Reality 68

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ISSN 1973-3658

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771973 365809

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Anno XV n.2/2013 Trimestrale â‚Ź 10,00


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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Segheria artigiana Maffei Case in legno su misura e su ruote di Maffei Giorgio & C. Via Valdinievole Nord, 37 56031 Bientina (Pisa) - Tel e Fax 0587 714554 info@segheriamaffei.com - www.segheriamaffei.com

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o n g o a z z i l rea


EDITORIALE

Cultura solidarietà e amicizia D

i gran corsa e con affanno siamo arrivati all’estate, forse più stressati di sempre, con nuove strade nella mente. Ma concluderemo decisi il nostro quindicesimo anno, sia pure con la sensazione di vivere in arrembaggio. Sì, le persone che investono in cultura sono sempre più rare. Difficile reperire fondi, trovare nuovi partner, promuovere iniziative, portare a termine progetti. Purtroppo appare difficile anche mantenere in piedi situazioni esistenti da decenni. Gli addetti ai lavori compiono un grande sforzo. Con la ripresa economica è importante rilanciare anche la sensibilità, l’attenzione e in una parola l’amore verso il proprio territorio. In particolare le aziende che grazie alla loro capacità imprenditoriale, arrivano al successo, fanno moda, vendono e investono in tutto il mondo. Occorre sostenere anche il proprio territorio, non semplicemente per lucrare, come a volte succede, ma per contribuire a farlo crescere creando cultura, solidarietà e amicizia. Certo a qualcuno potrà sembrare un voler tirare l’acqua al proprio mulino, ma il nostro giornale è il vostro giornale, noi siamo semplici operatori. Reality tratta temi che vi riguardano: ricerca, economia, industria, cultura, moda e modi del territorio. Nello specifico, volendo parlare di noi, nonostante la crisi economica, il nostro comparto conciario è fra i primi a vedere segnali di ripresa. In alcuni casi raggiunge fatturati mai fatti. Il nostro compito di editori è quello di far conoscere il più possibile le capacità ed eccellenze delle nostre aziende, di comunicare che una volta inquinavamo, ma adesso siamo attenti all’ambiente: i nostri depuratori sono i primi a livello mondiale. Questa attenzione aiuta a riportare il mercato produttivo verso di noi. Sono molte le firme che scelgono il comprensorio del cuoio per le proprie materie prime. I nostri artigiani hanno vera mentalità industriale. Già noi ne conosciamo molti, ma ci auguriamo che siano sempre di più coloro che con l’attenzione al territorio, ci rendano partecipi del loro successo. Dimenticavo: da oggi è possibile scaricare la rivista all’applicazione di Reality magazine, naturalmente in forma gratuita. Ricordando il nostro quindicesimo anno di attività, vi rimandiamo alle ultime pagine. Buona lettura!.

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MAGAZINE

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Centro Toscano Edizioni srl Sede legale Largo Pietro Lotti, 9/L 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Tel. 0571.360592 - Fax 0571.245651 info@ctedizioni.it - www.ctedizioni.it Direttore responsabile Margherita Casazza direzione@ctedizioni.it Direttore artistico Nicola Micieli Redazione redazione@ctedizioni.it Studio grafico lab@ctedizioni.it Abbonamenti abbonamenti@ctedizioni.it Text

Paola Baggiani, Niccolò Banti, Irene Barbensi, Andrea Berti, Giulia Brugnolini, Margherita Casazza, Pierluigi Carofano, Carla Cavicchini, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Valentina Diara, Carmelo De Luca, Angelo Errera, Federica Farini, Maura Laura Ferrari, Francesco Filippi, Eleonora Garufi, Luciano Gianfranceschi, Matthew Licht, Roberto Mascagni, Marco Massetani, Paola Ircani Menichini, Nicola Micieli, Teresa Moravia, Ada Neri, Alex Paladini, Paolo Pianigiani, Fernando Pratichizzo, Giampaolo Russo, Domenico Savini, Gaia Simonetti.

Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina Renzo Galardini Fiori di San Martino, 2013 olio su tela cm 70x50

Reality numero 68 - giugno 2013 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2013 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - tel. 0571 360592 - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.




SOMMARIO

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ARTE E MOSTRE In viaggio con Galardini

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SOS opere d’arte La casa dei poeti Per le vie di Benozzo Il popolo vuole Design, arte e gusto ArtInsolite Che arte perBacco! Incontri con l’arte L’arte in Italia

T 38 39 40 42 44 46 47

L 48 50 52 55

letteratura Fra Gherardo

Una lezione della peste nera Zia Doris Novità editoriali

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territorio e storia Rinascimento, risorgimento Una palestra della mente Ghizzano

La principessa e gli artigiani Losanna Il barocco a Osimo Quattro leoni per tre Naiadi

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SOMMARIO

S 56 58 60 62 64 65 66 69

spettacolo Trionfa l’amore gay Rassegna 11Lune Peccioli Le donne di Buscemi Bolgheri Melody LXVII Festa del teatro Lauretta Masiero Festival La Versiliana Dianora Poletti

E 73 75 76 77 78 80

C 82 85 86 88 90 92 94

COSTUME Borse d’epoca Il bikini Europeo dai baffi alla coda Tornasse Torno Sabato L’acqua giusta Zuccotto 1998-2013 15 anni insieme

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economia e società Antico splendore Una rosa per un codice Una speranza per Haiti Dynamo Camp Il miracolo del tennis I° Trofeo Autostile

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artista

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viaggio con

Galardini

Nicola Micieli

«I suoi temi e simboli ricorrenti – scrive Dino Carlesi – pur così semplici e volutamente carichi di quotidianità, sono collocati dentro uno strano spazio di memoria che si fa arco di tempo e di vicende, un tempo psicologico e affettivo capace, quindi, di sovvertire qualsiasi clessidra e di protrarsi per una durata infinita». Penso a quanto ho vissuto nel quartiere e al legame misterioso che mi univa a oggetti di poco conto. Penso ai tanti momenti accumulati nel magazzino dell’oblio, come nel guardaroba polveroso d’un vecchio teatro; ed eccomi qui a tentare un recupero a distanza, per risentirmi insieme regista, attore e scenografo delle mie fantasticherie.

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in dagli esordi pisani ai primi anni Settanta, sono stato testimone del lungo viaggio di Renzo Galardini nel disegno, nella pittura e nella grafica. Segnatamente la vernice molle contigua al disegno, tecnica incisoria della quale egli è oggi in Italia maestro indiscusso. Ho visto scaturire dal suo disegno analitico e fluente (qui vera “probità

Renzo Galardini Labirinto, 2007, olio su tela cm 13x15 Pagina a fronte Lusso per Masaniello, 2008, olio su tela cm 100x70

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dell’arte”, come lo chiamava Ingres), e con esso evolversi in teatro di simulacri e di presenze del reale che l’immaginario traspone su altri piani, sia la pittura sia l’incisione. Il disegno, la pittura e l’incisione in Galardini sono stati e sono aspetti correlati, in termini vuoi operativi vuoi linguistici, di una sola mano/mente formatrice e di un solo mondo di visione. Testimone nella continuità del percorso creativo di Galardini, per alcuni tratti posso dire di essere stato anche suo compagno di strada. Nel senso che ho avuto parte in non poche partenze e stazioni del suo viaggio. Specie quelle editoriali in ambito grafico. Due delle quali – le cartelle Mitografie dei Quartieri. 12 memorie pisane (litografie, 1980) e Per dar dalla città perpetuo bando all’ozio (incisioni, 1981) – siglano la localizzazione e la natura del suo primo divagare nel corso di almeno un decennio. Che è stato anche il mio. Approdava e si fissava in quelle tavole molto materiale visivo da Galardini raccolto e metabolizzato in figura emble-



Pagina a fronte Complicità 2010, olio su tela cm 50x35

Concerto 2009, olio su tela cm 60x80

matica attraversando, da viaggiatore nel reale sviato dall’immaginario, la topografia urbana e monumentale di Pisa, sua città natale. Le opere d’arte e gli emblemi, la memoria storica e la mitografia della Pisa già etrusca e romana, nel medioevo potente repubblica marinara, centro di studi in età medicea e leopoldina e tappa non aggirabile dei viaggiatori del grand tour nel Sette e nell’Ottocento. Il viaggio di Galardini nei luoghi, nell’immagine storicamente composita e nelle tradizioni della città si compiva de visu, sulla scorta dei “documenti” artistici accessibili, e attraverso le fonti letterarie non meno che gli echeggiamenti, le trasposizioni in cultura popolare delle antiche virtù. Per esempio la celebrazione annuale del Gioco del Ponte, battaglia spettacolare e incruenta rievocatrice di trascorsi gloriosi cimenti, oggetto peraltro delle citate cartelle grafiche. Accanto, o meglio: dentro la Pisa ammantata di nobili vestigia, e velata di malinconia per la perduta grandezza, c’è la città della gente e della vita quotidiana. Per il giovane Galardini

era in quel tempo essenzialmente il vicolo del Ruschi in pieno centro storico o altro analogo luogo familiare. Osservava e assumeva quella città degli affetti per lo più per inserti testimoniali, lo sguardo affascinato dalle semplici, persino desuete evidenze esterne. Sulle quali si avverte l’usura del tempo e spesso si depositano, quasi palinsesti, i “documenti” anche poetici del vissuto, i segni, i graffiti, le storie minime degli uomini. Ricordo i portoni dalle doghe sconnesse e le vernici stinte, i rostri, le serrature e i battenti, le specole sui muri incorniciate di ardesia. Poi le biciclette appoggiate ai muri e il maestoso vespasiano in lamiera ornata di trafori, piccola pagoda della minzione già celebrata da Giuseppe Viviani, che per la verità la usava come una sorta di colonna di Pasquino ove pubblicare in graffito i propri umori e risentimenti. Galardini non mancava mai di raccogliere i depositi indiziari delle mille storie, e di proiettarvi per discreti segnali la propria storia, rappresentando i luoghi appartati della quotidianità. Dunque anche situazioni o cose di

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ambito strettamente familiare. Penso, per dirne una, ai nastri di tulle con iscrizioni a lettere dorate che Ulisse, il padre fioraio, applicava alle corone di fiori sempre confezionate a tempo di record. Aggiungo gli attrezzi e i meccanismi, le ceramiche e i giocattoli e le altre cose per lo più consunte ed evocative che come reliquie di memorie e pedali di sogni, Galardini acquisiva alla sua raccolta privata delle presenze di affezione e consegnava al teatro della pittura. Con una importante integrazione. Protagonisti i luoghi e gli oggetti della Pisa togata e di quella popolare e familiare, sulla ribalta di quel teatro cominciavano ad agire, ben presto dilagando, figurette di uomini e donne, ignude o succintamente vestite, talora con fastosi e fantastici copricati. Mille gli atteggiamenti e le posture anche ardite e in apparenza improbabili di quegli omini dalle anatomie congrue quanto artificiose, desunte dallo studio attento dei “figuranti” del Giudizio Universale di Luca Signorelli, a Orvieto. Questi lillipuziani, ubiquitari personaggi che animano la scena – vi scorgo le mille personificazioni del Galardini



Pagina a fronte Il fiore, 2009, olio su tela cm 30x50 Vanitas II, 2010, olio su tela cm 24x30

Il Giardino di Ulisse 2012, olio su tela cm 50x60

regista della fantastica pièce – sono spesso impegnati in operazioni collettive per imprese straordinarie. Poniamo rimontare il pulpito di Giovanni Pisano o la porta bronzea di Bonanno in Cattedrale; oppure disporre le lignee cornici architettoniche (biancheria) destinate ad accogliere i bicchieri con l’olio e i lucignoli della fastosa Luminara per la festa di Ranieri, il santo patrono della città. Compiono imprese, ma sembrano applicarsi solo a tirare e altrimenti manovrare lunghi fili che segnano e collegano spazi e arredi di scena da un capo all’altro della partitura. Viaggiava in quel mondo il giovane Galardini, e la collocazione geografica,

la stessa topografia fisica e architettonica della città dalla quale partivano e nella quale si compivano i suoi itinerari non era allora un localismo culturale, riduttivo della portata del suo periscopio. Il suo viaggiare di pittore era difatti allora come è rimasto, eminentemente metalinguistico, detto in termini tecnici. Significa che Galardini creava immagini e visioni attingendo ed elaborando altre immagini e visioni: il segno dal segno, la figura dalla figura, l’arte dall’arte, in un gioco di rimandi e collegamenti, di riproduzioni e di straniamenti, infine di sottili insinuazioni memoriali e proiezioni affettive, di poetiche assunzioni. Così era e così è stato nel seguito e sino a oggi, quando

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altri eminenti luoghi anche riconoscibili, altre animazioni dei suoi operosi omini, altre apparecchiature sceniche si sono alternate o sono subentrate alle ribalte pisane. Sulle quali già si rappresentavano, in trasparenza, tutte le possibili storie di un viaggiatore diciamo pure incantato per le contrade del mondo, narrate citando e aggregando inserti di luoghi e reperti d’arte e oggettuali da culture e civiltà le più diverse. Tutte chiamate a interloquire per sottili rimandi e nessi estetici e storici, in una elevazione pittorica e grafica dello spazio e della forma figurale di pura appartenenza mentale. Gli accostamenti e gli incroci di figure e cose e oggetti recitanti che occupano



Pagina a fronte Vanitas I 2010, olio su tela cm 24x30

‘O Strummolo 2008, olio su tela cm 60x80

la scena, e ne sono parte costitutiva poiché è teatro l’intera macchina visiva, permutano difatti lo spazio e la forma in luoghi dell’immaginario. La natura del mondo fantastico di Galardini pittore e incisore, è piuttosto emblematica e persino allegorica in chiave neomedievale, che simbolica in senso sia psicoproiettivo sia propriamente simbolista, come sarebbe se appartenesse a un puro ambito visionario. Egli dipinge e incide come se la tela e la lastra fossero palchi scenici appunto, ambienti deputati a una rappresentazione tutta mentalmente filtrata, dunque a suo modo astratta o estratta in essenza straniata dalla corrispondenza realistica. Da buon pittore e incisori di studio al quale convengono i tempi lunghi di “ripresa” dell’immagine, Galardini predispone il soggetto già componendolo a modo di ribalta. Come farebbe un virtuoso pittore barocco di oggetti e panneggi e cartigli e figure assunti in forma propriamente di simulacri, per i quali non sussiste

umore e spessore e senso della concreta realtà. Nella sua puntualità esecutiva, il linguaggio pittorico di Galardini è funzionale alla simulazione di una forma figurale otticamente focalizzata e sottile, per quanto di appartenenza non iperreale né fotografica. Tutto è dato nella virtualità della spoglia corporale, nella riduzione delle effigi in simulacri, appunto, dei paramenti in emblemi offerti allo sguardo quali trionfi o trofei. È una sorta di festa dello sguardo che scopre il meraviglioso nel fasto visivo insospettato di presenze e oggetti marginali che sulla ribalta assumono un ruolo protagonistico e appaiono come generati magicamente nel sogno. Così è per un foglio accartocciato che riveste, come una tonaca dalle ampie volute e pieghe, un personaggio dei molti, appartenenti al mondo reale quanto a quello immaginario, che popolano questo teatro. Così per un cavallo di legno legato alla memoria dell’infanzia, qui divenuto una monumentale presenza sulla quale si calano, per sot-

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tilissimi fili dal cielo, valve di crostacei in metamorfosi, dotate come sono di ali di farfalla. La materia e il colore sono in Galardini di estrema purificazione formale, senza depositi né lacerazioni. Egli li usa con mano ferma e occhio educato, da virtuoso che fonda sulla probità e la puntualità del disegno analitico, capace di incredibili finezze, la qualificazione visiva dell’immagine. E non c’è zona secondaria nelle sue partiture, poiché gli sfondi, i panneggi, le notazioni d’ambiente sono eseguite con la medesima puntualità delle figure e oggetti protagonisti. La medesima mano governa anche il “disegno” analitico dell’incisore, uso a lavorare, come si diceva, con la prediletta e da altri poco frequentata tecnica della vernice molle, che consente finezze addirittura maggiori di quelle pur magistrali della pittura. I suoi segni giocati dentro il recinto ovvero lo schermo ristretto della lastra, determinano, se possibile, una definizione della forma ancor più rigorosa e nitida, al limite dell’assoluto metafisico.


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Il viaggio di Ulisse 2010, olio su tela ø cm 40 Pagina a fronte Affioramento della memoria 2005, olio su tela cm 60x50

Da Subbiano a Arezzo 2012, olio su tela cm 20x100

Renzo Galardini Nato a Pisa nel 1946, vive e lavora a Montescudaio. Diplomato presso l’Istituto d’Arte di Lucca, ha frequentato il corso di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Pittore, incisore e ceramista, nel 1984 è stato segnalato “Bolaffi” per la grafica da Enzo Carli, con la motivazione: «Per l’estro provocatorio e ironico con cui la limpida tecnica grafica rievoca sia simulacri, emblemi e simboli della storia, sia oggetti del presente, imprimendo loro una inedita suggestione poetica». Ha tenuto personali in Italia, in una serie di musei americani e recentemente a Berlino. È stato presente in importanti rassegne. Tra le altre,

per la grafica: 1981 Presenze grafiche in Toscana, Castello Pasquini, Castiglioncello. 1986 Biennale “Tono Zancanaro”, Vico d’Elsa. 1987 Mostra internazionale della grafica, Tampa, Florida. 1989 Incidendo, Casa di Chesino, Poggibonsi. 1993 Inciso altrove, ex Mattatoio, Cagliari. 1994 Repertorio dell’incisione italiana, Gabinetto Disegni e Stampe “Le Cappuccine”, Bagnacavallo. 1998 Incisione pisana del 900, Limonaia di Palazzo Ruschi, Pisa. 2009 VI Premio “Leonardo Sciascia”, Castello Sforzesco, Milano. 2012 I Biennale dell’incisione italia-

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na “Carmelo Floris”, Olzai. Ha pubblicato le cartelle grafiche: 1980 L’arpa malata e altre drôleries, introduzione di Michele Feo, Edizioni CentroArtemoderna, Pisa; Mitografie dei Quartieri. 12 memorie pisane, testi di Silvano Burgalassi e Nicola Micieli, Edizioni CentroArtemoderna, Pisa. 1981 Per dar dalla città perpetuo bando all’ozio, Edizioni CentroArtemoderna, Pisa. 1986 Sei tavole per un’avventura nel bosco, con una ballata di Nicola Micieli, Edizioni Bandecchi & Vivaldi, Pontedera. Nel 1992 presso le Edizioni Edison di Bologna è uscito il catalogo completo delle sue incisioni, curato da Nicola Micieli e con prefazione di Enzo Carli.


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arte

sos opere d’arte

quale intervento? proposte per una teoria del restauro dell’arte contemporanea Pierluigi Carofano

Lucio Fontana Concetto spaziale

Fenomenologia tipologica tradizionale Consideriamo, ad esempio, il caso della pratica pittorica nel XIX secolo, ricorrendo ancora una volta alla chiarezza espostiva di Althöfer: «L’estrema varietà di stili, che caratterizza la pittura dell’Ottocento, rende difficoltoso il darne una chiara sinossi, e a questa difficoltà si aggiungono poi altri due aspetti: quello della tecnica e quello del restauro. […] Sotto un altro punto di vista, le opere del XIX secolo sarebbero invece di solidità piuttosto scarsa e lo sviluppo delle tecniche andrebbe già visto sotto l’aspetto della molteplicità di materiali e la gioiosa sperimentalità dell’arte del XX secolo». Dunque, a detta di Althöfer, nel XIX secolo si assiste ad un’effettiva trasgressione rispetto alla tradizione, tale da portare a casi di precarietà per quanto concerne la conservazione, anche di fronte ad autori apparentemente “classici” come Delacroix i cui dipinti murali in Saint-Sulpice a Parigi sono realizzati con un legante a cera fredda piuttosto vischioso con l’aggiunta di colofonia allo scopo di ottenere stesure stabili nei colori intensi. Di conseguenza, la metodologia di restauro deve relazionarsi con questa trasgressività: «il modo di restaurare deve adeguarsi alle tecniche eterogenee e alla diversa costruzione del quadro. C’è infatti una grande differenza tra pulire o rimuovere la vernice finale dalla superficie levigata di un quadro dipinto alla maniera dell’Accademia, e l’intervenire su quella pastosa e magari anche non verniciata di un impressionista». Relativamente al XIX come al XX secolo la continuità tipologica tradizionale del praticare la pittura si pone in un rapporto dialettico fra tradizione e innovazione che impone impostazioni metodologiche specifiche,

ma non vi è dubbio che l’evoluzione e la sperimentazione della tecnica artistica subisce un’accelerazione rapida nel corso del XX secolo. Ad esempio, nel solo ambito della pittura ad olio, assistiamo alla perfezione tecnica degli oli del primo Picasso, di Magritte o del De Chirico “metafisico” (con una pittura costruita attraverso fluide velature), alla pittura tecnicamente sprezzante di Picabia, di quella a corpo spessa vari millimetri di un Rouault, di un Morlotti o di un Mattia Moreni, sino alle commistioni con altri materiali come in Antoni Tàpies o addirittura con materiali extrapittorici come in Alberto Burri. L’impiego dei colori acrilici a partire dagli anni Sessanta (soprattutto da parte degli Informali) e delle vernici industriali a scopo pittorico, specie dopo il dripping di Pollock, ha giocoforza contribuito ad accelera-

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re la ricerca di solventi chimici sempre più appropriati per le eventuali puliture di questi manufatti per via della facile solubilità di queste pellicole pittoriche. Senza contare le difficoltà in cui ci s’imbatte di fronte ai dipinti murali eseguiti con tecniche miste così complesse da spiazzare anche i restauratori più smaliziati. Su questi argomenti Alessandro Conti ha richiamato efficacemente l’attenzione, sviluppando alcuni concetti fondamentali che vale la pena citare per intero: «il restauro tradizionale [della pittura] ha come referente soprattutto la pittura a olio, già la tempera (si vernicia no?) e l’affresco, col suo cantiere, pongono problemi particolari. Questo sistema è stato fortemente disturbato dall’uso di materiali dal comportamento diverso dall’olio tradizionale nell’arte contemporanea, come le resine acriliche,


e in genere i colori destinati alla verniciatura industriale o semi-industriale di superfici di legno o metallo […]. Vi è poi l’impossibilità di sopportare una vernice dato che nei colori acrilici non si verificano fenomeni di assestamento come la polimerizzazione dell’olio; essi restano sempre solubili e reagiscono al solvente anche più leggero. Infine si deve tenere presente la loro permeabilità ad ogni sorta di agente inquinante. Sono quindi quadri da conservare in ambienti accuratamente climatizzati o da chiudere sotto vetro, anche la luce deve essere molto bassa perché non solleciti processi di degrado sulla cellulosa delle loro tele» Fenomenologia tipologica innovativa Da quanto siamo andati dicendo, l’esigenza di una teorizzazione della metodologia del restauro del “contemporaneo” si manifesta soprattutto nell’ambito della fenomenologia tipologica a carattere innovativo. La casistica dell’impostazione metodologica relativa al restauro del “contemporaneo” si pone in relazione non soltanto a problematiche pertinenti lo studio della materia ma anche, e soprattutto, alle componenti di ordine ideologico come nel caso limite della conservazione dell’effimero, con quello che segue anche da un punto di vista giuridico poiché l’opera sopravvive alle intenzioni dell’autore in chi la osserva nella sua evoluzione temporale e storica più o meno ampia. Qualora l’opera sia configurata in termini di essenzialità tale che un suo danneggiamento risulti compromissorio della conformazione originaria, le operazioni di restauro devono necessariamente arrestarsi ed accettare la determinante del caso. Celebre è l’esempio del Grand Verre di Marcel Duchamp con la sua incrinatura che ormai fa parte dell’opera, ma esistono numerosi casi meno noti e altrettanto significativi come uno dei primi “buchi” di Fontana, irrimediabilmente compromesso da un ampio squarcio verticale durante un trasporto. Anche di fronte ai “monocromi” non è sempre possibile operare interventi risolutivi come ad esempio nei “tagli” di Fontana, nelle “estroflessioni” di Castellani o negli allestimenti tridimensionali di Pascali. Una situazione in qualche modo limite del “contemporaneo” è poi costituita dal voluto scollamento fra originalità e materialità dell’opera. Spesso, infatti, la consistenza materica non è altro che un fatto transitorio necessario all’allestimento vero e proprio: è anzi l’immaterialità il suo carattere di

fondo. In quel caso l’ “originale” corrisponde al progetto (sia esso cartaceo o digitale) come accade in molti interventi di Beuys o di Christo laddove l’esecuzione, per espressa volontà dell’artista, è demandata a terzi. In questo caso la consistenza materiale dell’opera non dovrebbe più costituire la questione prioritaria del restauro poiché si passa dall’originalità fisica a quella virtuale. Per cui, di fronte ad eventuali problematiche legate alla sostituzione di elementi non più funzionanti – come nelle macchine azionate a motore o ad esempio nelle installazioni di Mario Merz o di Dan Flavin – si potrà effettuare una sorta di “ripristino” (o reintegro) delle parti da sostituire purché posseggano identica qualità tecnica e consistenza di quelle originarie (e quindi non “originali”). Facendo leva sullo stesso principio, di fronte ad opere cosiddette “immateriali” composte da suoni, luci, immagini analogiche o digitali etc., è giustificato non soltanto restaurare il supporto laddove necessario, ma anche sostituito purché il suono, la luce etc. non vengano modificati.

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Difficile, se non impossibile (e forse nemmeno plausibile), è tentare di conservare le opere predestinate all’autonnientamento, al degrado programmato o spontaneo, fenomeno peraltro su cui si basa la poetica dell’artista. Noto è il caso delle “macchine” destinate all’autodistruzione di Tinguely o delle opere in cioccolato di Dieter Roth (e di tutte quelle della eat art). Oltre a documentare l’evento, di fronte alla residuale testimonianza materica dell’opera si dovrà osservare un protocollo assolutamente minimo di intervento di restauro per non spostare l’attenzione su quella che a tutti gli effetti va considerata una scoria come nel caso dei palloncini ormai allentati di Fiato d’artista di Piero Manzoni. Nel caso poi di precisa volontà dell’artista (come per esempio in Rosa per la democrazia diretta di Beuys) si devono periodicamente sostituire le parti deperibili, anche se in questo caso non si può parlare in effetti né di conservazione né tantomeno di restauro ma di una sorta di “manutenzione”.

