uno avrebbe bene accompagnato l’altro, contribuendo all’eleganza del-

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Fig. 3 - Disegno A 267, Uffizi, per il modello della cupola di S.Pietro a Roma, Antonio da Sangallo il Giovane, 1540/44.


l’insieme. Il contenuto simbolico espresso dai numeri è da un lato nella stessa espressione della regola, la cui forma generatrice ha la sua matrice fondamentale nel quadrato e nel suo rapporto tra lato e diagonale, di antichissima memoria, al di là delle contrapposizioni tra medioevo e rinascimento4; dall’altro nell’indicazione di alcune misure che presuppongono una regola molto più familiare e che non necessita esplicitazioni, quella dei rapporti numerici tra numeri piccoli e interi, diffile però da applicare quando intervengono forme curvilinee, non così docili al controllo come le rettilinee. Ulteriori commenti spettano allo storico. Noi possiamo solo evidenziare l’attrito tra le quote ideologicamente cercate e quelle di fatto prescelte, come se a livello intuitivo ci fosse uno slittamento della sensibilità in direzioni difficili da teorizzare con gli strumenti posseduti.

1

Si sono occupati di questo disegno Sandro Benedetti e Christof Thoenes, il cui punto di vista è rintracciabile nel volume Rinascimento, da Brunelleschi a Michelangelo, a cura di Millon e Lampugnani, Milano, Bompiani 1994, nella scheda Il modello per San Pietro (S. B., pag. 632 e segg.) e nel commento al disegno 267A (Ch.Th. pag 642 e segg); Paolo Manselli nel contributo al convegno La matematica per l’architettura (Atti pubblicati a Firenze, Alinea 1998) discute dal punto di vista matematico alcune ipotesi sul disegno 2 Da Christof Thoenes, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo, a cura di Millon e Lampugnani, Milano, Bompiani 1994 pag. 642: “La cupola vuole essere arcuata (aovata ?) colla regola che facendo una mezza botte de legnio longa p. 9 8/9 di diametro 14 e col compasso fare uno tondo in su una carta stesa in sul detto corpo mezzo tondo di mezzo diametro cioè chel compasso la sua apertura sia di p. 9 8/9 spianando poi detta carta viene fatto uno aovato lo mezzo sarà 11 E se fusse tutto saria 22 largo 19 7/9 e questo ha più grazia chel terzo acuto ed e antico bono e maestrevole a farlo el tertio acuto e tedesco e non va tanto alto quanto lo tertio acuto. Locchio sia delle cinque parti dello diametro che e sendo detto diametro 196 l occhio p. 39 1/5” 3 nei progetti successivi il centro di curvatura del semicerchio che descrive la calotta esterna ha più o meno lo stesso livello. 4 colpisce la circostanza che, essendo 7 palmi il raggio del cilindro, l’apertura del compasso, semidiamentro dell’aovato, risulta di 9, 8/9 palmi; essa in un certo senso potrebbe avvallare l’interpretazione di chi attribuisce la regola al profilo interno, il cui raggio è 98 palmi; in realtà, però, i numeri sono qui non misure, ma rapporti da associare a moduli per ottenerne misure

Fig. 4 - Ipotesi di interpretazione e completamento del disegno A 267.

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The planning method is an open and interactive process in which the operation follow one to another in a braid of action and retraction. This process involves on the cultural and psychological world of the planner designer so as achieve an aim. As we know, space is the object of the architectural planning so one of the most important phases of the process is the consciousness of it. There are a lot conceptual instruments as well as various thought process which can help the symbol of a solution. A) We can think of space as a “quantum” system which let us see it as a definite object. B) Context interpretation as a system, helps the research of the laws of various bounded elements. C) The concept of figurative language allow us to consider the target. If we learn to imagine the space as a net, we will be able to identify the dimensions and the relations between the elements easier and subsequently we will prefigure the relational changes.

LE GRIGLIE ORTOGONALI NELLA COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA Gilberto Campani Nell’insegnamento della composizione architettonica ci si trova spesso davanti a due contrastanti atteggiamenti degli studenti. Da una parte c’è chi è convinto che non ci sia niente da imparare, ma che tutto si risolva con un colpo di genio, con un atto creativo spontaneo; dall’altra c’è chi vorrebbe essere guidato da un metodo infallibile che, attraverso passaggi codificati, garantisca il risultato. E’ pertanto abbastanza difficile spiegare che il metodo progettuale non è del tutto schematizzabile attraverso un lista di operazioni conseguenti e rigidamente definibili. Il metodo progettuale è un processo aperto e interiettivo in cui le operazioni si susseguono in un intreccio di azioni e retroazioni, che coinvolgono l’intero mondo culturale e psicologico del progettista, l’intero suo sé oggi e qui. La conoscenza approfondita del punto di partenza, che possiamo anche chiamare contesto nel caso dell’architettura, rappresenta il primo passo per affrontare il processo progettuale. Spesso è proprio l’atteggiamento mentale nei confronti del progetto che deve essere modificato cercando di indicare un processo semplificato che aiuti lo studente ad apprendere i rudimenti della composizione architettonica. Ora poiché è proprio lo spazio il materiale dell’architettura possiamo dire che se la pittura agisce sulla superficie, la scultura sul volume mentre la musica sul tempo, l’architettura è la disciplina che conquista, forma, trasforma lo spazio. Quindi uno dei momenti fondamentali è rappresentato dalla presa di coscienza dello spazio. Ma la sua conoscenza necessita di strumenti capaci di percepirlo conquistarlo e quindi descriverlo nella maniera più sintetica possibile con un linguaggio che possa essere poi utilizzato anche nelle fasi successive. Il linguaggio che offre le maggiori possibilità è il disegno; infatti esso permette di realizzare una prima sintesi delle informazioni che si vogliono puntualizzare in maniera sincronica. Ma il disegno deve mantenere una analogia stringente e coerente con la realtà perché possa essere utilizzato e comunicato ed è qui che nasce il problema di una comprensione dello spazio che renda possibile una sua rappresentazione. La condivisione di un codice permette la comunicazione, ma il disegno permette anche la verifica e la prefigurazione. Il Rinascimento fiorentino individuò, a livello di indagine e prefigurazione, nel disegno il linguaggio unificante delle varie arti figurative, pertanto la distinzione tra esse era intesa più che altro come una scelta espressiva preferita dall’artista che poteva esprimersi in pittura, scultura, architettura, (mobili, monili, tessuti, arazzi, vasi ). Attraverso lo studio del disegno e quello delle proporzioni furono riscoperte le leggi compositive della cultura greca. Se si pensa che il linguaggio è un sistema di simboli che, travalicando il loro stesso significato, tendono a mettere in rapporto individui diversi esso deve essere supportato da concezioni analoghe. Per giungere a questo è utile procedere ad una serie di puntualizzazioni su alcuni atteggiamenti mentali funzionali alla progettazione. Così come è possibile imparare a memorizzare rapidamente le informazioni esiste, anche per l’immagine spaziale, un metodo che può aiutare a memorizzare. Ora poiché la memorizzazione è un processo cosciente, tranne casi eccezionali, significa che esistono dei metodi per portare a livello cosciente la percezione dell’immagine spaziale.

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Fig. 1 - Papiro egizio. Età tolemaica. Berlino Staatliche Museum

