Reality 73

Page 1

73

73

eality

Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

9

771973 365809

14003

Anno XVI n. 3/2014 Trimestrale â‚Ź 10,00


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

Via Brunelli 13/17 56029 Santa Croce sull’Arno (Pisa) Tel. uff. 0571 366072 - 360787 Fax 0571 384291

e-mail:

susini.assigest@gmail.com 16430000@allianzras.it

© www.ctedizioni.it

© www.ctedizioni.it

Agenzia Principale

Conceria San Lorenzo Spa Via Provinciale Francesca Nord, 191-193 56022 Castelfranco di Sotto (PI) - Italy Tel. +39 0571478985-6 Fax +39 0571489661 www.sanlorenzospa.it - info@sanlorenzospa.it



© www.ctedizioni.it

Luxury Paint www.luxurypaint.eu www.autostile.it

Via Pisana, 139 Loc. Pieve a Ripoli 50050 Cerreto Guidi (Firenze) Tel. 0571 588191 - 340 6788918 autostile@autostile.it

®



44


EDITORIALE

Genitore o figlio... U

n genitore campa dieci figli, ma dieci figli non campano un genitore. Così il detto popolare. Sì, più o meno era così! Ma è proprio vero: a distanza di anni, oggi lo è sempre di più. Io però non voglio parlare degli anziani genitori, diciamo pure dei nostri nonni. Mi interessa invece un argomento scottante: i giovani e il loro ruolo di genitori del nostro tempo. C'è qualcuno che può insegnare il mestiere di genitore? Esiste un modello genitoriale valido per tutti, al quale attenersi perché garantisce buoni risultati e merita fiducia? Certamente no! Occorre piuttosto imparare sul campo a diventare genitori, magari ripensando i comportamenti dei nostri genitori. I quali non mancavano di severità e di limitazioni nei nostri confronti, però ci educavano alla misura, all’impegno, ai valori personali e civili. Al contrario, quel che dei nostri genitori ci ha fatto star male e ci è sembrato duro, oggi tendiamo a risparmiarlo ai nostri figli. «Mio padre – dice Luigi – era molto severo e io ho sofferto tanto. Ricordo ancora quel sabato sera quando sono rimasto chiuso nella mia cameretta. Avevo preso un brutto voto a matematica, e dovevo pagare la penale. Vero è che nel compito successivo presi otto, però a mio figlio non voglio infliggere punizioni per le sue inadempienze. Io quella volta soffrii, e non voglio far star male lui» E sì, caro Luigi! Non si deve farli soffrire: i nostri figli sono parte di noi, la nostra vita. Considera tuttavia che non si puniscono i figli per il gusto di farlo. Lo si fa per portarli nella giusta direzione, educarli a sostenere con equilibrio e serietà il proprio ruolo nella vita. Non si può essere offuscati dall'amore paterno pensando sempre che il proprio figlio sia nel giusto e tutto il resto sbagliato. Il brutto voto che prende a scuola è oggi regolarmente colpa dell'insegnante, che non capisce il nostro ragazzo. Quando sul lavoro viene trattato male, la colpa è di quello sfruttatore del padrone. Se dei giovanotti – magari cresciutelli ben oltre la maggiore età – aggrediscono pesantemente un ragazzino, che finisce all'ospedale e rischia la vita, i genitori dei violenti subito a sdrammatizzare dicendo che si trattava di un gioco, un gesto banale. Se è inammissibile il gesto violento, lo è altrettanto la difesa del “cocco” aggressore da parte dei genitori. Di certo non è credibile pensare che un genitore possa arrivare a condannare, giustiziare il proprio figlio, ma almeno la decenza di chiamare con il giusto termine l'accaduto ci vuole. Passi che un genitore non consideri il proprio figlio un delinquente, deve comunque riconoscerne gli errori e gli atti deplorevoli. Non è facile farlo, spesso bisogna essere duri, e rischiare l’incomprensione. Si può essere giudicati cattivi dai propri figli e a volte anche dal mondo che ci circonda. È difficile prendere decisioni forti per il bene dei nostri figli, fare scelte che spesso non sono capite. Ma solo quando si diventa genitori e forse meglio nonni, si comprendono con chiarezza le motivazioni di tali comportamenti.

5

E


MAGAZINE

eality

Centro Toscano Edizioni srl Sede legale Largo Pietro Lotti, 9/L 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Tel e fax 0571 360592 info@ctedizioni.it - www.ctedizioni.it Direttore responsabile Margherita Casazza direzione@ctedizioni.it Direttore artistico Nicola Micieli Redazione redazione@ctedizioni.it Studio grafico lab@ctedizioni.it Abbonamenti abbonamenti@ctedizioni.it Text Luvi Alderighi, Paola Baggiani, Irene Barbensi, Graziano Bellini, Giulia Brugnolini, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Carmelo De Luca, Angelo Errera, Federica Farini, Maria Laura Ferrari, Eleonora Garufi, Roberto Giovannelli, Letizia Grazzini, Lemar, Matthew Licht, Roberto Mascagni, Paola Ircani Menichini, Nicola Micieli, Ada Neri, Paolo Pianigiani, Fernando Prattichizzo, Elena Profeti, Giampaolo Russo, Domenico Savini, Gino Turchi.

Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina Giampiero Poggiali Berlinghieri Allegoria, 2012 legno dipinto cm 198x64x36 Foto di Alessandro Paladini

Reality numero 73 - settembre 2014 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2014 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - tel. 0571 360592 - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.


SOMMARIO

A 10 20 22 24 26 28 30 32 34

ARTE E MOSTRE In viaggio con Poggiali Malato ceramista E adesso oltrescavando Nel blu dipinto di blu Colletivamente Raku Percorsi contemporanei Un surrealista e una ... Akh Tamar L’arte in Italia

T 38 41 43 44

L 46 48 50 53

letteratura Poesia in esilio Cosa fa la gente Il tappo di sughero NovitĂ editoriali

7

territorio e storia Wine & Food Venezia Pubblicani et equites A bordo del Rambagio

S



SOMMARIO

S

spettacolo Festival di Venezia Bernardo Bertolucci Signora a chi?

54 57 59

E

FGL INTERNATIONAL

economia e società

FIGLI DI GUIDO LAPI

61 62 67 68 69 71 72 73 74

Con il Rispetto si vive meglio, ci si ama di più, ci si diverte maggiormente, si possono cogliere cogliere opportunità migliori.

C 76 78 80 81 82 84 86 88

COSTUME Design

Autunno inverno a 37 gradi Non solo canzonette Mode di moda Tempo di foulard Lotta al colesterolo Dritto e rovescio Il Barbone

9

Sei un'Azienda? Lineapelle Milano Di e con il cuoio Z3mendi Forza Lupi Round table Rispetto... a Chi? Il passatore Cento candeline

S


A

artista

in

viaggio con

1

Poggiali

Nicola Micieli

Nel mio fare artistico, pur mantenendo la più ampia libertà espressiva, non ho mai tradito la qualità della pittura e della scultura nella sintesi e nella purezza della forma vuoi astratta vuoi d’immaginativo rimando alla realtà. Presumo di aver sempre affidato alle mie partiture, anche utilizzando media elettronici, il velo della poesia, che di volta in volta esprime lo stato d'animo attraversato. Ho inoltre cercato sempre di dare alle forme che "scopro" una valenza ironica, ma forse meglio direi una leggerezza giocosa che riflette la mia visione positiva dell’esistenza prima che dell’arte. Ciò anche quando sono evidenti i rimandi al contesto sociale. Il mio lavoro è stato dunque un susseguirsi di emozioni, stati d’animo e pensieri sempre aderenti non alla retorica, ma allo spirito della contemporaneità. Come artista sono sempre stato attento a tutto quel che di nuovo, di curioso, di affascinante mi hanno rivelato o prospettato la tecnologia e le scoperte del nostro tempo. La mia pittura prima, la pitto-scultura poi sono state le trasposizioni visive, vorrei dire le finestre del mio immaginario aperte sul mondo e in buona parte delineate dalla scienza. Giampiero Poggiali Berlinghieri

M

i piace evocare per l’ormai lunga vicenda artistica di Giampiero Poggiali Berlinghieri, l’immagine d’un arcobaleno. L’arco iridato che annuncia il sereno e infonde letizia nel suo caso è metafora quanto mai pertinente. Lo dicono la qualità e la vivace tenuta della sua vis creativa. Mai una caduta di tensione o una intemperanza climatica, per così dire. Si è sempre attestato sul bello stabile il barometro del suo laboratorio, che negli ultimi decenni ha decisamente assunto il carattere della bottega d’un maestro artigiano creatore e costruttore di balocchi, marchingegni teatrali, macchine ludiche spesso anche mobili, e non “celibi” o in qualche modo esoteriche

10

anche quando si avvalgono di raffinate tecnologie elettroniche. Un clima sereno, insomma, assai producente sin dai primi cicli tematici di un lavoro creativo destinato a disseminare una vera e propria costellazione di opere nelle quali non si registrano sbalzi di umori e turbamenti dell’animo, non rifluiscono sedimenti dai substrati del profondo né si agitano fantasmi dai recessi della psiche. Non si tratta di purismo visivo o di formalismo extrasemantico. Invero Poggiali Berlinghieri è per sua natura estroverso, attivo, solare. Nella sua visione artistica certamente non manca la consapevolezza della complessità anche problematica del mondo contemporaneo, luogo di


2

1. Nuovo sole, 2009 legno dipinto e lampada solare cm 73x73x5 2. Alien, 2013 legno dipinto e lampade solari cm15x45x15

crisi e di contraddizioni planetarie oltre che di conquiste scientifiche e promesse di sviluppo che sanno di palingenesi. Non a caso Poggiali Berlinghieri intitolava Complexity una sezione del ciclo Realtà virtuale (1992-1993), una dimensione che egli ipotizzava ovvero simulava sulla base di modelli matematici, traducendola in figure geometriche simboleggianti possibili altre concezioni dello spazio/tempo, e della vita che in esso perennemente si rinnova come stato di necessità. Difatti, in quei recinti virtuali Poggiali Berlinghieri dislocava e rilanciava il rigoglio di cellule, nuclei, filamenti e tessuti organici di appartenenza animale; virgulti gemmati, racemi fioriti e foglie del mondo vegetale che sino a quel punto erano stati i suoi emblemi di Bìos, sorta di campionario segnaletico più che simboli, del principio vitale che invade e feconda lo sterile e l’artefatto della natura e della fabbrica umana. Occorre ricordare che quelle insorgenze vitali egli le aveva diffusamente proposte nei cicli Germogli (1983-1986), Impronte di memoria (1987-1988) e conseguenti Orizzonte degli eventi (1989) e Translation (1990-1991), a invadere e abitare di volta in volta architetture futuribili, spazi cosmici edificati, cieli maculati da remote galassie, infine non il vuoto del fondo non qualificato, bensì l’estensione illimitata dello spazio di pura proiezione mentale. Pienamente consapevole della complessità del reale, dunque, in una prospettiva ormai globale; sensibile a temi e problemi relativi alla condizione umana e all’etica dei diritti universali, attento in particolare al rapporto uomo/ambiente, scienza/ natura, Poggiali Berlinghieri affronta tali emergenze critiche restituendole per così dire in positivo. Nel senso che prefigura altri e più compatibili modi di intendere la vita di relazione delle persone e dei popoli e la presenza dell’uomo, con l’intero e com-

3. Triangoli rossi, 2013 legno dipinto, lampade solari cm 190x110x115

3

11


12


13


4

plesso suo apparato tecnologico, in un globo terracqueo le cui frontiere sono ormai decisamente collocate nello spazio. Quel che travalica i contenuti espliciti o impliciti del testo visivo, per Poggiali Berlinghieri è l’ignoto: non già il nulla, bensì lo sviluppo imprevedibile della conoscenza. Diciamo 4. Orizzonte degli eventi pure – per usare un termine nel quale 1989, presso Consiglio peraltro si traduce il suo credo ultraRegionale della Toscana, mondano – che si tratta del “misteFirenze ro”, la cartesiana res extensa oltre 5. In viaggio l’arcobaleno. Ed è per lui l’orizzonte 2011, cm 60x50 al quale guardare, la frontiera da conquistare, anziché l’impenetrabi6. Ostentato ottimismo le cono d’ombra, l’oscuro dominio 2013, cm 60x50 nel quale si concentra, senza risol7. Spazi, 2013 versi, ogni nostro smarrimento e acrilici su tele con led inquietudine esistenziale e sociale. interattivi, cm 100x100x6 La disposizione aperta dei sensi e della mente Poggiali Berlinghieri la 8. Palazzo Strozzi (La Nuova riflette, per restare alla metafora cliStrozzina), Firenze 1990 5

matica, nella gradevole temperatura, diciamo pure nel senso di letizia che suggerisce l’insieme della sua opera. L’arcobaleno è una sorta di arco trionfale o, se vogliamo, una porta d’oro tra il recinto della natura e lo spazio cosmico. In questo senso, Poggiali Berlinghieri ha sempre concepito in proiezione spaziale l’ambito di Physis, il ciclo avviato nel 1985, l’unico nel quale campeggia la figura umana, che ritroveremo solo sotto specie di autoritratto di gusto pop variamente contaminato, destrutturato, dislocato in impianti polimaterici di diversi cicli nel corso degli anni e – come citazione iconica da Depero, Schiele, Warhol e altri – nei D’Après sempre polimaterici del 2010. Poggiali Berlinghieri si rispecchiava in Physis ovvero il mondo integrato della natura e della fabbrica umana, e lo restituiva in avvertita chiave ecologica, come astrazione del paesaggio abitato dall’uomo. Ciò già alle scaturigini della sua forma pittorica raccolta in Adesivi (1968-1975), la cui dinamica strutturale denunciava l’ascendente primario, di marca secondo-futurista, del suo linguaggio. Assai poco referenziali sul piano visivo e ancor meno connotate su quello semantico, le immagini scaturivano dalla sintesi planimetrica delle parti, che l’artista componeva in una sorta di tarsia policroma o, se vogliamo, di puzzle. Titolare Adesivi, quelle immagini di immediata percezione visiva anticipavano il “fantastico pop” – l’altro suo ascendente linguistico – 6

14

del ciclo Nuovi racconti (1976-1977). Si tratta di dipinti compositi, spesso montati a polittico, che raccontano oggetti e ambienti con un linguaggio di accentuazione segnaletica e di ulteriore oggettivazione della forma sintetica. Seguiranno The new space (1978-1980) e Structural dream (19811982), cicli che mi piace chiamare del “fantastico spaziale”, nei quali Physis si prefigura come una visionaria città cosmica a un tempo arcaica e futuribile. Terra e cielo vi appaiono integralmente pianificati ed edificati per accogliere, sembrerebbe, un’umanità aliena, ma di fatto saranno invasi e colonizzati dai già ricordati Germogli (1983-1986), quindi dalle Impronte di memorie (1987-1988) in proiezione nuovamente spaziale e dalle contigue impronte di Orizzonte degli eventi (1989), omaggio allo scienziato Stephen Hawking, e di Translation (1989). Lungo cinque decenni Poggiali Berlinghieri ha lavorato per cicli. Ognuno dei quali, pur compiuto e autonomo, appare legato al precedente da rilevabili nessi formali. A denominatore comune della loro genesi ed elaborazione concorrono due fattori: la ratio progettuale del creatore di oggetti e macchine che abitano e animano la scena della pittura e della scultura, e l’esprit de finesse che investe la materia e la forma facendole levitare in visione dell’immaginario. Nel 1991 intitolavo Il sogno progettuale della poesia un mio intervento sulla ricerca dell’artista. Intendevo significare la


7 8

15


Sultano, 2001 legno dipinto, cm 190x45x65

virtù trasfiguratrice e poetica della leggerezza, che è qualità dello sguardo e dello spirito, associando in quella formula due concetti pressoché antitetici: da una parte il progetto, che rimanda alla logica del costruttore, dall’altra la poesia che appartiene alla sfera dell’intuizione, talché il suo ordine interno o metrica o misura non si esaurisce nella sua struttura e scansione quantitativa, ma è intima sua proprietà, suo lieve e sfuggente respiro. La disposizione alla leggerezza è qualità poetica che conosco propria dell’animo dell’artista fiorentino, e so che fa da filtro al suo sguardo aperto sul mondo. Lo fa a cominciare dalle modulate partiture pittoriche limpidamente campite del primo ciclo Adesivi, fino alle recenti Sculture solari e alle consimili, altre ingegnose e divertenti macchine interattive. Alle quali Poggiali Berlinghieri ha lavorato a far data dallo scorcio del secolo scorso, quando in stretta correlazione con il magistero del costruttore di “balocchi”, assumeva un ruolo importante la componente tecnologica, che quegli oggetti squisiti anima e mette in relazione attiva con la persona dell’interlocutore e con l’ambiente. Le tecnologie e i nuovi materiali adottati hanno comunque la “leggerezza” del soft, meccaniche o elettroniche o robotiche che siano, utilizzate per produrre spazi e immagini virtuali, inserimenti video, risposte sonore, emanazioni luminose e altre animazioni della partitura pitto-scultorea. Nel seguito e fino al presente, Poggiali Berlinghieri non ha mai mancato di agire “nel corso della superficie” ossia sulle due dimensioni come pittore. Del resto, la variegata pellicola del colore e la concertazione decorativa delle forme e dei segni qualificano buona parte del suo lavoro nella terza dimensione. Che con gli anni Novanta ha preso sempre più spazio rispetto alla pittura stricto sensu. Nel 1988 Poggiali Berlinghieri realizzava le prime strutture in profilato ligneo montato e dipinto, sorta di totem sui quali innastava le sagome, sempre dipinte, delle sue “impronte di memoria”. Dai totem è in breve scaturita una selva di aste, antenne, tralicci, altane, gabbie, insomma aerei impalcati concepiti come piccoli habitat. Non è raro, difatti, che rechino alla base scampoli di natura e giostre di animali, e aggrappato al telaio in simulazione di moto oppure accoccolato, questo o quel esemplare della mirabolante zoologia fantastica alla quale Poggiali Berlinghieri ha dato vita destinandola ad abitare, posata appesa applicata, in interno o in esterno, ogni possibile angolo della casa dell’uomo in estensione ambientale. In quella casa stanno altresì, in simpatetica corrispondenza con gli animali, le macchine ludiche e interattive delle quali si è detto e un campionario di maschere stellari, di ircocervi o figure dell’immaginario, di libri d’artista e altre fantasiose, persino bizzarre opere-oggetto anche d’uso e d’arredo. Se fosse possibile raccoglierle tutte quelle presenze, il luogo che le accogliesse sembrerebbe senz’altro la moderna versione delle antiche stanze o teche delle meraviglie. Una bottega delle meraviglie, quella di mastro Poggiali Berlinghieri creatore di balocchi, alla quale presiedono custodi e governatori e numi tutelari in figura araldica di Ares, di Pegaso, di Sultano e, primus inter pares, di Pinocchio.


C’era una volt@, installazione Parco di Pinocchio, Collodi (Pt) 2002


N

asce a Firenze nel 1936. L’esordio della sua attività artistica è del 1968 e segna il termine di un’accelerata fase di ricerca e di formazione autodidatta con la prima mostra personale presso la Galleria Inquadrature di Firenze, a cui fanno seguito circa 80 mostre personali in Italia e all’estero. Opere di Poggiali trovano posto in collezioni museali pubbliche e private. Un suo autoritratto fa parte della raccolta degli autoritratti della Galleria degli Uffizi di Firenze. Le mostre a Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1988 e a Palazzo Strozzi di Firenze nel 1989, segnano due momenti antologici dell’attività dell’artista. Gli anni ‘90 sono caratterizzati dall'esecuzione di numerose installazioni, documentate dal volume monografico a cura di Pierre Restany: Poggiali sculture e installazioni 1969-1995 edito dal Museo Civico di Taverna (CZ). Nel 1996 è significativa l’installazione Simposio al Museo Marino Marini, patrocinata dal Comune di Firenze. Nel 1999, in Piazza XXX Novembre a Sesto Fiorentino, il Soprintendente ai Beni Artistici e Storici di Firenze, Antonio Paolucci, inaugura il monumento Pegaso in acciaio inox policromo. Nel 2002 è invitato dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi di Pescia (PT), dove realizza una grande installazione documentata nel libro C’era una volt@, Morgana Edizioni. Nello stesso anno, il Consiglio Regionale della Toscana lo invita a Palazzo Capponi Covoni di Firenze dove espone l’installazione Firenze ti @mo. Nel 2004 al Palazzo del Podestà di Pescia (PT) nella Gipsoteca Libero Andreotti, con l’installazione Piccoli Habitat, viene presentato il volume monografico Giampiero Poggiali Berlinghieri. Installazioni & Ambiente. Opere scelte 1968 2003 per le edizioni Galleria Sangallo di Firenze, a cura di Nicola Micieli. Nel 2006 la mostra Opere multimediali e interattive; Castello Scaligero di Malcesine (VR) con la presentazione del libro: Opere multimediali e interattive di luce e in movimento, a cura di Alessandra Borsetti Venier con testo di Valerio Dehò. Nel 2007 la mostra Audioritratto, Palazzo Medici Riccardi, Firenze, con la presentazione del libro: Ritratti e Autoritratti 1972-2007 a cura di Alessandra Borsetti Venier con testo di Alessandro Vezzosi. Nel 2009 la mostra Biodiversity, Chianciano Terme, con la presentazione del libro: Biodiversity, con testo di Nicola Micieli. Tre tesi di Laurea sono state dedicate all’opera di Poggiali Berlinghieri.

Habitat, 2014 Arte Cerreta

18


Studio Poggiali Berlinghieri, Firenze 2011


A

focus

Malato ceramista il periodo "modernista" della Manifattura Molaroni di Pesaro (1950-1958)

Gino Turchi

H

o incontrato Guglielmo Malato nell’atrio di un piccolo albergo di Pietrasanta, capitale della Versilia, dove ama passare i fine settimana estivi. Malato è una persona che descrive con entusiasmo le sue esperienze. La memoria di quanto è accaduto negli anni ‘50 è ancora viva ed i ricordi sgorgano con una freschezza ed immediatezza che lasciano sorpresi. Per Malato è importante comprendere il formidabile contesto artistico culturale che si realizza in quel periodo a Pesaro, non solo all’interno dell’Istituto d’Arte Mengaroni, ma nella stessa città, che alimentava la cul-

tura, le idee ed i talenti che contaminarono poi la produzione Molaroni, la Manifattura di ceramiche attiva sin dal 1880, nel periodo 1950-1958. Guglielmo Malato nasce a Pesaro nel 1932. Si iscrive all’Istituto d’Arte “Mengaroni” nel 1945 ed avrà come compagni di corso Nanni Valentini, Ulrico Schettini, Giorgio Perfetti ed Athos Tombari, tutti soggetti che riveleranno nel tempo grandi qualità artistiche con ampi riconoscimenti nazionali ed internazionali. Nanni Valentini nel 1949 lascerà Pesaro per iscriversi all’Istituto d’arte di Faenza sotto la guida di Angelo Biancini e solo nel 1952 tornerà a Pesaro per collaborare con Bruno Baratti e la Molaroni. Malato si diploma Maestro d’Arte nel 1950 insieme a Schettini e Perfetti, ma sarà l’unico a ricevere un premio in denaro come migliore allievo del corso per la sezione ceramica. Con il conseguimento del diploma Malato riceve una offerta di lavoro dalla Molaroni per partecipare all’attività della sezione “moderna”. Preferisce tuttavia non accettare l’impiego ma stabilire una collaborazione con la Manifattura, con uso di studio, maestranze e forni, che gli permetteva da una parte totale autonomia nelle scelte artistiche e dall’altra di dividere la produzione realizzata con la stessa Molaroni vendendo autonomamente la parte spettante. Nel 1950 Giò Ponti, organizzatore del Padiglione della sezione ceramica della IX Triennale di Milano del 1951, intraprende un'ampia escursione delle varie Manifatture per scegliere i ceramisti che dovranno rappresentare l’Italia. A Pesaro, visitando la Molaroni, conosce Malato ed apprezza le sue opere tanto da invitarlo con ben 35 pezzi alla Esposizione da distribuire “nella sala delle ceramiche

20

e in tutti i più begli ambienti della Triennale”. I protagonisti assoluti di quella Esposizione furono Fontana, Melotti, Fabbri, Melandri, Gambone, Mirko ed Afro Basaldella, Garelli e Leoncillo. A questi si aggiunsero i giovanissimi prescelti da Ponti quali, oltre a Guglielmo Malato, erano Salvadore Meli, Pompeo Pianezzola ed Alessio Tasca. Il 1951 per Malato poteva costituire l’inizio di uno sviluppo artistico di tutto rispetto quando, con la massima sorpresa espressa da Giò Ponti che lo voleva direttore artistico della Fabbrica milanese JO, decise di intraprendere la via dell’insegnamento presso l’Istituto d’Arte di Lucca (1951), rinunciando di fatto al suo potenziale ruolo di protagonista nel panorama artistico italiano. Il corpo insegnante dell’Istituto d’Ar-

te pesarese era allora costituito da Federico Melis, Guido Andreani, Giancarlo Polidori e Alessandro Gallucci, all’inizio degli anni ’50 approdarono a Pesaro alcuni exallievi dell’Istituto d’Arte fiorentino e neolaureati presso l’Accademia quali Giuliano Vangi, Carlo Borgiotti, Loreno Sguanci. Sguanci giunge a


Pesaro con già una ricca esperienza nell’uso della ceramica e degli smalti realizzata nella Fabbrica di Marcello Fantoni a Firenze. Inoltre tra il 1949 ed il 1952 Arnaldo Pomodoro, che lavora al Genio Civile di Pesaro per la ricostruzione degli edifici pubblici e frequenta gli ambienti dell’Istituto d’Arte, in particolare stabilisce una solida amicizia con Giorgio Perfetti, si interessa di scenografie avvicinandosi all’attività del Festival Nazionale della Filodrammatica. Con Malato e Perfetti partecipa al concorso per la migliore sceneggiatura del Festival ed inizia a creare, con la collaborazione del fratello Giò e Perfetti, i primi gioielli astratti con la tecnica della fusione in negativo su osso di seppia appresa presso un laboratorio di orefice pesarese. Come è possibile notare due generazioni di insegnanti si avvicendavano in quegli anni. I primi che certamente avevano come riferimento i grandi scultori e pittori italiani operanti nel primo