Jean-Michel Basquiat Autoritratto


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ARTE

Le case dei poeti arte e sociale

Margherita Casazza

La presente mostra è di nuovo imperniata su un ciclo di opere collegate fra loro, afferenti a una ricognizione aderente alle affettività personali. Un evento in cui poesia, danza, musica e performance, mostrerà l’interazione globale sulla linea dell’attenta regia predisposta dall’artista e volta a coinvolgere sinesteticamente i presenti alla serata. La donna e l’uomo uniti, attraverso l’arte, in un’idea comune, la salvezza del mondo. dalla presentazione del prof. Siliano Simoncini

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ittura, scultura, poesia, musica ed empatia in un’unica mostra. Poi, ancora, il ricongiungimento con la propria casa interiore, la pace, il rapporto con le generazioni a venire, la Fiaba come metafora della vita. Queste le principali tematiche affrontate dalla mostra di Cristina Palandri Le case dei poeti, allestita dal 17 maggio al 14 giugno nel chiostro e nel matroneo di S. Pier Maggiore del Liceo Artistico Petrocchi di Pistoia, che lei stessa frequentò da ragazza. L’allestimento si sviluppa dal loggiato del piano terra a quello del primo piano e si conclude nel matroneo. Un ciclo che prevedeva la visione di dipinti, sculture, installazioni e oggetti di

Cristina Palandri, Le case dei Poeti, 2013 tecnica mista cm 120x180

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alto artigianato e un evento di danza, musica e poesia, studiato dall’artista per coinvolgere i presenti non solo dal punto di vista visivo. Da Hansel e Gretel dei Fratelli Grimm a Pinocchio di Collodi, il percorso della mostra inizia con due Fiabe, unite dal filo conduttore del concetto di Casa. Prosegue con un’opera di forte critica sociale, E se i bambini ci guardassero dall’alto in cui, stavolta, le case sono quelle distrutte dalla superbia dell’uomo. Da qui il salvifico riferimento al concetto di Pace con il dipinto Il giardino delle delizie, con un richiamo “reverse” del giardino di Bosh. Ma veniamo adesso ai poeti, i veri protagonisti. L’artista confessa che una


Maria Cristina Palandri nasce a Pistoia, dove frequenta il Liceo Artistico. Il suo interesse per l’arte inizia con i libri di storia dell’arte. Frequenta l’Accademia di Belle Arti a Firenze, poi si iscrive ad architettura che abbandona dopo due anni per dedicarsi al disegno e alla pittura. Inizia la propria attività nel 1982 alla Galleria Valiani a Pistoia. Nel ‘98 inizia a tenere corsi di pittura per immigrati alla scuola pubblica del suo paese natale. Sempre a Pistoia, per anni coordina il laboratorio d’arte al centro sociale Piccolo Principe. La ispira particolarmente la corrente surrealista che la porta a sviluppare una ricerca tutta personale. Dall’artista toscano Francesconi impara la tecnica del papier-màche. Il suo interesse per le forme la porta, in seguito, a interessarsi al design d’interni: realizza arredamenti unici ornati di sculture e ceramiche. Si fa conoscere, poi, per le sue case di terracotta. Cristina Palandri è anche illustratrice di libri per bambini. Tra le più vivaci personalità creative dell’area pistoiese, è sempre stata attenta al rapporto tra arte e funzione sociale (collabora con numerose associazioni di beneficienza) e al ruolo della donna nella società odierna. Interessata anche alla combinazione tra poesia e arti visive. Tra le sue più importanti mostre personali ricordiamo: Memorie, Firenze (1983); Omaggio a Pinocchio, Tenuta del Duca Amedeo d’Aosta “Il Borro” (1987); Galleria Torelli, Pistoia (1990); Percorsi, Certaldo (1992); Piccole dimensioni, Festival dei Due Mondi, Spoleto (1993); Percorsi accidentali, Ken’s Art Gallery, Firenze (1993); Percorsi accidentali, Galleria d’Arte Olimphus, Barcellona (1993); Tempo di sogni, Montecatini Terme (1993); Oltre il muro, Centro d’Arte Torre Strozzi, Modena (1994); Ipotesi di percorso, Ken’s Art Gallery, Firenze (1995); Dimensioni temporali, Agliana (1996); Continuando e continuando, Parlesca (1998); Infans. L’immagine prima, Galleria Paracelso, Bologna (1999); Armonie, Scopoli (2000); La pace, un dono, Sale Affrescate, Palazzo di Giano, Pistoia (2004); La pace, un dono, Perugia (2005); Impressioni, Galleria d’Arte Melotti (2005); …E se i bambini ci guardassero dall’alto?, Pistoia (2006); Arte come donna, l’altro volto della creatività, Baden, Württemberg (2010); Viaggio nella pittura contemporanea, Pistoia (2010); Caminhos de Alma. Percorsi dell’anima, Porto (2011); Insieme per l’Associazione Tumori Toscana, Firenze (2012).

frase, una poesia, letta anche per caso, può trasformarsi, per lei, in studio, riflessione e lavoro. L’artista pistoiese è riuscita, infatti, a tradurre in immagini i concetti espressi dai poemi di Roberto Carifi tratti da Obbedienza (1986) e La carità del pensiero (1990) e da quelli di Cristina Campo dal libro Gli imperdonabili (1987). Le ceramiche situate nello spazio aperto del loggiato, a rappresentare una fila di cipressi, si collegano immediatamente alla poesia del Carducci Davanti a San Guido, in cui l’albero diventa casa dei volatili, mentre nel loggiato superiore un trittico dà forma e colore alle parole di Emily Dickinson, Giuseppe Aceto e Alda Merini, poemi legati dalle immagini di alcune case che, stavolta, si librano nel cielo, per mezzo della raffinatezza poetica. La mostra non poteva che concludersi con un’opera dedicata alla donna, custode

In alto Elisabetta Pastacaldi, preside del Liceo Artistico P. Petrocchi di Pistoia; Elena Becheri, assessore alla Cultura; Cristina Palandri, artista; Gabriello Losso, architetto e curatore della mostra. Al centro Omaggio a Pinocchio, bustino ricamato a mano dal Museo del Ricamo di Pistoia, scultura in terracotta anno 2013. Installazione nel Chiostro del Convento di San Pier Maggiore In basso Cristina Palandri, Omaggio alla poetessa Cristina Campo, 2013, tecnica mista cm 170x120. Abito ideato e dipinto a mano dalla stilista Martina Lucarelli.

della Casa intesa come figura salvifica, sentinella delle generazioni future: un bustino con un ricamo realizzato da alcune donne del MOICA (Movimento Italiano Casalinghe) accostato a una casetta in ceramica smaltata, dalle mani dell’artista-artigiano Giordano Pini.La Palandri offre un percorso che passa dalla parola all’immagine, dando vita a un ambiente onirico che richiama, nello spettatore, sentimenti nascosti nell’intimo, nella sua Casa, per l’appunto. Una mostra degna di un’artista fuori classe, nel senso letterale del termine: impossibile da inquadrare in una qualsiasi categoria. Un’esposizione che rappresenta prospettive non reali bensì psicologiche, empatica, umana, frutto del costante impegno sociale della Palandri a favore dei diritti dei bambini e del ruolo della donna nella società civile, rinforzato dalla sua pluriennale collaborazione con educatori scolastici e associazioni culturali.

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Benozzo Legoli museo

per le vie di

una passeggiata tra colline e arte

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l territorio della Valdera, quello delle dolci colline comprese tra Pisa e Firenze, rappresenta storicamente il cuore della Toscana e delle aspre contese tra le due città. Importante crocevia per i flussi di pellegrini, fu meta di personalità artistiche universalmente note che lasciarono fortunata memoria del loro operare. Benozzo Gozzoli, il frescante dei Medici, fu una delle personalità di spicco a caratterizzare con la propria arte il Rinascimento pisano. A Legoli, frazione del Comune di Peccioli, a pochissimi passi dalla Discarica modello gestita da Belvedere S.p.A., tra l’estate del 1479 e il 1480 l’artista si rifugiò, fuggendo dal terribile flagello della peste che stava mietendo vittime a Pisa, dove Benozzo si trovava per affrescare il Camposanto Monumentale, portando con sé la sua bottega e i suoi aiutanti per affrescare un piccolo e delizioso tabernacolo viario. Unico, tra i quattro che l’artista realizzerà, ad aver conservato la collocazione originaria e unico a non essere più visitabile. Nel 1822

infatti per volontà di Alessio della Fanteria, fu costruita una cappella che chiude alla vista del passante la bellezza dell’arte di Benozzo. Nella parete nord è rappresentato un San Sebastiano, nella parete sud Cristo portacroce e sullo sfondo le mura di Gerusalemme dove avviene la morte. Nella parete ovest alcuni angeli reggicortina accolgono una sacra rappresentazione con la Madonna e Santi intorno. Nell’intradosso sono raffigurati gli evangelisti con i loro simboli, i padri della chiesa e Cristo al centro. Negli estradossi è raffigurata l’Annunciazione con un angelo su un lato e la Madonna sull’altro. Nella parete est vi è la rappresentazione principale sotto un arco polilobato con la raffigurazione della crocifissione con San Giovanni Evangelista, San Francesco, San Domenico e Maria sotto gli occhi di due coppie di angeli in alto che sono addolorati per l’evento. Ai lati un San Michele arcangelo con la lancia e sull’altro lato l’episodio dell’incredulità di San Tommaso. Tematica di questo tabernacolo è la morte collegata alla peste che in quel momento stava mietendo molte vittime. La sofferenza e il dolore causati dalla malattia si ritrovano nelle ferite del San Sebastiano e nella incredulità di San Tommaso che tocca la piaga del Cristo. Rimedio possibile è un allontanamento dal male esemplificato dal santo taumaturgo Sebastiano da una parte e dall’arcangelo Michele che uccide il drago quindi il male, la morte e la malattia. Il santo in questione ricorda anche la posizione e il martirio di Cristo flagellato che viene quindi con il proprio sacrificio a liberare tutto il male presente in quel periodo. Il tabernacolo di Legoli è uno dei quattro che Benozzo affrescò nella secon-

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da metà del XV secolo: il tabernacolo dei Giustiziati a Certaldo, dipinto tra il 1464 e il 1467 e conservato presso la Chiesa dei SS. Tommaso e Prospero; il tabernacolo della Madonna della tosse dipinto nel 1484 e il tabernacolo della Madonna della Visitazione, 1491-92, conservati al Museo BeGo di Castelfiorentino. In occasione dell’iniziativa regionale Amico Museo da domenica 19 maggio a domenica 2 giugno è stata offerta un’occasione unica e irripetibile per visitare il Tabernacolo attraverso le guide della Fondazione Peccioliper che hanno illustrato gli affreschi del capolavoro per imparare ad amare il nostro territorio attraverso la scoperta dei suoi protagonisti e delle loro storie.

Irene Barbensi


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MOSTRA

POPolo vuole Ali Hassoun al Museo Piaggio Nicola Micieli

Il Buongoverno in campagna, 2011, olio su tela 120x150 cm Heros, 2012 olio su tela, 120x150 cm

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nche quest’anno si è tenuto a Pontedera l’ormai consolidato Laboratorio Didattico propedeutico all’esercizio delle arti e alla creatività. Lo promuovono il Comune di Pontedera e la Fondazione Piaggio e vi partecipano gli studenti liceali. Non è stata smentita la tradizione di affidare il laboratorio a un “maestro” di considerevole livello in un contesto non solo italiano. Si tratta difatti di Ali Hassoun, artista libanese di ampia notorietà la cui formazione di pittore e architetto si è compiuta a Firenze, ed è ormai un italiano che risiede a Milano, ma ha mantenuto stretti legami con la Toscana. Oltre alla qualità intrinseca, più squisitamente didattica, del suo “mestiere” di pittore, Hassoun ha offerto ai giovani “ragazzi di bottega” un valore aggiunto oggi molto importante sul piano culturale. La sua pittura, nella quale si rispecchiano la sua visione del mondo e il suo stile di vita, è difatti un esempio additabile non di integrazione cul-

turale (una cultura delocalizzata si integra nel senso che si lascia assorbire dalla cultura dominante) ma di correlazione interculturale. Ossia di compresenza attiva e propositiva di culture diverse aperte alla circolazione delle idee e della sensibilità contemporanee. La mostra dei dipinti di Hassoun ordinata al Museo Piaggio ha ben esemplificato il senso dell’apertura interculturale di questo artista di grande talento, il cui linguaggio di stretta osservanza figurativa non ha alcunché di mimetico né di neorealistico (lo osservava Luca Beatrice nella introduzione al catalogo) nel senso dei contenuti sociali. Hassoun attinge segni, icone, figure emblematiche, simboliche, segnaletiche, infine personaggi e situazioni anche connesse alla cronaca, sia dal-

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la vita e cultura libanese sua nativa, sia da altre mediorientali, asiatiche, africane, europee. Dipinge le sue scene con una vivezza del colore e una animazione del segno che esaltano e a un tempo estraniano le immagini rispetto alla loro puntualità visiva. Usa inoltre “riprese” di un taglio che vorrei dire cinematografico. A sfondo dipinge soprattutto cartografie, codici, apparati decorativi, immagini di consumo metropolitano, “icone” dal repertorio dell’arte antica, segnatamente italiana, e moderna di estrazione soprattutto pop e dintorni. Rappresenta altresì luoghi fisici urbani, campestri o altro che possono rimandare ad ambienti riconoscibili, ma derivano per lo più dai luoghi celebri simulati nella pittura, come quelli dei pittori senesi del Trecento.


MOSTRA

Andrea Gabbriellini

design, arte e gusto Lo show room di Mobilcasa alle porte di Pisa, ha aperto i propri spazi espositivi alle opere pittoriche di Andrea Gabbriellini, scalate per cicli tematici e stilistici dagli anni Sessanta a oggi. Inserite in contiguità con le creazioni dei più prestigiosi designers e studi di design italiani e internazionali, i dipinti di Gabbriellini entrano in vivace interazione visiva con le opere di progettazione. L’artista, da annoverarsi tra i maggiori ricercatori visivi toscani degli ultimi decenni, stabilisce un dialogo linguistico con gli “oggetti” d’uso di alta qualità formale e di originale design che esprimono le aperture creative più stimolanti dell’arredo di interni.

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a materia scompare nel ciclo delle Metafore incantevoli (Dino Carlesi) e nell’Incontro con la luce del 2001. È allora inevitabile che siano ripresi elementi compositivi di diversa natura, segni e graffiti che paiono riemergere dal lavoro del 1971, discontinuo rispetto al ciclo precedente, ma continuo nel complesso del suo percorso artistico. La materia riacquista la sua fondamentale capacità di strutturare la composizione nelle successive Frantumazioni di fine degli anni ’90 già esposte in sedi prestigiose, dalla mostra a Palazzo Panciatichi a Firenze curata da Giovanni Faccenda, a quella presso il Museo Piaggio di Pontedera a cura di Nicola Micieli. Qui il visitatore potrà rendersi conto di quanto questi lavori contino «sull’incontro tra queste superfici frantumate, rapprese, sfrangiate e la luce che arrivi a colpirle di lato o dall’alto» per rivelarne le più sottili vibrazioni strutturali. E come nei successivi Cartoni graffiati (il nome si deve a Gillo Dorfles) questa caratteristica venga meno e quindi Gabbriellini debba ricorrere ad altri elementi compositivi, «recuperare qualche struttura narrativa più estrin-

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seca, più esplicita, magari elementi più apertamente figurativi, con l’aggiunta di collages o frasi che illustrino la ricca articolazione concettuale che sottende tutta la produzione artistica del Gabbriellini», come scrivevo presentando pochi anni fa una sua mostra dedicata all’Arte nell’impresa. Ma con esiti artistici non meno impressionanti: qui il visitatore potrà coglierli appieno nel dipinto Rumore sul percorso (utilizzato anche per i manifesti della mostra al Museo Piaggio nonché per la copertina del Catalogo), nel monumentale Dove vai? e nel raffinato Tao, tutti e tre degli anni 2006-2007. Alla fine del percorso espositivo, il visitatore che si accinge a uscire e alza lo sguardo sul grande Porto del ’62, non potrà non avvertire, con un leggero senso di vertigine, la grande forza e la stupefacente capacità poetica di un corpus pittorico che, tra innovazione e continuità, ha caratterizzato 50 anni di produzione con esiti altissimi, che ci consegnano Andrea Gabbriellini come un indiscusso protagonista della scena artistica contemporanea. Foto di Martina Ridondelli

Francesco Filippi Poltrona Proust Geometrica Cappellini su disegno di Alessandro Mendini 2009 Divano Mate MDF disegno di R. Rizzini 2012 Tavolino Cumano Zanotta su disegno di A. Castiglioni 1978 Cassettiera Side 1 Cappelini su disegno di Shiro Kuramata 1970 tavolino rotondo Bong Cappellini su disegno di Giulio Cappellini 2004 tavolo Poh Cappellini su disegno di R. Navot 2012 libreria Drop Cappellini su disegno di Nendo 2012 Letto Vanessa Simon su disegno di Tobia Scarpa 1959 tavolino Small Wire Zanotta su disegno di Arik Levy 2007

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MOSTRE

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ArtInsolite Teatro del Silenzio 2013

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e tre mostre del ciclo ArtInsolite, per un’estate, trasformeranno in ucronia, in luogo senza tempo, il centro di Lajatico. Le terrecotte dipinte da Luigi Muscas, le due installazioni del gruppo Naturaliter e infine i bastoni di Nicola Micieli, frutto, in parte, del lavoro a quattro mani con i “suoi” artisti, evocano, infatti, una preistoria immaginata, che si riconcilia con l’onirico, un’era primordiale in cui il confine tra verosimile e incredibile è decisamente sottile. Il popolo dei giganti figli delle stelle di Muscas, In itinere di Micieli e altri artisti, le installazioni di Gianluca Salvadori, Alessio Salvadori e Catia Morucci (Presenze e L’arca di Noè), orchestrate dalla sapiente regia di Alberto Bartalini, si collocano nel piccolo centro di Lajatico, tra piazza Vittorio Veneto, via Garibaldi, via Battisti e il Centro Comunale di San Carlo, quasi come fossero recenti ritrovamenti archeologici. Figure antropomorfe dai tratti somatici sintetici, bocche abbozzate, proporzioni irreali: sono le terrecotte dipinte da Muscas, originari del luogo più recondito della coscienza. Ma nel contempo i colori sono vivaci, brillanti, tipici del presente. Muscas, originario della Sardegna, identifica i suoi feticci con gli esseri che popolava-

no la sua Isola in un’epoca gloriosa in cui l’uomo e le stelle sapevano ancora comunicare. Una gialla stella a quattro punte, di ritualità pagana, segna tutte le sue terrecotte, simbolo delle “stelle che camminano”, che l’artista confessa di osservare ogni notte, quasi fosse lui stesso uno dei figli delle stelle da lui scolpiti. Un fil rouge unisce i pupazzi di Luigi Muscas con la mostra In itinere, l’armadio dei bastoni di Micieli: l’attaccamento alla calda terra natìa, battuta dagli stessi bastoni decenni prima, durante la sua adolescenza. Un’adolescenza intesa ancora come primordio, stavolta non dell’umanità ma della personalità dell’individuo. Dalle colline degli albanesi in Calabria, a quelle delle Cerbaie in Toscana, teatro dell’età adulta, Micieli ha usato intagliare rami di ulivo, castagno o morbide canne, durante il suo girovagare per campi e boschi, creandone fedeli compagni di strada, viatici dell’iter mentale prima ancora che fisico. Compagni di viaggio non solo i bastoni intagliati, in occasione della mostra alloggiati in un antico armadio, ma anche i numerosi artisti che il suo mestiere di critico d’arte gli ha fatto incontrare e che, ai bastoni, hanno aggiunto un

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segno, un decoro, qualcosa di sé. Lasciare che la Scienza, per definizione razionale e accurata, venga contaminata dalla vaghezza dell’immaginario. Ci riescono gli artisti del gruppo Naturaliter, famoso per le ricostruzioni scientifiche nei musei di tutto il globo, con i loro gruppi scultorei perfetti, candidi e levigati, raffiguranti animali selvatici e uomini, insieme. Un connubio insolito che, attraverso l’estremo realismo dei particolari, irrompe nel mondo del possibile. L’equilibrio tra perfezione scultorea ed energia vitale della rappresentazione lasciano spaesato lo spettatore che perde la pietra di paragone, il distinguo tra ciò che è reale o meno. Un trittico di mostre che è un viaggio nel tempo e fuori dal tempo, alla ricerca di un primordio in cui natura, nella sua accezione più ampia, e uomo costituivano un perfetto tutt’uno. Un’era di cui si è persa ogni traccia se non nella mente dell’artista, il solo a non aver interrotto la comunicazione con la “Madre”, che sia Terra, Stelle o Creato.

Alex Paladini


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CONVITO

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che arte, per

Angelo Errera

Nella foto gli ospiti alla XVIIa edizione del Convito di Bacco

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acco, divinità degli antichi romani, da sempre simbolo di ebrezza, sensualità e vitalità, a Lido di Camaiore è anche l’esclusivo soggetto delle pareti e delle sale dell’Hotel Bacco. Un’importante raccolta unica al mondo di opere dedicate al dio pagano a cui hanno finora contribuito, anno dopo anno, decine di artisti del vasto panorama non solo toscano. Una volta all’anno, però, i pennelli e gli scalpelli artefici della cospicua raccolta s’incontra-

acco!

no al cosiddetto Convito di Bacco. Come intuibile, ogni edizione l’Hotel Bacco aggiunge posti alla sua tavola: questa diciassettesima edizione, tenutasi lo scorso 15 giugno, ha ospitato ben oltre cento invitati. Osservando le sale monotematiche ma mai monotone dell’Hotel Bacco, sembrerà di unirsi a una sorta di moderno baccanale o di passeggiare tra i filari di uno degli appezzamenti di vite che tanto caratterizzano la Toscana e che non a caso sono i

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protagonisti dell’ispirazione di così tanti artisti. Non mancano però le interpretazioni più particolari, apparentemente lontane dalla classica rappresentazione dionisiaca, ma che, a ben osservare, costituiscono il modo, forse più intimo e più difficile da codificare, che l’artista ha avuto d’intendere Bacco e ciò che gli gravita attorno. Il particolare convivium del 15 giugno che ha unito arte ed enogastronomia, ideato da Massimo Mannoz-


zi, proprietario dell’Hotel Bacco e del Ristorante Bacco a Berlino, nonché lui stesso pittore, ha visto anche la partecipazione di numerose personalità del mondo della stampa e del collezionismo. In rappresentanza delle istituzioni, invece, sono intervenuti il neo-eletto sindaco di Camaiore Alessandro Del Dotto e l’assessore al turismo Carlo Alberto Carrai. Un evento che ricorda, non solo l’epoca romana, con il riferimento a Bacco, ma anche i suggestivi conviti rinascimentali ai quali partecipavano gli artisti dell’epoca che non di rado erano chiamati a disegnare e realizzare anche le suppellettili della tavola.

In alto il Cav. Massimo Mannozzi con il sindaco di Camaiore Alessandro Del Dotto Interni dell’Hotel Bacco a Lido di Camaiore

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Incontri CON L’ARTE

ARTE BOTANICA NEL III° MILLENNIO BOtanical ART INTO THE THIRD MILLENNIUM

FINO AL 15 LUGLIO

P

er la prima volta nelle sale dello storico Palazzo Lanfranchi di Pisa si possono ammirare opere di artisti contemporanei provenienti da tutto il mondo, che hanno fatto della natura o dell’elemento naturale un indiscusso protagonista della loro ricerca artistica. Ed è significativo che proprio a Pisa, dove nel 1544 fu fondato il più antico Orto botanico europeo annesso a una Università, noto all’epoca come Giardino dei Semplici, al Museo della Grafica sia stata inaugurata (dal 20 aprile al 15 luglio 2013) la mostra Arte botanica nel terzo millennio - a cura di Lucia Tomasi Tongiorgi e Alessandro Tosi. Un evento espositivo di carattere internazionale che stabilendo un ideale ponte di continuità tra passato e presente intende gettare uno sguardo a un genere artistico, quello dell’Arte botanica, di remota tradizione culturale, ma ancora poco noto in Italia a un pubblico non specialistico. E se oggi, nell’epoca digitale e tecnologica del terzo millennio, il rapporto tra Arte e Scienza pare oramai un tema di grande attualità, è proprio nell’arte botanica che questo binomio trova forse il suo mezzo espressivo più suggestivo, là dove l’indagine scientifica del naturalista o del botanico guarda con attenzione all’elaborazione artistica

dell’elemento naturale. Così mentre l’occhio attento di un botanico potrà riconoscere, tra le 155 opere esposte in mostra, le specie di circa 40 piante ritratte e, soprattutto, le numerose varietà di fiori, rappresentati isolati o in addensati infiorescenze complesse, lo sguardo profano dell’osservatore potrà invece lasciarsi suggestionare dai colori e dalle forme di questo inedito “giardino figurativo”. Le opere esposte nelle sale ci permettono di ripercorrere alcune delle tappe fondamentali degli esiti più affascinanti dell’Arte botanica contemporanea, attraverso le cinque sezioni tematiche che strutturano il percorso espositivo. È il grande girasole ritratto di fronte e in visione posteriore (riproduzione dell’originale), facente parte del prezioso Codice Casabona, conservato presso la Biblioteca Universitaria, ad accogliere il visitatore all’inizio della mostra. Si tratta delle tavole dell’Helianthus annus dipinte alla fine del XVI secolo dal tedesco Daniel Froeschl per il botanico Giuseppe Casabona, all’epoca direttore dell’antico Orto botanico pisano. In un ideale dialogo tra tradizione passata e presente si pone invece l’altro girasole, dipinto nel 1985 per la collezionista americana Rachel Mason, dall’australiana Margaret Stones, una delle arti-

ste botaniche più rappresentative del ventesimo secolo, insieme al nome dello scozzese Rory McEwen e quello della intrepida viaggiatrice e pittrice Margaret Mee. A questi artisti è dedicata proprio la prima sezione della mostra “Maestri del XX secolo”, che comprende alcune delle opere della straordinaria raccolta di Oak Spring Garden Library (Virginia, USA). Di estremo interesse è la selezione di opere della prestigiosa Collezione di Shirley Sherwood, che compone la seconda sezione: veramente “Uno sguardo sul mondo”, quale quello offerto dalle 53 opere esposte di artisti provenienti dall’Europa, dal Giappone, dall’Australia, dal Brasile e dagli Sati Uniti. Stupisce, oltreché la bellezza delle varietà di piante e fiori ritratti, appartenenti a famiglie con generi e specie di ogni continente, la molteplicità di linguaggi e il dominio delle tecniche. Non meno suggestive le opere di artisti brasiliani e quelle degli artisti botanici italiani, ai quali sono state

dedicate alle apposite sezioni “Dal Brasile” ed “In Italia”. Il percorso si conclude con le “Suggestioni, Evocazioni” delle opere, esposte al secondo piano, di artisti contemporanei appartenenti ad ambiti artistici diversi, dove si possono ammirare alcune delle più audaci e sofisticate soluzioni figurative ispirate all’universo naturale. Catalogo della mostra: Arte botanica nel terzo millennio. Botanical Art into the third Millennium, Lucia Tongiorgi Tomasi, AlessandroTosi (a cura di), Shirley Sherwood (con la collaborazioni di), Pisa 2013, Edizioni ETS. Valentina Diara

MUSEO DELLA GRAFICA DI PISA SEDE PALAZZO LANFRANCHI LUNGARNO GALILEI, 9 - PISA lunedì: chiuso martedì - venerdì: 17:00-21:00 sabato e domenica: 10:30-12:30 - 17:00-22:00

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IL MAESTRO

PRESENTA L’ALLIEVO Va EDIZIONE - PREMIO UGO GUIDI

6 - 30 LUGLIO

all’idea creativa. Non mancano lavori indirizzati verso ricerche tecniche e decorative che mirano alla sperimentazione materica e al soddisfacimento estetico, associando alla classicità del marmo gli allegri contrasti cromatici di vetri colorati, o esasperando il gioco di pieni e vuoti - luci e ombre sulle superfici marmoree per ottenere dinamici effetti chiaroscurali. VILLA SCHIFF - GIORGINI MONTIGNOSO (MS) MARTEDì - GIOVEDì: 10.00-12.00 GIOVEDì - VENERDì - Sabato: 17.00-19.00

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Villa Schiff, la Rassegna d’arte contemporanea promossa dall’Ass. Amici del Museo Ugo Guidi Onlus a cura di Enrica Frediani. L’esposizione raccoglie opere di allievi. Apprezzata per i valori istituzionali e per l’innovativa idea di riunire in una sola manifestazione tutte le Accademie Statali italiane. Il tema della rassegna è il disagio fisico e psicologico dell’uomo moderno, esplorando emozioni e subconscio, visitando luoghi del mistero con profonde riflessioni sul proprio vissuto, mentre l’esperienza personale diventa talvolta il mezzo per giungere

TULAR CONFINE CARLO PIZZICHINI DIPINTI E CERAMICHE

6 LUGLIO - 1 SETTEMBRE

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a mostra è allestita presso la Pinacoteca Civica di Volterra dove vengono presentati dipinti di grande dimensione nel chiostro e nella loggia alta, ceramiche arcaiche e carte nei sotterranei e installazioni in terracotta nel giardino. Tular è il “confine sacro” degli Etruschi. Tular: da Thule, l’isola leggendaria di fuoco e di ghiaccio, dove il sole non tramonta mai (Pitheas 330 A.C); e da “ultima Thule” (Virgilio) nel senso di estrema, cioè ultima terra conosciuta, dove finiva il mondo e cominciava l’Aldilà. Tular è la pietra che segna il confine sacro. Il confine che nell’artista è rappresentato dal suo operare, tra istinto e ragione, il limite tra evocazione e intuizione, tra memoria e passione, tra il silenzio del passato e il clamore del presente. L’artista come eterno nomade si spinge fino all’estremo, alla ricerca del confine sacro, tra la Vita e un’altra Vita. Il mondo visionario di Carlo Pizzichini è un inesausto fluire e depositarsi dei segni e un repentino loro rifluire, in scioltezza di manifestazione e di canto, verso nuovi approdi.