Ritorno su questo argomento della percezione perché credo che il comprendere i meccanismi, secondo i quali essa si forma, sarà poi molto utile, non solo nella fase di analisi, ma anche per la fase progettuale. Infatti conoscere è quasi sempre un riconoscere per analogie. Imparando a guidare un veicolo via via si sviluppa la capacità di valutare le distanze, le dimensioni, ciò avviene in base ai riferimenti dimensionali che il cervello analizza in maniera quasi del tutto inconscia, tant’è vero che non si riesce a definire la misura metrica di una strada ma si capisce se è possibile o meno poterla percorre con il nostro veicolo. Cioè in un processo automatico il cervello elabora una visione spaziale proporzionale tra i vari elementi. Esistono degli strumenti concettuali che favoriscono alle varie scale la figurazione, e, nel caso delle ricerca progettuale, la prefigurazione di una soluzione. Tra questi quelli consideriamo i più importanti sono quelli che riguardano: l’interpretazione dello spazio in quanti; la capacità di leggere la realtà come interrelazionata in un sistema; l’organizzazione dei processi conoscitivi in una successione coerente e conseguente come linguaggio. Questo modo di porsi di fronte al problema agevola degli atteggiamenti mentali successivi che possiamo definire strumenti logici, cioè dei ragionamenti, che si sviluppano come processo coerente e interiettivo. A) L’interpretazione dello spazio in “quanti”, cioè formato da parti discrete discontinue agevola a quantificarlo e permetterà a livello logico di immaginarlo non più come un elemento indifferenziato ma come un oggetto definito. B) L’interpretazione di un contesto come sistema agevola nella ricerca delle leggi che legano i vari elementi e, a livello logico, permette di individuare le variabili e i sottosistemi nonché le gerarchie. C) Il concetto di linguaggio figurativo permette di considerare l’oggetto della ricerca come una struttura di comunicazione coerente di cui va capito il senso, il che, a livello logico, permette di procedere in maniera sistematica e analogica. Come ho già detto un atteggiamento concettuale utile è quello di considerare lo spazio, a differenza di quanto è stato insegnato a scuola dalla geometria euclidea, che lo ipotizza come continuum, invece come discontinuo, cioè formato di innumerevoli parti discrete, limitate (Pitagora). Poche discipline umane sono utili all’architetto quanto la geometria. La conoscenza, anzi la familiarità con la geometria è innegabilmente un grosso aiuto per un progettista. Anche senza avere molta dimestichezza con la geometria, si può far ricorso ad uno strumento geometrico elementare assai antico tanto che è stato ritrovato anche nell’antico Egitto, cioè la griglia geometrica. La griglia, in questo caso, possiamo intuire venga adoprata per riprodurre in una scala diversa un originale, ma già questo uso è in armonia con la visione dello spazio discontinuo poiché utilizza i gli incroci delle maglie, a diverse scale, per caratterizzare lo spazio, in questo caso

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Fig. 2 - Ippodamo da Mileto applicò i concetti della regolarità geometrica ad intere città, fra cui Priene e Mileto, il cui modulo é il rettangolo

Fig. 3 - Villard de Honnecourt, manuale di costruzione. Parigi, Bibl. Naz., ms. fr. 19093, Raffigurazione di ‘portraiture’, XIII sec;

bidimensionale, attraverso una sua astratta interpretazione, funzionale allo scopo, che genera una differenziazione tra i vari punti, alcuni dei quali divengono riferimenti per il tracciato. Un’altra indicazione interessante che possiamo trarre dall’immagine è il fatto che le due figure hanno una griglia diversa. Ciò significa che già allora era sentito il bisogno di equilibrare la dimensione della maglia all’oggetto, infatti ogni oggetto ha idealmente la sua maglia armonica. La dimensione delle maglie è cioè legata all’oggetto. Sono convinto che l’uso della griglia possa essere molto utile. Lo studio sulla misurazione dello spazio della realtà è una caratteristica della ricerca umana. Se le prime unità di misura sono di tipo antropomorfo (il piede, il braccio ) successivamente vengono definite delle misure astratte che risultino costanti, universali. Con la rivoluzione francese si afferma in quasi tutto il mondo il sistema metrico - decimale. In alcune nicchie rimango tuttora delle misure tratte dalle forme naturali di cui si conserva ancora traccia, per esempio il carato che ancora oggi serve a misurare la dimensione delle pietre preziose, è un seme che ha dimensioni costanti. Quando però si deve misurare uno spazio, senza avere a disposizione gli strumenti adatti, si torna a far ricorso all’antico e si può avere una certa approssimazione misurando a passi. Se si impara a immaginare lo spazio come regolato da un reticolo spaziale si riesce più facilmente ad individuare le dimensioni ed i rapporti tra gli elementi e successivamente a prefigurare le modifiche relazionali. Per fare ciò è però necessario individuare un reticolo adatto al contesto su cui si intende operare. Maggiore è dimestichezza conscia con questo esercizio di confronto più sarà esatta la approssimazione. Nella presa di coscienza di un luogo il primo atto, come abbiamo detto, è quello di instaurare dei rapporti tra le figure geometriche, il processo di apprendimento cioè inizia col ridurre la complessità di un sistema ad interrelazione di forme elementari note. Potremmo immaginare che la percezione dello spazio avviene per elementi discontinui in rapporto tra loro,

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come se fossero collocati in un reticolo spaziale. La griglia più semplice da utilizzare è naturalmente quella a maglie isomorfe o quadrate perché nella sua semplicità e facilmente controllabile e visualizzabile. Va chiarito che se la griglia non è il reticolo del quaderno a quadretti già tale reticolo svolge alcune delle tante funzioni che le si possono attribuire per esempio: scompartisce la superficie, permette una organizzazione più equilibrata, evidenzia dei sottomoduli, permette la riproduzione in scala. Vediamo di analizzare però lo potenzialità di questo strumento più estesamente possibile, al fine di avere una indicazione per capire prima e agire poi. A) dimensiona lo spazio. Un momento fondamentale di questo processo di comprensione, cioè di appropriazione, è la individuazione delle dimensioni, esse sono quasi sempre, in prima approssimazione, una proiezione di origine antropomorfa, solo successivamente si riesce a armonizzarle con l’oggetto della percezione e delle interrelazioni. Se la prima operazione è quella di misurare lo spazio, la visualizzazione di una griglia spaziale permette di avere dei parametri di riferimento in cui possono essere collocati gli oggetti della percezione. Cioè si può proiettare idealmente in uno spazio vuoto la griglia dimensionale scelta; essa aiuterà a prendere coscienza dello spazio come interrelazione geometrica di forme elementari conosciute. Per esempio il numero delle campate di un edificio dà una percezione della sua misura e, nella maggior parte dei casi, quando cioè non siamo in presenza di un artificio coscientemente realizzato, il rapporto dimensionale. Anche a scala territoriale il reticolo ortogonale ha svolto, anche nel passato, un ruolo importante nella definizione spaziale ancor prima della centuriazione romana. Nel nostro caso il rapporto tra gli elementi del sistema può essere interpretato in prima fase come rapporto tra pieni e vuoti. Abbiamo notato che se la comprensione dei pieni è abbastanza diffusa assai più rara è la comprensione dei vuoti, infatti lo spazio privo di punti di riferimento risulta di più difficile da conquistare proprio perché manca di elementi proporzionali. La griglia rende più facile acquisire il senso della dimensione, infatti noi non percepiamo mai misure assolute ma solo rapporti, interrelazioni. Non è un caso che nei trattati di architettura più antichi le dimensioni erano date in rapporti. B) favorisce la memorizzazione e la riproduzione. Come abbiamo visto la griglia favorisce la memorizzazione o la riproduzione che, dal nostro punto di vista, è la stessa cosa. Essa va utilizzata come uno strumento di razionalizzazione della visione, come supporto alla visualizzazione, ma va valutata sempre in rapporto all’intenzione. Questo uso è analogo a quello che fa ancora oggi la ricamatrice per esempio per riprodurre un ricamo, ma ciò lo si può fare non solo sulla superficie. Anche lo scultore traccia sul blocco di marmo un reticolo, che può essere reale o ideale, e tramite esso individua una guida al suo lavoro. Il reticolo spaziale permette di gestire un oggetto con maggiore facilità poiché individua quelle leggi del sistema che sono dimensionali e gerarchiche. C) individua i rapporti proporzionali. Se si immagina lo spazio come una sorta di reticolo in cui non tutti i punti sono equivalenti è più facile ricercare le leggi intrinseche del sistema. Tracciato un reticolo utilizzando come base di partenza i fulcri spaziali, per esempio in un edificio religioso le colonne o i pilastri, si nota come esista uno stretto rapporto tra struttura formale e struttura statica. Se la struttura statica ha delle leggi che non possono essere ignorate, dei limiti di tolleranza rigidi, la forma sembra poterli aggirare. Ma non è così: anche la logica formale risponde a delle regole delle quali i pregi e difetti sono quelli di essere più difficilmente codificabili. Accettare le indicazioni strutturali per la composizione formale aiuta a crearsi un codice formale strutturato in gerarchie e rapporti primari e subalterni. Molti studi ha dimostrato come anche in altre discipline figurative la composizione avvenga per reticoli spaziali. Anche il segno apparentemente più libero di molta pittura risponde a precise leggi compositive che senza il precedente controllo geometrico non avrebbe probabilmente raggiunto quella maturità. D) evidenzia le tolleranze alle varie scale. Osservando la pianta di un edificio ci si accorge che è un reticolo più o meno complesso, in cui le differenze dimensionali hanno importanza solo in rapporto alla scala di osservazione. Ogni scelta ha un limite di tolleranza entro il quale la variazione è irrilevante o non percettibile. Ogni scala di intervento ha un

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Fig. 4 - La figura vitruviana. Da Vitruvio, ed. del Cesariano, Como 1521

