Sulle Ali Di Un Sogno

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Sulle ali di un sogno Deborah Fedele


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Copyright © 2012 by Deborah Fedele Tutti i diritti riservati Edizione Novembre 2012


Alla mia lettrice preferita, mia madre, e a Nino, che ha letto questo libro per primo. Alle mie sorelle, a mio padre, e ai miei affezionati nonni.

Una foto è un pezzo di mondo, è una parte di te, un libro che ti racconta. Può farti notare cose che prima non avevi visto. Può sorprenderti. Una foto può cambiarti la vita.



PARTE PRIMA

CAPITOLO UNO FOTOGRAFIE E RICORDI

E

ra mezzanotte e la città dormiva. Il cielo era coperto da nuvoloni scuri e rigato da fulmini, che suggerivano che di lì a poco sarebbe scoppiato un temporale; da uno scorcio di finestra aperta, Alice Cafarelli respirava l’odore della pioggia in arrivo. Casa sua, la città stessa, erano silenziose e addormentate, ma lei non riusciva a prender sonno. Sedette alla scrivania e analizzò attentamente un gruppetto di foto sparse sulla superficie del tavolo; mordicchiava una matita lentamente, quel gesto pareva infonderle concentrazione, e avvicinava a una a una le foto alla luce dell’abat-jour. L’ispirazione giunse d’improvviso: scarabocchiò qualche simbolo sulle foto, tirò fuori dal cassetto le forbici, e iniziò a ritagliare. Quando ebbe finito, Alice raccolse il gruppetto di pezzi di foto, si avvicinò a un vecchio cavalletto da pittore e gli sedette di fronte. Il foglio era liscio e bianco, come un mappamondo da disegnare, e quei pezzi di foto tutti vicini, tra le sue dita, le davano quasi la sensazione di poter viaggiare indietro nel tempo. La ragazza ricompose i ritagli a suo piacere, su quel foglio bianco, creando un collage di volti, di cose, d’istanti. Quando andò a dormire, quella sera, si sentì soddisfatta: aveva creato un altro mondo che, a suo dire, era perfetto.


<<Brava, e così ieri notte ti sei data da fare a tagliuzzare foto, anziché dormire?>> esclamò Ilenia, fissando nervosamente il semaforo rosso. <<E soprattutto anziché studiare.>> puntualizzò dal sedile posteriore Lucia. Alice sorrise, nascosta dietro enormi occhiali da sole. <<Mi è venuta l’ispirazione!>> si giustificò, con un sorriso innocente. Lucia alzò gli occhi al cielo esasperata, richiudendo il grosso libro di latino che stava mandando giù a memoria, parola per parola. <<Spero t’ispiri anche la versione di latino che dovrai tradurre tra poco>> aggiunse, sistemandosi gli occhiali sul naso. Non c’era da sorprendersi che fosse la più brillante della scuola, non faceva altro che studiare! Lucia Piccolo e Ilenia Famoso erano le migliori amiche di Alice, e lei le considerava come sorelle. Erano così diverse da lei, eppure sentiva che in qualche modo la completavano. Lucia, dai capelli neri a caschetto e quei limpidi occhi azzurri, era sicuramente la “mamma” del gruppo, quella che diceva sempre la cosa giusta e che teneva tutti con i piedi per terra. Ilenia invece era un vulcano attivo, esuberante, piena di vita. Era anche molto bella, con lunghissimi capelli biondi che le incorniciavano il viso, leggere efelidi che donavano puerilità alla sua sensualità, labbra disegnate, un sorriso bianco e, a dispetto di quella malizia che dominava i suoi occhi, angelico. La ragazza accelerò e superò con un sorriso una vecchia automobile guidata da due giovani. Nello specchietto, i suoi occhi verdi brillarono di puro divertimento: adorava sfidare gli uomini, soprattutto in attività in cui si credevano insuperabili. In quanto ad Alice non era né la più popolare della scuola né tantomeno il genio della classe; però era brillante, originale e creativa. La sua passione era la fotografia, ma amava anche scrivere poesie (mai ordinate in quaderno, ma sempre sparse in pezzi di carta o addirittura foglie) e dipingere. Era bella, nella sua disarmante semplicità. Aveva i capelli rossi, di un riccio morbido, occhi nocciola e un viso pulito.


Ilenia si fermò nel parcheggio della scuola e guizzò fuori dall’auto come una gazzella, chiudendosi dietro la portiera con un teatrale movimento di capelli. <<Basta con i rimproveri … per oggi saremo clementi. Però tu devi offrirmi un gelato questo pomeriggio, così con la scusa ci vediamo!>> esclamò con un tono imperativo, al quale sarebbe stato quasi impossibile rispondere di no. Lucia non si contenne e rispose con voce quasi implorante, ancora prima che Alice potesse aprir bocca: <<Non è possibile, Ile! Quest’anno hai gli esami e domani avrai verifica di fisica! In quanto a noi, abbiamo il compito in classe di filosofia!>> soffiò, mentre si trascinava goffamente fuori dalla macchina, schiacciata dal peso di libri e vocabolari. Alice le andò incontro per prenderle di mano qualche libro, trattenendo le risate. <<Non preoccuparti per me, copierò qualcosa, vedrai!>> rispose allegramente, e Lucia impallidì dietro la pila di libri. Ilenia rise sonoramente. <<Per l’amor del cielo, Lucy! Sai tutti i libri a memoria, non puoi negare alle tue amiche un pomeriggio con te! E poi Alice deve raccontarci tutto di ieri sera!>> <<Oh, giusto, dimenticavo che ieri tu e Alex avevate una delle vostre … serate speciali …>> bofonchiò Lucia. Diventava sempre rossa e s’imbarazzava quando si parlava di ragazzi e appuntamenti. <<Serate speciali? Starai scherzando spero, ieri Alice e Alex festeggiavano dodici mesi insieme. Non è vero, Alice?>> Alice annuì e si strinse i libri al petto. Sembrava trovare particolarmente interessante la processione di un gruppo di formiche per strada. Si scostò i capelli dal viso, raccogliendoli dietro l’orecchio. Era solita farlo ogni volta che avrebbe preferito cambiare discorso o trovarsi dall’altra parte del mondo, anziché nella sua situazione. E chi meglio di Ilenia, sua migliore amica da sempre, avrebbe potuto capire? <<Non dirmelo! Non anche ieri! Alex ha di nuovo fatto lo stronzo?>> <<Ilenia!>> la rimproverò Lucia.


Alice si strinse nelle spalle sorridendo, ostentando il suo inguaribile orgoglio. <<Quel ragazzo è un idiota, Ile, lo sai… per lui non litigare è troppo noioso. Ha fatto una delle sue scenate, come sempre!>> Sorrise appena, poi s’incupì. Sì, erano passati dodici mesi, dodici mesi con lui. Un anno non esattamente sereno a essere sinceri. Ricordava bene il caldo pizzicante del pomeriggio in cui lo aveva conosciuto: era diretta al bar con Lucia e mentre l’amica le parlava (dissertava, esattamente) di un qualche filosofo, una macchina, ignorando il semaforo rosso, era sfrecciata in strada rischiando di travolgerle. Al volante c’era Alessandro, ai tempi neppure maggiorenne. Preoccupato, era sceso dall’auto, si era scusato e alla fine aveva offerto loro qualcosa al bar. Era iniziata così la loro storia, da uno spiacevole evento, poi avevano continuato a vedersi (Alessandro continuava a dire che doveva farsi assolutamente perdonare), finché l’amore non era sbocciato. Adesso però, più di un anno dopo, Alessandro Puglisi si era rivelato tutto meno che il gentiluomo che fingeva di essere. Lui l’amava, ma sapeva essere odiabile e i suoi atteggiamenti rasentavano quasi la violenza. Era il ragazzo più egoista che Alice conoscesse, oltre che il più superbo, presuntuoso, possessivo (e ossessivo) che avesse mai avuto per fidanzato. Bè, non che Alice potesse vantare una vasta gamma di ragazzi passati. Alessandro era la sua prima storia seria, era stato veramente il primo amore. <<Ti offendi Alice, se ti dico che lo odio? Dovresti fare come me amica mia, niente uomini, solo avventure!>> disse Ilenia ridendo allegramente, mentre le guance di Lucia avvampavano di disapprovazione. Ilenia non era davvero una mangiatrice di uomini, come cercava di apparire, la maggior parte delle volte esagerava per divertirsi a irritare Lucia. <<Non ascoltare i suoi consigli, Alice … piuttosto, come mai avete litigato? Questa volta è stata una gonnellina troppo corta o uno sguardo di troppo al cameriere?>> domandò Lucia, ma sembrava


troppo tardi per ricevere una risposta. La campanella di entrata suonò, e le ragazze dovettero salutarsi. <<Ci vediamo questo pomeriggio allora!>> disse Alice con un tono che suonava più come una promessa. Ilenia andò via, accompagnata dagli sguardi di ammirazione di molti ragazzi, mentre Lucia – il topo da biblioteca Lucia –annunciava che avrebbe tardato qualche minuto per fare una ricerca. Alice proseguì da sola lungo il corridoio dell’edificio, diretta in classe, mentre fissava distrattamente gli altri ragazzi del liceo. Quando passò davanti alla porta della 5 A, la classe di Alessandro, uno sguardo curioso le scappò inevitabilmente dentro. Non sapeva neppure se lui fosse a scuola. A dire il vero, non sapeva neppure se fosse sveglio; Alessandro aveva perso da mesi ormai l’abitudine di darle per telefono il quasi scontato, ma sempre bene accetto, buongiorno, e lei, forse per troppo orgoglio, aveva smesso di farlo anche prima di lui, quando aveva sentito in quel gesto odore di routine. Forse in realtà tutti quei mesi iniziavano a sapere di monotonia: le cose stavano cambiando tra loro, e il giorno precedente, il giorno dell’anniversario, nuovi litigi erano saltati a galla. Alice si rabbuiò. Quegli ultimi mesi erano stati quasi infernali, con Alessandro. Per fortuna aveva le sue amiche e le sue passioni, senza le quali, forse, si sarebbe fatta trascinare dalla follia di Alessandro. La ragazza sospirò, forzandosi i capelli dietro l’orecchio. Nonostante Alessandro fosse testone, presuntuoso e cocciuto … lei gli voleva bene. Il cielo quel giorno aveva qualcosa di speciale. L’azzurro era macchiato dal panna, nuvole morbide e a batuffoli lo accarezzavano. Alice lo fissava incantata, attraverso la finestra circolare della sua stanza. La cosa che più amava della sua camera, la piccola mansarda di casa, era proprio quella finestra, ampia e spalancata sul mondo come un occhio curioso. Passava spesso il suo tempo lì davanti, scattando foto alle nuvole dalla forma più buffa, e divertendosi a scarabocchiare sopra un vecchio diario strani disegni, fantasie che le forme di quelle nuvole le suggerivano.


<<Toc, toc, posso entrare?>> Alice trasalì. <<Sì, mamma, vieni pure.>> La porta si schiuse ed entrò in camera la signora Cafarelli, graziosa e rotondetta. Stava ridacchiando. <<Perché non vieni di sotto? Tuo padre ha fatto i biscotti e…>> rise ancora, preda dell’ilarità: <<dovresti assaggiarli, ma mi raccomando di’ che sono ottimi!>> aggiunse, spostandosi con il braccio paffuto dei capelli spettinati dal viso, rossi come quelli di Alice. <<Accidenti, papà ai fornelli! Perché non me lo hai detto prima, potevo fotografarlo!>> <<Oh, Alice, con queste foto!>> disse Rosa, con un pizzico di disapprovazione, e si chinò per raccogliere dal pavimento dei vestiti, brontolando qualcosa sul disordine di quella stanza. <<Comunque credo che l’assaggio–suicidio dovrà aspettare fino a stasera! Sto uscendo con le ragazze. Anzi, è tardi, vado!>> Alice si alzò dal pavimento, si spazzolò i jeans con le mani e sfilò con aria birbante davanti allo sguardo crucciato di sua madre. Alice aveva sempre amato quell’espressione, che metteva in risalto le guance paffute e i suoi occhi rotondi, azzurrissimi. <<Non hai qualcosa da studiare?>> obbiettò Rosa, i suoi occhi dardeggiavano dal viso sorridente di Alice alla scrivania sommersa da fogli, che avevano tutto l’aspetto di compiti non svolti. <<No!>> rispose Alice con un sorriso innocente. Baciò la madre sulla fronte e corse a gran passi al piano di sotto. Salutò il padre che, proprio come si era immaginata, era seduto al tavolo, perplesso, a chiedersi come i biscotti potessero essersi bruciati e soprattutto come potessero essersi attaccati tutti tra loro, e uscì da casa. A volte Alice invidiava i suoi genitori. Nella loro umiltà e semplicità, vivevano una vita felice e perfetta. Lui lavorava come impiegato in una posta privata, mentre lei gestiva la casa e ogni tanto dava lezioni di recupero agli studenti delle medie. Alice li amava teneramente ed era molto grata loro per tutto quello che facevano per lei. Non poteva permettersi un tenore di vita esagerato, come Ilenia magari, ma non aveva mai sentito la


mancanza di nulla e soprattutto, quello che in casa sua non mancava mai, oltre ai dolci, era l’amore. Alice arrivò al bar dopo qualche minuto, a gran passi, e rischiò di farsi investire da un’automobile perché, così come si giustificò dopo, il rosso era scattato all’improvviso mentre lei stava già attraversando. Lucia e Ilenia la stavano aspettando già sedute, la prima con un vecchio romanzo tra le mani, la seconda armata di uno smalto dal colore vivace e luccicante, che si stava passando sulle unghie. C’era anche Roberta con loro, l’ultima componente del gruppo, la giovane “new entry”. L’avevano conosciuta l’estate precedente e, forse per la sua simpatia e semplicità, forse semplicemente perché aveva fatto di tutto per essere una di loro, l’avevano a poco a poco conosciuta e apprezzata. Roberta era graziosa: aveva dei brillanti occhi neri e lunghissimi capelli castani, che accompagnavano morbidi un viso dalla carnagione olivastra. <<Alice!>> esclamò Roberta salutandola con la mano, ridendo di cuore insieme alle amiche per aver goduto di uno dei quotidiani episodi di sbadataggine di Alice. <<Questa volta stavi per rimetterci le penne! Si attraversa con il verde Ali, con il verde.>> disse Lucia senza staccare gli occhi dal libro, e Alice la guardò come se avesse di fronte un alieno. Come faceva a vedere tutto senza alzare neppure gli occhi dal romanzo? <<Guarda che è vero, il rosso è scattato d’improvviso.>> rispose, indignata. <<Cosa vi porto?>> Arrivò un cameriere con il suo taccuino, e Ilenia gli rivolse un’occhiata ammaliatrice. Si divertiva a mettere i ragazzi in imbarazzo, sapeva di aver un forte ascendente su di loro grazie alla sua bellezza, e non mancava mai di sfoderare le sue armi migliori. <<Tu cosa mi consigli?>> cinguettò. Il ragazzo avvampò, sotto lo sguardo sensuale di Ilenia. <<Ehm… non saprei… beh…>> Roberta salvò il malcapitato dalle grinfie dell’amica, parlando per tutte: <<Quattro frappè per favore. Uno alla fragola, uno nocciola, due cioccolato!>>


<<E i biscotti per favore, come puoi dimenticare i biscotti, Roby?>> aggiunse Alice. Quando il cameriere se ne andò con l’ordinazione, le ragazze scoppiarono a ridere. Fu lo squillo del telefono ad interromperle; Alice guardò il suo cellulare, la foto con il viso di Alessandro lampeggiava sullo schermo. <<Alex! Avevo dimenticato di dirgli che stavo venendo qua!>> sospirò, battendosi una mano sulla fronte. <<Devi pure chiedergli il permesso?>> borbottò Ilenia stizzita, ma Alice stava già rispondendo alla chiamata. <<Pronto?>> <<Dove sei?>> la voce altisonante di Alessandro rimbombò nel suo orecchio, e Alice dovette allontanare il telefono. <<Ciao anche a te!>> commentò, più a se stessa che a lui, poi continuò: <<Sono al bar con le ragazze… se ti va, puoi fare un salto…>> Roberta sorrise e mimò con le mani un applauso per la proposta, mentre Ilenia scuoteva il capo con vigore dicendo “no” e si portava le mani alla gola minacciando di uccidersi. Alice fu assalita dalla voglia di ridere, e nel tentativo di trattenersi le esplose sul viso un forte color cremisi. <<Fare un salto? Vengo subito a prenderti!>> esclamò Alessandro, con lo stesso tono arrabbiato. Alice perse l’ilarità e sbuffò. <<Ma erano giorni che non uscivo con loro…>> rispose con un tono arreso. Ilenia faceva strani gesti con le mani e preoccupanti smorfie con il viso, probabilmente stava “uccidendo” Alessandro in quel momento, nella sua fantasia. <<Dove sei esattamente?>> Ilenia lanciò un’occhiata pietosa all’amica, e disse sottovoce: riattacca. Alice rispose stancamente: <<Al bar all’angolo di casa mia… ci vediamo tra poco.>> Alessandro riattaccò senza troppe cerimonie e l’umore di Alice sprofondò.


I frappè e i biscotti arrivarono in tempo per evitare che la discussione vertesse totalmente sull’argomento “Cento motivi per mollare Alessandro”. Cento motivi per mollare Alessandro; Ilenia amava ripeterli spesso e, addirittura, aveva stilato una lista per Alice, completa di disegni e consigli vari. Alice aveva riso di cuore quando l’aveva letta, e per un attimo era stata tentata di farla leggere anche a lui. Poi però aveva cambiato idea; tra Ilenia e Alessandro i rapporti erano disastrosi e sicuramente Alessandro – il permaloso Alessandro– non avrebbe compreso l’ironia di quella lista. Alice ricordava che, dopo averci riso su, aveva preso coscienza che la maggior parte di quelle affermazioni elencate da Ilenia erano vere. Era stata la prima volta che rifletteva sul problema che negli ultimi mesi attanagliava la sua vita, derubandola del piacere di vivere una storia d’amore. Lì aveva capito che qualcosa più non andava. Alessandro, quando lo aveva conosciuto, era un ragazzo dolcissimo, allegro, divertente. Spedirle i fiori a casa era d’obbligo a ogni occasione, l’aveva viziata di tenerezze e doni, l’aveva fatta sentire la regina di un regno che si erano creati insieme, era riuscito per un po’ a entrare in quel piccolo mondo di cui Alice era morbosamente gelosa. E poi era cambiato. A poco a poco era diventato prepotente, scorbutico, arrogante, un vero e proprio dominatore. Alice viveva nel ricordo di ciò che lui era stato, ma la realtà di ciò che ora era, dominava su tutto. Alessandro non si fece aspettare molto; mentre Alice, immersa nei suoi pensieri, sorseggiava il frappè (senza essersi accorta che era già finito) e Ilenia e le altre parlavano di borse, il ragazzo arrivò nel locale, stagliandosi in tutta la sua bellezza. Perché di fatto, una delle tante cose che nascondevano i numerosi difetti di Alessandro, era il suo aspetto. Era alto, i suoi capelli erano biondo scuro, di un falso disordine praticamente voluto, e aveva due occhi scuri e profondi. Aveva un viso squadrato e pulito, eccetto che per quell’ombra di barba lasciata di proposito. Il suo fisico scolpito era il risultato di anni e anni di allenamento, visto che giocava nella squadra di calcio della scuola.