PINACOTECA CIVICA DI VOLTERRA VIA SARTI 1 | VOLTERRA | ItALY TUTTI I GIORNI: 9.00-19.00

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L’arte in italia

Carmelo De Luca

L’INGANNO DELL’OCCHIO

MAR ADENTRO

STEVE McCURRY

25 MAGGIO 15 SETTEMBRE 2013

7 GIUGNO 24 AGOSTO 2013

15 GIUGNO 3 NOVEMBRE 2013

PERUGIA

FANO

SIENA

Gallerie dei Gerosolimitani Via San Francesco 8

Galleria Carifono, Palazzo Corbelli Via Arco d’Augusto 47

Complesso Museale di Santa Maria della Scala

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’inganno d’autore, celebrato attraverso le opere prodotte da maestri provenienti dal vecchio continente, è il tema della mostra dedicata al tromp l’oeil, scenografico genere artistico capace di circuire la vista attraverso dimensioni architettoniche irreali ma sorprendentemente vere all’occhio umano, grazie alla convivenza con particolari riconducibili al quotidiano. Sontuose prospettive sfidano lo spettatore, inerme davanti a cotanta dovizia del particolare, tale da trasformare l’illusione in dimensione tangibile supportata dall’utilizzo di colori cromatici variegati. L’esposizione vanta firme prestigiose di maestri contemporanei, reinterpretanti questo genere artistico accattivante, basti menzionare Philip Akkerman, Agostino Arrivabene, Maurizio Bottoni, Mario ter Braak, Karel Buskes, Neil Moore, Pieter Pander, Jaap Roose, Kik Zeiler.

ributo al Mare Mediterraneo, padre generoso per le numerose popolazioni che attingono sostentamento dalle sue innumerevoli ricchezze, sconfinata distesa lambita da coste variopinte e illuminate da un sole splendente, mitica fonte d’ispirazione per artisti, poeti, filosofi. Roberto Mangù assorbe questo bagaglio culturale, facendolo assurgere a sconfinata distesa d’acqua interiore dove attingere linfa vitale per le sue coloratissime creazioni. Il suo Mar Adentro, contaminato dalla civiltà industriale tipica della nostra società, porta l’artista a concepire creazioni originali, nelle quali il senso del tempo svanisce, proiettando la percezione dell’attuale in una dimensione eterna, grazie alla convivenza tra il mito e l’interiorità soggettiva. Le opere esposte trasmettono l’amore nutrito dal maestro per il “Mare Nostrum”.

a riuscitissima mostra senese esprime poesia, quella poesia che viene dall’anima, contaminando la tragica realtà odierna dei paesi mediorientali, la magia insita nel tessuto naturale, le grandi infrastrutture realizzate dall’uomo. Sguardi profondi, intensi, segnati dalle vicissitudini, strade sconfinate annullate dall’orizzonte, paesaggi bellissimi dove il tempo diventa un suo subalterno, soggetti prediletti dall’artista, emanano una solidarietà accomunante il mondo intero nella esternazione di sentimenti, emozioni, interiorità: La meritata fama riconosciuta a McCurry trova linfa vitale in questa realtà accomunante il mondo intero, il bello del creato, il genio architettonico dovuto a mano umana. Insomma, l’esposizione senese rappresenta una lezione magistrale incentrata sull’uomo e l’ambiente da esso abitato.

IL GRAN PRINCIPE FERDINANDO DE’ MEDICI 25 GIUGNO - 3 NOVEMBRE 2013

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FIRENZE

Uffizi - Piazzale degli Uffizi

a mostra racconta l’amore di Ferdinando verso la musica, la pittura, la scultura, l’architettura, la strumentistica. Lo sguardo del Granduca, immortalato da Foggini, Gabbiani, Suttermans, accoglie il visitatore guidandolo in un viaggio fantastico tra i suoi tesori, a iniziare dall’amata Villa di Pratolino. L’esposizione prosegue con i capolavori riguardanti le trasformazioni da lui apportate a Palazzo Pitti, alla Pergola, al Duomo, in occasione del matrimonio con Violante di Baviera, con le tele a soggetto sacro e profano, con le nature dipinte, mobilio finemente intagliato, pale d’altare, tra le quali si annovera la celebre Madonna delle Arpie creata da Andrea del Sarto. Il percorso trova degna conclusione nelle raccolte custodite dal principe presso Poggio a Caiano, nella scultura fiorentina, nella pittura veneta, bolognese, ligure, di fine Seicento.

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STORIA E UTOPIA Dürer è il mio profeta RAFFAELE DE ROSA 20 LUGLIO 20 AGOSTO 2013 VOLTERRA Palazzo dei Priori

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ürer è il mio profeta. Il pittore delle favole, Raffaele De Rosa, dal 18 luglio al 31 agosto, sarà a Volterra, al Palazzo dei Priori. Il titolo della sua personale è eloquente: De Rosa, per mezzo della sua eccel-

I LUOGHI DOVE I DESTINI SI INCONTRANO ANDREA GRANCHI 10 AGOSTO 30 SETTEMBRE 2013 VOLTERRA Pinacoteca Comunale Palazzo Minucci Solaini

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alla fuga alla tridimensione, passando per le ombre. Dal 10 agosto al 30 settembre a Volterra, presso la Pinacoteca e il Palazzo Minucci Solaini, con I luoghi dove i destini s’incontrano l’esposizione di Andrea Granchi, l’artista

lente dote di illustratore, racconta, mette letteralmente in scena, luoghi incantati, gesta cavalleresche, emblemi di tempi che non esistono più e, forse, mai sono esistiti. “È storia o utopia?”, vien da chiedersi. “Entrambe”, ci risponde De Rosa. Il pittore, nato a un passo dall’antico porto romano di Luni e naturalizzato livornese, rende omaggio ad Albrecht Dürer, massimo esponente della pittura rinascimentale tedesca, anch’egli celebratore della simbologia cavalleresca, pregna di allegorie. De Rosa, come prevedibile, è anche forte di un vasto repertorio di letture, partendo dalla trilogia degli antenati di Calvino per finire all’epica ariostesca. Egli stesso confessa «Veramente amo questi libri che avrei potuto scrivere io, se fossi stato scrittore». Apparentemente un piacevole illustratore, dai colori e dallo stile inconfondibili; in realtà l’ultimo dei “cantori” di donne, cavallier, arme, amori, cortesie e audaci imprese, mentre “i tempi avanzano solo calpestando e schiacciando le folle”, giusto per menzionare una tela dell’artista.

prende per mano il pubblico e con esso ripercorre l’evoluzione del proprio lavoro, in ordine cronologico, stanza per stanza. Un viaggio, si può dire: un altro tema caro a Granchi. Il pittore fiorentino è stato negli anni Settanta tra i protagonisti di avanguardia del “Cinema d’Artista”, quindi professore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Fin dagli inizi impegnato, si è impegnato in un’incessante sperimentazione e nella ricerca di una sintesi totale dell’animo umano. Alla Pinacoteca di Volterra ci accompagna in un viaggio attraverso la sua opera che comincia nel 1966, anno in cui vinse il premio Giovani Artisti di Firenze. Le contraddizioni della modernità, così come il dubbio, l’ansia della scelta lo hanno sempre ispirato e quasi ossessionato. Ne è un esempio l’opera L’uomo dai due destini separati, del 1982, in cui una figura isolata proietta due differenti ombre, una lunga, una corta. Questo titolo si contrappone emblematicamente a quello della mostra, che per due mesi “incrocerà” il suo destino con quello del visitatore.

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RI-GENERAZIONI da oriente a occidente Thailandia e Ri-torno 30 GIUGNO 28 LUGLIO 2013 MASSAROSA (LU) La Brilla di Quiesa Via Pietro a Padule “La Piaggetta”

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opo il successo della quarta edizione di Ri-Generazioni, inserita nei Percorsi della 54a edizione della Biennale di Venezia, la Brilla apre nuovamente le porte per una nuova esposizione.

DIAFANE PASSIONI 16 LUGLIO 3 NOVEMBRE 2013 FIRENZE Musei degli Argenti Piazza Pitti

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partire dal XV secolo, l’avorio diventa materia ricercatissima da regnanti, prelati, banchieri, nobili, per la creazione di delicati capolavori e il barocco decreta la supremazia della gemma orga-

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Ri-Generazioni da Oriente a Occidente, Thailandia e Ri-torno è il titolo della quinta edizione della fortunatissima rassegna d’Arte, a cura di Alberto Magnolfi e dell’ Assessorato alla Cultura del Comune di Massarosa. Sono coinvolti artisti thailandesi Amrit Chusuwan, Sutee Kunavichayanont, Sakarin Krue-on, Noppadon Viroonchatapun, Pongpan Chantanamattha, Natthapol Suwankusolsong, Songchai Buachum e gli artisti del gruppo Ri-Generazioni Sabina Feroci, Fabrizio Giorgi, Gabriele Libero Balderi, Riccardo Bracaloni, Alberto Magnolfi, Massimiliano Siragusa, Giovanni Raffaelli, Mario Bargero, Paolo Pelosini, Gianfalco Masini, Pietro Soriani, Federico Volpi, Claudio Tomei, Lorenzo D’Andrea, Guglielmo Malato, Stefano Pilato, Graziano Guiso, Stefano Graziano, Cinzio Cavallarin, Andrea Locci, Pierangela Massolo, Paolo Fiorellini, Stefano Lanzardo, Lago, Falco, Laura Cosimini “Esalì” e Libero Maggini. Sono previste aperture straordinarie ed eventi da scoprire sui siti: www.comune.massarosa.lu.it www.cittainfinite.eu.

nogena lavorata da mani esperte. L’esposizione allestita presso Palazzo Pitti rappresenta un interessante libro aperto dedicato al collezionismo eburneo, nel quale scultura figurativa e torniture fantasiose raccontano l’arte attraverso l’esaltazione del capriccio ottenuto grazie al calcolo matematico sapientemente applicata all’elaborata opera da creare. Ferdinando I De’ Medici, augusto granduca in terra toscana, colleziona bellissimi manufatti, le cui commissioni continuano fino al tramonto della dinastia, raggiungendo livelli qualitativi, artistici, storici, decisamente eccezionali, ne sono prova i piccoli capolavori appartenenti al blasonato Museo degli Argenti. Divisa in sezioni, la mostra ripercorre la storia artistica legata all’avorio, partendo dagli oggetti realizzati per Lorenzo il Magnifico sino all’operato di Leonhard Kern, François Duquesnoy, Georg Petel, grazie ai prestiti provenienti dal Polo Museale Fiorentino, istituzioni straniere, collezioni private. Alcune sale espositive ospitano interessanti opere create nelle antiche colonie portoghesi, spagnole e nel Goa.


LA FORZA DELLA MODERNITà 20 APRILE 2013 6 OTTOBRE 2013 LUCCA Fondazione Ragghianti Via S. Micheletto, 3

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maggio alla produzione decorativa, ideata in Italia a cavallo tra le due guerre mondiali, la mostra aiuta a capire il fervore caratterizzante quegli anni, durante i quali l’arte nostrana attinge

CAPOLAVORI IN VALTIBERINA 22 GIUGNO 3 NOVEMBRE 2013 VALTIBERINA Territorio tra Umbria e Toscana

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anitosa come una prima donna, la Valtiberina sfoggia i suoi immensi tesori artistici, artigianali, enogastronomici, in occasione della nona edizione del progetto Piccoli Grandi Musei. Questa dolcissima

ispirazione dal passato classico in modo originale, crea stili innovativi, diffonde nuove mode, afferma l’espressività nella produzione figurativa, dando lustro internazionale al futuro Italian Design. La sperimentazione futurista, l’esaltazione della materia, il ruolo assegnato al disegno geometrico, partoriscono una cultura eterogenea, i cui risultati sono visibili nelle opere presenti in mostra, una vera immersione tra la ricerca per il nuovo e la trasformazione contemporanea dell’antico. Divisa in sezioni, l’esposizione spazia dagli anni Venti ai primi del Cinquanta: Oggettistica, sculture, dipinti, raccontano il legame con i secoli passati, attraverso la rivisitazione dell’arte classica, rinascimentale, manierista, rococò, sino ad arrivare agli aeropittori o ai maestri tardo futuristi, decisamente antistorici. L’evento lucchese vanta prestatori illustri e italianissimi, basti menzionare il Museo Richard-Ginori di Doccia, Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, Galleria d’Arte Moderna di Genova, Musei Civici di Feltre, Soprintendenza BAPSAE di Lucca e Massa Carrara.

terra, a cavallo tra Umbria e Toscana, custodisce gelosamente numerose rilevanze legate alla sua storia millenaria, non a caso prestigiosi nomi della grande cultura italiana sono nati o hanno avuto rapporti con questa magnifica realtà, basti menzionare Piero della Francesca, Donatello, Perugino, Raffaello, Rosso Fiorentino, Alberto Burri. La valorizzazione delle piccole realtà museali presenti sul territorio, spesso sconosciute alla massa ma assolutamente importanti per le rilevanze artistiche in esse contenute, rappresenta il filo conduttore della lodevole iniziativa, ormai collaudata con successo dall’Ente CariFirenze, che vede nelle regioni coinvolte due valide sostenitrici. Il percorso espositivo parte da Città di Castello con il suo celebre Duomo, la Pinatoteca, la Collezione Burri, mentre San Sepolcro sfoggia il suo gioiello di famiglia, il Museo Civico! Ma la lista non è completa, Montevarchi compete grazie al Museo della Madonna del Parto e Anghiari con il Museo di Palazzo Taglieschi, dove è esposta la Tavola Doria, importante copia del celebre affresco leonardesco sulla battaglia svoltasi nei presso della cittadina.

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STORIA

rinascimento risorgimento e...

ricrescimento E

saltando il mondo grecoromano e condannando il “Medioevo”, termine coniato in età umanistica da Flavio Biondo per indicare un periodo “buio” e di barbarie, il periodo storico che va dagli ultimi decenni del XIV secolo ai primi del XV secolo fu chiamato “Rinascimento” per indicare una nuova epoca di luce e di rinascita del mondo classico. In verità, il termine “Rinascita” fu usato da Giorgio Vasari nel suo celebre trattato Vite de più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri, ma il termine “Rinascimento” è frutto della storiografia ottocentesca, essendo tale definizione attribuibile al francese Jules Michelet, che lo utilizzò nel 1855 per definire la “scoperta del mondo dell’uomo” che si verificò nel XV secolo. Nel 1860 lo storico svizzero Jacob Burckhardt ampliò il concetto espresso da Michelet, descrivendo l’epoca come quella in cui sarebbero venute alla luce l’umanità e la coscienza moderna dopo un lungo periodo di decadenza. Con l’analogo termine

“Risorgimento” la storiografia indicò il periodo ottocentesco in cui la nazione italiana conseguì la propria unità, richiamando l’ideale romantico di una resurrezione dell’Italia, attraverso il raggiungimento di quell’identità unitaria, che si era iniziata a delineare durante la dominazione da parte dei Romani. Infatti, durante l’età augustea l’Italia era organizzata in un sistema amministrativo distinto da quello tipico delle province, divenendo la parte privilegiata dell’Impero, in quanto i suoi abitanti liberi erano considerati cittadini romani e in quanto essi erano esentati dalla tassazione diretta. I privilegi accordati da Roma all’Italia affondavano le loro radici nella più antica politica di espansione romana, la quale faceva leva sul comune substrato culturale e linguistico, che caratterizzava molti popoli italici. In sostanza, i termini “Rinascimento” e “Risorgimento”, assolutamente sovrapponibili dal punto di vista etimologico, nonostante si riferiscano a distinti tempi storici, nacquero nello stesso periodo, cioè nel XIX secolo, per indi-

Fernardo Prattichizzo

care momenti storici “positivi”, da contrapporre a precedenti periodi storici “negativi”, idealizzando in entrambi i casi il mondo classico. Passando a considerare i nostri giorni e il perdurante periodo di “crisi” economica, finanziaria, sociale, religiosa e politica che caratterizza il mondo occidentale, è lecito pensare ed auspicare che prima o poi nasca o sorga un nuovo periodo di “Ricrescimento”. Speriamo…

Trattato di Giorgio Vasari Vite de più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri. Jules Michelet (in un ritratto di Thomas Couture) utilizzò il termine “Rinascimento” nel 1855 per definire la “scoperta del mondo dell’uomo”. In vedetta Giovanni Fattori

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ISTRUZIONE

San Miniato

palestra della

mente

Fondata da Don Luciano Marrucci una Scuola di logica senza precedenti

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l 14 dicembre 2012, nella Torre degli Stipendiari, è stato celebrato l’open day di una Scuola di Logica. Il fondatore è Don Luciano Marrucci, (nella foto in basso con i suoi alunni) che, negli anni ’60 era docente di questa disciplina nel Seminario Vescovile di San Miniato; laureato all’Ateneo Lateranense in Sacra Teologia, noto scrittore e autore di varie pubblicazioni, tra cui i tre plichi Chiavi di logica. La Scuola è situata al nr. 1 di Piazzetta del Castello, nella Torre degli Stipendiari. L’edificio è così chiamato perché qui stanziava una guarnigione “assoldata” dai Vicari per la custodia dei Palazzi. A tagliare il nastro d’inaugurazione, un alunno della Scuola elementare L. Da Vinci di San Miniato. Il 16 luglio 2012 ha avuto inizio il primo corso di base su “Logica e Analogica”; il corso, a numero chiuso, è stato seguito con crescente interesse dai partecipanti con vivaci confronti

sui temi delle varie lezioni. Gli iscritti, in seguito, hanno ricevuto un attestato di frequenza attiva. A metà febbraio del 2013 ha avuto luogo una tavola rotonda sul tema “Logica e Architettura”. È in questo periodo che Don Luciano Marrucci pubblica un interessante opuscolo dal titolo Lettera a Margherita Hack, dove, in forma dialettica, contesta alla celebre astrofisica le sue illazioni sull’esistenza di Dio. La sede è stata spesso “visitata” da intere scolaresche, accompagnate dai loro docenti; in queste occasioni Don Luciano ha avuto la possibilità di illustrare alcune nozioni di logica con riferimento al linguaggio razionale e a quello emozionale. Con l’inizio del nuovo anno scolastico, sono previsti tre corsi di base sulla logica indirizzati agli studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore “Arturo Checchi” di Fucecchio.

Niccolò Banti

Foto dall’Archivio di Luciano Marrucci

L’immagine della conchiglia introdotta per evidenziare il rapporto tra logica e analogica: due valve di una stessa conchiglia. Diploma assegnato ai partecipanti del primo corso di base su “Logica e Analogica”. Tavolo di lavoro del docente. L’aula vera e propria della Scuola di Logica è concepita col criterio di un numero chiuso di partecipanti.

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luoghi e visioni

Peccioliper Ghizzano Degustando il territorio

la sua arte e i suoi prodotti Irene Barbensi

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hizzano, antico borgo a lungo conteso tra il comune di Pisa, il vescovo di Volterra e poi Firenze che conquistò definitivamente il castello nel 1406, è situato lungo l’antica strada che collega Peccioli a Castelfalfi, immerso nel verde delle dolci e gentili colline pisane. Scrigno di un tesoro dell’arte medievale è la cappella della Santissima Annunziata, realizzata alla fine dell’Ottocento in stile neogotico che conserva al suo interno lo splendido gruppo scultoreo dell’Annunciazione attribuita a Tommaso pisano, figlio del celeberrimo Andrea, protagonista della scultura pisana della seconda metà del Trecento. Secondo la leggenda popolare il gruppo, ritrovato tra le rovine di un’antica chiesa, fu trasportato su un carro trainato da buoi che decisero di fermarsi nel luogo dove oggi sorge il piccolo edificio. Presenti dalla seconda metà del XIV secolo i conti Venerosi Pesciolini costruirono la loro residenza proprio nel luogo un tempo occupato dal castello, mantenendo la propria presenza fino a oggi e trasformando gli antichi possedimenti in una florida azienda agricola specializzata

nella produzione di vino e olio di alta qualità commercializzati a livello internazionale. Domenica 12 maggio la Fondazione Peccioliper impegnata nella valorizzazione del patrimonio culturale del

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territorio, ha organizzato per i possessori della Card “Amici del Polo Museale di Peccioli” una degustazione guidata alla scoperta delle eccellenze artistiche ed enogastronomiche del borgo di Ghizzano.


Un’affascinante passeggiata nelle cantine ottocentesche di Villa Venerosi Pesciolini dove sono conservati e invecchiati i pregiati vini prodotti dall’azienda; nella limonaia del giardino all’italiana hanno potuto degustare i prodotti tipici della zona, formaggi, salumi, pane, miele delle aziende della zona, dalla zuppa di Biocolombini di Crespina, ai formaggi di pecora e mucca dell’Az. Agr. L’Avvenire di Terricciola e ai formaggi di capra dell’Az. Agr. Poggio di Cam-

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porbiano, dalla cinta senese dell’Az. Agr. Biologica Pulidori di Casciana Terme, al pane del Panificio PiÈ di Ponte di Casciana Alta, per finire con il miele dell’Az. Agr. Poggi di Rivalto e Sapori Mediterranei di Pisa. Un viaggio alla riscoperta di sapori e profumi della nostra terra forse dimenticati, di percorsi mutati nel tempo e di gesti ripetuti all’infinito frutto di una sapienza che testimonia un vissuto legato alle naturali emozioni della vita e della natura


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PRIMO PIANO

Firenze la principessa

e gli artigiani nel giardino dei Principi Corsini

Domenico Savini

Il giardino Corsini durante la manifestazione

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entre gli artigiani sono impegnati nell’allestimento dei rispettivi spazi espositivi e con mille cautele estraggono dalle casse d’imballaggio e dagli involucri i loro suggestivi contenuti (argenti, alta gastronomia, arredi, bigiotterie, carta e cartapesta, ceramiche e terrecotte, legni, incisioni, stampe, sculture, oreficerie, pelli e cuoi, profumi ed essenze, ricami, arazzi e tappeti, tessuti, vetri, paglie e altri pregiati oggetti e materiali), niente li distrae dai loro fervidi e responsabili impegni, nemmeno la visione del suggestivo “contenitore”: lo storico giardino dei

Principi Corsini, nel cui perimetro è stata aperta al pubblico la mostra Artigianato e Palazzo, quest’anno giunta alla XIX edizione. Il Palazzo Corsini sul Prato, commissionato a Bernardo Buontalenti alla fine del ’500, cela uno dei più interessanti giardini all’italiana di Firenze, disegnato e realizzato da Gherardo Silvani, con un ampio viale centrale ornato di statue di misure digradanti ad accentuarne l’effetto prospettico, aiuole, siepi di bosso, basi per le conche di limoni e ampie e luminose limonaie che sorgono a ridosso del muro di cinta che delimita il giardino

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su via della Scala 115, dove si apre l’ingresso. Come le precedenti edizioni di Artigianato e Palazzo la mostra ha riunito oltre cento tra i più straordinari e capaci artigiani fiorentini, italiani ed europei, selezionati da Giorgiana Corsini e Neri Torrigiani, coinvolgendo nei giorni della mostra – dal 16 al 19 maggio – alcune migliaia di visitatori attenti e curiosi. Oltre all’importante contributo culturale e divulgativo in sé, la mostra ha stimolato un approfondimento sulle “arti applicate”, con l’intento di avvicinarle sempre più alla nostra quotidianità.


Artigianato, antico amore che continua a dare segni di vitalità. Quanti artigiani abbiamo conosciuto, taluni chiusi in una stanzina fredda, piena degli odori del doratore, delle vernici, degli inchiostri, dei colori, delle colle, dove però c’è passione, gusto di produrre una cosa bella, emozione per averla realizzata.

do sull’idea di un artigianato per sua natura “moderno”, senza con questo dimenticare l’elemento fondamentale della tradizione: il continuo scambio con la committenza di ogni censo. Anche questa XIX edizione della mostra è partita dall’idea che nel manufatto artigianale la creazione non abbia mai fine e ogni lavoro non sia uguale ad altro. E proprio parlando di “manufatto” (dal latino “manu facere”: fare con le mani), gli espositori di Artigianato e Palazzo sono stati ancora una volta chiamati a gran voce per dimostrare dal vivo le varie tecniche di lavorazione nelle quali eccellono, perché gli artigiani non fanno lavori in serie, non pretendono o aspettano l’ordine da mille pezzi tutti uguali. Hanno amore per la cosa bella, unica, che merita di essere perfettamente eseguita. Porgono al visitatore gli oggetti finiti con un sorriso, tanto modesto per l’opera loro, ma così pieni di soddisfazione. Che l’artigianato sia una nostra

La mostra Artigianato e Palazzo è nata principalmente dall’idea di rivalutare e reinquadrare ai giorni nostri la figura dell’artigiano e del suo lavoro, considerandolo alta espressione di qualità e di tecnica, legato sì alla committenza, ma insisten-

grande tradizione che nel corso dei secoli ha sconfinato nell’arte, tutti lo sanno. L’artigianato era l’espressione dell’anima comune di un popolo, nasceva facilmente come aspirazione per affermare dei valori tramandati per generazioni, a noi trasmessi e da

trasmettere ad altri dopo di noi. Un lavoro artigianale vuole attenzione, cura, tempo, precisione, e soprattutto passione. Ma come può vivere, se ci dimentichiamo delle nostre tradizioni, del nostro tipico e antico modo di esprimerci?

La principessa Giorgiana Corsini e Neri Torrigiani Muby e Woody, trottole fatte a mano Pampaloni, lavorazione della ceramica Cristina Corradi, libri d’artista fase di rilegatura Consorzio del Cappello Ester di Leo e Neri Torrigiani Paolo Penko, arte dell’orificeria Consorzio del Cappello, fase di lavorazione

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CARTOLINE

Losanna un amore tutto svizzero

Carlo Ciappina

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na carrellata temporale attraverso i secoli è l’affermazione più adeguata per descrivere Losanna, nata come abitato galloromano, evolutasi nel tempo, come dimostra l’assetto urbanistico attuale ricchissimo di rilevanze artistiche. La Cattedrale, “fulcro ammaliatore” nel centro storico, rappresenta un autentico gioiello in stile gotico, le cui altissime guglie si impongono maestose sui tetti cittadini come testimoni legate a un passato glorioso e un presente dove regna la vocazione turistica; il celeberrimo Portale degli Apostoli conserva i colori originali, oggigiorno, una rarità assoluta! Intorno all’edificio sacro si sviluppa la parte antica in un groviglio di strade, stradine, viuzze, vicoli, scalinate, giardini, dal sapore atavico, romantico, scenograficamente perfetto, abbelliti da bistrot, locande, boutique alla moda, senza dimenticare gli edifici pubblici e privati, ammiratissimi per la loro incomparabile bellezza architettonica. La Chiesa dedicata a San Francesco e l’omonima piazza, Place de la Palude con il monumentale Hotel de Ville, costruito nel 1665, Palais de

Rumine, mirabile edificio in stile neo rinascimentale ospitante importanti istituzioni museali, rappresentano alcune mete assolutamente imperdibili! Il Grand Pont rappresenta un’ottima meta per le foto ma, sopratutto, un palcoscenico privilegiato dal quale ammirare il Centro in tutta la sua interezza; stesso discorso vale per le innumerevoli salite e discese caratterizzanti la città, inquadranti scorci panoramici mozzafiato sull’agglomerato e, in fondo, sul magnifico Lago Lemano, prezioso tappeto in azzurro scintillante, le cui sponde ospitano numerosi ristoranti, dove trionfano il pesce lacustre, ottimi formaggi emmenthal e groviera, essenziali per piatti caratteristici come la fondue o la raclette, dolci, squisitissima cioccolata, vini prodotti dalle pregiate vigne dimoranti lungo le maestose pendici del Lago. Il Quai d’Ouchy, un tempo abitato dai pescatori locali, conserva un fascino antico ringiovanito dagli ospiti legati ai nostri tempi, non a caso le limpide acque lacustri, che lo costeggiano, ospitano un vanitoso parterre di splendidi yacht da fare invidia alla Costa Smeralda o a quella Azzurra.