Fig. 5 - Pianta della chiesa di Santo Spirito

effetto soglia oltre il quale la difformità è avvertibile ed assume valore (mattoni, mobili, schiere, telai, pagina). In altre parole se nella griglia di un impaginato di una rivista il mezzo centimetro può squilibrare una composizione lo stesso mezzo centimetro in un reticolo spaziale di campate formato di archi e colonne è assolutamente irrilevante. La griglia può essere isomorfa o no cioè formata di figure geometriche regolari uguali o no, può individuare solo gli assi o anche le colonne e le linee di perimetro delle forme. E) riduce le variabili. La visione discontinua dello spazio permette di ridurre il numero delle variabili spaziali in gioco. Infatti se si può dire che la progettazione è una riduzione successiva delle valenze iniziali aperte, in un processo coerente di scelte correlate, la griglia spaziale riduce le variabili possibili guidando ad una scelta che non la neghi. Da un punto di vista didattico risulta quindi estremamente utile prendere dimestichezza con il concetto di reticolo spaziale, griglia regolatrice, ciò riduce enormemente il numero delle variabili aperte e permette di operare con più efficacia su quelle che ancora rimangono libere. Al momento della scelta di segno progettuale la presenza della griglia può guidare ad una decisione proporzionata all’insieme. Riuscendo ad individuare la griglia conforme all’oggetto di intervento risulterà molto più facile procedere alle scelte successive eliminando tutte quelle che non rientrano utilmente in questa visione. Naturalmente non solo le griglie possono essere utilizzate per individuare i fulcri progettuali (la griglia è solo il più elementare tra essi); si può far ricorso agli assi ordinatori o ad i poli, alle simmetrie, ai moduli. Tale visione permette di organizzare le scelte secondo una logica spaziale che si arricchisce con l’individuazione di leggi geometriche complesse magari ma riconducibili a geometrie semplici. La maniera più facile per dare ordine è realizzare quella qualità che non esiste in natura e che è la simmetria. Dà sicurezza mettere in simmetria speculare, rispetto ad un asse, degli elementi. Ma la simmetria a cui si può far ricorso non è solo quella assiale, può essere anche ad asse doppio, a croce o complessa. Allora il problema si arricchisce di variabili che necessitano di troppa fatica nel controllarle e difficoltà per il fruitore nell’avvertirle l’ordine a cui aspirano, allora il progettista beota e quello troppo furbo si uniformano al livello percettivo più basso del potenziale fruitore, soddisfacendone le più volgari aspettative, ma rinunciano alla ricerca formale. Anche nella griglia concettuale, astratta immaginata per dimensionare lo spazio, si può agire facendo corrispondere alcuni nodi di essa con i fulcri spaziali, essi assumeranno un valore diverso in rapporto alla posizione nella griglia e in rapporto agli

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altri elementi. La presenza della griglia mi permetterà di visualizzare meglio questi rapporti e quindi le gerarchie. F) idea guida. Talvolta questo reticolo astratto non si accontenta di permeare e sostenere in maniera strutturale, compositiva l’oggetto progettuale, ma diventa la sua stessa maniera di offrirsi alla percezione. Esistono molte soluzioni progettuali che partendo da una griglia isomorfa elementare sperimentano le variabili cromatiche, le rotazioni o gli incastri giungendo a risultati assai interessanti e del tutto inimmaginabili dato la semplicità del punto di partenza. Questo modo di utilizzare la griglia è sicuramente il più scoperto ma analizzando vari progetti e facile individuare come anche là dove essa non appare chiaramente essa sottenda la intera composizione. Come nella grafica la griglia di impaginazione è realizzata in base a dei principi, che pur variando di volta in volta, sono legati all’oggetto progettato e all’intenzione che si vuole perseguire. Ogni giornale tende ad essere riconoscibile attraverso una impaginazione particolare che diventa una sorta di carattere distintivo per i lettori che ad esso si abituano. Infatti la pagina di rivista in formato A4 non avrà la stessa griglia di una pagina di un giornale e la presenza o meno della possibilità di introdurre foto o disegni ne condizionerà la scelta, ma non solo, se la mia intenzione è quella di trasmettere una sensazione particolare (di fasto o di precisione ) realizzerò una griglia più o meno ampia o più o meno rigida. Concludendo credo che dal punto di vista didattico riuscire a trasmettere ai discenti l’abitudine ad utilizzare una griglia, specialmente nelle prime fasi della progettazione, è un risultato apprezzabile che li aiuterà anche nelle esperienze successive. L’importante è che questo strumento, come tutti gli strumenti, non prenda il sopravvento sulla capacità ideativa trasformandosi da griglia a gabbia.

Fig. 6 - Esempio di applicazione della griglia spaziale nell’architettura contemporanea

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Many conjecture make us suppose that Brunelleschi knew about the use of astrolabe, an instrument very often used at his times; among his friendships, that certainly have used the astrolabe, we found the astronomer Paolo Dal Pozzo and Mariano di Jacoco from Siena who was an engineer, these surely knew how to use astrolabe accurately. Because this instrument is based on the stereographic projection principle, a particular kind of central projection, it is quite possible that Filippo applied this principle, as he already knew, either for the perspective outline construction of the Masaccio Trinity in Santa Maria Novella also to drown the two lost “tablets” of the Piazza della Signoria’s Baptistry.

L’ASTROLABIO DEL BRUNELLESCHI Ragionamenti per un’ipotesi non ancora del tutto provata sulla scoperta della prospettiva lineare Marco Jaff Circa mezzo secolo fa, Eugenio Garin nell’introduzione all’“Umanesimo Italiano” notava come “l’idea che l’Umanesimo sia stato determinato e caratterizzato dalla conoscenza di nuovi testi classici prima ignorati”1 sia sostanzialmente un equivoco. Nel Medioevo in realtà la cultura antica prosegue, e non vi furono cesure totali con l’antico. L’essenza dell’Umanesimo, più che nelle riscoperte dei classici va invece trovata nel nuovo atteggiamento che si assunse nei confronti della cultura del passato, nel formarsi di una nuova coscienza storica e di una nuova coscienza di sé. In esso, continua poco oltre Garin, “non può né deve distinguersi la scoperta del mondo antico e la scoperta dell’uomo perché fu un tutt’uno. Perché scoprir l’antico come tale fu commisurare sé ad esso e staccarsene, e porsi in rapporto con esso”.2 E’ Francesco Petrarca (1304-1374) l’uomo emblematico di questo atteggiamento: “il primo il quale ebbe tanta grazia d’ingegno che riconobbe e rivocò in luce l’antica leggiadria dello stilo perduto e spento”, come scrive Leonardo Bruni nel 1436 nella sua biografia del poeta.3 Ma queste parole si addicono perfettamente anche a Filippo Brunelleschi (1378-1442), che come il Petrarca “rivocò in luce l’antico stilo” e le antiche conoscenze, usando sia l’uno che le altre in modo tanto originale da contribuire in modo determinante ad avviare per tutte le arti figurative quella rivoluzione stilistica e concettuale che prenderà il nome di Rinascimento. Anche se Filippo non ha lasciato né scritti né disegni che possano testimoniare direttamente le basi teoriche di quella rivoluzione, tutta la sua opera dimostra che ad ispirarla fu la rilettura dei “testi” classici, per lo più i monumenti dell’antica Roma, statue e pitture comprese, allora assai più numerose e meglio conservate di quanto non si possa vedere oggi. E’ per questo che è logico pensare che lo strumento principale di cui si servì per mettere in atto i suoi intendimenti sia stato il disegno ed in particolare il disegno di rilievo. Ne sono una riprova i numerosi viaggi a Roma dove, insieme a Donatello, veniva scambiato per un cercatore di tesori mentre eseguiva i rilievi delle antiche rovine con “le strisce di pergamene”.4 I ragionamenti che seguono cercheranno di avanzare un’ipotesi plausibile su un aspetto particolare di quella ricerca brunelleschiana, e cioè di come le scoperte e gli esperimenti sulla prospettiva lineare siano legati da un lato al rilievo e dall’altro alla cultura classica, ed in particolare alla cultura “scientifica” del mondo antico, almeno per come era conosciuta alla fine del Medioevo. In altre parole di come Filippo abbia probabilmente derivato la sua geniale teoria della prospettiva lineare, dalla pratica della “tecnologia” antica e segnatamente dall’uso dell’astrolabio. C’è da notare subito che il complesso delle conoscenze nel Medioevo era organizzato in modo che le arti liberali formassero un unico corpo. Le arti del trivio, grammatica dialettica e retorica, e le arti del quadrivio, aritmetica, geometria, musica e astronomia formavano gli studi teologici e filosofici. Mentre l’architettura, insieme alla pittura e alla scultura, era invece “soltanto” una “ars mechanica”. Dato poi che il rilievo della terra ed il rilievo del cielo formavano un unico gruppo di cono-