<<Ma guarda chi è venuto a farci visita, Alessandro Puglisi! Che piacere!>> disse la voce sarcastica e pungente di Ilenia. <<Ciao Alessandro!>> aggiunse con molto più entusiasmo Roberta, salutandolo con due baci sulle guance. Lucia fu una via di mezzo tra l’entusiasmo mostrato da Roberta e l’insofferenza di Ilenia, limitandosi a sorridere muovendo la mano, e immergendosi nuovamente nella sua appassionante lettura. <<Ragazze, è un piacere rivedervi.>> disse Alessandro. Ilenia fece per ribattere, ma Alice le pizzicò la coscia, mentre Alessandro la salutava con un bacio frettoloso, sfiorandole appena le labbra. Roberta gli fece spazio con la sedia, invitandolo a sedere tra sé e Alice. Quest’ultima aveva sul viso, ben stampato, un sorriso di circostanza, poco credibile. In verità, nonostante si sforzasse di nasconderlo, si sentiva terribilmente tesa. Sapeva che Alessandro era già pericolosamente irritato e temeva una piccola scintilla, di qualunque tipo, che avrebbe causato lo scoppio di un fuoco proprio lì, nel bel mezzo di un bar, nel bel mezzo di un tranquillo pomeriggio tra amiche. Il suo pomeriggio tra amiche. Sospirò sforzandosi di apparire tranquilla. <<Come stai Alessandro? Da quanto tempo non ci vediamo?>> disse Lucia con il suo solito tono diplomatico. Alessandro aveva appoggiato la sua mano sul pugno chiuso e rigido di Alice; la ragazza gli rivolse ancora un po’ il suo sorriso grinzoso, mentre Roberta (morbosamente romantica) minacciava di sciogliersi persino di fronte ad un gesto tanto semplice. Roberta era forse l’unica del gruppo a invidiare una storia d’amore come quella di Alice. <<Almeno un mese, Lucia.>> rispose Alessandro con disinvoltura. <<Che peccato…>> bofonchiò Ilenia tra sé, ma Alessandro la udì e le puntò gli occhi addosso. <<Già che peccato non esserci visti per così tanto tempo. Certamente Giacomo penserà la stessa cosa, Ilenia. In fin dei conti l’hai illuso e sfruttato per due mesi, prima di fingerti improvvisamente ispirata alla religione e desiderosa di diventare suora.>>


Le guance di Ilenia esplosero di un forte color cremisi. Colpo basso. Terribile colpo basso. Giacomo era stato l’ultima “fiamma” di Ilenia, che aveva scaricato un mese prima in seguito a una riscoperta fede religiosa. Solo bugie, simpatiche – a dire di Ilenia– scorciatoie per dire ad un ragazzo che tutto era finito. Ilenia stava per rispondere a tono, ma Alice decise di intervenire. <<Alex ed io stavamo per andare, ragazze.>> disse sfoggiando un sorrisone, fingendo di aver considerato l’interventaccio di Alessandro una simpatica battuta priva di malizia. Ilenia però non avrebbe ignorato un simile attacco. <<Certamente, caro Alessandro, tu meglio di me conosci tutti i trucchi per trattare male e ferire le persone più vicine.>> Alice si sentì cadere la mascella. No, non un altro litigio! Non chiedeva altro! <<Ehm… Alessandro, perché non mi racconti com’è andata la trasferta?>> Roberta s’intrufolò quasi con violenza nella conversazione, ma il danno ormai era fatto. Alessandro le rispose con superficialità, accennando qualcosa del viaggio, ma Alice non lo stava a sentire, era come assente. Si era chiusa nel suo mondo, desolata, si sentiva già addosso l’ansia e il senso di claustrofobia che avrebbe provato mettendo piede nella macchina di Alessandro, quando lui avrebbe iniziato a gridarle contro, come se lei avesse colpa di qualcosa. Un terribile senso di soffocamento l’assalì. E allora provò anche un mal di testa, un terribile, lancinante mal di testa. Alice si riprese solo quando Alessandro la chiamò, per due volte, e la trascinò alla realtà. Il mal di testa era passato, ma la terribile sensazione di angoscia la stava ancora tormentando. <<Alice mi senti?>> ribadì irritato Alessandro, prendendole il viso tra le mani. Gli occhi di Alice incontrarono i suoi e annuì con scarsa convinzione. <<Bene. Noi ce ne andiamo. E’ stato un piacere vederti Roberta, Lucia.>> quel tono gentile fu susseguito da una frecciatina gelida: <<Ciao Ilenia.>> Solo Roberta e Lucia risposero al saluto, mentre Ilenia specificò: <<A presto, Alice.>>


E Alice sospirò, pensando a qualcosa che non fosse il litigio che l’aspettava. E che sarebbe arrivato presto. Troppo presto. <<Che cosa dici alle tue amiche? Che non sei felice?! Che io ti tratto male?!>> Alessandro, in macchina, imitava fastidiosamente la voce di Alice enfatizzando un tono piagnucoloso. <<E NON DEVI USCIRE PIU’ CON QUELLA… QUELLA…>> Alessandro guidava come un forsennato al volante della sua BMW, mentre Alice, appiattita al sedile, aspettava solo il momento in cui fosse arrivata finalmente sana e salva – forse– a casa. Si strinse con le unghie e con i denti a quel pensiero e rispose sforzandosi di apparire tranquilla. <<Te la sei cercata Alex, Ilenia non ti aveva detto niente di male. Sei stato offensivo.>> <<Certo, difendila! Sono sempre io ad avere le colpe! Mi sono rotto, Alice, mi sono rotto a morte di sopportare questi tuoi insopportabili infantilismi!>> Alessandro gridava, e mentre la sua voce scoppiava tra i vetri dell’abitacolo dell’auto, con i finestrini chiusi, tra le fioche note di una canzone, Alice sentiva la rabbia assalirla e scoppiarle dentro. Cercò di contenersi, cercò disperatamente di trattenere la rabbia ma comprese che se l’avesse fatto, se anche quella volta avesse taciuto, sarebbe esplosa. <<Infantilismi? Infantile a me? Vogliamo parlare invece dei tuoi autoritarismi? Ma con chi credi avere a che fare, Alessandro? E osi anche dire di essere stanco! Che cosa dovrei fare io con te, sempre messa sotto accusa, sempre criticata e giudicata! Era un normale pomeriggio questo, e sei riuscito a trasformarlo in un incubo!>> <<Povera vittima! Povera piccola Alice! Avanti, corri da papà a piangere!>> Alessandro accelerò in una curva, e Alice fu sospinta contro la portiera. La ragazza non trattenne un grido di terrore che sembrò irritare ancora più Alessandro. Decelerò guardando dritto davanti a sé. Sembrava essersi calmato. La quiete prima della tempesta.


<<La realtà, Alice, è che non sei abbastanza matura per me. Non sai cosa voglia dire ragionare in due.>> disse con tono con diffidente, autorevole, come se avesse davanti una bambina cocciuta da educare. <<Ragionare in due per te, significa seguire le tue regole! Ragionare in due, per te, significa che devo sottostare ad ogni tua decisione, che tu sei libero di andare dove diamine ti pare e con chi diavolo vuoi, mentre a me è vietato andare in certi luoghi e con certa gente!>> disse Alice con rabbia. Era inutile, con un colosso di presunzione come Alessandro le sue parole erano solo fiato sprecato. <<Oh Alice…>> rispose lui scuotendo il capo, mentre una specie di falso sorriso gli storpiava il viso in una smorfia obliqua. Alice odiava quando Alessandro metteva su quell’espressione, avrebbe avuto voglia di prenderlo a schiaffi, era la faccia che aveva ogni volta che stava per dirle qualcosa che, secondo lui, lei era troppo immatura per capire. <<Non è come dici tu, lo sai. Ciò che detesto è che tu frequenti persone non adatte a te!>> Alice rise, che idiota, come se lui sapesse cosa fosse adatto per lei. <<Io cerco solo di proteggerti. E Ilenia è una compagnia… non mi piace. Potresti uscire di più con Lucy, che so, fare un giro in biblioteca, guardare un film da te…>> <<Sei patetico Alessandro, sei veramente ridicolo. E non cercare di giustificarti! Sai cosa penso? Che Ilenia è l’unica persona che riesca davvero a capirmi!>> Alessandro la guardò con rabbia, poi, imprudentemente, frenò all’improvviso. <<Sai cosa penso io, invece? Che Ilenia è una puttana! E tu… forse non sei da meno. Cosa faresti, se non stessi con me?>> Fu troppo. Alice gli rivolse uno sguardo disgustato, incredulo e pieno di ripulsione. <<Mi fai schifo.>> disse con fin troppa sincerità e finalmente vide sorgere la sorpresa sul viso di Alessandro. <<Portami subito a casa, e non farti mai più rivedere.>> Alice non disse altro.


Come un piccolo riccio indifeso si richiuse in sé, e si esiliò dal mondo. Il tragitto le parve interminabile. Pensieri, parole, le ronzavano in testa dolorosamente, minacciando di farla impazzire. Vedeva flash back, ricordi del passato, stralci di momenti e felicità vissute. Ora era tutto grigio, si sentiva soffocata dal grigio, il più anonimo dei colori. Quando vide casa sua le sembrò un sogno. Non attese neppure che l’auto fosse del tutto ferma per slacciarsi la cintura e scendere. Ignorò Alessandro, non lo salutò neppure. Scattò fuori come un gatto in fuga, e si allontanò a gran passi. Inaspettatamente, Alessandro scese dalla macchina. <<Alice…>> mormorò con tono docile, quasi amorevole. Lei non si voltò. Stava tremando. <<Alice, scusa… credo di aver esagerato.>> Sembrava incredibile. Alessandro, orgoglioso e testardo, che chiedeva scusa. Alice pensò che valesse la pena di girarsi, ma a quel punto la sua piccola speranza si distrusse dolorosamente. Forse il tono sembrava onestamente dispiaciuto, ma nell’espressione di quel bel viso c’era tutto meno che dolore. La guardava con sufficienza. Sembrava che le avesse chiesto scusa solo per farle un favore, per chiudere la questione. In fin dei conti, perché preoccuparsi? Era uno dei soliti litigi dove Alice finiva con il minacciare di lasciarlo e poi, una parola gentile finiva per risolvere tutto. <<Avanti dammi un bacio e facciamo pace.>> aggiunse Alessandro allungando un braccio e cercando di afferrarla, ma Alice fu più veloce a ritrarsi da lui. <<Non questa volta. Sono stufa di essere trattata così. Vattene. Venerdì parto, vado a trovare mia nonna. Non cercarmi. Se mi andrà, ci rivedremo lunedì. E se vuoi scusarti, sforzati di mettere su almeno un’espressione decente. Questa fa proprio schifo. Odio essere presa in giro.>> Alice non aggiunse altro. Aprì il cancello di casa, e corse a gran passi verso il portone.


Mentre correva via da lui, in cuor suo sperava solo che la fermasse, che sinceramente dispiaciuto la convincesse che da quel momento tutto sarebbe stato diverso. Ma Alessandro non lo fece. Se ne andò spavaldo, e partì sgommando. Pioveva. Alice guardava malinconicamente fuori dalla finestra della sua camera, e fissava le goccioline di pioggia scendere giù frettolose per poi schiantarsi sul davanzale. Erano infinite, il loro continuo moto era angosciante. Persino il suono che emettevano lo era, sembrava quasi il lamento di piccole, minuscole vite che finivano. Alice rotolò sul tappeto e si rannicchiò di lato, fissando il suo cellulare. Dalla sera precedente aveva ricevuto moltissimi messaggi di scuse da parte di Alessandro, ma li aveva cancellati tutti, evitando di rispondergli. Sforzandosi di non rispondergli. Anche Ilenia aveva cercato di scusarsi, ma non aveva voglia di sentire neppure lei in quel momento. Ripensò all’ultima e– mail che le aveva mandato. L’aveva fatto sorridere, in particolare le ultime righe: “Perdonami Ali, e sarò tua schiava per una settimana, anzi che dico, per tutta la vita!”. Dopotutto avere una schiava come Ilenia a vita sarebbe stato comodo. Alice si sentì d’improvviso in colpa: Ilenia le era sempre stata accanto, dandole il meglio dell’amicizia. Non era il caso di prendersela troppo con lei. Decise di chiamarla. Ilenia rispose al primo squillo e Alice sospettò che avesse tenuto per tutto il tempo il cellulare in mano aspettando quella telefonata. <<Alice! Tesoro! Sorellina mia! Come stai? Sono così felice che tu mi abbia chiamato per… oddio, non vorrai insultarmi? Oh, Alice, mi dispiace! Ti prometto che mi scuserò con quello… ehm… con Alessandro e poi…>> Ilenia era un fiume in piena, inarrestabile, e sarebbe stata capace di continuare in quel modo per ore. <<Sta’ tranquilla Ilenia. Non ce l’ho con te.>> Ilenia trasse un sospiro di sollievo. <<Se vuoi mi scuserò con Alex, sai che per me è contro natura, ma lo farò.>>.


<<Non c’è bisogno. E comunque sarebbe anche inutile ora come ora…>> Un silenzio pieno di parole sembrò circondarle. <<Oh Alice … è stato lui?>> <<No, sono stata io. Gli ho detto di stare alla larga per un po’.>> Alice si sdraiò per terra, mentre il suo sguardo si perdeva fuori dalla finestra, in quei nuvoloni grigi che le ricordavano tremendamente il suo stato d’animo. <<Scusami Ali, ma non riesco proprio a essere dispiaciuta per questa momentanea pausa. E’ meglio che tu rifletta un po’ per conto tuo riguardo a questa situazione. Non può farti che bene. Se vuoi, posso venire da te stasera. Prometto che non sarò di parte, ti ascolterò parlare e basta.>> La voce di Ilenia era sicura e confortante, un vero e proprio pozzo di sincerità. Alice le voleva bene sinceramente, e nonostante si mostrasse a volte frivola ed evasiva, era soprattutto mente e cuore, altruista, dotata del grande dono della sincerità. <<Grazie, Ilenia.>> rispose Alice con un tono di voce più tranquillo. <<Comunque avevo già pensato di prendermi una pausa, nel fine settimana. Domattina presto parto, vado a trovare la nonna.>> <<Cosa? E con chi ci vai?>> <<Da sola.>> rispose Alice facendo spallucce, mentre fissava distrattamente il pc, sul quale era arrivata l’ennesima e– mail di Alessandro. <<Te lo scordi! Decidi di partire in quel paesino sperduto e romantico, immerso nel verde e lontano dal mondo, meraviglioso e selvaggio, senza di me? Non ci pensare neanche. Veniamo con te. Ovviamente io, Lucia e Roberta! E’ fantastico! Lucy adorerà studiare all’ombra di un cipresso! Ci vediamo domani mattina alle sei a casa tua, passo a prenderti! Puntale!>> Ilenia riattaccò, lasciando Alice esterrefatta. Era matta. Matta da legare. Alice scoppiò a ridere e scosse il capo. Il suo fine settimana di tristezza e pensieri, si era appena trasformato in una vacanza tra amiche. L’allegria la invase, dandole d’un tratto una gran voglia di scrivere. Sedette alla scrivania, poi si fermò i capelli in alto, con un vecchio


pennello che aveva praticamente quel solo scopo. L’ispirazione arrivò immediata, insieme a quel fulmine che squarciava il cielo: scrisse una poesia che parlava di un sole splendente, in mezzo ad una tempesta, come simbolo di continua speranza.


CAPITOLO DUE UN ANGOLO DI PARADISO

I

lenia rispettò il suo impegno: alle sei del mattino si trovava già sotto casa Cafarelli, con un immancabile sorriso. Era bellissima in quella tuta bianca (che non rendeva del tutto giustizia alle sue forme) abbinata all’elastico bianco– peloso ed eccentrico– che teneva uniti i suoi capelli biondi in un’elegante coda alta. Alice si avvicinò a gran passi alla Mercedes rombante, sfoggiando un gran sorrisone e mettendo in bella vista la sua favolosa macchina fotografica. Era stata un regalo di Ilenia, il più bello che Alice avesse mai ricevuto. Solo dopo essersi accomodata in macchina, Alice si accorse che anche Lucia e Roberta erano già a bordo. Lucia dormiva come un sasso, sicuramente distrutta da una nottata passata insonne sui libri (come sarebbe potuta partire per tre giorni senza mettersi a buon punto con i compiti?) mentre Roberta guardava con sguardo assente davanti a sé. <<Buongiorno…>> sussurrò Alice per non svegliare Lucia, e Roberta le rispose muovendo con poca allegria la mano. Ilenia riservò all’amica un altro trattamento:<<Buongiorno a te!>> Era euforica, e partì sgommando. Si preparava una bella mattinata di sole, niente male, per una giornata di novembre. Alice si sentì rincuorata per l’atmosfera meravigliosa che quel sole appena nato creava, abbinata alla melodia dolcissima e appena accennata che suonava nella Mercedes. E poi c’era quel venticello, quell’apprezzatissima brezza mattutina che odorava ancora della pioggia della sera precedente. Tutto perfetto. Alice scattò una foto al cielo e Ilenia ridacchiò.


<<Datti una calmata, Ali, questo fine settimana è tutto per te. Scatterai un’infinità di foto, vedrai!>> disse rassicurante, e imboccò l’autostrada. In giro c’erano poche auto, la città dormiva ancora. Alice trasse un profondo, lunghissimo sospiro, prima di tirare su il finestrino e concedersi un brivido di freddo. Non voleva pensare che quel viaggio fosse una codarda fuga da Alessandro e dal suo tortuoso presente: preferiva invece considerarlo come una pausa dalla sua stessa incasinata vita, per rifugiarsi in un angolo di paradiso. Un angolo di paradiso; Alice aveva sempre considerato così Brunello, il meraviglioso paesino di montagna in cui viveva nonna Carmen. Era un luogo bellissimo, lontano dalla tecnologia e dall’inquinamento, un posto pieno di alberi, di piante, di fiori. Correva persino un ruscelletto da quelle parti e Alice, da bambina, molte volte si era immaginata di essere una principessa sirena che viveva lì dentro, in attesa del suo principe azzurro. Alice si lasciò sfuggire un borbottio scettico, solo a pensare alle parole “principe azzurro”, che prese separatamente potevano significare ben poco, ma in coppia, potevano essere letali per lei in quel momento. Quella mattina però sarebbe stato difficile distruggere il suo buon umore: voleva andare dalla nonna. Quando era piccola passava i due mesi estivi sempre lì a Brunello, ma le cose erano cambiate da quattro anni a quella parte, da quando era morto il nonno. La nonna, solitaria com’era, non ne aveva voluto sapere nulla di andare a vivere in città, ma di contro, Rosa e Mario, non avevano voluto lasciarle la responsabilità di gestire un’indomabile ragazzina come Alice tutta da sola in estate, considerate le mille cose che ogni giorno aveva da sbrigare. E così, Alice, era da quattro anni ormai che non viveva più a Brunello. Sentiva molto la mancanza di quegli anni… le piaceva quando al mattino la nonna le canticchiava una canzoncina all’orecchio per svegliarla, mentre con la mano morbida e calda le accarezzava la fronte. Era una sensazione di pace e benessere che Alice non avrebbe mai voluto abbandonare… l’odore delle lenzuola fresche, il sole che


le baciava gli occhi chiusi con i suoi raggi più dolci, quel sorriso, quella voce soave. Brunello era davvero un piccolo paradiso. Ma ancor più, Alice sentiva la mancanza del nonno. Buono, intelligente, tuttofare, all’apparenza timido, sembrava averle trasmesso tutta la sua personalità. Anche il nonno era un inguaribile sognatore… e se n’era andato così, di notte, forse sognando qualcosa di meraviglioso. La mattinata si svolse per la maggior parte del tempo tranquilla, tra le tante foto scattate da Alice e le tante chiacchiere di Ilenia; dopo qualche ora anche Lucia e Roberta si svegliarono, e iniziarono ad animare il viaggio cantando e raccontando storie divertenti. Fu un albero a far tornare in mente ad Alice un episodio vissuto a Brunello da bambina; stava giocando a pallavolo con Ilenia e Lucia, che erano andate a trovarla, e all’improvviso, tra un salto e l’altro, aveva messo un piede in fallo, cadendo come un fagotto. Si era sorbita due punti di sutura, ma che divertimento! Se l’avesse raccontato ad Alessandro, lui avrebbe riso. Alice si ammonì: che sciocca. Ancora una volta pensava a lui. Eppure era vero, Alessandro avrebbe riso di cuore di quel racconto, le avrebbe baciato la fronte e l’avrebbe chiamata con quel nomignolo che aveva coniato per lei. L’avrebbe chiamata “sbadatotta”. Ma non lì. Non quel giorno. Forse tantissimi giorni fa. Sembravano passati secoli. Ma erano solo… tre mesi? Forse quattro? Che differenza c’era? Faceva male ugualmente. Un’ultima curva nascondeva ancora gelosamente casa della nonna, ancora per poco, per fortuna. D’improvviso una baita apparve tra gli alberi, unica struttura nelle vicinanze; era perfetta, il tempo per fortuna non l’aveva cambiata, le aveva lasciato il suo colore giallastro, il suo tetto di mattoni color legno, quel comignolo fumante, quelle porticine e quelle finestre verdi, un verde che in apparenza stonava con il resto della facciata, ma che era perfetto, inserito nel più ampio quadro della vegetazione. Lo rendeva parte della foresta. I ricordi riaffiorarono inarrestabili e non ci fu modo per controllarli. Ed ecco l’altalena, sulla quale molte volte da bambina Alice si era


dondolata… la cuccia di un cane che un tempo, tantissimi anni fa, aveva amato profondamente… la sua bicicletta! Quante avventure, quante cadute! Apparve l’orto del nonno, sul retro della casa, con tutti i frutti che mostrava spavaldo. C’era ancora il suo cappellino blu affisso a un chiodo, accanto alla zappa e al rastrello. Sembrava quasi che il nonno non se ne fosse mai andato. Alice si sentì stringere un nodo allo stomaco. La nonna si era occupata anche di quell’orticello, tanto amato dal marito, mantenendo in vita almeno parte di tutto quello che nonno Marco era stato. D’improvviso ogni tristezza fu spazzata via: ecco la nonna. <<Nonna!>> gridò Alice, sventolando la mano con entusiasmo. Scese dalla macchina in fretta, trascinandosi dietro a fatica la valigia, che poi lasciò cadere ai suoi piedi; la nonna scuoteva il capo, divertita. <<Oh, Alice!>> esclamò, e allargò le braccia pronta a ricevere un abbraccio. Alice dovette resistere all’istinto di sollevare la nonna di peso, per stringerla meglio. Non se la ricordava così minuta. La strinse per secondi che le parvero interminabili, poi la guardò in viso, in quelle rughe profonde, in quegli occhi furbi; le somigliava moltissimo. Anche i capelli della nonna, nonostante fossero oramai bianchi, mantenevano ancora tonalità rossastre, e gli occhi nocciola scintillavano su un viso che nascondeva la sua effettiva età. Nonna Carmen aveva trasmesso a sua figlia Rosa e a sua nipote Alice brillanti capelli rossi e leggere lentiggini, da buona spagnola quale era. Sì, perché nonna Carmen aveva vissuto in Spagna fino a diciotto anni, prima di incontrare suo marito, Marco, italiano avvincente e sognatore. Da sposati, l’aveva portata a vivere in Italia, a Brunello, donandole una vita che mai, mai avrebbe cambiato. Ilenia, Roberta e Lucia arrivarono dopo pochi secondi, sfoggiando i loro sorrisi migliori. <<Ma cosa ci fate ancora qui fuori? Santo cielo come sono scortese! Venite dentro! Tra qualche minuto pioverà!>> esclamò la nonna. <<Ma nonna, il cielo è bellissimo!>>


Alice fece accomodare le sue amiche, ma prima di entrare guardò il cielo, dove il sole brillava, leggermente coperto da nuvole grigie appena addensatesi. <<Perché credi che debba…piovere…>> Un fulmine squarciò il cielo, seguito da un tuono che rimbombò minaccioso tra le pareti di casa. Alice rimase interdetta, sulla soglia, fissando il cielo esplodere in una leggerissima e freschissima pioggia improvvisa. Un acquazzone! A Brunello tutto era magia. Le ragazze raggiunsero tutte l’interno della casa, e la nonna le invitò a mettersi a loro agio. Alice si guardava intorno estasiata: non era cambiato nulla. La porta d’ingresso dava a un piccolo androne giallo antico, arredato con antichissimi mobili costruiti dal nonno Marco stesso, moltissimi anni prima. C’era una piccola libreria, un mobile pieno di foto e di bamboline, delle mensole, che esponevano suppellettili chissà quanto importanti per la nonna. Un vecchio lampadario mandava una luce fioca sulle loro teste, mentre la pioggia picchiettava insistente ai vetri della finestra, con le tende bianche e fresche, le stesse tende di sempre. Una scala a chiocciola saliva al piano di sopra, e una porta aperta dava accesso a un corridoio che portava nella zona pranzo, in bagno e in una stanzetta piccolissima in cui la nonna e il nonno conservavano, da giovani, le cose a loro care. La sala da pranzo, collegata alla cucina, era la parte più bella della casa, perché si affacciava grazie a una grande porta a vetri sul giardino, regalando la meravigliosa panoramica di Brunello. Alice sospirò lentamente, voleva respirare quell’odore insuperabile, l’odore di Brunello. <<Avanti, raccontatemi tutto della vostra vita!>> Nonna Carmen, a cena, riempì per l’ennesima volta i piatti delle ospiti di cibo, distraendole dando loro discorso. <<Le cose vanno sempre nello stesso modo in città, nonnina. Scuola, compiti, uscite tra amici… non è la stessa di cosa di stare qui.>>


<<E i tuoi genitori cara, hanno ancora quel negozio di fiori?>> domandò la nonna a Lucia. Aveva un tono di voce gentile, melodico e i suoi occhi castani scrutavano tutto con interesse. <<Oh, sì, adesso hanno anche aperto un vivaio! La prossima volta, se lei me lo permetterà, le porterò una pianta! Anche se qui a Brunello, il verde non scarseggia!>> <<Oh Lucia, ti prego, dammi di tu! Non mi piacciono i formalismi. Mi fanno sentire vecchia. E comunque, io adoro le piante. Ti ringrazio.>> La nonna sorrise mentre Lucia prometteva di rivolgersi a lei in tono più confidenziale. <<Oh nonna, ma non devi sentirti vecchia!>> esclamò Alice fervente. Alice era sempre stata una sostenitrice della bellezza femminile, quella vera però, che andava aldilà delle rughe, di un chilo in più o di un taglio di capelli alla moda. La bellezza di una donna proveniva da dentro, scaturiva dal suo genio e dal suo sentimento. Alice credeva che la giovinezza coincidesse con la capacità di amare la vita, mentre la vecchiaia con la noia e l’apatia per il mondo esterno. Ne conosceva tante, Alice, di sue coetanee già vecchie. Ma nonna Carmen era giovane, e non sarebbe invecchiata mai. Alla fine della cena, le ragazze aiutarono la nonna a ripulire casa, opponendosi energicamente ai suoi tentativi di spedirle a letto. Poi, sbadigliando, salirono le scale a chiocciola e raggiunsero la loro camera. Aveva smesso di piovere; Brunello ora odorava di fiori e di piante, di terra umida e di notte. Le ragazze unirono il lettino singolo al letto matrimoniale e dormirono tutte insieme. Si addormentarono subito, erano sfinite. Alice riuscì a resistere ancora un po’, decisa a non dimenticare mai niente di quella giornata. In punta di piedi per non far rumore (il vecchio pavimento di legno ricoperto di moquette scricchiolava a ogni passo) si avvicinò alla finestra, e sbirciò fuori, nell’oscurità della notte. Non credeva di aver mai visto tanto buio e tanta luce naturale al contempo. Erano le stelle, dall’alto, a dare colore alla notte, rendendo leggermente macabra la foresta nera sotto di loro.