Novecento, mentre i secondi avevano una proiezione più europea dove i colori e gli smalti, usati come materia, uniti alla maiolica che assumeva nuove forme, davano luogo ad una autonoma vitalità che sprigionavano nuove ed originali istanze espressive fornendo, nello stesso tempo, una formidabile dinamica sperimentale. La vivacità degli anni dell’immediato dopoguerra caratterizzava la vita pesarese come nel resto del Paese. La rapidità con la quale si diffondevano le informazioni di eventi artistici italiani e soprattutto europei, favoriva un intenso dibattito culturale caratterizzato anche da confronti appassionati, quindi dello sviluppo di nuove energie e sinergie. I giovani dell’Istituto Mengaroni non potevano essere esclusi da questo vortice di cambiamenti. Certamente il rapporto che si stabilì con i docenti ebbe un ruolo importante. Malato ricorda come lo stretto rapporto collaborativo esistente tra gli insegnanti Borgiotti ed Andreani permettesse di formulare e sviluppare nuove originali forme su cui stendere gli smalti. Loro fornivano

idee, continui e stimolanti suggerimenti e soprattutto li incoraggiavano alla massima libertà artistica. Dal 1946

quando l’Istituto ripristina la Sezione Ceramica, con l’intento di sostenere la rinascita della produzione locale, molti giovani scoprono il fascino di questa materia e le sue potenzialità. Nello stesso anno Picasso, a Vallauris nell’atelier Madaura, partendo da prodotti ceramici tradizionali inizia ad esplorare i confini tra pittura e scultura giocando sulla possibilità di creare forme tridimensionali sottraendole alla loro funzione originale. è in questo momento che nasce anche il rapporto dei giovani ormai prossimi al diploma con la Manifattura Molaroni, la quale metteva a disposizione strutture e spazi della Fabbrica per sperimentare i loro progetti e le loro idee. Nasce così la cosiddetta Sezione “moderna” o “modernista”. In questa particolare produzione è interessante notare come indipendentemente dalla corrente culturale ed artistica nella quale ogni allievo si riconosceva o poteva riferire la maggior parte dei lavori prodotti, pur nella loro autonoma e riconoscibile capacità espressiva (da Malato a Schettini e poi coloro che li seguiranno quali Bertini, i fratelli Lani, Naponelli, Bruni, Salvaneschi, Sperindio, Scarparo), i giovani

operatori trattavano aspetti di vita popolare quotidiana quale l’attività della pesca, la vita contadina, la famiglia, l’amicizia, il teatro. Certo le forme dei vasi, delle brocche, dei bacini erano fortemente moderniste così come l’uso prevalente dei colori quali il nero, il rosso, il verde ed il viola che allora erano assolutamente nuovi ed originali, anche se difficili da ottenere, ma pochi erano coloro che esprimevano decorazione astratte. Malato ricorda con episodi gustosi il breve periodo che visse all’interno della Molaroni ed il suo rapporto speciale che si era stabilito con la madre di Gabriella e Magda, la Signora Adriana che addirittura gli aveva posto come soprannome “malatino”. L’apertura del forno era sempre un evento importante poiché nessuno poteva immaginare come gli smalti, le cromie, i riflessi sarebbero stati fissati dalle alte temperature a cui i manufatti venivano sottoposti. La Signora Adriana era sempre presente all’evento e usava porsi di fronte all’apertura, nonostante il calore che si sprigionava dal forno, assisa su una grande poltrona come se si fosse ad uno spettacolo teatrale. Talvolta quando i risultati erano aldisopra delle attese, andava personalmente a chiamarlo perché apprezzasse i risultati ottenuti. Dopo la partecipazione alla Triennale, Malato lascerà Pesaro per dedicarsi principalmente all’insegnamento a Lucca. Di questo abbiamo parlato a lungo per capire i motivi di questa decisione. Le sue parole sono sorprendenti. Secondo Malato all’Istituto d’Arte si iscrivono giovani che cercano di perfezionarsi nel disegno, nella pittura, nella scultura perché provvisti di particolari doti naturali che lasciano presupporre un potenziale futuro artistico. Ma ci sono altri che si iscrivono perché disadattati, con storie familiari complesse, rifiutati da altre scuole ecc. Bene lui ha scelto l’insegnamento come una missione per dedicarsi a tutti i ragazzi che per vari motivi si iscrivevano al suo Istituto, che fossero dotati o meno dotati. Da una parte ci poteva essere l’affermazione artistica dall’altra l’affermazione nella vita. Un risultato importante in entrambi i casi per i quali era ben giustificato ogni sacrificio. Riferimenti bibliografici: Blanchaert e Caveri & Caveri, mostra Il modernismo di Molaroni: Pesaro anni ‘50. La magia della terra. Il fascino del colore. Milano, marzo 2002. L.L. Loreti, mostra Un’esplosione di forme e di colori. Ceramiche pesaresi dal 1950 al 1960. Pesaro, maggio 2003.

21


A

mostrA

e adesso oltrescavando la Pietà di Enrico Savelli in Casa Bonarroti Nicola Micieli

La visione di Maria, 2013 Francesco, 2005

E

adesso oltrescavando ... giungere fino alle porte della luce ... Questo concetto sintetizza un procedimento operativo e un proponimento estetico e poetico. Lo scultore pistoiese Enrico Savelli – della cui sensibile materia plastica che egli conduce all’essenza spirituale della forma, non trovo adeguati esempi nella scultura italiana attuale – l’ha apposto come epigrafe poetica alla sua Pietà (2008) in marmo bianco di Carrara, un'arca che contiene e traduce il gruppo solidale della madre e del figlio, esposta nel cortile di Casa Buonarroti nell’ambito della mostra Michelangelo e il Novecento. Il linguaggio dell’esergo in stile volutamente michelangiolesco, ripropone la corrispondente e idealistica convinzione che la forma – e la figura nella quale essa si traduce – sia latente e come imprigionata nel marmo. Occorre liberarla del “soverchio”, il di più di materia che la occlude. Occorre svelarla, tuttavia nei limiti che la stessa materia fisica del marmo e la profondità semantica dell’idea oppongono agli strumenti dell’artefice. Strumenti inadeguati a rappresentare, al pari delle parole di Dante di fronte all’Eterno, una così alta e perfetta entità data in termini intuitivi solo alla visione interiore dell’artista. Il tormento di Michelangelo sta per l’umana cognizione della difficoltà, anzi dell’impossibilità di restituire la pienezza e la verità di quella forma. Nella Pietà che oggi “visita” Casa Buonarroti sulla scorta ideale della giovanile Pietà vaticana di Michelangelo – e nel resto della sua opera scultorea

una cui significativa scelta è stata proposta sino alla metà di settembre, sotto il titolo Presentazione al tempio, con un allestimento esemplare nella Basilica di Santa Croce a Firenze – Savelli è andato oltre, cavando, l’opaca resistenza della materia. Si è spinto, come dice, “fino alle porte della luce”. La qual cosa significa che ha esercitato sul marmo un inesausto lavorio di abrasione e levigatura, al fine di ridurne il sedimento fisico e di modularne la morfologia a un grado tale di levità da raggiungere, laddove egli pone il fuoco ottico e concettuale della partitura plastica, la sottigliezza fisica che la rende translucida al modo dell’alabastro. Ossia consente alla luce di fonte esterna di attraversare e di rivelare, spiritualizzandole, l’essenza materiale del marmo – e si intende la materia nel senso più estensivo del termine – e la forma simbolica nella quale essa

si incarna e che costituisce, dicevo, il nucleo concettuale dell’opera. Spiace che tra le prestigiose immagini della Pietà eseguite da Aurelio Amendola non ve ne siano disponibili che visualizzino la fenomenologia e il connesso simbolismo del translucido savelliano. Perciò pubblico a margine un marmo del 2013, La visione di Maria, che ben rende l’idea dell’illuminazione come annuncio divino, e un marmo del 2005, Francesco, nel quale il corpo si rivela navicella dell’anima, dunque luogo di passione e veicolo di transizione dell’umano nello spirituale. L’iconografia della Pietà di Savelli non assume, del modello michelangiolesco, che l’impostazione piramidale del gruppo, qui ridotto al triangolo composto dal corpo del Cristo morto visibilmente sostenuto dalla sola mano della mater dolorosa, della quale non compare che il capo piegato sul figlio. Il tutto inscritto in un semicerchio a lunetta che tende a introflettersi, a ripiegarsi sugli attori del dramma come a fonderne e inglobarne i corpi in una sorta di rientro uterino, carnale percorso verso le origini. Sulla compenetrazione simbiotica dei corpi estenuati si consumano la passione del figlio e la com-passione della madre, che è l’umano vissuto sin nelle viscere; nel prosciugamento e la riduzione della materia all’essenzialità della particola si enuncia la qualità mistica di quei corpi che nello splendore riflesso e nella trasparenza della luce si fanno annuncio della rinascita. Foto in bianco nero di Aurelia Amendola

22


E adesso oltrescavando del fisico la forma, stupita l’anima, seguendo del cuore il gran consiglio e lo spirito del tempo giungere fino alle porte della luce e li restare attento al suo divin parlar con l’ombra e trarre fuori l’immagine e il calore che ravviva la materia e la sua sorte. Enrico Savelli Casore del Monte, giorno dell’Assunzione 2012

23


A

focus

blu blu

nel

Museo Bardini

dipinto di

Paolo Pianigiani

Stefano Bardini Yves Klein, Mourant, 1960 Sale dei dipinti del Museo Bardini Nella pagina a fianco Particolare della Tavola attribuita al Maestro di San Miniato.

I

mmaginiamo i funzionari del comune di Firenze, incaricati di redigere l’elenco delle opere d’arte lasciate in eredità, nel 1922, alla Città del Giglio, da Stefano Bardini. Quando aprirono quelle stanze del Palazzo in piazza de' Mozzi rimasero a bocca aperta. Un incredibile blu fiordaliso diffondeva le sue sottili variazioni nelle sale, faceva da sfondo a tavole, sculture, cornici rinascimentali, quando non trecentesche. Impossibile da capire. Non fecero nemmeno una foto agli ambienti. Semplicemente cancellarono tutto, ricoprendo le superfici di un più cònsono color crema, in tinta con i gusti condivisi degli intenditori e critici a loro contemporanei. Con la stessa facilità becera con la quale gli imbianchini della Controriforma azzeravano gli affreschi dei grandissimi, sulle pareti delle chiese, magari dopo averli ferocemente scalpellati via. Nel 1925 il museo fu presentato al pubblico nella nuova veste ridipinta, e solo la sollevazione di tutti gli antiquari fiorentini permise che il nome del donatore venisse mantenuto. L’idea iniziale era di far sparire anche quello. E tutti approvarono, dicendo che il blu nulla c’entrava con la città, e che Bardini era un antiquario “antiquato” e stravagante. Ma pensarono di peggio.

Ma per fortuna le pareti non sono come gli affreschi, ed è possibile tingerle di nuovo. E nel 2009, il 4 di aprile, dopo attenti e rispettosi restauri, ecco che la nuova sistemazione museale ripropone di nuovo il blu. Il grande mercante d’arte, attivo sul finire dell’Ottocento, aveva gusti molto personali sul come presentare le sue collezioni. Gusti che uscivano dalle mura fiorentine e si confrontavano con realtà lontane, che aveva incontrato nei suoi viaggi. O sulla riva dello stesso fiume, l’Arno, in quel di Pisa. L’esempio del “Palazzo Blu” che spicca tra i palazzi che si affacciano sul lungarno e che nel 1773 ospitò il Collegio Imperiale Greco Russo, viene subito in mente. E il gusto internazionale di Bardini rivive nelle stanze che furono sue, le meraviglie recuperate dalle case e soffitte dei nobili fiorentini, scoperte e valorizzate, ritrovano la loro antica scenografia e l’antico splendore. Era un grande manager, Bardini, giunto giovanissimo a Firenze da Pieve Santo Stefano (Arezzo), dove era nato nel 1836 per studiare pittura all’Accademia, dove fu allievo del Bezzuoli. Ma ben presto s’inventò mercante d’arte, e fu il migliore di tutti. O almeno, il più capace e fortunato. Il suo nome entrò nelle vendite dei capolavori che dall’Italia si sparsero in tutto il mondo. Nel

primo dopoguerra Stefano si ritira dal commercio e organizza per il proprio piacere, e quello di pochissimi amici, l’allestimento delle opere d’arte che non aveva mai voluto vendere. Quelle che, insieme ad altre, di proprietà del Comune, sono visitabili oggi, di nuovo con il blu fiordaliso alle spalle. Che non è mai lo stesso, perché in ogni sala vive di sottile differenza di tono, per adattarsi alla qualità e ai colori delle opere esposte. Chissà se un altro straordinario creatore di Blu, il francese Yves Klein, ha mai sentito parlare del nostro antiquario. Il suo Blu è molto più carico, elettrico, denso. Addirittura Yves lo fece brevettare con il suo nome per legarsi per sempre a quel mondo ricco di spiritualità. E forse proprio in questo aspetto ritrovo una strada comune. Il blu fiordaliso e il blu di Klein sono come il fondo oro degli antichi, dove tutto si annulla e si ricrea: lo stesso blu che ha il cielo del Paradiso. E nel cielo del Museo Bardini, le stelle tornano a risplendere. I restauri delle opere d’arte che vi sono custodite riaccendono i colori, gli ori e le trasparenze. Come nel caso della Madonna con il Bambino, attribuita al Maestro di San Miniato, recentemente recuperata dalla restauratrice Silvia Fiaschi, grazie alla generosità di uno sponsor, l’Associazione Firenze Donna.


25


A

memoria

raku

collettiva mente ex-voto per la Stanza della Memoria

Giulia Brugnolini

Romano Masoni, l'Assessore alla Cultura Mariangela Bucci, il Sindaco Giulia Deitta e il Presidente della Pubblica Assistenza Luciano Battaglioli

L

a magia del fuoco, delle mani e dell’arte per non dimenticare le pagine buie dell’umanità. In primis l’olocausto. Sotto l’egida di Mnemosine, dea greca della memoria, nel settembre una nuova installazione composta da dodici ceramiche Raku, Ex-voto per la memoria, ha arricchito di ulteriori testimonianze la Stanza della Memoria allestita dal 2008 nella sede della Pubblica Assistenza di Santa Croce sull’Arno. Nella primavera scorsa i ceramisti interessati al progetto avevano proceduto alla seconda cottura e al trattamento Raku delle loro opere. Il forno ceramico e le altre attrezzature erano state installate per l’occasione sul prato antistante la Pubblica Assistenza. L’operazione si è dunque svolta alla presenza partecipe della gente. Al timone del progetto il pittore e incisore Romano Masoni, l’ideatore della Stanza della Memoria destinata ad accogliere, tra parola e immagine, testimonianze di vita, d’arte e di cultura materiale portatrici di memoria storica, civile, esistenziale. Nella stanza che nasceva dall’acquisizione del dipinto del 1986 Cartamoschicida con cadute di Masoni (“Annunciazione senza letizia” eseguita sul tema specifico della pace contro tutte le forme di violenza e ripetutamente esposta in Italia e all’estero), hanno trovato posto, tra l’altro, le parole di Ungaretti, Pasolini, Fortini, Levi, le foto di scena de La classe morta di Maurizio Buscarini, immagini dal Teatro della morte di Kantor e, documento d’un lungo dialogo sull’esistere, il “libro d’artista” contenente gli scambi epistolari tra Luciano della Mea e Masoni. A integrazione testimoniale della Stanza della Memoria, Romano Masoni ha dunque proposto le esperienze

creative di undici artisti che hanno incontrato l’indimenticabile esperienza della ceramica Raku, una tecnica di origine giapponese nata in sintonia con lo spirito zen, in grado di esaltare l’armonia presente nelle piccole cose e la bellezza nella semplicità e naturalezza delle forme. La sua origine è legata alla cerimonia del te nipponica: un rito realizzato con oggetti poveri, il più importantedei quali era la tazza che gli ospiti si scambiavano l’un l’altro. Le sue dimensioni erano tali da poter essere contenuta nel palmo della mano. Chi si è approcciato a questa tecnica ha potuto constatare come sia qualcosa di più di semplice ceramica: la prima cottura viene realizzata in un forno di tipo tradizionale. E qui viene il bello, perché tutto ciò lascia all’artista un’estrema libertà. Per fare il raku è necessario uno spazio aperto, ideale di primo mattino oppure intorno all’ora del tramonto, quando è possibile godere dei colori del fuoco e degli oggetti che dopo la seconda cottura a smalti e la successiva fumigatura, vengono gettati in acqua. Il segreto sta nell’imprevedibilità: ogni

26

oggetto è unico ed irripetibile, così come ogni istante. E sempre come ogni istante della storia umana, il raku è vissuto collettivamente davanti agli occhi degli spettatori. Infine un altro elemento lo rende ancora metafora del corso delle stagioni: nel raku bisogna accettare la possibilità che il risultato di uno smalto o di un colore non sia uguale a quello che si è prefissato l’artista. “Una delle sue medicine medicamentose”, così il pittore altopascese Antonio Bobò, uno dei dieci artisti dell’avveniristico gruppo, ha definito l’idea di Masoni. Ecco i nomi dei ceramisti che hanno arricchito la stanza della memoria di tutti noi: Antonio Bobò, Scritture; Barbara Calonaci, La guerra no; Valerio Comparini, Amarcord; Orso Frongia, E mi aggrappai alla vita; Giuseppe Lambertucci, Guardate cosa avete fatto; Fulvio Leoncini, Il Camino di Auschwitz; Romano Masoni (2 opere), I voli della morte; Nicola Micieli, La memoria è vita; Mario Orbitani, E ballava sotto le bombe; Luigi Zucconi, La memoria del computer; Vinicio Zapparoli, La rivedo che aspettava.


27


A

percorsO

percors contemporanei progetti urbani e arte pubblica a Peccioli

Irene Barbensi

P

eccioli, il suo centro storico e le sue frazioni si presentano dall’inizio degli anni ’90 come un cantiere a cielo aperto in cui sperimentare un nuovo rapporto tra arte e progetto urbano, in cui le opere convivono con le tradizioni più antiche e le abitudini quotidiane dei cittadini. Vittorio Messina, Hidetoshi Nagasawa, Nicola Carrino, Federico De Leonardis, Vittorio Corsini sono solo

alcuni degli artisti che hanno lavorato su Peccioli, hanno riflettuto sull’identità culturale del territorio e vi hanno lasciato alcune opere, il cui numero nel corso del tempo si è arricchito fino a diventare una vera e propria galleria d’arte contemporanea a cielo aperto. Per fare il punto della situazione e per fornire uno strumento che accompagni il visitatore in occasione della 10a Giornata del Contemporaneo organizzata da A.M.A.C.I. (Associazione Musei Arte Contemporanea Italiani), sabato 11 ottobre è stato realizzato in anteprima il tour Percorsi contemporanei. Progetti urbani e Arte pubblica a Peccioli, che ha permesso di scoprire le opere d'arte contemporanea presenti nel territorio comunale. “Percorsi contemporanei. Progetti urbani e Arte pubblica a Peccioli” è il primo di una serie di percorsi tematici che permetteranno di far conoscere al grande pubblico le

28

ricchezze storico-artistiche che nei secoli hanno arricchito il territorio, forti della convinzione che il legame tra valorizzazione, promozione e conservazione sia indissolubile. Il visitatore, attraverso questi “Percorsi”, potrà organizzare una visita personalizzata secondo i propri gusti e interessi, oppure essere accompagnato in una visita pensata per ogni esigenza. Tour “Percorsi contemporanei” nel centro storico di Peccioli + Museo di Palazzo Pretorio L’accompagnatore illustrerà le opere d’arte contemporanea presenti nel centro storico di Peccioli fino ad arrivare alle installazioni presso l’Anfiteatro Fonte Mazzola. Il tour proseguirà con una visita guidata al Museo di Palazzo Pretorio al cui interno sono conservate una collezione di opere di grafica e tre collezioni di icone. È previsto un numero minimo di 4 persone. Durata: 1 h e 30 min


Tour “Percorsi contemporanei” nel centro storico di Peccioli e nelle frazioni + Museo di Palazzo Pretorio L’accompagnatore illustrerà le opere d’arte contemporanea presenti nel centro di Peccioli fino ad arrivare alle installazioni presso l’Anfiteatro Fonte Mazzola. Il tour proseguirà nelle frazioni di Legoli, Fabbrica, Montecchio e Ghizzano. È previsto un numero minimo di 4 persone. Durata: 2 h e 30 min Tour per scolaresche Tour “Percorsi contemporanei” nel centro storico di Peccioli a cui abbinare, in accordo con l’insegnante, la visita guidata in uno dei Musei del Polo Museale. Durata: 1 h e 30 min I tour, anche per le scolaresche, sono effettuati su prenotazione contattando la segreteria organizzativa. La Fondazione Peccioliper propone di concludere la visita con un percorso enogastronomico che può prevedere: Degustazione di prodotti locali, pranzo/cena in un ristorante tipico (da richiedere al momento della prenotazione)

Per informazioni: Fondazione Peccioliper Piazza del Popolo 10, Peccioli Tel. 0587 672158 info@fondarte.peccioli.net www.fondarte.peccioli.net

29


A

incontrO

surrealista

un e una

casa dell'arte

a Tenno Pivetti racconta storie come graffiti Nicola Micieli

1

I

ncontro Franco Pivetti a Tenno, nel Trentino, il suo buen retiro. D’intorno il paesaggio montano con sullo sfondo Riva del Garda e il lago che alla morfologia dei monti si conforma. A Tenno dove disegna, dipinge e incide, Pivetti organizza e governa le attività della Casa degli Artisti, centro comunale preposto alla promozione dell’arte e della cultura e parte integrante del borgo medievale di Canale, intatto agglomerato di case/torri – e sottese strade voltate – legate l’un l’altra come un fortilizio. Pivetti si è insediato a Tenno ormai da molti anni. Quando vi approdò nel 1984, aveva girato il mondo come musicista di un’orchestra/attrazione,

2

intanto che disegnava e dipingeva. Surrealista sin dal 1970, inizialmente di imprinting magrittiano, Pivetti in breve doveva elaborare un proprio linguaggio formale e fissare la cifra stilistica che ancor oggi ne contrassegna la pittura. Pittura e, aggiungo, narrazione, anzi drammaturgia. Le mutagene figure che come ircocervi agiscono sulle sue spoglie scene, sono difatti dramatis personae. Figure ambigue di recitanti capaci di assumere maschere e ruoli i più diversi, su un ventaglio di situazioni che attingono spesso la materia del dramma a luoghi letterari, segnatamente tragici, dischiusi dal reale verificabile al probabile e all’improbabile. Sino alle aleatorie, se non aliene, declinazioni del reale sommerso e dell’immaginario inconscio, che rifluisce sotto specie di teatro dell’assurdo. Il surrealismo di Pivetti consiste appunto nell’aver fatto convergere e sovente interagire nei suoi personaggi, i diversi livelli – anch’essi interconnessi, dunque osmotici – della struttura

30

psichica che presiede ai comportamenti umani. La via d’accesso alla propria cifra surreale Pivetti la trovava nel 1974, quando decisamente prese ad esercitare l’automatismo agile e modulabile del gesto tracciante, lavorando alle innumerevoli possibilità di innesto, ibridazione, combinazione, ipertrofia, insomma di manipolazione e mutazione genetica e morfologica della figura umana. La quale talora conserva, pur nella sua difformità anatomica, una sua dominante identità, ma più spesso si presenta sotto specie di organismo metamorfico, sorta di ameba che tiene insieme caratteri umani, animali e vegetali. Come dire la vita in tutte le sue forme e implicazioni. Della quale si fa carico a un livello primario questo mutante a suo modo sofisticato, concettualmente complesso e formalmente non privo di una sua eleganza insieme fluida e acuminata, alla quale provvede l’agile e automatica, ma non meno educata mano tracciante di Pivetti. Virtù della mano che verga la tela o la carta con la scioltezza e la pulsione ritmica del gesto, anche quando traduce una visione mentale, seconda un disegno figurale e concettuale connesso ai tanti luoghi mitografici e letterari che Pivetti ama frequentare, non da illustratore ma da interprete e vorrei dire adattatore drammaturgico dei testi frequentati. Ed è il caso delle mirabili sue “letture” dell’Inferno dantesco e dell’Apocalisse di San Giovanni. Vera e propria scrittura lineare o stenografia figurale è il mondo pittorico di Pivetti, la struttura delle cui immagini, essenzialmente grafica, è semplificata all’essenziale quanto a coordinate spaziali e referenti visivi contestuali. I teatri e le scene dei


3

suoi racconti sono difatti lande e deserti, territori desolati con rade sterpaglie nei quali si staccano orizzonti di cieli inquietanti, si profilano creste montane, si aprono voragini. Oppure semplicemente campeggiano quinte astratte sulle quali le figure si stagliano come fossero dipinti

su una parete o incise sulla roccia. Non a caso l’etologo e critico d’arte Giorgio Celli parlava di un tempo remoto « ... in cui l’uomo graffiava con la selce le rocce per consegnarsi, fatto segno, all’eternità ... », a proposito di Franco Pivetti e del suo mutageno prototipo d’uomo.

4

6

7

5

8

1. Le tentazioni di S. Antonio, 1974 2. Analisi di un Cervello, 2010 3. Casa degli Artisti Giacomo Vittone 4. Homoconda, 2012 5. Omaggio a Gaston, 1976 6. Tentazioni, 1999 7. Una notte sul Monte Calvo, 1976 8. Borgo Medioevale di Canale

31


A

Visibile parlare

AKH TAMAR Roberto Giovannelli

Roberto Giovannelli Akh Tamar (le onde), 2013, mezzaluna in lamina d’oro, acquarello su carta, cm 20x50 Pacchetto di sigarette “Akhtamar” Roberto Giovannelli Studio per Akh Tamar, 2014, matita nera lumeggiata in biacca su carta tinta in terra d’ombra, cm 60x45 Roberto Giovannelli, Portatore di nuvole e cieli, 2014, olio su tela in cornice dorata centinata, cm 80x46 Roberto Giovannelli, Amo Tamar, 2014, polittico in nove scomparti e luna, olio su tavola e lamina d’oro, cm 86x54 Roberto Giovannelli, Amore e portatore di cieli, 2014, olio e grafite su tela, cm 67x102

A

Shushi, nel cuore pulsante dell’Artsakh, m’introduco per curiosare in un negozietto stipato di generi vari: frutta, verdura, bibite, gelati, dolci e liquori, giocattoli, fiammiferi e tabacchi. Tra i pacchetti di sigarette esposti con diligente cura in una teca di vetro, uno ne noto di forma alta e stretta, dagli spigoli smussati, con la scritta in caratteri maiuscoli Akhtamar, dal nome dell’isoletta del lago di Van nell’attuale Anatolia orientale. Sul fondo lucente del frontespizio si staglia la figura di una giovane avvolta in una panneggiata tunica d’argento che in piedi, fra onde minacciose nere come la sua lunga chioma agitata dal vento, tiene alta nella destra una lucerna fiammeggiante. La leggenda cui allude la figura di glittica eleganza richiama alla mente la vicenda di Ero e Leandro, narrata da Ovidio nelle Eroidi. Qui la bella sacerdotessa d’Afrodite è incarnata da Tamar, principessa armena dimorante appunto sulle rive ondose d’Akhtamar, mentre Leandro assume i tratti di un anonimo giovane plebeo. Quel giovane follemente innamorato che ogni notte, rischiando la vita, dalla terraferma attraversava a nuoto il lago per raggiungere la principessa che in segreto lo richiamava alla sua finestra con

Da un piccolo villaggio costiero Del lago ridente di Van Ogni notte un ragazzo Si tuffa fra le onde di nascosto. Prende il largo senza legno. Nuota verso la remota isola di fronte Sfidando l’acqua Con le braccia fortissime.

una lucerna fino a quando il padre di lei – scoperto l’inganno dei convegni amorosi – fracassò il complice lume, lasciando il ragazzo senza orientamento in balia delle onde tenebrose tra le quali, invocando invano l’amata, Akh Tamar! (Oh, Tamar!), perse la vita. Si dice che sulle rive dell’isola, di giorno e di notte, portati dai flutti si odano ancora i suoi lamenti, Akh Tamar, Akh Tamar, Akh Tamar… Alla commuovente leggenda Hovannes Tumanyan dedicò una poesia (di cui traduco alla buona un paio di quartine):

32

Quei versi, ora teneramente cantati da Addiss Harmandian, narrano l’avventura dalla tragica conclusione, potenza irresistibile dell’amore, che mi accingo a dipingere quale emblema di una passione trascinante che può portarci fuor di senno, follia come “grazia divina”. Altra follia è quella del fumo, rappresentata dal piccolo scrigno di nicotina che osservo, e dalle preziose varianti che ne sono state realizzate, suggellate dalla vivida immagine di Tamar, tutte recanti una targhetta ritagliata nelle acque, ove in caratteri armeni si legge “Nuoce fortemente alla salute”. Il contenuto del raffinato involucro si convertirà in fumo, Vanitas. Rimane la figura allegorica che vi è impressa come oggetto di contemplazione e meditazione. Così, ispirato dalle fascinose apparenze di Tamar, altre figure affiorenti dalla mia immaginazione colloco intorno a lei, portatori di cieli e di città, archeologiche insegne, poeti viandanti (achougs), simboli questa volta di storie senza inizio e senza fine, Temporalis Aeternitas, destinati ad una singolare esposizione sulle pareti di un pacchetto di sigarette.