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La vita culturale è decisamente variegata, ne sono degna rappresentanza il blasonato Béjart Ballet, Festival de la Cité, Lausanne Estivale, Festival Cully Classique, Montreux Jazz Festival, Festival Bach de Lausanne, autorevoli manifestazioni in programma già da giugno, il Musée de l’Elysée dedicato alla fotografia, la Collection de l’Art Brut con opere realizzate da artisti autodidatti e persone affette da disturbi psichici, la Fondation de l’Hermitage, il Musée Olympique, unica realtà al mondo omaggiante lo sport in tutte le sue sfaccettature attraverso la memoria visiva e grafica dei giochi olimpici: temporaneamente chiuso per rifarsi il look, parte delle collezione è esposta presso una suggestiva nave attraccata sul Lago, idea geniale! D’altra parte in questa realtà francofona, l’eleganza regna sovrana su tutto con semplicità, spontaneità, leggerezza, rendendo unico il legame indissolubile tra i suoi abitanti e madre natura che, da queste parti, è stata decisamente generosa nel partorire un paesaggio unico, variegato, stupefacente, dove acqua, terra, architettura, uomo, convivono in perfetta armonia. Losanna si nutre di cultura, predilige l’innovazione, ama mangiar bene, rispetta l’ambiente, ostenta con orgoglio i suoi illustri figli, che qui sono nati, e di figli blasonati mamma Losanna ne ha partoriti ma, anche, adottati tantissimi! Strauss, Rousseau, Voltaire, Lenin, Lord Byron, Hemingway, Gree, George Simenon, Bonaparte, hanno amato immensamente questo luogo; d’altronde come dare torto a questi illustri personaggi! A proposito di cultura, la città è famosa nel mondo per l’importanza data all’istruzione, non a caso le sue celebri scuole rappresentano una meta ambitissima da giovani e non solo.



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CARTOLINE

il barocco a

Osimo tra arte e paesaggio

Carmelo De Luca

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n tuffo nel passato è utopia? Assolutamente no, basta visitare la mostra dedicata al seicento in terra osimana, nella quale spiccano i nomi di Rubens, Preti, Vouet, Gentileschi, Reni, Maratta e altri maestri. L’originale progetto vede coinvolta l’intera città pullulante di rilevanze disseminate nel suo tessuto urbano, non a caso dimore gentilizie, dal forte impatto scenografico, impreziosiscono le mille viuzze del centro antico, anzi gareggiano in bellezza con gli edifici sacri dalle facciate maestose. La Chiesa dedicata a S. Giuseppe da Copertino attira l’occhio già dall’esterno grazie alla solenne semplicità tutta francescana, contrastante con la maestosità tardo settecentesca caratterizzante la sua navata. E cosa dire del celebre Duomo? Un perfetto equilibrio tra lo stile gotico e romanico avvolge l’intera struttura ingentilita da un elegante porticato, pregevoli bassorilievi e dovizia di particolari, dal Cristo in Pietà dipinto da Guido Reni, dalla Cripta dove alloggiano le reliquie appartenenti ai martiri Fioren-

zo, Sinisio, Leopardo. Poco più in là, S. Marco sfoggia vanitosamente la sua struttura barocca insieme alla delicata pala d’altare dedicata alla Vergine e realizzata dal Guercino. L’architettura civile vanta tesori inimmaginabili, ne sono testimonianza Porta S. Giacomo, Porta Vaccaro, Porta Musone, annesse alla secolare cinta muraria superstite, le quali proteggono la scenografica Piazza ospitante il Palazzo Comunale, bellissimo edificio rinascimentale costituito da un fabbricato in mattoni ingentilito da finestroni con cornici in pietra, e dalla medievale torre civica; il complesso custodisce il Lapidarium. Riprendendo il cammino ci si imbatte in un gigante: Palazzo Campana, nobile dimora diventata Museo Civico, una delle sedi ospitanti la mostra menzionata. L’esposizione trova degno proseguo presso Palazzo Gallo, custodente pregevoli tesori, tra i quali si annovera l’affresco con il Giudizio di Salomone, realizzato dal Pomarancio. Per la pausa pranzo, si consiglia una sosta da Gustibus, Osteria Moderna, La Tavernetta del Corso, prima di riprendere il tour tra le meraviglie locali e non solo! In effetti Osimo vanta una posizione strategica, visto che i suoi dintorni ospitano realtà magnifiche, e per il soggiorno si consiglia il G Hotel o La Commenda, ospitati in città. A proposito di dintorni, Loreto non necessita presentazioni: Da secoli rappresenta un luogo Mariano conosciutissimo nel mondo. La Santa Casa è ospitata presso la bellissima Basilica, autentico gioiello artistico custodente numerosi capolavori, ne sono prova la superba cupola progettata dal Sangallo, la leggiadra facciata, il ricchissimo recinto marmoreo ideato dal Bramante ma realizzato dal Sansovino, gli affreschi dovuti a Luca Signorelli, Melozzo da Forlì, Pomarancio, Zuccari.

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La piazza antistante l’edificio sacro è un vero palcoscenico scenografico dominato dal Palazzo Apostolico, ingentilito da un doppio loggiato a tutto sesto e dall’austero monumento dedicato a Papa Sisto V; in verità l’intero complesso ecclesiastico rappresenta un unicum nella storia cristiana grazie alle sue caratteristiche dalla doppia personalità, non a caso il carattere sacro ed altamente artistico impregnante gli edifici contrasta armonicamente con la fisionomia perimetrale esterna, elaborata struttura difensiva, autentico gioiello dell’architettura militare-religiosa. Grazie alla sua posizione, Osimo contempla i suoi illustri vicini e, tra essi, va anche menzionata Recanati, i cui luoghi sono conosciuti a molti per essere stati immortalati dall’illustre figlio Giacomo Leopardi. La cittadina vanta un centro storico ben conservato, bellissimo puzzle i cui tasselli rappresentano dimore nobiliari, chiese, edifici civili, dalla storia plurisecolare, basti menzionare la Cattedrale dedicata a San Flavio, la Chiesa e Chiostro di Sant’Agostino, Palazzo Venieri e Leopardi, il Teatro Giuseppe Persiani. Ah, per sopperire alla calura estiva, nessuna preoccupazione: L’incantevole mare prospiciente il Monte Conero è a due passi!


FOCUS

Empoli

leoni xNaiadi

Quattro tre

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econdo la mitologia erano ninfe dei fiumi, delle fonti e delle acque stagnanti. E come tali onorate e rappresentate come divinità benefiche della natura. Perché proprio tre? Per analogia con le tre Grazie o qualche altro insondabile motivo. Ma sono le protagoniste della fontana di Empoli da quasi due secoli. Una Fontana, va detto, nota fra il popolo con altro nome, derivato dai quattro leoni. La piazza centrale, infatti, è nota con il nome di Piazza dei Leoni, anziché con quello datogli in omaggio al gran Ghibellino, il Farinata degli Uberti, che salvò Firenze dalla distruzione, nel celebre conciliabolo dei vincitori, che seguì la disfatta fiorentina di Montaperti, nel 1260. Da quella pensata Empoli ci rimise il futuro radioso, perché sarebbe diventata lei il centro del mondo. Avrebbe avuto i palazzi e gli ori, i Michelangeli e i Raffaelli… È andata così, e siamo rimasti contado… Ma torniamo alla Fontana. Siamo nel 1824: regna sul trono che fu dei Medici un Lorena, Ferdinando III. Partono, dopo non poche indecisioni, i lavori per regalare alla città una fontana con l’acqua buonissima dei colli vicini, quelli di Sammontana. Dei quali era allora proprietario il Capitolo della chiesa di San Lorenzo, a Firenze, che fornì apposito permesso liberatorio e bollato. La commessa finì all’ingegner Martelli, per suggerimento dell’architetto granducale De Cambray Digny. Dire Martelli voleva dire Pampaloni, che era lo scultore emergente con cui spesso collaborava. A seguire i due Giovannozzi, Luigi e Ottavio, scalpellini e riquadratori, che non erano proprio da definirsi scultori, ma erano specializzati in opere minori e di contorno. Per intenderci Luigi fece l’intero impianto della fonte, la struttura, il

vascone e due leoni; Ottavio, seppure in ritardo e battendo cassa prima di spedire l’ultimo, gli altri due. Uno dei quattro è firmato, per cui è possibile individuare chi scolpì ciascuna coppia. L’importante qui è sfatare una fandonia che si perpetua da sempre: i due Giovannozzi, pur venendo entrambi da Settignano, non erano fratelli. Magari parenti, ma non di più, scorrendo fra loro parecchi anni di differenza d’età. Il Pampaloni li sovrastava di fama e di onori, essendo l’allievo prediletto del grande Lorenzo Bartolini, il massimo rappresentante in Toscana delle novità portate nel mondo della scultura dal Canova. E proprio a questo artista saranno da trovarsi i riferimenti primi da cui il Pampaloni attinse. Il profilo, l’acconciatura, la grazia e l’espressione delle tre fanciulle al bagno sono derivate dai nudi del massimo scultore

del primo ottocento italiano. Di suo, il Luigi, ci mise quel po’ di pesantezza, che è opulenza delle forme, per non dire sensualità ed erotismo, che un poco dispiacquero agli empolesi benpensanti e bacchettoni di allora. In verità si trattò di una forzatura in nome della libera espressione artistica. Il capitolato del bando parlava di nudi panneggiati, tali da non far venire idee sbagliate a chi le avrebbe guardate. Il Pampaloni le rappresentò come dovevano essere, tre belle figliole al bagno: nude. Qualcuno se la prese, immagino i preti di Collegiata che sta proprio lì davanti; ma poi ci fecero l’abitudine e le nostre Naiadi son rimaste così come il Pampaloni le scolpì e non subirono l’imbraghettatura (come i nudi della Sistina) che pure qualcuno aveva proposto. A pagare le spese fu la banca locale, il Monte Pio, voluto nel secondo Cinquecento da Cosimo I, creato per sostituire l’attività dei banchi di prestito contro pegno degli ebrei. Costo piuttosto salato: 120 lire di allora. A sorvegliare e sveltire le operazioni ci pensò il Gonfaloniere Mariano Bini. Grande imprenditore e uomo pratico, provvide direttamente a dare l’ultima spallata alle resistenze di Ottavio, che voleva essere saldato nei suoi averi prima di spedire da Firenze, a mezzo di navicello, l’ultimo leone. E fu così che nel febbraio del 1928 fu dato il via al fluire e allo zampillare delle acque, freschissime data anche la stagione, per la gioia delle massaie empolesi, che da allora e per molti anni fecero la fila davanti ai leoni per riempire le loro brocche. Sotto gli sguardi persi nel vuoto delle tre Naiadi, intente alla loro virginale toiletta, ignare dei mali del mondo. Foto di Alena Fialová.

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Paolo Pianigiani

In alto il leone della fontana realizzato da Ottavio Giovannozzi. In basso quello realizzato da Luigi Giovannozzi.

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CURIOSITà

fra Gherardo la cucina economica

Paola Ircani Menichini

A destra Santi di Tito, particolare de La Cena in casa del Fariseo, 1573, Firenze, Refettorio della SS. Annunziata Giovanni Antonio Sogliani, Testa di monaco, Parigi, Frits Lugt Collection

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uando fu inventata la cucina economica della quale oggi ci serviamo comunemente per preparare tante buone pietanze? I libri parlano dell’inizio dell’Ottocento in Gran Bretagna, ma certamente in Italia conobbe fortuna in ampie fasce di popolazione solo nel dopoguerra e durante il boom economico, quando fu prodotta in larga scala dalle industrie Zoppas di Conegliano o Zanussi di Trieste, per citare le più famose. Più indietro nel tempo è da ricordare una “parente” della cucina, la stufa di ghisa, progettata verso il 1740 da Beniamino Franklin1 e installata dapprima (come sempre accade) in case privilegiate di signori o di grandi comunità. La storia delle invenzioni tuttavia può riservare delle sorprese. E una di queste riguarda proprio la cucina economica che, un secolo e mezzo circa prima della stufa di Franklin, fu la geniale idea di un padre domenicano, fra Gherardo, originario delle Fiandre e residente a Firenze nel convento di San Marco 2. Pochi documenti ricordano questo artefice che il 3 novembre 1604 scrisse a Roberto Ridolfi e Antonio Salviati, operai del monastero femminile delle Murate di Firenze, di avere trovato «un modo sicurissimo, di risparmiare ogni possibile quantità di fuoco, per

mezzo di un fornello atto a cucinar varie cose con pentole grandi e piccole, secondo si usa in detti monasterii, quali bollivano unitamente et insieme con il suo calderotto per rigovernare, e dopo per torte, teglie, tegami, arrosti, paste, e cose simili, oltre i bucati a tali occorrenze, del quale n’ho ottenuto gratioso privilegio di Sua Altezza Serenissima per anni x avvenire». Il «gratioso privilegio» era il brevetto granducale decennale in cui si parla proprio di un «fornello mobile». Naturalmente l’invenzione era già stata sperimentata con successo nel convento di San Marco che così risparmiava una notevole quantità di legna. Il frate però voleva estenderne il vantaggio ad altri e, perché no, trarne un utile. Così aveva pensato alle celebri monache delle Murate, dove era badessa Iacopa Buontalenti…

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La SS. Annunziata delle Murate era allora uno dei più bei conventi di Firenze, nel quale si cucinava in modo raffinato e in una quantità che oggi si giudicherebbe eccessiva se non dannosa all’organismo. D’altronde la buona e ricca tavola imbandita era nello stile di vita delle sue ospiti che provenivano dall’aristocrazia cittadina e delle quali aveva fatto parte per un paio di anni anche la piccola Caterina dei Medici, poi regina di Francia e grande divulgatrice della cucina fiorentina nella sua nuova patria. E chissà che Caterina non abbia gustato proprio alle Murate quella pietanza nostrana, da lei “esportata”, della quale i francesi erroneamente rivendicano la paternità, cioè “le canard a l’orange”, l’anatra all’arancia... Dunque, nel dicembre 1604 la badessa Iacopa rispose all’istanza di


fra Gherardo: aveva visto «la prova di detto fornello, alla presentia dei nostri signori operarii, e conosciutovi l’utile che ne risulterà al nostro monastero, quindi è che gl’habbiamo domandato licenza di poterlo far fabbricare, usare et esercitare nel nostro monastero, col promettere al detto padre per conseguente, in segno di amorevole gratitudine scudi 130 …». In una seconda lettera la badessa si lamenta di come il prezzo delle cataste di legna abbia raggiunto un livello tale “che non si possono guardare”, e chiede l’autorizzazione agli operai di fare entrare in convento un certo Bottegari per poter costruire il fornello. Fin qui le carte delle Murate. Qualche notizia in più su fra Gherardo fiammingo si trova nei documenti della Compagnia di Santa Barbara nella cappella della quale, alla SS. Annunziata di Firenze, disse la messa nel 1599. La Compagnia radunava il numeroso popolo dei fiamminghi e dei tedeschi che erano emigrati a Firenze per lavorare a corte o nelle botteghe degli artisti e dei tessitori, o per comporre e eseguire musica o per altre attività. Anche i necrologi dei frati nelle Cronache di San Marco ricordano “frater Gherardus flander”, deceduto nel 16053. Della sua cucina economica non parlano, e tuttavia lo dicono abile nella meccanica, di destrezza e di molto ingegno, versato nelle matematiche e nelle scienze. Fra Gherardo inoltre era stato per più di vent’anni custode e direttore spirituale dell’aggregazione delle fanciulle “dette della Pietà”, le quali probabilmente non erano altro che le giovani devote e caritatevoli della Compagnia della

Pietà o del Chiodo di Firenze, fondata nell’ambito della comunità dei tessitori di lana fiamminghi. E fu un buon confessore. Ascoltava con pazienza i fedeli nella chiesa di San Marco e, tra le persone che lo frequentarono - ricordano le Cronache - vi fu una

ragazza di condizione servile, nota in città per la singolare bontà e sincerità di cuore chiamata Antonina. La morte giunse inaspettatamente per fra Gherardo: una sera l’ingegnoso domenicano, che aveva sofferto di una pleurite ed era convalescente, ebbe il forte desiderio di bere del vino. Dietro permesso del medico fu accontentato e, dopo aver bevuto e consumato la cena, si coricò nel proprio letto, dove - scrivono ancora le Cronache -, «mori cepit tacens»: prese [cominciò] a morire tacendo. Note. 1 – Invenzioni e scoperte. Dalle origini ai giorni nostri, a cura di R. Caporali e M. Lauro, 2002. 2 - Hanno scritto su fra Gherardo fiammingo, A. Toscanelli Altoviti-Avila, Un inventore dimenticato del 1600, in L’Illustratore fiorentino, anno 1911, Firenze 1910, pp. 19 e ss.; M. Battistini, «La Confrérie de Sainte-Barbe des Flamands à Florence : documents relatifs aux tisserands et aux tapissier, Bruxelles, 1931 pp. 58 e ss. Lo studio della Toscanelli è ripreso da M. Novelli, Fra Gherardo fiammingo dominicano», in Firme nostre, n. 101, Firenze, marzo 1984. 3 – Biblioteca Medicea Laurenziana, Cronache di San Marco, 370, manoscritto ff. 197v, 198r. Pur con tutta la buona volontà non possiamo fare a meno di contestare la data di morte di fra Gherardo scritta dal Battistini, cioè il 31 dicembre 1604, in quanto nelle Cronache si legge chiaramente 1605.

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In alto Una cucina economica degli anni ’30 di manifattura svizzera (foto dal sito da www.brocanemolard.ch) In basso Il monastero delle Murate oggi (foto dal sito www.accademiadeisensi.it).


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LETTERATURA

Boccaccio una lezione della peste nera

l’autore del Decamerone ha ancora qualcosa da ricordarci Luciano Gianfranceschi

Il Decamerone

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ome per un incantesimo del talento, la peste che creò gran spavento e lutti tremendi a Firenze e nel contado da marzo a settembre 1348, ispirò a messer Giovanni Boccaccio – trentacinquenne, svogliato mercante ma scanzonato scrittore – il Decameron. Con le 100 novelle in cui 10 giovani, 7 donne e 3 uomini, per non pensare alla morte nera e ingannare il tempo, scherzano con l’incoscienza della gioventù: burle, amore, fortuna e intelligenza. Racconti definiti boccacceschi, ovvero sboccàti per il linguaggio italiano nascente. Prendendo spunto dai casi verosimili della vita, la tradizione orale, e le leggende scritte. All’epoca la città del fiore aveva più abitanti di Londra, ed era molto importante per l’arte e la cultura. Non si sa se Boccaccio sia nato nel capoluogo toscano, oppure a Certaldo. Sicuramente figlio illegittimo di un ricco mercante – Boccaccio di Chelino, o Boccaccino – che non sposò mai la

ragazza-madre, il ragazzo s’inventò di essere figlio di una parigina di sangue blu, Jeannette de la Roche, morta poi di vergogna. Non andava d’accordo con la matrigna, e nemmeno con il padre. Che, come tutti i mercanti – anche quelli moderni – vuole che Giovanni studi bene il far di conto, e acquisisca pratica di mercatura: che è un mestiere che rende più dello scrivere. Giovanni sentiva forte e chiara la vocazione, ma era schiacciato dalla volontà del genitore. Che in vista di spostarsi con la famiglia a Napoli, come agente d’affari e di commercio, nel 1327 manda avanti il figlio Giovanni, a fare tirocinio in questioni economiche. 6 anni, più altri 6, persi nello studio svogliato, rinfacciati dal genitore. Ma non è così per Giovanni che vede Napoli con altri occhi: contatti con la cultura umanistica e letteraria in uno dei più importanti centri italiani, lo Studium (Università) napoletano, ma anche la spensierata corte angioina e la fornitissima biblioteca reale. Inoltre frequenta la leggendaria Maria dei conti D’Aquino, figlia illegittima del re Roberto d’Angiò, sposa giovanissima di un nobile. Di sicuro è madonna Fiammetta e diventa la musa di Boccaccio, finché tre anni dopo non scoprirà che lei lo tradisce. Alla delusione d’amore, si aggiunge anche quella della vita: Boccaccio ha poi avuto una figlia, Violetta, che muore bambina all’età di 6 anni, nel 1355. Gli resterà sempre lo strazio nel cuore. È poco conosciuto inoltre che di altri quattro figli illegittimi, nessuno gli sopravvisse. Insomma tante relazioni, però in definitiva un uomo solo. Ma cosa fu la grandissima pestilenza, in quell’epoca? «Fu di tale furore, che nella casa dove s’appigliava nessuno voleva servire i malati. Quelli che

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li servivano morivano del medesimo male, e quasi nessuno passava il quarto giorno; e non valeva medico né medicina. Medici non si trovavano, perocché morivano come gli altri. Il figliuolo abbandonava il padre, così moglie e marito, l’un l’altro il fratello. Tutti non avevano altro da fare che seppellire i morti. «Molti ne morirono di fame, per il fatto che come uno si poneva sul letto malato, quelli di casa sbigottiti gli dicevano “Io vo per lo medico”, e serravano pianamente l’uscio sulla via. E non tornavano più. Ma anche dei sani, usciti dalla casa del malato, si diceva: “Lui è affatappiato, non gli parlate”. Le case rimanevano vuote, nessuno era tanto ardito da toccare nulla, parea che le cose fossero avvelenate. Niuna arte si lavorava: tutte le botteghe serrate, le taverne chiuse; salvo speziali e chiese…» Non è il Boccaccio che racconta, ma il cronista Marchionne di Coppo. Poi la peste finì, dopo circa 100 mila morti a Firenze e dintorni. Aggiunge successivamente lo scrittore Buccio di Ranallo: «A coloro che erano scampati alla morte le case erano piene di beni. I pochi che rimasero vivi si ritrovarono ricchi, spendevano fiumi di denaro per l’anima dei defunti, tutti i monasteri si arricchirono, i chierici facevano festa dalla mattina alla sera. E coloro che avevano disprezzato i beni pensando a salvarsi l’anima, si pentirono amaramente di non essersi messi nel testamento dei parenti. Anche i laici trovavano da fare tutto quel che volevano. Passata la gran paura, la gente riprese vigore: chi non aveva moglie si sposò, le vedove si rimaritarono, e andarono a nozze le giovani ma nche le vecchie». Riflettiamoci a nostra volta: nemmeno la crisi più nera dura per sempre.


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racconto

Zia Doris

Matthew Licht

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eramente non era mia zia. Forse il suo vero nome non era nemmeno Doris. Era un’amica di mia madre, e mia madre aveva tanti amici. Arrivavano a flotte per bere e fare casino. Di solito, la festa durava tutta la notte. Zia Doris era l’unica che ogni tanto veniva per vedere se ero ancora vivo. Si accasciava sulla brandina per raccontarmi una storia. Odorava di alcol e profumo, ma anche di qualcos’altro, che mi piaceva. Le storie che raccontava erano brevi e zozze, ma erano le uniche che sentivo. Visto che la vita di casa era quel che era, restavo il più a lungo possibile a scuola, e quando dovevo sloggiare da lì, passavo alla biblioteca comunale fino a chiusura. Scuola più biblioteca equivale borsa di studio al College. Andai il più lontano possibile per studiare. Non era male, il College. Quando ero prossimo alla laurea, Zia Doris telefonò. Era parecchio che non

la sentivo. Disse che veniva a trovarmi. Nessun altro ci era mai venuto. Mi preparai al suo arrivo con un forte imbarazzo. Apparve al volante di una decapottabile rossa ciliegia. Con la sciarpa bianca attorno ai capelli e gli occhialoni da sole sembrava una stella del cinema, e infatti arrivava da Hollywood. Abitava lì. Parcheggiò come se non avesse mai imparato veramente a guidare. Forse aveva bevuto. Quando scese dalla macchina, da stella del cinema si trasformò in una vamp da filmino a luci rosse. Aveva perso venti chili da quando l’avevo vista l’ultima volta, ma non certo da seno, fianchi e sedere. Sembrava che si fosse scrollata di dosso anche dieci anni. Tutto a un tratto, ero contento che Zia Doris fosse venuta a trovarmi. Mi abbracciò più forte e più a lungo, e mi baciò anche più intensamente sulla bocca, di quanto avrebbe fatto una vera zia. Andava bene. Aveva l’alito

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lievemente alcolico, ma non usava più profumi da due soldi. L’altro suo odore che mi piaceva c’era sempre. «Ma guarda,» disse, muovendo le labbra come in un primo piano da film muto. «Il mio ragazzino è diventato un uomo.» Tipi del College, dai secchioni della facoltà di ingegneria ai giocatori di football, si affacciarono da varie porte e finestre per dare un’occhiata alla donna sexy con la macchina vistosa. Per sfortuna anche Bronwyn Evans, la mia fidanzatina, scorse il bacio e l’abbraccio. Cambiò direzione e andò via come se non avesse visto nulla, ma sapevo che avrei avuto molto da spiegare, dopo. O forse non avrei dovuto spiegarle proprio nulla. Zia Doris volle invitarmi a pranzo. Ma a un vero ristorante, disse, non qualche postaccio per studenti. E dopo pranzo voleva che la portassi a fare un giro in


macchina per le colline e i boschi attorno a College Town. L’unico ristorante nei paraggi non aveva una grandissima scelta di champagne, ma bevemmo tutto ciò che avevano. Il matrimonio, disse lei, mentre mangiavamo il dolce, è un bruttissimo affare, da evitare ad ogni costo. Bisogna godersi gioventù e libertà a pieno, finché si può. E continuare a goderle anche quando non ce li hai più: è quello il segreto. Zia Doris era stata sposata brevemente, con un miliardario di Hollywood. Aveva pensato che entrambe le cose, Hollywood e miliardario, l’avrebbero resa felice. Aveva creduto che i suoi sogni si fossero avverati. Nella realtà si prese un divorzio messicano e metà dei soldi del marito. Forse la felicità era solo un sogno. Nel parcheggio, visto che eravamo abbastanza brilli, Zia Doris mi porse le chiavi della macchinona. «Guida tu. Ti dovresti abituare a guidare belle macchine.» L’ultima volta che ero andato nei boschi su in collina, era con Bronwyn. Fu la prima volta per entrambi e non era andata proprio benissimo. Ma abbiamo riprovato in altri posti, sempre al chiuso, con porte, finestre e persiane sigillate. Pensai che forse Zia Doris avesse bisogno di aria fresca e un po’ di verde, dopo Los Angeles. Non mancavano, lassù tra i pini, ma lei aveva ben altro in mente. Il cofano della macchina conteneva dei plaid nuovi di zecca, una bottiglia di ottimo whisky, una confezione di preservativi e un maglione di cashmere blu scuro. Mi gettò il maglione. «Tieni. Dovrebbe andare bene con i tuoi occhi verdi.» Poi mi fece vedere il mondo da una prospettiva completamente nuova, e possibili soluzioni ai misteri di tipo uomo e donna. Bronwyn mi aveva intimato di mettere un preservativo praticamente prima di baciarla. Zia Doris non sembrava terrorizzata dalla possibilità di restare incinta, né le schifavano i fluidi femminili e maschili. Era solo per sensatezza, pensai, ma i preservativi venuti da Hollywood mi intristirono comunque. Venne buio, ed ero ancora più felice di quando mi aveva regalato il sontuoso maglione. Era nuda mentre raccoglievo della legna. Sembrava non sentire il freddo. Accendemmo un piccolo falò usando I giornali finanziari trovati nel portabagagli della macchina e l’accendino d’oro che si era comprata a Parigi. La sua pelle sembrava dorata di rosa nel bagliore del fuoco che gettava ombre danzanti. Mi chiese a cosa stessi pensando. Risposi che avevo imparato più nelle ultime tre ore che in tutti gli anni all’università. Zia Doris non aveva finito il liceo. Non mi aveva mai detto

perché se ne era andata di casa, a sedici anni; immaginavo che non fosse una bella storia. Ma ora sembrava voler parlare del passato. Zia Doris e mia madre avevano fatto amicizia lavorando insieme nella Grande Città, disse. Chiesi che tipo di lavoro facevano. Lei rise, e disse che erano state cameriere. Non riuscivo ad immaginare mia madre che faceva la cameriera, per niente. Era tipa da sbrodolare minestra sulla testa di chiunque si fosse azzardato a farle la corte. Avrebbe mandato affanculo chi lasciava poca mancia. Avrebbe spiegato al gestore come gestire il ristorante e insegnato al cuoco a cucinare, malgrado non sapesse gestire ristoranti né cucinare nemmeno i piatti più semplici. Mia madre non mi insegnò a leggere, le interessavano solo riviste dello spettacolo. Una volta cercò di insegnarmi a ballare. Mentre Zia Doris raccontava di come si erano prese un appartamento senza dover corrompere il portinaio, le chiesi di ballare. Non tutti sanno che si balla benissimo senza musica. Zia Doris si era sempre scatenata alle feste di mia madre, ma quella notte le andava bene uno slow basculante. Smise di parlare dei tempi passati, e ne ero contento. C’erano tante cose che non volevo sapere. Chi fosse mio padre, per esempio. C’era una lunga lista di possibili candidati. Ero sicuro che i suoi discorsi sul passato prima o poi sarebbero andati a parare lì. Il fuoco si ridusse a brace. Era ufficialmente iniziata la primavera, ma faceva ancora un grande freddo sulla collina Black Goat Hill. Zia Doris e io ci coprimmo coi nuovi plaid, ma prima le feci mettere il maglione che mi aveva regalato. «Non fare lo scemo. Sei completamente ghiacciato, ti sento tremare. Mi basta bere altro whisky. Starò benissimo.» «Non è per il freddo,» dissi. «Voglio che il maglione profumi di te.» «Che puzzi di me, vorrai dire. Sono una vecchia ubriaca, e scommetto il culo che la doccia più vicina è a non meno di 50 miglia da qui.» «Voglio che profumi di te.» Si alzò a sedere e si mise il maglione blu scuro come la notte lunata e stellata. Era pallida, ma anche calda, morbida e vicina, il contrario delle stelle. Sembrava alquanto provata, il mattino dopo. Ma non dalla sbronza. Zia Doris mi chiese di portarla fino all’aeroporto più vicino, che era a due ore da College Town. C’era un volo per Los Angeles alle cinque e mezzo, disse, e doveva per forza prenderlo. Aveva appuntamenti a Hollywood, roba importante da cui non si poteva esimere. Ci fermammo a mangiare ad un Diner.