Ad Alessandro sarebbe piaciuto senza dubbio tutto ciò; Alice sentì un piccolo tonfo in fondo allo stomaco quando, inconsapevolmente pensò a quel nome, e il viso di Alessandro le apparve subito in mente. Sentiva la sua mancanza come mai. Aveva voglia di sentire la sua voce. Alice prese il telefono dalla tasca, e lo guardò, combattuta. Avrebbe potuto provare a chiamare Alessandro, con l’anonimo, giusto un attimo per sentire la sua voce. La luce del cellulare invase la stanza e sembrò una cosa terribilmente innaturale nel silenzio dei sospiri rilassati delle ragazze addormentate. Guardò il desktop e il cuore iniziò a batterle più forte. C’era un messaggio di Alessandro. Non letto. Alice si morse il labbro inferiore con foga, esitante. Le mancava, era assolutamente vero, ma non poteva perdonargli anche quella. Non dopo quelle terribili parole dette. Sospirò, risoluta, e decise di leggere il messaggio senza chiamare. Il messaggio diceva: Ti amo. Ti amo. Un brivido l’assalì. Ti amo. Era così bello, sapere che Alessandro la stava pensando. Sospirò e dovette costringersi a spegnere il telefono e tenerlo lontano da lei. Allora andò a letto, con l’ombra di un sorriso, sentendosi un po’ meglio. Era come Alice lo ricordava, il giorno, a Brunello; il sole entrava dalla finestra con i suoi primi raggi, regalando una luce tiepida e timida, mentre fuori, lontani, gli uccellini cantavano, porgendo in qualche modo il loro “buongiorno”. La musica di una radio proveniva, un po’ disturbata, dal piano di sotto, mentre più vivido e chiaro giungeva il canto della nonna. Alice si lasciò andare in un grande sbadiglio, stiracchiandosi soddisfatta tra le lenzuola. Aveva dormito benissimo, si sentiva piena di energia e forte. Si rigirò tra le coperte, incontrando il viso di Roberta, ancora addormentata, con le labbra leggermente schiuse. Un’incontrollabile allegria l’assalì, guardando la buffa espressione sul viso dell’amica; si allungò per afferrare la fotocamera dal


comodino, e le scattò una foto. Roberta mugugnò appena e Alice, ridacchiando, si tuffò tra Lucia e Ilenia. <<SVEGLIA!>> Ilenia fu la prima a saltare dal letto gridando, mentre Roberta bofonchiava insulti in una lingua incomprensibile e Lucia lanciava minacce molto credibili. <<Gli alieni, sono gli alieni…>> diceva Ilenia guardandosi intorno impaurita. Aveva i capelli spettinati, gli occhi ancora chiusi e il broncio. <<Ma che alieni! Alzatevi! Guardate, splende il sole!>> strillò Alice con più energia, strappando di dosso le lenzuola a Roberta, che si raggomitolava come un acrobata su se stessa. <<Ma sono le otto del mattino Alice, santo cielo…>> mormorò Lucia sbadigliando e Alice le scattò una foto. <<Sei venuta benissimo.>> assicurò. <<Uccidiamo Alice?>> propose Ilenia. Stranamente, tutte trovarono piacevole la proposta e travolsero l’amica, schiacciandola con i cuscini e avvolgendola tra le lenzuola. Braccia e gambe scalpitanti sbucavano ogni tanto dall’arrotolato umano e dopo secondi di pura lotta, il risultato fu un curiosissimo “Alice–involtino”, ottenuto dopo aver arrotolato la ragazza tra le coperte, immobilizzandola con un cuscino sulla pancia e uno sotto la schiena, in modo che uscissero fuori solo le mani ed il viso. <<Vi odio.>> bofonchiò Alice, muovendo debolmente i piedi. <<Sorridi Ali, immortaliamo questa scena!>> esclamò Lucia ed un attimo dopo, il flash invase la stanza, illuminando l’espressione torva di Alice. <<Onestamente, sei quasi più carina delle mummie. Siamo state brave.>> commentò con estrema professionalità Ilenia, facendosi passare da Lucia la fotocamera e scattando un’altra foto. Alice tirò fuori la lingua. <<Strabiliante, meravigliosa interpretazione di una mummia, quasi più spaventosa!>> Roberta scoppiò a ridere e Alice rotolò sul letto, investendola. Liberarono Alice solo dopo averle fatto promettere di essere loro schiava per un giorno, poi corsero a fare colazione.


Le aspettava una lunga mattinata; in programma c’era un’escursione alla ricerca di un ruscelletto che scorreva da quelle parti e la raccolta di asparagi selvatici. Le ragazze uscirono da casa molto presto, armate di cappellini, scarpe da ginnastica e, ovviamente, macchina fotografica. La nonna le guardava da lontano, con quell’immancabile sorriso; nonostante l’invito delle ragazze a essere loro guida per quella mattina, aveva preferito stare in casa e sbrigare le sue quotidiane mansioni. Vivere sola in una casa di campagna significava un sacco di cose ed un giorno non bastava mai: aveva una lista di cose da fare attaccata con una calamita al frigorifero, tra le quali potare le piante, curare l’orto, nutrire gli animali, far giocare un po’ Billy eccetera. Billy, naturalmente, era l’amato cane da pastore della nonna, il suo migliore amico nonché compagno di vita. Le ragazze non impiegarono molto tempo a raggiungere il ruscello, e dopo aver scattato qualche foto, sedettero intorno ad esso. Era limpido, appena increspato da un leggerissimo venticello, e delle foglie verdi e gialle vi navigavano dentro, come barchette di avidi scopritori di terre. Alice fotografò una foglia, mezza verde e mezza gialla, che si faceva trascinare spensierata, quasi pigramente, disinteressata da tutto ciò che non fosse l’armonia del vento. <<Allora Alice, adesso che siamo qui, lontane da orecchi indiscreti e soprattutto da lui, credo che tu possa raccontarci cosa è successo...>> disse Ilenia. Alice iniziò a pensare a mille scuse plausibili per evitare l’argomento, ma lo sguardo irreprensibile di Ilenia annullò ogni tentativo. <<Quel pomeriggio al bar eravate già freddi… si può sapere cos’è successo all’anniversario?>> iniziò, senza troppo cerimonie. <<Abbiamo litigato…>> tentò Alice, sforzandosi di apparire disinvolta. Roberta sospirò e scosse il capo: <<Questo l’avevamo capito. Ma che è successo?>> Alice sospirò. <<Bè, Alex ha prenotato in un ristorante. Un ristorante di lusso esattamente…e stava molto bene in smoking…!>> Roberta rise entusiasta.


<<Oddio, eccolo mentre fa lo splendido!>> esclamò invece Ilenia irritata. <<Comunque, abbiamo cenato, scherzato e… stranamente non ha tirato fuori discussioni spiacevoli, come quelle dell’ultimo periodo… che so, uscite con gli amici, miei atteggiamenti che non gli piacciono o semplicemente Ilenia. Ah… Ile mi sento in dovere di dirtelo. Alex ci è andato giù pesante con te, l’altro pomeriggio. Ha detto che sei…>> <<Non ripetere le parole che quell’infame riesce a sputare da quella boccaccia.>> disse Ilenia seriamente, tutto d’un fiato. <<E’ geloso persino di me, è ridicolo.>> aggiunse sprezzante. Lucia decise di interrompere sul nascere un monologo d’Ilenia pieno d’ingegnosi insulti verso Alessandro, intervento che avrebbe sicuramente ferito Alice. <<Comunque, che è successo dopo cena?>> chiese. <<Siamo usciti dal locale e lui… mi ha bendata.>> <<E’ così romantico…>> mormorò Roberta, mentre Lucia e Ilenia le scoccavano un’occhiataccia. <<Eravamo in macchina e non ho saputo dove mi avesse portata finché non mi ha tolto la benda. Fuori pioveva e… mi ha preso in braccio. Una volta al riparo, mi ha appunto sbendata e…>> <<E?>> incalzò Roberta con il fiato sospeso. <<E qui gatta ci cova.>> aggiunse Ilenia. <<E mi sono accorta di essere in casa sua… in camera sua. Luce soffusa, candele…>> Alice e Lucia avvamparono insieme, non era facile sancire chi delle due si fosse imbarazzata di più. Roberta si lasciò scappare un gridolino divertito, taciuto all’istante dallo sguardo serio di Ilenia. <<E?>> domandò, improvvisamente isterica, fissando Alice torva. <<E ovviamente ci siamo baciati. Dovevo chiederti il permesso mammina?>> Ilenia alzò gli occhi al cielo, probabilmente avrebbe voluto rispondere: sì! <<Ma è finita lì.>> Alice alzò le sopracciglia come se stesse alludendo a qualcosa. Ilenia non si risparmiò i commenti.


<<Non credevo che Alessandro potesse cadere così in basso. Avete litigato perché non hai voluto fare sesso con lui?>> disse senza peli sulla lingua. <<Santo cielo non metterla così, Ile!>> rispose Roberta, in difesa di Alessandro. <<Sì, e come allora? Non hai capito un bel niente tu, sei troppo giovane!>> <<Alessandro, in effetti, l’ha presa male, visto che stiamo insieme già da un anno…>> rispose Alice sospirando, sconfortata. <<Mi ha ferito il suo atteggiamento. Ha cercato di convincermi a cambiare idea, finché non ha perso le staffe. Allora ha iniziato a gridarmi contro che sono una… bambina, e immatura>> <<E tu cosa ne pensi?>> chiese Lucia precedendo Ilenia, pronta a fare una sfuriata contro di lui. Alice sbuffò e appoggiò il capo contro un albero. La corteccia era ruvida e fresca, umida, profumava. <<Prima di me ci sono state altre ragazze, per lui. Forse sente nostalgia di quel tipo di rapporto. Ma io… non credo di essere pronta.>> ammise, ed ebbe la sensazione che la temperatura fosse salita di qualche grado. <<Ma hai diciassette anni…>> obbiettò Roberta, e Ilenia la fulminò letteralmente con lo sguardo. <<L’età non conta, Alex è un porco e vuole solo fare sesso.>> Alice si sentì sprofondare per l’imbarazzo. Ilenia era la solita. <<Non è per l’età… è che quella sera ho trovato tutto sbagliato, non era il momento. Lui l’aveva… programmato, capite? E poi ultimamente litighiamo così spesso...>> <<Guarda che non ti devi giustificare di niente, Ali… non c’è fretta, devi volerlo…>> disse Lucia, carezzevole, prendendole una mano. Alice sospirò. <<Vorrei che la pensasse come te.>> disse amaramente. <<E quindi adesso che farai?>> chiese ancora Ilenia. <<Vedremo.>> rispose Alice. In realtà non sapeva ancora come sarebbe andata. <<Ma basta parlare di lui! Ho una voglia matta di divertirmi! Andiamo ragazze!>>


Alice scattò in piedi, rapida come una scintilla, afferrò Lucia per i polsi e la costrinse a fare lo stesso, saltellando. <<Si parte! Gara a chi arriva prima a quell’albero!>> Le ragazze ritornarono a casa al tramonto, felici ed esauste. Avevano raccolto una buona dose di asparagi! La nonna le accolse con calore, e face trovare loro in tavola la merenda. Quando Alice, Ilenia, Lucia e Roberta, ebbero finito di mangiare, fecero una doccia, poi aiutarono la nonna a cucinare. Alice e Ilenia si rivelarono un fiasco ai fornelli: Alice si tagliò un dito e Ilenia, che non aveva ben compreso cosa fare, pulendo gli asparagi gettò nel cestino la parte da cucinare. Furono entrambe relegate al lavello, a lavare verdure e piatti. Era sicuramente Roberta la cuoca della situazione, dopo la nonna naturalmente. Avevano trovato una certa armonia le due, collaborazione che avrebbe portato sicuramente a risultati molto apprezzabili. Di sera, dopo cena, aiutarono nonna Carmen a sparecchiare e ripulire e poi, tutte e cinque, guardarono un film. <<Per fortuna ho portato il lettore dvd e film a volontà!>> esclamò Roberta tirando fuori dallo zaino il tutto. Ilenia la guardò interdetta: <<Ma ci sono solo film d’amore!>> esclamò, lanciandole occhiatacce bieche, e Roberta annuì allegramente. Nonostante Ilenia si fosse opposta energicamente alla proiezione di un film d’amore, le altre decisero di accontentare la romantica Roberta; alla fine, il film piacque a tutte al punto tale che, a fine riproduzione, stavano piangendo. <<Quell’attore somigliava molto a mio marito.>> disse la nonna. Era seduta su una sedia a dondolo marrone e il suo viso riluceva di un sorriso commosso. <<Avevo la vostra età, più o meno, quando lo incontrai. Ero in vacanza in Italia, e quando lo vidi, mi piacque subito. Aveva capelli neri come l’ebano, pelle abbronzata dal sole… e quel sorriso sicuro. Tutto iniziò da lì. Il primo giorno che lo vidi sentii che non lo avrei


più dimenticato. E così avvenne, infatti. Passai i tre mesi estivi in Italia, con la mia famiglia e con lui. Era un giovane avvincente e intelligente, d’idee aperte e pieno di vita. Voleva fare il medico.>> La nonna sorrise teneramente, mentre Alice, sbalordita, ascoltava rapita quelle parole, che descrivevano una parte del nonno che non aveva mai conosciuto. <<Tuttavia, non andò così. Ci innamorammo. Un giorno i miei genitori, erano così severi, ci videro insieme, e m’impedirono di rivederlo. Così fuggimmo. Quella notte stessa, davanti a Dio, ci promettemmo amore eterno. Le nostre vite cambiarono radicalmente: lui abbandonò gli studi e venimmo a vivere qui. Non fu facile per me abituarmi a una vita fatta di sacrifici e lavoro. Ma è stata la vita più felice e piena che qualunque essere umano possa desiderare.>> la nonna rise, con gli occhi lucidi e una mano stretta al petto. <<Lo porto dentro come se fosse una parte di me.>> Alice ebbe un brivido. <<Amate bambine mie, amate. Fate lavorare il vostro cuore, non inaridite l’anima, non privatevi del grande dono della vita. Ma amate solo chi si merita l’amore… e non accontentatevi di mezzi sorrisi, mezzi baci, mezzo cuore. Desiderate e prendetevi tutta l’anima di chi ve la offre. Niente per metà. Se così fosse, avreste sbagliato cuore.>> La nonna sospirò, e si chiuse in un silenzioso pensare. Alice la guardò spiazzata, era colpita, le sue parole avevano raggiunto una parte profonda di lei, le avevano spalancato una finestra, dalla quale era entrato un vento gelido. Sbagliare cuore. Accontentarsi di un cuore a metà. La nonna aveva ragione, avrebbe dovuto pretendere tutto di Alessandro, ogni sua singola cellula, e invece aveva in pugno solo un mucchio di parole e promesse infrante. Alice non dormì bene quella notte, non faceva che pensare alle parole della nonna. E se avesse “sbagliato cuore”? E se tutto ciò che stava facendo per tornare a esser felice con Alessandro, se i sacrifici, le lacrime, le volte in cui aveva soffocato tutto il dolore dentro, non avessero portato a niente? E se stesse commettendo l’ennesimo, stupido errore?


Alice si rigirò tra le coperte, inquieta, invidiando i respiri regolari delle sue amiche addormentate. Che fortunate che erano, non amavano! La loro vita non era quotidianamente tormentata da sbalzi d’umore e tristezze, litigi e poi riappacificazioni. Alice si passò una mano sulla fronte e si accorse di stare tremando. Era nervosa, non riusciva a ragionare lucidamente. Contò fino a dieci, dopodiché decise: doveva uscire. Si vestì in fretta, di quel che trovò sparso per la stanza, poi afferrò la macchina fotografica e corse precipitosamente al piano di sotto. La casa era addormentata, vuota, di un colore mesto, tra il sonno e la veglia, tra il buio e la luce. Tra non molto sarebbe sorto il sole, un nuovo giorno era sul punto di nascere. Si trascinò fuori di corsa. Billy, il cane della nonna, quando la vide passare correndo, le andò dietro scodinzolando e sollevandosi sulle zampe posteriori si appoggiò alla sua schiena, quasi pretendendo una carezza per saluto. Alice allungò una mano tremante verso di lui e si sentì meglio. Si sentiva libera, nel verde e nell’immensità del cielo di Brunello. Alice passeggiò per il bosco e non si rese conto di quanto tempo passò, né di quanto si stesse allontanando da casa. D’improvviso la foresta, prima folta e verdeggiante, divenne più rada, finché non arrivò a schiudersi sopra una grande distesa di erba bassa, giallo verde, che ammirava timidamente le immense montagne davanti a sé. Meraviglioso. Alberi grandissimi andavano nascendo oltre la distesa pianeggiante, circondati da fiori e cespugli, mentre dalle montagne alle loro spalle, sorgeva il sole. Pura bellezza. Luce e colore, nuvole sommerse di oro, alberi che si protendevano con i loro rami verso l’infinito, sempre più in alto. Non sembrava vero. Alice aveva il fiato corto, mentre la luce si spandeva, illuminando anche lei di oro. Si sentiva parte di quel quadro. Decise di rubare alla natura un po’ di quello splendore: prese la macchina fotografica, inquadrò tutto, e scattò una foto.


Respirò a pieni polmoni, con gli occhi chiusi, e si concentrò sulle sensazioni che quella frescura le provocava. Era così rilassante, così al disopra di ogni preoccupazione umana. Alice si avvicinò a un albero e sedette ai suoi piedi. Appoggiò il capo contro la corteccia e respirò l’odore umido della terra smossa, della rugiada, dell’erba bagnata. Da lì il cielo si vedeva meglio, mentre si svegliava pigramente. Alice chiuse gli occhi e con le dita penetrò il terreno morbido e umido, poi si portò le mani vicino al viso, per respirare l’odore della terra. In quel momento notò una foglia, dal colore giallo oro, un po’ appassita. Ma la cosa più curiosa, erano le scritte che apparivano, evidenti, sulla superficie. Si appoggiò con le ginocchia per terra, la prese tra le dita, e lesse: “Triste

vedere come la rosa, mentre sboccia per raggiungere il culmine della bellezza, si prepari inesorabilmente ad appassire.” Alice rilesse stupefatta quelle parole, mentre un brivido le saliva lungo la schiena; qualcun altro viveva lì nei paraggi, qualcun altro aveva passeggiato in quel suo paradiso. Alice deglutì. Non era la paura di potersi imbattere in qualcuno di sconosciuto che la preoccupava, quanto più le parole lette in quella foglia appassita, che adesso sembrava morta anziché dorata. Erano parole tristi. Erano parole sconfortanti. Si sentì quasi in pena per la rosa morente. Si guardò intorno con circospezione, e vide che non c’era nessuno, dunque guardò nuovamente il cielo, che adesso era luminoso e chiaro.