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scenze, la geometria, base primaria del rilevamento ed anche dello studio dei fenomeni dell’ottica e della “perspectiva naturalis”, era strettamente correlata all’astronomia. E’ per questo che proprio dell’astronomia dobbiamo seguire alcuni sviluppi. Anche se non è possibile in questa sede affrontare la complessa problematica delle nozioni scientifiche del Brunelleschi, per l’argomento in questione, possiamo individuare un filo di pensiero che parte dall’antichità e giunge sino ai suoi tempi. L’inizio può essere individuato in Eudosso (408-345 a. C.), l’inventore del primo modello cosmologico costituito da 26 sfere omocentriche che ruotano perennemente da oriente a occidente con al centro la terra. E questo è il modello che, anche se in modo più complicato, entra a far parte della cosmologia di Aristotele (384-322 a. C.). L’intero sistema si arricchisce poi del pensiero di Euclide (III sec. a. C): non solo l’Euclide degli “Elementi”, ma anche e soprattutto l’Euclide dell’“Ottica”. E si sviluppa con Ipparco (II sec. a. C.), il fondatore dell’astronomia di osservazione, che cataloga 850 stelle, scopre la processione degli equinozi, ma soprattutto, per quanto ci riguarda, inventa le proiezioni stereografiche5 e, probabilmente, l’astrolabio. Di tali argomenti accenna anche in Vitruvio quando parla della gnomica e delle costellazioni.6 Ma il massimo sviluppo di questa concezione del mondo si deve a Tolomeo (100-168 d.C.), che lascia opere che resteranno definitive per più di un millennio. Si pensi oltre che alla “Geografia”, all’“Almagesto” e all’“Ottica” anche al “Planisfero” e all’“Analemma”.7 Va ricordato che Tolomeo ha rappresentato l’intera “Ecumene” per coordinate geografiche, latitudine e longitudine ed ha elaborato tre metodi di proiezione geometrica: quella cilindrica, quella conica, poi perfezionata in omeotera,8 e quella che oggi chiamiamo prospettica e cioè la proiezione stereografica. Questo filo di pensiero durante il medioevo si assottiglia, ma non si spezza. E viene diffuso, anche se in maniera un po’ approssimativa, in occidente tramite la scolastica e S. Tommaso (1201-1274) e nel mondo arabo tramite Averroè (1126-1198). Di notevole interesse è anche il fatto che nel 1200 Leonardo Fibonacci, che a lungo aveva vissuto ad Algeri, pubblica a Pisa il “Liber abbaci” e la “Practica geometriae”, fondendo le nozioni della cultura greca classica con quelle arabe (la numerazione di Al Kuwarizmi e la trigonometria di Al Buttani). Proprio nei primi anni del ‘400, nel ricominciare quella ricerca e quella rilettura dei classici di cui dicevo all’inizio, viene portata a Firenze una copia della “Geografia” di Tolomeo da Manuel Chrisolara e Agnolo da Scarperia.9 E la sua traduzione incominciò a circolare subito dopo. Merita di capire esattamente come ciò possa influire sul nostro ragionamento: il terzo tipo delle proiezioni geometriche tolemaiche, quello stereografico, se effettuato in particolari condizioni, presenta caratteristiche rilevanti: quelle stesse caratteristiche che probabilmente erano servite a Ipparco per disegnare con l’astrolabio le sue mappe celesti. Sia data allora una sfera, un punto P su di essa e un suo piano equatoriale non passante per P: possiamo pensare di proiettare da P sul piano dato tutti i punti della semisfera che non contiene P. Se per esempio prendiamo la sfera terrestre e scegliamo convenientemente il centro di proiezione, ad esempio il polo Sud, ed il piano di proiezione, ad esempio il piano equatoriale, abbiamo trovato un metodo semplice per rappresentare, su una tavoletta (che materializza il piano) tutti i punti dell’emisfero settentrionale. Lo stesso può dirsi per la sfera celeste, in tal caso scegliendo il sud e l’equatore dell’Universo anziché quelli della terra. Questo modello di proiezione non è tanto interessante dal punto di vista cartografico perché mantiene delle buone similitudini complessive soltanto per le regioni polari, ma è di grandissimo interesse per la rappresentazione del modello del cielo, proprio perchè facilmente disegnabile. Ebbene quello che abbiamo ora descritto altro non è che il principio su cui si basa il funzionamento dell’astrolabio. Risulta così evidente il motivo per cui è tanto importante scoprire se il Brunelleschi conosceva il funzionamento di questo strumento: perché, come abbiamo visto, il principio su cui si fonda è quello della proiezione centrale e quindi si può supporre che Filippo abbia derivato la rivoluzionaria “scoperta” della prospettiva proprio dalla sua utilizzazione. Vediamo meglio come è fatto e a che cosa serve. L’astrolabio sostanzialmente è un modello della volta celeste che serve soprattutto a misurare il tempo. Ma misura anche lo spazio: gli angoli, le altezze e le distanze. Esegue le misure del celo e

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della terra, e prevedendo la posizione degli astri predice anche il futuro. E’ stato insomma per oltre 1500 anni lo strumento di misura per eccellenza. Si compone di più dischi sovrapposti ad una “madre”; nel verso generalmente vi è una scansione in gradi, una linda, o alidada o traguardo, e spesso, in epoche avanzate, un quadrante geometrico, che serve per misurare gli angoli, le altezze e le distanze. Nel recto, sopra alla “madre”, si trova il “timpano” con inciso sia il sistema di riferimento alto-azimutale, sia le principali linee della volta celeste: l’equatore celeste, i tropici, l’eclittica. Tutte queste linee che nella realtà del modello del cosmo sono dei cerchi, si trasformano, nella proiezione stereografica sul “timpano”, in altrettanti cerchi: per questo è estremamente semplice tracciare le linee dell’astrolabio. Sopra al “timpano” (che viene disegnato per ciascun punto di uguale latitudine) è disposta la “rete”, ottenuta anch’essa per proiezione stereografica, e che rappresenta la posizione delle principali stelle. E’ evidente che, ruotando, ogni ventiquattro ore le stelle tornano ad occupare la loro posizione iniziale e che, in ogni istante, esse occupano una specifica posizione nel sistema di riferimento. Viceversa, perciò, dalla loro posizione si può ricavare l’ora astronomica. Per eseguire le osservazioni l’astrolabio si usa sia in verticale, per leggere l’altezza delle stelle, sia in orizzontale, per leggere il loro azimut, che è l’angolo che esse formano con la direzione del nord. In verticale si usa anche come “quadrante del cerchio” o come “quadrante geometrico” a seconda del tipo di incisioni riportate nel verso. Conoscendone i principi di funzionamento, tenuto in verticale l’astrolabio suggerisce immediatamente la disposizione del “quadro prospettico” in quanto esso stesso è un quadro prospettico e, visto di profilo in funzione di “quadrante”, rende immediata l’individuazione del “punto di vista” ed intuibile quella dei “punti di fuga” e del “punto centrico” in particolare. Vi sono astrolabi poi che dispongono il quadro in modo che esso passi per il coluro dei solstizi e i poli, rendendo ancor più evidente la similitudine con il processo proiettivo della prospettiva. Si tratta ora di scoprire se il Brunelleschi conoscesse i fondamenti dell’astrolabio e se lo sapesse usare. A favore di questa ipotesi abbiamo ad oggi soltanto alcune prove indirette. La prima, assai labile in verità, è costituta dal fatto che Filippo fu amico di Paolo Dal Pozzo Toscanelli, il grande astronomo e matematico, che tornato a Firenze nel 142510 lo aiutò nei progetti per voltare la cupola e che poi ne costruirà il grande gnomone. Sicuramente, come astronomo, il Toscanelli aveva assoluta familiarità con l’astrolabio e pare assai verosimile che ne abbia discusso con Filippo. La seconda, forse la più suggestiva, è racchiusa in una figura del “De ingeneis” di Mariano di Jacopo detto il Taccola, ingegnere senese. Lo scritto è del 1432-35. Ritrae un “ingegnere” intento a misurare il dislivello tra un corso d’acqua e la sua sorgente. Mariano conosceva bene Filippo, tant’è vero che scrive di un colloquio che aveva avuto con lui sul mestiere dell’architetto, quando lo aveva incontrato, forse a Siena, intorno al 1433.11 Vista la concomitanza di questo scritto con la data dell’assedio di Lucca (1430), alcuni studiosi hanno addirittura immaginato in quella figura un possibile ritratto del Brunelleschi stesso (M. Fondelli, 1971).12 In quell’evento Filippo era intendente militare dei fiorentini comandati da Felice Brancacci, Neri Capponi ed Alessandro degli Alessandri. Il piano per prendere Lucca era quello di deviare le acque del Serchio ed allagare la città, ma, forse per un errore di Filippo, ad allagarsi non fu la città bensì l’acquartieramento dei fiorentini che furono costretti a levare le tende.13 Orbene, sarebbe molto strano che l’“ingegnero senese” Mariano di Jacopo conoscesse l’astrolabio ed il tanto più famoso “ingegnero fiorentino” ne ignorasse l’esistenza. La terza congettura ce la fornisce il Vasari quando racconta che Filippo “lavorò di sua mano alcuni orioli bonissimi e bellissimi”. E l’astrolabio, appunto, è un orologio astronomico. E’ molto probabile che chi conosceva il funzionamento degli orologi meccanici conoscesse anche quello degli orologi astronomici. In ogni caso nel 1300 è ampiamente documentata la diffusione dell’astrolabio in tutto l’occidente. Ma vediamo come il Brunelleschi ne avrebbe potuto concretamente usare i principi. Nel caso della rappresentazione delle stelle sul piano dell’astrolabio, visto che queste sono sempre disposte sulla sfera celeste, per trovarne la posizione in un certo istante dato il centro di proiezione, è sufficiente una misura azimutale ed una di