33


A

L’arte in italia

Carmelo De Luca

LUCI SUL 900

LA COLLEZIONE RENATO BRUSON

PINTORICCHIO

28 ottobre 2014 8 marzo 2015

28 settembre 2014 25 gennaio 2015

5 settembre 2014 6 gennaio 2015

FIRENZE

PARMA

San Gimignano

Galleria d’Arte Moderna

Palazzo Bossi Bocchi

Pinacoteca Comunale

O

L

A

maggio alla Galleria d’Arte Moderna per il centenario, la mostra ripercorre l’evoluzione della Istituzione studiandone fattori storico-artistici insieme alle motivazione che hanno permesso il formarsi delle collezioni. Opere provenienti da premi accademici accrescono i fondi lorenesi e sabaudi, primordiale dotazione per il futuro polo dedicato all’arte contemporanea: movimento Purista e i nostrani macchiaioli prendono così dimora presso il granducale Palazzo Pitti. Gli anni passano rinnovando l’arte italica con firme blasonate, che spesso confluiscono nell'importante Museo, come documentato dal parterre di dipinti selezionati per festeggiare l’importante genetliaco, tra le quali si annoverano Carena, Casorati, De Chirico, De Pisis, Rosai, Severini, Colacicchi, Carrà, Savinio, Marini, Andreotti e materiale inedito testimoniante il legame con l’intellighenzia fiorentina.

a donazione Bruson annovera la migliore produzione macchiaiola e del vedutismo veneto, un unicum conosciutissimo negli ambienti che contano, ora accessibile al grande pubblico presso Palazzo Bossi Bocchi. L’arte italiana del XIX e XX secolo, accuratamente selezionata tra le molteplici correnti pittoriche presenti nelle collezioni Fondazione CariParma, davvero uniche, suggestive, preziose, rappresenta un ulteriore vanto raggiunto dalla Istituzione grazie alla encomiabile donazione dei signori Renato e Tita. Nomi blasonati, basti ricordare Boldini, Segantini, Fattori, Lega, Signorini, i fratelli Ciardi, Bazzaro, Brass, Tito, affollano le sale espositive, innalzanti agli onori il vedutismo plasmato di una realtà raffinata e colori caldi, seducenti, incredibilmente legati alla quotidianità, come si conviene quando il soggetto scenico rappresenta una bella signora chiamata natura.

rtefice di un linguaggio figurativo leggibile, composito, decorativo, lo stile “pintoricchiano” fonde tendenze coeve al suo tempo con una maestria dal tocco originale, innovativo, riconoscibile. La mostra incentra l’attenzione sulla Pala dell’Assunta amorevolmente contemplata dai Santi Gregorio Magno e Benedetto, opera segnata da una pacata religiosità, particolari naturalistici, vedutismo. Maria sovrasta con delicata dolcezza l’intera opera scenica e lo stuolo di angeli gaudenti al suo cospetto ne esaltano la supremazia rispetto al mondo animato ed inanimato presente nel dipinto. L’attività in loco del maestro trova supporto in alcuni prestiti provenienti dalla Pinacoteca Nazionale di Siena, basti menzionare la Madonna col Bambino e san Giovannino o la Natività attribuita alla sua bottega, e da Città di Castello con la Madonna col Bambino e san Giovannino.

SAN SEBASTIANO. Bellezza e integrità nell’arte tra Quattrocento e Seicento 5 OTTOBRE 2014 - 8 MARZO 2015

TORINO

V

Fondazione Cosso, Castello di Miradolo

ittorio Sgarbi e Antonio D’Amico hanno selezionato circa quaranta capolavori, dal Rinascimento al Seicento inoltrato e per la prima volta una mostra di grande rilievo storico-artistico viene interamente dedicata a San Sebastiano con straordinari capolavori provenienti da importanti musei italiani e prestigiose collezioni estere. La scelta di approfondire l’iconografia proprio di questo martire non è casuale. Pochi santi hanno attirato l’attenzione dei grandi artisti, dal Rinascimento al Barocco, quanto San Sebastiano e la mostra al Castello di Miradolo ne sarà la dimostrazione. Un excursus dentro quasi tre secoli, operando affascinanti confronti sul soggetto: il medesimo artista che adotta differenti soluzioni formali, pose e ambientazioni in anni ravvicinati letti da artisti diversi, materiali differenti e modellati per capirne cambiamenti e intenti devozionali e di fama della figura del santo da nord a sud.

34


Lea monetti in principio fu Eva... e poi?

igure femminili in bronzo emergono da un ambiente semibuio, sotto le luci calde che evidenziano nell’ombra forme

sapientemente scolpite. Le opere di Lea Monetti, sedici sculture che rappresentano e raccontano la donna di oggi attraverso il mito e l’allegoria, saranno esposte nella mostra In principio fu Eva. L’urgenza della bellezza, nella sala delle Colonne di Pontassieve. Il personaggio di Eva è preso a soggetto per l’istallazione principale: una rappresentazione speculare dove da un lato appare La Eva Mitica, seduta e pensierosa con intorno una grande quantità di mele da lei morsicate; dall’altro lato siede su una teca di vetro Eva 2000, traslazione moderna dell’antica figura. Dentro al cubo trasparente si vedono gli indumenti e gli oggetti quotidiani della Eva di oggi, le cose che usa a testimonianza del tempo in cui vive, come il lascito di un’epoca consumistica in cui scarpe, abiti e cosmetici – come a sostituire i tesori ritrovati nelle tombe delle antiche civiltà – diventano la mera eredità dell’esistenza femminile contemporanea. Eva rappresentata dalla Monetti esprime la stanca amarezza di dover portare da sempre il peso di questa accusa.

Le immagini della fantasia

L

8 novembre 2014 25 gennaio 2014 pontassieve Palazzo Comunale

F

26 OTTObre 2014 18 GENNAIO 2015 Sàrmede (TREVISO) Casa della fantasia

a Mostra offre da sempre un ampio sguardo sul mondo dell’illustrazione per l’infanzia, proponendo espressioni artistiche di spicco, per innovazione estetica e ricchezza narrativa. In mostra quest’anno oltre trenta libri dal mondo del Panorama editoriale, le fiabe dalla Scozia e il loro immaginario e l’incontro con l’artista fiorentino Giovanni Manna, Ospite d’onore, che ha pubblicato diversi libri sulle fiabe della Scozia. Una serie di illustrazioni dedicata alle fiabe e leggende dalla Scozia completa questa sezione della mostra, dando spazio anche alle voci più interessanti della Scuola Internazionale d’Illustrazione Štěpan Zavřel. Per tutta la durata della mostra un ricco programma di incontri con illustratori e autori che presentano libri e parlano di come si racconta con le illustrazioni e con le parole; inoltre travolgenti letture animate per abbandonarsi all’ascolto di storie sempre nuove, e poi laboratori, musica, tour tra gli affreschi, corsi d’illustrazione specializzati e laboratori per adulti, nella Casa della Fantasia.

35

Aziende Partner

La FORMAZIONE della sicurezza sul lavoro è più conveniente se fatta ONLINE!

ATTESTATI VALIDI A TUTTI GLI EFFETTI DI LEGGE

Risparmia tempo e denaro con i corsi di “La Sicurezza online”! Per e-learning si intende la possibilità di imparare sfruttando le potenzialità della rete internet e la diffusione di informazioni a distanza. Garantiamo il monitoraggio continuo del livello di apprendimento e valorizziamo gli aspetti legati alla multimedialità e all’interazione con persone e materiali. La gamma dei corsi è in grado di soddisfare le esigenze di formazione sulla sicurezza per tutte le aziende dell’area PMI.

4

Per Lavoratori Corso di Formazione Generale

ore

Argomenti del corso: 1. Introduzione 2. Concetti di Rischio 3. Organizzazione 4. Diritti e Doveri 5. Valutazione Organi di Vigilanza

8

Per Preposti Corso di Formazione Generale e aggiuntiva

ore

Argomenti del corso: 1. Gli argomenti del corso di Formazione Generale 2. Principali soggetti del sistema di prevenzione aziendale: compiti, obblighi, responsabilità 3. Relazioni tra i vari soggetti interni ed esterni del sistema di prevenzione 4. Definizione e individuazione dei fattori di rischio 5. Incidenti e infortuni mancati 6. Tecniche di comunicazione e sensibilizzazione dei lavoratori, in particolare neoassunti, somministrati, stranieri.

Per Dirigenti Corso di Formazione Generale

16 ore

Moduli del corso: 1. Giuridico - normativo 2. Gestione e organizzazione della sicurezza 3. Individuazione e valutazione dei rischi 4. Comunicazione, formazione e consultazione dei lavoratori

Contattaci senza impegno

Numero Verde

800 19 27 37 Accedi ai corsi

www.lasicurezzaonline.it

FORMAZIONE ON-LINE SULLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO SU PIATTAFORMA E-LEARNING


L’ORLANDO FURIOSO 4 ottobre 2014 11 gennaio 2015 Reggio Emilia Palazzo Magnani

S

torie di gesta, cavalieri, amori, passioni, sapientemente raccontate dall’Ariosto nel celebre Orlando Furioso, incantano ancora intere generazioni nonostante siano trascorsi cinque secoli. Ispi-

DONI D’AMORE 12 ottobre 2014 11 gennaio 2015 Rancate (Mendrisio) Pinacoteca Züst

O

ggetti di pregio, databili tra il XIV e il XV secolo, raccontano usanze legate ai ceti abbienti in epoca rinascimentale per celebrare fidanzamento, matrimonio, nascita dell’erede, eventi suggel-

36

razione prolifica per molti personaggi legati al mondo creativo, il celebre poema rivive presso Palazzo Magnani grazie ad autentiche opere artistiche, interpreti contemporanee del folle genio ariostesco. Storie magnificamente incastrate nella dimensione temporale dominata dalla sorte, colei che condiziona azioni umane su palcoscenici incantati, hanno catturato l’attenzione di numerosi artisti moderni e l’esposizione reggiana ne rappresenta il degno tributo grazie ad un parterre eccezionale. Preziose edizioni del Furioso appartenenti alla Biblioteca Panizzi, grandi nomi legati all’arte, tra i quali si annoverano Emilio Isgrò, Giulia Napoleone, Mimmo Palladino, Piero Pizzi Cannella, Vladimir Velickovic, Manolo Valdés, Joe Tilson, Philippe Favier, James Nares, Omar Galliani, Roberto Barni, Giuliano Della Casa, fumettisti, fotografi e illustratori di riconosciuta fama costellano con le loro estetiche bizzarrie le sale espositive, mirabili testimonianze della produzione artistica realizzata nel XX e XXI, traenti linfa dalla geniale immaginazione del grande Ludovico.

lati da preziosi manufatti donati all’amata. Una inaspettata fattura plasmante le opere in esposizione evidenzia la potenza economica e sociale delle famiglie committenti, che ordinavano autentici capolavori consegnati alla nobile destinataria durante fastosi ricevimenti. Articolata in sezioni, la mostra vanta prestiti decisamente eccezionali. Ne sono degnissima rappresentanza la valva di specchio eburneo, la martora in cristallo di rocca, smalti e rubini proveniente dalla collezione Thyssen-Boernemisza, un cassone con delicati dipinti, dorature, intarsi. Molte creazioni presenti presso la Pinacoteca Züst custodiscono un contenuto puramente simbolico, come ben evidenziato dagli anelli maninfedi forgiati con due mani intrecciate, tenera allusione all’unione coniugale, cofanetti evocanti il ventre femminile quale custode del seme maschile, manufatti in porcellana decorati con disegni celebranti le virtù muliebri, oggetti per la toeletta in prezioso avorio dalle sembianze erotiche. Dipinti con richiami alla tematica oggetto della mostra completano il percorso espositivo.


PICASSO E LA MODERNITà SPAGNOLA 20 settembre 2014 25 gennaio 2014 FIRENZE Palazzo Strozzi

F

ondazione Strozzi e Museo Reina Sofia insieme appassionatamente. Causa gradita del connubio è la mostra fiorentina dedicata a colui che ha rivoluzionato l’arte nel XX secolo: Pablo Picas-

TUTANKHAMON CARAVAGGIO VAN GOGH 24 dicembre 2014 2 giugno 2015 Vicenza Basilica Palladiana

C

repuscolo, notte, alba generano sentimenti contrastanti nell’animo umano, ma il genio creativo dell’artista riesce a cogliere aspetti squisitamente poetici nell’eterno alternarsi tra letargo e risveglio del

so. L’evento illustra l’influenza del sommo pittore sui conterranei Maria Blanchard, Salvador Dalì, Julio González, Juan Gris, Joan Miró, le cui opere si confrontono sulle tematiche che accomunano questi grandi nomi. Erotismo inteso quale desiderio finalizzato alla creazione; contemplazione sulle dimensioni reale e surreale; partecipazione vissuta alle vicende storiche hanno determinato genocidi e distruzioni; aspetti inquietanti dell’animo umano esternati attraverso il volto. Sono tematiche care a Picasso e ai menzionati colleghi, come dimostrano le novanta opere in mostra. Una ripresa cinematografica, disegni, sculture, dipinti lasciano la prestigiosa istituzione madrilena per essere apprezzati dal pubblico italiano e tra essi menzioniamo gli schizzi preparatori del celebre Guernica. Novità, inediti capolavori affollano le stanze espositive, basti menzionare Siurana e il sentiero di Miró oppure Ritratto di Dora Maar, Testa di cavallo, Il pittore e la modella realizzati da Picasso. Cosa aspettate? Picasso & Company vi aspettano.

creato. Questa dimensione temporale incarna il mistero con tutto il suo carico simbolico, egregiamente rappresentato da mano umana attraverso autentici capolavori spazianti dalla pittura alla scultura, la cui ispirazione evidenzia un sentimento di vero amore. Il sole al tramonto irradia delicate sfumature giallo-arancione, l’alba brilla di una luce nuova e pura, di notte un manto blu intenso cosparso dall’argenteo luccichio stellare avvolge madre natura dormiente, lasciando presagire il risveglio oltre il sonno terreno e post mortem: come rimanere inermi di fronte a cotanta meraviglia? Così la Basilica Palladiana ospita 80 opere omaggianti l’antitesi della luce nel suo aspetto squisitamente emotivo, ne sono degna rappresentanza il corredo funebre appartenuto alla regina Hetherphes ed il volto del celebre Tutankhamon, dipinti di Tiziano, Lotto, Tintoretto, Caravaggio, Correggio, Carracci, Rubens, El Greco, Zurbaran, Rembrandt, Magnasco, Canaletto, Guardi, Church, Hopper, Corot, Courbet, Manet, Cézanne, Monet, Gauguin, Van Gogh, Matisse e altri grandissimi nomi.

37


T

cartolinA

Wine & Food Turismo Made in Veneto e Trentino

sopra: Val di Fiemme, foto Giacometti 1. Albola Zonin, bottiglie storiche 2. Vigneti in autunno Rua di Feletto, Valdobbiadene

2

A

Carmelo De Luca e Carlo Ciappina

1

manti del turismo enogastronomico si va in Veneto, destinazione Conegliano-Valdobbiadene, territorio costellato da romantici borghi, scenografiche cattedrali, arcigni castelli, sontuose residenze d’epoca, vigneti che si inerpicano a filari sino a Cartizze, insomma un paradiso legato al famoso prosecco apprezzato nel mondo. D'estate, sinuose colline ospitano vanitosi grappoli di uva color oro, mentre in autunno il ricco fogliame si veste di tinte accese e crea un tappeto variopinto, sul quale sono impresse storia, quotidianità, tradizioni legate alle effervescenti bollicine il cui profumo impregna luoghi, cose, persone. Un percorso suggestivo, per l’appunto chiamato Strada del Prosecco e Vini, valorizza rilevanze storico-artistiche locali, ambienti, gastronomia fatta di funghi, castagne, erbe commestibili, salumi, carni allo spiedo, formaggi, miele, grappe. è rilassante smarrirsi a Conegliano, Pieve di Soligo, Vittorio Veneto, Valdobbiadene o nei rimanenti abitati consortili dall’architettura scenografica; oppure sollazzarsi tra le acque termali presenti in loco, magari sorseggiando un buon bianco servito in flute! D’altra parte, come resistere al prosecco dal profumo richiamante essenze floreali e fruttate, tenue nel suo color paglia, moderatamente corposo, prodotto nei 15 comuni? Eccellenza DOCG, il Conegliano Valdobbiadene vanta la versione spumante, frizzante, tranquillo, senza dimenticare gli aristocratici cru, autentici gioielli denominati Superiore di Cartizze e Rive, adatti per un'utenza esperta, esigente, raffinata. L’autoctono vitigno Glera all’85%, con preziose intrusioni denominate Bian-

chetta, Verdiso, Perera, genera questo nettare grazie al metodo ideato da Antonio Carpené, sottoposto al rigido protocollo sul quale vigila il rinomato Consorzio di Tutela con sede a Pieve di Soligo. Rimanendo in tema, agli amanti della serenissima Repubblica, che fu dogale, si consiglia lo sconfinamento nella provincia vicentina lungo la Strada del Recioto e Vini Gambellara DOC; qui la natura incontaminata e l’uomo hanno creato un habitat scenografico pullulante di declivi con vigne rigogliose, ville patrizie da capogiro, edifici religiosi custodenti preziosi dipinti ed arredi sacri, porticati, palazzi storici. Ne sono degna conferma le cittadine di Gambellara, Montebello, Zermeghedo, Montorso con la sua palladiana Villa Da Porto Barbaran. L’aureo color paglierino rappresenta il fiore all’occhiello tra la vasta produzione vinicola locale, nella quale il nobile Recioto eccelle grazie alle uve Garganega, tonalità dorate, profumo di frutta passita e vaniglia, sapore

38

persistente. Ma non sottovalutate la versione spumante, decisamente fresca, fruttata, mineralizzata. Questi nobili vini sono protetti dal Consorzio Tutela Vini Gambellara con sede nel settecentesco Palazzo Cera. Rimanendo nelle vicinanze, si consiglia una visita alla Casa Vinicola Zonin, vanto italico nel mondo, che custodisce memorie familiari, calici di Murano, proclami, francobolli enologici, artistici cavatappi. Tenute locali - 9 dislocate lungo lo Stivale ed una made in USA - producono ottime bottiglie attente al territorio, clima, sinergia tra tradizione e modernità grazie a un team di esperti. Parola d’ordine in Casa Zonin è ospitalità, coordinata presso la storica sede di Gambellara, che si materializza nella ricca cantina con botti e barriques dai segreti legati ai rossi, al celebre Recioto, ai bianchi; nella moderna enoteca dove degustare vini, grappe, oli sotto l’occhio vigile del sommelier pronto a elargire consigli sugli accostamenti gastronomici;


6

3

nelle visite al percorso espositivo, nel tour di vigne e cantine, negli spazi attrezzati per convention, riunioni, meeting. Naturalmente i luoghi sinora descritti riservano una ottima gastronomia che vanta, oltre ai rinomati insaccati, formaggi, asparagi, olio extravergine DOP, miele di fiori, melata, gustosissime ricette chiamate Baccalà alla vicentina da accompagnare con polenta di mais Marano, capretto di Gambellara in costa d’oro o allo spiedo, Brasadelo (gustoso ciambellone fatto con fior di farina, latte, uova e mandorle). Bene, ora si va in quota per condividere le tradizioni secolari di Asiago 7 Comuni con l’alpeggio, il cui formaggio DOP ne rappresenta il prodotto principe, attività agricola richiestissima dai giovani ricercanti una dimensione al naturale e presidio conservativo per un territorio affascinante ma delicato. Le malghe presenti sul territorio, comprendente Asiago, Conco, Enogo, Foza, Gallio, Lusiana, Roana, Rotzo, occupano addetti alla produzione casearia ed indotto turistico-ristorativo, che stanno vivendo un secondo rinascimento sostenuto dall’intraprendente Consorzio Tutela Formaggio. Questa 4

5

7

realtà locale suggerisce un mondo bucolico costellato da pascoli estivi con suggestive casette in pietra o legno provviste di stalla e casera per la lavorazione del latte. In autunno il paesaggio si tinge di colori forti, spazianti dal verde delle vegetazione aghiforme al giallo accecante, dal beige delicato al marrone intenso delle foglie a pianta larga. Insomma un bel dipinto impressionista nel quale ridenti montagne, paesini d’altri tempi, torrenti cristallini potranno essere ammirati da numerosi punti ristoro, magari gustando gnocchi di patata, prajo (zuppa d'orzo), carne secca, speck, sopressa, crauti, misto d'erbe selvatiche chiamato Kraut, dolci con frutta secca o di bosco, distillati, miele prodotto dalle fioriture alpine, zafferano profumatissimo. Le vicine alture trentine consentono al turista di raffrontare le malghe cugine sopra le valli di Fiemme e Fassa, leggendarie strade della pastorizia e agli inebrianti profumi della cremosa panna fresca, burro, formaggi eccellenti. Si consiglia una sosta presso il ristorante Malga Panna di Moena, cucina locale sapientemente riveduta nelle squisitissime portate: uovo fritto in crosta di polenta, tortelli di pollo ruspante, maialino con patate e cipolle fondenti, pesce di lago, selvaggina, impreziositi dai mieli Thun, spezie, agrumi. Verde e fiori cangianti con le stagioni conferiscono al territorio connotazioni ineguagliabili apprezzate dai numerosi turisti desiderosi di soggiornare presso una malga che ancor oggi, grazie alla varietà floristica dei prati, fornisce latte profumato e

squisiti formaggi a crosta lavata. Gli increduli potranno dissipare ogni dubbio presso il Caseificio Sociale Val di Fassa, mentre yogurt, ricotta, burro fanno da padroni nella Malga Contrin, amorevolmente circondata dalla Marmolada, Gran Vernel, Col Ombretta, la cui struttura principale è attrezzata per lauti spuntini dedicati alla variegata cucina montana. Brindare al gustoso pasto ci pensa il Trentodoc, pioniere nella spumantistica italiana grazie all'operato del leggendario Giulio Ferrari, creato dal metodo classico che, tra l'altro, vanta il remuage consistente nella rotazione manuale della bottiglia a riposo sui cavalletti in legno. Sorvegliate speciali dell'istituto Trentodoc, le preziose bollicine sono intrise di un profumo intenso, perlage denso, colore paglia, nate da uve Chadonnay, Pinot nero, bianco o menieur. I cultori del nobile prodotto potranno soddisfare naso e palato presso la fornitissima Enoteca Provinciale. Allora, non resta che augurarvi buon viaggio e bon appétit! 8

9

39

3. Uve Garganega di Gambellara 4. Formaggio Asiago 5. Malga Larici 6. Portamanazzo, Asiago 7. Malga Sasso Piatto, Archivio Apt Fassa 8. Prodotti tipici Consorzio Gambarella 9. Vigneti Trentodoc


Š www.ctedizioni.it

Analisi chimiche Igiene ambientale

Consulenza alle imprese

Agenzia formativa

Labostudio S.r.l. Via del Bosco, 71 - 56029 - Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571.33313 - Fax 0571.34572 www.labostudio.it - labostudio@labostudio.it

40


Venezia

CARTOLINA

T

tra romantismo e decadenza

T

utto ciò che mi circonda è pieno di nobiltà, è l’opera grandiosa e veneranda di forze umane riunite, è un monumento maestoso non di solo principe, ma di tutto un popolo… con queste

magiche parole Goethe nel romanzo Viaggio in Italia (1816) descrive univocamente Venezia in tutto il suo splendore. La laguna veneta sorge intorno all’800 a.C. da un precedente ambiente fluvio-palustre, per essere dominata nel corso dei secoli prima dai Romani, poi dai Longobardi e divenire una delle Repubbliche marinare insieme a Genova, Pisa e Amalfi. All’apice della sua potenza, Venezia (soprannominata la “Serenissima”), nel XIII secolo dominava gran parte delle coste dell’Adriatico e il suo stemma, il leone presenziava ovunque, come simbolo del suo dominio. Nel XVIII secolo essa fu tra le città più raffinate d’Europa, influenzando enormemente l’arte, l’architettura e la letteratura dell’epoca; infatti, molti scrittori esponenti del Romanticismo (tra cui appunto Goethe) la resero protagonista dei loro celebri romanzi (ricordiamo, in particolare, Morte a Venezia di Thomas Mann); ma non solo, tra i veneziani più conosciuti ci sono Marco Polo, autore del Milione, Carlo Goldoni, tra i principali autori della commedia dialettale e Giacomo Casanova. Lo stesso Claude Monet, celebre pittore francese “impressionista”, non seppe resistere al fascino lagunare, e fra il 1800 e il 1900 immortalò più volte Venezia, il Palazzo Ducale e i suoi meravigliosi canali alle luci dell’alba e del tramonto per riprodurne i colori in modo che fossero il più vicino possibile alla realtà. Ma questi secoli di onnipotenza si trasformarono ben presto nel declino

41

dell’impero veneziano: una serie di avvenimenti storici, tra cui l’avvento della prima guerra mondiale e i numerosi attacchi aerei subiti da parte dell’Austria, che causarono svariati danni alla città, ne sottolinearono il lato decadente. Piazza San Marco e i palazzi storici, in mezzo alle macerie della guerra, mostrarono il doppio aspetto dell’immagine di Venezia, romantica e decadente al tempo stesso. Grazie alle sue caratteristiche ambientali e al suo passato storico, la città di Venezia è stata utilizzata come sfondo di innumerevoli pellicole cinematografiche ed è sede di un prestigioso Festival del cinema che si tiene ogni anno tra la fine di agosto e l’inizio di settembre all’interno dell’evento culturale più importante, ossia la “Biennale”, che comprende varie esposizioni d’arte. Tra gli eventi folcloristici è impossibile non annoverare il celebre Carnevale, tra i più antichi al mondo, e famoso per le sue particolari maschere interamente fatte a mano, le quali si fondono magicamente con l’atmosfera misteriosa del luogo, creando un mix sensazionale.