Era ora di tornare a casa. <<Ma sei pazza, Alice? Che ti sei messa in testa! E’ pericoloso uscire da sole qui, e a quell’ora!>> disse Lucia strabuzzando gli occhi, a colazione, quando Alice raccontò alle amiche della sua piccola gita. <<C’era Billy con me.>> si giustificò Alice, spingendo con il cucchiaio i cereali sul fondo della sua tazza. Lucia alzò gli occhi al cielo spazientita. <<Questo spiega tutto allora. Non farlo mai più, per favore Alice.>> disse implorante, lanciando occhiate alla nonna, che preparava le crepes al cioccolato. Alice non rispose. Lei, dopo quella passeggiata, si sentiva molto meglio, e nella fotocamera poi c’era quella foto, la foto che le avrebbe ricordato per sempre quell’alba incantevole. D’improvviso si ricordò della foglia, che stava custodita e nascosta nella sua tasca; la tirò fuori per mostrarla alle amiche. <<Ed ho trovato questa.>> Roberta prese la foglia e lesse ad alta voce la scritta, poi batté le ciglia, stupefatta. <<Wow.>> <<Alice non è l’unica pazza a scrivere sulle foglie.>> sdrammatizzò Ilenia. <<Questo è molto strano! Qualcuno ti spiava!>> suggerì Lucia, terrorizzata. Alice sospirò, e scosse il capo. <<Ma figurati, perché qualcuno avrebbe dovuto spiarmi?! E poi qui su non vive nessuno, oltre mia nonna. L’avrà trascinata il vento>> Alice si strinse nelle spalle e sorrise alla preoccupatissima e per nulla convinta Lucia. <<Su, non fatene un dramma. E’ solo una stupida foglia! Mangiamo dai!>> e così dicendo, Ilenia, afferrò un muffin al cioccolato. In quel momento arrivò la nonna, stringendo tra le mani un vassoio di crepes. <<Buongiorno ragazze!>> disse gioviale, facendo largo sulla tavola per poter appoggiare anche quel vassoio. I pasti in casa sua erano sempre eccessivamente abbondanti.


<<E così oggi hai trovato la Radura dei Girasoli.>> aggiunse, mentre prendeva posto. <<Bè… se è così che si chiama...>> rispose Alice, arrossendo. <<Certo, la Radura dei Girasoli. Se ho sentito bene, ci sei stata questo mattino. Ho sentito che uscivi, ma non ho avuto il tempo di chiederti se volevi compagnia, che eri già sfrecciata via.>> Certo, pensò Alice, Che sciocca. Come aveva potuto pensare di passarla liscia con la nonna, che, vivendo da sola, aveva sviluppato un udito sopraffino? La nonna per fortuna, pur essendo così potenzialmente capace, non riusciva a leggerle nel pensiero e così non si accorse del suo disagio. <<Si chiama così perché in estate quello spazio sconfinato si trasforma in un bellissimo campo di girasoli. E’ incantevole. >> Sorrise, sognante. Chissà quali ricordi la legavano a quel posto. <<Comunque, vi ho preparato uno spuntino da portare con voi. Ma attente a tornare prima delle cinque, questa sera ci sarà un temporale!>> Alice guardò fuori dalla finestra. Il cielo era azzurrissimo. Ma ormai, aveva imparato a fidarsi delle previsioni meteorologiche della nonna. Brunello era davvero magico, e nonna Carmen, una fata. La giornata si svolse tranquilla. Le ragazze passeggiarono per Brunello, giocarono a pallavolo, pranzarono e poi si riposarono sotto i raggi gentili di un sole tiepido. Si divertirono a chiacchierare della scuola, dei loro progetti, delle prossime vacanze natalizie e nessuna di loro parlò più della foglia gialla, né della triste poesia. Fu quel fulmine che colorò il cielo a ricordare loro che si era fatto tardi, e che presto avrebbe piovuto. Dei nuvoloni grigi si erano addensati sulle loro teste. Al fulmine, successe un fragoroso tuono… e scoppiò a piovere. Così tornarono a casa correndo sotto la pioggia, riparandosi con le giacche e le borse, e continuarono a ridacchiare felici finché misero piede in casa. La nonna era in cucina, e sorseggiava del tè. <<Bentornate.>> disse.


Aveva uno sguardo indecifrabile, gli angoli delle labbra sollevati in un sorrisetto. Tacquero tutte per un po’. <<Andiamo a fare una doccia e a sistemare le valigie, noi…>> disse Alice guardando la nonna di sottecchi. La nonna annuì e le lasciò andare. Alice stava per sparire del tutto su per le scale, quando sentì la voce della nonna dire: <<A proposito… C’è un giovanotto fuori, sotto la pioggia. E’ lì da qualche ora. Dovrei farlo entrare, cara?>> Alice irrigidì e avvampò, prima di catapultarsi al piano di sotto e fissare la nonna con gli occhi sgranati. Questa si strinse nelle spalle con innocenza, sorrise e mosse una mano in direzione della sua schiena. Alice corse verso la finestra… e rimase a bocca aperta. Fuori c’era Alessandro, con un mazzo di fiori, bagnato dalla testa ai piedi, sotto la pioggia. Alice riuscì a respirare solo dopo secondi di apnea. Alessandro. Fuori. Alessandro lì per lei. <<Non mi avevi detto di avere un ragazzo.>> commentò la nonna mentre appoggiava delicatamente la tazzina sul piattino. Il tintinnio della ceramica fu il primo suono che Alice sentì dopo aver passato secondi di silenzio e isolamento. Tirò le tende sino a coprire completamente la finestra, e si voltò di scatto verso la nonna. Si sentiva un disastro, impacciata e schiacciata dall’imbarazzo; si appoggiò al muro in cerca di un sostegno. <<Cosa ti fa pensare che… sia qui per me…>> disse, cercando di sorridere. La nonna mostrò ancora quel sorrisetto obliquo, divertito. <<I fiori che porta in mano… sono avvolti in una fascia su cui è scritto il tuo nome.>> rispose con tranquillità. <<Un dettaglio…>> bofonchiò con poca convinzione Alice. In quel momento anche le altre la raggiunsero e l’espressione sbalordita di Alice suggerì loro che cercava di nascondere qualcosa con le spalle. Ilenia la scansò gentilmente, sbirciò dalla tenda, poi sbuffò irritata. <<Ci ha trovate, il segugio.>>


<<Dovrei farlo entrare? Forse sentirà freddo.>> disse ancora la nonna battendo le ciglia con innocenza. Era divertita, tremendamente divertita. Ilenia scoccò ad Alice un’occhiata omicida, aspettando che lei rispondesse, pendendo quasi dalle sue labbra. <<Ehm…>> Alice scostò appena la tenda e guardò fuori, ma quando incrociò lo sguardo serio e convinto del ragazzo, la richiuse in uno scatto nervoso. <<Meglio di no.>> disse risoluta. <<Deve averla fatta grossa, per meritarselo.>> commentò la nonna con saggezza e furbizia, troppa furbizia. Ilenia annuì con vigore e Alice le lanciò un’occhiataccia fulminante. Sedette al tavolo, poi affondò il viso tra le mani. Alessandro era arrivato fin lì per lei, ma non era del tutto certa che le sarebbe bastato per perdonarlo. Tuttavia si sarebbe dispiaciuta se l’avesse visto abbrustolito da un fulmine, o preda di qualche animale randagio. Alice scosse leggermente il capo, ma una fitta acuta alla testa la inchiodò sulla sedia. Un capogiro, un violento colpo secco, poi, a poco a poco, svanì. Alice si sentì sciocca; davvero, la presenza di Alessandro fuori dalla finestra, riusciva a infliggerle tanto male? Sì. La risposta era sì. Forse l’aveva già perdonato; non per le parole dette né per gli errori fatti, aveva perdonato l’Alessandro che amava, quello che aveva conosciuto un anno prima, quello che forse adesso non c’era più. Alice si accorse solo dopo minuti interminabili di pensieri tormentati che Ilenia, imbronciata, forse amareggiata, la stava guardando. <<Scusami Ile…>> disse Alice, giustificandosi di qualcosa che non aveva ancora fatto. Ma che voleva fare. <<Spero solo che tu comprenda le tue scelte. E che tu scelga bene. E’ l’ultima occasione che devi regalargli, secondo me. Cerca di farti furba, Alice. Io credo in te.>> Alice sorrise, annuì, e senza aggiungere altro si alzò dal tavolo. Incontrò per un attimo lo sguardo sorridente della nonna, poi, senza indugiare oltre, aprì la porta a vetri.


Fuori faceva freddo, si era alzato un forte vento e i brividi s’impossessarono subito di lei. Lo sguardo di Alessandro le fu immediatamente addosso. Alice camminò a falcate per raggiungerlo, e finalmente gli fu vicina. Si guardarono senza dire niente, le parole erano inutili. Avevano condiviso tanto insieme, giorni, risate, pomeriggi, momenti indimenticabili. Alice non avrebbe mai dimenticato niente di lui: il modo in cui si passava distrattamente le dita tra i capelli, la sua abitudine di baciarle la punta del naso, l’espressione severa di quando litigavano. Non poteva dimenticare le lunghe conversazioni, nel cuore della notte, le promesse che si erano fatti. Ma ora, davanti ai suoi occhi, c’era quell’amato sconosciuto, e spesso si chiedeva se non fosse quello il vero Alessandro. Forse prima recitava soltanto. <<Alice…>> fu lui a rompere il silenzio. <<Amore, scusa. Dimentica tutti questi ultimi mesi. Sono stato uno stronzo, me ne rendo conto. Ma ti amo.>> Alessandro azzardò un passo avanti, le braccia schiuse, come se aspettasse un abbraccio. <<Mi hai delusa e… ferita.>> riuscì a bofonchiare Alice. <<Lo so. Sono stato un perfetto idiota>> Alessandro lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, in segno di resa. Adesso che era così vicino, Alice riusciva a vedere i suoi occhi scuri e sicuri, le ciglia bagnate di pioggia, i capelli incollati alla fronte. Visto così, il suo predatore, il suo più grande nemico, sembrava tenero e innocuo come un cucciolo. <<Prendi, questi sono per te.>> Le porse il mazzo di fiori e Alice li accettò dubbiosa. <<Sei talmente stupido!>> esclamò infine, scuotendo amaramente il capo. <<Lo so.>> aggiunse lui sorridendo, stranamente arrendevole. <<Vieni via con me. Ti riporto a casa io.>> aggiunse, e allungò una mano verso il suo viso, sfiorandolo delicatamente. Alice irrigidì, era in cerca della risposta più giusta, non sapeva se dare ascolto alla vocina che gridava “no!” o a quella che gridava “sì!”. Abbassò il capo, e sospirò, abbattuta.


La mano di Alessandro, intanto, scendeva lungo la guancia, sino al mento, che le sollevò lentamente. La guardò brevemente, i suoi occhi ardevano di sicurezza e di passione, dunque la baciò. Dolcemente, senza fretta, come non faceva da tanto. Alice si lasciò travolgere dalle emozioni confuse che le provocò quel bacio, felice, ma anche preoccupata; fidarsi di nuovo di lui significava esporsi alla prossima, probabile delusione. <<Vado a prendere le mie cose…>> decise infine. Alessandro annuì, e non trattenne un gran sorriso. Alice corse verso casa a testa bassa, i fiori tra le braccia. Li portava più come un fardello che come un dono. Aveva solo voglia di sbarazzarsene. <<E così un mazzo di fiori è bastato.>> commentò Ilenia sarcastica, un po’ delusa. <<Sono… stupendi!>> aggiunse Roberta estasiata, prendendoglieli di mano. <<Che intenzioni hai ora?>> chiese sospettosa Lucia, ponendosi di fronte a lei. <<Credo che… sì, vado con lui.>> rispose Alice tutto d’un fiato. <<Mi riporta a casa. Perdonatemi ragazze se non torno con voi.>> Alice si sporse a baciare la nonna sulle guance, e quella sospirò, accarezzandole la testa zuppata. <<Ah, l’amore, l’amore.>> canticchiò gioviale, mentre in sottofondo Ilenia ripeteva “Ah, la follia, la follia”. Alice le sorrise distrattamente, mentre si catapultava al piano di sopra, per scendere pochi minuti dopo con la valigia carica, gonfia, malamente richiusa. Ci aveva messo dentro tutta la roba ammucchiata, così lembi di maglione fuoriuscivano e portava molte cose in mano. <<Quello è mio.>> bofonchiò Ilenia riprendendosi un maglioncino. <<Scusatemi ancora. E’ che… non so che fare. Ma sono certa che se ci pensassi ancora su… cambierei mille volte idea. Dunque vado.>> Alice salutò le amiche, si scusò ancora con qualche debole parola, poi fuggì via, verso Alessandro. Lui era ancora immobile, con lo stesso sorriso di prima. <<Grazie.>> disse gentilmente.


<<E di cosa, esattamente?>> aggiunse Alice, voleva sentirsi dire ancora qualcosa di bello, ma non riusciva a liberarsi di quel tono diffidente. <<Di questo regalo. Di essere con me.>> Alice sospirò e si morse il labbro inferiore. <<E’ l’ultima occasione, però. Non sprecarla.>> disse con improvvisa serietà, sorprendendo se stessa per la convinzione del suo tono. Il ragazzo la trasse a sé con forza, e la guardò intensamente. <<Non lo farò.>> disse con estrema sicurezza, senza sorridere, senza muoversi. Immobile, sembrava una statua. Alice sospirò. Sperava davvero che lui non la deludesse più


CAPITOLO TRE LO SCONOSCIUTO

Q

uel viaggio di ritorno verso casa sembrò un sogno. Alice, tranquilla e serena, si lasciava accarezzare dal tocco sicuro di Alessandro, che le sfiorava il viso, seguendone il profilo con un dito, i capelli, poi la schiena. In sottofondo una musica dolce favorì Alice nel completo rilassamento dei sensi. Non parlarono molto. Era Alessandro ogni tanto a sussurrarle parole gentili all’orecchio e a baciarle le labbra. Perfetto. Triste e deprimente fu dover scendere dall’auto, con il timore che l’indomani, quella pace e quell’armonia finissero. <<Siamo a casa tua, Alice…>> sussurrò Alessandro baciandole il lobo. Alice si raggomitolò e gli passò le braccia intorno al collo. <<Non mi va di scendere.>> piagnucolò, assonnata, soffocandolo con i suoi capelli adesso asciutti, che odoravano di pioggia. Alessandro le sorrise e si liberò dall’abbracciò. <<Sei un disastro, Alice. Tua madre si preoccuperà a morte. Avanti, vai.>> Alice sbuffò e guardò l’orologio virtuale della macchina. <<Ma sono solo le ventuno.>> bofonchiò. <<Vieni dentro. Mi sistemo in un attimo e guardiamo un film.>> propose, improvvisamente allegra. <<Soli?>> Alice era interdetta. <<Bè, in camera mia non c’è nessuno. Infondo dobbiamo solo… vedere un film…>> bofonchiò confusa. Alessandro le sfiorò la guancia con la mano. <<Non mi sembra una grande idea, Alice. Sai, non mi diverte l’idea di me e te in camera tua… sul tuo letto… e tua madre che ci spia.>> Alessandro sorrise.


<<Capisco.>> rispose Alice delusa. Non ci vedeva niente di male, la cosa sbagliata era che Alessandro abbinasse ogni proposta al… letto. Come se invece di chiedergli “guardiamo un film” avesse chiesto “andiamo a sdraiarci nel mio letto!”. <<Come vuoi.>> aggiunse Alice, poi sospirò. Iniziò a raccattare le sue cose, s’infilò il giubbotto e aprì la portiera. Alessandro le passò un braccio intorno alla vita, e l’abbracciò da dietro. <<Ti voglio bene Alice…>> sussurrò con un tono angelico. <<Ti voglio bene anch’io. Buona notte.>> <<Buona notte a te, piccola>> Alice fece per scendere dall’auto, ma Alessandro la fermò: <<A proposito...>> iniziò con tranquillità, <<Vado a giocare a carte stasera, da Giacomo.>> aggiunse, disinvolto. Alice dovette mandare giù la risposta acida che avrebbe voluto sputargli contro, e si limitò a dire: <<Ah, Giacomo. Il fratello di Giulia, o sbaglio?>> Lo avrebbe volentieri ucciso, in quel momento. <<Sì, lui.>> Alice gli dava ancora le spalle e forse fu meglio: era furente. Giulia, dopotutto, era la ragazza che stava dietro ad Alessandro da mesi, lo corteggiava in maniera sfrontata, ignorando il fatto che fosse già impegnato. Ed era anche bellissima, come se non bastasse; Giulia era una delle ragioni per cui litigavano spesso, perché Giacomo era uno dei migliori amici di Alessandro. <<E se ti dicessi di non andare?>> tentò Alice. Alessandro sospirò e lei si sentì improvvisamente stupida. Come aveva anche solo potuto pensare che la sua opinione potesse interessargli? Ecco che la faceva sentire nuovamente una bambina immatura. <<Oh, Alice, andrei lo stesso. Ma non perché non ritenga importanti le tue idee, ma perché non ci sarebbe motivo per non andare. Fidati di me. Non iniziare a fare la bambina.>> Alessandro sorrise e allargò le braccia per ricevere un abbraccio. Alice glielo concesse, senza troppa allegria. Preferiva tagliarla lì, anziché ricominciare a litigare. Lui aveva già sfoderato l’arma “non iniziare a fare la bambina”. Come se fosse giusto che lui avesse


scelto una partita a carte a lei. Come se fosse giusto che, dopo tre giorni di silenzi e buio, lui preferisse lasciarla sola, pur di non dover “solo” guardare un film con lei. Alice si sentiva veramente offesa. Scese dall’auto e non si voltò più, ma sapeva che Alessandro la stava fissando con quel sorriso soddisfatto, presuntuoso, convinto di avere ragione. Aveva vinto un’altra volta. Alice dovette affrontare qualche minuto d’interrogatorio da parte di Rosa e Mario, che vollero raccontato subito tutto ciò che aveva fatto nel fine settimana, ma riuscì a liberarsi presto di loro, e a correre in camera sua, nel suo piccolo mondo. Era tutto come l’aveva lasciato. Il suo disordine, il suo caos, i suoi sogni, erano ancora tutti lì, sparsi per la scrivania e sul comodino, in attesa del suo arrivo. Alice lanciò un’occhiata veloce alla posta elettronica, lesse le incalcolabili e-mail che Alessandro le aveva mandato durante la sua assenza, poi chiuse il computer e corse a fare una doccia. L’acqua calda andava a poco a poco calmando i brividi di freddo che aveva, provocati dalla pioggia che le si era asciugata addosso, mentre i pensieri si liberavano e scorrevano come un fiume in piena. Alice sospirò. Aveva lasciato che Ilenia, Lucia e Roberta tornassero da sole da Brunello, per non parlare della nonna. Non l’aveva salutata per come avrebbe dovuto, chissà adesso quando l’avrebbe rivista! Alice si sentiva orribile: aveva fatto ancora una volta la scelta sbagliata. Alessandro era riuscito ad averla vinta un’altra volta, riportandola a casa come un trofeo per poi andare a divertirsi con gli amici. Gliela avrebbe fatta pagare. O forse era meglio di no. Forse era quell’atteggiamento di sfida che li portava inesorabilmente ai litigi. Alice sedette sul pavimento del box doccia, e chiuse gli occhi, la fronte poggiata alla ginocchia, lasciando che l’acqua le cascasse addosso come pioggia. Avrebbe voluto che anche i dispiacerei andassero via, che affogassero nello scarico per sempre.


Alice andò a dormire, ma prima mandò un messaggio alle amiche per scusarsi. Meritavano una spiegazione e sicuramente l’avrebbero perdonata. Il problema era che, purtroppo era lei a non riuscire a perdonare se stessa. L’indomani mattina Alice non ebbe modo di incontrare né le sue amiche né Alessandro. A scuola non era lo stesso senza Lucia seduta accanto e il rumore della penna che graffiava freneticamente la carta, per non perdersi nessun appunto. Adesso l’unico suono che sentiva era la voce della professoressa, che spiegava qualcosa riguardo ai legami chimici, e quelle eccitate delle sue compagne di classe, sedute dietro di lei. Sembrava stessero spettegolando di qualcuno. Alice non aveva intenzione di spiarle, ma percepì un brandello della loro conversazione e non riuscì a fare a meno di origliare. <<Mio Dio che sballo! Mai vista una festa così ben riuscita. L’avevano organizzata i suoi amici, una festa a sorpresa! Ma la cosa più bella è stata la presenza per intero della squadra di calcio! Quanto sono belli quei ragazzoni!>> disse una di loro, Alessia, con un tono di voce stridulo. Alice si rizzò a sedere e spalancò gli occhi. Sbagliava, o aveva sentito dire “la squadra di calcio?”. Strinse i pugni e d’improvviso ogni altro rumore in classe divenne un insignificante brusio. Si concentrò sulle voci frivole delle compagne: <<A me piace Giacomo. E’ bello da impazzire!>> rispose l’altra, Francesca. <<Ne vogliamo parlare invece di Alessandro? E’ perfetto. Sprecato per quella gatta morta spelacchiata.>> Alice contenne un ringhio degno da gatta spelacchiata. Per giunta, quelle oche stavano anche ridacchiando! Ridevano di lei! Le avrebbe volentieri uccise entrambe. <<Ovviamente alla festa di ieri lui non l’ha portata. E ci mancherebbe altro! Non è mica sciocco il ragazzo, sa il fatto suo. Giulia ieri sera non ha perso tempo! Hanno anche ballato insieme.


Secondo me Alex la molla quella… cosa… entro qualche mese. Scommettiamo?>> disse Francesca. Alice era sul punto di esplodere per la rabbia. E così Alessandro era stato a una festa! E aveva ballato insieme a Giulia! Alice si sforzò di respirare regolarmente. In quel momento, l’idea di prendere per i capelli Alessia e Francesca era niente in confronto a quello che avrebbe voluto fare a lui. <<Oggi pomeriggio i ragazzi si allenano. Io ci vado. Ci sarà anche Giulia probabilmente, magari con questa scusa ci facciamo presentare qualcuno. Comunque mi sono rotta di stare in classe, andiamo in bagno>> Alessia e Francesca chiesero il permesso per uscire dalla classe, e non si accorsero di quello sguardo infuocato che le accompagnò per tutto il tragitto, dal banco alla porta, e che non le lasciò finché anche l’ultimo brandello di pantalone non svanì dalla sua visuale. Alice era un braciere ardente, era un vulcano di emozioni, soprattutto di rabbia. L’idea di una prima piccola vendetta le venne improvvisa: badando bene a non farsi vedere, prese da sotto il banco delle compagne appena uscite i loro quaderni e se li rinchiuse nello zaino. Dopo pochi minuti le due tornarono in classe. Giusto in tempo. <<Bene ragazzi, per oggi è tutto. Adesso fatemi vedere il tema che dovevate svolgere. Passo tra i banchi.>> La professoressa iniziò a controllare i quaderni dalla fila opposta a quella di Alice e, severa come sempre (ma quel giorno Alice condivideva in pieno le sue maniere rigide), metteva un due a chiunque non avesse fatto il suo dovere. Ben presto, arrivò al banco di Alessia e Francesca. <<I temi?>> La professoressa aveva un tono di voce acido, ma per Alice fu delizioso. <<Ehm… il quaderno… lo avrò lasciato a casa!>> rispose Alessia, un tono tremolante, controllando in ogni angolo del sottobanco e dello zaino. La professoressa la guardava con sospetto: quella di aver dimenticato a casa il quaderno era una scusa vecchia.


