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Intervista a Cecilia Bertoni | www.artalks.net

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Intervista a Cecilia Bertoni Pubblicato il 01/10/2014 da Simona M. Frigerio

Cecilia Bertoni: artista dello Scompiglio Incontriamo Cecilia Bertoni nella bella Tenuta dello Scompiglio, a Vorno, in provincia di Lucca. Ideatrice e guida artistica di questo spazio multidisciplinare che accoglie arti performative e figurative in una cornice naturale tra le più suggestive, Bertoni racconta di sé come artista e della nuova sfida dello Scompiglio, che nel 2015 indirà: «un bando aperto a tutti i generi artistici e a italiani e stranieri che vogliano presentare progetti sul tema del sesso, del genere e della sessualità». Lei è un’artista che ha viaggiato molto. Come vede la situazione dell’arte italiana in questo momento storico, soprattutto se confrontata con quella degli altri Paesi europei? Cecilia Bertoni: «Si dice sempre che l’arte italiana è molto provinciale nelle sue manifestazioni, intendendo non tanto gli artisti quanto l’ambiente nel suo complesso. In realtà, anche negli altri Paesi si può scorgere il medesimo provincialismo, se con questo termine si intendono dei circoli chiusi e autoreferenti. In Italia, in più, esiste un problema economico grave, dato che nessun Governo assegna fondi a chi produce arte né si hanno leggi che altrove sono comuni, quali la detrazione fiscale al 100% sulle donazioni a favore dell’arte, anche in caso di iniziative private». Racconta al pubblico di Artalks il suo percorso artistico? C. B.: «Ho iniziato il mio percorso dalla musica, dato che volevo diventare clarinettista o cantante. Dopodiché ho scoperto che, forse, la forma espressiva che mi corrispondeva di più era il movimento e da allora ho iniziato a lavorare in teatro, specificamente in quello fisico, oltre che in veste di dramaturg e regista. Quello che mi caratterizza da sempre è, infatti, l’idea che l’unità esiste nell’artista – così come nella persona – e non nelle forme espressive che egli, di volta in volta, elegge». Attualmente, alla Tenuta dello Scompiglio, è visitabile Camera #3. Come si è sviluppato questo progetto che sembrerebbe giunto alla sua conclusione? C. B.: «Camera #3, in realtà, era il progetto inziale ed è nato da un’idea di Claire Guerrier e mia, con la collaborazione del musicista Carl G. Beukman. L’idea era costruire insieme una stanza e, d’un tratto, mi è venuto in mente che all’interno della tenuta c’era un rudere che poteva essere adatto allo scopo. Ho invitato Claire a venire a vederlo e, partendo da quello spazio, abbiamo cominciato a immaginarci come avremmo potuto collaborare. Poi, per la Giornata del Contemporaneo 2011, abbiamo deciso di annunciare il progetto in progress lasciando una traccia in un altro spazio. Nello spazio delle vasche abbiamo creato la prima camera, rendendoci conto di condividere molte idee e il medesimo feeling. L’anno successivo, mentre il metato era in ristrutturazione e sempre in occasione della Giornata del Contemporaneo, abbiamo costruito – nel parco – un cubo che all’esterno era formato da specchi, dove abbiamo sviluppato alcuni motivi che ci interessavano per completare il progetto. Proprio questo lungo percorso ci ha poi permesso, in Camera #3, di lavorare molto più in sintonia, sapendo già cosa inserire e cosa evitare, anche se nessuna parte è frutto di un lavoro a quattro mani, bensì di Claire o mio». Spesso si pensa che gli artisti siano dei solitari: come si lavora a un progetto artistico condiviso? C. B.: «Con Carl collaboro da molto tempo, mentre con Claire avevo già lavorato in un contesto più teatrale e performatico. Se vogliamo essere precisi, Carl – come fa sempre – ha aggiunto il suo contributo alla fine. Per http://www.artalks.net/intervista-a-cecilia-bertoni/#more-3475

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quanto riguarda Claire e me, provenendo da contesti teatrali dove è usuale che gli artisti cooperino, si può dire che avessimo un background consolidato. Dopodiché, dato che il progetto era di largo respiro, anche a livello temporale, le problematiche che possono nascere tra due persone – prima ancora che artiste – si può dire le avessimo elaborate e risolte da tempo». Lei ha fondato ed è alla direzione artistica dello Scompiglio. Ci racconta com’è nata l’idea di questo spazio? C. B.: «Il progetto nasce dal mio desiderio di ritornare in Italia alla ricerca delle mie radici e, nel contempo, di trovare uno spazio dove portare avanti le mie attività teatrali. Quando ho scoperto questo luogo, mi sono resa conto che non potevo prescindere dalla parte paesaggistica e dalla sua tradizione agricola. All’inizio proponevamo le performance all’esterno, anche perché al chiuso avevamo solo la Cappella. Ma con il passare del tempo sentivo sempre più l’esigenza di creare uno spazio che fosse diametralmente all’opposto di quanto si vede all’esterno, dove è la luce l’elemento predominante. E, quindi, di ideare un interno completamente artificiale, che è attualmente il nostro spazio espositivo». Nello spazio espositivo è visitabile A Long Day, un’installazione site-specific di Chiharu Shiota. E poche sere fa abbiamo assistito a Sisters of Hera, una lunga performance agita sia nella tenuta che all’interno del teatro. Come sceglie le proposte artistiche per lo Scompiglio? C. B.: «A parte Chiharu Shiota, che è un’artista nota, in generale ci piace proporre artisti bravi che non hanno molte possibilità di mostrare il proprio lavoro. Perché non è detto che tutti quelli che sono famosi siano bravi né che tutti quelli che non sono famosi siano negati». Quali giovani artisti consiglierebbe di tenere d’occhio e chi le piacerebbe poter ospitare allo Scompiglio? C. B.: «Non ho dei nomi in particolare da consigliare ma apprezzo gli artisti che si liberano dai filoni e riescono a essere coerenti con se stessi. Per quanto riguarda lo Scompiglio, posso annunciare che nel 2015 indiremo un bando aperto a tutti i generi artistici e a italiani e stranieri che vogliano presentare progetti sul tema del sesso, del genere e della sessualità. Vaglieremo quindi i diversi progetti e, nel 2016, li proporremo nei nostri spazi, interni ed esterni». Simona M. Frigerio

www.delloscompiglio.org

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