Luvi Alderighi


PER LA TOSCANA CHE SOGNA. CON UN PICCOLO PRESTITO SI PUO’ FARE TANTO. PARLACI DEI TUOI SOGNI E DI COME VORRESTI REALIZZARLI. TI AIUTEREMO A SCEGLIERE LA SOLUZIONE PIU’ ADATTA PER TE.

Devi ampliare casa, acquistare mobili, farti un regalo? Parlane con noi, realizzare il tuo sogno sarà più facile di quel che pensi. Abbiamo a cuore il futuro della Toscana. Dal 1830.

POSSO

IL PRESTITO FACILE

Messaggio pubblicitario con finalità promozionale che presenta il prestito personale erogato da Agos Ducato S.p.A. Per conoscerlo meglio basta recarsi in filiale dove sono disponibili il "Modulo informazioni europee di base sul credito ai consumatori" (SECCI) e copia del testo contrattuale. La richiesta del prestito è soggetta all’approvazione di AGOS DUCATO SpA.

Prestito erogato da


storia

Pubblicani et equites il sistema tributario prima di Cristo

N

el mondo romano del primo secolo avanti Cristo la riscossione dei tributi, cui erano assoggettati i popoli delle province, ad esclusione quindi dei popoli italici, era appaltata alle società dei pubblicani. I pubblicani anticipavano allo Stato le somme pattuite col Senato per poi recuperarle maggiorate dell’aggio, che poteva essere molto elevato, arrivando anche al 45%. La riscossione si avvantaggiava dell’indeterminatezza con cui erano stabiliti i tributi. I pubblicani erano organizzati in collegi e per l’entità delle somme gestite costituivano un ordine molto potente. Ogni cinque anni erano controllati dai Censori. Dalla riscossione i pubblicani dovevano ricavare non solo la cifra fissata nell’appalto pubblico da versare all’erario, ma anche la tangente per i censori che avevano fornito l’attribuzione dell’appalto stesso, la tangente per il governatore romano della provincia, quella per i vari funzionari romani, appostati sui vari punti di transito obbligato dall’iter burocratico della riscossione, nonché un ulteriore profitto per gli stessi pubblicani da aggiungere a quello legale previsto dal contratto di appalto. è verosimile che la pressione fiscale aumentasse illecitamente nei modi più imprevedibili e fantasiosi, tanto più ingiusti e sopraffattori, in quanto sottratti a ogni controllo o contestazione. I pubblicani erano dunque malvisti, perché considerati collaboratori del governo d’occupazione romano. La loro cattiva fama era spesso peggiorata dal fatto che adoperavano le ingenti somme che guadagnavano per praticare l’usura. Inoltre, essendo molto ricchi, si abbandonavano spesso a lussi esagerati, abusi e nefandezze. Più volte citati

nei Vangeli, i pubblicani convertiti alla fede furono Matteo, apostolo ed evangelista, chiamato da Gesù quando si trovava dietro al banco delle imposte, e Zaccheo, capo dei pubblicani di Gerico. Nella Storia l’insofferenza contro le sopraffazioni perpetrate dal potere politico-amministrativo ha spesso tenuto il posto di una vera e propria ideologia. Denunciare ai tribunali romani le malversazioni perpetrate in provincia equivaleva più o meno a farsi prendere in giro, a vedersi denegare giustizia non senza una punta di sarcasmo. Le giurie dell’Urbe erano composte da Equites, cioè dagli amministratori delegati dalle società pubblicane incaricate della riscossione dei tributi. Fino al II secolo a.C. la principale divisione sociale romana era fra patrizi e plebei. Nel 123 a.C. la Lex Sempronia, introdotta da Gaio Sempronio Gracco, introduceva tra le due una terza classe, l’Ordo Equestris. La predetta legge stabiliva che i giudici dovevano essere scelti tra i cittadini del censo equestre, avere un’età fra i 30 e i 60 anni, essere o anche essere stati cavalieri (Equites), o comunque avere il denaro per acquistare e mantenere un cavallo, non essere senatori. Il termine Equites, perciò, dall’iniziale identificazione dei soldati a cavallo, passò a identificare coloro che avevano la possibilità di essere nominati giudici. Nell’80 a.C. la Lex Aurelia di Silla proibì agli Equites di diventare giudici, per cui nella tarda età repubblicana il mestiere naturale degli Equites divenne quello dei Pubblicani. Cicerone parla di Pubblicani e di Equites come se fossero sinonimi. Durante il consolato di Cicerone, gli Equites ebbero parte attiva nel sopprimere la congiura di Catilina, acquistando an-

43

cora maggior potere. Infatti, Catilina Fernando Prattichizzo si era guadagnato l’appoggio della plebe e degli schiavi promettendo una redistribuzione della ricchezza ed emanando addirittura un editto per la remissione dei debiti. In quel periodo la Repubblica Romana visse una gravissima separazione della società dalle istituzioni. La massa dei contribuenti, tartassati e umiliati dal disordine politico, era senza una vera rappresentanza politica. Accusato di congiura da Cicerone, Catilina fuggì in Etruria e radunò i suoi uomini intorno a Fiesole. Intercettato dall’esercito romano al comando di Marco Petreio nei pressi dell’odierna Pistoia, nella piana denominata Ager Pisternensis, Catilina morì in battaglia, insieme ai suoi 20.000 soldati nel 62 a.C.. I suoi resti furono gettati in un fiume, mentre la sua testa fu portata a Roma. L’oligarchia senatoriale degli optimates allontanava il pericolo che poi rappresenterà per Roma la parola Roma, Palazzo Madama: di Cristo, similmente condannato a Cicerone denuncia Catilina morte e crocifisso 95 anni dopo. affresco di Cesare Maccari

T


T

storia

a bordo del granducale Robert Dudley e il vittorioso San Giovanni Battista Paola Ircani Menichini

1. Il frontespizio dell'Arcano del mare di Robert Dudley, incisioni di Anton Francesco Lucini.

N

ella seconda metà del Cinquecento e nella prima metà del Seicento il granducato di Toscana ebbe a disposizione un’importante flotta navale, che affidò all’Ordine Militare dei Cavalieri di Santo Stefano e che navigò nel Mediterraneo compiendo comuni scambi commerciali con i porti rivieraschi, cioè sbarcando prodotti tessili delle fabbriche dello stato, le cosiddette «pannine» e caricando merci da importazione; oppure praticando un’attività non secondaria, ovvero la guerra di corsa (pirateria) contro i navigli o le città costiere ottomane. Di stanza a Livorno, la flotta era composta da galere, galeoni e da altre navi di diverse dimensioni, in genere armate e affidate a capitani e a equipaggi militari e marinareschi. La ciurma addetta ai remi invece era formata da schiavi che potevano essere turchi catturati durante le battaglie o le incursioni, delinquenti condannati al lavoro forzato (ladri, stupratori e altri) o volontari pagati detti «buonavoglia».

2. Robert Dudley, conte di Warwick, 1590, incisione da un ritratto di Nicholas Hilliard, da: http:// en.wikipedia.org/wiki/ Robert_Dudley_(explorer). 3. L'autore dell'incisione è F. Zucchi (1692-1764) 4. Vessillo di Alì Pascià catturato durante la battaglia di Lepanto (1571), Pisa, chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano. 5. Un disegno dell'Arcano del mare, da: www. stgeorges-windsor.org, fotografo Doug Harding; copyright: The Dean and Canons of Windsor 6. Il San Giovanni Battista, in versione modellino.

La flotta fu rafforzata nel primo decennio del Seicento dal granduca Ferdinando I che si avvalse dell’opera di un inglese, Robert Dudley conte di Warwick (1574-1649), esperto navigatore e matematico. Lasciata l’Inghilterra nel 1605, il Dudley si stabilì a Firenze, convertendosi al cattolicesimo e risposandosi con una connazionale. Importante e fruttuosa fu la sua opera a Livorno e nei cantieri di Pisa, nei quali tra 1607 e 1608 fece costruire degli innovativi vascelli da guerra. Uno di questi fu il galeone o rambargio San Giovanni Battista, da lui disegnato in «seconda simetria» (le simetrie erano progetti di navi), attrezzato a «vela quadra e remo» e varato il 20 maggio marzo del 1608. Stazzava 600 tonnellate e aveva 64 cannoni. Altri suoi progetti invece riguardarono galere a vela veloci («galerate»), che pescando poco e stringendo meglio il vento superavano in velocità quelle a remo, ma che in maggior parte furono subito poste in disarmo perché troppo sperimentali per l’epoca. Dudley tuttavia illustrò le sue invenzioni, realizzate o meno, in due opere delle quali la più famosa, vera «summa» di scienza nautica, fu l’Arcano del mare, pubblicato a Firenze nel 1646-471. Del rambagio San Giovanni Battista parlano diversi documenti del Fondo Mediceo del Principato conservato all’Archivio di Stato di Firenze. Uno dei più interessanti è una lettera inviata da Livorno il 15 gennaio 16142, da parte di Alfonso Broccardi. Responsabile dell’allestimento della flotta, il quale si affiancava al governatore Antonio Martelli e all'ammiraglio delle galere, un volterrano di grande intelligenza e coraggio, il

1.

44

2.

cavaliere di Santo Stefano Iacopo Inghirami. Nel documento il Broccardi riporta la composizione dell’equipaggio per compiti e responsabilità. Il rambargio dunque ospitava un piloto3, un compagno di piloto, un nocchiero4, un compagno di nocchiero, un guardiano5, un compagno di guardiano, 8 consiglieri, 2 calafati6, un aiutante di calafato, 2 maestri d’asce, un aiutante di maestro d’asce, due bottari7, uno scrivano almeno, un fisicho8, 2 barbieri, un cappellano, un pennese9, un aiutante di pennese, 3 scalchi10 con due altri uomini, un aguzzino11, un sotto aguzzino, 40 bombardieri almeno, 6 aiutanti, 4 capi di guardia, 8 timonieri12, 90 marinai, 6 mozzi, totale 190 persone. Della ciurma addetta ai remi invece non esiste


3.

documento che ne riporti i compiti o la disposizione. L’11 ottobre 1608 il San Giovanni Battista assieme ad altri due galeoni (compreso il non meno celebre Livorno), più tre navi e due bertoni13, comandati tutti dal cavaliere Guglielmo Guadagni di Beauregard, ingaggiò una epica battaglia contro gli ottomani nello specchio di mare tra Capo Celidonio e Rodi nel mar Mediterraneo. Nonostante l’inferiorità numerica le otto navi piombarono addosso a una carovana turca composta di 42 vascelli, tra i quali quattro galeoni, 22 germe14

di grande tonnellaggio e caramussali15 di buona qualità. I galeoni e le germe erano armati di artiglierie e si difesero, ma le navi granducali coraggiosamente sostennero la lunga battaglia che terminò con il riuscito arrembaggio da parte dei marinai toscani. Il successo del San Giovanni Battista e della piccola squadra fruttò un bottino di circa un milione di ducati, su stima dello stesso Ferdinando I, e fu annoverato tra le imprese più famose delle guerre corsare, tanto da essere disegnato, su riferimenti del Guadagni e di altri, anche dal Dudley in un suo

volume manoscritto oggi conservato al British Museum di Londra.

6.

4.

5.

45

Note 1 Notizie sul San Giovanni Battista in G. Guarnieri, I Cavalieri di Santo Stefano, Pisa 1966; C. Ciano, I primi Medici e il mare, Pisa 1984. 2 Archivio di Stato di Firenze, «Mediceo del Principato», 1316, c. 354. 3 piloto = timoniere, navigatore esperto nella conoscenza dei fondali. Calcolava e tracciava la rotta e sorvegliava che la nave procedesse correttamente. 4 nocchiero = preposto alla direzione e alla manovra della nave, simile all’ufficiale di vascello o meglio di rotta. 5 guardiano = custode della nave. 6 calafato = operaio che con catrame, stoppa e altro rende impermeabile all’acqua il fasciame di legno. 7 bottaro = fabbricante di botti. 8 fisico = medico. 9 pennese = marinaio di prua addetto alla custodia del materiale di riserva di bordo, in particolare delle vettovaglie per la ciurma. 10 scalco = addetto a servire e tranciare le vivande. 11 aguzzino = sorvegliante con facoltà di punizione dei condannati ai lavori forzati della galera. 12 timoniere = addetto alla manovra del timone. 13 bertone = bastimento tondo, con tre alberi di vela quadra, e alloggiamenti altissimi a scaglioni rientranti, reggente al mare da 500 a 10000 tonnellate. 14 germa = larga nave mercantile con quattro vele. 15 caramussale = vascello turco a tre alberi, slanciato e dotato di coperta e di alto cassero.


L

lo scaffale del poeta

poesia in esilio Paolo Pianigiani

Jan Vladislav Q

uesta volta vi racconto di un poeta che ho avuto la fortuna di conoscere: Jan Vladislav. Jan è scomparso nel 2009, nella sua Praga. Nel 2004 lo incontrai per la prima volta e fu un incontro di quelli che non si dimenticano. Mi concesse una lunga intervista, pubblicata su “Cartevive”, Anno XVI, n. 1 (37), giugno 2005. Si parlò della sua traduzione dei Canti Orfici di Dino Campana. Eccone alcune parti.

Jan, come hai conosciuto Dino Campana? Intanto ti dico subito che Dino Campana è fra i miei poeti preferiti. Quando ho deciso di tradurre i Canti Orfici non avevo riferimenti di altre traduzioni, sapevo di essere il primo ad avventurarmi in quella impresa. Ho letto le prime notizie su Campana nella Storia della Letteratura Italiana di Francesco Flora, in quattro volumi, nel 1942, nella Biblioteca Nazionale di Praga. In questo libro Campana viene avvicinato ai due maggiori poeti italiani contemporanei, Montale e Ungaretti, che poi ho avuto la fortuna di conoscere. Ho anche tradotto, in lingua ceca, alcune delle loro opere. Ho visto le prime poesie del poeta di Marradi sull’Antologia della Poesia Italiana Contemporanea, dello Spagnoletti, nel 1960. I Canti Orfici, che ho letto nella edizione del 1962, quella curata dal Falqui, mi hanno colpito subito per la loro novità, per le immagini allucinate, per le visioni, per il ritmo dei versi e delle brevi prose. Sei uno dei maggiori traduttori del tuo paese, oltre che poeta e saggista. Hai tradotto i sonetti di Shakespeare, le poesie di Verlaine, Butor, i classici italiani... Come ti sei avvicinato alla poesia? La poesia fa parte della mia vita. Quando avevo 11 anni mi è capitata fra le mani una rivista che conteneva corsi di tre lingue diverse. Da lì, probabilmente, è nato il mio interesse per la traduzione. Portare ai lettori del mio paese poesie e romanzi scritti da scrittori lontani: questa è stata la mia, difficile, missione. Ho sempre letto poesia, in particolare tedesca e francese. I francesi

46

erano molto letti, ai miei tempi, in particolare Rimbaud e Verlaine, naturalmente, ma anche Apollinaire, che aveva vissuto a Praga. La lingua italiana l’ho imparata da solo, quando lavoravo come assistente in una biblioteca. C’era un solo libro in lingua italiana, il Canzoniere del Petrarca. Ho cominciato ad imparare l’italiano su quel libro. Inoltre, come scrittore non allineato, l’attività di traduttore era la sola che poteva consentirmi di lavorare. La censura era più tollerante verso le mie traduzioni, che verso i testi originali. Almeno finché non mi hanno impedito di pubblicare, dal 1970 in poi, anche le traduzioni. Parlami della pubblicazione dei Canti Orfici a Praga, in quell’anno che nessuno può dimenticare, il 1968, l’anno dei carri armati. Certamente era un periodo di grande curiosità e interesse per la cultura occidentale, nel mio paese. L’apertura, non solo politica, della Primavera di Praga, permetteva di avvicinare autori in precedenza non permessi dalla censura. Tutto finì, come tu sai, con i carri armati russi. Dopo fu ancora peggio. La piccola edizione in lingua ceca dei Canti Orfici, Šílený Orfeus (letteralmente: Orfeo Pazzo) uscì nella collana di poesia Květy Poezie della casa editrice praghese Mladá Fronta, in 3.000 copie, che furono esaurite in 2 mesi. Ricordo che ebbi un premio per quella traduzione, dall’editore. Avevo già pronta anche la traduzione di una antologia di Montale, ma dopo l’arrivo dei russi, pubblicare per me era diventato impossibile. È uscita recentemente, nel 2001, a Praga, con il titolo Anglický roh (Il corno inglese).


La memoria delle cose Empedocle d’Agrigento diceva, che il mondo si compone di quattro elementi primordiali, di terra, d’acqua, d’aria e di fuoco. Ma piuttosto aveva ragione un vecchio poeta cinese, quando ha scritto che la primavera si divide in tre parti: la prima parte si trasforma in humus, la seconda parte si trasforma in polvere, la terza in acqua, che scorre. Tu la vedi, l’acqua, che trascina l’humus rosso della sua terra, tu la vedi, l’acqua, che porta via le sabbie bianche del mare, tu la vedi, l’acqua, che leviga i sassi del tuo paese, che attraversa, che scorre nelle vene dei tempi. L’ acqua che scorre si ricorda di tutto: delle lacrime, del sangue, dell’urina dei tuoi padri e delle tue madri,

Jan Vladislav (1923-2009) è stato poeta, saggista e traduttore sopratutto di poesia classica e moderna: Dante, Tasso, Michelangelo, Shakespeare, Ronsard, Rilke, Campana, Ungaretti, Montale, Reverdy, Michaux, Machado, Eliot, oltre che della poesia popolare tedesca, russa, ucraina, rumena, ecc... Ha tradotto dall’italiano anche romanzi, come la Coscienza di Zeno di Svevo, libri di arte, come le Vite del Vasari e testi teatrali, come i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Nato da genitori cechi il 15 gennaio 1923, trascorre la sua infanzia nel paese di Hlohovec nella Slovacchia occidentale. Nell’autunno del 1942, Jan Vladislav si trasferisce a Praga. Durante i primi tre anni del dopoguerra, Jan frequenta la Facoltà di Lettere, prima presso l’Università Carlo, poi a Grenoble in Francia. Pubblica le sue prime raccolte di versi: Il quadro non finito e Il regalo, entrambe nel 1946. Dopo la presa del potere da parte dei comunisti, nel febbraio del 1948, viene espulso dall’Università (potrà laurearsi solo nel 1969). La sua terza raccolta, L’uomo di fuoco, edita in quello stesso anno, viene quasi completamente distrutta. Gli viene ritirato il passaporto. Per esprimersi e per vivere, come altri scrittori non graditi al regime, si dedica al lavoro più discreto della traduzione. La “Primavera di Praga” gli permette di essere integrato fra le istituzioni culturali ufficiali: nel 1969, anno di una straordinaria (e paradossale) libertà

culturale, che ha preceduto il regime della “normalizzazione”, ricopre per sei mesi la carica di redattore capo della rivista “Svetova Literatura” (Letteratura Mondiale), ma ritorna al suo posto di oppositore, con la caduta definitiva di Alexander Dubček e la presa del potere di Gustáv Husák. La sua ferma opposizione alla politica culturale del regime comunista, lo impegna naturalmente in nuove forme di resistenza, in particolare attraverso la pubblicazione di testi suoi e di scrittori che non potevano pubblicare, in tirature limitate e distribuite clandestinamente. Con l’aiuto di Jiří Kolář, fonda infatti nel 1975 la casa editrice Kvart, dove pubblicherà artigianalmente, e spesso in tirature limitate a una quindicina di esemplari, più di centoventi libri (principalmente traduzioni e saggi). È fra i firmatari della Carta 77, atto di nascita della dissidenza organizzata cecoslovacca al regime comunista. Viene sottoposto a ulteriori controlli da parte della polizia, che rendono la sua posizione molto difficile: nel 1981 è costretto all’esilio in Francia, a Sèvres. Le sue opere, proibite in patria, vengono pubblicate dalla casa editrice PmD di Monaco: Frasi, poesie scritte negli anni 60, escono nel 1981, Soliloqui nel 1986 e Sogni e poemi in prosa, nel 1989. Dopo la Rivoluzione di velluto del 1989, ritorna a pubblicare a Praga: nel 1991 escono Libro di poesie, Ritratti e autoritratti e il Diario parigino. Muore a Praga nel 2009.

47

del latte che hanno bevuto loro, che hai bevuto tu, di lei, ogni volta quando nuda si lavava davanti allo specchio, di tutte le fragili membra, di te e della tua morte che arriva. Con ogni tuo sorso, avido, tu la bevi, con ogni tuo respiro, avido, tu ti soffochi, e lei ti porta nella sua memoria, come un fiume solare il suo annegato. Empedocle d’Agrigento dice – ma piuttosto ha ragione Su Tung-p’o, la primavera non è che humus, humus, polvere e acqua che scorre. Da Věty (Frasi), 1962 - 1972, PmD Monaco, 1981. Traduzione di Alena Fialová, in collaborazione con l’Autore.


L

racconto

?

cosa

la

gente

fa

2

Matthew Licht

L

’Esploratore Elegante vive dentro Central Park. È un gentiluomo; ha stile. Porta un elmo coloniale, del tipo che si mettono d’estate i postini. Indossa sempre una giacca di frak e una camicia relativamente bianca, senza cravatta. Si mette invece dei foulard sgargianti, non proprio annodati. I suoi occhiali pendono da una lunga catenina di metallo bianco. Porta i bermuda, e le sue calze bianche non si abbassano mai. Le sue scarpe, anche se consumate, sono sempre lustrate. Ha l’aspetto di un avventuriero della giungla che suona concerti di pianoforte ed è anche professore di entomolgia teoretica. La prima volta che scorsi L’Esploratore Elegante, si stava preparando per la giornata con grande cura, tanta da farmi pensare che appartenesse al mondo dello spettacolo. Era accanto al suo carrello, rosso come un camion dei pompieri, intento a piegare sacchetti di plastica trasparente. Come tutti i viaggiatori scafati, L’Esploratore ha poco bagaglio. A parte i sacchetti, il carrello contiene delle casse di pino non verniciato. Sembra un impianto stereofonico, ma non emette suoni. Il carrello è fornito di fari e lumini posteriori, ma sono lì solo per l’estetica. Il carrello ha cer-

ti vantaggi su un’automobile convenzionale: trova sempre posteggio, niente multe per eccesso di velocità, nessun problema se aumenta il prezzo del carburante. L’Esploratore Elegante gira tutto il giorno per Central Park, spingendo il suo scintillante carrello e osservando le abitudini delle altre creature che vi abitano. L’Esploratore non è una personalità del mondo dello spettacolo; non nel senso tradizionale. L’unica cosa che ha da esibire è se stesso. Ma se stesso è uno spettacolo. L’Esploratore non chiede soldi per farsi ammirare, ma se qualcuno gli porge un dollaro, lo accetta di buon grado, ringrazia cortesemente, lo ripiega con precisione, e lo sistema nel taschino interno della giacca. Ero quasi certo che un altro uomo che vedevo spesso su 8th Avenue e 9th Avenue fosse un ballerino in pensione, un rimasuglio dell’alcione del teatro Vaudeville e del Burlesque. Il Danzerino non era un bel vedere: tozzo, grassoccio, occhiali spessi e unti, capelli bianchi radi e unti, abito marrone sformato e liso. Aveva le gambe storte ed era ricurvo, quasi gobbo, ma a tratti, mentre camminava, scattava fulmineo, esplodeva quasi in complicati passi di danza. Mezza stordita, la gente si fermava per ammirare. Il rumore, il traffico e la confusione di una strada metropolitana sembravano fermarsi; l’unica cosa in movimento era il Danzerino. Si lanciava in furiosi assoli, come gli uccelli si mettono d’improvviso a cantare. Ballava mentre faceva la coda alle poste, o al banco di Smith’s Bar & Grill mentre Brendan il barista gli spillava un’altra birra, o nelle corsie di Victoria’s Supermarket. “Assolutamente più forte di lui,“

48

pensai. “Deve ballare. Non riesce a trattenersi.“ Volevo chiedergli di mostrarmi foto dalla sua carriera, ma più lo vedevo rapito dallo spirito della danza, più era chiaro che il Danzerino non stava veramente ballando. Alcune persone battono le palpebre mentre parlano. Tante persone anziane scuotono di continuo la testa, come se non fossero d’accordo con nulla. Non riescono a smettere. L’Uccello Umano di 8th Avenue indossa sempre la divisa mimetica. Il suo cappello da giungla è ornato di piume nere che probabilmente appartenevano a un corvo, o a diversi corvi. L’Uccello Umano è inverosimilmente bravo a fare il verso ai corvi. Il suo vasto repertorio di richiami comprende falchi, aquile, picchi, gufi e piccioni, ma fisicamente assomiglia di più a un corvo. Ha gli occhi scuri, severi, sempre spalancati, sfavillanti di rimprovero. La gente che gira per il Port Authority Bus Station salta in aria quando L’Uccello Umano si trasforma in un gigantesco corvo gracchiante. Forse intende rifare presente a tutti che una volta c’erano foreste e praterie dove ora sorgono grattacieli. Per arrivare a Coney Island da Manhattan in bicicletta, si può attraversare il ponte di Brooklyn e passare sotto il ponte Verrazzano. Se c’è vento contrario si fa una gran fatica, ma Coney Island è una meta che vale qualsiasi sforzo. Da sempre, gli elegantoni della metropoli fanno il pellegrinaggio verso l’isola dei conigli. Coney è una parola arcaica: vuol dire coniglio, ma anche fesso. Storicamente, erano entrambi molto comuni, sull’isola; ora ci sono solo fessi. Si buttano sulla spiaggia a


guardare le navi che lasciano il porto, sperperano soldi ai Luna Park e alle sale giochi. La folla sul fatiscente pontile è quasi sempre composta da autoctoni. Ragazzi spericolati scavalcano le barriere, si arrampicano sui moli e si tuffano nell’acqua torbida e sporca. A parte i rischi più ovvi, c’è il pericolo di restare agganciati. Pescano in molti dal pontile, visto che non occorre la licenza. L’armamentario dei pescatori di Coney Island spazia da canne con o senza mulinello, fino a spille da balia e lenze attorcigliate attorno a vecchie bottiglie di Coca Cola. Sono molto popolari le gabbie per granchi. La tradizionale esca nella gabbia per granchi è un pezzo di pollo. Niente parti pregiate, come petti o anche, ma punte di ali, colli non spennati, schiene, tutto il più marcio e puzzolente possibile. I granchi odorano la putrefazione e sciamano verso la gabbia che, naturalmente, è una trappola. Si lega la gabbia a una cordicella di nylon e la si butta in mare; affonda piano, giace sul fondale. Non ho mai provato a prendere granchi, quindi non sono sicuro come funziona la fase di cattura. I cacciatori di granchi sentono in qualche modo la preda addentrarsi nella gabbia; forse vibra la corda; oppure hanno un loro particolare tempismo. In ogni caso, tirano su un sacco di orridi granchi. L’acqua è lurida; il fondale è scientificamente descritto come una viscida maionese nera. I granchi di Coney Island ne emergono contaminati e deformi. Nessuno di intelligenza normale mangerebbe questi mostri. Allora perché sono in così tanti a pescarli? Forse vedere quei granchi è come una visita al baraccone dei fenomeni. Una volta erano numerosi, sul lungomare. I fessi ci sciamavano. Una delle cose più malvagie che abbia mai visto fare fu fatta ad un mastodontico granchio di Coney Island. Il ragazzo che l’aveva tirato

su, forse spaventato alla vista del mostro, gli diede un calcio, facendolo slittare lungo il pontile e schiantare contro la ringhiera, dove esplose in una tormenta di sporche chele e gambe. Il ragazzo rise, come stesse guardando un cruento cartone animato in tivù. Raccattò il torace senza gambe né chele, una corazza vivente con occhi neri luccicanti, e lo gettò in mare, dove l’aspettava una lunga agonia in acqua inquinata. Sullo stesso pontile, c’era spesso un vecchiaccio dai lunghi capelli, sempre vestito per uno scottante appuntamento romantico. Gettava di continuo in mare una lunga corda, e poi la riprendeva. Legato alla fune era un amo a tre punte, una specie di àncora arrugginita. Il vecchio era forte e bravo da far paura. Lanciava l’amo quasi fino in Portogallo, poi ritirava la corda come un comico da film muto. «L’esca? L’ho trovata sul pontile una mattina verso l’alba» disse. «Facevo la solita passeggiata mattutina ed eccola lì, come se mi stesse aspettando, o come se qualcuno l’avesse lasciata perché la trovassi. Si potrebbe dire che mi ha agganciato. Quindi andai a Jimmy’s Marine su Neptune Avenue e mi comprai 50 metri di corda resistente all’acqua salata. Giorni di pioggia a parte, vengo sul molo a tentare la sorte.» Quando gli chiesi quali pesci sperava prendere con quell’amo smisurato, rispose che i pesci non gli interessavano affatto. «Voglio agganciare una sirena. Ora, so cosa stai pensando: mi dirai che le sirene non esistono, ma io ne so più di te.» Veramente, non stavo pensando nulla del genere. Le sirene sono una specie diffusa, su Coney Island. C’è un viale che porta il loro nome: Mermaid Avenue. E tutti gli anni c’è la sfilata delle Sirene: ninfe di acqua salata si agghindano in costumi fatti di lische di pesce e rifiuti e si lasciano ammirare dalle folle ululanti.