<<E tu?>> disse rivolta a Francesca. <<Ero sicura di averlo preso!>> piagnucolò quest’ultima, che forse per la prima volta aveva davvero svolto i compiti. <<Voglio parlare con i vostri genitori!>> sibilò la tenera serpe– prof. <<Non fate mai niente! Vi boccerò se continuerete così, vedrete! Due!>> La professoressa schizzò alla cattedra per scrivere meglio i suoi bellissimi due. Alice approfittò del momento per voltarsi verso le compagne e dire: <<Non è così grave, aggiunto agli altri due che avete preso, fa sei. State migliorando.>> Sorrise perfidamente e si sentì d’improvviso in paradiso. E il bello doveva ancora arrivare. Tirò fuori il cellulare dalla tasca, con frenesia, e scrisse: TI ODIO. SPERO TU TI SIA DIVERTITO ALLA FESTA, A BALLARE CON GIULIA. NON CERCARMI PIU’. Alessandro aveva fatto almeno venti telefonate nell’ultima mezz’ora e Alice si era divertita a rifiutarle puntualmente tutte. Seduta sul suo letto, a gambe incrociate, sembrava esser intenzionata a passare il resto della serata in quel modo. Non aveva voglia di sentire la sua voce e le sue banali scuse. Alice si sdraiò, appoggiando la testa tra i cuscini soffici e colorati. Aveva mal di testa ed era arrabbiata. Alessandro era un bugiardo nato, falso dalla testa ai piedi. Non riusciva a credere che la sera prima l’avesse guardata negli occhi e le avesse detto che andava a giocare a carte da Giacomo quando in realtà stava andando a una festa. Alice chiuse gli occhi e si sdraiò su un fianco, respirando l’odore delle coperte. Era così stanca… avrebbe volentieri dormito per tutto il resto della serata fino alla mattina successiva. Nonostante il dolce sonno la attraesse, stranamente, si sentiva ispirata a mettere in ordine la sua stanza. Si mise in piedi e iniziò a sistemare fogli, libri e quaderni, liberando la scrivania. E allora, s’imbatté nella foglia gialla che aveva trovato alla Radura dei Girasoli.


Sorpresa, la guardò come se la vedesse per la prima volta; eccola lì, ancora integra, la strana foglia gialla sulla quale, minacciosa come un ultimatum, stava scritta quella poesia che faceva pensare a inesorabili fini, quella poesia orfana, senza padre. Era un ricordo degno di un posto magico come la Radura dei Girasoli. La radura… per un attimo, le sembrò di poter sentire il profumo di Brunello, di vedere i suoi colori, la sua alba. L’alba. Alice sorrise; come aveva potuto mettere da parte una cosa così importante? Ritrovò una nuova, piccola gioia e, mentre rifiutava al cellulare l’ennesima chiamata di Alessandro, afferrò la macchina fotografica. Non aveva ancora scaricato le foto sul computer! Collegò la macchina fotografica al computer, litigando un po’ con i cavi. Aveva scattato duecento foto, si sentiva soddisfatta! Iniziò a scorrerle, ed ecco i primi scatti, fatti il giorno della partenza. Le osservò tutte, a una a una, soffermandosi sulle immagini dei panorami più unici di Brunello che era riuscita a catturare, ma che non gli rendevano del tutto giustizia. Ecco i visi delle sue amiche! Lucia era venuta malissimo in una foto, scattata di sorpresa, mentre Ilenia e Roberta, in un’altra, sembravano modelle. Eccone una, in cui erano tutte e quattro insieme. Quanti ricordi. Quante risate. Finalmente trovò le foto dell’alba nella radura. Erano bellissime. Avrebbe avuto bisogno di un’altra meravigliosa alba, in quel momento, per sentirsi meglio. Ma ecco lo stupore. Alice si allontanò dallo schermo sbigottita, mentre i suoi occhi si riempivano di confusione e paura. Non poteva essere. Non era possibile. Si stropicciò gli occhi, sperando che quello che aveva visto fosse solo frutto della sua immaginazione, provocata dalla stanchezza. Quando aprì gli occhi però, quel viso, quel profilo, c’era ancora. Un brivido gelido la percorse, lasciandola senza fiato per qualche interminabile secondo.


Un giovane uomo, serio, distratto, immerso nel mistero e nel segreto. Era appoggiato di schiena a uno degli alberi che delimitavano la radura, poco lontano da quell’albero in cui lei aveva trovato la foglia. Com’era possibile? Avrebbe giurato che non ci fosse nessun’altro nella radura! O forse no? Forse quel giovane, chiunque fosse, l’aveva spiata e seguita. Alice guardò quella foto a lungo, lo sguardo di quel ragazzo, apparentemente disinteressato, la trafiggeva come un pugnale. Possibile che non si fosse accorta di non essere sola? Alice trasse un profondo sospiro, doveva essere razionale; sicuramente quel ragazzo doveva essere un cacciatore o un pastore. Certo, un pastore. C’erano fattorie là vicino, anche se avrebbe giurato di non aver sentito, a quell’ora, nessun belato o muggito. Forse era un turista. Alice trasse un profondo sospiro e si picchiettò la fronte con le dita. Non è assolutamente nessuno, si disse. Solo un solitario amante delle albe, come me. Niente di più. Alice guardò ancora una volta quel volto, disinteressato, quasi malinconico. Forse la poesia sulla foglia apparteneva a lui. Si morse un labbro, e chiuse il computer. E’ solo un passante, si ripeté. Con quella convinzione, si costrinse ad andare a letto. Per tutta la mattinata successiva, Alice riuscì a ignorare alla perfezione Alessandro e i suoi tentativi di parlarle. E la cosa bella, era che questo non le pesava. Tra i continui mal di testa, gli impegni, i pensieri assillanti che la riportavano continuamente e senza una spiegazione a quel giovane uomo ritratto in foto, era riuscita a tenere lontane le tristezze d’amore. Una strana voglia di sfida e avventura l’aveva posseduta, si era risvegliata in lei una primordiale vena da “detective”, e aveva una voglia matta di scoprire come quel ragazzo fosse finito nella sua fotografia. La sera, dopo un pomeriggio passato a studiare, Alice si abbandonò esausta contro lo schienale della sedia. Non sapeva se fosse


attribuibile al troppo studio o a qualche problema di vista, ma si sentiva malissimo. Aveva un mal di testa feroce e incalzante. Sospirò e lanciò un’occhiata al cellulare, che s’illuminava a ritmi continui e costanti. Alessandro tentava ancora di chiamarla. Alice si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare di quella sua storia, forse avrebbe dovuto semplicemente trovare il coraggio di prendere una scelta: o perdonarlo o farla finita. Assalita da un forte senso di ansia, scattò in piedi, e afferrò il giubbotto. <<Mamma, sto uscendo. Faccio una passeggiata!>> Annunciò gridando, saltando i gradini a due a due. Rosa apparve d’improvviso di fronte a lei, sbarrandole la strada. <<Ma è tardi.>> disse a denti stretti, tirando fuori un’improvvisa severità. L’atteggiamento distaccato e nervoso di Alice degli ultimi tempi l’aveva insospettita. Alice sorrise, cercando di tirar fuori il suo innato talento per la recitazione, decisa a distogliere sua madre dal proposito di diventare un’austera sentinella. Poco credibile, inoltre. <<Lo so mamma… ma ho studiato tanto che ho proprio bisogno di sgranchirmi le gambe.>> sorrise gaiamente, forse troppo. Rosa la fissò intensamente, prima di assentire. <<Torna subito.>> si raccomandò, tra i denti. Alice annuì e si defilò prima che potesse cambiare idea. Quando mise piede fuori l’aria fresca della sera le colpì il viso; Alice si strinse nel giubbotto, rabbrividendo. Il tempo a novembre non era molto stabile; i mattini erano essenzialmente tiepidi, ma di sera, l’umidità del mare non troppo lontano, riusciva a rendere insopportabile quel freddo pungente. Era totalmente immersa nei suoi pensieri, quando, distrattamente, finì addosso a una persona. <<Ahi!>> esclamò la ragazza, massaggiandosi un braccio. <<Ahi un corno!>> le rispose qualcuno. Una voce nota, troppo nota. Alice trasalì e si mise in posizione di difesa, arrossendo violentemente. Di fronte a lei c’era Alessandro, e aveva in viso un’espressione tutto meno che allegra.


<<Che vuoi?>> gli disse subito Alice, sulla difensiva. Alessandro era furibondo. <<Che voglio? Che voglio! Voglio che tu la smetta di evitarmi! Diavolo, come sei immatura! Ecco perché non ti ho detto subito della festa. Sono stanco di litigare, lo vuoi capire che voglio stare solo con te?>> L’afferrò per le braccia tenendola ferma, e parlò con enfasi e sicurezza. Doveva essere sotto da ore, le sue mani erano gelide e lui di pessimo umore. Alice sospirò e si guardò i piedi, sentendosi d’un tratto a disagio e fuori luogo. <<Non ho niente da dirti. Sei un bugiardo, un falso, un ipocrita. Non riesco a fidarmi di te, non fai altro che prendermi in giro!>> disse d’un fiato. Alessandro alzò gli occhi al cielo. <<Era solo una festa! Sembra che tu cerchi ogni motivo per scatenare una tragedia! Stai divento paranoica, ora! Alice… sono stanco di questa vita. Che sia chiaro. Se hai intenzione di giocare ancora una volta a nascondino… per me è finita. Voglio maturità. La chiudo qua, non scherzo. Non un’altra bambinata di queste. Non rispondi alle mie chiamate da ieri mattina!>> Alice era immobile. Guardava Alessandro negli occhi, incapace di parlare o di difendersi. Stava nuovamente trasformando le cose per incolparla, per camuffare la sua colpa in ragione. E adesso minacciava persino di finirla! Certo! Era lui il padrone indiscusso, lei doveva solo assecondare le sue decisioni. Guai, se le cose fossero state per un attimo ribaltate. <<Solo una festa?! Ok, forse avrò anche sbagliato a non affrontarti ieri e a evitarti ma…>> <<Forse?>> Alessandro la interruppe, prepotente come sempre. Riusciva a sentire solo se stesso. <<Fammi parlare!>> ruggì Alice in un impeto di rabbia. Alessandro parve stupito da quella reazione, così tolse la presa dalle sue braccia.


<<Ho detto che non avrei dovuto fare così! Ma tu non avresti neppure dovuto…>> <<Alice! Vuoi smetterla con questi “tu non avresti dovuto ed io non avrei dovuto”? Ti prego Alice… siamo due adulti…>> Alessandro, il suo tono esasperato. Era incredibile la sua capacità di essere sempre e in ogni occasione quello saggio, maturo e costretto a riprendere Alice per le sue puerilità. Alice si ritrovò senza niente da dire, era attonita. <<Tu mi ami?>> chiese ancora Alessandro. Alice sospirò stancamente. <<Sì.>> disse infine. Alessandro le mise un dito sulle labbra, zittendola. <<Allora non dire altro. Non parliamone più.>> E con quelle ultime parole, si chinò su di lei per baciarla. Alice ricambiò il bacio, ma per la prima volta si sentì diversa, distante, fuori dal suo corpo. Quel bacio non significava niente, era la firma su un contratto stilato da lui, un contratto che non aveva letto, che era stata obbligata ad accettare. <<C’è… ancora quel film che volevi vedere con me…>> sussurrò Alessandro, ancora attaccato alle sue labbra. Alice si separò da lui lentamente, con gli occhi bassi. <<Sì… ma stasera non posso vederlo. Abbiamo ospiti a casa.>> Alice mentì spudoratamente. Alessandro si lasciò sfuggire una rapida occhiata intorno, e comprese all’istante che il parcheggio vuoto lì vicino fosse il segno più palese di quella menzogna. Non la contraddisse. Annuì con un leggero sorriso sulle labbra. <<D’accordo. Allora lo rimanderemo a domani.>> <<Certo.>> <<Adesso vado.>> Alessandro le baciò la punta del naso, poi le strinse le mani. <<Buona notte, piccola. Non litighiamo più per queste sciocchezze>> <<Buona notte a te.>> Non si dissero altro: Alessandro tornò alla sua macchina, pacato e sicuro, mentre Alice, immobile, attese che andasse via.


Allora rientrò in casa ostentando un sorriso di facciata per sua madre. Dentro però aveva l’inferno: sentiva di provare per Alessandro un risentimento, che la portava inevitabilmente a odiare ogni suo più piccolo difetto. Si era distrutto qualcosa tra di loro, si era creata una voragine profonda che li teneva lontani, e inutile era tendere la mano verso lui, non riusciva a raggiungerlo. E allora lo guardava da lontano, mentre si ravvivava i capelli, mentre rideva, mentre diventava serio, mentre le mentiva. Una voragine si era creata anche nel cuore di Alice. Ed era sempre più ampia. E bruciava terribilmente, soprattutto quando lui non c’era. E la faceva sentire così sola. Alice si abbandonò sul letto, avvilita e sconfitta. Stava malissimo, la testa minacciava di esploderle. Forse aveva la febbre. O forse era Alessandro a farle quell’effetto letale. Alice dovette correre in cucina a prendere un antidolorifico, e dopo una mezz’ora passata con la testa tra le mani, il dolore affievolì. Quella notte si addormentò quasi subito, ma ebbe degli incubi.


CAPITOLO QUATTRO SINGOLARE INCONTRO

<<A

ndiamo a trovare la nonna, domani!>> Era passata una settimana dall’apparente riappacificazione con Alessandro, e una sera, a cena, Alice fu colta di sorpresa dalla notizia datale da sua madre. Alice rimase interdetta, la forchetta sollevata, a guardarla. <<E perché?>> chiese sospettosa, scrutando i visi eccessivamente sorridenti dei suoi genitori. <<Oh... così.>> iniziò con noncuranza Rosa, <<Siccome sappiamo che ti piace tanto Brunello, abbiamo pensato di andarci nel fine settimana.>> E siccome ultimamente sei apatica, noiosa e silenziosa, vorremmo farti prendere un po’ d’aria. Alice lesse nel viso di sua madre tutte quelle parole non dette e le fu grata per averle tenute per sé. Se i suoi genitori avevano deciso di accompagnarla sino a Brunello solo per vederla sorridere, evidentemente c’era davvero qualcosa di preoccupante in lei. <<Ok. Bello.>> rispose, sforzandosi di sorridere. Ovviamente non riuscì a ingannare nessuno e dunque considerò opportuno non turbare più i suoi genitori con la sua negativa presenza. Trangugiò in fretta la sua cena, prima di dileguarsi in camera. Quando fu sola, si lasciò cadere sul tappeto di fronte alla finestra, e appoggiò la fronte sulle ginocchia. In quegli ultimi giorni il suo umore era stato sempre pessimo, nonostante non ci fossero stati litigi rilevanti con Alessandro. In realtà aveva cercato di utilizzare contro di lui la “strategia dell’indifferenza”. Si era sforzata di essere diversa, fredda, distaccata, disinteressata. Straordinariamente però lui sembrava non essersene


accorto, anzi; Un giorno le aveva persino detto: <<Lo vedi come andiamo d’accordo per ora?>>. Era stato terribile. Perché Alessandro non si accorgeva che lei non era più la stessa? C’era un’estranea in quei giorni al posto suo, ma evidentemente a lui piaceva di più. La considerava più matura. Che cosa era stata disposta ad accettare pur di essere tranquilla? Pur di stare con lui? A un amore piatto, un amore per metà. Per lei però la felicità stava oltre: stava nelle risate, nella spontaneità, nel piacere di stare per mano in silenzio, nella complicità di un sorriso che sboccia per caso, e che è immediatamente ricambiato. Stava nel condividere tutto, gioie, tristezze, nell’arrabbiarsi, magari prendersela con lui per poi chiedere scusa, riderci su, fare pace. La felicità stava nell’uscire insieme il sabato sera, anche solo per fare le solite cose, una pizza, il cinema, ma quanto ti manca se un giorno non puoi vederlo. E invece non c’era niente di tutto ciò, c’era solo il timore di essere criticata, di dire qualcosa di stupido. Alice rabbrividì all’idea di dover vivere ancora quella banale messinscena. Forse era vero, a tutto c’è una fine, e la loro storia era arrivata al capolinea. Il sabato mattina passò in un lampo e ben presto Alice si ritrovò nel sedile posteriore dell’auto di suo padre. Guardava fuori dal finestrino, il mondo sfrecciava veloce, i colori si fondevano in un mischio di verde e azzurro. Si sentiva come quando era bambina e partiva per Brunello per le vacanze estive. Erano lì, in quel paesino, in quel verde, i ricordi più belli della sua infanzia. Era già sera quando arrivarono e a quell’ora, Brunello, odorava di legna bagnate e il suono che echeggiava era quello delle foglie che si muovevano sotto il soffio del vento. Una volta messo piede dentro casa, invece, i suoni erano quelli delle legna scoppiettanti nel camino e delle risate gioiose della nonna. Il tempo a quel punto volò. La nonna e Rosa passarono ore a parlare, ridere, scambiarsi confidenze, mentre Mario giocava con Billy, il


cane. Sembrava un bambino, mentre gli lanciava la palla e lo incitava a riportarla. Cenarono, e senza neppure rendersene conto, Alice si ritrovò a letto, con sua madre che le augurava la buona notte con un bacio. Si addormentò subito, sfinita, con il solito mal di testa che ormai le faceva quotidianamente compagnia. Papà credeva si trattasse di un problema alla vista, e avevano prenotato una visita dall’oculista per la settimana successiva. Prima di cadere completamente tra le braccia di Morfeo, Alice si ricordò della foglia, della poesia, di quel volto… e una vocina le sussurrò: “Non fare cose stupide o pericolose, Ali”. La mattina seguente però, Alice si svegliò con la dannata voglia di fare qualcosa di stupido. <<Buongiorno!>> disse ostentando una piccola allegria, giunta in cucina. La nonna si meritava quello sforzo, era sempre così tranquilla che ad Alice parve quasi offensivo distruggere l’armonia di casa sua con il suo muso lungo. <<Buongiorno, Ali.>> le rispose la nonna soavemente, poi ridacchiò. <<Tutto bene con quel tuo amico?>> chiese divertita, ammiccando verso Mario che, ogni volta che sentiva parlare di “amici” diventava paonazzo e iniziava a tossire, forse per sembrare indifferente, forse perché quei discorsi gli andavano letteralmente di traverso. Alice annuì con un lieve sorrisetto imbarazzato. <<Sì nonna, abbiamo risolto le nostre... divergenze.>> <<Meno male. Mi è sembrato un ragazzo... sicuro.>> la nonna sorrise. Certo, sicuro era il termine giusto, ma anche “arrogante” e “egocentrico” sembravano termini coniati apposta per lui. <<Che cosa fai stamattina?>> tagliò corto Mario. <<Ehm… veramente avevo pensato di fare una passeggiata e scattare qualche foto.>> <<Noi andiamo al ruscello!>> intervenne Rosa. <<Fantastico! Ci sono stata l’altra volta con le ragazze! Vi accompagnerei volentieri, ma se non vi dispiace resto qui… così


faccio questa passeggiata>> propose Alice speranzosa, abbozzando un mezzo sorriso. Mario sbuffò e Rosa parve delusa, così la ragazza aggiunse: <<E faccio compagnia alla nonna.>> Detta così sembrava più accettabile. <<Come preferisci.>> rispose tetra Rosa, alzando gli occhi in un’espressione che forse voleva mandare a Mario un qualche messaggio. Alice sospirò e incontrò lo sguardo enigmatico della nonna. Niente di stupido, Ali! Ripeteva la saggia vocina dentro di lei, ma quella volta Alice decise di non ascoltarla. La strada per raggiungere la Radura dei Girasoli parve infinita. Per lo meno ora l’aveva memorizzata e questo le sarebbe tornato utile se avesse dovuto… scappare. Alice deglutì. No. Non ci sarebbe stato niente da cui dover fuggire e soprattutto nessuno. Continuò a camminare, ignorando scrupolosamente le infondate paure che affollavano i suoi pensieri. Alice allungò il passo ma all’improvviso un dubbio la paralizzò: e se veramente chiunque avesse scritto la poesia, si trovasse lì alla radura perché la stava spiando? Alice si morse un labbro. Si guardò alle spalle, il sentiero che aveva percorso serpeggiava tra i boschi e in quel momento era illuminato dai raggi del sole, sembrava accogliente e sicuro… mentre la strada che conduceva alla Radura dei Girasoli era ancora lunga e potenzialmente pericolosa. Per un attimo ebbe persino compassione di sé: era talmente annoiata che andare alla ricerca di un maniaco, fantasma, o poeta (ovviamente pericoloso) che fosse, le sembrava la cosa più divertente del mondo. Decise di proseguire. La Radura dei Girasoli non tradì le sue aspettative. Più umida e fangosa dell’ultima volta in cui ci era stata a causa delle recenti piogge, si stagliò ai suoi occhi nella sua perfezione, salutandola muovendo leggera, sotto effetto del vento, i rami dei mastodontici alberi, che sembravano nasconderla e proteggerla. A una prima occhiata veloce le sembrò deserta.