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«Quei preservativi,» disse, come se non le importasse che qualcuno sentisse una donna matura parlare di preservativi e recenti episodi sessuali con un ragazzo del College, «erano per proteggere te, non me. Non voglio che ti becchi ciò che mi sono beccata io. È stupido. Non è contagioso, credo, ma non mi andava. Ora me ne pento. Volevo che ci sentissimo davvero. Mi piacerebbe tanto fare bambini con te, Joe. Sul serio, non potrei immaginarmi una cosa più bella.»«“Zia Doris, è stato bello stanotte, ma non so se sono ancora pronto per...» Mi interruppe. Certo che non ero pronto. Naturalmente la sola idea di fare bambini ed essere un uomo mi spaventava a morte. «Volevo solo dirti che non avevo paura di toccarti,» disse. «Stavo solo pensando al tuo bene, ed era stupido. Da parte mia, intendo. Stupido.» La macchinona decapottabile era mia, disse. Un regalino per la laurea. In quegli anni, la gente volava in giro in degli aerei argentati chiamati Constellation. Tutto, negli Stati Uniti, sembrava grande, bello, pieno di speranze e sogni. Parcheggiai la mia nuova incredibile macchina il più vicino possibile alla pista dell’aeroporto, e guardai decollare quel favoloso aereo sfavillante. Salutai con la mano verso l’oblò dietro il quale mi immaginai ci fosse Zia Doris. Rimasi lì finché non venne ancora più buio.Le stelle brillavano dai loro soliti posti. Le costellazioni in realtà non esistono. Le stelle che le formano sono separati da milioni di anni-luce e non riescono a vedersi tra di loro. La Zia Doris ora è una stella. Aveva il cancro. La malattia l’aveva afferrata tra le gambe, da dentro, e si era diffusa con velocità infernale. Me lo disse al telefonò. Non riuscivo a capire come aveva fatto ad avere il mio numero. Stavo lavorando per l’aeronautica militare in Alaska, costruendo una base ultra-segreta per bombardieri. Dissi che avrei preso il prossimo aereo, o se non partivano aerei, che sarei arrivato nella macchina che mi aveva regalato, anche se dovevo guidare giorni e notti interi. Ma non voleva che la vedessi, ridotta com’era. Voleva solo dirmi addio. Morì una settimana dopo. Non ci sarebbe stato tempo per fare un bambino insieme. Sicuramente lo sapeva. Forse credeva che un sottile strato di lattice di gomma poteva intromettersi tra un essere umano e la morte. Non voleva che ciò che la stava uccidendo toccasse anche me. Quando fa freddo e il cielo è limpido e scuro abbastanza da vedere brillare sul serio le stelle, mi metto il suo maglione, mi siedo per terra e guardo su. E mi sento bene e al caldo, anche se è notte dappertutto.


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NOVITà EDITORIALI

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na rivisitazione del simpatico aforisma di Goethe dà il titolo al libro-raccolta dedicato a un grande dell’enogastronomia: l’imperterrito difensore della civiltà contadina e del patrimonio culinario italiano, giornalista e scrittore lombardo Luigi Veronelli, scomparso nove anni fa. I due autori, a lui molto vicini, compongono una sorta di puzzle, rigorosamente in ordine alfabetico, degli articoli e degli interventi che hanno scandito i suoi cinquant’anni di carriera. Nel farlo, però, ordiscono diverse trame tematiche: dal rapporto di Veronelli con il vino a quello con le donne, passando per arti e filosofia. Un libro in cui convivono differenti stili narrativi che tuttavia compongono un tutto armonico, similitudine con Veronelli: articolato e complesso, punto di riferimento per un intero settore. Per insegnare qualcosa ai posteri.

Angelo Errera

Luigi Veronelli la vita è troppo corta per bere vini cattivi

di Nichi Stefi e Gian Arturo Rota

Edizioni: Giunti e Slow Food Editore

CUCINA

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etafisica, questa sconosciuta. Non è così per Marco Cipollini, poeta-filosofo che compone un poema unico rispetto al panorama attuale, digiuno invece di filosofia, impantanato in una visione nichilista che raramente prova a ricondurre il mondo a una visione unitaria. Ci prova invece il carme di Cipollini che, con le sue centoventi stanze di cinque versi e una Glossa, al margine, ricorda i poemi di Lucrezio ma anche i testi metrici alto-medievali. Un’opera breve ma ambiziosa il cui senso globale si manifesta a spargoli rintocchi, come il richiamo di un gruppo di campane in lontananza. Chi siamo? e soprattutto perché “siamo”? Due domande ataviche per quanto, da sempre, irrisolte, che vi faranno dimenticare le futili ansietà della vita per abbracciare la ricerca dell’essenza. Come ritornare embrioni.

L’ESSERE di Marco Cipollini Edizioni: ETS

POESIA

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n viaggio attraverso quattro continenti, dentro le vite di donne che hanno lottato per i diritti civili e per la conquista della libertà, affrontando fino alle estreme conseguenze il supremo scontro tra la ragion di Stato e la coscienza individuale. Dall’Afghanistan agli Stati Uniti, dall’Argentina al Sudafrica passando per il Vecchio Continente: dieci biografie di donne che hanno incarnato l’antico conflitto tra imperativo morale e potere, divenendo archetipi universali di coraggio e sacrificio. Storie di moderne Antigoni accomunate dall’insofferenza per l’ingiustizia, che hanno trovato la morte combattendo per un ideale. Storie di partigiane, femministe, militanti di movimenti rivoluzionari, ma anche attiviste politiche e operatrici umanitarie diventate martiri senza volerlo, e che oggi rischiano di essere dimenticate. Prefazione di Emma Bonino

STORIA

L’EREDITà DI ANTIGONE STORIE DI DONNE MARTIRI PER LA LIBERTà di Riccardo Michelucci Edizioni: Odoya

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’attesissimo sesto romanzo-thriller dello scrittore statunitense Dan Brown ha di nuovo per protagonista Robert Langdon, professore di iconologia religiosa ed esperto di simbolismo. Ancora una volta l’autore dà vita a un thriller che mescola sapientemente storia e appassionanti colpi di scena, ma, stavolta, a tenere il lettore incollato alle pagine, saranno Dante Alighieri e la culla del Rinascimento. La chiave di volta per risolvere il mistero in cui il professore ha deciso di immergersi sembra essere, infatti, proprio la Divina Commedia. “Inferno” vi accompagnerà tra le opere d’arte fiorentine meglio di una guida turistica, fino a farvi riscoprire aspetti di Firenze e del Sommo Poeta che avevate dimenticato. Un thriller denso di accurati riferimenti storici da leggere tutto d’un fiato.

ROMANZO - THRILLER

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L’INFERNO di Dan Brown Edizioni: Mondadori

L


S

cinema

Cannes gay trionfa l’amore

Andrea Cianferoni e Giampaolo Russo

La Palma d’oro va a La vie d’Adele, storia lesbienne del tunisino Kechiche. Grand Prix a Inside Llewyn Davis dei Fratelli Coen.

La Palma d’Oro Abdellatif Kechiche con le attrici Adele Exharpopoulos e Lea Seydoux

S

ull’onda dei contestatissimi matrimoni omosessuali approvati solo pochi giorni fa dal Presidente Hollande e che in Francia hanno fatto gridare allo scandalo cattolici e conservatori, a Cannes trionfa, almeno solo sullo schermo, l’amore gay, o meglio lesbo. Tutto come previsto? Beh, non proprio, visto che erano circolati nomi completamente diversi. La Palma d’Oro va a La vie d’Adele,

storia d’amore lesbienne di Abdellatif Kechiche, che lo ha festeggiato con le sue attrici Adele Exharpopoulos e Lea Seydoux totalmente sciolte tra le lacrime. Grand Prix al meraviglioso Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen, che non hanno

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potuto ritirare il premio perché già ripartiti. Migliore Regia va al violentissimo Heli del messicano Amat Escalante, che in effetti è un film dalla messa in scena perfetta, Premio della Giuria al giapponese Like Father, Like Son” di Hirokazu Kore-Eda. Miglior Attore Protagonista al vecchio Bruce Dern per Nebraska di Alexaner Payne, che non c’era alla premiazione, e non come tutti avevano detto alla previsto alla coppia Michale Douglas - Matt Damon per Behind the Candelabra. Bella soddisfazione per un caratterista che ha veramente girato con qualsiasi regista, perfino con Alfred Hitchcock. Miglior Attrice Protagonista è Berenice Bejo per Le passe di Asghar Farhadi e non come si pensava a Emmanuelle Seigneur per La Venus au fourrure o, come sarebbe stato più giusto alle ragazze di Kechiche. Premio per la Migliore Sceneggiatura, consegnato da Asia Argento, a A Touch of Sin di Jia Zhangke. Migliore opera prima, il premio Camera d’or con giuria presieduta da Agnes Varda, a Ilo Ilo di Anthony Chen, passato alla Quinzaine, storia di una famiglia in quel di Singapore. Trionfo, insomma, delle tematiche omosessuali che in Francia sono all’ordine del giorno non solo per il premio a Kechiche, ma per quello alla commedia gay alla Quinzaine e a Salvo, primo film italiano diretto da una coppia gay. E trionfo dei film dove la liberazione femminile esplode in maniere diverse dimostrando quanto sono vecchi e superati i maschi e le coppie etero. Le tre ore con scene di sesso esplicito delle ragazze di Kechiche e la vita di Liberace di Soderberg, anche il


fatto di vedere delle star di prima grandezza o le giovani e bellissime attrici francesi in scene d’amore pesanti risveglia un bel po’ il torpore da cinema di papà di Cannes, che, se sviluppava tematiche ardite non poteva però contare su nulla o quasi del cinema più sperimentale. Per quanto riguarda il non premio a La grande bellezza, sicuramente Jep Gambaredella (il protagonista del film) l’avrà presa con filosofia. È la vita, e lui è un uomo di mondo. Paolo Sorrentino magari un po’ meno bene, visto che se l’aspettava un premio. Ma tra i venti film in concorso c’erano opere davvero innovative, non era facile farsi strada senza una mano da un giurato o da un presidente italiano, come è accaduto altre volte. Nemmeno Habemus Papam di Nanni Moretti un anno fa ottenne nulla. Per il resto è andata secondo le ultime previsioni. In una Cannes dove i film più moderni mettevano in scena personaggi femminili e sentimenti al femminile, la vittoria di La vie d’Adele di Abdellatif Kechiche premia. Per quanto riguarda la sezione Un Certain Regard vince L’image manquante del cambogiano Rithy Pan, bellissimo documentario, raccontato con tecnica mista, materiali di repertorio e pupazzetti di creta colorati, sul disastro della rivoluzione di Pol Pot e sulla tragedia personale del regista, che ha visto la sua famiglia travolta dalla dittatura. Premio della Giuria a Omar di Hany Abu-Assad, premio per la regia allo scatenatissimo giallo omo L’inconnue du lac di Alan Guiraudie. Premio Certain Talent al messicano La jaula de oro di Diego QuemadaDiez. Premio Avenir al non eccelso Fruitvale Station di Ryan Goosler, che batte però Miele della Golino come opera prima.

Steven Spielberg e Kate Capshaw Dita Von Teese Claire Julien, Taissa Fariga, Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson, Sofia Coppola regista di The Bling Ring Julianne Moore Kristin Scott Thomas Nicole Kidman e Ang Lee Marion Cotillard Megan Gale

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Peccioli questione

di feeling 11 Lune, un’estate unica

Irene Barbensi

S

i alza il sipario sulle colline toscane che fanno da scenografia naturale alla Rassegna 11 Lune, giunta alla sua nona edizione, che potremmo riassumere con quattro parole chiave: classici del teatro, musica, cinema e spensieratezza. A inaugurare il divertimento estivo, i Gatti Mezzi con il loro nuovissimo disco, il quinto, Vestiti leggeri in un concerto con archi e fiati. Un mondo musicale, il loro, di riferimento composto da grandi nomi della musica italiana come Giorgio Gaber, Paolo Conte, Fred Buscaglione e il jazz francese manouche alla Django Reinhardt, e una realtà musicale italiana apprezzata per la capacità di mescolare lo swing, il jazz e la canzone d’autore, con testi carichi di ironia ed estro, apparentemente leggeri ma dal contenuto profondo. Il teatro classico sarà ripercorso da Pamela Villoresi e Simone Migliorini in Cattivi, cattivissimi e bastardi e… pagine immortali nel teatro di Shakespeare, spettacolo che inaugura una collaborazione tra Peccioli e il Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra. La Compagnia PeccioliTeatro diretta dal genio teatrale di Andrea Buscemi metterà in scena due commedie. In occasione della XIII edizione de Le Notti dell’Archeologia e in omaggio a Niccolò Machiavelli, della cui opera più famosa e più importante nella letteratura italiana nell’ambito del pensiero politico, Il Principe, ricorrono i 500 anni dalla composizione originaria, verrà messa in scena La Mandragola, capola-

voro del teatro del ’500 ed inestimabile classico della drammaturgia italiana. A chiusura della Rassegna come ogni anno la Compagnia PeccioliTeatro ci delizierà con un fondamentale del teatro classico Il tartufo di Moliére, il capolavoro sul falso devoto e sull’ipocrisia, che più ha rischiato di non essere rappresentato ai suoi tempi. La comicità prosegue con lo scanzonatissimo spettacolo di Paolo Ruffini, tra doppiaggi irresistibili e improvvisazioni. Ma la grande protagonista dell’edizione 2013 sarà la musica d’autore, con l’attesissimo Riccardo Cocciante, che dopo anni di lontananza dal palcoscenico per l’impegno con le sue Opere popolari e i recentissimi successi televisivi torna a calcare le scene. L’artista ripercorrerà la sua straordinaria carriera di cantautore, dai primi successi ai più moderni successi mondiali. Il “cantante dei sentimenti” come più volte, e in maniera riduttiva, è stato definito affascinerà il pubblico con le sue eccellenti doti di pianista e compositore. Della tradizione, con Serena Autieri, che dopo aver debuttato al prestigioso Festival di Spoleto, rileggerà in La Sciantosa, Elvira Donnarumma, detta “a capinera napulitana”, regina indiscussa dei cafè chantant d’inizio ‘900, anticonformista e antidiva, amata da Eleonora Duse e Matilde Serao. Dai brani più conosciuti e coinvolgenti, quali ‘A tazz’ e cafè e Comme facette mammeta, a classici passionali immortali come I’ te vurria vasà e Reginella, sino a perle nascoste come Serenata napulitana e Chiove, oggi ascoltabili

solo con il grammofono a tromba, Serena Autieri entra nei luoghi e nei codici del caffè concerto e del varietà, vero e proprio spartiacque tra la musica di Napoli che fu e quella che verrà, con un significativo lavoro di ricerca e rivalutazione nel repertorio dei primi del ‘900. Della storia della musica italiana, con David Riodino in La buona novella di Fabrizio De André. Una delle più significative e importanti raccolta di racconti in versi uscita nel 1970, rielaborata per banda e coro e interpretata dalla due realtà musicali più partecipate nel territorio, la Società Filarmonica di Peccioli e la Corale Valdera. Un’altra prestigiosa collaborazione, quella con il Bolgheri Melody, suggellerà “Peccioli… viva il cinema”, una serata dedicata alla storia del cinema e alle ultime uscite, trionfanti alle più importanti manifestazioni europee. Tutti gli spettacoli hanno inizio alle 21.30. La manifestazione è organizzata e promossa dalla Fondazione Peccioliper e dal Comune di Peccioli in collaborazione con la Fondazione Teatro di Pisa a cui è stata affidata la produzione esecutiva, lo sponsor della rassegna è Belvedere S.p.A. La prevendita dei biglietti inizierà venerdì 21 giugno. Sarà possibile acquistare i biglietti per gli eventi sia con il servizio di Vivaticket che presso la biglietteria della Rassegna. Per info: Segreteria Organizzativa, Fondazione Peccioliper, Piazza del Popolo 10, Peccioli (PI), tel. +39 0587 672158, info@fondarte.peccioli.net www. fondarte.peccioli.net


martedì 2 luglio ore 21.30

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Concert

con Orchestra di Archi e Fiati in Vestiti leggeri Ingresso gratuito

ore 21.30

martedì 23 luglio

Serata Cinema

ore 21.30

CREDO GIOVANNI PAOLO II a cura di Alberto MICHELINI, Colonna sonora di Andrea BOCELLI Ingresso gratuito a seguire

New p o ening

PAMELA VILLORESI e SIMONE MIGLIORINI Arte

martedì 16 luglio ore 18.30

in Cattivi, cattivissimi e bastardi e... pagine immortali nel teatro di Shakespeare Ingresso gratuito

Spazi per l’Arte Fonte Mazzola inaugurazione della mostra

venerdì 26 luglio

REALITY COVER

ore 21.30

gli artisti di copertina in mostra

BOHEMIANS

a seguire, ore 21.30

SERENA AUTIERI

con la partecipazione di Francesco BURANELLI regia di Alberto BARTALINI

Show

domenica 28 luglio

e il Quintetto Popolare Italiano in La Sciantosa, Ingresso gratuito

giovedì 4 luglio ore 21.30

venerdì 19 luglio ore 21.30

Notti dell’Archeologia 2013

Compagnia PeccioliTeatro

ANDREA BUSCEMI

in TARTUFFO, ovvero l’impostore di MOLIÈRE Ingresso gratuito

Concerto

Eventi Collaterali

con Orchestra sinfonica diretta dal Maestro Leonardo DE AMICIS in Cocciante canta Cocciante Spettacolo a pagamento

domenica 7 luglio dalle ore 8.00

Compagnia PeccioliTeatro

ANDREA BUSCEMI in La Mandragola di Niccolò MACHIAVELLI Ingresso gratuito

mercoledì 10 luglio ore 21.30

PAOLO RUFFINI in Paolo Ruffini Show Spettacolo a pagamento

domenica 21 luglio ore 21.30

DAVID RIONDINO Show

Prosa

ore 21.30

RICCARDO COCCIANTE Prosa

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Musica

in Dracula Rock Musical Ingresso gratuito

con Crossing Art vol. 1. Daily Golgota di

RENATO MENEGHETTI

Recital

In collaborazione con il Festival Internazionale Teatro Romano Volterra

con GINA GIANI & Quartet, Ingresso gratuito

m Docu-fil

MUSEO DI PALAZZO PRETORIO

ore 21.30

PECCIOLI... VIVA IL CINEMA

GATTI MÉZZI

mercoledì 3 luglio

domenica 14 luglio

o

Concert

ed Ensemble degli Illuminati in La buona novella di Fabrizio DE ANDRÉ con la CORALE VALDERA e la FILARMONICA DI PECCIOLI Ingresso gratuito

Campionato toscano UISP di Cross Country SULLE STRADE BIANCHE DEI FONDI RUSTICI. Avventura ciclistica fra storia e paesaggi Ingresso gratuito ore 18.00 LA FATTORIA – Legoli ITER. Spettacolo di strada sul viaggio, Produzione Fondazione Pontedera Teatro, Ingresso gratuito

da martedì 30 luglio a martedì 27 agosto ore 21.30

LA FATTORIA – Legoli Nuovo Cinema Passerotti Direzione Artistica Leonardo Montagnani Ingresso gratuito


le donne di Buscemi Teresa Moravia

C

on la messinscena di due piccoli spettacoli straordinari (Le libere donne di Magliano tratto dal romanzo di Mario Tobino interpretato da Livia Castellana, e Elisa di Ernesto Ferrero interpretato da Martina Benedetti) Andrea Buscemi torna a trattare il tema a lui forse più caro, l’universo femminile. L’attore-regista pisano, che deve la notorietà alla tv con Panariello e al cinema con Pieraccioni (oltre a una intensissima attività teatrale in proprio, dove ha sempre prediletto i classici da Molière a Shakespeare a Goldoni), non ha mai dimenticato la frequentazione di un teatro più impegnato, più

colto, e in definitiva più incline allo sperimentalismo e alla ricerca. Ne fanno fede questi due minuscoli capolavori della scena che, partendo da testi letterari, trasportano sul palcoscenico gli inquieti talenti di due giovani attrici fra le più interessanti del nuovo Teatro italiano, e colonne portanti della Compagnia PeccioliTeatro: Livia Castellana splendida interprete capace di dar vita a una quindicina di ritratti di malate pscichiatriche rinchiuse nel manicomio dove il grande scrittore viareggino compì la sua parabola scientifica, e Martina Benedetti bella e fremente, chiamata a restituire al pubblico gli ultimi drammatici istanti del

regno lucchese di Elisa Bonaparte. Due interpreti che Buscemi dirigerà presto insieme per la messinscena di Le Donne di Puccini, scritto per loro dal drammaturgo e giornalista RAI Alberto Severi. Con questi spettacoli (Le libere donne di Magliano voluto dalla Fondazione Mario Tobino, che ne produrrà anche la realizzazione di un video diretto sempre dal regista pisano, ELISA dalla Prefettura e la Provincia di Lucca) Buscemi pone con amore e profondo rispetto la Donna al centro della scena e della vita, omaggiandone l’inafferrabile complessità. Foto di scena Sergio Fortuna



Bolghery non solo grandi vini

dal 27 luglio la quarta edizione del Festival dell’alta maremma Andrea Berti

T

utto accade, ancora una volta, dove nasce il Viale dei Cipressi “Davanti a San Guido”, cinque chilometri di celebrità stretti tra filari famosi come star di Hollywood e da lunghe ombre che ti scortano, gelose e vicine, fino al borgo di Bolgheri. È lì, su un docile e anonimo campo di erba medica messo a disposizione dalla famiglia Incisa Della Rocchetta, sangue nobile come il vino che producono da generazioni e come le etichette che danno lustri ed eccellenze a quei territori, che tra luglio ed agosto si compie la magia di Bolgheri Melody: due mesi di spettacoli, ed oltre, eventi, vino e parole, arte e cultura sullo sfondo della Toscana che tutto il mondo ci invidia. Nato da un’idea di Massimo Guantini e Sauro Scalzini e dalla passione per il vino e spettacolo della gente di Bolgheri e dintorni, il Festival torna dal 27 luglio per accompagnare l’estate dell’alta maremma con una programmazione che spazia dall’intrattenimento teatrale, musicale e per la prima volta anche cinematografico all’appendice culturale con il ciclo di Talk Show nella piazzetta del centro storico, mostre d’arte, esperienze enogastronomiche e jazz d’autore. Promosso da Bolgheri Melody Srl (info su www.bolgherimelodyfestival.it) con il contributo di Regione Toscana e il patrocinio del Comune di Castagneto Carducci e della Provincia di Livorno, il cuore del Festival sarà ancora una volta il palcoscenico dell’Arena Mario Incisa Della Rocchetta, il grande teatro all’aperto che porta il nome del “padre” del Sassicaia. Fondamentale, anche in questa edizione, il sostegno di importanti partner e sponsor che contribuiscono, in maniera determinate, alla costruzione del Festival e alla sua riuscita finale: Toremar, main sponsor del Festival che accompagnerà insieme a Eni, Persol, Poste Italiane, Banca di Credito Cooperativo di Castagneto Carducci, Camera di Commercio di Livorno, Finmeccanica questa edizione. L’APERTURA L’omaggio a Verdi e la Medaglia del Presidente. Il legame speciale con il Teatro alla Scala di Milano, un’istituzione nazionale che a Bolgheri è ormai di casa, partorisce un’altra notte di

grandissima musica con l’omaggio a Giuseppe Verdi nell’anno del bicentenario della sua nascita. L’Ensemble del Teatro alla Scala eseguirà per il pubblico di Bolgheri Melody accompagnato dal soprano Barbara Costa una selezione dei più belli e più conosciuti “canti” del grande compositore tratti dal Macbeth, Rigoletto, Nabucco e Traviata (27 luglio). Al Teatro alla Scala è affidata l’apertura del Festival; una serata speciale che segna anche la consegna del prestigioso riconoscimento della Medaglia d’Oro del Presidente della Repubblica all’Associazione “Diversamente Marinai”. La Medaglia è andata, nel corso delle precedenti edizioni, al Presidente Emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi (2011) e all’Arma dei Carabinieri (2012). GLI EVENTI DELL’ARENA Musical, la novità. Il musical debutta con una delle più importanti e belle produzioni di genere: Siddharta (2-3 Agosto). Romanzato dalla cantautrice e regista IsaBeau tra scenografie spettacolari, balletti acrobatici, musiche suggestive e spiritualità buddista, le musiche originali del musical sono di Fabio Codega e Isabella Biffi con la collaborazione di Beppe Carletti de “I Nomadi”. Il Pinocchio in cartoon di D’Alò con la musicavoce di Lucio Dalla. Il Festival si apre al cinema di animazione per una serata dedicata ai bambini e alle loro famiglie. Protagonista è Pinocchio, si proprio lui, il burattino di legno più famoso del mondo che il regista Enzo D’Alò (La Gabbianella e il Gatto, Momo alla conquista del tempo e Opopomoz) rivede nel suo giocoso, colorato e divertente cartoon. Sul palcoscenico ci saranno anche alcune delle “voci” narranti del cartone che hanno dato vita ai vari personaggi del cartone tratto da Le Avventure di Pinocchio di Collodi. Le musiche sono state curate da Lucio Dalla che ha dato la voce anche al personaggio del Pescatore Verde (4 agosto). Il Maestro. Giorgio Albertazzi nei luoghi che furono di Giosuè Carducci. Per il maestro, attore e poeta più amato del nostro teatro c’è ancora spazio per una nuova sfida: confrontarsi con