49

Chiesi al signore se non temeva che la sua esca ferisse qualche povera sirenella. «Di questo non mi preoccupo,» rispose. «Le sirene sono troppo scaltre per cascare all’amo. Voglio solo farle sapere che sono qui, che le sto pensando, sperando che una di loro mi prenda la corda e ci dia uno strattone, così.» Tirò forte sulla corda, poi la ritirò. «Così saprò di averne presa una. Sono intelligenti, ma anche forti. Guarda le possenti code che hanno. Secondo me, ci vorrebbero tre omaccioni per trascinare a riva una sirena. Ma una sirena non si farebbe mai infinocchiare così. Veramente sto pescando alla rovescia. Ciò che spero, e molti mi considerano completamente pazzo per sperare una cosa del genere, è che una sirena dia due, tre strattoni alla mia corda per farmi capire che la devo ritirare e poi...zing! Tira lei, con tutta la sua forza di sirena. Se c’è gente sul pontile, mi vedranno volare per aria e poi splash! piombare in acqua. Crederanno che abbia agganciato una balena, che sia spacciato, bell’e annegato. Ma la mia sirena mi abbraccerà, mi bacerà e mi coprirà coi suoi capelli verdi come l’alga marina per proteggermi dal freddo e per non farmi affogare. Nuoteremo verso Atlantis, dove suo padre Nettuno ci sposerà in un rituale sottomarino. Poi io e la mia sirena vivremo in eterno, felici e contenti nella nostra casetta di corallo, che avrà almeno tre stanze da letto.» C’era una volta sul lungomare di Coney Island un ristorantino di wurstel chiamato Atlantis. Chiesi al Pescatore di sirene se potevo offrirgli un pranzo o perlomeno un caffé. Disse no, grazie. Era l’ora di punta per pescare sirene, e poi non aveva fame, e il caffé lo teneva sveglio la notte, e non va bene perché le ore della notte sono quelle migliori per sognare sirene.


L

RACCONTO

tappo sughero

il di Graziano Bellini Letizia Grazzini

C

osa succede se un tappo di sughero vuol diventare qualcosa che non potrà mai essere? Una candela, per esempio! Succede che lo perdiamo, se qualche amico sincero non gli apre gli occhi in tempo: ecco cosa succede! I fatti sono questi. Tutto iniziò quando un tappo di sughero fu lasciato sopra un mobile, vicino ad una candela accesa, al termine di una festa. La candela di cera color bordeaux brillava di luce propria, emanata dalla fiamma a forma di punta di lancia che partiva dal suo stoppino, ed era elegantemente adagiata dentro

un portacandele di vetro lavorato. Il tappo di sughero, ignaro di vita e scarso di conoscenze (d’altra parte era rimasto per tutta la sua esistenza chiuso in buco stretto e buio, con una massa liquida di sotto e un sigillo impenetrabile in alluminio di sopra), pensò che quell’oggetto, così affascinante, fosse come lui, della sua stessa razza. Erano entrambi di forma cilindrica, entrambi vivevano dentro a un vetro e si trovavano entrambi sopra un mobile. Ciò a lui era bastato per tirare la più sconclusionata delle conclusioni: «Siamo uguali!» Però… «Però… quella luce sopra la testa!

50

Come mai io non ce l’ho?» Beh, quello sarebbe stato un problema da risolvere solo successivamente! La cosa più importante adesso era la decisione che aveva preso: «Voglio essere anch’io un tappo di sughero che brilla di luce propria!» La candela era ignara del folle desiderio che animava il pensiero del suo nuovo vicino, altrimenti lo avrebbe senz’altro disilluso con parole convincenti. Ma a lei, il tappo di sughero, non rivolse nemmeno la parola. Chiese invece consiglio al soggetto più sbagliato che poteva trovare: un tappo di plastica! Il dialogo fu più o meno questo:


«Voglio diventare come quel tappo di sughero colorato che fa luce, vedi quello lì, dentro quel coso di vetro? Come posso fare per avere anch’io la luce, quella sopra la sua testa?” «Guarda nel cassetto, troverai dei piccoli legnetti, si chiamano Stuzzicadenti. Basta che te ne infili uno in testa, poi Accendino ti aiuterà a renderlo luminoso». Era un consiglio perfido alimentato dall’invidia. “Morte ai vecchi tappi di sughero ignoranti! Viva il futuro dei tappi di plastica!“ avrà pensato il derivato dal petrolio. Il tappo di sughero ringraziò di cuore il tappo di plastica per il prezioso aiuto e si mise subito alla ricerca lui si era già voltato per andarsene. Camminava impettito e urlava dentro di sé che non si sarebbe fatto fermare da niente e da nessuno. Aveva vissuto anni nel buio del suo vetro ed ora era sicuro che la sorte di tutti i tappi di sughero, una volta abbandonato il liquido nero e il vetro, fosse quella di accendersi e brillare insieme a tutti gli altri. Arrivò dagli Stuzzicadenti e se ne infilò uno in testa. Dolorante, si avvicinò ad Accendino, il quale si rifiutò di aiutarlo: «Non posso farlo, stupido di un tappo! Ti farei del male e non voglio questa responsabilità sulla coscienza! Sono un oggetto responsabile, io! Non ti aiuterò nel tuo gesto folle. Piuttosto, guarda le cose come stanno: la candela è candela e tu sei sughero! E a noi piaci come sughero.» (…continua…) Foto di Letizia Grazzini degli Stuzzicadenti. Lungo il cammino i suoi pensieri felici gli facevano compagnia: “Finalmente anch’io brillerò, anch’io sarà un vero tappo di sughero che s’illumina!”. Mentre sognava il fatidico momento, fu interrotto dalla voce del Camino: «Piccolo tappo di sughero, non dare retta a quel che ti dice il tappo di plastica: è un oggetto perfido, vuole solo fregarti. Lo Stuzzicadenti ti farà del male e il fuoco ti brucerà, fidati di me. Non puoi accenderti, non sei come lei.» «Perché quel tappo di sughero può illuminarsi ed io no, allora?» s’imputò il tappo di sughero. «Perché lei non è un tappo, è una candela! Il suo corpo è fatto di cera, il suo scopo è accendersi e sciogliersi. Tu non sei come lei!» urlò il Camino. Ma il tappo di sughero ignorò le sue parole e mentre il Camino stava ancora parlando,

51


52


NOVITà EDITORIALI

C

hi uccise Giovanni Gentile, chi furono i mandanti e perché fu ucciso? Non sono tre domande di un ingiallito thriller politico ma ruotano intorno a un evento simbolico cruciale per la storia intellettuale e civile d’Italia. Su quelle tre domande si fonda la ricerca di Luciano Mecacci. Si tratta di un accurato affresco storico e civile, umano e culturale del clima che precedette, accompagnò e seguì l’assassinio di Gentile. Il libro ha vinto il Premio Viareggio Rèpaci 2014 sezione saggistica ed il Premio Acqui Storia 2014 sezione scientifica. Chi vive in Italia è abituato a delitti politici preparati, eseguiti e poi coperti in un’atmosfera acquitrinosa, dove nessuno per certo è innocente, ma un colpevole sicuro non esiste. L’assassinio di Giovanni Gentile in quel freddo aprile del 1944 rimane un cold case diverso da tutti gli altri che una straordinaria indagine, condotta anche su importanti documenti inediti, riapre in modo clamoroso. Tutto, in questa ricostruzione, è perturbante. I moventi, molto meno limpidi o molto più umani di quanto fin qui si creda.

LA ghirlanda fiorentina

di Luciano Mecacci Adelphi

inchiesta

U

thriller

na Firenze in salsa dark, quella degli anni Ottanta, dove le note della musica new wave si fondono con una storia di passioni, delitti e verità nascoste. Nel nuovo attesissimo romanzo, come accadeva in Buio, il personaggio principale torna nella sua città natale dopo molti anni. Le vicende si spostano adesso nella Firenze dei Litfiba e di Antognoni, quella città in forte fermento culturale dove il protagonista Alessio ha trascorso la gioventù e dove adesso si trova a fare i conti con i segreti del proprio passato. La morte di “Lolo” nasconde i misteri più inquietanti: è stata davvero accidentale? O forse è stato ucciso, come sospetta la sua vecchia fiamma Silvia? Una fotografia fuori posto, una melodia che risuona dal passato, un doppio testamento, e ancora lettere ritrovate per caso, musicassette scomparse, amici perduti e segreti pronti a riemergere: qual è veramente il mistero che Alessio deve risolvere?

C

ome distinguere i cibi di qualità, sani e convenienti? Quali sono gli alimenti che curano? Come evitare le trappole del marketing? L’autore ci accompagna in un viaggio affascinante e sorprendente, che si snoda dalle carni ai crostacei, dai supercibi ai germogli, dai cereali alla frutta, dalle alghe fino agli insetti. «Questo libro è nato in mezzo alla campagna, fra i filari delle vigne, nelle stalle, fra gli olivi, su una barca, nei pollai, nei frantoi, nelle cantine, nei campi di grano e in mille altri luoghi. Alla scoperta del cibo è nato da vent’anni di interviste televisive che mi hanno consentito di girare l’Italia e incontrare persone straordinarie. Contadini, pastori, pescatori, allevatori, apicoltori, panettieri, casari, sagge massaie, eccezionali cucinieri e grandi chef stellati Michelin. Per cercare di capire da dove viene, chi l’ha prodotto, quanta fatica è costato e quanto bene o male può recare al nostro corpo e al pianeta in cui viviamo.»

gotico fiorentino

di Giacomo Aloigi

Mauro Pagliai Editore

ALLA SCOPERTA DEL CIBO

di Fabrizio Diolaiuti Prefazione di Beppe Bigazzi Sperling & Kupfer

cucina

T

ratto dall'omonima rubrica condotta da Federica Farini per Radio Bau & Co. (www.radiobau.it) – la webradio del gruppo Finelco interamente dedicata agli animali – il libro si propone di fornire in base ai dodici segni zodiacali formato "pet" il profilo, il carattere e i gusti del quattrozampe del segno, le affinità dell'animale con i 12 segni dello zodiaco dei proprietari umani, il profilo del proprietario umano e i personaggi famosi e storici “pet-friendly” nati sotto ogni segno. Nella sezione "astri & real life" vengono inoltre descritti gli oroscopi di coppia di alcuni artisti italiani insieme al loro animale del cuore. I proventi del libro vanno al Fondo Amici di Paco www.amicidipaco.it, da anni impiegato nella lotta contro il randagismo, a sostegno di canili e gattili italiani.

oroscopo

53

Astrobau & Astromiao

di Federica Farini Paco editore

Angelo Errera

L


S

cinema

Festival di Venezia i film da non perdere nelle sale

Andrea Cianferoni Giampaolo Russo

Al Pacino Il Leone d'Oro Roy Andersson The President

C

alato il sipario sull’edizione 71 della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, a catturare la giuria presieduta dal compositore francese Alexandre Desplat è stato il pittore visionario En duva satt på en gren och funderade på tillvaron (Un piccione seduto su ramo meditava sull’esistenza) del regista svedese Roy Andersson. Ricco di ironia, disegna un’umanità bizzarra, ossessiva, ripetitiva, ma anche terribile e capace di atrocità. Un’opera nella quale troviamo i più tristi venditori ambulanti di articoli per feste, una ballerina di flamenco che palpeggia uno dei suoi studenti, un ex capitano navale che gestisce un salone di parrucchiere, colonialisti che chiudono gli indigeni in un cilindro che gira su un braciere acceso... Il regista svedese, salendo sul palco per ritirare il premio, ha ringraziato Vittorio De Sica, senza il quale non avrebbe fatto cinema, e ha citato Ladri di biciclette: – Tutto il cinema dovrebbe essere così empatico. – Il Leo-

ne d’Argento per la miglior regia è invece andato al russo Andrey Konchalovskiy per Belye nochi pochtalona Alekseya Tryapitsyna (The Postman’s White Nights) storia di un simpatico postino operante in un villaggio sulle rive del lago Kenozero. Per l’Italia trionfa Hungry Hearts di Saverio Costanzo che ottiene entrambe le coppe Volpi, i premi per i migliori attori, andati ai protagonisti del film Adam Driver e Alba Rohrwacher. Ecco di seguito una lista di film più belli e più interessanti, visti per voi al Lido di Venezia, che usciranno nelle sale nelle prossime settimane e mesi. Birdman: la nuova opera di Alejandro González Iñárritu è un film di continui sussulti, girato in modo frenetico e ritmico come se fosse un unico piano sequenza scandito dagli ingressi e uscite degli attori dalle inquadrature e dal palcoscenico. La storia di un attore di blockbuster che vuole rilanciarsi nel mondo della cultura “alta” portando a Broadway un’opera

54

di Raymond Carver. Cast brillantissimo: Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts e Zach Galifianakis. Il giovane favoloso di Mario Martone. Il regista napoletano porta al cinema il primo film interamente dedicato alla vita di Giacomo Leopardi, poeta, intellettuale e filosofo tra i più grandi della nostra Cultura. Dall’infanzia a Recanati fino al suo viaggio a Napoli, Il giovane favoloso è un’opera di lunga durata


Cristiana Capotondi Alba Rohrwacher Milla Jovovich James Franco Riccardo Scamarcio con Abel Ferrara

che mostra il poeta marchigiano nel suo angolo ribelle. Pur con qualche dubbio, il film di Martone porta in dote la più grande interpretazione di Elio Germano e riaccende i riflettori su una figura della Cultura che non può essere lasciata solo ai banchi di scuola. Burying The Ex: Joe Dante, regista dei Gremlins e Piranha, torna al cinema con la penna di Alan Trezza per raccontare uno storia zombie che sembra fatta solo per i nerd ma invece è un grande film per tutti gli amanti dell’horror e della commedia horror. Con la metafora degli zombie racconta una storia d’amore incompatibile e la possessività che uno dei partner può esercitare sull’altro fino quasi a renderlo un “morto vivente”. Non è ancora disponibile la data di uscita. She’s funny that way: il ritorno di Peter Bogdnovich al cinema è entusiasmante. Una commedia sofisticata ed elegante che omaggia più che apertamente Cluny Brown di Lubitsch ed è un racconto brillante sugli equivoci di coppia e le bizzarrie della vita. Italy in a day: rappresenta un’interessante esperimento audiovisivo e sociale che ha coinvolto molti italiani. Il 26 ottobre scorso chiunque tramite web poteva inviare un video a Italy in a day per raccontarsi. Salvatores ha avuto poi il compito di raccogliere il materiale, oltre 44 mila video, e di montarlo ricavandone il film che è arrivato a Venezia. Giulio Andreotti - Il cinema visto da vicino : il critico Tatti Sanguineti racconta Giulio Andreotti e il suo

lavoro per il cinema fin da quando nel 1947 viene nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo spettacolo. In particolare, Sanguineti e Raffaelli, realizzatori del documentario, si soffermano, nella lunga intervista fatta con l’onorevole tra il 2003 e il 2005, sul suo lavoro riguardo la censura cinematografica. Fires on the plain: Shinya Tsukamoto, apprezzato regista nipponico, trasforma e sperimenta ancora il suo stile e stavolta si concentra sugli orrori della guerra. Con la macchina da presa, quasi “soffoca” il suo protagonista con inquadrature strettissime e un montaggio serrato. Fires on the plain è un viaggio-incubo psichedelico e pieni di colori saturi sulla guerra poggiata sul suo orrore. Red Amnesia: l’Oriente ancora protagonista col film di Xiaoshuai Wang. Un thriller

55

paranormale agli inizi che poi svela la sua parte sociale, scoprendo un sottotesto dove la Cina s’interroga sul suo passato politico. La sceneggiatura è un po’ scricchiolante ma il racconto prende una piaga oscura e magnetica per lo spettatore.

Belen Rodriguez Charlotte Gainsbourg, Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve Carlo Verdone Luca Zingaretti


© www.ctedizioni.it

Conceria dal 1973

GENUINE MADE IN ITALY TECNOLOGIE MANGUSTA PELLAMI SRL Viale Antonio Meucci, 6 56029 - Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571 33436 - Fax 0571 381661 tecnologiemangusta@interfree.it www.tecnologiemangusta.com

56


intervista

Bernardo Bertolucci quando il rigore incontra il genio

S

ono traditore senza sensi di colpa poiché se leggo il libro me lo interpreto. Così si definisce il grande regista Bernardo Bertolucci durante l’incontro del premio Gregor Von Rezzori, festival letterario comprendente interviste, letture, confronti tra vari scrittori, nonché avvenimenti teatrali. Questo a Firenze a Palazzo Strozzi, durante il momento dedicato agli ospiti illustri sul tema del valore della lettura. Moravia, quando vedeva le trasposizioni cinematografica diceva: – Filmacci, tutti cambiano, non va bene! – Però quando girai Il conformista non si accorse dei numerosi cambiamenti che avevo inserito! Sorridono le numerose persone sotto i loggiati fiorentini mentre lui prosegue, non senza una punta ironica, affermando che se non ci sono discussioni è come se uno scrittore morisse! è chiaro, gli scontri esistono, è normale che vi siano cambiamenti e questo succede di continuo, anche nelle sceneggiature. Mi permette una domanda scomoda? Vai! Non ha niente a che fare con quello che lei ha detto poc’anzi... Vai! Marlon Brando, l’ha conosciuto bene ed entrambi avete bisogno di poche presentazioni. Sono trascorsi dieci anni dalla sua morte... – arriva la punzecchiatura – è vero che lei si è preso la sua parte di colpa per Ultimo tango a Parigi con la Schneider? Parlo del burro... Ma nooo... c’è sempre stato un gran casino su questo punto! Dunque – e vien fuori il bell’accento emiliano – mi ascolti bene: la colpa era non averglielo detto prima, tutto qui; la scena in sé a parer mio era molto

bella, io la giudico così! Maria, nelle vesti d’attrice, non sapeva quello che sarebbe successo, ed è per questo che si offese molto. E allora perché non gli fu detto? Perché volevo una reazione che non si aspettava per ciò che sarebbe successo. Il mio desiderio era quello di ottenere una cosa immediata e vera. Sì... lei diventò furiosa, ma non tanto per la scena. In parole povere fu un modo per provocare la sua rabbia vera! Più tardi la Scheiner affermò che quel film gli aveva rovinato la carriera... Ma gliela aveva anche creata, prima non era nessuno. Due parole su Marlon Brando. Eh, insomma, due parole su Marlon! Che dire, un uomo molto complesso, incredibilmente attraente; chi lo guardava era come se osservasse una cosa straordinaria... una cosa che si vede una sola volta al mondo. Non faceva parte dell’ordinario. Tutt’altro. Quello che gli era capitato nella vita era stato molto speciale... molto. Rischiò e soffrì tanto, moltissimo, pur avendo avuto anche grandi gioie. Insomma, come succede a tutti... a molti. Era un istintivo? Rifletteva parecchio prima delle scene. Voleva il “gobbo“ su cui leggere la battuta come del resto fanno spesso gli attori che non sono sicuri della loro memoria. Però difficilmente lo guardava... c’era una parola che lo catturava e da lì costruiva la battuta a modo suo. Quindi, vede, un tipo speciale: una identificazione insegnata all’Actor’s Studio. Grazie. Ciak si gira. Bernardo Bertolucci in queste poche parole è come se avesse girato un

57

altro film con l’uomo più carismatico del mondo. Molti bar della “marina“ si chiamano Fronte del Porto. Lui è l’uomo della canottiera capace di trasudare sex-appel da ogni poro della pelle. Marlon dalla fisicità prorompente, bicipiti di ferro e sguardo torvo. Bello, aitante, selvaggio e gran seduttore. Nonostante fama, soldi, l’isola in Polinesia, donne, successo, la vita non gli fu generosa. Trovò infatti guai giudiziari, il figlio Christian accusato d’omicidio, l’altra figlia, la splendida Cheyenne, suicidatasi appena venticinquenne. Lo ricordiamo col codino mentre per Il Padrino rifiuta l’Oscar in segno di protesta contro le discriminazioni verso i pellerossa. Prima di morire era diventato grasso, gonfio e malato. Ci ha lasciato il primo luglio del 2004, ma il ricordo è quello del “bello e dannato”.

Carla Cavicchini

Marlon Brando

S



musica

Signora a chi

al Verdi di Montecatini la Bertè incanta

C

he non sia una signora è più che evidente, come è evidente che non potrebbe mai essere “la ragazza della porta accanto”. Lei è stata e continua a essere una cantante rock ironica e trasgressiva, piena di talento, ma proprio tanto! Con una grinta quasi da far paura a Tina Turner. Lo spettacolo al Verdi di Montecatini Terme è stato magistrale. La “ragazzaccia” è arrivata con adosso il giubbotto, gli occhiali neri che infila e sfila, uno sbuffo di gonna o forse hotpants e stivaletti bassi che sapevano di anfibi. I lunghissimi capelli a ciuffoni anche loro bianchi, Loredana ama esibirli per dare ancor più corpo alla sua figura. Con la sua voce bella e roca dice che riproporrà i suoi 40 anni di carriera. E che carriera! Condita da scandali, amori veri e finti, il matrimonio con Bjorn Borg - per favore non rammentateglielo! - punte isteriche, pause e ancora altro, sino a ritornare sul palco per il rock, suo grande amore. La ricordiamo nel pieno fulgore alla Bussola di Focette, trentasette, forse trentotto anni fa. Il corpo scolpito come una statua, le gambe da infarto e la coda, sì, proprio la coda che lei scodinzolava come una leonessa. Quasi sputava fuoco per la fisicità, come del resto fece anche per Playboy. Anche adesso - sessanta e qualcosa - è ben messa con quegli occhi del Sud pieni di passione, di rancore, occhioni che cercano ancora affetto, dentro i quali trovi il mondo, che lei custodisce ben bene. Ma veniamo allo spettacolo. La magnifica band che l’artista non mancava spesso di presentare ai suoi affecionados proponendoli in tutta la loro forza ed effervescenza. Poi Aida Cooper, splendida con quei toni magnifici che

invadevano il Verdi. Le immagini che si legavano alle canzoni erano belle, scanzonate, ma anche tristi come la guerra tra i Vietcong, le torture, il razzismo, gli uomini di colore che si pestano, si amano, pieni di quel carisma innato fatto di sensualità e irruenza, che trasuda appieno. Piacevole l’immagine di Asia Argento - cavallo di razza pure, lei! - capace di proporre e riproporre il suo bel faccino struccato, impaurito, con e senza parruccone e il video in finale che ci riporta alla Bertè - ma come si somigliano! - mentre sorridono abbracciandosi. Eppoi tutti quegli occhi che arrivavano a frotte: grandi, melanconici, cupi, introspettivi, puri, giocosi, soprattutto rivelatori del nostro carattere e personalità. Non manca il pancione finto che lei ostentava ad un Sanremo adesso vecchiotto, in un balletto avvincente, dimostrando grande estro e bravura. Ecco Mimì, l’amata e odiata sorella Domenica che la cantante di Bagnara Calabra ce la fa vedere da piccolina, insieme a lei, e poi ancora più grande colle belle sopracciglia grandi e scure quand’era diventata “La signora cantante” spesso in tailleur Armani, dal personalissimo timbro. Evviva ancora Mia Martini, grande! Intanto la sorella minore si esibisce per circa tre ore con la potentissima voce mentre il pubblico estasiato... ”Loredana, unica!” oppure “La vera regina del rock”. Nella fascia d’età alquanto variegata - tanti gli over cinquantenni che istintivamente buttano via gli altri trenta - son tutti adrenalinici, si alzano in piedi, urlano, invocano il loro mito e battono le mani al suono di: Il mare d’inverno, Sei bellissima, Dedicato, E la luna bussò e tante altre canzoni ancora - pietre miliari - tra cui gli omaggi a Luigi Tenco e De Andrè.