Peccato. Alice camminò con passo felpato sul prato ingiallito e si avvicinò a quell’albero che le era oramai così familiare, l’albero ai cui piedi aveva trovato la foglia. Lì vicino, aveva fotografato il poeta. All’improvviso, appena poco lontano da lei, udì uno scricchiolio. Come di passi. Passi su dei rami esattamente. Ebbe un tonfo in fondo allo stomaco, e si sentì avvampare. Si appiattì contro la corteccia e chiuse gli occhi, il cuore le martellava in petto furiosamente. I passi si stavano avvicinando. Forse qualcuno la seguiva da un pezzo e aveva atteso che fosse abbastanza lontana da casa per poter chiudere aiuto, e ora l’avrebbe aggredita. Solo adesso che aveva paura iniziava a pensare che, forse... aveva avuto una cattiva idea ad andare laggiù da sola. Il sole di mezzogiorno era alto, bruciava gli occhi nonostante fosse coperto dalle nuvole. Lo scenario ideale per vicende tenebrose. Alice deglutì, la separava una distanza irrisoria da quei passi. Decise di contare fino a dieci: a quel punto sarebbe andata minacciosamente incontro a chiunque avesse trovato alle sue spalle e lo avrebbe costretto a fuggire. L’idea di se stessa che incuteva terrore a qualcun altro le parve poco credibile. Iniziò a contare. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei… A sette si voltò e schizzò fuori dal nascondiglio. <<Billy!>> gridò, con tono isterico. Non poteva crederci! Tanta paura solo per un cane! Rise, sollevata, e si disse che aveva imparato la lezione: niente più passeggiate alla ricerca di sconosciuti. Alice fece un passo verso il cane ma, come risultato, ottenne un abbaio nervoso. <<Ehi…>> gli rispose imbronciata, e quello continuò ad abbaiare. Alice si accigliò. <<D’accordo, d’accordo me ne vado a casa. Mi stai rimproverando?>> Per tutta risposta, Billy scappò via. Alice era sorpresa, ma decise di seguirlo e andarsene da lì. Ma c’era qualcosa che non aveva previsto. Provò paura, una paura viva e calda, il cuore iniziò a scalpitare furioso e le scoppiò sul viso un colorito rosso vivo.


Quando si era voltata, si era ritrovata davanti, a pochi metri di distanza, un ragazzo. Inciampando banalmente sui suoi stessi piedi, Alice cadde per terra, lasciandosi sfuggire un gemito. Il ragazzo di fronte a lei sembrò abbozzare un’espressione divertita. <<Ciao…>> farfugliò Alice imbarazzata. Il ragazzo la fissò accigliato e non le rispose. <<Ehm… non parli la mia lingua? Hello, Hola...>> Silenzio. Alice sbirciò l’espressione stupita sul viso del ragazzo, mentre la paura sfumava leggermente lasciandole addosso un colossale senso di imbarazzo. Era ancora seduta per terra, con le mani sprofondate nel fango, il viso sicuramente illuminato da un’espressione da allocca. Che vergogna. Il giovane non sembrava molto loquace né disposto al dialogo. Adesso si era voltato di spalle, come per assicurarsi che non ci fosse nessuno dietro, per poi tornare a guardarla intensamente. Alice irrigidì. Ma certo. Era il momento in cui l’avrebbe attaccata. Strinse i pugni cercando di calcolare quanto tempo avrebbe impiegato a fuggire se quel tipo avesse fatto un passo verso di lei. <<Ehm… ciao.>> Incredibile. Il ragazzo aveva risposto. Mantenendosi anche a una certa distanza di sicurezza. Alice si lasciò sfuggire un sorriso imbarazzato e si strinse nelle spalle. <<Bella giornata, eh?>> farfugliò. Quel tipo la guardava come se fosse un’aliena. Si sentiva a disagio. Forse era solo sorpreso nel costatare che al mondo potesse esistere una persona così maldestra. <<Niente male…>> le rispose lui ancora con distacco. All’improvviso Alice prese coscienza di ciò che le era successo: aveva appena incontrato il suo ipotetico poeta. Il ragazzo della foto. Era molto carino, alto, elegante, e aveva un nonsoché di nobile. Forse gli occhi, così imperscrutabili, occhi che, persino a distanza di qualche metro, erano evidentemente blu. Un blu profondo, intrigante. <<Ehm… sono inciampata.>> aggiunse Alice, con un tono che la diceva lunga sulla sua disinvoltura con gli estranei.


Il ragazzo si avvicinò, titubante, e le porse una mano. Alice gli tese la sua, che lui afferrò, tirandola su senza troppi sforzi. Non riusciva ancora a spiegarsi come fosse finito nella sua fotografia ma, per lo meno, aveva appurato che non era un fantasma. <<Grazie. Sono Alice Cafarelli.>> Alice si ripulì alla meno peggio i vestiti dal fango. <<E sono piena di fango!>> aggiunse, e rise per sdrammatizzare. Di contro, il ragazzo la guardò impassibile, per poi abbozzare un sorrisino di circostanza. <<Ciao, Alice. Scusa la mia reazione di prima, non sono abituato a vedere gente qui.>> disse. Tacquero entrambi, l’imbarazzo era palpabile. <<Ma… perdonami. Sono stato maleducato.>> il ragazzo prese la mano di Alice in un comunissimo ma stranamente nuovo tentativo di presentarsi. <<Il mio nome è Raul. Piacere di conoscerti.>> <<Il piacere è… tutto mio.>> rispose Alice evitando di guardarlo negli occhi. Lui la metteva a disagio, era così strano, fuori dall’ordinario, sembrava fosse capitato lì per sbaglio, con quel vestiario esageratamente elegante per qualcuno che va a fare una scampagnata. Indossava un pantalone scuro, una camicia blu, un cappotto nero, e un paio di scarpe dello stesso colore. <<Bè, adesso ti saluto, devo andare.>> Raul fece per andare via, ma una parte di Alice, la più audace, decise di porgli la fatidica domanda. <<Aspetta! So che potrò sembrare… invadente ma… ho trovato una poesia qui, scritta su una foglia e mi chiedevo se… l’avessi scritta tu, per caso.>> Alice stava torcendosi le dita delle mani per il nervosismo. L’espressione di Raul non tradì emozioni. <<E perché lo chiedi proprio a me?>> chiese con tono sorpreso, ora però sorrideva, beffardo. Alice si pentì di averglielo chiesto. <<Bè… non ho mai visto nessun altro qui, oltre che te, perciò...>> e poi eri tu nella mia fotografia, con tutta l’aria di qualcuno che ti spia! Pensò Alice, stizzita.


Raul tacque per qualche secondo infinito, poi rispose, mettendo su un’espressione divertita e – o forse Alice lo stava solo immaginando – di scherno. <<Sei sempre così curiosa?>> chiese. Non aveva smesso neppure un attimo di guardarla negli occhi con quell’indecifrabile moto di sorpresa e allegria. <<Non sono curiosa. Semplicemente mi domandavo se... lascia stare.>> Alice si sentì sprofondare. Cielo, ma cosa le stava succedendo? Perché era così interessata a comprendere quali moti avessero dato vita a quella poesia che, in realtà, era macabra e triste? Raul in effetti, con quei capelli neri, quegli occhi indecifrabili e liquidi, aveva l’aspetto di un serial killer. Alice ebbe d’improvviso voglia di andarsene, di andare via da lui, quello sconosciuto saccente che sembrava ridere di lei. <<E sei venuta fin qui per la poesia, o ci vieni di frequente?>> Alice si sentiva infastidita da tanta sicurezza. <<Per la poesia? Certo che no.> Strinse i pugni. <<E’ meglio che vada. In fondo non mi interessa affatto sapere cosa significhi né tanto meno chi l’abbia scritta.>> disse con fervore, incrociando le braccia. Il ragazzo scoppiò a ridere, genuinamente, e Alice si sentì cadere la mascella. Ora rideva anche di lei. Ma chi si credeva di essere?! <<Non era mia intenzione offenderti. Vado anche io.>> Raul sorrise, da come parlava, sembrava fosse uscito da un romanzo. Senza aggiungere altro, la salutò con la mano e si allontanò a passi leggeri e sicuri. <<Perfetto!>> disse Alice a gran voce, più a sé che a lui. <<Così posso continuare a fare… quello per cui sono venuta fin qui.>> aggiunse sfoggiando un sorriso sicuro e indicando la sua macchina fotografica. Raul si fermò e la guardò. <<Buon proseguimento allora. Arrivederci…>> <<Spero di no.>> mormorò Alice, ma la risata sommessa del ragazzo le diede il sospetto che l’avesse sentita. Il ragazzo sparì tra le foglie e gli alberi.


Alice, seccata per la triste sorte di quella mattina (aveva riempito i jeans di fango in cambio della conoscenza di un ragazzo che già detestava), si soffermò a guardarsi intorno. Aveva solo voglia di tornarsene a casa, ma il ragazzo aveva intrapreso la stessa strada che avrebbe dovuto percorrere lei, e non le andava di parlargli ancora. Tra l’altro, a giudicare dalla prima impressione che aveva avuto di lui, probabilmente avrebbe creduto che lei lo stesse seguendo. Alice decise di fare la strada più lunga. Iniziò a camminare verso la foresta, a gran passi, ma d’improvviso s’irrigidì, bloccandosi immediatamente: aveva sentito righi e guaiti di cani in litigio. E non dovevano essere molto lontani. Alice si morse un labbro: ma perché, perché era così sfortunata? Valutò le alternative in fretta, mentre i ringhi si avvicinavano pericolosamente. In fin dei conti, era meglio sopportare per qualche minuto l’irritante presenza di Raul che diventare il pranzo di un branco di cani randagi. Alice non ebbe tempo per decidere; le gambe scattarono da sole in corsa, lungo la direzione intrapresa dal ragazzo. <<Forse è meglio che io ti accompagni! Sai… potrebbe essere pericoloso per un viaggiatore tutto solo questo luogo!>> disse, quando lo raggiunse. <<Certo, in effetti, iniziavo a temere per la mia incolumità. Ho sentito terribili ringhi di cani.>> rispose Raul con indifferenza, ma quel sorrisetto ironico era penetrante come una lama. <<Cani? Quali cani? Non ho sentito niente e poi… io non ho paura di qualche cucciolo spelacchiato.>> Alice si costrinse i capelli dietro l’orecchio, lanciando occhiate curiose al suo accompagnatore. Non aveva il coraggio di puntargli sfrontatamente gli occhi addosso, ma evidentemente lui non si preoccupava di fare lo stesso. Mentre camminavano, la guardava continuamente. <<Allora, dove ti accompagno?>> domandò Raul con cortesia. <<Non devi accompagnarmi, non preoccuparti. Io comunque devo andare sempre dritto, sono ospite di mia nonna. Vive in quella casetta con gli infissi verdi. La conosci?>>


Alice cercava, con ben riuscita indifferenza, di scoprirne di più su di lui. <<Sì, mi sembra di averla vista quella casa qualche volta. Ma purtroppo non ho avuto il piacere di conoscere tua nonna. Se permetti, ti accompagno lì.>> <<Ma tu dove devi andare?>> Raul tacque per un tempo che ad Alice parve interminabile, così temette di essere stata invadente. <<Io non vivo da queste parti, cammino molto per venire alla Radura dei Girasoli.>> rispose, finalmente. <<E vieni spesso qui?>> indagò ancora Alice. <<Sì, direi di sì.>> << Allora abbiamo una cosa in comune. Ci piace questo luogo.>> <<E amiamo le poesie.>> <<Quindi l’hai davvero scritta tu?>> chiese Alice, quasi aggressiva. <<Sì, lo devo ammettere.>> L’incredibile curiosità di Alice parlava per lei. Forse però avrebbe fatto meglio a chiedergli un'altra volta del significato di quei pochi versi. D’improvviso, lo stupore. Ci sarebbe stata un’altra volta? L’avrebbe mai più rivisto? Casa della nonna fece capolino tra le cime verdi degli alberi, stagliandosi pigra nel cielo pieno di nuvole appena addensatesi, grigie e minacciose. <<Eccoci. E’ questa no?>> disse Raul, indicando il comignolo fumante della casa. Alice annuì mentre lo scodinzolante Billy le correva in contro, con la lingua ciondolante. La festeggiò leccandole le mani, ma stranamente ignorò Raul. Di solito era un cane molto socievole, soprattutto con gli estranei, eppure quel giorno si limitava a scodinzolare disinteressato. <<Si dice che i cani captino le cattive intenzioni>> disse Alice schietta, scrutando l’espressione di Raul, che a quelle parole scoppiò a ridere di cuore. <<Immagino che sia vero! Bè, Alice, amico di Alice, adesso vado.>> <<Grazie per avermi accompagnata.>> disse Alice con distacco. La buona educazione le imponeva di ringraziare lo sconosciuto, ma detestava la sua espressione irrisoria.


<<Di niente. Allora ci vediamo sabato prossimo.>> Il sorriso di Raul si allargò, adesso era amichevole. La guardò dritto in viso, sicuro di sé, e Alice non riuscì a trovare parole per rispondere. Era stupefatta. Il solitario poeta le aveva appena proposto di incontrarsi nuovamente. <<Sabato prossimo? Io non so se verrò qui ma…forse. Forse ci sarò.>> farfugliò imbarazzata. Non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto: aveva accettato una specie di appuntamento da un ragazzo? <<Vuoi vedermi la prossima settimana, quindi?>> ripeté lui. Ora Alice era un fascio di nervi. Ma che tipo! <<No, ovviamente! Volevo solo parlare della poesia!>> esclamò indignata, i pugni stretti lungo le gambe. <<Ok, alla prossima volta allora!>> Senza aggiungere altro, soprattutto senza voltarsi più, il ragazzo se ne andò via. <<Guarda che sabato prossimo non verrò certo per incontrare te!>> gli gridò dietro Alice puntando i piedi per terra. Lui non le rispose, si limitò a ridere, e se ne andò. Quando Alice mise piede dentro casa, si sentiva ancora completamente stralunata e irritata. Che sfrontato, che presuntuoso! Come le era saltato in mente di dirgli che forse ci sarebbe stata?! Avrebbe dovuto ridergli in faccia e mandarlo a quel paese. Invece si era fatta prendere dall’imbarazzo e dalla sorpresa. Sbuffò, snervata. Non preoccuparti Alice, si disse. Basterà non andare alla radura per non vederlo. Quel pensiero la tranquillizzò. Fu la nonna la prima persona che vide, la quale la squadrò attentamente. <<Stavi parlando con qualcuno?>> indagò sorpresa, sbirciando fuori dalla finestra l’immensità vuota di Brunello. Alice annuì. <<Ehm… sì… in effetti, parlavo con un ragazzo. Si chiama Raul, abita qui vicino. Lo conosci?>> La nonna parve sorpresa.


<<Umm… no, non conosco nessun Raul. A dire il vero la casa più vicina nei paraggi è a qualche chilometro, ma ci vivono solo una coppia di anziani.>> <<D’accordo, non importa.>> Alice sfoggiò un gran sorriso. <<Che ne dici di fare dei biscotti? O una torta?>> propose, prendendo le mani della nonna e stringendole. La nonna non sarebbe potuta essere più felice. <<Certo, tesoro! Vai a darti una ripulita e iniziamo!>> Il resto della giornata a Brunello volò: Alice cucinò i dolci sotto supervisione della nonna, riuscì a distrarre Mario (imbronciato e geloso) e scherzò con Rosa, rallegrandola. Quando venne la sera, purtroppo, fu ora di tornare a casa. Il meraviglioso week-end era finito. Alice era felice perché in quei pochi giorni in cui era stata lontana da tutti, da Alessandro, persino dalle sue amiche, dalla città stessa, aveva avuto modo di riflettere su ciò che stava succedendo, e soprattutto su quello che voleva dal futuro. Sentì un tonfo allo stomaco quando pensò al suo atteggiamento degli ultimi tempi ed ebbe voglia di sprofondare. Come aveva potuto essere così stupida?! La preoccupazione dei suoi genitori, quel viaggio sino a Brunello organizzato da loro per renderla felice, erano riusciti a farle aprire gli occhi su ciò che stava diventando: una persona annoiata, nervosa, triste, stanca. Non poteva permettere che Alessandro la cambiasse sino a quel punto. Non meritava che lei perdesse la sua allegria per lui. Nel viaggio di ritorno a casa, con quei pensieri e il nuovo, fortissimo proposito di non mettere mai più da parte la sua felicità per il quieto viver, Alice si addormentò. Prima di lasciarsi andare completamente al sonno, un viso sorridente e buffo le balzò davanti agli occhi, nella mente. Era il viso di Raul.


CAPITOLO CINQUE IL MULINO

I

l sole era tramontato e il cielo era meraviglioso quella sera. Un rosa bruciava il cielo, lo sovrastava il violetto, poi ancora il blu e infine il nero. Alice sedeva sul tappeto di fronte alla finestra, e spiava da lassù lo sfrecciare delle auto, il via vai di qualche passante, mentre scattava qualche foto. Erano già passati tre giorni da quando era tornata da Brunello e aveva “ritrovato se stessa”, eppure non aveva ancora avuto modo di presentarsi ad Alessandro. Lui aveva avuto vari impegni, con la scuola e con gli allenamenti e così, oltre ad una breve ora la sera a fare un giro in macchina, non si erano visti per niente. Non aveva idea di come avrebbe potuto affrontare la cosa, non sapeva se fosse il caso di fargli un discorso o semplicemente di iniziare a cambiare atteggiamento verso di lui. Tutto quello che voleva, in fondo, era maggiore rispetto, più considerazione, che lui la smettesse di schiacciarla, di mortificare il suo orgoglio. Mentre pensava a quelle cose, s’immaginò Alessandro sogghignare, scuotere il capo e dire: oh, Alice, sei così immatura. Sbuffò seccatamente. Il suo silenzio rumoroso di pensieri fu interrotto d’un tratto da forti battiti alla porta. <<Avanti>> <<Ciao, piccola.>> Alice si voltò sorridendo. Quella voce calda e leggermente roca era inconfondibile: Alessandro. Gli andò incontro sorridendo, e lo abbracciò. <<Oh Alice!>> si lamentò lui, infastidito, <<Mi soffochi!>> aggiunse, liberandosi della sua stretta.


Niente male come inizio serata; un ragazzo nervoso, isterico e suscettibile. Alice sollevò le mani come a dire “scusa, non ti tocco più”, e Alessandro andò a sdraiarsi sul letto. Chiuse gli occhi; sembrava davvero intenzionato a dormire. Alice sospirò e sedette in un angolo vicino a lui. <<Sei nervoso?>> Alessandro annuì, rigido e distaccato. <<Abbastanza.>> <<Ti va di parlarne?>> Alice tentò di distruggere il muro che Alessandro aveva innalzato tra lei e la sua vita privata, ma era difficile, era una barriera invalicabile, e ogni tentativo sfumava di fronte a quel suo viso inespressivo, l’espressione così fredda. <<Sinceramente no.>> rispose, schietto, aprendo finalmente gli occhi neri e puntandoli in quelli amareggiati di lei. Alice sospirò, rassegnata. Era stanca di andargli incontro, di capirlo, di giustificarlo sempre. <<Ok, come vuoi.>> concordò, con un sorriso non più molto sincero, poi continuò: <<Che cosa vuoi fare quindi? Guardare la televisione o … dormire?>> Alice sorrise, l’ironia traspariva dai suoi occhi nocciola. Alessandro fu sorpreso da quell’atteggiamento e per un attimo la fissò in silenzio, studiando le espressioni del suo viso. Per lo meno, Alice aveva stimolato la sua attenzione! <<Voglio abbracciarti e riposarmi un po’ accanto a te. Ti va?>> <<Come vuoi.>> <<Ecco, così mi piaci.>> <<Ti piace quando non parlo?>> rispose lei quasi in automatico. Alessandro si sollevò sugli addominali e la fissò intensamente, accigliato. <<Alice ma cosa stai dicendo?>> domandò gelidamente. Alice si strinse nelle spalle. <<Niente, stavo solo facendo una considerazione.>> <<Risparmiati certe considerazioni. Non voglio una stupida che dica sempre sì, al mio fianco, lo sai.>>


Alessandro la sfidò con lo sguardo: lo sapeva davvero? Alice non rispose. Preferiva guardarlo attentamente in viso, chiedendosi che tipo di risposta lui avesse potuto interpretare dai suoi silenzi. Probabilmente, qualsiasi fu, gli piacque, perché si sdraiò nuovamente accanto a lei, questa volta baciandole le labbra. Quel leggero bacio divenne presto intenso, passionale, travolgente. Alice fu investita dall’intensità e dal calore di quei baci, le mani di Alessandro la cercavano ansiose, in viaggio lungo le linee morbide del suo corpo. Alessandro le spostò i capelli dal collo e iniziò a baciarle lentamente l’incavo della gola, poi il collo bianco, poi l’orecchio. Alice lo assecondava nei movimenti e nei baci, ma si sentiva sempre un passo indietro, come se lo stesse inseguendo per potergli stare dietro. D’improvviso la mano calda di Alessandro s’insinuò coraggiosa sotto la felpa, avvicinandosi pericolosamente al bottone dei jeans. Alice irrigidì e spalancò gli occhi, ma Alessandro e le sue mani avide iniziavano a sganciarlo. <<Alessandro… fermati…>> intimò Alice a bassa voce, allontanandolo. Lui sorrise sfacciatamente e riprese a baciarla con più enfasi. Alice si contrasse a disagio ma sicura di sé e, questa volta con maggiore sicurezza, lo allontanò. <<Alessandro…>> ribadì, guardandolo intensamente. Il disappunto e il fastidio incendiarono il viso di Alessandro rendendolo d’improvviso, sotto la luce dell’abat-jour, contorto. <<Ci sono i miei genitori di sotto.>> disse Alice scandendo le parole. <<E in oltre non mi sembra né il luogo né il momento. Credevo che ne avessimo parlato.>> Alessandro sbuffò snervato e rotolò di fianco. Non disse una parola, sembrava sinceramente infastidito. <<C’è sempre qualcuno o qualcosa con te.>> sibilò. Era il solito egoista. <<Il vero problema sei tu veramente >> rispose Alice secca. Ma lo sguardo che lui le lanciò, gelido, penetrante, la fece pentire per la risposta data. <<Che cosa hai detto?!>>


Alessandro scattò a sedere, stagliandosi di fronte a lei con aria minacciosa. Alice si morse intimidita il labbro inferiore, si mise a sedere a gambe incrociate e rispose sforzandosi di guardarlo negli occhi. Non voleva apparire spaventata. <<Alex, voglio dire che…>> <<Tu hai detto che io sono il problema?!>> ribadì Alessandro, tra i denti. <<Intendevo dire che ultimamente litighiamo per tutto e… non sono pronta per… non ora e…>> Alice si rese conto di stare balbettando. Alessandro la fissò esterrefatto per secondi interminabili, secondi in cui Alice fu invasa e stordita da mille pensieri. Non riusciva neppure a guardarlo negli occhi senza vedere in lui la deforme imitazione di un ragazzo che aveva amato. Alice rabbrividì mentre il solito senso di claustrofobia l’assaliva e il mal di testa tornava lancinante e doloroso. <<Io ho semplicemente voglia di stare con te, Alice, di portare avanti questa storia. E’ un dramma?! Una colpa?! Per questo sarei io il problema?>> Stava gridando. Alice sospirò, era sicura che di lì a poco suo padre sarebbe entrato in camera armato e avrebbe cacciato Alessandro a pedate. <<Io invece vorrei che tu rispettassi le mie decisioni.>> ripose. Alessandro la fulminò letteralmente con lo sguardo. <<Me ne vado Alice, sono stanco di sentire queste stronzate. Fai la vittima, bene. E’ l’unica cosa che ti riesce.>> Senza aggiungere altro Alessandro se ne andò sbattendo con forza la porta. A quel tonfo sordo, Alice trasalì, stringendosi nelle braccia, e rimase immobile sinché non udì da lontano il rombo di un motore e poi un’accelerazione violenta. Alessandro se ne andò via così com’era arrivato, decidendo tutto da solo. Alice fissò confusa il letto, ancora scomposto nel punto in cui erano stati insieme, e si sdraiò. Era ferita, si sentiva offesa. Non riuscì a trattenere quelle lacrime che le rigarono le guance.