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uno dei luoghi simbolo della letteratura, quei 5 chilometri perfetti del Viale dei Cipressi dove ancora oggi riecheggiano forti e vivi i versi del grande poeta (11 agosto). Albertazzi presenta Recital: un evento dal sapore speciale per la grandiosità dell’interprete e per la delicatezza della narrazione sospesa tra poesia e teatro. Mengoni, la musica giovane. Per il talentuoso cantante vincitore di X-Factor e dell’ultima edizione del Festival di Sanremo è la prima volta in assoluto all’Arena Mario Incisa Della Rocchetta. Icona della musica italiana giovane, Mengoni arriverà a Bolgheri con l’unica tappa agostana in toscana (13 agosto) del suo Essenziale Tour. L’operetta “popolare”. Un titolo famoso, popolarissimo, apprezzato dai “fiorentini” (e non solo loro), per proseguire sul sentiero della varietà di genere per accontentare gli appassionati della “piccola lirica”. Con L’acqua Cheta – opera in due atti di Giuseppe Pietri - la Compagnia Teatro Musica Novecento ci porta a Firenze, primi del ‘900, dentro la vita di una famiglia borghese: Ulisse è un vetturino che vive con la moglie Rosa e le due figlie, Ida e Anita: la prima (l’acqua cheta) sembra più seria e virtuosa, l’altra è più sbarazzina e frequenta il falegname Cecco. In scena il Corpo di Ballo “Accademia” per le coreografie di Costanza Chiapponi e l’Orchestra e il Coro “Cantieri d’Arte” diretta dal Maestro Stefano Giaroli (16 agosto). Panariello, il ritorno. Giorgio Panariello torna a Bolgheri dopo lo straordinario colossale successo di due anni fa con un evento speciale. Il Giorgione nazionale, mattatore, imprevedibile, istrionico, torna con lo show Panariello e basta – special event, per raccontare con la sua amabile ironia vizi, capricci e peccati della nostra Italia. L’attualità e la quotidianità saranno ancora protagoniste dei suoi monologhi, ritratti brillanti del nostro tempo in cui ognuno potrà ritrovare un po’ di se stesso e ridere, sorridere e riflettere (17 agosto). Arpa, il Gala. Bolgheri Melody ripete l’esperienza esaltante della notte dedicata alle Voci per l’Arpa. Organizzata e promossa in collaborazione con la Fondazione Arpa, sul palcoscenico


2013

LUGLIO | AGOSTO | SETTEMBRE che porta il nome del “padre” del Sassicaia, il vino più famoso del mondo, si esibiranno tanti artisti, musicisti, attori e personaggi del mondo dello spettacolo testimonial della Onlus (partecipazioni ancora top secret). Scopo della serata è raccogliere fondi da destinare ai progetti della Fondazione presieduta dal medico Franco Mosca offrendo spettacolo, musica ed intrattenimento di altissimo livello (24 agosto). Jazz in Arena con Bolgheri Jazz. Aspettando Bolgheri Jazz in Arena. Il Festival allunga “allacciando” un’intelligente collaborazione con un altro evento del territorio affermato e conosciuto a livello internazionale ed inserendolo all’interno del palinsesto generale come appuntamento di chiusura. Arrivato alla nona edizione, Bolgheri Jazz (6-7-8 settembre) porterà la musica in Arena attraverso una mini-rassegna di concerti che scandiranno il mese di agosto. I concerti animeranno la nuova area ristoroenoteca dove appassionati e turisti potranno “degustare” i celebri vini e le produzioni tipiche del territorio. IL TALK SHOW La piazzetta del borgo di Bolgheri sarà ancora il “pulpito” del Festival. Ideati e promossi da Athena Communications (Direzione Artistica a cura di Massimiliano Simoni) con il contributo della Regione Toscana, Banca del Monte di Lucca e Fondazione Banca del Monte di Lucca e di importanti sponsor e partner, il Talk Show “Bolgheri Melody RacConta” ospiterà i personaggi del mondo della televisione, dell’editoria e dello spettacolo per una “chiacchierata” leggera, informale, estiva, di fronte ad un calice di vino. Sei gli appuntamenti nella piazzetta di Nonna Lucia (19 e 20 luglio, 26 e 27 luglio, 2 e 3 agosto) che saranno trasmessi su Canale Italia (regia di Mario Maellaro). I Talk Show saranno una cassa di risonanza nazionale per la cultura enologica del territorio e per le aziende vitivinicole. LE MOSTRE Ancora tanto da scoprire e da svelare, la programmazione del Festival sarà ultimata nei prossimi giorni con la presentazione di due grandi mostre, una personale del pittore contemporaneo livornese Raffaele De Rosa e una speciale esposizione firmata da Eni “Nero su Bianco” che animeranno rispettivamente la saletta del centro storico di Bolgheri e l’Arena Mario Incisa Della Rocchetta. L’ENOTECA & IL RISTORANTE A KM ZERO Novità anche sul fronte dell’Arena dove troverà spazio insieme all’enoteca dei vini con una selezione delle migliori etichette, un’area ristorazione a km zero per degustare ed apprezzare i prodotti tipici della maremma (e non solo). BIGLIETTERIA I biglietti possono essere acquistati online sul circuito www.ticketone.it e nei punti vendita ticketone, boxoffice e bookingshow. Il botteghino del Festival (Via Aurelia 32/D Donoratico LI) è aperto dal lunedì al venerdì nel seguente orario: mattina dalle ore 10.00 alle ore 12.00 ed il pomeriggio dalle ore 15.00 alle ore 18.00. Per informazioni su prezzi, orari, convenzioni e sconti contattare il numero cortesia al 347 7210472 oppure scrivere a info@bolgherimelody.com. Il programma potrebbe subire delle variazioni. Protagonisti, informazioni ed aggiornamenti su www.bolgherimelodyfestival.com.

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Sabato

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Musica

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ENSEMBLE TEATRO ALLA SCALA Omaggio a Verdi (Bicentenario 1813 – 2013) Cerimonia consegna medaglia d’oro del Presidente della Repubblica

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Sabato

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Agosto

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Musica

SIDDHARTA, IL MUSICAL Ideato, scritto e diretto da Isabeau. Musiche originai di Fabio Codega e Isabella Biffi con la collaborazione di Beppe Carletti de “I Nomadi”.

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Cinem

Agosto

PINOCCHIO Regia di Enzo D’Alò Proiezione film in presenza dei protagonisti del film

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Agosto

Prosa

GIORGIO ALBERTAZZI

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Recital

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Musica

Agosto

MARCO MENGONI

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L’essenziale Tour

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Agosto

ACQUA CHETA

21:30

Compagnia Teatro Musica Novecento di Reggio Emilia

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GIORGIO PANARIELLO

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Panariello e basta

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Musica

Agosto

VOCI PER L’ARPA

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Serata di Gala in favore della Fondazione Arpa

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9° BOLGHERI JAZZ Concerti e degustazioni dei vini bolgheresi nelle piazze, vicoli ed intimi angoli del borgo.

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Musica 21:30


LXVII FESTA DEL TEATRO San Miniato 2013

2 luglio ore 21.30 Federgat I Teatri del Sacro I Sacchi di Sabbia - Abram e Isac

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acra rappresentazione in cartoon liberamente tratta dalla Rappresentazione di Abramo ed Isac di Feo Belcari. Lo spettacolo è una rilettura della Rappresentazione di Abramo ed Isac, scritta nel 1440 dal fiorentino Feo Belcari. Accogliendo l’oxymoron tra testo antico e un con-testo contemporaneo, l’episodio biblico del sacrificio di Isacco diviene qui il pretesto per una riflessione sull’enigma della comunicazione tra Abramo e Dio, in una dimensione scenica al tempo stesso materica e metafisica, dove la ritualità della “sacra rappresentazione” si colora di nuove impalpabili suggestioni. Ad accompagnare la dizione del testo, i materiali più disparati: dalle sonorità contemporanee, alle immagini cartonate ispirate alle maschere di Saul Steinberg. Segni contemporanei e segni arcaici si fondono in una dimensione performativa sospesa, al tempo stesso ironica e sacra. Scrittura Giovanni Guerrieri, libri Giulia Gallo. Con Arianna Benvenuti, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Giulia Solano.

5 luglio ore 21.30

9 luglio ore 21.30

CGS Teatro Savio PalermO Il visitatore

ELSINOR COOP. TEATRALE Etty Hillesum - Cercando un tetto a Dio

A

L

prile 1938. L’ Austria è stata da poco annessa di forza al Terzo Reich, Vienna è occupata dai nazisti, gli ebrei vengono perseguitati ovunque. In Berggasse 19, celeberrimo indirizzo dello studio di Freud, il famoso psicanalista attende affranto notizie della figlia Anna, portata via dalla Gestapo. Ma l’angosciata solitudine non dura molto: dalla finestra spunta infatti un inaspettato visitatore che fin da subito appare ben intenzionato a intavolare con Sigmund Freud una conversazione sui massimi sistemi. Il grande indagatore dell’inconscio è insieme infastidito e incuriosito. Chi è quell’importuno? Cosa vuole? È presto chiaro che quel curioso individuo in frac non è un ladro né uno psicopatico in cerca di assistenza. Chi è dunque? Stupefatto, Freud si rende conto fin dai primi scambi di battute di avere di fronte nientemeno che Dio, lo stesso Dio del quale ha sempre negato l’esistenza. O è un pazzo che si crede Dio? La discussione che si svolge tra il visitatore e Freud, e che costituisce il grosso della pièce, è ciò che di più commovente, dolce ed esilarante si possa immaginare: Freud ci crede e non ci crede; Dio, del resto, non è disposto a dare dimostrazioni di se stesso come se fosse un mago o un prestigiatore. Sullo sfondo, la sanguinaria tragedia del nazismo. Di Éric-Emmanuel Schmitt. Mise en space di Bob Marchese. Con Bob Marchese, Mattia Mariani, Silvia Nati, Antonio Silvia.

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

12 luglio ore 21.30

15 luglio ore 21.30

Federgat I Teatri del Sacro TEATRO GIOVANI LUCCA Miriàm

TEATRO CARCANO MILANO L’Amore crocifisso (le parole ardenti di Angela da Foligno)

I

n Miriàm, come nella Donna, si ritrovano forza e fragilità, allegria e senso di solitudine. E il coraggio di scegliere senza farsi troppe domande, caratteristica propria del genere femminile. Ecco il perché di sei interpreti in scena: la storia di Miriàm è unica e, allo stesso tempo, comune a tante donne. Per questo ho pensato di declinare al plurale la nostra lettura del testo di De Luca. I tanti linguaggi espressivi che ho utilizzato hanno in comune il senso di precarietà e incompiutezza che caratterizza il momento che precede l’incontro con il non conosciuto. Quella di Miriàm è una vicenda umana che appartiene al genere femminile. Questa Donna vive, come ogni Madre, il cammino che la porta dal concepimento alla creazione. Un percorso interiore dove il viaggio è movimento e meta. Liberamente ispirato a “In nome della madre” di Erri De Luca. Regia di Nicola Fanucchi. Musiche di Fabrizio De Andrè. Con Lucia Bianchi, Vania Della Bidia, Agnese Manzini, Manuela Paoli, Martina Parenti, Silvia Prioreschi. Chitarra Roberto Puccini.

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li scritti di Angela da Foligno furono raccolti dopo la sua morte avvenuta il 4 gennaio 1309 e approvati poco dopo dal cardinale Giacomo Colonna, il potente protettore degli spirituali, interessato alla forma dell’ascesi penitenziale femminile e avversario di Bonifacio VIII. Per l’influsso esercitato sui teologi del suo e del nostro tempo Angela da Foligno viene tuttora chiamata “Magistra Theologorum”, appellativo attribuitole ancora vivente. La sua personalità è cangiante, il suo stile è disadorno e aspro, i suoi pensieri sono un tumulto che supera ogni limite visionario. Nei suoi scritti si leggono i segni di un tale violento ardente indomabile amore per Cristo da rimanerne sconvolti. Realtà? Letteratura? Geniale invenzione? Ciò che si può dire è che le parole di Angela sono tra le più alte testimonianze d’amore che si possono incontrare. E ciò che stupisce in lei, in questo suo viaggio mistico, è questa sua capacità di identificarsi in tutto e per tutto, totalmente e senza riserve con le sofferenze e le gioie del “crucificato” Cristo, suo sposo. Drammaturgia, regia e interpretazione di Antonio Zanoletti.

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

o spettacolo racconta gli ultimi tre anni di vita della ventiseienne Etty Hillesum, una ragazza ebrea vissuta ad Amsterdam e morta ad Auschwitz nel 1943. La vicenda non sarà narrata da occhio esterno, ma rivivrà nella prospettiva della stessa protagonista, che racconterà con le parole del suo diario e delle sue lettere le sue passioni, la sua conversione, il suo straordinario cambiamento umano e spirituale. Attraverso i suoi occhi leggeremo la tragedia degli Ebrei nella Seconda guerra mondiale. In un momento in cui tutto si incrudelisce e tende verso la morte, in cui ogni uomo è portato all’odio, questa ragazza si fa portatrice di una sbalorditiva speranza. La cosa estremamente interessante è che non ci troviamo di fronte ad una “mistica” ma ad una donna passionale, concreta, intellettualmente viva e curiosa, che attraverso alcuni incontri comincia a cambiare sguardo sulla realtà. Adattamento teatrale di Marina Corradi con Angela Dematté. Regia di Andrea Chiodi.

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

18-24 luglio ore 21.30 FONDAZIONE ISTITUTO DRAMMA POPOLARE CGS TEATRO SAVIO PALERMO L’ombra di Antigone di María Zambrano La cifra essenziale dell’opera di María Zambrano, una delle figure più originali del pensiero del Novecento, è la riconciliazione in un‘unica forma espressiva della parola poetica con la parola filosofica. La tomba di Antigone, straordinario testo filosofico-poetico-teatrale del 1967, è non solo una nuova lettura in chiave filosofica del personaggio sofocleo, ma soprattutto una incomparabile riscrittura che fa vivere Antigone in un tempo supplementare, dentro e oltre la tragedia assegnatale. María Zambrano riprende infatti la figlia di Edipo là dove Sofocle l’abbandona, e discende con lei agli inferi, che sono anche gli inferni dell’anima, dei legami familiari e della città lacerata da una atroce guerra civile e dalla tirannia. L’Antigone della Zambrano non è l’eroina canonizzata dalla tradizione, fissata nella luce del suo gesto di ribellione che fronteggia Creonte, bensì la ragazza senza terra, sola «nel silenzio e nell’assenza degli dèi». Tutti gli altri personaggi si rivolgono a lei come alla propria fonte, per trovarvi un riscatto dalla storia sanguinosa in cui sono rimasti irretiti. Antigone continuerà a parlare senza sosta, alla ricerca delle zone di luce, come “chiari del bosco”, dove si annida la speranza di una rinascita dall’orrore. Drammaturgia e Regia Roberto Guicciardini. Direttore di Produzione Francesco Giacalone Con (in ordine alfabetico) Fiorenza Brogi, Lombardo Fornara, Bob Marchese, Mattia Mariani, Silvia Nati, Leda Negroni, Antonio Silvia, Alice Spisa, Antonio Sposito.

Piazza Duomo


A TU PER TU

Lauretta

masiero una stella che non si spegne... sopratutto in cielo!

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on trascorsi quasi tre anni dalla scomparsa di Lauretta Masiero: fu il figlio, Gianluca Guidi ad annunciare la scomparsa della madre all’età di 82 primavere. Grande donna di spettacolo, ebbe un successo dietro l’altro, grazie alla ineccepibile professionalità, nonché a quella innata verve che contraddistingueva “sta veneziana, sior!” Nel 1965–1966 col bel ruolo di protagonista nello sceneggiato Le avventure di Laura Storm, stupì per il suo acume, tanto che molti videro in lei una sorta di tenente Sheridan con la sua bella gonnella! Già, brillante – e come non esserlo! – investigatrice in cerca di guai. La incontrai poco prima della sua morte a Empoli, al teatro Excelsior, dove si era esibita con Anna Proclemer in maniera grandiosa, tanto che… «ma che bel pubblico è questo, il calore arrivava fino in cima: che bello, che bello…» Dici Masiero e dici rivista. Già… la conosco bene, altro che! Erano bei tempi dove lavoravo con Macario, il grande Erminio Macario, e poi Garinei & Giovannini vennero con Wanda Osiris e rivolti a me: «quella lì sarà la soubrette, la prima donna dello spettacolo!» Ride di gusto memore di quei tempi mentre si “spande” il rossetto fucsia sulle ancor belle labbra. Non a caso la fanciulla passò con gran disinvoltura dalla rivista al teatro leggero, per avventurarsi poi nei ruoli classici riscuotendo sempre unanimi consensi. Macario che di donne ne vedeva tante… di lei diceva che aveva le gambe più belle di tutte. Beh… me lo fece anche capire, però era un uomo molto, ma molto severo. Ricordo che quando si chiudeva il sipario, lui lo apriva e ci faceva tutte cantare. Era fatto così… Ma lei non ha

la più pallida idea di come fosse rigido e intransigente, anche se recitare con lui era bello, sì, a me piaceva molto. Mi rammento nel ruolo de L’educanda di San Babila con le tre sorelle Nava e tante altre che… ahhh, ci vuole troppa memoria! Cosa ne pensa del teatro odierno? Mah… la regia, fare l’attore… è una professione da ben coltivare con impegno notevole: francamente non vedo eccellenze, esiste troppa improvvisazione e il pubblico lo sente. Io non sono più giovane, direi anziana, anche se la mia professione va avanti da un sacco d’anni. E quindi si sente “arrivata”. Si, senz’altro, non ci sono più confini, penso proprio d’aver dato tutto. Concordo. Prima degli anni ’60, Giovanni Testori parlando del fascino dell’avvenente soubrette… È una specie di farfalla matta, capace delle cose più straordinarie, di farti rotolare dal ridere quando tira fuori la voce all’americana, o di farti piangere, quando tira fuori il sentimento. Vedo che si porta dietro la foto del figlio: lo sa che è impressionante come somiglia a Dorelli? Sì, è la mia luce e sono orgogliosissima di lui poiché è anche molto bravo! Regalo di Dorelli… No. Lasciamolo stare, per carità, è un vero e proprio stronzo! Lo odio, e non perché mi lasciò trenta – che so… quaranta anni fa. Effettivamente ne è passata di acqua! Non credo che nutra rancori… Ma no… ho superato, certamente, solo che… c’è dell’altro che mi rode proprio troppo! Johnny, il caro Johnny. Sospira. Era un uomo molto divertente; sono stata dieci anni con lui e… sì, sapeva farsi voler bene. Però gliela ho fatta pagare e molto, ma molto! bene!

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Carla Cavicchini

Poi subentrò la Caterine Spaak… la causa della rottura… La maliarda. Un’ombra le pervade il volto ben rifinito dagli enormi occhiali che la “incorniciano” tutta. Prosegue. Sembra una tutta “ti ti ti, ti ti ti,” in realtà non è quella che appare, assolutamente. Non a caso è una donna che viene lasciata. La ricordo ancora nello spettacolo Promesse – promesse: ah! una fantastica cagna e grande arrivista! Il sangue amaro però adesso è tolto. Oggi le sue ceneri riposano al cimitero di Venezia - Isola San Michele, nella tomba di famiglia Masiero Favaro. E se chiudiamo gli occhi, la vediamo ancora pimpante e raggiante. Perché morire significa anche rifiorire.

Lauretta Masiero e Orazio Bobbio in Non ti conosco più

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TWENTY!

RIMA ANTEP ZA DAN

07

una serata di danza DOMENICA per festeggiare il ventennale di VERSILIADANZA Ideazione di Angela Torriani Evangelisti con la partecipazione straordinaria di LUCIANA SAVIGNANO

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SILVIO ORLANDO

IL MERCANTE DI VENEZIA

venerdì

di William Shakespeare Veronica Mona con Oblomov Films Srl in collaborazione con La Versiliana Festival Popular Shakespeare Kompany Regia di Valerio Binasco Traduzione e adattamento Valerio Binasco Musiche Arturo Annechino

COMPLEXIONS CONTEMPORARY BALLET Direttori artistici Dwight Rhoden e Desmond Richardson

13 SABATO

AFIE OGR A E R CO N PRIM LE A I ION NAZ

FRANCESCA INAUDI Daniele Iotti

MOLTO RUMORE PER NULLA

19 venerdì

di William Shakespeare L’isola trovata Srl - Regia di Giancarlo Sepe

ATER BALLETTO FONDAZIONE NAZIONALE DELLA DANZA

20 SABATO

ATERBALLETTO SUITE Coreografie Mauro Bigonzetti

MAX GAZZè

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SOTTO CASA TOUR

DOMENICA

GRUPPO COMPAY SEGUNDO DA

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BUENA VISTA SOCIAL CLUB

GIOVEDì

Luglio

MASSIMO RANIERI

RICCARDO III di William Shakespeare

26 VENERDì

traduzione e adattamento PRIMA LE di Masolino D’Amico NA A N ZIO Regia di Massimo Ranieri Scene Lorenzo Cutuli Musiche originali di Ennio Morricone

BALLETTO DI ROMA

OTELLO

27 SABATO

Direzione Artistica Walter Zappolini Coreografie Fabrizio Monteverde

ORNELLA VANONI

CANTO PER ESSERE FELICE

28

DOMENICA

Con trio acustico

GIOVANNI ALLEVI

SUNRISE TOUR

29 LUNEDì

Con orchestra

34° Festival versiliana

prosa danza musica arte incontri al caffè


Girolamo Ciulla

AS YOU LIKE IT

PRIMA LE NA NAZIO

di William Shakespeare

02 VENERDì

ARTÈ TEATRO STABILE D’INNOVAZIONE Compagnia dei giovani/ La Versiliana Festival Uno spettacolo di Maurizio Panici e Ambrogio Sparagna Traduzione e adattamento Maurizio Panici e Alice Spisa, musiche originali dal vivo di Ambrogio Sparagna, regia Maurizio Panici

Banca della Versilia Lunigiana e Garfagnana

03

Maria Agresta, Soprano, Francesco Demuro Tenore, Gabriele Viviani Baritono Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova, Direttore Pier Giorgio Morandi

04

DOMENICA

uno spettacolo di musica e danza del Sexteto Tipico Viento de Tango con la partecipazione straordinaria di Miguel Angel Zotto Coreografia Miguel Angel Zotto

KATIA RICCIARELLI

ALTRO DI ME

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MERCOLEDì

09 BODAS DE SANGRE COMPANIA ANTONIO GADES

venerdì

e SUITE FLAMENCA

Con coreografie in prima nazionale Coreografie Antonio Gades

GLI UOMINI VENGONO DA MARTE LE DONNE DA VENERE

per il bicentenario dalla nascita di Giuseppe Verdi

ZOTTO en concierto de tango

ENSEMBLE In a rime lapse Tour

SABATO

GRAN GALA

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LUDOVICO EINAUDI

10 SABATO

PAOLO MINGONE STEFANO BOLLANI IRENE GRANDI

MOMIX

ALCHEMY

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DOMENICA

13 14

MARTEDì

MERCOLEDì

Uno spettacolo creato e diretto da MOSES PENDLETON

SVETLANA ZAKHAROVA Gala

17 SABATO

MARTEDì

di Maurizio Costanzo e Enrico Vaime con Francesco Zingariello (tenore) gruppo musicale (5 elementi) Il canto della vita, al pianoforte PRIMA LE NA Roberto Corlianò NAZIO regia Marco Mattolini

COME IN CIELO COSì IN TERRA

CRISTIANO DE ANDRè

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DOMENICA

Agosto

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GIORGIO PANARIELLO

PANARIELLO E BASTA

LUNEDì

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GIORGIO ALBERTAZZI

IO HO QUEL CHE HO DONATO

MARTEDì

omaggio a Gabriele D’Annunzio nel 150° anniversario dalla nascita regia di Giorgio Albertazzi

LA DOPPIA NOTTE AIDA E TRISTAN

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MERCOLEDì

Compagnia Artemis Danza Nuova commissione del TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA Bicentenario della nascita di Verdi e Wagner Coreografia Monica Casadei

RAPHAEL GUALAZZI

HAPPY MISTAKE

Tour

COMPAGNIA DELL’AlBA

AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA

22 giovedì

23 VENERDì

Commedia musicale di Garinei e Giovannini scritta con Iaia Fiastri, liberamente ispirata a After me the deluge di David Forrest musiche di Armando Trovaioli con Jacqueline Ferry, Brunella Platania, scene di Gabriele Moreschi, costumi di Maria Sabato, direzione musicale M° Gabriele Ferro, regia e coreografie riprodotte da Fabrizio Angelini

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Dianora Poletti Presidente della Fondazione La Versiliana

L

a Versiliana 2013: Quali sono le caratteristiche di questa edizione, in cosa si distingue dalle altre? Come sempre il Festival unisce tradizione - anche quest’anno confermiamo un’ampia offerta di spettacoli per quanto riguarda prosa, danza, musica e comicità - e rinnovamento: una delle principali particolarità è questa sorta di festival nel festival dedicato a Shakespeare che ha ottenuto passaggi su importanti giornali e che per la prima volta vedrà il grande Massimo Ranieri co Riccardo III nel ruolo di regista e attore. La Versiliana poi celebrerà alcune ricorrenze come il 200enario della nascita di Verdi, il 150enario della nascita di Gabriele D’Annunzio a cui Giorgio Albertazzi renderà omaggio il 20 di agosto con un recital dannunziano, e il decennale della scomparsa di Giorgio Gaber, con cui la città vanta da sempre un forte legame, al quale sarà dedicato un ciclo di 4 incontri al Caffè e la proiezione, al Teatro Comunale di Pietrasanta. dei filmati originali del suo Teatro-Canzone. I botteghini di questa 34esima edizione del Festival La Versiliana hanno rilevato un indiscusso incremento delle vendite rispetto allo stesso periodo del 2012. Spesso risulta difficile coniugare qualità culturale ed artistica dell’offerta con un budget relativamente limitato, specialmente in un momento di crisi come questo. Come ci siete riusciti? Dobbiamo riconoscere il ruolo importante di Luca Lazzareschi, dal 2011 direttore artistico, per la riuscita del Festival. Certamente abbiamo toccato con mano la crisi economica: molti spettacoli per cui