59

Terminiamo qua, per questo personaggio dalle splendide sonorità reggae, che non si siederà mai, che nello spettacolo Hair anche se ne è passata d’acqua - si mostrò come mamma l’ha fatta suscitando scandali a più non posso, amica di quel mostro sacro che risponde al nome di Renato Zero, e da guest-star per i concerti di Gigi D’Alessio che la porta sempre con sé. Ma noi non ci crediamo: pazza, irriverente, guascona, menefreghista, casinista, tormentata... questo senz’altro, ma anche sensibile, profondamente sensibile come tutti gli esseri che nascono senza affetto attorno.

Carla Cavicchini

S



formazione

sei un'

E

azienda?

Per l’apprendistato scegli Beta.

C

hi siamo Beta nasce dalla collaborazione di 3 Agenzie Formative accreditate in Regione Toscana, con grande esperienza nel mondo della formazione alle imprese: Fo.Ri.Um. Sc di Santa Croce sull'Arno che dal 2000 opera nel campo della formazione delle risorse umane; Consorzio Copernico Scarl, l’agenzia formativa di riferimento della CNA di Pisa; Formatica Srl di Pisa che dal 1998 offre servizi orientati alla formazione e alla certificazione informatica e alle nuove tecnologie.

Cosa Facciamo Beta nasce per offrire alle aziende assistenza e consulenza nell’ambito della formazione professionale degli apprendisti, prevista per legge, mettendo a disposizione l’esperienza pluriennale dei suoi partner. Grazie ai nostri servizi le aziende potranno svolgere la formazione interna dei propri apprendisti facilmente e con la sicurezza di agire in conformità alla normativa vigente. L’assistenza di Beta è mirata: alla formazione del tutor aziendale; a fornire le istruzioni per l’assolvimento degli obblighi previsti per legge;

alla fornitura della modulistica per la gestione delle attività. Le nostre offerte Beta offre tutti i servizi mirati alla gestione degli apprendisti, attraverso: la personalizzazione del Piano Formativo Individuale sulle caratteristiche dell’azienda; la predisposizione della modulistica individuale per la rilevazione delle attività; la verifica periodica del corretto mantenimento della documentazione con check up rapidi. Altri servizi Gestione e progettazione di interventi formativi specifici per l’azienda; Formazione di base e trasversale per apprendisti. Finanziamenti Beta offre gratuitamente la consulenza per la ricerca dei finanziamenti per le aziende che intendono avvalersi di servizi di formazione esterna. Contatti Agenzia Fo.Ri.Um. Sc 0571/360069 e-mail:info@forium.it www.apprendistatotoscana.it

61

Elena Profeti

Tel 0571/360069 Fax 0571/367396 info@forium.it


E

lineapelle

LINEAPELLE Milano uno scampolo di futuro nelle mani dei conciatori toscani

L

Federica Farini

Dopo 28 anni e una lunga trasferta a Bologna, la fiera della pelletteria fa ritorno nel capoluogo della moda con una veste sempre più orientata al futuro: novità manifatturiere e tradizione abbracciano la tecnologia con uno sguardo anche all’ecologia, in sei padiglioni dove il “made-in-Italy” brilla per eccellenza, qualità e crescita anche nelle esportazioni.

ineapelle, primo importante appuntamento per i conciatori in questo autunno 2014, fa il suo ingresso a gamba tesa nei padiglioni di FieraMilano Rho, con 1123 espositori (710 italiani e 413 esteri) e 20 mila compratori da 107 Paesi: brand, calzaturifici, borse e pelletterie pregiate, artigiani del lusso, automotive e arredamento, abbigliamento. Lo sguardo al futuro convince gli addetti ai lavori, confermando fin dal primo giorno un generale positivo auspicio su presenze, attenzione e qualità dei risultati attesi, anche grazie all’anticipazione della data della manifestazione rispetto alle precedenti edizioni bolognesi. L’appuntamento, rinnovato nella sede della capitale del fashion, predispone a un generale rinnovamento anche nelle aspettative, regalando respiri di maggiore internazionalizzazione e convincendo anche nella nuova disposizione dei padiglioni. Unica criticità la concomitanza con la manifestazione Le Cuir, a Parigi, immediatamente

62

successiva a Lineapelle (16, 17 e 18 settembre), che secondo la maggior parte dei conciatori potrebbe portare gli addetti ai lavori a dover scegliere tra i due appuntamenti. Spazio anche ai workshop, con focus su materiali e tecniche di lavorazione, per approfondire e valorizzare la conoscenza della complessità e dell’eccellenza del settore in continua crescita e miglioramento delle risorse. Chiave di volta di Lineapelle le grandi firme, di casa a Milano come capitale del fashion, fondamentale punto di incontro con la clientela più esigente e attenta operante nella fascia alta del mercato. Per i conciatori diventa oggi necessario e vincente mantenersi disponibili e attenti a soddisfare le indicazioni delle griffe – sempre più esigenti sul tipo di prodotto e servizio richiesto – in cambio di ritorno in termini di volumi di produzione, precisione e attenzione nei pagamenti, tutte caratteristiche che rendono vincente per i conciatori il rapporto con questa tipologia di clienti.


Lineapelle come punto di incontro per il dialogo, per l’impegno futuro e per il mantenimento e il miglioramento della qualità del FRANCO DONATI prodotto, che oggi più che mai verte verso la tutela dell’ambienPresidente - Assoconciatori te e dell’etica produttiva. Nelle parole del Presidente di AssoSanta Croce sull’Arno conciatori si evince il rispetto e l’importanza della relazione con le grandi firme, che attraverso il costante flusso tra domanda e offerta mantengono il mercato florido, in un panorama sempre più teso all’internazionalizzazione dell’eccellenza. Perché è vincente il rapporto con le griffe? Le grandi firme possono permettersi budget elevati, fornendo indicazioni precise nella richiesta del prodotto finito, assicurando con i punti vendita monomarca una capillare distribuzione e commercializzazione del prodotto stesso. Da Soho a New York, passando per Amsterdam e Londra, oggi è possibile sapere se l’articolo testato funziona o meno. La velocità di questa catena è garanzia di successo in tempi sempre più veloci. Milano, Bologna e? Lineapelle si confronta. Lineapelle Bologna ha innegabilmente rappresentato una valenza più raccolta, tradizionale e famigliare dell’appuntamento. Il salto a Milano è stato necessario per l’apertura al significato più internazionale della manifestazione stessa. Secondo il Presidente Franco Donati l'appuntamento a Parigi non indebolisce la valenza di Lineapelle: a detta di molti clienti Milano ha una moda più fruibile, maggiormente vendibile e accessibile nelle linee e nei concetti, tendenze meno distanti e concettuali come quelle che invece sembrano caratterizzare maggiormente la moda di Parigi.

SUPERIOR Spa porta avanti come un treno la tradizione di un’azienda familiare nata nel 1962 nel distretto toscano del cuoio: dal 2010 il fatturato passa dai 23 milioni di euro ai 58 milioni nel 2013, con un obiettivo di 70 milioni per la chiusura dell’anno 2014. La costante ricerca della qualità nello sviluppo degli investimenti per la certificazione UNI EN ISO 9001, il restyling della produzione e l’informatizzazione delle linee ha fatto sì che molte maison del lusso italiane e internazionali scelgano Superior, come racconta Stéphanie Héry: da Valentino a Prada, da Louis Vuitton a Céline, da Chanel a Dior. L’approdo alle griffe diventa non solo un vanto, ma una garanzia e un punto di forza per la crescita e il costante miglioramento del prodotto. Il trend di quest’ultimo? Certamente un pellame estremamente naturale, morbidissimo al tatto, al quale attualmente il vintage cede il passo. CARAVEL: L’entusiasmo, l’afflusso di pubblico e le aspettative su Lineapelle appaiono energiche e palpabili all’interno dello stand di Caravel, sempre pieno di occhi e mani attente, desiderose di conoscere le novità che per la collezione primavera estate 2015 vedono protagonisti colori vivaci come il fuxia, il corallo e il turchese, presentati sia su basi classiche con effetto lucido o opaco, sia con effetti degradé dipinti a mano e con contrasti metallizzati e opachi. Il prodotto vincente che ha visto il marchio diventare riferimento nella fornitura di griffe internazionali e dell’industria dell’alta moda (pelletteria, calzature, e abbigliamento) porta avanti anche a Lineapelle la conciatura, rifinizione e commercializzazione di pellame pregiato ed esotico come coccodrillo, alligatore Americano, whip, pitone, karung, tejius, lizard e ayers. AMBASSADOR: Massimiliano Bertini si dichiara contento dell’anticipo dell’appuntamento di Lineapelle, fondamentale per soddisfare le richieste dei propri clienti in una tempistica adeguata. Come partner del panorama conciario internazionale che da oltre 25 anni si occupa di produzione di pelli, croste di vitello e bovine per abbigliamento, calzatura e pelletteria destinate al mercato interno e all’esportazione, è fondamentale oggi assecondare ed eseguire con precisione le richieste sempre più dettagliate e specifiche delle grandi firme. Il prodotto di punta, classico ma sempre richiestissimo è lo scamosciato, che per Lineapelle la fa da padrone nei toni del cotto e del bordeaux. TECNOLOGIE MANGUSTA PELLAMI: Lineapelle come momento di aggregazione “famigliare”, di unione e ritrovo più che di vendita. Per Luca Grasso il significato della fiera è cambiato con i tempi, senza tuttavia perdere la sua importanza fondamentale come momento di scambio e confronto, per mantenere e consolidare il rapporto con i clienti fidelizzati. Se Bologna rappresentava una dimensione più “comoda” per la realtà dei conciatori toscani, per la più facile gestione organizzativa, Milano allarga l’internazionalità per chi come Mangusta

presenta clienti provenienti da Francia, Portogallo, Spagna, Giappone, Korea, Vietnam e oggi acquisire nuovi clienti diventa una vera e propria sfida. Il prodotto più richiesto resta il classico groppone (zona più pregiata per compattezza e omogeneità) conciato al cromo e per la produzione di cinture. Oggi avere come cliente anche solo una grande griffe può assicurare (nel bene o nel male) il business equivalente alla somma di molti clienti più piccoli. L’anticipo di data di Lineapelle non rappresenta per Luca Grasso un fattore di miglioramento: per alcuni clienti la data risulta essere addirittura troppo in anticipo, contro chi, invece, in passato riteneva l’appuntamento troppo tardivo. Ad ognuno il suo, insomma. NUOVA OSBA ITALIA: Secondo l’impressione della Dottoressa Maila Famiglietti, Lineapelle dimostra fin dal primo giorno, rispetto all’anno precedente, un più tangibile interesse e orientamento all’acquisto da parte dei clienti (soprattutto quelli consolidati) in visita allo stand. Ottimistica anche la valutazione dell’organizzazione dei padiglioni e dell’anticipo di data, tutti fattori che sembrano promettere bene nella corsa senza sosta di Nuova Osba, presente anche all’appuntamento parigino di Le Cuir, con l’obiettivo che mira all’acquisizione di nuovi clienti francesi (oltre a quelli consolidati). Curiosità quindi anche alla luce della concomitanza tra le due fiere, con uno sforzo maggiore nell’organizzazione logistica e di campionario, in replica la settimana successiva. Maila Famiglietti illustra l’importanza per Nuova Osba di puntare su di un pellame naturale di alta qualità, frutto della fusione tra know-how tecnologico e tradizione ma anche nel rispetto delle esigenze ambientali. I trend? Pellame classico, liscio e stampe la fanno da padrone con look naturali. Per gli abrasivati vincono effetti di perlature, metallizzati e fantasia. B.C.N.: Entusiasta della location milanese Renzo Lupi, felice dell’accoglienza e dell’organizzazione della capitale del fashion, buone premesse per un altrettanto positivo riscontro sui risultati che si attendono per Lineapelle. Nessuna considerazione specifica in merito all’appuntamento parigino successivo a Lineapelle: meglio attendere i numeri per una corretta valutazione globale della manifestazione. Perno focale il rapporto con le grandi firme – per le quali la zona di Santa Croce diventa un comprensorio di eccellenza e maestria, aspetto che regala valore aggiunto al prodotto e al territorio – nella richiesta di articoli in vitello, vitellino, verniciati, abrasivati. Protagonista assoluta l’alta qualità e l’aspetto non meno importante del naturale. Come interviene la tecnologia in questo contesto, quali sono le prospettive e in che direzione si muove il futuro conciario? La tecnologia diventa il passe-partout sia per il successo che per il progresso, riducendo gli impatti ambientali associati all’intero ciclo produttivo. Già in passato, a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila,

63


Quali sono le aspettative e cosa rappresenta Lineapelle con tutte le novità che quest’anno l’appuntamento porta con sé? Michele Matteoli è ottimista e favorevole alla concomitanza nei padiglioni di FieraMilano Rho tra l’appuntamento di Lineapelle e Unica, fiera di riferimento del settore tessile, di auspicio per future sinergie che potrebbero vedere crescere il ruolo delle concerie toscane. Perno del successo per il futuro sicuramente il rapporto delle concerie toscane con le grandi firme, che stanno cercando di capire come assecondare, approfondire e migliorare il trend di un prodotto di altissima qualità e sempre più “ecosostenibile” (per approdare preparati al 2017, anno in cui la normativa renderà necessarie modifiche sull’impiego di determinate sostanze). Negli ultimi anni si assiste a un aumento degli investimenti finalizzato allo sviluppo di tecniche di colori ad acqua, metal-free e di abbattimento di sostanze volatili.

64

MICHELE MATTEOLI Amministratore Consorzio Conciatori di Ponte a Egola


si è parlato molto di eco-sostenibilità del prodotto: oggi l’obiettivo è capire meglio come arrivarci, cosa fare e cosa non fare più. Gli investimenti delle aziende che possono permettersi un dipartimento di Ricerca e Sviluppo sono fondamentali per migliorare la qualità degli articoli, grazie al controllo costante sulla produzione: affidabilità del marchio uguale successo e risparmio, nell’ottimizzazione dei costi di lavorazione e dei consumi di materie prime ed energia. Il futuro conciario passa attraverso qualità, ambiente e responsabilità sociale. BANCA POPOLARE DI LAJATICO: La banca attenta alla valorizzazione del proprio territorio come perla di eccellenza e tradizione Con l’apertura a fine luglio 2014 a Ponte a Egola della nuova filiale della Banca Popolare di Lajatico, nel cuore del Comprensorio del cuoio toscano, che va ad aggiungersi agli altri sportelli già presenti a Capanne, Santa Croce e San Pierino, si completa il connubio tra territorio, tradizione, arte e finanza.

Perché una nuova filiale della banca e la scelta logistica proprio a Ponte a Egola? Tre sono i punti che il Presidente Enzo Marconcini indica come fondamentali per questa scelta. La prima è il riconoscimento dell’importanza del Palio del Cuoio, manifestazione perno delle concerie, nato alla fine degli anni Ottanta, che va di pari passo con la valorizzazione della concia come attività che oggi più che mai traduce la ricchezza della tradizione da tramandare e trasformare nella nostra contemporaneità. Terzo spunto l’arte del grande pittore, architetto e scultore Lodovico Cardi detto “il Cigoli” (nato a San Miniato nel 1559), scelto dall’architetto Paolo Giannoni e dall’artista Fulvio Leoncini, che hanno collaborato con la Banca per l’allestimento interno delle opere del pittore sul prezioso ruolo della lavorazione del cuoio che da sempre ha arricchito la zona. Fetta di maggioranza dei clienti della Banca Popolare di Lajatico a Ponte a Egola sono ovviamente le concerie, nel rispetto della filosofia che il Presidente Enzo Marconcini sottolinea: una filiale etica, che valorizzi il territorio, le sue ricchezze e le sue eccellenze attraverso le mani di chi le realizza.

È con uno sguardo fiducioso al futuro che si conclude Lineapelle a Milano, con un afflusso positivo già dalla prima giornata, forse complice la curiosità per la nuova location di FieraMilano Rho. Il domani del settore conciario toscano attraverso gli occhi della manifestazione? Internazionalizzazione e abbattimento delle barriere geografiche, incontro e scambio con la clientela già consolidata, scoperta di possibili nuovi scenari (asiatici?) e un treno per l’innovazione che passa necessariamente per l’eco-sostenibilità di un prodotto sempre più green.

SIMONE REMI Presidente Consorzio Pelle al Vegetale

L’attività del Consorzio, nato nel 1994 per volontà di un ristretto gruppo di conciatori toscani, è più che mai attuale nella valorizzazione di quella lavorazione antichissima che mantiene solo estratti di legno per il processo di concia. Le parole chiave? Tempo, maestria e “naturale” per un pellame di alta qualità che si adatta a qualsiasi tipologia produttiva e che impreziosisce con l’uso come prodotto unico e irripetibile. Per il Presidente del Consorzio Simone Remi Lineapelle rappresenta un bacino di incontro: non esiste più la distinzione tra clienti stranieri e italiani, ma solo tra clienti che vogliono mettere al centro la qualità come scelta essenziale per il loro prodotto. Come si pone il Consorzio pelle al vegetale nei confronti del futuro e della tecnologia? “Tecnologia” è una parola di cui spesso si abusa. L’importante è che la ricerca mantenga l’eccellenza e l’unicità della tradizione in un prodotto tanto classico quanto in realtà evoluto. Un esempio? La maestria dei pellami che cambiano colore con la luce e con l’uso che se ne fa.

65



economia

di e con il

Cuoio

Banca Popolare di Lajatico

è

proprio il caso di dire “piccole banche crescono”. Dopo Le Capanne, Santa Croce sull’Arno e San Pierino, l’istituto di credito della cittadina dell’Alta Valdera cresce di un’unità nella zona del Cuoio, allargandosi al territorio di Ponte a Egola. La nuova filiale della Banca Popolare di Lajatico ha sede in piazza G. Rossa, con una struttura che ribadisce l'incontro tra arte e finanza, che ormai contraddistingue tutte le filiali dell'istituto di credito. La costruzione nasce, infatti, dal connubio dei talenti dell'architetto Paolo Giannoni e dell'artista Fulvio Leoncini – pittore e incisore empolese naturalizzato santacrocese, ma di fama internazionale – i quali hanno tratto spunto dal grande pittore manierista Ludovico Cardi detto “Il Cigoli”, miscelando sapientemente con l'attività artigiana di questi luoghi, fiore all'occhiello da preservare, oggi più che mai. «Nonostante siano trascorsi 130 anni dalla sua nascita – ha commentato il presidente Enzo Marconcini – la Banca Popolare di Lajatico ritiene ancora che la divulgazione della cultura, nelle varie forme in cui essa si esprime, al pari dell'espansione economica e della crescita finanziaria, siano state e siano elementi fondamentali per lo

sviluppo del nostro territorio, di coloro che lo abitano e quindi del tessuto economico e sociale.» L'elemento protagonista, sulla scia della recente sede di Santa Croce, è decisamente il cuoio. Lo si trova appena si entra, passando per suggestive immagini di momenti importanti di lavorazione come la scarnatura. Vecchi muri, finestre colorate, pezzi di conceria: i richiami e le suggestioni sono ovunque. A ribadire il concetto, le parole di Giannoni: «Concorrere alla realizzazione di una nuova filiale della Banca Popolare di Lajatico è, per un architetto, oltre che un'opportunità di lavoro, un'occasione stimolante, un'esperienza di per sé interessante, quella di tentare di unire la banca al territorio in cui nasce. Di qua e di là d'Arno la “concia della pelle” è l'attività di tutti o quasi e le concerie, con le loro imponenti architetture, sono presenti ovunque. Nacquero all'inizio dell'Ottocento a ridosso delle case, quasi a voler sottolineare il legame tra la gente e questo lavoro antico.» E rinsaldare il legame con – e tra – la gente è proprio quello che intende fare la Banca Popolare di Lajatico, attraverso la nuova filiale di Ponte a Egola.

67

Margherita Casazza

E


E

SOlidarietà

Z3Mendi 25° raduno: una tremenda voglia di vivere e di solidarietà

Giulia Brugnolino

L

a BMW Z3, evidentemente, non è solo un'auto, ma una vera e propria passione che dal 2003 – data di fondazione – riunisce oltre 1000 persone in un club il cui nome è tutto un programma: Z3Mendi, l'unico del Belpaese ad essere cresciuto e aver fatto parlare di sé nelle pagine di cronaca locale e nazionale. I raduni sono veri e propri eventi nei quali, il divertimento e la gioia di vivere si sposano con l'occasione di fare beneficenza, raccogliendo somme di denaro tra soci e sponsor per aiutare concretamente chi si trova in difficoltà o finanziare realtà di grande importanza sociale. Dal 26 al 28 settembre, in occasione del 25° raduno nazionale, gli Z3Mendi Apuane hanno popolato Lido di Camaiore, Antro del Corchia e Colonnata con la propria vitalità. Gli associati raccontano, infatti, di un'atmosfera goliardica, da gruppo di amici che si conoscono da una vita e che vogliono tornare bambini, sì, anche isolandosi dalla vita quotidiana. Ebbene, le riunioni di questo simpatico club si discostano da quelle classiche, permeandosi dei connotati delle gite fuori porta, per scoprire nuovi luoghi e sapori d'Italia, come il

museo del marmo e la grotta Antro del Corchia, protagonisti della gita di quest'anno. Ma non è tutto: grazie al contributo dei numerosi sostenitori dell'evento, gli appassionati della Z3 sono riusciti ad acquistare un bilirubinometro per l'ospedale pediatrico apuano della Fondazione Gabriele Monasterio di Massa. L'avveniristico strumento è un rilevatore transcutaneo non invasivo. Misura l'ittero nel tessuto sottocutaneo dei neonati con età di gestazione di 24 settimane, che non sono stati sottoposti a trasfusione o fototerapia, permettendo di ottimizzare l'efficienza del programma di trattamento dell'ittero nonché di risparmiare tempo e denaro, garantendo comunque un'assistenza di qualità. L'evento ha avuto, inoltre, il supporto dei motociclisti dell'associazione nazionale polizia di stato della sezione Lombardi di Viareggio, specializzati in servizi di viabilità, scorte a gare di ciclismo, moto ed autoraduni, maratone ed ogni tipo di evento e manifestazione sportiva. Gli Z3Mendi danno ai lettori l'arrivederci al prossimo raduno, augurandosi che sia proficuo almeno quanto quello appena concluso.

68


FORZA LUPI

sport

presentazione squadra pallavolo Santa Croce sull'Arno

I

daco di Santa Croce, Giulia Deidda accompagnata dall’assessore allo sport Piero Conservi e, sono pure intervenuti i sindaci di Fucecchio Alessio Spinelli e di Castelfranco di Sotto Gabriele Toti, oltre a un buon numero di industriali conciari, liberi professionisti e tanta altra gente ancora. Le squadre giovanili del club biancorosso hanno portato una ventata di entusiasmo e freschezza in una serata culminata proprio con la presentazione del Gruppo Biokimica Lupi allenato da Alessandro Pagliai. La squadra è stata presentata da Marco Lepri e Filippo Latini dell’ufficio stampa del club biancorosso, i quali hanno pure intervistato oltre alle autorità cittadine, il patron Massimo Baldini e alcuni esponenti della società di piazza Fratelli Cervi. Nel complesso una serata molto partecipata e ben riuscita a cui ha fatto seguito, soltanto due giorni dopo, il vittorioso debutto in campionato del team conciario che ha superato agevolmente per 3-0 al PalaParenti i sardi dell’Iglesias.

locali del Gruppo Biokimica in via dei Conciatori a Santa Croce, hanno accolto lo scorso 17 ottobre, la presentazione ufficiale della squadra di volley dei “Lupi”. Questa militerà nella stagione 201415 in serie B1 portando per il secondo anno consecutivo la denominazione di Gruppo Biokimica Lupi, per un binomio che stavolta dovrebbe profumare di vittoria, dopo il quinto posto dell’anno scorso. Questo concetto è stato espresso anche dal patron del Gruppo Biokimica, Massimo Baldini il quale ha auspicato una stagione di punta per i colori biancorossi, con l’obiettivo di ottenere lusinghieri successi e, perché no, la promozione nella categoria superiore, vale a dire quella serie A2 che, per alcuni lustri, ha visto la presenza della compagine santacrocese. Tanta gente ha partecipato all’evento ottobrino organizzato dallo stesso sponsor dei biancorossi, con la presenza di un catering che ha fatto degustare prelibatezze di vario genere a quasi più di cinquecento persone. Hanno partecipato alla serata il sin-

Foto di Veronica Gentile

69

Lemar

E


© www.ctedizioni.it

La qualità al miglior servizio

SANTACROCESE OILS Tel. 0571 360419 - Fax 0571 30915 - Via Francesca Sud 134 - 56209 Santa Croce sull’Arno (Pisa) - stazionediservizio@fop-luciano.it


solidarietà

RT73

Round able

Round Table 73, Pontedera

L

a Round Table è un Club Service internazionale aperto a giovani professionisti, dirigenti ed imprenditori al di sotto dei quaranta anni, il cui scopo principale è quello di promuovere iniziative al servizio della Comunità. La Round Table consente ai propri membri di stringere nuove amicizie al di fuori del proprio ambiente abituale, in altre città ed in altri paesi. Consente inoltre di allargare le proprie conoscenze sui più diversi ambiti di ordine professionale, sociale e culturale. Nasce nel 1927 in Inghilterra per iniziativa di Louis Marchesi. Nel 1957 viene fondata la prima Tavola italiana, a Milano. Nel 1964 nasce ufficialmente la Round Table Italia. La Round Table fonda i rapporti tra i suoi membri sul binomio di Amicizia e Tolleranza. Gli scopi che essa persegue sono indicati nell'art. 2 dello Statuto. In particolare la Round Table si propone di favorire e promuovere, a tutti i livelli, l'amicizia, le intese personali e le iniziative al servizio della collettività, in un'ottica d'impegno assolutamente apartitico e aconfessionale. La Round Table si distingue da altre associazioni soprattutto per il fattore età: ogni membro perde tale status col compimento del quarantesimo anno di età. È dunque un club di giovani per i giovani. La Round Table 73 Pontedera, come testimonia il nome, è il 73° Club italiano e nasce nel 2005, dall'iniziativa di Alessandro Puccinelli, allora tabler

della Tavola di Pisa. Nel marzo 2006 viene ufficializzata l'adesione con il Charter Meeting, che vede ospiti da tutta Italia e Europa. Nel 2010 ha ospitato l'annuale Euromeeting di tutti i Club 73 d'Europa, momento di incontro con i tabler di tutta europa e occasione per stringere forti e durature amicizie internazionali. Dopo Puccinelli, si sono succeduti alla carica di Presidente Anguillesi, Doveri, Bellucci, Orsini, Citi, Novelli, Petri. Tante le iniziative di solidarietà messe in campo, tante le persone che si sono avvicendate negli anni. Il club di Pontedera ha comunque mantenuto un particolare spirito di goliardia e di informalità che l'ha reso una realtà caratteristica all'interno del contesto toscano e nazionale, ammirata e apprezzata unanimemente. Per l'Anno Sociale 2014/2015 iniziato a Settembre al timone del Club troviamo Enrico Menno, velista. Le iniziative benefiche dell'anno saranno rivolte alla Valorizzazione del Territorio, un contributo per finanziare gli scavi archeologici di Peccioli, una borsa di studio ad un giovane meritevole del territorio per proseguire negli studi, etc. ad altre di carattere nazionale come la vendita dei ciclamini avvenuta il 18 ottobre 2014, il ricavato a favore della Lega Italiana della Fibrosi Cistica. Seguiteci sul nostro sito www.rtpontedera.it e sulla pagina facebook, per essere aggiornati sugli eventi organizzati dalla Tavola ed i rispettivi service.