La sua storia si stava sbriciolando, volava via a brandelli, come sabbia al vento. Stava lottando per salvarla, ricucirla, e allo stesso tempo per non farsi schiacciare, ma era difficile conciliare tutto. Alice si strinse il cuscino al petto, detestava persino se stessa per quelle lacrime. Bussarono alla porta. Alice si asciugò gli occhi con la manica, in fretta, sporcandosi le guance di trucco. <<Sì?>> Suo padre entrò in camera. <<Alice?>> La sua espressione era preoccupata, Alice si sentì un disastro. <<Sì, papà?>> <<Non stavi piangendo vero? Alice, piangi?>> No. Non anche questa. Non poteva mettersi di mezzo anche suo padre. <<Ma no, sono raffreddata!>> mentì Alice, tirando su con il naso per essere più convincente. <<Ho anche un mal di testa terribile. Forse mi sta venendo la febbre.>> L’uomo si avvicinò a lei e le poggiò le labbra sulla fronte per sentirle la temperatura. <<Mi sa proprio di sì, tesoro.>> disse accarezzandole il viso, addolcendosi improvvisamente. <<Comunque volevi dirmi qualcosa?>> chiese Alice. <<Già, sì. Mi ha detto tua madre che le hai chiesto di poter andare a Brunello il prossimo fine settimana.>> affermò lui. Non era una domanda… forse voleva solo qualche spiegazione. <<Sì, papà, proprio così. Ho visto la nonna molto sola ultimamente e vorrei starle vicino. In oltre, l’aria di Brunello mi mette su di morale.>> In realtà era quello che c’era in città a trascinarla giù, sempre più a fondo negli abissi della tristezza, era Alessandro, la sua presunzione, la sua prepotenza, era il modo in cui si sentiva quando erano insieme. Schiacciata. Criticata. Sempre sotto controllo.


<<Ma tu non hai mica bisogno di essere tirata su di morale!>> sbottò Mario. Alice abbozzò un sorriso poco credibile. <<Comunque va bene, ti accompagnerò io a Brunello.>> Con quelle ultime parole, Mario se ne andò. Era un uomo buono e affettuoso, e rispettava i silenzi degli altri. Alice gli era grata per la sua discrezione. Quando fu finalmente sola, crollarono le maschere, crollarono le barriere. Si accucciò sotto le coperte, con la luce spenta, e pianse. Si sentiva così sola, così infelice. Si addormentò dopo poco, senza neppure cenare, ed ebbe sogni tormentati e tristi, dove piangeva e gridava sempre. Nel cuore, perpetuo e insostenibile, c’era il peso per quell’amore opprimente. Il mese di Novembre era finito ormai, aprendo le porte a un Dicembre che, a detta dei meteorologi, avrebbe dato un taglio alle belle giornate presentandosi il più freddo degli ultimi anni. Nonostante Alice preferisse l’estate all’inverno quell’idea di un taglio netto con la bella stagione, e quindi con gli ultimi eventi, la rendeva felice. Forse solo l’inverno avrebbe potuto congelare e ibernare quei dolori e dispiaceri che l’estate aveva reso focosi e ardenti. Nei giorni che seguirono Alice si sentì quasi sempre poco bene. Iniziava a credere che ormai le sofferenze d’amore e le delusioni stessero infettando parte del suo benessere fisico. Straordinariamente Alessandro le aveva chiesto scusa, affermando che avrebbe atteso che lei decidesse il quando e il dove di quel passo avanti così fondamentale e che si sarebbe sforzato di essere meno brusco. Purtroppo però, Alice aveva smesso di credere alle sue promesse. Il sabato arrivò in fretta e subito dopo pranzo, Alice, era in auto con suo padre diretta a Brunello. Mario sembrava felice di tenerla lontana dai guai della città nel fine settimana e relegarla in un paradiso sicuro e privo di drogati,


stupratori o ragazzi ossessivi che fossero. Era veramente soddisfatto. Guidava veloce, come se non vedesse l’ora di portarla a destinazione. In auto aveva canticchiato allegro, sfidando Alice in un gioco in cui a turno avrebbero dovuto riconoscere il titolo delle canzoni alla radio, sentendone solo poche note. Alice lo aveva stracciato e lui si era giustificato con una delle sue teorie sulla musica odierna, tutta uguale e monotona, che confondeva gli amanti della vera musica italiana. Era da intendere ovviamente che gli idoli musicali di Mario risalissero niente di meno che alla sua adolescenza. Dopo qualche ora di viaggio Alice vide Brunello, florido e immenso e un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra. Era già il tramonto, tiepido e rubicondo, in quel piccolo paradiso colorato, un tramonto come solo a Brunello poteva essere; un misto di buio e di rosso che si combattevano per ottenere supremazia nel cielo. <<Divertiti con la nonna.>> si raccomandò Mario, salutandola dalla macchina. Alice rise, affacciata alla finestra del corridoio. <<Certo! E tu vai piano!>> lo rimbeccò. Mario sospirò. <<Non metterti nei guai!>> aggiunse. Dunque partì con l’auto e Alice lo seguì con lo sguardo sinché non sparì. <<E così preferisci stare con la tua vecchia nonna che con il tuo ragazzo, nel fine settimana.>> La voce della nonna la colse di sorpresa, facendola trasalire. Alice sorrise e circondò le spalle ossute della nonna con il suo braccio. <<Non c’è niente di più bello di te e questo posto.>> rispose. Nonna e nipote guardavano entrambe fuori dalla finestra. <<Sai che io amo averti qui. Mi ricorda tanto quando eri piccolina. Ma ora sei una donna e... io non mi ero mai accorta di quanto fossi cresciuta. Credo che neppure i tuoi se ne siano ancora accorti.>> <<Crescere fa schifo, a volte.>> rispose Alice con sincerità, sorprendendo se stessa. Parlare con sua nonna le apriva l’anima.


<<Eh sì, crescere fa male ed è difficile. Ecco perché si chiama così. Crescere. Questa sola parola racchiude in sé mille significati. Vita, gioie, cambiamenti, dolori ed esperienze che non vorresti fare. Persone che ti deludono, che ti fanno male.>> Alice guardò la nonna dritta negli occhi, ma vi trovò solo tanto amore e tanta tranquillità; con lei si sentiva in un porto sicuro e confortevole. <<E’ lui. E’ lui che mi fa male. E lo farà sempre.>> <<Certo che ti farà male, cielo! E' ovvio! Sei innamorata. Ricordalo. Che tu lo voglia o no, il dolore sarà sempre in agguato. E a volte basterà un niente per scatenare una tempesta. No, non fuori. Dentro di te. Proprio qui, nel cuore.>> Le appoggiò un dito sul petto, con un sorriso sereno. Alice e la nonna guardarono il tramonto, sinché il buio non ebbe supremazia in cielo. Dunque Alice andò di sopra per sistemare la valigia. La stanza da letto era fiocamente illuminata dalla luce caliginosa della luna, ed era fresca. La finestra era aperta e le tende bianche si muovevano sinuose sotto il soffio del vento, che trasportava in camera odore di erba bagnata, di montagna. Alice lasciò cadere la valigia ai suoi piedi e si lasciò andare in un interminabile sbadiglio. Si sfilò le scarpe e subito il parquet le solleticò la pianta dei piedi. Andò a chiudere la finestra, scossa da un lungo brivido, e allora si accorse, con stupore, che proprio ai suoi piedi, sotto la tenda, c’era uno strano oggetto. Accese subito la luce, poi tornò alla strana “cosa” per analizzarla. Era una pietra, color topazio e ricoperta di venature nere. La sollevò tra le dita, e si accorse solo dopo che la pietra era attaccata a una bustina bianca con un filo di cotone. Era una lettera! Un moto di pura curiosità e allegria la spinse, con mani ansiose, ad aprire la busta, mentre non la sfiorava l’idea che quella lettera potesse essere lì per sua nonna. No, era per lei, lo sentiva. Ecco che delle righe di una calligrafia ordinata e composta apparvero ai suoi occhi. Dicevano:


Cara Alice, non ho dimenticato il nostro impegno. Sarei onorato di poterti incontrare domani, alle dieci, dietro lo steccato di casa di tua nonna (Tranquilla, non mi farò vedere.). E parleremo della poesia, naturalmente. Questa volta non ti prenderò in giro, lo prometto. Naturalmente, solo se lo desideri, ma spero che tu decida di venire. Ti auguro una buona notte, non fare arrabbiare tua nonna. Raul Alice si rigirò tra le mani, stupita, quella lettera, e non riuscì a non sorridere. Lesse e rilesse la lettera per più volte, analizzando ogni singola parola. Quel ragazzo era matto! Come gli era saltato in mente di mandarle quella lettera? E poi altro che postini, la pietra colorata e il filo facevano molto più effetto. D’improvviso Alice si sentì in imbarazzo; ma perché mandarle un simile invito? Come poteva essere certo che lei lo avrebbe letto, lei e nessun altro? Forse era nelle vicinanze quando lei era arrivata… forse addirittura era ancora in giro! Si affacciò alla finestra, osservò attentamente ogni angolo, ogni albero, sperando di scorgerci una ciocca di capelli neri o un lembo di vestiti. Niente. Era vuoto, freddo e silenzioso. Chiuse la finestra e s’incupì: e se la stesse prendendo in giro? Se ridesse del fatto che lei era tornata lì a Brunello, secondo lui apposta per rivederlo?


Infastidita da quella prospettiva, fu tentata di prendere carta e penna e insultarlo. Ma abbandonò subito l’idea: non l’avrebbe letta, inutile perdere tempo. Alice sospirò e si sdraiò sul letto. Non sapeva se fosse giusto accettare quell’invito. Una parte di lei non faceva che rimproverarla, perché non lo conosceva, perché nessuno avrebbe saputo dove cercarla se le fosse accaduto qualcosa, perché era ancora un mistero come Raul fosse apparso nella sua fotografia, tempo prima… e perché, se Alessandro l’avesse saputo, avrebbe scatenato il finimondo. Alice si sforzò di non pensarci. In fin dei conti, perché avrebbe dovuto accettare quell’invito? Quel ragazzo era insolente, non faceva che ridere di lei qualunque cosa dicesse. Ma è un poeta. Hai trovato la sua poesia. E poi devi capire come è finito in una delle tue foto, disse una vocina dentro di lei. Se c’era un difetto che Alice aveva, e che non cercava di nascondere, era la sua curiosità incontrollabile. Era deciso. Lo avrebbe incontrato. La cena con la nonna fu uno spasso. Scherzarono e parlarono di tutto, come due vecchie amiche, si scambiarono confidenze, rivangarono vecchi ricordi, episodi divertenti. La nonna era scaltra e divertente, aveva sempre una storia da raccontare. Le sue parole erano talmente precise che a volte, Alice, aveva l’impressione di vederli gironzolare per la casa, quei volti di persone sconosciute che si muovevano e parlavano con la voce della nonna. Dopo cena guardarono la televisione insieme, poi uscirono in giardino per dare la buonanotte a Billy, ma alla fine rimasero sulla veranda a guardare le stelle. Quella notte Alice andò a letto soddisfatta e felice. Si addormentò subito, e quella sensazione di pace e benessere, per fortuna, non accennava ad andare via.


L’indomani a colazione, la nonna stava aspettando Alice già in piedi, e naturalmente aveva riempito la tavola di vassoi colmi di ogni delizia. Alice era esterrefatta: dove trovava il tempo per far tutto? Doveva avere un elfo, nascosto da qualche parte in cantina. <<Buongiorno tesoro.>> <<Buongiorno a te!>> rispose Alice, particolarmente di buon umore, ridendo per il pensiero dell’elfo che preparava la sua colazione. Sedette a tavola, il suo piatto, ovviamente, era già pieno di pietanze. Alice scoccò alla nonna un’occhiata divertita, e selezionò solo una fetta di torta di mele e un bicchiere di latte. <<Che programmi hai per oggi?>> domandò la nonna, versandole in un bicchiere della spremuta d’arancia fresca. <<Passeggio e scatto foto. Hai visto la luce fuori?! E’ … voglio dire, è perfetta.>> Nonostante la nonna fosse la sua confidente preferita, Alice non voleva parlarle di Raul; era un segreto che, per il momento, voleva tenere per sé. Era certa che sua nonna, i suoi genitori, persino le sue amiche, non avrebbero mai approvato quello che stava per fare, incontrare un perfetto sconosciuto. Pensò a Lucia, a quanto si era preoccupata quella mattina a Brunello solo perché lei era uscita da sola. Alice sospirò. Era stanca di dover pensare sempre agli altri, di dover dare spiegazioni, di non poter fare una cosa semplicemente perché le andava, e punto. E poi non sarebbe stata in pericolo, avrebbe portato Billy con sé. <<Io vado in chiesa. Ti va di accompagnarmi?>> Alice si soffocò con la spremuta e tossì, con gli occhi un po’ lucidi. <<Come?>> <<Hai capito.>> <<Nonnina, io ho molta fede, lo sai. E’ solo che andare in chiesa non mi piace. Diciamo che ho una filosofia tutta mia. Credo solo in certe cose.>> Alice sfoggiò un sorriso sincero che alla nonna piacque molto, perché lo ricambiò. <<D’accordo. Se mai dovessi cambiare idea, potrai venire con me. Qui, non molto lontano, c’è una bella chiesetta.>>


<<Splendido.>> rispose Alice: <<E come ci vai?>> <<Con la macchina, naturalmente.>> risposa la nonna, con tono ovvio. Alice la fissò a lungo, stupita. Non si ricordava la nonna al volante, forse perché non l’aveva mai vista. Se l’era sempre immaginata come una sorta di Heidi imbianchita e, chissà perché, si era sempre immaginata che si spostasse con una carrozza. <<Divertiti allora.>> disse Alice. <<Anche tu, tesoro, con le tue foto.>> La nonna sorrise con uno sguardo talmente furbo e sfottente che Alice, smettendo di mangiare, si chiese se magari avesse letto quel biglietto. Dannato Raul. Lasciava prove tangibili della sua esistenza. Avrebbe dovuto liberarsene. Alice attese con impazienza che la nonna andasse via, andando su e giù per la cucina, e lanciando, ogni tanto, occhiate nervose allo steccato sul retro, oltre la barriera di pini. Si aspettava di vedersi balenare davanti, da un momento all’altro, quei sornioni occhi blu. Quando si recò al luogo dell’appuntamento, con dietro Billy ovviamente, scoprì che il ragazzo era stato puntuale. Era appoggiato di schiena a un albero e l’attendeva con quel mezzo sorriso sul viso. <<Buongiorno. Allora sei venuta?>> la salutò allegramente, offrendole la mano. <<Certo, mi facevi pena. Non ti volevo lasciare qui fuori.>> rispose Alice indifferente, porgendogli la sua. Raul la strinse con fare disinvolto accennando anche a un piccolo inchino con il capo. Iniziava a prenderla in giro. <<E hai portato i rinforzi…>> aggiunse, alludendo allo scodinzolante Billy. <<Rinforzi? Non ce ne sono di bisogno. Studio karate.>> mentì Alice spudoratamente. Lei e il karate erano talmente in antitesi che il solo pensiero della bugia che aveva appena detto la faceva arrossire. Raul dal canto suo rise di cuore; che studiasse karate o meno, Alice non aveva un’aria pericolosa. <<Puoi sempre tornare a casa, se hai paura.>> la provocò.


Alice lo fulminò con lo sguardo, imbronciandosi. Raul riusciva a stuzzicare il suo orgoglio come nessuno, e avrebbe volentieri colto la sfida tornandosene a casa. <<Credo che resterò. Preferisco sperare che durante il tragitto ti assalga qualche bestia.>> sorrise perfidamente e Raul scoppiò a ridere. Una risata fresca, spontanea. <<D’accordo, allora andiamo. Effettivamente devo riconoscere di essere uno spuntino più invitante di te. Ma credo che correrò il rischio.>> disse. Coglierlo senza la risposta pronta era impossibile. I ragazzi iniziarono a camminare, lanciandosi occhiate di sfida, entrambi sorridenti. <<E quindi hai deciso di fidarti di me, un perfetto sconosciuto...>> affermò Raul, soddisfatto. <<Ho una bomboletta spray al peperoncino in borsa, cosa credi, e poi Billy è un cane da guardia>> rispose Alice a tono agitando sotto ai suoi occhi la borsetta e indicando Billy, che in quel momento si stava grattando un orecchio. Raul scoppiò a ridere. <<Sei folle, Alice.>> Alice lo fissò stupita: <<Folle io? Ne vogliamo parlare di un tipo che lancia lettere in camera a innocue vecchiette? Per fortuna l’ho intercettata io.>> <<Ehm, veramente c’era il tuo nome nella lettera.>> Puntualizzò allora Raul con sagacia. Alice sbuffò: possibile che sapesse sempre cosa dire? Prima o poi avrebbe dovuto sorprenderlo senza parole. Alice sembrò trovare il proposito così accattivante da farle balenare in testa l’idea di visitare Brunello ogni fine settimana solo per quello. L’idea di poter evadere dalla città almeno due giorni a settimana le infondeva conforto, ma in realtà sapeva che sarebbe stato impossibile. A casa ad aspettarla c’erano i suoi genitori, le sue amiche… Alessandro. Brunello aveva la capacità di cancellare dalla mente tutto ciò che non fosse se stesso e le sue magiche creature. Come Raul e la nonna. Raul. In effetti, passeggiare da sola per i boschi con un perfetto sconosciuto, non era saggio. Alice s’immaginò Lucia scuotere il capo,


il viso sgomento mentre diceva: “Alice sei impazzita!”. E poi s’immagino Alessandro. Alessandro… quel nome le suscitò un brivido. Era giusto, nei suoi confronti, starsene lì a Brunello con Raul? Alice non ci aveva pensato, era come se Brunello fosse una vita a parte, staccata da tutto il resto. <<Mi piacerebbe sapere a cosa pensi...>> disse Raul, guardandola come se cercasse di leggerle dentro. Alice sorrise, soddisfatta di poter avere pensieri tutti suoi che lui non poteva conoscere. <<Pensavo… dove stiamo andando? Devo veramente prendere la mia bomboletta?>> scherzò Alice, e Raul rise di cuore. <<Fossi in te lo farei.>> strizzò l’occhio. <<In realtà, visto che sei così interessata alla mia poesia, volevo portarti nel luogo più importante per me, in questo senso. Quello in cui sono stato ispirato a scrivere i miei primi versi.>> Alice si fermò sui suoi passi, fissandolo sbalordita. <<Magnifico... sono… sono sorpresa>> farfugliò. <<Sorprenderti è molto facile.>> rispose lui sorridendo. Camminarono ancora un po’, chiacchierando di poche cose, poi ancora stando in silenzio. A Raul piaceva molto osservare; il cielo, gli alberi, il verde. Alice. Si fermarono dopo non molto: Raul indicava un punto, un’accozzaglia di alberi, piante e rosati arrampicati su per qualcosa. Sotto il verde squamoso e forte s’intravedeva appena un grigio sasso: doveva essere un vecchio muro di pietra. Forse, la recinzione di una casa. Non lo avrebbe mai notato, comunque, se lui non glielo avesse indicato, come se anche quel luogo fosse stato assorbito dalla natura florida di Brunello, diventandone parte. All’improvviso fu assalita da un dubbio: e se Raul fosse stato davvero pericoloso, e l’avesse fatta allontanare da casa per farle del male? Lo guardò improvvisamente seria, con occhio critico. <<Guarda che mia nonna sa che sono qui con te.>> lo informò. Raul sollevò un sopracciglio. <<Con me? Ma neppure mi conosce.>> <<Sa che sono con Raul.>> rispose lei in un soffio.


<<E chi ti dice che sia il mio vero nome?>> Alice si sentì agghiacciare. <<La lettera è firmata da te, l’hai scritta tu, è piena di impronte digitali.>> farfugliò, in fretta, mettendosi in posizione di difesa. Raul però scoppio a ridere di cuore, e lei si sentì sollevata. Se avesse continuato a parlare con quel tono serio, sarebbe corsa via a gambe levate. <<Potrei aver usato dei guanti, Alice, ma non è il caso di preoccuparsi. Sei al sicuro con Billy, no?>> Sorrise amichevolmente, ma c’era dell’ironico nella sua voce, e Billy dopotutto, con quella lingua ciondolante, sembrava tutto meno che pericoloso. <<Comunque, questa è casa tua?>> domandò Alice per cambiare discorso. Raul scosse il capo. <<No. Vieni, c’è da scavalcare un muretto. Credi di farcela?>> Alice lo guardò indignata. <<Ho scavalcato centinaia di muretti, da piccola.>> affermò con sicurezza. <<Procurandoti centinaia di ferite?>> domandò lui, sagace. Alice alzò gli occhi al cielo. <<Guarda che ci sono cresciuta qui, non sono una novellina, come te magari.>> Raul le offrì la destra: <<Dammi la mano, ti aiuto io.>> Alice la rifiutò sfilandogli davanti piena di sé e superba. <<Oh, scusa se mi preoccupo per te…!>> esclamò lui, passandole avanti e arrampicandosi su per una montagnola di terra smossa e umida. Salì con grazia e disinvoltura tale che Alice, prima di fare lo stesso, non avrebbe mai potuto immaginare che la terra fosse tanto scivolosa. Perse l'equilibrio due o tre volte, la terra sdrucciolava sotto i suoi piedi come se, anziché una ragazza, vi stesse camminando sopra un gigante goffo. La mano di Raul era ancora tesa di fronte a lei, ma Alice avrebbe preferito rotolare per terra anziché accettarla.