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altezza. In altri termini: dal centro di proiezione parte una piramide di raggi che incontrano le stelle disposte sulla sfera celeste; questa piramide è intersecata dal piano equatoriale che, in scala infinitamente più piccola, è materializzato dal piano dell’astrolabio: i punti che rappresentano le stelle sono individuati dall’incrocio di due coordinate, l’angolo di altezza rispetto all’orizzonte e l’angolo rispetto alla direzione del nord. Il caso della rappresentazione delle cose della terra invece è un po’ diverso perchè diverso è il modo con cui le cose sono disposte nello spazio: per conoscerne la posizione dobbiamo rilevarle sia in pianta, sul piano orizzontale, che di profilo, per valutarne l’altezza. Però per metterle in prospettiva Filippo inventa un procedimento assai simile a quello dell’astrolabio sempre basato sulla “intersecazione” della piramide con il quadro, e che i suoi biografi hanno chiamato “costruzione legittima”. Questo metodo fu usato da Filippo per tracciare il disegno prospettico delle perdute tavolette del Battistero e di Piazza della Signoria. Se il procedimento usato sia stato effettivamente quello che descrive il Vagnetti14 è ancora in discussione tra gli studiosi. Tuttavia è assai probabile che il Brunelleschi per eseguirle abbia dovuto servirsi di un accurato rilievo, e magari dell’aiuto di un astrolabio. Ma di questo poco si sa e Fig. 1 - Astrolabio arabo del 1200 Fig. 2 - M. Felli, proiezione stereografica dei cerchi verticali Fig. 3 - Mariano di Jacopo, misurazione del dislivello con l’astrolabio (De ingeneis, libro IV, 1433-1435).

molto si suppone, perchè i biografi non ce ne hanno trasmesso le modalità di esecuzione. Ci tornerò tra poco. Per il momento restiamo ai dati documentali che possediamo. Nel 1401, per il concorso delle porte del Battistero, il Brunelleschi, nella sua pur stupenda formella, non usa la prospettiva. Mentre nel 1425, quando disegna per Masaccio l’architettura della Trinità di S. Maria Novella, commissionatagli dai coniugi Cardoni, ne ha una padronanza piena. E’ solo casuale che nel frattempo l’opera di Tolomeo sia stata tradotta? Piero Sanpaolesi in una delle sue pagine più belle,15 immagina come il Brunelleschi abbia costruito la scena, che diventa anche più verosimile se tra parentesi si rammentano le operazioni che normalmente si eseguono con l’astrolabio: Filippo sulla parete della navata di sinistra all’altezza della terza arcata, o forse su un cartone, batte col filo a piombo una corda verticale (esattamente come se disegnasse l’asse del mondo), poi con la sesta traccia l’orizzonte dove “l’occhio percuote” il quadro (come se fosse il piano del-

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l’orizzonte) e quindi disegna con il chiodo la “finestra”, dalla quale guarda la scena. Sostanzialmente ridisegna la Cappella Barbadori che in quegli anni ha appena costruito, e che poi è identica a quella che suo figlio adottivo, il Buggiano, costruirà a Pescia in S. Francesco. Dopo aver stabilito il punto di vista (vero e proprio centro di proiezione), distante circa 15 braccia, una volta e mezzo l’altezza della pittura, ribalta sul muro i due punti di distanza, Sanpaolesi dice “i punti della misura” (così come disegnerebbe l’intersezione del cerchio massimo con la linea dell’orizzonte). Disegna poi in vera grandezza un’architrave ben scorniciata appoggiata a due pilastri corinzi e la testa della volta sorretta da due colonne sormontate da due capitelli jonici. Non si tratta più di disegnare la volta mobile del cielo, ma di rappresentare in modo veridico una volta allo stesso tempo terrestre e celeste, immobile ed eterna, dimora ultima del Dio fatto uomo. Per far questo Filippo disegna in vera grandezza il profilo della volta ribaltandolo sul quadro (come se ruotasse la volta del cielo) e ottiene per via di “intersecazione” l’immagine scorciata della volta terrena che copre il corpo crocifisso di Cristo. Come giustamente nota il Sanpaolesi, quella della Trinità sarà forse la lezione più ascoltata e seguita di tutta la storia della pittura. Ma torniamo ora alla macchina dimostrativa che Filippo aveva escogitato per osservare le tavolette del Battistero e di Piazza della Signoria, anche se limiteremo le osservazioni alla prima delle due tavolette in quanto facilmente estendibili anche alla seconda.16 Mentre il funzionamento della macchina è stato abbondantemente chiarito (Parronchi, 1958), sono state avanzate varie ipotesi su come furono disegnate le tavolette. All’ipotesi, che per semplicità chiamerò del Vagnetti, ho già accennato. Questa costruzione anche se concorda pienamente con le parole del Vasari: “che fu il levarla con la pianta e profilo”, non appare a mio giudizio la più probabile per due motivi: il primo perché presuppone una disposizione delle figure rilevate molto più vicina alle consuetudini successive che non a quelle del primo quattrocento. Forse sarebbe più logico pensare che Filippo abbia ribaltato direttamente il profilo del Battistero sul quadro, come nella Trinità di S. Maria Novella, ma anche in tal caso, ecco il secondo motivo, la costruzione non da luogo ad una immagine speculare e quindi si riferisce più alla prospettiva in generale che a quella tavoletta, che invece richiedeva la presenza di uno specchio per essere osservata. Una seconda ipotesi è quella dello specchio, e cioè la supposizione che l’immagine fosse stata dipinta sull’“ariento brunito” (Gioseffi 1957), disegnandola perciò con le spalle al Battistero. Questa è un’ipotesi molto suggestiva e risponde esattamente sia alla cultura ottica del tempo che alle parole del Filarete “Abbi uno specchio... e guarda in esso... e veramente da questo mondo credo che Pippo... trovasse questa prospettiva”. Evidentemente l’immagine che si formava necessitava di un altro specchio per essere vista correttamente e quindi concorda perfettamente con le descrizioni dei biografi. L’ipotesi, peraltro già esclusa (Degli Innocenti 1976)17 che la tavoletta fosse di vetro trasparente, tale cioè da sostituire il velo, è da scartare per lo stesso motivo della prima ipotesi: e cioè perché non produce l’inversione dell’immagine. Varrebbe solo per il Battistero, considerato come una fabbrica simmetrica, ma non per la colonna di S. Zanobi e il resto della scena che, come scrive il Manetti, era dettagliatamente rappresentata. Di grandissima suggestione infine è l’ipotesi della camera oscura suggerita dal Fondelli (1978).18 E cioè che il Brunelleschi abbia costruito una vera e propria camera oscura praticando un foro nella porta centrale di S. Maria del Fiore e abbia dipinto perciò un’immagine capovolta e rovesciata. In ogni caso, nota sempre il Fondelli, la macchina prospettica così come individuata dal Parronchi evidenzia: il rimpicciolimento dell’immagine, il suo raddrizzamento, il ripristino della distanza principale, l’aggiustamento alla visione distinta, il rapporto di scala, inoltre individua il rapporto tra punto di vista, o centro di proiezione, e punto principale: il primo sul “foro”, l’altro nel centro dell’immagine. Da notare che queste nozioni corrispondono bene ai moderni principi di fotogrammetria e soprattutto al principio della restituzione per proiezione ottica. Quale che sia l’ipotesi giusta, ognuna, come abbiamo visto fonda sugli stessi principi proiettivi che stanno alla base del funzionamento dell’astrolabio: anche per questo se si trovassero prove documentali certe sul fatto che Filippo ne conosceva l’uso, sarebbe definitivamente svelata l’origine “della dolce prospettiva”.