71

E


E

TERNATIONAL

I GUIDO LAPI

glio, ci si ama di più, ci si diverte maggiormente,

o cogliere cogliere opportunità migliori.

scuola

rispetto... a chi? Ada Neri

I

l rispetto tra i banchi di scuola. Un principio su cui occorre riflettere, parlare, approfondire, visti i recenti fatti che hanno riguardato la cronaca del nostro Paese. Lo faranno anche ragazzi ed insegnanti delle prime medie del comprensorio del cuoio. Dopo l'Istituto Galilei di Montopoli Valdarno e quello Buonarroti di Ponte a Egola, quest'anno sarà la volta delle scuole medie di Fucecchio (Istituto Montanelli-Petrarca) e San Miniato (Istituto Sacchetti). Il rispetto nasce dalla conoscenza, si nutre di educazione e cresce con l'amore. Questo il toccante slogan del progetto Rispetto... a Chi?, promosso dalle aziende del gruppo Lapi, in collaborazione con il Lions Club di San Miniato e la Asl 11 di Empoli. I ragazzi saranno coinvolti in un programma di giochi, attività e riflessioni sotto l'egida di un esperto di Nature Rock, la società ludico-educativa che ha fatto dell'arrampicata esperienziale il proprio cavallo di battaglia. Niente competizione, bensì tanta collaborazione: i coinvolti dovranno dar vita a strategie di gruppo per superare insieme le divertenti prove. L'obiettivo è reale, tangibile, ovvero quello di migliorare il clima di classe tra studenti ma anche tra questi ed i professori. Il risultato finale sarà la realizzazione, da parte delle classi coinvolte, di una gallery di fotografia e di un breve video in cui esprimeranno il modo di intendere il rispetto. L'unione tra il gruppo Lapi, il Lions Club e l'Asl 11 non è nuovo a queste iniziative ad ampio respiro sociale: già nel 2011 era stato elaborato il progetto Bacco Tabacco e... Cenere contro i rischi derivanti da fumo e alcool in età adolescenziale.

72


evento

E

il passatore la 41 a suggestiva supermaratona

L

a “100 chilometri del Passatore Firenze-Faenza”, la supermaratona più suggestiva del mondo, ha raggiunto quest’anno la quarantunesima edizione e continua a crescere secondo gli auspici dei suoi fondatori: Alteo Dolcini, segretario generale del Comune di Faenza, di Francesco Checco Calderoni, presidente dell’UOEI (Unione Operai Escursionisti Italiani) e di Pietro Pirì Crementi, presidente della Società del Passatore. Il modello organizzativo si deve invece a Elio Assirelli, sindaco di Faenza dal 1956 al 1972. La maratona è una competizione che si svolge annualmente nell’ultimo sabato di maggio con partenza da Firenze e arrivo a Faenza ed è intitolata al Passatore, popolare figura della storia e del folclore romagnolo. La prima edizione risale al 1973, per iniziativa dell’Unione operai escursionisti italiani (UOEI), l’Ente Vini e la Società del Passatore cui si deve la denominazione “100 km del Passatore Firenze - Faenza“. Nel 1969 Alteo Dolcini fondò la Società del Passatore insieme con Paolo Babini, Pietro Crementi e Primo Solaroli. L’idea di una corsa di 100 km avuta da Alteo Dolcini e Francesco Calderoni partì dal progetto di organizzare una maratona nel Faentino. Alteo Dolcini, cofondatore anche dell’Ente Vini di Romagna, propose di unire la terra del Sangiovese a quella del Chianti. L’idea piacque e fu subito diffusa dai giornalisti Renato Cavina (Corriere dello Sport - Stadio, La Gazzetta dello Sport) e Carlo Raggi (il Resto del Carlino). Vinse la prima edizione dei “100 chilometri del Passatore” l’italiano Romano Baccaro (7h 1’18”); la gara femminile Gabriella Collina (14h 57’10”). La corsa ha ricevuto il titolo del Campionato del mondo di ultramaratona nel 1991, del Campionato europeo di ultramaratona

nel 1997 e nel 2004, e numerosi titoli del Campionato italiano FIDAL. Originariamente la corsa seguiva per intero il tracciato della strada statale 302 Brisighellese Ravennate, con partenza da Piazza della Signoria a Firenze e arrivo a Faenza in Piazza del Popolo, attraversando i comuni di Fiesole, Borgo San Lorenzo, Marradi e Brisighella. Snodandosi lungo l’Appennino tosco-romagnolo, il percorso è caratterizzato da notevoli dislivelli e raggiunge il punto più alto al Passo della Colla di Casaglia a 913 metri. Lungo il percorso sono presenti tre traguardi intermedi, a Borgo San Lorenzo 195 m. (31,5 km), Colla di Casaglia 913 m. (48 km) e a Marradi 328 m. (65 km). Il libro di Elio Pezzi Io c’ero - 1973-2012 - La 100 chilometri del Passatore quarant’anni e non li dimostra (EDIT Faenza) racconta le vicende di ciascuna edizione della corsa per mezzo di testimonianze, classifiche e numerose fotografie dei partecipanti, arrivati anche da molti Paesi esteri: per es. Belgio, Germania, Russia, Gran Bretagna, Ungheria, Cecoslovacchia, Israele, Francia, Austria. Delle migliaia di partecipanti, oltre un migliaio raggiunge il traguardo, tutti incoraggiati lungo il percorso dal battimani di altrettante migliaia di spettatori. Fino all’edizione di quest’anno, gli atleti iscritti alla corsa hanno raggiunto complessivamente le 100 mila presenze. Il “via” all’edizione 2014 è stato annunciato sabato 24 maggio, ore 15. Alla partenza dalla fiorentina via de’ Calzaiuoli, erano 2.174 gli iscritti alla 100 km. (129 in più rispetto all’edizione 2013). Tra loro, 297 donne; 28 i Paesi esteri, cui si sono aggiunti l’Argentina e il Marocco. Il primo ad aver raggiunto il traguardo, e continua a stupire, è stato Giorgio

73

Calcaterra. A 42 anni compiuti, l’atleta romano ha conquistato la nona vittoria consecutiva al “Passatore”, con il tempo di 7 ore 5’ e 6’’, per la prima volta oltre il muro delle sette ore, confermando di essere sempre il miglior specialista italiano e mondiale sulla distanza dei 100 km su strada, oltreché il vero e proprio “mito vivente” della “Firenze-Faenza“. Con il traguardo delle nove vittorie consecutive – un risultato mai conseguito da nessun altro atleta al mondo, in nessun’altra ultramaratona disputata finora – Calcaterra aumenta anche il distacco tra sé e l’altro grande mito della “Cento”, l’atleta russo Alexey Kononov, che di “Passatori” ne ha vinti sei (1993, ’94, ’95, ’97, 2000 e 2001). Calcaterra ha preceduto di 3’ e 34’’ Hermann Achmuller (7h 08’ 40”), altoatesino di Brixen-Bressanone, 3° all’esordio nel 2013. Tra le donne, secondo successo consecutivo dell’atleta croata Marija Vrajic (7 ore 51’ e 43’’). Nell’ambito della manifestazione si sono svolte anche corse parallele sullo stesso percorso. “Gioca Faenza”, ha organizzato una staffetta di 50 km destinata ai bambini. Il faentino Francesco Monti di 9 anni ha tagliato per primo il traguardo.

Domenico Savini

Francesco Monti


E

evento

1candeline 00 Ladies Day a Forte dei Marmi

Andrea Cianferoni

Torta per i cento anni di Forte dei Marmi Il Sindaco di Forte dei Marmi Umberto Buratti e Veronica Bocelli Bici di Dynamo Camp Anna Vettori Dal Tirolo Luisa Corvarola Sarti Camilla e Ginevra Picedi Benettini ricevono il premio Dall'Oriente Stella Viola di Campalto Ginevra Picedi Benettini Monica Picedi Benettini e Wanny Di Filippo Emiliana Martinelli Natalia Strozzi con Veronica Bocelli Maria Riva

N

el centenario dell’elevazione a comune autonomo, si rinnova uno degli appuntamenti più ambiti di Forte dei Marmi. Oltre 250 gli ospiti, tra imprenditori e aristocratici per il Ladies day. Selezionato parterre e dress code obbligatorio: abiti color pastello, il colore dell’acqua, sfumati tra il verde e l’azzurro e i cappelli, di paglia naturalmente, come quelli del Consorzio del Cappello di Firenze, che ha allestito una mostra con i copricapo più rappresentativi per un garden party in rigoroso stile Royal Ascot. Due le giornate no stop di festeggiamenti: un welcome cocktail con i prodotti Branca al Cocoà, da sempre frequentato da una facoltosa clientela russa, e il galà nell’esclusivo Hotel Villa Roma Imperiale, patrocinato dal Comune di Forte dei Marmi, lo stesso albergo dove il premier Matteo Renzi ha trascorso alcuni giorni di vacanza con la moglie Agnese e i suoi tre figli. Durante la serata, nata anche con lo scopo di sostenere le attività di Dynamo Camp, onlus che accoglie ogni anno nella struttura di Limestre Pistoiese più di mille bambini in post ospedalizzazione provenienti da tutto il mondo, si è svolta una lotteria benefica. Gran finale con la torta di compleanno per i cento anni di Forte dei Marmi, appositamente preparata dal mastro pasticcere Riccardo Patalani di Viareggio. Durante la serata condotta dalla presentatrice televisiva Anna Maria Tossani, sono stati aggiudicati i riconoscimenti per le migliori creazioni, conferiti da una giuria di esperti di costume e moda. Tra i premiati la designer Emiliana Martinelli, titolare dell’omonima azienda lucchese che produce sistemi di illuminazione per interni ed esterni, l’avvocato veneziano Alessia Panella, la pittrice fortemarmina Maria Riva e la fotografa di moda Veronica Gaido che indossava un cappello denominato “La materia” realizzato dalla stilista Isabella Scotti.

74


75


C

design

Annunziata Forte Cristina Di Marzio I

Abitazione privata, mobile in foglia argento anticata Collezione Snap per Toscoquattro, lavabo di marmo e accessori Reception Studio medico odontoiatrico

nostri progetti raccontano e trasmettono sensazioni attraverso la giusta alchimia tra forma e materia, l’equilibrio tra la preziosità dei materiali e la purezza delle forme, la miscellanea di ricercatezza del particolare e sobrietà cromatica, in modo da creare quell’armonia nello stile che attraversa le mode per rimanere nel tempo. Quest’anno festeggiamo i venti anni di attività del nostro studio. Laureate entrambe presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, l’amicizia e l’affinità ci hanno condotto nel 1994 al sodalizio professionale; nasce così lo studio Architetti Associati C. Di Marzio & A. Forte con sede a Empoli. Abbiamo mosso i primi passi nel campo del disegno industriale con la progettazione di oggetti di cristallo esposti al Macef di Milano e alla

Fiera di Francoforte. La nostra esperienza professionale è continuata nel campo della progettazione architettonica di edifici per uffici, stand fieristici, spazi commerciali e dimore private delle quali curiamo non solo la progettazione e la ristrutturazione, ma anche la proposta di tutti i materiali e il disegno degli arredi. La nostra intesa si basa non su analogie, ma su interazioni, ed è così che insieme troviamo nuovi e diversi equilibri tra teoria e pratica, concretezza e astrazione, bello e utile. Progettiamo oggetti, case, spazi e atmosfere esattamente con lo stesso approccio e metodo ed è per noi fondamentale la ricerca di nuovi materiali e l’aggiornamento continuo, lo studio dei dettagli come elemento caratterizzante la progettazione. E da questa filosofia che nascono le

76

collezioni Sixty e Snap per la stanza da bagno del marchio Toscoquattro, lavabi, specchi , contenitori , presentati al Cersaie e al Salone del mobile di Milano. Ci siamo così confrontate con tecnologie e materiali completamente opposti: una resina, il livingtec, colata a stampo per il lavabo Sixty, e il marmo reso “leggero” nel lavabo sospeso Snap. Negli ultimi anni abbiamo progettato abitazioni private sul Lago di Garda e, sempre nel Veneto, abbiamo recentemente affiancato alla ristrutturazione delle case e alla progettazione di interni una attività di consulenza per le strutture della Casa di Cura dott. Pederzoli. Stiamo seguendo infatti la progettazione delle hall e delle sale di attesa, nonché la progettazione degli arredi delle camere della RSA in costruzione del medesimo gruppo.


Abitazione privata, atmosfere contemporanee e tocchi decor. Collezione Sixty per Toscoquattro, lavabo di livingtec e accessori.

77


C

MODA

autunno a

37gradi

Dal sito «Archivi della moda del Novecento», moda.san.beniculturali.it/

nella calda estate fiorentina si indossano abiti per l’inverno Roberto Mascagni

L’ingresso, da piazza Ognissanti, al prestigioso “The St. Regis Florence Hotel”

T

rascorsi appena cinque mesi dal successo della prima sfilata di Alta Moda Italiana, presentata a Firenze da Giovanni Battista Giorgini dal 12 al 14 febbraio 1951, l’ingegnoso organizzatore della manifestazione può constatarne l’aumentato consenso dalla presenza di circa trecento compratori, inviati dalle più importanti ditte americane per assistere alla seconda sfilata. Fra questi, i più rilevanti nomi americani del settore moda-confezioni: Altman, Lord and Taylor, Macy, Gimbel, Magnin, Blass, Graham. I loro nomi, familiari soltanto a Parigi dove si recano due volte all’anno per gli acquisti stagionali di Alta Moda, dal 1951 cominciano a esserlo anche in Italia. Il nuovo appuntamento è fissato in un’ampia sala dell’allora Grand Hôtel (l’odierno The St. Regis Florence Hotel), in piazza Ognissanti: nei giorni giovedì 19, venerdì 20 e sabato 21 luglio. Il programma annuncia l’adesione di dieci atelier: quelli romani di Antonelli, Carosa, Fabiani, Fontana, Schubert, Visconti; il torinese Favro; i milanesi Marucelli, Noberasco, Vanna, Veneziani, e la partecipazione di cinque boutique (Sportswear and Boutique): da Milano Veneziani Sport, Mirsa, Avolio; da Firenze e Capri: Original Emilio Sportwear; da Roma Simonetta Visconti; da Capri la baronessa Gallotti (La Tessitrice dell’Isola). Clarette Gallotti vive e lavora a Capri; firma così i suoi abiti e le sue coloratissime stoffe tessute a mano. (La cosiddetta moda-boutique rappresenterà il concreto vantaggio del Made in Italy, a cominciare dalla prima sfilata di febbraio con il “quartetto” di creatori compo-

sto da Emilio Pucci, Giorgio Avolio, Franco Bertoli e Clarette Gallotti, invitati a Firenze dal preveggente Giorgini). Nonostante il caldo canicolare che avvolge e assopisce Firenze, nell’artistico salone del Grand Hôtel (l’aria condizionata ancora non esisteva) le indossatrici mostrano con disinvoltura i modelli per il prossimo autunno-inverno: mantelli foderati di pelliccia, stole di visone, abbigliamenti per le sciatrici, impermeabili, maglioni. E che dire della nostra maglieria? I modelli di Mirsa (Olga di Gresy) hanno sbalordito: «Non abbiamo mai visto una varietà di golf così chic e ricchi di motivi», si sente commentare. Il numero degli esemplari realizzati da ciascuna sartoria (50/60) è indicativo del successo dell’appuntamento fiorentino. Si raggiunge così la presentazione di 700 modelli di

78

esclusiva creazione italiana, ai quali si addizionano alcune numerose e pregevoli collezioni di modelli sportivi. L’entusiasmo dei compratori è testimomiato dal volume degli affari conclusi. Un’importante Casa, che presenta una magnifica collezione sportiva per l’inverno (costumi da sci, ecc.), realizza da sola, nel primo giorno, un fatturato di cinque milioni (di allora…); un’altra Casa vende l’intera collezione. Nel numeroso gruppo dei giornalisti, spiccano due temute autorità: Bettina Ballard direttrice di “Vogue America“ e Carmel Snow che dirige “Harper’s Bazaar“. (In una sua corrispondenza, pubblicata il 27 agosto nel “Chicago Herald-American“, Carmel Snow scriverà: «L’Italia ha sempre prodotto buoni accessori e quest’anno i suoi artigiani hanno superato se stessi»). Significativa è la partecipazione dei


nostri tessili: non solo per il notevole importo delle vendite, ma per l’avvicinamento dell’industria tessile a quella sartoriale, che è la formula vincente della moda francese. Questa regola trova un equivalente riscontro nella presenza, all’appuntamento fiorentino, delle industrie tessili italiane – le cui migliori produzioni sono state utilizzate dai nostri sarti per i loro modelli – e dei “carnettisti”. Spiega Cristina Giorgetti, storica dell’abbigliamento: «Il ruolo dei carnettisti fu essenziale perché rappresentavano assieme ai grossisti il “trait d’union“ tra aziende tessili di rilievo, tipo Piacenza, e gli atelier, legame spiegato da Claudio Ruggero nel saggio del terzo volume dedicato al Piemonte e alla Liguria L’oro d’Italia. Storie di aziende centenarie e famigliari. «Il mestiere di carnettista aveva due aspetti, il possedere appunto dei carnet con i campioni di tessuto di una o più aziende da proporre agli atelier, oppure, con carnet maggiormente complessi ove al tessuto di una o più aziende si abbinavano figurini di moda a uso di sartorie minori o di negozi di tessuti». L’Italia degli atelier rispose quindi prontamente all’inedito e improvviso consenso internazionale, e figure professionali diversificate e specialistiche rivelarono subito la capacità di sostenere ruoli che sarebbero divenuti la base della filiera produttivo-commerciale del Made in Italy. «La moda degli anni Cinquanta – spiega Cristina Giorgetti – è un’espressione della voglia di lusso: rasi pesanti, velluti, broccati, ricami di perle e applicazioni. Le linee dei primi anni di questa dècade presentano una notevole attinenza a quelle francesi, in particolare quelle di Dior, ancora pienamente in auge dopo il successo del New look. Il busto della donna appare florido, la vita sottile, la gonna si allarga con godés e con i tagli a un quarto, mezzo, intero e doppia ruota». Cristina Giorgetti continua: «La linea femminile si basa per i primi cinque anni di questo decennio essenzialmente sul New look di Dior; ma già nel 1952 si vedono comparire, diffuse specialmente da Veneziani e Marucelli, le linee Impero, dal taglio sotto il seno, proposte in seguito in America anche da Claire McCardell. Solo verso il 1955 le linee cominciano ad assottigliarsi, la figura della donna si fa più sinuosa, si impone il piccolo tailleur, quello che si porta generalmente senza camicia, composto da una giacca corta con gonna dritta, capo destinato a diventare un classico». L’uomo, invece, in questo panorama

passa quasi inosservato. Nonostante l’avvento di nuovi talenti, come Brioni, resiste un’eleganza di stile inglese per taglio, colori e tipologìe abbigliamentarie: doppiopetto, un petto, tight per cerimonia e pomeriggio ufficiale, smocking per l’elegante informale e frac, o marsina, per la serata ufficiale.

I progressi nel settore telefonico furono enormi: dalle prime centrali manuali (dove il collegamento fra gli utenti era svolto dalle telefoniste), alla posa dei cavi telefonici sottomarini, gradualmente perfezionati, ai ponti radio; da questi, alle telecomunicazioni: tutto in rapida progressione. Nonostante l’esperienza delle telefoniste, alle quali, con toni ansiosi, ci si rivolgeva (“Signorina, vorrei parlare con New York”), i tempi di attesa erano lunghi. «Per parlare con Milano – ricordava Giovanni Battista Giorgini – bisognava aspettare mezz’ora, dopo aver chiamato il centralino e aver prenotato la comunicazione. Non dico poi di quando avevamo la necessità di telefonare a New York o a San Francisco. Tutto era dunque molto più lento rispetto a oggi, e ancora mi meraviglio di come sia stato possibile, per noi, organizzare le sfilate coi mezzi di allora». Si era negli anni Cinquanta, lontani sì, ma non remoti. (Intanto gli americani progettavano l’invio del primo uomo sulla Luna). Nella fotografia, del 1958, vediamo uno stuolo di telefoniste, ciascuna impegnata febbrilmente davanti alla propria “consolle”. Sono le operatrici della storica Compagnia telefonica TE.TI. (Telefonica Tirrena), fondata nel 1924. La società era attiva in Liguria, Toscana, Lazio, Sardegna e nel circondario di Orvieto. Acquistata nel 1958 dall’I.R.I, la Telefonica Tirrena confluì poi nella gestione della STET e nel 1964 fu incorporata dalla nuova SIP. (Fotografia gentilmente concessa dall’Archivio Storico New Press Photo - 1958 - Firenze - www.newpressphoto.it)

79

70 ANNI FA, LA RICOSTRUZIONE

Per la Città della Moda, la Seconda guerra mondiale termina l’11 agosto 1944, quando l’insurrezione popolare e il fronte delle truppe alleate liberano Firenze dalle armate naziste, in ritirata per attestarsi e resistere lungo la cosiddetta Linea Gotica che divideva l’Italia in due sulla dorsale appenninica: dalla Lunigiana fino alle Marche, a nord di Ancona. Per Firenze cominciano, lenti ma costanti, gli anni della ricostruzione. Tutti i ponti sull’Arno, lungo il fiume fino a Pisa, sono stati fatti esplodere dai tedeschi. Fra lutti e infinite miserie si torna a vivere: basta cominciare. Si dà inizio alla riedificazione degli stabilimenti industriali bombardati, si ripristinano le linee ferroviarie distrutte. Incalcolabili i danni alle abitazioni, solo negli anni successivi sostituite da nuove costruzioni. In questa cruda realtà, tuttavia, non ci si dispera. Dopo aver pagato pesantemente le sue responsabilità, l’Italia vuole presentarsi al mondo con un volto nuovo. Alla riabilitazione contribuiscono anche la nostra cinematografia con Roma città aperta (1945), Paisà e Sciuscià (premiato con l’Oscar come miglior film straniero) entrambi del 1946, e la prima sfilata di Alta Moda finalmente Italiana, presentata a Firenze nel febbraio 1951 da Giovanni Battista Giorgini, un audace e ingegnoso fortemarmino, che da quell’anno in poi farà esportare ovunque nel mondo un sorprendente Italian Style. Vi contribuisce anche la musica, con larghe schiarite, perché dal 29 al 31 gennaio 1951 ha debuttato il Festival di Sanremo, presentato da Nunzio Filogamo. Vince Grazie dei fiori cantata da Nilla Pizzi, che si impone come “regina” della canzone italiana dell’epoca. Il successo del Festival è immediato e inaspettato. Il dramma subìto da Firenze è confermato da questa fotografia del trecentesco Ponte Vecchio, l’unico risparmiato dalla furia nazista, a costo, però, della distruzione di gran parte degli edifici medievali adiacenti i due ingressi al ponte. L’immagine è del 1958. Sono perciò trascorsi 14 anni dai drammatici avvenimenti che ferirono la città, ma il ricordo è ancora testimoniato dai drammatici “vuoti” rimasti dopo la rimozione delle macerie. Infatti sull’ingresso meridionale del Ponte Vecchio sussistono ancora le scheletriche rovine di un antico edificio e sulla sponda opposta dell’Arno, nel lungarno Acciaiuoli, sono stati ricostruiti solo due edifici. Il transito di alcune automobili sulle due opposte direttrici di marcia è il simbolo della continuità tra il prima e il dopo: a Firenze, in Toscana e nell’Italia tutta. (Fotografia gentilmente concessa dall’Archivio Storico New Press Photo - 1958 - Firenze - www.newpressphoto.it)


C

curiosità

non solo canzonette la musica e il canto veicolano sensazioni dal tabarin ai campi di battaglia

Luciano Gianfranceschi

U

n certo Alfredino Bistecca raccontava che quando una settantina danni fa l’esercito italiano era in rotta, e lui era un combattente reduce dal fronte, diretto in Toscana, a piedi, per tornare dai familiari finì con l'attraversare la Gotensteliung, la linea gotica sull’Appennino tosco emiliano tra il passo del Gioco e della Futa, dove i tedeschi stavano asserragliati in prossimità delle strade, mentre i campi adiacenti erano minati. L’uomo non aveva armi, e nemmeno forza fisica; si spostava soltanto di notte, mentre di giorno si rifugiava negli anfratti. Lo sentì d’istinto un soldato tedesco – non si può dire diversamente, l’italiano era accovacciato a terra e immobile – che in un attimo gli fu davanti con un ghigno diabolico, spianandogli il fucile contro. Alfredino non conosceva nemmeno la lingua per chiedere pietà in teutonico, essendo italiani e tedeschi non più alleati. Con un ultimo soffio di voce incosciente si mise a canticchiare “…

addio Lili Marleen”. La canzone diceva “con te, Lili Marlene”, ma capì che tornare a casa dalla moglie, e dal figlio che sapeva nato ma che non aveva ancòra visto, per stare insieme a Natale, era ormai un’utopia… Però a questo punto occorre fare un flash-back, un salto indietro nel tempo. Nel 1942 radio Belgrado – occupata dai tedeschi – aveva trasmesso quella struggente canzone con la voce di Lale Andersen, misconosciuta cantante di tabarin. Non più la Cavalcata delle Valchirie a spronare i panzer all’assalto, ma la nostalgia malinconica che attanaglia i soldati impantanati in una guerra sanguinosa. L’emittente aveva obbedito all’ordine impartito dall’ufficio propaganda del Reich di risollevare il morale delle truppe, il cui conflitto non andava bene come durante la guerra lampo. Il disco, inciso nel 1938, era passato senza successo alla radio. Lo ripropose lo speaker Richard Kistenmacher nel 1942, e le truppe tedesche ne chiesero la messa in onda ogni sera alla ore 22, prima del “silenzio”. Un appuntamento con chi è lontano e manca tanto: la pace, la famiglia, il lavoro. E anche se Lili è l’incontro con una prostituta, la canzone portò il sentimento nei campi di battaglia. Di conseguenza il comando tedesco ordinò che il disco non venisse più trasmesso. Ma è troppo tardi, la canzone è diventata un tormentone, viene interpretata anche dall’attrice americana Marlene Dietrich, e ha lo stesso successo anche tra le truppe alleate. Si canta anche tra i soldati italiani. Probabilmente nell’immaginario popolare si confonde la can-

80

tante con il titolo, Lale e Lili, poi Marleen e Marlene, fatto sta che sicuramente contribuì ad annacquare lo spirito dei belligeranti impegnati al fronte. Alfredino Bistecca, raccontava così il finale della sua vicenda vissuta. «Il tedesco si fermò. Sempre con il fucile spianato. Forse gli sembrò di sparare a un uomo morto, perché si mise a canticchiare a sua volta Lili Marleen, e rimesso il fucile in spalla si allontanò facendo finta di niente. Restai fermo per ore, incredulo ma vivo.» Nel dopoguerra Alfredino è entrato nella banda del paese, a suonare i piatti accanto alla grancassa: per riconoscenza verso la musica. Ma una volta l’anno, finché il fisico gliel’ha consentito, saliva sulla Futa, dove – poco dopo il passo – c’è un enorme cimitero della Seconda grande guerra con circa 30 mila tombe di tedeschi. Non sapeva se c’è sepolto anche il suo sconosciuto nemico che l’ha risparmiato, e magari poi non ha avuto altrettanta buona sorte. Comunque entrava in rispettoso silenzio come tutti, ma quando veniva via canticchiava sottovoce “addio, Lili Marleen…”.