Fortunatamente riuscì a sorvolare il piccolo ostacolo. Camminarono intorno al muretto, cercando la parte più agibile e bassa per scavalcare. Raul sorrideva appena, divertito dall’aria di sfida di lei. Finalmente trovarono un tratto di muro che sembrava scavalcabile. Alice aiutò Billy a oltrepassarlo, dopodiché fece leva sulle braccia per tirarsi su. <<Ti faccio la scaletta.>> propose gentilmente Raul, mettendo entrambe le mani all’altezza del ginocchio di Alice, consentendole così di fare peso e poter scavalcare. Lei lo trovò un aiuto abbastanza dignitoso, e gli piantò un piede sulla mano dandosi la spinta. Scavalcò senza troppi problemi, poi con un salto si lasciò cadere dalla parte opposta. Il ragazzo scivolò al suo fianco poco dopo, per nulla scomposto. Si ripulì le mani sporche di terra sui suoi stessi jeans e Alice rimase a fissarlo, improvvisamente rapita. Gli aveva riempito le mani con il fango che aveva sotto le scarpe e lui non aveva battuto ciglio. Alessandro le faceva scenate terribili solo se gli sfiorava i capelli. <<Eccoci, siamo arrivati.>> Raul sfoggiò uno dei suoi sorrisi più ampi, mentre Alice ammirava stupefatta ciò che li circondava. Era meraviglioso. Alberi centenari, un ruscelletto, un giardino ingiallito. Erano i resti di un vecchio mulino. Dell’antica struttura adesso non restava molto, se non un diroccato edificio su un piano più una piccola mansardina, per metà distrutta. Le mura, color della pietra, erano quasi interamente sovrastate dal verde delle piante rampicanti, e all’esterno, una via fatta con pietruzze colorate ondeggiava tra il manto di foglie ingiallite. Alice aveva la strana e bella sensazione di esserci già stata, in quel luogo, magari moltissimi anni prima. <<Che ne pensi?>> domandò Raul soddisfatto, nemmeno fosse tutta opera sua. <<Incredibile... sembra di essere in un vecchio film.>> Alice era estasiata, tirò fuori la macchina fotografica e iniziò a scattare delle foto. <<Le mie amiche impazziranno quando le vedranno>> Tra i tanti scatti, Alice rubò una foto anche a Raul.


Eccolo, in mezzo al giallo e al rosso delle foglie appassite, distratto. Questa volta in foto non ci era finito per sbaglio, questa volta lo aveva scelto lei. <<Vuoi anche l’autografo?>> Raul era a braccia conserte, e Alice scoppiò a ridere. <<E’ che sei ingombrante, non posso fare una foto al panorama che ti ci metti in mezzo.>> scherzò, scattandogli un’altra foto. Raul le prese la fotocamera di mano e iniziò a fotografarla, e nonostante lei si nascondesse tra le braccia riuscì a rubarle alcuni bellissimi scatti. <<Ho imparato la lezione, niente più foto d’improvviso!>> assicurò Alice, tra le risate, e Raul le restituì la fotocamera con aria solenne, prendendola come una promessa. I ragazzi passeggiarono in silenzio attorno al mulino, poi sedettero comodamente sotto un albero, sopra un soffice manto di foglie gialle. Alice ne prese distrattamente una tra le mani, accorgendosi così di vedere la stessa specie di foglia sulla quale aveva trovato la poesia, tempo prima. E allora capì di avere tra le mani la prova che fosse davvero lui il suo poeta. <<Allora… la poesia è veramente tua.>> disse Alice, stringendo il pugno attorno alla foglia. Raul annuì lentamente. Non sembrava particolarmente fiero di quei versi, così Alice decise di infierire. <<Certo, come pezzo non era granché…>> scherzò. Raul si accigliò, e abbozzò un sorriso. Chissà a cosa pensava, quando metteva su quell’espressione indecifrabile. Sicuramente ride di me, pensò Alice, agitandosi. Si guardò le ginocchia senza fiatare. <<Non piace granché neanche a me.>> disse infine Raul, con un sospiro. <<Ma io stavo scherzando… è molto bella.>> Raul la guardò negli occhi, ora era sorpreso. Alice ebbe un brivido, uno strano fastidioso brivido che le percorse la schiena e che non sapeva spiegare. Quei due occhi blu erano così distanti, così profondi.


<<Grazie. E’ il primo complimento che mi fai da quando ci conosciamo. Sono onorato.>> Alice scoppiò a ridere. <<Puoi ritenerti fortunato. Comunque, perciò è qui che ti sei ispirato a scrivere per la prima volta.>> <<Sì, proprio così. E’ successo circa... dieci anni fa. Lo ricordo come se fosse ieri.>> Raul socchiuse gli occhi e appoggiò il capo alla corteccia dell’albero. Alice lo analizzò in silenzio; aveva un profilo molto bello. D’improvviso gli occhi di Raul si spalancarono immobilizzandola in quel suo curioso sbirciare. Alice arrossì e distolse subito lo sguardo. <<Sono stato ispirato da una persona.>> spiegò. <<Una ragazza?>> <<Umm... diciamo. Era più come una sorella per me. Quasi tutte le mie poesie sono tuttora ispirate a lei.>> Raul sembrò pentirsi di aver detto una parola di troppo, perché ora Alice, che lo fissava presa, era pronta a bombardarlo di domande. <<E questa tua amica... questa tua musa. Dov’è? Siete ancora... amici...>> o fidanzati, sposati o qualunque cosa sia, dimmelo! Avrebbe voluto dire l’impaziente Alice, ma riuscì a mordersi la lingua giusto in tempo. Raul non rispose, si richiuse nel suo labirinto di mistero e verità concesse a piccole dosi. <<E perché scrivi proprio sulle foglie?>> chiese allora Alice. <<Tu non scrivi sulle foglie?>> Raul la spiazzò con una domanda, anziché concederle una risposta. <<Bè... sì.>> ammise lei. <<L’ho intuito perché ti ha sorpreso molto il fatto che lo faccia anch’io. Nessuno fa caso a queste cose.>> Alice iniziò a pensare alle parole di Raul. Aveva detto che aveva scritto la poesia dieci anni prima, dunque, quanti anni poteva avere? Lei non gliene avrebbe dati più di venti, ventidue. <<Hai... qualcosa tra i capelli. Un ragno.>> disse d’improvviso Raul, sfuggendo al suo sguardo. Alice arrossì e scattò in piedi. Iniziò a scuotere con vigore i capelli, saltellando impressionata. Lei era terrorizzata dai ragni!


<<Dov’è?! Dov’è?! Ho ancora quel coso addosso?>> disse piagnucolando e rabbrividendo al sol pensiero che otto zampette sottili e pelose stessero avventurandosi tra i suoi capelli. Raul scoppiò a ridere, e le scattò una foto. <<Stavo scherzando!>> <<Che… scemo!>> ringhiò Alice furiosa e gli lanciò contro un pugno di foglie, che si limitarono a librare in aria, prima di farsi trascinare con maggior accondiscendenza dal vento e cadere lentamente giù. <<Prendimi, avanti Alice! Senza cadere però!>> Raul rideva, continuava a scattarle fotografie, immortalando la sua espressione seccata, e in quel momento Alice si accorse che quando sorrideva gli si formava sulla guancia sinistra una fossetta. Aveva un sorriso bellissimo. <<Ti detesto…!>> gli gridò dietro Alice. Avrebbe voluto chiamarlo per cognome, ma non sapeva nemmeno quale fosse. La mattinata volò, tra una risata e l’altra e molte chiacchiere. Il sole stava brillando, ma c’erano nuvole grigie da poco condensate sopra le loro teste. Se ne stavano lì, immobili e minacciose, sul punto di esplodere. <<Forse conviene fermarci qui.>> disse Raul indicando la casa della nonna. Si trovavano al punto di partenza, oltre i pini alti e verdissimi. Alice sbirciò la casa con aria scrutatrice, chiedendosi se la nonna la stesse guardando, nascosta dietro una delle finestre. Durante le sue veloci occhiate di perlustrazione, notò una saracinesca aperta su un garage: all’interno era vuoto. Significava che la nonna non era ancora rientrata. Alice si morse un labbro… non riusciva a credere a quello che stava per fare. <<La nonna è ancora fuori. Ti va di entrare? Ti offro qualcosa.>> propose educatamente. <<Oh, ma non voglio disturbare.>> Raul sembrava impacciato, per la prima volta mostrava un briciolo di timidezza. Era un inizio!


<<Nessun disturbo.>> Alice sorrise e s’incamminò verso casa. Attraversarono l’orticello, poi il giardino di margherite della nonna, dove c’era anche l’altalena, fino ad arrivare all’ingresso. Finalmente entrarono in casa. Alice accompagnò Raul in cucina e gli offrì da bere, ma non riusciva a togliersi dalla testa il viso di Lucia che la guardava scuotendo il capo, contrariata. Il telefono squillò poco dopo che furono in casa. <<Pronto?>> <<Pronto, Alice? Sono io.>> <<Nonna. Tutto bene?>> <<Tranquilla, va tutto bene. Il problema è che sta arrivando un terribile acquazzone e dovrò rimanere in paese per qualche altra ora. Resto a pranzo da alcuni amici della parrocchia.>> <<Oh, ok nonna, tranquilla, io mi cucinerò qualcosa.>> <<Mi dispiace tanto, tesoro. Salirò da te il prima possibile! Purtroppo non posso mettermi in strada ora!>> si giustificò ancora la nonna, mortificata. <<Non preoccuparti, io starò bene! E poi c’è Billy con me!>> Alice si morse il labbro inferiore mentre un pensiero le balenava in testa: davvero sarebbe stata bene, sola con quello sconosciuto? Le vennero in mente le mille volte in cui sua madre le aveva raccomandato di non far entrare mai in casa perfetti ignoti… e lei al contrario era stata tutto il giorno in giro con un Raul qualunque, di cui non conosceva neppure il cognome. In realtà, di cui non sapeva proprio niente. <<D’accordo. Non bruciarmi la casa, Ali. A presto.>> La nonna riattaccò e Alice si lasciò sfuggire un sospiro. Non le piaceva mentire, ma in fondo, più che una bugia stava semplicemente dicendo una mezza verità. <<Che è successo?>> indagò Raul, che nel frattempo si era tolto il cappotto. Alice trattenne a fatica un moto di sorpresa; il ragazzo, sotto il cappotto, teneva ben nascosto un fisico che avrebbe fatto invidia a tutti i giocatori della squadra di calcio. Alice arrossì per gli sciocchi pensieri che le passavano in mente.


<<La nonna dice che tornerà tra qualche ora. Sembra che stia per arrivare un acquazzone.>> spiegò, stringendosi nelle spalle. <<Perché non resti qui? Cuciniamo qualcosa.>> Per la seconda volta avrebbe voluto fermare il tempo e chiedersi: ma sei matta, cosa ti passa per la testa? Tra l’altro, era un disastro ai fornelli. Arrossì leggermente e sperò che lui non avesse sentito o, per lo meno, che rifiutasse. Forse anche Raul aveva molti dubbi sulle sue capacità culinarie, perché sorrise ampiamente, con occhi divertiti. <<Oh, grazie. Accetto volentieri. Vorrei... assaggiare davvero qualcosa di buono cucinato da te.>> a quel punto scoppiò a ridere. Alice roteò gli occhi, irritata. <<Sta’ attento a quello che dici, potrei avvelenarti! Sei avvisato!>> gli disse, alzando la voce, per sovrastare l’eco musicale della sua risata. <<Scusami, Alice. Pace?>> propose. Alice sospirò e gli diede le spalle per aprire il frigo, alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto cucinare. Da sola aveva preparato al massimo dei panini o pasta con qualche sugo già pronto. Si chiuse il frigo alle spalle e vi si appoggiò, sorridendo. <<E se ci ordinassimo una pizza?>> sorrise speranzosa, ma Raul rise. <<Alice non ci sono pizzerie qui!>> rispose divertito, scuotendo il capo. Alice sospirò e sedette su una sedia. Che ingiustizia. Sua madre avrebbe dovuto pensare a inculcarle qualcosa sull’arte del cucinare. Ora che ci pensava aveva tentato più volte di farlo, ma durante una di quelle “lezioni” lei si era quasi affettata un dito, e avevano evitato di ripetere l’esperienza. Dal modo indecifrabile in cui Raul la guardava, divertito e nostalgico, sembrava quasi che anche lui potesse rivivere i ricordi di Alice, chiusi gelosamente nel suo animo. La ragazza arrossì, lui la stava guardando intensamente, e distolse in fretta lo sguardo puntandolo in una delle piastrelle del muro. <<Ti aiuto io, dai. Cuciniamo una frittata. Facile e veloce. Ti piace la frittata?>>


Raul sorrideva: teneva le mani sui fianchi, sembrava non vedesse l’ora di mettersi al lavoro, e si dava già veloci occhiate intorno per decidere da cosa cominciare. <<D’accordo.>> farfugliò Alice allargando le braccia, disarmata. Raul non scherzava: con una disinvoltura da far invidia alle cuoche più esperte, si diede da fare, tirando fuori dal frigo uova e lattuga, e dalla dispensa, patate. Sembrava perfettamente a suo agio. Alice gli portò un grembiule rosa da cucina, convinta di umiliarlo almeno un po’, ma neppure quella volta lui gliela diede vinta, e lo indossò. Nonostante i quadrettini rosa su sfondo bianco, Raul stava davvero bene anche così. Il ragazzo iniziò a lavare la verdura, poi la tagliuzzò per farne un’insalata. Alice lo guardava, e si chiedeva se fosse il caso di scattargli una foto, almeno una, per non dimenticarsi mai quell’immagine così lieta e divertente, o se dargli una mano. Scelse la seconda opzione. <<Che faccio io?>> chiese dubbiosa, dondolandosi con le braccia come una bambina. Raul la guardò paziente e le indicò le uova poggiate sul bordo del lavello. <<Puoi iniziare a sbatterle in quel piatto.>> Ecco, sbattere era facile. Alice aveva sempre avuto un certo talento per distruggere le cose, ancor meglio se fragili come delle uova. Non sarebbe stato difficile. Prese il primo uovo con allegria, si sentiva una gran cuoca con al fianco il suo assistente. Sbatté l’uovo contro il piatto, distruggendolo, in una miscela di buccia, tuorlo e albume. Rimase esterrefatta pochi secondi, prima di sentire la risata echeggiante di Raul. <<Alice!>> Raul si poggiò il capo sulla mano, ma un sorriso gli illuminava gli occhi. <<Davvero non hai mai sbattuto un uovo, Ali?>> Alice arrossì visibilmente e abbassò gli occhi. Non per la sua evidente incapacità di cucinare... ma perché lui, con una familiarità disarmante, l’aveva chiamata Ali. Solo i suoi genitori e le sue amiche la chiamavano Ali. Neppure Alessandro lo faceva.


<<Ti occupi delle patate?>> tentò ancora lui gentile e lei annuì con vigore, sperando di allontanare il color cremisi delle guance. Si avvicinò in silenzio alle patate e prese a pelarle una per una, sovrappensiero. Il tempo era volato in un batter d’occhio quel giorno e una strana sensazione si era impossessata di lei. Era come se conoscesse Raul da una vita, come se fossero amici da sempre. Che cosa avrebbe dato per vivere con Alessandro ore di tranquillità come quelle passate quel giorno con quello sconosciuto? Era disarmante... lo conosceva da così poco tempo eppure aveva tanto da condividere con lui. Era come se Raul sapesse tutto di lei e della sua vita, come se fosse abituato a ogni suo singolo difetto e pregio. Rabbrividì. Forse davvero, nel mondo, esistono anime uguali destinate a trovarsi e restare per sempre vicine. Alice questo non lo sapeva. Sapeva solo che adesso, a Brunello, aveva trovato un amico. La frittata era gonfiata una volta in padella, assumendo l’ottimo aspetto di una torta di patate. Alice l’aveva quasi cotta con gli occhi, senza smettere di guardarla neppure per un attimo. Quando fu finalmente pronta, Raul la servì su un piatto di vetro, tagliandola a metà. L’insalata era stata condita da Alice, ma Raul, per pura meticolosità, aveva voluto aggiungerci del sale. I ragazzi iniziarono a mangiare, complimentandosi gli uni con gli altri per l’ottimo lavoro di squadra. Aveva fatto tutto lui, in realtà, ma l’aiuto di Alice era stato indispensabile: se non ci fosse stata, lui non avrebbe saputo dove prendere gli ingredienti. Sarebbe andato tutto bene se Alice, in maniera quasi fulminante, non fosse stata assalita dal solito odioso mal di testa. La forchetta le cadde di mano mentre si prendeva la testa tra le mani, stringendola per soffocare ogni singola fitta. Di solito funzionava. I dolori duravano qualche secondo, poi svanivano. Quella volta però era diverso: erano tornati più violenti, forse per ricordarle che la vacanza a Brunello, quella lietezza, sarebbe presto finita.


Persino la sua vista ora vacillava, era intontita dal dolore. Ma passò. Perché passava sempre, dopo averla strapazzata un po’. <<Stai bene?>> chiese Raul preoccupato, con la forchetta sospesa a mezz’aria. Alice annuì e rise. <<Mal di testa, come sempre.>> <<Davvero?>> s’informò lui interessato. Alice sospirò. <<Mi ricorda che presto tornerò a casa.>> Era sicura di quanto detto, ma probabilmente come risposta doveva apparire insensata. In fin dei conti a casa sua, in città, non aveva solo problemi. D’improvviso, l’umore di Raul, sempre ottimo e sereno, sembrò subire un brusco e improvviso cambiamento. Il ragazzo si ammutolì, sembrava particolarmente attratto dal piatto, che osservava a occhi bassi. Alice non lo aveva mai visto in quel modo; non che lo conoscesse da molto, chiaro. Ma quel suo cedere alla tristezza era testimonianza che, sotto quella perfezione, era umano. Alice lo osservò silenziosa, spiazzata da quell’improvvisa tristezza. Era così carismatico che adesso, in mancanza del suo sorriso, Alice si sentiva strana. <<C’è... qualcosa che non va...?>> domandò titubante, guardando attentamente i suoi occhi. Erano abbassati e fissavano il tavolo, come se le fantasie di frutta della tovaglia fossero estremamente interessanti. Raul sollevò il capo quasi trasalendo, e le sorrise appena. <<No… niente...>> rispose sfuggente. <<Non ti piace la frittata?>> tentò ancora, colpita. Non voleva che lui se ne andasse via. Non ora. Alice rimase spiazzata da quei suoi stessi pensieri. Lo conosceva così poco, cosa gliene importava se restava o se andava? <<No... è ottima... >> Raul tacque. Forse un brutto pensiero lo trafiggeva come una lama, magari uno di quei ricordi che avevano dato vita alle poesie più tristi. Un fulmine fuori dalla finestra piegò il cielo, il tuono che lo seguì fece vibrare le finestre, potente e rombante come un ruggito. Persino le luci vacillarono e si spensero per una manciata di secondi, per poi tornare tenui sulle loro teste.


Scoppiò a piovere. Alice sorrise e si alzò per guardare fuori dalla finestra. La pioggia a Brunello era anche lei bella. Sembrava di un altro colore o semplicemente meno odiabile e umida. Era come calda. <<Ti piace la pioggia?>> domandò Raul, evidentemente ancora un po’ abbattuto, ma con il solito sorriso allegro. <<La adoro. Ma solo quella di Brunello, quella della città è solo umidità e viscidume. Questa mi fa pensare alle rinascite. Mi fa pensare alla vita. Ci pensi mai? Un fiore che sboccia timidamente dopo un acquazzone, i suoi petali e le foglie grondanti, goccioline che si rifugiano timide. E’ idilliaco.>> <<Quello che dici è poesia.>> rispose lui. Alice si voltò per ribattere, ma a sorpresa se lo ritrovò alle spalle, molto vicino. <<E’ Brunello che è poesia. Io mi limito a leggerla.>> rispose, sfuggendo al suo sguardo. Ma era impossibile. <<Hai mai fatto una pazzia, Ali?>> Gli occhi di Raul erano calamite, la voce suadente e profonda. Alice si sentiva in pericolo con lui, perché ogni sua idea sembrava sensata. <<Io non faccio mai... pazzie.>> Raul allungò una mano e prese la sua, mentre un sorriso gli andava da un orecchio all’altro. <<Togliti le scarpe.>> ordinò a quel punto. Alice strabuzzò gli occhi allibita e lui rafforzò il sorriso con entusiasmo. <<Avanti, Alice! Seguimi!>> Raul si abbassò sulle ginocchia e si liberò senza fatica di calzini e scarpe, e Alice scoppiò a ridere, imitandolo come se non avesse altra scelta. Raul la prese per mano, e schizzò come un razzo fuori dalla casa, trascinandosela dietro. L’acqua le inzuppò i vestiti, giocava tra i suoi ricci come in uno scivolo per poi ricadere tra le pozzanghere con piccoli “splash!”. La sensazione dell’erba bagnata sotto i piedi nudi fu unica: una freschezza immediata, un piacevole solletico, brividi che risalivano lungo le braccia.


I ragazzi corsero sotto la pioggia, rincorrendosi, spingendosi, fissarono il cielo, tra le risate, tirarono fuori la lingua per gustare il sapore della pioggia. I vestiti si erano incollati addosso, i capelli sembravano cornice attaccata al viso‌ a ogni passo susseguiva un rumore di pozzanghere profanate e schizzi d’acqua, mentre a ogni tuono Alice trasaliva spaventata. Era tutto cosÏ spontaneo e vivo: il cielo era il teatro e loro abili ballerini. E tutto girava intorno a loro, mentre la pioggia cadeva, il cielo ruggiva, e loro, danzavano.



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