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Fig. 4 - P. Sampaolesi, l’impianto prospettico brunelleschiano della Trinità di Masaccio

Fig. 5 - L. Vagnetti, ricostruzione grafica della tavoletta brunelleschiana del Battistero

Fig. 6 - La tavoletta del Battistero, le ricostruzioni di Parronchi (a) e di Fondelli (b)

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E. GARIN, L’Umanesimo Italiano, I ed. it. Bari 1952, IV ed. 1964 pag. 18. Ivi pag. 22. 3 L. BRUNI, Vita di Messer Francesco Petrarca, nell’ed. del Galletti, Firenze 1847 pag. 53 4 Così narrano Antonio di Tuccio Manetti nella Vita di Filippo di Ser Brunellesco ed il Vasari nelle sue Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti. 5 La definizione di “proiezione stereografica” si deve ad Aquilonio (1613). 6 Vitruvio ne parla in modo assai oscuro nel libro IX dal cap. 4 al cap 9. 7 Si veda a questo proposito la recente collana di testi classici e storia della prospettiva a cura di Rocco Sinisgalli, “Domus perspectivae”, Firenze (a partire dal) 1994. 8 Per la classificazione dei vari tipi di proiezione si veda ad es. C. TRAVERSI, Tecnica cartografica, Firenze 1968. 9 Cfr. L. VAGNETTI, De naturali et artificiali perspectiva, Firenze 1979 pag. 196. Anche il Vagnetti e vari altri studiosi di scuola anglosassone hanno avanzato l’ipotesi che Brunelleschi conoscesse l’opera di Tolomeo. 10 Per i rapporti tra Brunelleschi e Dal Pozzo Toscanelli si veda ad es. l’introduzione di P. GALLUZZI a Gli ingegneri del Rinascimento da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, Firenze 1996. 11 Cfr. E. BATTISTI, Filippo Brunelleschi, Milano 1976, pag. 20. 12 Cfr. M. FONDELLI, Le tecniche mensorie del XV secolo, Firenze 1977, pag. 10. 13 Cfr. P. GALLUZZI, op. cit., pag. 18. 14 L. VAGNETTI, op. cit., pag. 200. 15 A questo proposito si veda, E. BATTISTI, op. cit. pag. 102. 16 P. SAMPAOLESI, Brunelleschi, Milano 1962, pag. 51 e seg.. 17 G. DEGLI INNOCENTI, in E. BATTISTI, Filippo Brunelleschi, op. cit. pag. 111. 18 M. FONDELLI, I fondamenti della fotogrammetria nella prima esperienza prospettica di F. Brunelleschi, in “Bollettino degli Ingegneri” n. 11, Firenze, 1977. 2

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The article is taken from headword “Stereotomy” included in the glossary perfecting the research that I am doing about vaulted surface and Western area’s” Stereotomy’s treatises” analysis. In the work is tuned up the headword “Stereotomy” definition, that contains, according to the writer, either the art of cuffing stones, or the geometrical laws required for the correct execution of “cutting” itself. Stereotomy points out how the development of theoretical geometry and its applications are getting together, how they supported each other; some examples hold up its theory following summarily the historical evolution. Rational bibliography about stereotomy treatises from XVI to XIX century is proposed.

STEREOTOMIA “Scienza del taglio dei solidi” Carmela Crescenzi Il termine, dal Greco στερεος, solido, e τοµη, taglio, indica l’Arte di tracciare le forme da dare alle pietre e ai laterizi secondo l’esigenza del loro assemblaggio1; l’insieme delle norme geometriche necessarie al tracciato delle sezioni, in vera grandezza, dei solidi e delle tecniche per il taglio dei conci delle strutture in muratura.2 Risalendo alla definizione etimologica di “Stereotomia” si può certamente ritenere riduttivo il solo significato esteso all’applicazione in architettura. D’altronde, se è vero che nel quadro della Proiettiva, quale scienza della rappresentazione,3 si ritiene oggi che i vari metodi di rappresentazione, (e per essi sono da intendersi le proiezioni ortogonali, prospettiche ecc.) abbiano ritrovato unitarietà, forse si potrebbe insinuare il dubbio che è la nostra limitata conoscenza o ridotta visione a farci credere che le applicazioni delle geometrie fossero in antico slegate dalla geometria e che, al contrario, la stessa, a raggiunta maturità, non contenga segni dell’origine pratica. La dicotomia fra geometria ed applicazioni è possibile solo se si pensa alle applicazioni come mera esecuzione di un manufatto ad opera di un semplice esecutore, poiché guardiamo alla scienza e all’applicazione separatamente e non in un contesto unitario. Probabilmente in alcuni periodi storici si sarà effettivamente persa la continuità della trasmissione della scienza o la “conoscenza” delle leggi, ma un filo, per quanto sottile, deve aver legato fra loro le epoche di più vigoroso sviluppo delle conoscenze teoriche. Chi ripercorre la storia dello sviluppo delle cognizioni geometriche comprenderà agevolmente come non sarebbe stato possibile il progresso della Geometria senza il contestuale sviluppo della rappresentazione. La originaria unitarietà parve frammentarsi quando i metodi della rappresentazione furono arbitrariamente sentiti come scienze distinte e separate, invece che come parti di un unica scienza. L’immagine figurata di “tirare una retta” è ciò che resta dell’attività degli arpedonapti, annodatori di fune, o meglio agrimensori Egizi (Fig. 1). E dalla loro atttività gli storici greci vogliono che discenda la Geometria “misura della terra”. Si devono a loro le due linee più semplici e più importanti della geometria: la retta ed il cerchio. La necessità di costruzioni con “rette e cerchi” nelle applicazioni emerse dall’attività degli agrimensori e mise in evidenza la diversità del trasporre le stesse costruzioni in “campo”, su “carta” o per processo mentale (matematico). Ma tutti e tre gli ambiti sono gli uni correlati agli altri. Di quanto e come sia avvenuto il processo di maturazione della Geometria restano segni labili. “Segni labili, perché gli Elementi (di Euclide) sono un opera matura, nella quale confluiscono elaborazioni precedenti oggi perdute, e che è organizzata secondo il procedere assiomatico-deduttivo proprio del pensiero greco e di lì di tutta la matematica occidentale (...). Se le definizioni e i postulati svolgono quest’opera di traduzione tra gli oggetti materiali della natura e i procedimenti empirici nella prassi da un lato, e le figure e le operazioni astratte della geometria dall’altro, è in essi che si potranno trovare e si dovranno cercare le tracce di una tradizione perduta (...)”. 4 La necessità di risolvere problemi sempre più complessi, quali la duplicazione del cubo, la trisezione dell’angolo, la quadra-