Giulia Brugnolini

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Novità dal Caffè

avevamo optato, di prosa in special modo, sono poi stati cancellati. Tuttavia siamo veramente lieti di essere riusciti a presentare un festival con così tante proposte - che inizia il 7 luglio e termina il 24 agosto - e di alta qualità, basti pensare a presenze come Luciana Savignano, la Signora della Danza, che inaugurerà la kermesse. Per farlo abbiamo cercato di essere calibrati, di risparmiare, ma non sui cachet degli artisti. Poi abbiamo fatto la scelta di abbassare il costo dei biglietti: con ciò, mentre in questo periodo del 2012 i ticket venduti erano 440, oggi sono ben 822, e questo solo con le prevendite, prima di iniziare la pubblicità cartellonistica. Anche se non abbiamo raddoppiato l’incasso, per noi è veramente motivo di orgoglio. Giorgio Panariello, attore e comico eclettico che tra una risata e l’altra ha raccontato la Versilia turistica ma anche quella social-popolare, ha sorpreso tutti con il suo fuori programma. Ci può dire qualcosa di più? Panariello aveva deciso di provare il suo nuovo spettacolo “Panariello e basta” in Toscana e ci fa un grande piacere che l’amico della Versilia e della Versiliana ci abbia proposto una data all’interno del Festival, il 19 agosto. Tuttavia ci auguriamo di vederlo anche ospite del nostro Caffè pomeridiano. Ricollegandoci a quanto da lei anticipato, cioè la commemorazione di Verdi, D’Annunzio e Gaber, ricordiamo che il nostro Paese piange anche le recenti perdite di artisti del calibro di Iannacci, Rame, Monni, Califano. A suo avviso, vedremo

nascere nuovi “indimenticabili” o siamo destinati a ricordare sempre quelli passati? Io non guardo soltanto al passato. Ho sempre lavorato con i giovani, partendo dalle estati della Versiliana che trascorro a contatto coi giovani collaboratori, finendo al mio trascorso di docente universitaria, perciò sono proiettata verso il futuro. Con il dovuto tributo ai grandi del passato, penso che sicuramente ci sono e ci saranno persone che prenderanno il loro posto. Forse non siamo ancora in grado di riconoscerli, ma sicuramente sono tra noi. Passiamo ad una domanda più personale. Il suo percorso professionale passa per un altro settore, quello della giurisprudenza: è stata docente universitaria di Diritto e Preside della facoltà di economia di Pisa. Guardando alla sua nomina come Presidente della Fondazione Versiliana, come ha percepito e come vive l’impatto con l’arte e lo spettacolo, ambiente apparentemente opposto? Inizialmente ho vissuto la mia nomina come una sfida: volevo mettere per la prima volta le mie competenze al servizio di una fondazione di prestigio che si occupasse del mio territorio. Poi ho scoperto che i due ambienti sono meno lontani di quello che pensavo in prima battuta. La mia formazione si è dimostrata utile nella parte organizzativa interna. Ho anche provato con successo a legare le mie due esperienze: lo scorso anno la Versiliana e l’Università di Pisa hanno firmato una convezione alla quale sono seguite alcune ini-

ziative di cui i mass media non si sono molto occupati ma che sono state significative, come il 19esimo incontro del Coordinamento nazionale dei dottorati di ricerca in Diritto privato – la mia materia - tenutosi proprio nella villa La Versiliana, l’estate scorsa. La Versiliana non è solo spettacolo ma anche talk show, con il Caffè di Romano Battaglia. Ci può dare alcune anticipazioni? Il prossimo giovedì una conferenza presenterà i conduttori- organizzatori del Caffè, che aprirà il 6 luglio e si chiuderà il 31 agosto, due mesi pieni di incontri quotidiani. Le novità? Abbiamo spostato l’orario di inizio dalle 18:00 alle 18:30, per consentire al pubblico di partecipare al talk show e godersi uno spuntino al bar aspettando gli eventi serali. Il nostro Caffè poi quest’anno si compone come un rotocalco: il lunedì è dedicato alla salute, il martedì si parlerà di letteratura, il venerdì sarà il giorno del cinema e il sabato del costume. Rinnovato anche il parco dei conduttori: vi anticipo la presenza di Paola Saluzzi, volto noto di Sky. Un’ultima domanda, perché i lettori di Reality dovrebbero venire alla Versiliana? Il mio, a questo punto, è un vero e proprio invito! Tutti gli amanti dello spettacolo nella sua accezione più ampia sicuramente troveranno nella Versiliana appagamento di curiosità e informazioni. I lettori di reality sono proprio il target a cui il Festival si rivolge, visto che, come Reality, è una summa di tutte le branche dell’arte e del costume.

Gli incontri al Caffè, come sempre a ingresso libero, quest’anno, in segno di gratitudine a Romano Battaglia, recentemente scomparso, avranno per protagonisti anche alcuni veterani del Caffè, oltre, ovviamente ad invitanti volti nuovi. Si parte giovedì 11 luglio con un omaggio a Giuseppe Verdi nel bicentenario dalla nascita, di cui saranno protagonisti Gabriele Lavia, il direttore d’orchestra Nicola Luisotti, il soprano Maria Agresta e il tenore Francesco Demuro che, accompagnati al pianoforte da Laura Pasqualetti, regaleranno un inizio all’insegna della grande musica colta. L’attrice Laura Morante sarà ospite del Caffè il 12 luglio e sono già confermate le presenze di personalità del mondo dello spettacolo, dello sport, ma anche della politica come Adriano Galliani, Gene Gnocchi, Maurizia Cacciatori, Vittorio Feltri, Mara Carfagna, I fratelli Vanzina, Guido Meda, Raoul Casadei, Maria Sole Tognazzi, Mario Giordano, Giorgio Panariello, Giovanni Veronesi, Antonio Caprarica e di Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittorialen per l’omaggio a Gabriele D’Annunzio in collaborazione con il Vittoriale degli Italiani. Ma chi saranno i conduttori? I celebri Giovanni Toti, direttore di Studio Aperto e TG 4, Luca Telese , conduttore di In Onda su La 7 e Claudio Sottili per la rubrica dedicata ad enogastronomia e benessere, mentre tra le new entry si alterneranno alla conduzioni Marino Bartoletti, giornalista RAI, Piera De Tassis direttore del mensile di Cinema Ciak, che curerà al Caffè la rubrica dal titolo Vite da Cinema, Alessandro Bonan, giornalista sportivo di Sky Sport e Paola Saluzzi conduttrice di Sky tg24 . L’ultima settimana di Caffè sarà invece interamente dedicata all’anteprima del Festival della Salute, dal titolo ìSalubre, aspettando il Festival della Salute e sarà condotta da Fabrizio Diolaiuti. In ricordo del signor G, invece, in programma un ciclo di 4 incontri con ospiti come Enzo Iacchetti, Rocco Papaleo, Claudio Baglioni e Roberto Bolle, artisti italiani d’eccellenza chiamati a dare testimonianza autorevole per un approfondimento culturale sulla figura e l’opera di Giorgio Gaber.

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EVENTO

antico splendore I locali della Filiale della Carismi a San Miniato tornano a nuovo splendore Ada Neri

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La Cassa di Risparmio di San Miniato, il 14 giugno ha inaugurato la sua filiale rinnovata nel centro storico. I locali appena inaugurati sono frutto del restauro della Filiale più storica della Banca in via Conti, che ha riportato all’antico splendore gli spazi al pian terreno di Palazzo Roffia, costruzione tra le più belle della Città di San Miniato. Sede dell’arciconfraternita di Misericordia di San Miniato, Palazzo Roffia è un nobile edificio tardo cinquecentesco in stile toscano rinascimentale, la cui costruzione sulle preesistenti case del trecento, fu commissionata da Tommaso

Roffia ad uno dei figli dell’architetto Baccio d’Agnolo. Nell’occasione, è stata allestita un’esposizione delle opere lasciate alla banca a ricordo della partecipazione degli artisti al progretto Carismi per l’Arte. La Filiale di San Miniato, a pochi passi dalla Sede Direzionale, è dalla fine degli anni ’70 il luogo dove i clienti della città intrattengono i rapporti con l’istituto di credito, “la Banca” per i samminiatesi era precedentemente ubicata direttamente presso la sede centrale, dal dopoguerra presso Palazzo Formichini in via IV Novembre, 45. Il taglio del nastro ha rappresentato

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un importante evento per i clienti della Banca e non soltanto, che ha visto la partecipazione del vescovo Fausto Tardelli e del sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini. La Banca è attualmente impegnata in un’opera generale di restyling: il Consiglio di Amministrazione, presieduto da Alessandro Bandini – ha voluto la ristrutturazione della Filiale per renderla più confortevole ma anche per valorizzare la presenza commerciale di “Carismi”nella città in cui la Banca fu fondata nel 1830. Alla guida della filiale di Via Conti, il direttore Luca Bonfiglio.

Nella foto dai sinistra: il vice presidente della Fondazione Gianfranco Rossi e il presidente della Fondazione Cassa Risparmio di San Miniato Antonio Salini Guicciardini; Vice presidente Carismi Alberto Lang; il sindaco Vittorio Gabbanini; il vice direttore generale Carismi Alberto Piacentini; il vescovo S.E Fausto Tardelli e il presidente della Carismi Alessandro Bandini

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rosa

CONVEGNO

una

per un codice FIDAPA: un incontro informativo Giulia Brugnolini

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rogetto “Codice Rosa”: un apposito percorso di accesso al pronto soccorso riservato alle vittime di violenza che siano donne, bambini, anziani, immigrati o vittime di omofobia. Già attivo nei pronto soccorso delle Usl di Lucca, Prato, Arezzo, Grosseto e Viareggio, è, da oggi, anche al servizio della popolazione empolese, all’interno dell’Azienda Usl11. Un importante passo avanti nella lotta al problema sempre più urgente delle violenze, in primis quelle domestiche, che hanno come oggetto le fasce più deboli. Un progetto che il Piano sociosanitario della Regione Toscana indica tra quelli da diffondere, entro il 2013, nelle strutture di pronto soccorso di tutte le Aziende Usl del territorio e che il presidente, della FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) sezione di San Miniato, ha deciso di presentare, lo scorso 18 maggio, con un convegno divulgativo dal titolo Una rosa per un codice. Un’occasione fondamentale per discutere delle conseguenze sociali dell’inaugurazione del Codice, ma soprattutto per fornire informazioni sul suo funzionamento, oltre a documentare per mezzo delle statistiche gli incoraggianti risultati conseguiti negli altri cinque ospedali toscani in cui questo servizio è già attivo da un paio d’anni. Ha dato inizio al convegno con la sua introduzione il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini, con parole di sostegno alla causa e informando che sarà aperto nel mese di giugno, il Centro Anti-violenza FRIDA KAHLO, il primo nato sul territorio, sostenuto dalla associazione FRIDA e dalla Società della Salute Valdarno Inferiore. La parte “rosa” delle istituzioni è stata rappresentata da Miriam Celoni, as-

sessore all’istruzione della provincia di Pisa, Eleonora Caponi, assessore alla cultura del comune di Empoli, Giuditta Giunti assessore alle pari opportunità del comune di San Miniato, Sonia Gasperini coordinatrice formazione Usl11 e Rosalba Taddeini presidente dell’associazione FRIDA. Hanno portato il loro importante contributo anche i relatori Alessandro Caneschi, direttore UOC Pronto Soccorso Empoli e Franco Doni, direttore della società della salute del Valdarno Inferiore. Parola d’ordine: lavoro di squadra. Il Codice mette in rete diverse figure professionali fra cui medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, magistratura, forze dell’ordine e, non ultimi, i centri antiviolenza. Questa ricca rete collaborativa viene addestrata a riconoscere segnali non sempre evidenti di una violenza e ad attivarsi per l’individuazione tempestiva dell’autore della violenza. Le statistiche confermano che una

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Vittorio Gabbanini sindaco di San Miniato

simile struttura ha intercettato un bisogno reale: sul totale dei dati rilevati, riferito agli adulti, ben 1.248 sono i casi di maltrattamento, 44 di abuso sessuale e 22 di stalking. Il convegno della FIDAPA, movimento di opinione indipendente senza scopo di lucro, ha riassunto in un unico incontro le informazioni utili alla cittadinanza e veicolato l’orgoglio delle istituzioni per il lavoro finora svolto.

Miriam Celoni, assessore provincia di Pisa In basso da sinistra Rosalba Taddeini, presidente associazione FRIDA; Alessandro Caneschi, direttore UOC Pronto Soccorso Empoli; Giuditta Giunti, assessore alle pari opportunità; Franco Doni, direttore della società della salute del Valdarno Inferiore; Sonia Gasperini, formazione Usl11; Margherita Casazza presidente FIDAPA

E


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SOLIDARIETà

una

Haiti

speranza per

La Cassa di Risparmio di San Miniato sostiene la fondazione Francesca Rava per il sostentamento dei bambini haitiani Giampaolo Russo

Conferenza stampa di presentazione dello spettacolo presso la filiale CRSM Palazzo Portigiani Firenze

M

usica e foto per accendere nuovamente i riflettori sui bambini di Haiti e portare loro un aiuto concreto. Firenze ha ospitato il concerto di Paola Turci e Paolo Fresu e una mostra fotografica di Stefano Guindani nel Cortile della Dogana di Palazzo Vecchio. Tra i presenti Martina Colombari, madrina della Fondazione Francesca Rava, Stefano Guindani, autore delle foto esposte nella mostra; oltre alla presidente Fondazione Mariavittoria Rava, a Sara Nuzzaci per Kpmg KStudio Associato, vicedirettore Generale Carismi Alberto Silvano Piacentini, presidente Honegger Armando Honegger. Era presente anche Ester Desir, arrivata direttamente da Haiti e cresciuta nell’Orfanotrofio NPH sull’isola, che ha dato voce alla speranza di un futuro per tanti bambini di questo paese in

emergenza quotidiana che dopo il terribile terremoto del 2010, è stato colpito da due uragani e dal colera e dove 1 bambino su 3 muore prima dei 5 anni di malattie curabili, 1 su 2 non va a scuola. Grazie al prezioso sostegno di Peuterey, l’intero ricavato del concerto è stato devoluto all’ospedale NPH Saint Damien, unico pediatrico gratuito sull’isola, struttura d’eccellenza che assiste 80.000 bambini l’anno. La serata è stata resa possibila anche grazie al contributo di KPMG - KStudio Associato e la Cassa di Risparmio di San Miniato che, oltre al contributo per la realizzazione del concerto, ha lanciato un progetto per sostenere la Fondazione Francesca Rava: per ogni nuovo conto corrente aperto l’istituto devolverà alla Fondazione l’importo necessario per la vaccinazione di un bambino.

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In occasione del concerto, sono state esposte nel Cortile della Dogana di Palazzo Vecchio, le foto “Saut d’Eau – Haiti” di Stefano Guindani, noto fotografo di moda, che ha realizzato numerosi reportage nel paese, esposti anche alla Triennale di Milano e a New York. «Sono particolarmente contenta di accogliere i protagonisti di queste belle iniziative di solidarietà e di cooperazione promosse dalla Fondazione Francesca Rava – ha dichiarato il vicesindaco Saccardi –. A tre anni dal terremoto che devastò Haiti, iniziative come il concerto e la mostra fotografica oltre a raccogliere fondi per aiutare concretamente la popolazione, in specifico i bambini, sono molto importanti per risvegliare l’attenzione e sensibilizzare le persone sulla situazione drammatica in cui ancora si trova il paese. Firenze storicamente è sempre stata sensibile ai bisogni dei più deboli: la solidarietà e l’attenzione nei confronti delle persone meno fortunate è uno degli elementi che contribuiscono alla bellezza della nostra città. Non posso quindi che ringraziare la Fondazione Francesca Rava e tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione di questi eventi che, come città, siamo ben lieti di ospitare». «Siamo felici che la Firenze, dove abbiamo già donatori e padrini a distanza di bambini che vivono nelle nostre Case orfanotrofio in Haiti, abbia deciso di ospitare questi due eventi - ha aggiunto Mariavittoria Rava presidente della Fondazione –, per poter raccontare il lavoro che è stato fatto dopo il terremoto e l’aiuto quanto mai necessario, dopo che i riflettori si sono di nuovo sono spenti su questo poverissimo paese».


SOLIDARIETà

Dynamo

Camp la vera cura è ridere!

C

’è un luogo dove si respira un’atmosfera magica, familiare, di condivisione. Immaginatevi un’area immersa nel verde, dove il relax regna sovrano, dove il rumore delle auto è un lontano ricordo, l’inquinamento ha la porta sbarrata e incontrare uno scoiattolo non è casuale. Non esiste solo nei sogni, o nei libri di favole. Non importa sfogliare pagine e pagine per trovarlo. Prendete la cartina geografica, guardate nel cuore della Toscana ed è lì che lo troverete. È un luogo, inserito in un’oasi affiliata WWF, a Limestre, in provincia di Pistoia, dove i bambini con gravi patologie tornano ad essere bambini. È un posto di vacanza dove la vera cura è ridere e la medicina è l’allegria. La struttura è la Dynamo Camp, nata nel 2007 e da allora ha ospitato oltre 3500 bambini e le loro famiglie ed ha il supporto di molte persone. In particolare, anche lo sport ed il ciclismo… sono scesi in pista per dare il loro contributo. Grazie alla generosità di

uomini, donne e bambini si è svolta la prima edizione della Dynamo Bike Challenge (25/26 maggio), la prima Gran Fondo benefica d’Italia, organizzata da Associazione Dynamo Camp Onlus in collaborazione con la Federazione Ciclistica Italiana. L’obiettivo della manifestazione è stato raccogliere fondi per sostenere Dynamo Camp, camp di Terapia Ricreativa, che accoglie gratuitamente per periodi di vacanza e svago bambini affetti da patologie gravi e croniche. L’evento si è ispirato alla “Pan Massachusetts Challenge”, gara ciclistica statunitense nata nel 1980 per finanziare la lotta contro il cancro che, in 30 anni di attività, ha raccolto 338mln di dollari, diventando l’appuntamento sportivo di fundraising di maggior successo in Nord America. Dynamo Bike Challenge ha avuto il sostegno di campioni e personalità come Stefano Baldini, Michele Bartoli, Jury Chechi, Linus, Edita Pucinskaite, Antonio Rossi e del Club Sportivo Firenze. La Gran Fondo si è articolata in due tappe, entrambe aperte a cicloturisti e cicloamatori che si sono snodate tra le colline pistoiesi e parte del tracciato dei Campionati del Mondo 2013, dei quali la corsa è uno dei “prologo” ufficiali. La sfida tra i cicloamatori, invece, si è svolta in due tappe rispettivamente di 105 km (sabato) e 85

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km (domenica): la prima è partita da Firenze e si è conclusa all’Oasi affiliata WWF di Limestre in cui vive il Dynamo Camp; la seconda ha previsto un “anello” sulle montagne e i colli Pistoiesi, passando per Limestre, Prunetta, Piteglio, Pian degli Ontani, Cutigliano, e S. Marcello Pistoiese. Presso il camp sono state svolte attività sportive e ricreative aperte a tutta la famiglia e in particolare ai bambini, come arrampicata, tiro con l’arco, piccola attività di circo e intrattenimento per i più piccoli. Iscrivendosi, il cicloamatore è diventato sostenitore di Dynamo Camp. L’obiettivo di 20 euro regala a un bambino un’ora di attività (equitazione, piccola attività di circo, terapia ricreativa con animali, Art Factory, attività radiofoniche) a Dynamo Camp; l’obiettivo di 200 euro, regala a un bambino una giornata di vacanza al Camp con vitto, alloggio e attività; l’obiettivo di 2000 euro rende possibile una campership, una settimana di vacanza di un bambino, incluso il viaggio. Restano negli occhi le immagini delle tante biciclette, portate in strada con una curiosità: Il traguardo è stato raggiunto alla partenza e a tagliarlo è stato il cuore. Foto di Andrea Alfieri, Dynamo

Gaia Simonetti

Strutture per attività sportive presso il Dynamo Camp Aluminium Recycling team

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sport

tennis il miracolo del

Torneo Internazionale Juniores in memoria di Mauro Sabatini

Marco Massetani

La svizzera Belinda Bencic vincitrice del femminile. La russa Darya Kasatkina vincitrice della Coppa Beppe Giannoni, con il nipote di Beppe Giannoni e il direttore di gara Simone Martini.

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opo che anche l’ultimo risultato è stato inviato, dopo che l’ultima sigaretta è stata spenta, ora che la baita è rimasta vuota e il circolo in silenzio - senza vincitori né vinti, senza pubblico e senza racchette, senza coloro che ti hanno accompagnato per 10 giorni: destino infernale di ogni addetto stampa… – allora ti accorgi quando sia bello questo piccolo grande torneo di tennis, proprio ora che la vita ritorna a parlare a bassa voce, con il nido di passerotti insediato sul campo n. 3 o con le bandiere che sventolano lente nell’umido pomeriggio di metà maggio. È allora che ti accorgi che Santa Croce sull’Arno rimarrà per sempre

la settimana dell’anno che aspetti, come da piccoli si aspettano le vacanze al mare. È allora che ti accorgi che il torneo internazionale juniores ideato nel 1979 dal buon Mauro Sabatini è vivo e vegeto, fa parte della tua vita e di quella di tutti gli amici - quasi sempre gli stessi - che ogni anno si ritrovano qui, intorno a questi 5 campi d’ar-

gilla, ad ossequiare una ricorrenza speciale, ad attendere che il miracolo torni ad avverarsi… Il miracolo tennistico si è avverato anche quest’anno. Perché è un miracolo vero quello che il Tennis Club Santa Croce continua a manifestare ormai da 35 anni, organizzando cioè una competizione che è tra i primi 10 tornei giovanili al Mondo. Un’impresa nella quale possono riuscirci piazze importanti come Melbourne, Londra Milano e Parigi. Ma a Santa Croce sull’Arno, 11.000 anime indaffarate tra una miriade di concerie, come è possibile che ciò avvenga? Se lo saranno chiesto anche gli oltre 200 atleti di 41 Paesi che hanno preso parte all’edizione 2013 del Torneo internazionale “Città di Santa Croce” Mauro Sabatini, andato in scena dal 13 al 18 maggio, con il consueto suc-

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cesso di partecipanti, di pubblico, di magliette e di racchette, di etnie diverse che hanno colorato il Cerri, l’ex acquitrino circondato dai boschi, oggi un’oasi verde e privilegiata di sport. Se lo saranno chiesto anche i due vincitori, la bella 16enne svizzera Belinda Bencic e lo stravagante francese Maxime Hamou, coloro che sono arrivati fino in fondo a un’edizione come al solito avvincente nei contenuti e prestigiosa per i talenti che ha saputo presentare. Perché accanto ai nomi due vincitori, il torneo di Santa Croce sull’Arno ha nuovamente contato su tennisti e tenniste capaci di dimostrare di possedere le carte in regola per fare strada nel tennis che conta. Ci vengono in mente i nomi del filiforme francese Quentin Halys, uscito dai quarti ma protagonista nelle qualificazioni di Parigi (quello dei


grandi), dei due australiani – seguiti dal preparatore atletico pisano Stefano Barsacchi, ex responsabile di Fed Cup e trainer di Francesca Schiavone – che rispondono ai nomi di Omar Jasika e Harry Bourchier, ed ancora della finalista russa finalista Veronika Kudemertova, o forse, chissà, dei nostri 9 azzurri approdati agli ottavi di finale, un record a Santa Croce dove la concorrenza è sempre altissima: un segnale per il

tennis; Karen Khachanov e la sua passione per il basket (tifa CSKA e i Miami Heat di LeBron James); i sogni giovanili di Darya Kasatkina, quando ammette con la sincerità di una teenager: “noi russe non siamo le migliori, siamo solo tante, questo è il segreto, e tutte vogliamo vivere all’estero”. Il miracolo si è avverato anche nel 2013 grazie al contributo di tanti. In primis, quello di Francesco Maffei, degno successore di Mauro Sabatini che con cuore e professionalità sa guidare la nave del torneo nei mari difficili (e sotto i cieli più minacciosi, aggiungerei…) anche grazie a eccellenti collaboratori (Simone Martini, Federico Puliti, Gloria Giorgi, Piero Martini e Franco Riccioni, e alle ragazze del Liceo Linguistico “Eugenio Montale di Pontedera”). Poi grazie agli sponsor che rappresenta la linfa vitale di ogni evento sportivo (Banca Mediolanum, Cassa di Risparmio di San Miniato, Nick Winters, Tecnopel e Mibpel, Centro Medico Andromeda, Morellino). Ma se queste energie sono state ingenti e positive, il merito va anche

13-18 MAGGIO 2013 XXXV TORNEO INTERNAZIONALE “CITTà DI SANTA CROCE” MAURO SABATINI RISULTATI Singolare Maschile Quarti: Napolitano (11,Ita) b. Gomez (14,Mex) 76(6), 64; Janvier (12, Fra) b. Bourchier (4, Aus) 61, 64; Khachanov (7, Rus) b. Cutuli (Ita) 64,57,61; Hamou (2, Fra) b. Jasika (5, Aus) 64,63. Semifinali: Hamou b. Khachanov 63,76(3); Janvier b. Napolitano 46,63,63 Finale: Hamou b. Janvier 64,60 Singolare femminile Quarti: Bencic (1, Sui) b. Matteucci (7, Ita) 60,76(3); Kasatkina (4, Rus) b. Lushkova (12, Ukr) 64,63; Kudermetova (6, Rus) b. Krejcikova (3, Cze) 62,36,64; Slazikovics (Hun) b. Giangrieco Campiz (2, Par) 63,16,75 Semifinali: Bencic b. Kasatkina 57,75,62; Kudermetova b.Slazikovics 64,64 Finale: Bencic b. Kudermetova 76,61 Doppio maschile Semifinali: Bonzi/Halys (3, Fra) b. Cutuli/Vavassori (Ita) 61,46,10-6; Matos/Zormann (2, Bra) b. Bodmer/Muller (Sui/Fra) 64,26,10-6 Finale: Bonzi/Halys b. Matos/Zormann 62,63 Doppio femminile Semifinali: Csoregi/Krejcikova (1, Rou/Cze) b. Bencic/ Lushkova (4, Sui/Ukr) 62,36,10-7; Fett/Ploskina (7, Cro/ Ukr) b. Parazinskaite/Silich (5, Ltu/Rus) 16,62,10-5. Finale: Csoregi/Krejcikova b. Fett/Ploskina 61,61

nostro tennis giovanile da troppo tempo in cerca di identità. Tanti atleti, che poi sono tante storie da scolpire nella memoria. Il padre di Belinda Bencic scappato in Svizzera nei giorni della Primavera di Praga (“sono fuggito dai sovietici e me li ritrovo tutti nel tennis” ci ha confidato); il variopinto (carnagione nordafricana e capelli ossigenati color carato) Maxime Hamou, figlio di un dentista e di una top-model, che adora Balotelli e che gioca a golf per concentrarsi sui match di

a coloro che per 10 giorni ci hanno ristorato, a Maria e Mariano, e ai loro aiutanti. Colazione, pranzo e cena: serviti con la familiarità e la genuinità che raramente ritrovi nel mondo comune. Magari uno gioca il torneo di Firenze sognando la cucina tipica toscana. E invece quei piatti agognati e saporiti se li ritrova serviti solo a Santa Croce. Anche questo è un bel miracolo che ci auguriamo possa ripetersi.

Da sinistra il vincitore Maxime Hamou e il finalista Maxime Janvier, entrambi francesi. Francesco Maffei, Paola Cesaroni mamma del compianto tennista Federico Luzzi e Franco Riccioni. Lo staff del ristorante del Cerri.