TENDENZE

mode di moda pillole sulle tendenze 2014

Il

er pia film p

O

ngere

gni anno immancabilmente la filmografia regala un film dedicato a chi va al cinema per piangere. Il pubblico che più lo sta seguendo è sicuramente quello dei teenager ma Colpa delle stelle, tratto dall'omonimo romanzo di John Green, conquista proprio tutti. La giovane Hazel è malata di cancro e sa che dovrà morire. In un gruppo di supporto per giovani malati incontra un ragazzo, anche lui malato. L'amore nasce, tra magia e dura realtà. Preparate i fazzoletti.

e6

Iphon

Williams ! Happy Pharrell ito b u e sei s

D

opo il tormentone della canzone più felice del mondo Happy, colonna sonora del film Disney Cattivissimo Me 2, Pharrell Williams ha regalato gioia in ogni traccia del suo secondo disco Girl. Un inno alle donne, per celebrare lo squilibrio sociale che ancora le penalizza nel mondo. Ballerino, cantante, amante delle donne e contagioso di buon umore. Ci piace!

81

S

ta registrando picchi di vendita. è il nuovo modello Iphone di Apple uscito da poco più di un mese nel mondo. Più grande, più sottile, più efficiente e più attento a sprechi energetici e ottimizzazioni di hardware e software. «...una nuova generzione di Iphone: letteralmente la più grande che abbiamo mai creato», parola di Apple!

Eleonora Garufi

C


C

MODA

tempo di

F ulard al collo, in testa, annodato alla borsa o alla vita Eleonora Garufi

C

on un’estate dal sapore autunnale e un inizio autunno dai toni estivi, non si è mai al riparo da sbalzi di temperatura e correnti improvvise. Il dilemma del “Come mi vesto?” attanaglia tutti. Abbigliarsi “a cipolla” (a strati) è un'ottima soluzione. Ma c’è qualcosa che da tempi remoti ci aiuta a prevenire mal di gola, mal di collo e malesseri di stagione. Da sempre presente nella Moda stiamo parlando del Foulard divenuto sinonimo di eleganza e perfezione. Le tracce di questo pezzo di stoffa legato al collo risalgono a tempi remoti: in Oriente mille anni prima di Cristo e in Occidente nel secondo secolo d.C.. Indumento dei soldati su i campi di

guerra, si ritrova poi nei campi contadini, usato dalle donne per proteggersi dal sole. Con il tempo questo accessorio d’abbigliamento diviene un pezzo da coordinare all’abito, un accessorio particolare, ricercato, sinonimo di pudore, eleganza e raffinatezza. Pensiamo per esempio alle donne che, apprestandosi ad andare in Chiesa, si coprivano scolli e decoltè con foulard meravigliosamente abbinati alla mise domenicale. Il foulard come lo intendiamo e lo conosciamo oggi nasce nel ‘900. Il suo nome ha origine dalla lingua francese della Provenza. Un capo prezioso, che deve essere leggero, morbido, brillante e colorato. Tra i personaggi portatori sani di

HERMERS SCARF CARDS

82

foulard, non possiamo mancare dal citare la mitica Audrey Hepburn, che ricordiamo con un foulard annodato intorno al viso, abbinato a grandi occhiali neri; poi c’è Isadora Duncan, celebre danzatrice, vittima del suo fascino: morì nel 1927 a causa del suo vezzo di portare una lunga sciarpa. Il suo foulard si incastrò nelle ruote dell’automobile sulla quale era appena salita, uccidendola. Ma bando ai macabri ricordi. Il foulard diventa accessorio del mondo della moda grazie ad Hermes che nel 1937 lo commercializza, nella sua complessa tramatura di lana, seta, o cotone. La sua casa di moda diventata l’icona del foulard e propone 36 modi diversi di indossar-


lo: un quadrato di novanta centimetri intessuto con quattro chilometri di fil di seta. Ma altre sono le misure e tantissime le maison che ne hanno fatto un’arte: Dior, Chanel, Givenchy, SaintLaurent e Louis Vuitton, in Francia. In Italia Roberta di Camerino, Gucci, Valentino e Ferragamo. Al collo, in testa, annodato alla borsetta o alla vita, simbolo di lusso, di eleganza, di femminilità ma anche di praticità e comodità. Il foulard e la sua fantasia, il modo in cui lo si indossa, esprimono qualcosa di quel che siamo e che ci differenzia dagli altri. L’ennesimo modo per essere al passo con la moda. E tu? Che tipo di foulard porti?

83


C

alimentazione

lotta al

colesterolo con una sana alimentazione e un corretto stile di vita Paola Baggiani

L

’ipercolesterolemia, cioè dei valori di colesterolo superiori a 200mg/dl, è un problema di cui soffre circa la metà della popolazione italiana; è caratteristico dei paesi occidentali con gravi conseguenze sull’incidenza delle malattie cardiovascolari. In Italia si calcola che circa il 44% di tutti i decessi sia dovuto a patologie del sistema cardiocircolatorio, è questo il motivo per cui il colesterolo è diventato, a ragione, nell’immaginario collettivo un vero spauracchio! L’aumento della colesterolemia tipica dell’adulto, può verificarsi per motivi genetici anche nel bambino (la cosiddetta ipercolesterolemia familiare), con un’incidenza di circa un caso ogni 500 abitanti.

Normali valori di colesterolemia ematica devono essere inferiori a 200 mg/dl; si parla di ipercolesterolemia lieve per valori tra i 200 e 249 mg./ dl; moderata tra 250 e 299; grave con valori superiori a 299mg./dl. Il colesterolo è un grasso che svolge diverse funzioni importanti nell’organismo, è indispensabile per la sopravvivenza degli organismi animali e necessario alle nostre funzioni vitali. è il precursore della vitamina D, utile per la salute delle ossa, favorisce la costruzione della parete delle cellule in particolare del sistema nervoso, consente la formazione degli ormoni sessuali; è coinvolto nel processo di digestione con la formazione della bile. Il colesterolo è un lipide scarsamente

solubile in acqua, pertanto per essere trasportato nel torrente circolatorio necessita di legarsi a specifiche lipoproteine: lipoproteine a bassa densità o LDL che veicolano il 6080% del colesterolo sierico che tende ad accumularsi sull’endotelio delle arterie formando aggregati fino a generare delle placche dette ateromi. Queste placche fanno perdere la naturale elasticità delle arterie e possono causare gravi danni a carico del cuore (infarto) o al cervello (ictus). Il cosiddetto colesterolo buono è invece rappresentato dalle HDL, lipoproteine ad alta densità che ripuliscono le arterie catturando il colesterolo e trasferendolo ai tessuti, soprattutto al fegato dove viene smaltito. Più alto è il livello di colesterolo HDL, minore sarà il rischio di sviluppare le malattie cardiovascolari e l’aterosclerosi. Schematizzando nel maschio non fumatore (il fumo abbassa il livello di HDL) il colesterolo LDL dovrebbe essere sotto 160mg/dl e l’HDL sopra i 40, nella donna sopra 50 mg/dl. Negli ultimi anni il ruolo delle HDL è stato rivalutato in maniera importante tanto che oggi si ritiene più significativo il rapporto tra HDL e LDL rispetto al valore del colesterolo totale; un altro parametro detto indice di rischio cardiovascolare mette in relazione il colesterolo totale con le HDL: se tale rapporto è superiore a 5 nell’uomo e 4,5 nella donna, il paziente è considerato a rischio. Circa l’80% del colesterolo totale è di natura endogena, cioè viene prodotto dall’organismo, soprattutto dal fegato, il 20% proviene dall’alimentazione; quando la produzione endogena è fisiologicamente elevata si parla di ipercolesterolemia familiare.


Un’influenza importante nel controllo dei livelli del colesterolo è svolto dall’alimentazione: infatti la correzione dello stile alimentare può rappresentare nelle forme lievi la sola terapia, ma anche nelle forme moderate e gravi una corretta alimentazione deve essere associata alla terapia farmacologica perché ne potenzia l’efficacia. La dieta mediterranea e il consumo di pochi grassi saturi sono in grado di incidere positivamente sui livelli del colesterolo ematico. è importante privilegiare il consumo di alimenti vegetali, in particolare verdure, duetre porzioni al giorno; di legumi, (soprattutto soia e lupino) due-tre volte la settimana, e di frutta, tutti ricchi di antiossidanti; inoltre la fibra vegetale contenuta nelle verdure e frutta riduce l’assorbimento intestinale del colesterolo. Vanno limitati i grassi in generale sia quelli di condimento come burro, lardo e strutto e panna a favore di oli vegetali soprattutto l’olio extra vergine d’oliva ricco di acidi grassi monoinsaturi che abbassano il livello del colesterolo LDL. Alcuni cibi sono particolarmente ricchi di grassi animali come i formaggi, le uova, gli insaccati il latte e lo yogurt intero, perciò va limitato il loro consumo; la carne deve provenire da tagli magri e va privata del grasso visibile, il pollame deve essere senza pelle. Il pesce invece per la particolare composizione del suo grasso deve essere consumato almeno due-tre volte la settimana, fatta eccezione per i molluschi e crostacei. I metodi di cottura dei cibi devono privilegia-

re la bollitura, il vapore, le microonde la griglia a scapito di frittura o cotture in padella. L’alimentazione deve essere completata e supportata da uno stile di vita sano come l’abolizione del fumo che fa abbassare i livelli di colesterolo “buono”; praticare una regolare attività fisica scegliendo sport aerobici come la camminata a passo svelto, il nuoto, il ciclismo, il ballo, il calcio. è importante eliminare il sovrappeso, soprattutto quando la localizzazione del grasso è in sede addominale arrivando a valori di girovita inferiori a 88cm. nella donna e a 103 cm. nell’uomo. Quando l’alimentazione e lo stile di vita non bastano a ridurre i livelli di colesterolo è possibile ricorrere all’aiuto di integratori e di farmaci. Molti sono i nutraceutici e gli integratori dotati di efficacia e sicurezza tra questi il riso rosso fermentato che contiene una statina naturale e la berberina, un alcaloide vegetale efficace nell’aumentare l’attività dei recettori epatici per le LDL, in pratica accresce la capacità del fegato di catturare e metabolizzare il colesterolo in eccesso. I fitosteroli, sostanze simili al colesterolo ma di origine vegetale si trovano in natura nella frutta secca,

nei legumi e negli oli vegetali; come integratori sono inseriti di solito nello yogurt e nel latte e quindi facilmente assimilabili; diminuiscono l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale. Gli omega3 contenuti nel pesce, sono una miscela di grassi insaturi che agiscono aumentando il livello delle HDL e abbassano i valori dei trigliceridi. I polifenoli molecole antiossidanti presenti nel mondo vegetale come il resveratrolo che si trova nell’uva e nel vino rosso, le catechine del thè, le quercitine delle cipolle, sono utili nel prevenire l‘ossidazione delle lipoproteine e quindi nel ridurne l’effetto nocivo. Il passo successivo nella lotta al colesterolo è il farmaco! La categoria di farmaci più efficace e più studiata attualmente sono le statine, che agiscono riducendo la produzione del colesterolo da parte del fegato; sono in grado di rallentare la formazione delle placche all’interno delle arterie e di ridurre la dimensione di quelle già esistenti; sono molecole sicure se prescritte con la giusta cautela. Farmaco di più recente introduzione è l’ezetimibe una molecola che inibisce l’assorbimento intestinale del colesterolo, può potenziare l’effetto delle statine o consentire l’uso di dosi inferiori di queste quando il paziente non le tolleri. Sono in fase di studio avanzata alcuni nuovi prodotti che sono anticorpi monoclonali (evolocumab e alirocumab), che si somministrano sottocute, capaci di ridurre in modo significativo il colesterolo LDL e che hanno un ottima tollerabilità. La ricerca farmacologica non si ferma e altri farmaci con meccanismi d’azione più complessi e riservati alle forme di dislipidemia genetica grave, sono allo studio. www.baggianinutrizione.it info@baggianinutrizione.it

85


C

grafologia

dritto e rovescio Maria Laura Ferrari

Maria Laura Ferrari. Grafologo giudiziario del Tribunale di Lucca. Socio AGP (Associazione Grafologi Professionisti). info@marialauraferrari.com www.marialauraferrari.com

Vittoria in coppa Davis nel 1976, da sinistra: Bertolucci, Pietrangeli, Panatta

N

icola Pietrangeli e Adriano Panatta sono ritenuti i migliori tennisti italiani di sempre, il secondo degno erede del primo, sia per risultati che per stile. Vedremo come le loro autobiografie si intrecciano e così le caratteristiche delle loro scritture, delle quali mi hanno colpito le numerose e rilevanti analogie. Pietrangeli ha ottenuto, a cavallo degli anni ’50 e ’60, i più grandi successi della storia del tennis italiano: due successi al Roland Garros e agli Internazionali d’Italia. Detiene inoltre il primato mondiale degli incontri disputati e vinti in Coppa Davis,

anche se riuscì a vincere la Coppa solo nel 1976 in Cile come capitano non giocatore del quartetto formato da Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli. Con Orlando Sirola formò il doppio più vincente della storia italiana. Nicola nasce a Tunisi l’11 settembre del 1933, allora colonia francese, dove il padre imprenditore si era trasferito per lavoro e aveva conosciuto

e sposato una profuga franco-russa di famiglia aristocratica, dalla quale Nicola ereditò il titolo di Conte. Con lo scoppio della II guerra mondiale, il padre fu internato in un campo di prigionia e fu lì che Nicola disputò il suo primo torneo di tennis, vincendo in doppio col padre, numero due del tennis tunisino. Dopo il ’45 vengono espulsi dalla Tunisia e si stabiliscono a Roma. Lì Pietrangeli si iscrive al Tennis Club Parioli, del quale è custode Ascenzio Panatta, padre di Adriano, che vede nascere e crescere e che, tennisticamente parlando, sarà il suo erede. Dovendo scegliere tra la nazionalità francese e quella italiana, Pietrangeli adottò quest’ultima, perché ormai egli era non solo il più romano dei tunisini, ma forse il più romano dei romani. Con i suoi pregi e i suoi difetti, cioè l’allegria e il senso dell’umorismo, ma anche l’indolenza e la pigrizia, racconta: «Quante volte mi sono sentito dire: “Certo, se ti fossi allenato seriamente avresti vinto di più!”. E io freddamente rispondevo: “Sì! Ma sapete quanto mi sarei divertito di meno…» Pietrangeli, che fu sostanzialmente un autodidatta, appartiene infatti alla stirpe dei geni sregolati della racchetta, quelli che amano anche godersi la vita, che possono permettersi di tirare l’alba in lieta compagnia e, dopo poche ore, scendere in campo e battere facilmente un avversario riposato, allenato e nutrito secondo i sacri canoni dell’atleta. Dopo il ritiro si è occupato di relazioni estere per alcune prestigiose aziende italiane e si è cimentato anche nei ruoli di conduttore radio-televisivo e attore. è stato sposato con Susanna Artero, dalla quale ha avuto tre figli. Dopo la separazione ha avuto una

86

relazione con la conduttrice televisiva Licia Colò, di trent’anni più giovane. È residente a Monte Carlo. Una curiosità: Nicola ha vinto due volte il Granchio d’Oro come sportivo più elegante d’Italia. Panatta, di 17 anni più giovane di Pietrangeli (nasce a Roma il 9 luglio del 1950), ha una carriera costellata da splendide vittorie intervallate da periodi di appannamento. Di umili origini, diversamente dal conte e benestante Pietrangeli, Adriano vive anche lui però, sin da piccolo, a stretto contatto con il mondo del tennis, in quanto figlio, come già ricordato,

del custode del Tennis Club Parioli, al quale era iscritto Nicola. Sale alla ribalta nel 1970 battendo proprio Pietrangeli ai Campionati italiani assoluti. Ormai Panatta interpreta un tennis nuovo, regolato su nuove strategie tattiche e su una grande dose di aggressività. Pietrangeli, invece, in qualche modo rappresentava una stagione senz’altro gloriosa ma ormai sulla soglia del tramonto, una tra-


dizione intrisa di eleganza e “bel gioco”. Il 1976 fu il suo Annus mirabilis: vinse gli Internazionali d’Italia, si aggiudicò a poche settimane di distanza il Roland Garros, liquidando Bjon Borg nei quarti e, alla fine dell’anno, con la squadra nazionale capitanata da Pietrangeli non giocatore, si aggiudicò la Coppa Davis in Cile (l’unica conquistata dall’Italia), indossando assieme a Bertolucci una maglietta rossa in segno di protesta contro il regime di Augusto Pinochet. L’unico neo del campione è la sua proverbiale pigrizia, altra caratteristica che lo accomuna a Pietrangeli, un difetto che spesso e volentieri ha costituito un handicap per una resa adeguata ai massimi livelli in cui giocava. Rimasto nel mondo del tennis anche dopo aver abbandonato le competizioni (nel 1983), ha ricoperto la carica di capitano non giocatore della squadra nazionale, con alterni risultati. Abbandonato il tennis, si è dedicato per alcuni anni alla motonautica, altra sua grande passione sportiva, e alla politica come consigliere comunale di Roma nella giunta di Francesco Rutelli nel 1997 e assessore allo sport e grandi eventi della provincia di Roma, fino al 2009. Per quanto riguarda la vita privata è rimasta celebre la sua relazione all’inizio degli anni ‘70 con la cantante Loredana Bertè, allora ballerina e attrice di teatro, e fu proprio lui a presentarla a Björn Borg, con il quale la Bertè si sposò molti anni dopo. A 25 anni si sposò con Rosaria, dalla quale ha avuto tre figli e della quale dichiara di essere ancora innamorato, nonostante la fama di sciupafemmine.

Vittoria in coppa Davis nel 1976, Pietrangeli e Panatta

La scrittura Ci troviamo in entrambi i casi di fronte a grafie caratterizzate da forme grandi, curve, disegnate con gesto deciso, continuo, “inanellato”, che si amplifica nelle maiuscole e tende ad occupare pienamente lo spazio. Personalità che risuonano della nota di base comune del protagonismo, dell’esserci, della ricerca della ribalta, ma non in modo aggressivo. La vitalità esuberante dei due personaggi si impone in modo naturale, affascina perché accompagnata da senso estetico, fantasia, calore, comunicativa. In entrambe le scritture prevale sull’armonia il ritmo, questo significa che sono preponderanti i segni dell’originalità, del calore, dell’autenticità rispetto a parametri come chiarezza, semplicità, ordine, proporzione. Entrando più nello specifico, se si analizzano le grafie dal punto di vista dei tre ambiti principali della personalità - affettività, attività, tipo di intelligenza – si riscontra: Affettività: su un tema comune di dolcezza, sentimento, comunicativa, desiderio di attenzione (scrittura arrotondata, tratto vellutato, nodi, lacci), in Pietrangeli notiamo nel contempo alcuni segni di presa di distanza (ri-

strettezza, inclinazione rovesciata) e talvolta aggressività verbale (acuminazioni finali) che si stempera probabilmente nell’ironia, considerando il contesto grafico generale. In Panatta invece fanno da contraltare alle note dominanti già specificate, alcuni segni di tensione (torsione delle aste, deformazione di alcune lettere). Tipo di intelligenza: spirito pratico, creatività, comunicativa in entrambi (zona media solida, compatta, rigonfiamenti in alto, oralità), Pietrangeli è dotato di maggior prontezza e intuito (veloce, gancetti apicali in zona superiore) mentre Panatta esprime un entusiasmo ed un'esuberanza che può talvolta offuscare la piena obiettività di giudizio (movimentata, intricata) Attività: buona riserva energetica, carica pulsionale forte (tratto elastico, zona inferiore importante), in Panatta troviamo maggiore slancio e capacità istintiva di organizzare (movimentata, ovoidale) Scorgiamo nella firma di entrambi un gesto simbolico molto simile: nelle “P” dei cognomi, dall’occhiello gonfio, dilatato, attraversato da un tratto lanciato, la figura di una racchetta che scaglia la pallina... (Si ringrazia per gli autografi originali il fotografo Giovanni Canale)

“P” maiuscole simboliche che ricordano una racchetta dalla quale schizza fuori il tracciato del lancio della pallina

87


C

amici dell'uomo

Barbone

verve a quattro zampe in una cascata di irresistibili ricci Federica Farini

N

el film d’animazione “Oliver & Company” (1988) è Georgette, che da perfetto stereotipo di cane Barbone - snob e vanitoso - si tramuta in compagna di giochi dolce e tenera per l’ex randagio Oliver e l’allegra banda di amici. In un altro famoso cartone animato, “Lilli e il vagabondo” (1955) è invece Whisky, Barboncino nero dal carattere peperino. Il Barbone, considerata una razza da “salotto”, classificato come cane da compagnia, rivela in realtà un carattere vivace, piglio e fiuto svegli e perfino attitudine al nuoto, come rivelano i suoi antenati francesi, in passato impiegati per la caccia alle anatre (da qui il nome Caniche, da canard, anatra). Ancora più indietro nel tempo il Barbone deriverebbe da un cane d’acqua estinto chiamato Barbet, secondo il filone di attribuzione del Barbone a discendenza tedesca, (pudel in tedesco e poodle in inglese significano proprio “lanciarsi in acqua”), razza asiatica arrivata in Eu-

ropa grazie a Goti, Ostrogoti o Berberi del Nord-Africa. Una carrellata di esempi racconta nel tempo la storia della razza: il Principe Rupert del Palatinato (nipote di Carlo I d’Inghilterra), prigioniero durante la battaglia di Lemgo (1638) trascorre molto tempo con un Barbone di nome Boy, dal quale non si separa fino alla morte. È nel XVII secolo che la razza si diffonde presso le nobili famiglie dell’epoca: il cane “ricciuto” omaggia anche la regina Anna d’Inghilterra, la quale ne viene a conoscenza quando alcuni sudditi le portano in dono Barboni addestrati capaci di saltellare e danzare sulle zampe anteriori, fino a giungere ai ritratti di Rembrandt e ai circhi francesi, per la spiccata attitudine ad apprendere numeri acrobatici. È il XVIII secolo il periodo d’oro che vede il Barbone, di gran moda, diventare un perfetto animale da compagnia presso le corti reali (da Luigi XVI e nei quadri di Goya), momento in cui gli allevatori creano i primi esemplari in colore grigio e albicocca (oltre al nero, bianco e marrone). Durante le guerre Napoleoniche numerosi sono i casi di Barboni-soldato “famosi” che accompagnano gli eserciti in Europa e si distinguono per fedeltà e coraggio: da Barbuche, a Moustache (Barbone nero mascotte di un reggimento di granatieri francesi), a Moffino (perso durante la battaglia della Beresina ma in grado di rimettersi sulle tracce del padrone fino a Milano), a Magrita (cane-infermiere che trasporta al collo i bendaggi per curare i feriti). Anche le star dello spettacolo lo amano: Grace Kelly, Jackie Kennedy, Elizabeth Taylor e Maria Callas (che appare con uno dei suoi batuffoli sulla copertina del Time nel 1956), ma anche Rene Zellweger,

88

Lady Gaga e Rhianna, che delle foto con il suo Oliver ha riempito il web. Questa razza dalle mille virtù è stata usata perfino per stanare il tartufo grazie al fiuto sopraffino e alla taglia ridotta che gli permette agilità ma anche delicatezza - e come guida per i non vedenti, seppure poi rimpiazzato dal più robusto e forte Pastore Tedesco. Quattro sono le varianti di taglia, dal Barbone di grande mole (fino a 58 centimetri al garrese), a quello medio, nano e toy, che può scendere fino a 24 centimetri al garrese. Tipico il suo pelo, riccio e soffice (solo rari esemplari presentano pelo cordato anziché riccioluto), fondamentale allo stato selvatico per proteggere l’animale dal freddo nelle attività di nuoto e caccia, con la contemporaneità un manto diventato protagonista di acconciature nei concorsi di bellezza. In passato il padrone usava seguire il ciuffo della coda del proprio Barbone per localizzarlo quando si immergeva scomparendo in acquitrini, cespugli e sottobosco. Il pelo è inoltre ipoallergenico, non soggetto a muta, perfetto quindi anche per la vita d’appartamento. Il Barbone è altresì una razza molto longeva, di carattere energico (fondamentali passeggiate e corse) e di animo sensibile, empatico con il padrone, abile nel riporto di oggetti, ideale per i bambini. L’arte più recente di Jeff Koons è stata battuta all’asta per 55 milioni di dollari: protagonista il suo Balloon Dog, Barboncino composto da palloncini e riprodotto in diverse sculture d’acciaio che hanno letteralmente spopolato, dal tetto del Metropolitan Museum di New York, al Canal Grande, alla reggia di Versailles. I milionari hanno fatto a gara per averne uno: un Barbone per la vita!


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

Via Brunelli 13/17 56029 Santa Croce sull’Arno (Pisa) Tel. uff. 0571 366072 - 360787 Fax 0571 384291

e-mail:

susini.assigest@gmail.com 16430000@allianzras.it

© www.ctedizioni.it

© www.ctedizioni.it

Agenzia Principale

Conceria San Lorenzo Spa Via Provinciale Francesca Nord, 191-193 56022 Castelfranco di Sotto (PI) - Italy Tel. +39 0571478985-6 Fax +39 0571489661 www.sanlorenzospa.it - info@sanlorenzospa.it


73

73

eality

Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

9

771973 365809

14003

Anno XVI n. 3/2014 Trimestrale â‚Ź 10,00


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.