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tura del cerchio, hanno portato alla ricerca e costruzioni di nuove linee, di nuove curve: Ippia di Elide (V sec. a.C.) inventa la quadratrice, una curva per mezzo della quale egli ottiene la quadratura del cerchio e la trisezione dell’angolo; Archita di Taranto o forse Menecmo di Proconneso, ambedue fioriti intorno al 400 a.C., per mezzo dell’intersezione di due parabole risolvono il problema della duplicazione del cubo. La stessa applicazione sarà risolta nel II sec. a.C. da Diocle tramite una nuova curva, la cissoide.5 Quindi si deve ritenere che già nel II sec. a.C. la Stereotomia, in quanto “sezione dei solidi” avesse raggiunto ampie conoscenze scientifiche. Per quanto riguarda la Stereotomia come taglio delle pietre si ritrova ampiamente applicata sia nella realizzazione degli archi come, per citare qualche esempio, “la cappella a volta di Abido dei tempi del Faraone Sethos della XIX dinastia.” (1500 a. C), blocchi con letti orizzontali ad intradosso concavi (...). La presenza di veri conci come quello di una tomba-tempio a Bet Khallaf della terza dinastia (2700 a.C.) o quello del recinto di una tomba-tempio di Medinet Habu, databile fra il 700 e il 650 a. C.”,6 sia in opere voltate a botte con l’asse verticale od orizzontale “Tempio di Diana costituito da un pronao e da una volta a botte con sottarchi che (...) risale certamente all’età di Augusto” (fine I sec a.C.).7 Nel V secolo si trovano realizzate in tutta maestria gran parte delle superfici voltate. La grande epoca della produzione di trattati8 sulla stereotomia rimane tuttavia quella che va dal secolo XVI sino a tutto il XVIII, secolo col quale si ferma la presente indagine, con prosecuzione notevole ancora nel XIX. Fra i più importanti trattatisti dell’area occidentale si ricordano: 1560 - Hernán Ruíz il giovane, Siviglia. In gran parte, è una compilazione di Vitruvio e Serlio, con l’aggiunta di piante ideali e sue opere, affrontando anche soluzioni di stereotomia. 1567 - Philibert De L’orme, Premier tome de l’architecture, Paris, 1567. I libri III e IV sono dedicati esclusivamente all’arte del “trait”. I primi capitoli del terzo libro affermano alcune ragioni sulla necessità di praticare l’arte del taglio, descrivono alcuni strumenti degli apparecchiatori e del tagliatore quali il regolo, la squadra fissa (equierre), il calandrino squadra zoppa o mobile (sauterelle), il biveau, simile al calandrino “(...) che non è altro che uno strumento simile alla squadra, ma mentre la squadra mantiene le sue aste fisse, il biveau le ha mobili: in modo che si chiudano e si aprano come si vuole per fare tutti i tipi di angoli, così che se ne possano fare di retti, ottusi, acuti (...) inoltre le aste del biveau (...) presentano una forma curva secondo la curvatura dell’opera che si vuole realizzare”,9 infine il cartone o modello. Dal V al XVIII capitolo affronta i problemi per la copertura di alcuni vani di apertura, nell’VIII capitolo propone un quesito apparentemente non attinente all’argomento, come regolarizzare un castello irregolare: ma nel titolo si legge “L’artificio dei tracciati (disegno) geometrici serve quando si vuole di una casa o di due cominciate male o imperfette, (vecchie abitazioni o altro) una casa bella e perfetta, adattandone tutte le membra e parti del vecchio edificio con il nuovo”.10 Nel IV libro dal I al IV capitolo tratta della trompe d’Anet, tromba

Fig.1 Dipinto murale della tomba di Menna (ministro di un faraone della XVIII dinastia) mostra degli agrimensori che si apprestano alla misurazione di un campo

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conica rampante in cui l’autore esalta tutte le difficoltà della realizzazione delle trombe “Il tutto si troverà di tale grazia e armonia quale potete giudicare nel disegno (...)”.11 Dal V al VII capitolo rappresenta il taglio di alcuni tipi di trombe. Dall’VIII al X capitolo affronta le volte “moderne” che “gli operai chiamano La moda Francese”12 o meglio le volte nervate del periodo gotico. L’autore non descrive che sommariamente la loro realizzazione e dice “(...)Se qualcuno desidera saperne di più per reailzzarla, occorre che si rivolga agli Architetti, o ai Maestro-muratori che ne sono pratici. Poiché è più disagevole spiegare in teoria, che non dimostrare praticamente in opera e di fatto (au doit et à loeil), come le pietre si devono tracciare ed assemblare.”13 Dall’XI al XVII capitolo descrive la realizzazione di volte sferiche, a vela o a cupola, con le diverse e possibili apparecchiature. Negli ultimi quattro capitoli descrive le scale a “vite”. La prima scala presentata ha una doppia rampa realizzabile in molti modi “(...) alcune voltate al disotto dei gradini, che sono comunemente chiamate dagli operai, la vis sainct Gilles, poiché nella Prioria di Sainct Gilles in Languedoc ce n’è una simile, portante una volta ad emiciclo, rampante al disotto dei gradini”;14 l’ultima riguarda una scala su pianta quadrata. 1567 - 1574 Jean Chéreau, Livre d’architecture. “(...) È uno scritto in cui l’autore plagia a piene pagine Serlio e De L’Orme (...) La parte più interessante e la più ricca concerne l’arte del “trait” (f°102 v fino a 119), associato alla prospettiva (che non è per sorprendere), ma anche alla astronomia, alla gnomonica, alla metrologia, a tutte le tecniche che permettono di rappresentare lo spazio con la misura ed il disegno (...). Il repertorio delle forme e il modo di rappresentare è molto vicino a quello di De L’Orme; ma qui e là, alcuni apporti nuovi, che sono preziosi per questa data: l’apparizione della tromba sferica nell’angolo e sotto lo spigolo; l’uso del nome di origine come per l’arrière-voussure (piccole volte) di Marsiglia e la tromba di Montpellier; infine, una importante lacuna: non menziona più la volta d’ogiva”.15 1575 - 1580 - Alonso de Vandelveira, figlio di Andrès, Libro de traças de cortes de piedras combro...compónese de todo género de cortes diferencias de capillas escaleras caracoles, templos y obras dificultades muy curiosas. In quest’opera, ad esclusione della trompe d’Anet, si ritrovano tutti i modelli presentati da Delorme, arricchiti di altri numerosi esempi: la tromba racchiusa in un triangolo costituita da due unghie, la volta “avenerada”, a nervature, usate diversamente che nella vicina Francia, e il capitolo che riguarda le scale, che sorprendono per la loro precocità. La rappresentazione di questo autore è più evoluta di quella di De L’Orme e merita un attenta valutazione. 1620 - 1630 - Jaques Gentilhâtre, Manuel d’Architecture, manoscritto. Manuel d’un ingenieur-architecte de la Première moitiè du XVII siècle. Traitès d’Aritmetique - de Geometrie en six livre; “De la fabrique des forteresses” - “Septième livre de la demonstration de l’architetcure des fotification[s]” - “Huitième livre demostrantes plusier machine servant à l’art militaire, tant pour asalir que pour defendre” - “Dixième livre de la démonstration de l’architecture de batiment de plusieur conditions, à sçavoir des batiment roialles, chempaistres et non champaistres...” - “Onzieme livre de la démonstration des traicts de masognerie”. 1627 - Mathurin Jousse, La fidelle ouverture de l’art de serrurier, où l’on void les principauls préceptes, desseings et figures touchant les experiences et operations manuelles du dict art, ensemble un petit traictè de divers trompes, La Fléche; Le secret d’architecture, decouvrant fidèlement les traits géometriques, couppes et dérobmens nécessaires dans les batiments, La Fléche, 1642. M. Jousse è il primo autore che pubblica un trattato esclusivo sulla stereotomia oltre ad aver dedicato un intero trattato alla carpenteria, Le théâtre de l’art de charpentier, 1650. Il tipo di rappresentazione nel Secret è simile a quello di De L’ Orme; vi si trovano diversi errori (inversioni di tavole, errori di legenda, ecc.); il repertorio è lo stesso, ma arricchito di numerosi esempi; non parla della volta ad ogiva; introduce la volta a crociera e la lunetta con le sue molteplici applicazioni. 1636 - G. Desargues, Exemple de l’une des manieres universelles du S.G.D.L; Brouillon, Project d’une atteinte aux evenemens des rencontres du cône avec un plan, 1639; Brouillon project d’exemple d’une manière universelle du S.G.D.L. touchant la pratique du trait à preveus pour la coupe des pierres en l’architecture: et de l’esclaircissement d’une manière de reduire au petit pied en prospective comme en geometral, et de tracert tous quadrans plats d’heure ègales au soleil, Parigi, 1640.

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In questo suo scritto l’autore afferma che “(...) non c’è alcuna differenza tra la maniera di figurare, ridurre o rappresentare una cosa qualunque in prospettiva, e la maniera di figurarla, ridurla o rappresentarla in geometrico, perché il geometrico e la prospettiva non sono che due specie di un medesimo genere (di operazioni concettuali) che possono essere enunciate e dimostrate insieme con le medesime parole.”16 L’autore, attento studioso della matematica, propone un unico esempio in cui cerca di risolvere tutti i problemi particolari della stereotomia, applicando una solo metodo, governato dai dettami della Geometria; un notevole sforzo di chiarificazione, di generalizzazione e di trasposizione delle leggi geometriche da analitiche a descrittive: la teoria del “trait” passa dai pratici ai teorici, dall’applicazioni di semplice regole empiriche ad uno studio geometrico di un problema posto. Ma il suo linguaggio, difficile ed inusuale per gli operatori, la concisa spiegazione, la complessità del disegno fece si che l’opera non fosse accetta ai “praticiens” che l’osteggiarono fortemente accusandolo d’ermetismo e mettendo in dubbio le sue capacità di teorico-pratico. 1643 - Abraham Bosse, La pratique du traict à preuve de M. Desargues, lyonnais pour la coupe des pierres à l’architecture, Paris; La manière universelle de M. Desargues...pour placer les heures et autres choses aux cadrans aux Soleil; nel 1648 edita, Manière universelle de M. Desargues pour pratiquer la prospective... Parigi. Bosse raccoglie e patrocina l’opera di Desargues, ne illustra i nuovi concetti e nuovi termini universali della sua opera; Desargues, dalla sua, non mancò di sostenere con dichiarazioni autografe l’attendibilità dell’interpretazione del discepolo. Bosse chiamato a coprire la cattedra di prospettiva all’Accademia di Belle arti promulga la nuova maniera universale, e questo, a causa dei detrattori del suo maestro, e quindi suoi, gli costa il licenziamento. 1640 - Blaise Pascal, Essay sur les coniques. Discepolo di Desargues il suo “Traité des coniques” rimasto manoscritto è andato perso, lo si conosce solo attraverso alcune note di Leibniz. 1643 - François Derand, L’architecture des voûtes, riedite nel 1743 e 1755. Matematico ed architetto, giudica severamente l’opera di Jousse, anche se nel suo testo è più vicino a quest’ultimo che a Desargues. Arricchisce le tipologie presentate da De L’Orme e Jousse: l’arrière-voussure de S. Antoine, trombe in nicchia e piatte, introduce la volta a spigoli doppi, nuove soluzioni per la scala a Vis. Nel trattato “per la prima volta si

Fig. 2 - Disegno con le indicazioni geometriche per la realizzazione di un concio, tratto dall’opera di Abraham Bosse, La pratique du traict à preuve de M. Desargues (...), Parigi, 1648 Tav 11.

trova una relazione diretta fra le tecniche costruttive e la razionalizzazione delle rappresentazioni”.17 Che Derand e Jousse siano preferiti a Desargues stupisce l’ingegnere François Blondel “Contengono l’uno e l’altro tanti modi diversi che essi si propongono per casi differenti, ci sono molte di queste pratiche che, nel rigore della geometria, sono false, tanto che in edifici considerevoli, gli operai sono sempre obbligati a riparare ciò che hanno fatto. Così sono stupito che la règle universelle di M. Desargues, spiegata nel libro di signor Bosse, sia così poco in uso, visto che essa è infallibile nella pratica e che può servire in tutti i casi”.18 1671 - Guarino Guarini, Euclides adauctus et methodicus matematicaque universalis, Torino. Opera teorica in folio, di oltre seicento pagine, suddiviso in 35 trattati sulle differenti parti della Geometria teorica ed applicata; in particolare nel XXVI trattato, De Projecturis, disquisisce sulla natura della proiezione con l’applicazione della stessa riferita agli elementi fondamentali della geome-

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tria e a figure piane, mentre nel XXXII, De Superficibus Corporum in planum redigendis, parla dello sviluppo delle superfici dei solidi e delle loro intersezioni. Nel 1737 è pubblicato postumo L’Architettura Civile, opera tecnico-pratica divisa in cinque trattati. Nel capitolo XXVI del III trattato parla “Delle volte, e vari modi di farle” e nell’osservazione prima dichiara “Tutti i volti nascono da sei corpi tondi, che tagliati per mezzo fanno sei sorte di volti primi, ed elementari”. Ai tipi di volte e al modo di disegnare le volte dedica le osservazioni dalla II alla XI. Nel IV trattato si occupa Della Ortografia gettata che riprende quanto detto e provato geometricamente nel XXXII trattato dell’Euclides a cui fa di continuo riferimento quando avverte la necessità del supporto teorico-geometrico. 1672 - Philippe de La Hire, Méthode de géometrie pour les sectiones des superficies coniques et cylindriqes; 1685 Sectiones conicae, 1694 Mémoire sur les épicyclodes. Matematico, astronomo, ingegnere é professore all’Académie d’ Architecture, succede a F. Blondel, raccoglie l’eredità di Desargues, periodicamente il suo insegnamento riguarda il taglio delle pietre. 1674 - Milliet de Chales, Cursus seu mundus mathematicus, Lion. Nel II tomo, trattato XII presenta “De lapidum sectione” in cui espone la stereotomia ma non si rivolge che ai matematici. 1728 - Jean-Baptiste de La Rue, Traité de la coupe des pierres. Paris. Raccoglie l’eredità tecnico-pratica di Derand. Volume di grande successo fra le più belle edizioni del XVIII secolo: vi sono inclusi i modelli dei conci come in un gioco di costruzione, tutti i modelli sono rappresentati in prospettiva e con le ombre. 1737-1739 Amédée-François Frezier, La Theorie et la pratique de la coupe des pierres et des bois pour la construction des voûtes... Traité de stereotomie a l’usage de l’architecture. L’opera, che riprende la tradizione di Desargues, è realizzata in tre tomi, l’impostazione matematica è molto forte. Il primo volume tratta delle curve su di un piano, dei solidi, le loro sezioni con piani, le intersezioni fra i solidi e le curve che esse determinano; nel capitolo V tratta “De la Goniographie” o descrizione degli angoli, nella pratica i metodi per trovare i biveaux (angoli misurati per la realizzazioni dei pannelli e quindi per il taglio della pietra stessa). Nel secondo tratta delle volte semplici, cioè costituite da una sola superficie: volte piane, cilindriche, coniche, sferiche, anulari ed elicoidali, volte a superficie irregolari. Nel III tomo tratta delle volte gotiche e di quelle composte, dovute all’intersezione di più solidi sia regolari che irregolari, su diversi tipi di scale e loro decorazioni, sulla colonna tortile. La seconda metà del tomo è riferita alla statica delle volte. Questi trattati elencati, come quelli che dissertano sulla prospettiva, sull’ottica, sull’astronomia ecc. vanno necessariamente studiati e correlati fra loro per conoscere lo stato della rappresentazione sia scientifica che pratica che precorre Gaspard Monge, autore del volume “Géometrié descriptive. Leçons donnèes aux École Normales l’an 3 de la Rèpublique”, Paris, an VII (1798), a cui si deve il merito di aver codificato le tecniche della rappresentazione. 1

ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Milano 1964. La seconda definizione è tratta da AA.VV., Dizionario Enciclopedico di Architettura ed Urbanistica, Roma, 1968. 3 M. DOCCI, R. Migliari, Scienza della rappresentazione, N.I.S, Roma 1992, p. 12. 4 F. CONTI, E. GIUSTI, Oltre il compasso. La Geometria delle curve, Ed. Carte Segrete, Firenze 1993. 5 A. UCCELLI, Enciclopedia storica delle scienze e delle loro applicazioni, Ed. U. Hoepli, Milano. 6 G. NICOLOSI - G. MATTHIAE, voce Arco in Enciclopedia dell’arte antica. 7 L. BANTI, voce Nîmes, in Enciclopedia dell’arte antica. 8 Fra i primi trattati sui tracciati geometrici in architettura sono da citare quelli scritti dai matematici Abu’l Wafa al-Bujani (morto nel 998) e da Giyath al Din Jamshid al-Kashi (morto nel 1429), manuali pratici riguardanti i principi base della geometria nelle applicazioni architettoniche, che spiegano la composizione di motivi geometrici bidimensionali, i disegni delle cupole e degli archi e le caratteristiche del sistema voltato dei muqarnas. Lo stato dell’arte nel medioevo occidentale è testimoniato dal “Livre de portraiture” di Villard de Honnecourt, in particolare le tavole 39, 40, 41 attestano le conoscenze del disegno tecnico applicato alla stereotomia. 9 PHILIBERT DE L’ORME, Architecture, Rouen, 1648). 10 P. DE L’ORME, 1648, p. 65. 11 P. DE L’ORME, 1648, p. 88. 12 P. DE L’ORME, 1648, p. 107. 13 P. DE L’ORME, 1648, p. 108. 14 P. DE L’ORME, 1648, p. 119. 15 Traduzione da J. M. PEROUSE DE MONTECLOS, L’Architecture à la Française, Paris, 1982. 16 Traduzione da L. VAGNETTI 1979. 17 J.M. SAVIGNAT, Dessin et architecture du moyen âge au XVIIIe siècle. 18 Traduzione da PEROUSE DE MONTECLOS, 1982. 2

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