Foto di Massimo Covato

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SPORT

I° trofeo

golf e motori Giulye

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a una parte il golf, sport slow, di concentrazione e precisione, dall’altra l’automobile, simbolo di velocità e potenza. Due mondi diversi, uniti nella continua ricerca dell’eleganza, in particolar modo nel design, si sono incontrati lo scorso 8 giugno al Golf Club Montecatini, in occasione di “Autostile – Luxury Paint”, un inedito torneo con formula diciotto buche stableford a tre categorie. Sponsor del torneo è stato Gianfranco Servi, lui stesso socio del club, dal 1982 titolare, assieme a Gerardo Caputo, della carrozzeria Autostile, conosciuta per essere stata la prima a introdurre in Europa i trattamenti di nanotecnologia per le auto e per gli yacht. Da sempre alla ricerca dell’eccellenza e dell’innovazione, come dimostra la tecnica di verniciatura Luxury Paint, esclusiva invenzione dell’azienda Autostile. Nella suggestiva cornice del Golf Club, attualmente con la presidenza di Cesare Dami con i suoi trenta anni di vita alle spalle, una struttura con un tracciato di 6.000 metri, numerosi ostacoli naturali e una foresteria; un folto gruppo di golfisti ha preso parte alla com-

petizione, assistendo a una particolare dimostrazione di sportività: il socio e sponsor Gianfranco Servi giocando bene, aveva conquistato il secondo netto della terza categoria, ha voluto cedere il premio al terzo classificato. Il post-gara, nella rinomata terrazza del Club, ha poi ospitato le voci del Coro “S. Grania” di Capraia Fiorentina e una ricca cena-buffet. Erba e asfalto, due differenti materiali, entrambi simbolo

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di un percorso. Ma il connubio tra il Club e la carrozzeria non si ferma qui perchè anche Il Golf Club Montecatini, vanta un’eccellenza nazionale: progetto curato interamente dall’architetto Marco Croze, famoso per il suo attento e scrupoloso rispetto per l’ambiente. In questo straordinario contesto si è potuto respirare un atmosfera da concorso di eleganza per auto oltre alla competizione sportiva.



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COLLEZIONi

e ’ d p e o s r c a o b

Roberto Mascagni

Pochette a bracciale da sera in gròs color ciliegia plissettato a soleil, con chiusura a scatto in ottone con pomellini. Italia, fine anni Venti XX secolo.

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olorate, ornate con strass e paillettes, guarnite con perline di vetro o ricamate, realizzate con tessuti preziosi, ornate con chiusure metalliche, spesso finemente lavorate, hanno sempre rappresentato l’accessorio distintivo dell’emancipazione femminile. Ma è con l’Ottocento che inizia la storia della borsetta moderna. Ispirando una gran varietà di modelli e di materiali, esaltati dalle griffes più famose, sono diventate oggetto di culto, complemento di eleganza, perfino materia di studio nei luoghi dove si insegna la Storia del Costume. «Perché ho iniziato a collezionare borsette? – racconta Cristina Giorgetti, storica dell’abbigliamento –. È stata un’affezione istintiva. Fin da piccola, mi dispiaceva vederle accantonare quando erano passate di moda o addirittura buttar via. Così un po’ per giocare un po’ per poterle avere cominciai a dire alle donne di casa mia “datele a me”. Avevo meno di dieci anni, e

quella mia prima raccolta non si poteva definire ancora “collezione”, certo è che col passare del tempo continuai ad accumularle». Quando ha compiuto quello che si può chiamare “un salto di qualità”, o ne ha avuto la consapevolezza? A 19 anni, con l’iscrizione alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze venni in contatto con quella che sarebbe divenuta la mia docente e maestra, la professoressa Maria Grazia Ciardi Dupré ordinaria allora di Storia della Miniatura e delle Arti Minori. Tra le cosiddette “arti minori” rientravano molti oggetti d’abbigliamento affini alle borsette: tessuti, calzature, abiti, opere di oreficeria in metalli pregiati o meno, finiture in legno, cuoi lavorati dipinti o istoriati. Studiando con metodo, cominciai a osservare come in una borsetta fosse possibile talvolta raggruppare tante arti e poterle osservare tutte assieme. Constatai inoltre che questi oggetti ancora non erano valo-

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rizzati, perciò pensai che se nessuno se ne era accorto era l’ora che qualcuno lo facesse. Certo ero una studentessa, con pochi soldi a disposizione, ma con quel poco cominciai ad acquistare ponendo attenzione agli stili, ai materiali e alle lavorazioni, contemporaneamente continuavo a “salvare” dalla eliminazione gli esemplari delle zie, e per passa-parola, quelli di altri parenti. Quando la sua raccolta cominciò ad avere le caratteristiche di una collezione? C’è una data, il 14 luglio, nello specifico il 14 luglio 1991 quando acquistai una considerevole collezione di borsette americane d’alta qualità. Posso dire che quella fu la data di nascita della vera collezione. Da quel momento non mi sono più fermata. Da una parte cercavo le “firme” e dall’altra gli esemplari d’epoca, ma di entrambi volevo un’impronta non basata solo sulla bellezza o sulla celebrità acquisita dal modello, bensì la singolarità


che poteva rappresentare per forma, funzionalità, materiali, attestandosi così come “rarità”. Volevo “campioni” che in futuro potessero diventare un “data base” della creatività nella borsa. Ha avuto occasione di presentare al pubblico la collezione? Quando la collezione cominciò a distinguersi per numero e originalità degli esemplari, nel 2001 presentai una selezione in una mostra organizzata dal Museo del Tessuto di Prato, così ebbi modo di far conoscere anche la mia opera di “salvataggio” e di ricevere altre donazioni. Allora le borsette erano circa 750, anche se di quelle solo cento furono esposte al pubblico, mentre dal 2001 ad oggi, tra firmate e non firmate, sia per motivi d’epoca che di manifattura, gli esemplari ormai sono oltre mille. Quali sono le epoche rappresentate, insieme con i materiali e gli artigiani? Non ho mai prediletto un’epoca né un materiale specifico; sono sempre stata interessata a documentare le vaste possibilità ìnsite in quest’oggetto, che può essere prezioso per materiale ed epoca, come raro per creatività pura. Ripeto, l’importante è documentare la storia, le tipologie e soprattutto la morfologia, per questo gli esemplari che sono riuscita ad acquisire spaziano dalla fine del XVI secolo ai giorni nostri e comprendono legno, sughero, avorio, pelli di pesce e di rettile, di capretto come di cinghiale o bufalo, d’argento o dorate, di leghe metalliche particolari, ma anche borse in semi di mela, cocomero, in noce di cocco, paglia e rafia, in materiali artificiali autarchici, plastica e così via. Spesso il bagliore delle firme famose oscura l’opera geniale degli artigiani. Un’altra cosa che mi preme rammentare è l’attenzione che ho posto nell’esaltare l’abilità degli artigiani che si occupavano talvolta non solo di borsette, ad esempio gli argentieri, gli orafi e gli ebanisti. Nella collezione ci sono borsette con chiusure assolutamente uniche fatte a mano per quel modello specifico. Ci sono borsette in cuoio sbalzato e dipinto a mano o con decori in foglia oro. Oggetti irripetibili oggi, prima di tutto per quelle abilità ormai perdute, e spero recuperabili in futuro proprio per mezzo degli esempi, e poi per i costi, certo oggi proibitivi soprattutto per le ore impiegate nel farli tutti a mano. La singola borsetta può essere considerata solo un oggetto, ma diventa accessorio quando è abbinata ad altri complementi di abbigliamento. Mi condivide? Collezionare è certo una passione, ancora di più tuttavia stimo “raccogliere”, perché insieme con una borsa ci sono i guanti, una volta assortiti all’oggetto impugnato, alle scarpe, all’ombrello, alla cintura, al cappello, tutti manufatti che ho compreso nella collezione per docu-

mentare ancor di più l’insieme di quello che definirei “contesto” e “palinsesto” dell’abbigliamento, ben considerando l’importanza degli abbinamenti oggi perlopiù perduta nel senso dell’esercizio del gusto. Imprescindibile dalla cultura. Ci tengo a sottolinearlo, e lo faccio sempre durante le lezioni o le conferenze, nonostante l’epoca trattata. Se l’abilità discende dalla pratica quotidiana, si può affermare che il gusto è conseguente alla formazione culturale? La cultura stimola le passioni, e insieme alimentano e affinano il gusto. Lo rendono consapevole, alieno da omologazioni, cioè personale. Per questo ho raccolto anche immagini, figurini e riviste d’epoca ove compaiono borse, cominciando ad interessarmi alle tecniche che potevo apprendere e a mia volta riprodurre, come la tecnica delle borsette con perline a telaio, quella delle varie tipologie di ricamo e, non ultime, quelle dell’uncinetto e della maglia in senso storico. Con queste ultime due a esempio è possibile tutt’oggi realizzare oggetti pregiati ed elaborati, ripresi studiando le riviste del XIX secolo, ove compaiono sistemi raffinati per produrre forme e decori che possono essere attualizzati nei materiali e nei colori. La maglia potrebbe essere l’argomento di una prossima conversazione… L’altra mia passione è diventata la maglia, che preferisco proprio definire all’italiana, e non con vocaboli o verbi stranieri, per l’orgoglio di ricordare che noi siamo grandi manifattori, inventori, gente che ama stravolgere i concetti di base per fare oggetti inconsueti, ricchi di storia, di nuance provenienti dalla nostra poliedrica formazione come popolo. Per questa ragione con la maglia realizzo vestiti, cappelli, collane, cinture e ovviamente borsette, ma non solo con la maglia, piuttosto stratificando e ottimizzando le tecniche del nostro passato, creandomi attrezzi adatti a ciò che intendo ottenere, e se un attrezzo viene dal medioevo con pazienza lo riproduco e lo uso. In un mio oggetto possono comparire anche cinque tecniche diverse, ad esempio, maglia, uncinetto, tessitura, ricamo, sfumature a pennello. Ecco, per me questa è la passione, lo scopo vero di una collezione che non deve “morire” in un catalogo o in una teca di un museo, tutto nell’intento di raccogliere per ragionare su chi siamo stati e su chi possiamo con volontà e coraggio ancora essere. Vorrei aggiungere che questa corsa insensata al produrre tutto subito e velocemente non è connaturata alla nostra cultura; siamo un popolo che con tenacia e pazienza ha superato tutti gli ostacoli, arrivando ovunque, generando arte dalla passione, infine commercio e benefici economici.

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Sac à main in velluto stampato e pelle marrone firmata Emilio Pucci. Italia, fine anni Sessanta primi anni Settanta XX secolo. Borsetta a scudo, chiusura in ferro, velluto di seta rosso-arancio, soffietto in bizzare, fondo gròs di seta bianco e rosa pesco. Fine XVII secolo, primo decennio XVIII secolo. Sac à ceinture o réticule ricamata su velluto di seta blu notte. 1829-1835 Pochette a doppia busta da passeggio in camoscio marrone chiaro e perline metalliche in tinta. Metà anni Venti XX secolo. Pochette a motivi nipponici in pelle impressa a caldo e colorata. Francia, 1925.


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bikini simboli

UNA lunga storia

Cari amici, dopo questo lungo, freddo e piovoso inverno, dopo aver saltato praticamente la primavera, eccoci finalmente alle porte dell’estate! RealityModa è con voi! Storia, moda in pillole e curiosità. Sotto il sole, tra un bagno e un aperitivo, è sempre tempo di Reality!

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’estate si tinge di colori flou, fantasie floreali, righe da tutte le parti e comodità. Il tutto condito di quel mix di praticità, eleganza e sensualità. Ma prima di tutto questo, qual’é il momento più temuto, quello per cui avete passato ore e ore in palestra, dall’estetista con pozioni miracolose contro la cellulite, la ritenzione e le imperfezioni? Ci siamo: è arrivato il momento della prova bikini! Ora, se per voi il momento è critico voglio raccontarvi la storia di questo emblematico simbolo di femminilità, freschezza e forma fisica. Prima di arrivare al fatidico due pezzi la strada è stata lunga. La povera Maria Carolina di Berry, prima bagnante nella storia della moda mare, nel 1824 era fornita di cappello, ombrello, guanti, abito di panno pesante, calze di lana e scarpe di vernice. Si preoccupava dei chili di troppo o del rischio di collassare soffocata da quella mise eccessiva? Aveva già azzardato molto ad immergersi nell’acqua, in quanto donna, almeno doveva salvare le forme! Siccome l’abbronzatura era bandita, le successive mode mare furono le tuniche a righe in lana pesante corredate di cuffiette per capelli, sottovesti e sottogonne, calze e scarpe gommate, per poi passare agli abitini aderenti in maglia su pantaloni attillati proposti dal sarto francese Paul

Poiret nei primi anni del ‘900. La svolta si ha nel 1920, quando la madrina della moda Coco Chanel, propone una donna dalla pelle ambrata che indossa short e maglie scollate. Il passo alla schiena scoperta arriva dieci anni dopo. Le stelle dello spettacolo intanto sono le testimonial del cambio look estivo: negli U.s.a. Marilyn Monroe e Rita Hayworth, si dividono tra Jantzen, Catalina e Cole. Ma nessuno è preparato a quello che succederà. Il 10 luglio 1946, dopo la devastante fine della II Guerra Mondiale. L’ingegnere Louis Reard cercherà di sollevare il morale degli europei, brevettando ufficialmente il bikini. Lo scandalo è tale da paragonare l’impatto a quello della bomba atomica! L’Italia cerca di ostacolare questa audacia femminile multando costumi troppo succinti, secondo il decreto che negli anni ‘50 il ministro degli interni Scelba aveva ordinato. Che differenza con i ministri di oggi eh! Comunque la bomba è esplosa, il bikini dilaga nel mondo intero: Lucia Bosè e Sophia Loren, in bikini, conquistano la giuria di Miss Italia, Brigitte Bardot inizia a far furore a St. Tropez e Marilyn Monroe incanta tutti in Niagara. Il Bikini valorizza la forma e la sensualità della donna: il raso o le fibre sintetiche, evidenziano ma non stringono le forme mettendo in risalto le rotondità. Ma la soglia alla volgarità è sottile e col tempo il bikini diventa sempre più micro tanto da non lasciare più spazio all’immaginazione. Oggi per fortuna le cose si sono un po’ ridimensionate, il costume intero è tornato in auge, magari con seducenti spacchi sulla pancia e sulla schiena, e anche il due pezzi sembra morbido e più composto dando alla donna la giusta eleganza, che mai, dico mai, deve diventare volgare.

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Eleonora Garufi

Annette Kellermann nuotatrice e attrice che indossò il primo costume intero alla fine dell’Ottocento Micheline Bernardini, la ballerina spogliarellista del Casino de Paris, che presentò in pubblico il primo bikini inventato dall’ingegnere Louis Reard Sophia Loren con il bikini degli anni Cinquanta

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amici dell’uomo

europeo dai baffi alla coda

Federica Farini

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li Egizi lo veneravano, ma sono stati i Fenici a permettere agli antenati del gatto Europeo di giungere dal Nord Africa in Europa, a bordo delle navi mercantili: la sua dote fortunata era quella di essere uno straordinario cacciatore di topi, tanto da non mancare mai sulle navi che partivano per mete lontane. Meno fortunato nel Medioevo, destinato al rogo e alle torture insieme alle streghe, considerato l’incarnazione del diavolo, il gatto Europeo ha saputo sopravvivere fino ai giorni nostri con forza e dignità, diventando la razza più diffusa. Fino al 1982 due erano le razze a pelo corto conosciute come “Europeo”: una dif-

fusa in Gran Bretagna e nel continente - nata dagli incroci di gatti comuni con Persiani a pelo lungo, da qui denominata poi razza British Shorthair - e una scandinava, selezionata solo da gatti comuni. Il gatto Europeo deriva quindi dal gatto domestico, il soriano, e la maggioranza degli esemplari è in circolazione in Italia e in Europa: da qui il nome scelto per la razza, sorta ufficialmente a partire dal 1° gennaio 1983. L’Europeo colora le strade delle nostre città così come i borghi di campagna, quelli di montagna e le passeggiate dei paesini marittimi: è il beniamino delle “gattare”, le premurose signore si occupano di curare i mici randagi. L’estrema capacità di adattamento a climi e luoghi lo rende un gatto resistente e di facile gestione: vive bene in appartamento, in giardino e nei grandi spazi. Adora girovagare e sopporta senza problemi le basse temperature. Indipendente, curioso, genuino, affettuoso, intelligente, giocherellone e perfetto padrone di casa. Come lo preferite? Sbizzarritevi nella scelta del colore del mantello del suo pelo: monocolore bianco o nero, a squama di tartaruga, smoke (dal sottopelo bianco-argento e dal pelo nero, blu, rosso o crema), tigrato o tabby, silver (più raro, con mantello argentato e macchie in contrasto), con bianco (bicolore, van, arlecchino), oppure rosso chiaro (arancione, considerato il più comune). Una curiosità: la tigratura, anche impercettibile, è presente in tutti gli esemplari, salvo casi rarissimi, ed è più facile che sia assente negli soggetti prevalentemente bianchi. Le variazioni di tigratura sono distintive di ciascun soggetto similmente alle impronte digitali per gli esseri umani. Il mantello è corto, fitto e ben aderente al corpo; gli occhi, di forma ovale

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molto tondeggiante, sono di colore verde, arancio o giallo. Il temperamento del gatto Europeo è ereditario: è utile informarsi, se possibile, sul carattere dei genitori prima di acquistare o adottare un cucciolo di questa razza. Per la sua alimentazione è consigliato preferire sempre il cibo secco, completo e sano. Il gatto Europeo richiede cure poco impegnative: sarà sufficiente spazzolarlo una volta a settimana con un pettine medio, intensificando l’operazione durante il periodo della muta, quando è suggerito usare una spazzola o un guanto a denti di gomma per rimuovere il pelo morto. Il gatto Europeo si riproduce con grande frequenza: 3 volte l’anno, con 4-7 cuccioli per parto, da svezzare attorno ai 30 giorni. L’arte ha riconosciuto il valore del gatto Europeo immortalandolo in ogni epoca in dipinti dal sapore eterno. Nell’impressionismo di Renoir compare spesso tra le braccia o accanto a donne e bambini, così come anche nell’opera Olympia, firmata Manet - dove un gatto nero è sdraiato ai piedi di una figura femminile nuda - e ne la La Femme au Chat, che raffigura la moglie di Manet accompagnata dal gatto di famiglia Zizi. L’enigmatica Frida Kahlo ha scelto di auto ritrarsi con il suo adorato micio nero e Goya ci regala invece un dipinto con Don Manuel Osorio De Zuniga, figlio del Conte di Altamira, dove alle spalle del protagonista compaiono tre gatti con occhi spalancati, pronti ad avventarsi sulla gazza che è rappresentata insieme a lui. Perfino il cinema e la letteratura hanno reso il gatto Europeo un’icona intramontabile: nella celebre fiaba de Il gatto con gli stivali e nei cartoni firmati Walt Disney, grazie al simpaticissimo gatto Silvestro e all’affascinante Romeo degli Aristogatti.


Pierre-Auguste Renoir Femme au chat 1875 ca Francisco de Goya Don Manuel Osorio De Zuniga 1787 ca Frida Kahlo Autoritratto 1940 Il gatto con gli stivali Gli aristogatti

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grafologia

tornasse Torno sabato

nostalgie estive

Maria Laura Ferrari

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niziata l’estate tra afa e zanzare la sera si fa fatica ad andare a letto e, non so voi, io, irrequieta, mi ritrovo ad accendere la tv e a fare zapping tra un canale e l’altro. Ma, come si sa, durante la bella stagione, la programmazione è ridotta all’osso ed è facile imbattersi, specie a tarda notte, in quei programmi che ci ripropongono, in carrellata, sketch comici, i più disparati, mischiando epoche e stili che, così rivisti in sequenza veloce, inducono confronti e riflessioni. In una di queste “scorribande notturne” mi è capitato di rivedere alcuni spezzoni del fortunato programma comico Torno sabato, andato in onda sulla Rai per tre stagioni, dal 2000 al 2003. Particolare nostalgia ha suscitato in me ritrovare il fantastico duetto tra Giorgio Panariello e Andrea Buscemi. Il primo, ricorderete, interpretava il Pierre della discoteca Kitikaka di Orbetello, che interrompeva continuamente il secondo, nei panni di un paludato attore intento a recitare auliche poesie, con il famigerato tormentone: «Si vede il marsupio?».

L’effetto, come dimenticarlo, era dirompente: un mix, sapientemente dosato, di pause, gesti, toni e di tutti gli ingredienti necessari a caricare progressivamente la molla del confronto tra le due stridenti personalità dei personaggi, sino all’inevitabile deflagrazione finale. Demenziale

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e fanciullesca comicità, frutto però di talento e consumato mestiere. Ma vediamo cosa ci può svelare la grafologia sulle doti e la personalità di questi due splendidi attori toscani: Giorgio Panariello esordisce sul piccolo schermo insieme a Carlo Conti nel 1994 con la trasmissione Vernice


fresca e continua a mietere successi, l’anno successivo, con Aria fresca sino ad approdare in Rai nel 1996. Qui raggiunge una grandissima notorietà proprio grazie alle tre stagioni di Torno sabato (2000-2003). Si dedica anche al cinema: fa parte della scuderia dei nuovi comici italiani degli anni Novanta, cimentandosi anche nella regia. Ma osserviamo la sua scrittura: grande, rapida, ritmata, vivace e caratterizzata da forme arrotondate, gonfie, inanellate e da una traccia d’inchiostro marcata, dal tratto caldo e vellutato, non privo di rilievo, che si colloca nel foglio in una porzione di spazio limitata ma pienamente occupata. Spicca un gesto caratteristico a cuore, formato dalla combinazione della maiuscola del nome che si attacca direttamente al cognome e che troviamo anche nel testo alla fine della parola “Ciao”. Nella firma notiamo anche un ampio paraffo che, prima oblitera il cognome, e poi si slancia in avanti con movimento risoluto. Siamo di fronte a una personalità esuberante, sorretta da una buona dose di narcisismo e desiderio di essere al centro dell’attenzione. Sono indubbie le capacità comunicative e l’amabilità del carattere che porta a mettere al primo posto i sentimenti e il rapporto con l’altro. Va però rilevato anche un altro aspetto che, in parte, controbilancia quanto appena detto: il tratto netto, la gestione dello spazio “a isola” e una certa ristrettezza degli intervalli tra lettere ci parla di riservatezza, di protezione della sua sfera personale. L’attività è intensa e vissuta con entusiasmo. Il bagaglio energetico è notevole e ben amministrato, le capacità realizzative alte. L’artista può contare su di un tipo di intelligenza vivace che sa alternare sia l’analisi che la sintesi ma, soprattutto, è dotato di grande fantasia. La comunicativa e la capacità d’ascolto lo caratterizzano ma non manca, d’altro lato, lo spirito critico e una pungente aggressività verbale. Andrea Buscemi, nasce come attore di teatro, ha recitato con Albertazzi, Gassman, Proietti e la sua attività prevalente è quella di regista teatrale (nel 2005 ha fondato la compagnia di prosa Peccioli teatro) ma si dedica anche al cinema e alla televisione, sia come attore sia come presentatore. Ma vediamo la sua scrittura: Salta subito agli occhi in questa grafia la velocità di esecuzione, molto

rapida, dalla quale dipendono alcune incompiutezze, imprecisioni, ritocchi nelle forme che, in alcuni casi, si destrutturano fino a diventare un filo. Questo aspetto ci rivela un’iperattività della persona che ha bisogno di scaricare nell’azione energie e tensioni. La “t” con barra lanciata a destra, denota grande slancio e capacità realizzatrice. Le forme che si allargano distendendosi sul rigo evidenziano un’estroversione rispetto alle altre persone e al mondo in generale e la capacità di insediarsi nella vita ricercando una giusta dose di sicurezza e comfort. Gli ovali aperti a sinistra rappresentano simbolicamente un orecchio aperto all’ascolto. La firma, omogenea rispetto al testo, solo leggermente più grande, sottolinea l’autenticità della persona che si mostra quale è, senza camuffamenti. Alcuni piccoli gesti rivelano altre caratteristiche: i nodi, il desiderio di attirare l’attenzione, le finali acuminate, spirito critico e talvolta aggressività verbale, gesti a cuneo e virgole distanti dalle parole, rari momenti di aggressività e autoaggressività, le “p” sopraelevate, orgoglio. Per quanto riguarda la sfera intellettuale, l’attore pisano può contare su notevoli doti. La grafia, infatti, originale, ricombinata, semplificata,

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ritmata indica creatività, tendenza all’innovazione, essenzialità; i collegamenti agili, aerei, capacità di trovare soluzioni originali, agilità mentale; alcuni gesti in pince (a “v”), il fatto che il soggetto riesce a cogliere ispirazione anche dalle profondità del proprio inconscio. La tenuta del rigo saltellante svela un non comune intuito e vivacità intellettuale; la buona gestione dello spazio, l’interlinea regolare, gli ampi spazi tra parole, ordine mentale, equilibrio; il trattino, usato al posto del punto, e accenni d’impostazione tipografica, un certo perfezionismo. Maria Laura Ferrari Grafologo giudiziario del Tribunale di Lucca Scuola Ce. S. Graf. Centro Studi Grafologici www.marialauraferrari.com maria.laura.ferrari@tiscali.it

Foto Fondazione Peccioliper


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alimentazione

l’acqua giusta

per ogni occasione Paola Baggiani

L’

acqua è coinvolta in tutte le reazioni che avvengono nel corpo umano: svolge principalmente due funzioni , una è quella di trasportare le sostanze nutritive ai tessuti e agli organi del corpo e l’altra è quella di eliminare le tossine che si accumulano nell’organismo; non esiste processo metabolico che non richieda la presenza di acqua. L’interesse attuale anche un po’ “modaiolo” per questo prodotto è tale che addirittura nei migliori ristoranti italiani e internazionali esiste una carta delle acque minerali; esistono corsi per diventare idrosommelier e in alcuni grandi città del mondo compresa Roma si trovano acquastore dove sono vendute le acque più strane divise per proprietà salutistiche, provenienza, e contenuto dei minerali. L’acqua che beviamo deve essere di buona qualità, igienicamente sicura; l’acqua del rubinetto può aver subito trattamenti come filtrazione e clorazione prima di essere distribuita. L’acqua minerale rispetto a quella potabile si distingue per la purezza originaria, per la sua conservazione, per il tenore in minerali e oligoelementi. Deve essere imbottigliata

così come sgorga dalla sorgente o con l’aggiunta di anidride carbonica; sono quindi vietati altri trattamenti. La definizione ”microbiologicamente pura” significa priva di sostanze dannose per la salute umana; importante è che la quantità dei nitrati sia minima (non superiore a 45mg.) mentre i nitriti dovrebbero essere del tutto assenti, questi ultimi essendo tossici e cancerogeni. L’acqua minerale, grazie alle sue qualità peculiari, alla sua purezza originaria e alla composizione costante nel tempo è una vera e propria bevanda. In Italia esistono oltre duecento acque minerali riconosciute dal Ministero della Salute, un patrimonio di grande importanza e che rende unico il nostro paese. Ognuno di queste acque possiede caratteristiche specifiche che dipendono dalle origini geologiche del territorio, dalla tipologia di rocce che l’acqua attraversa lungo il suo percorso prima di giungere in superficie e che le conferiscono una determinata composizione in minerali. Le acque minerali vengono distinte in Italia in quattro categorie in base alla quantità totale dei sali minerali (indicata in etichetta come residuo fisso a 180°). Il

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residuo fisso, è tutto quello che rimane in peso sotto forma di polvere minerale dopo l’evaporazione di un litro d’acqua, ed è un importante parametro per la scelta dell’acqua stessa. Acque minimamente mineralizzate: hanno un contenuto di Sali minerali inferiore a 50 mg. Per litro, sono quelle meno rappresentate, e con il minor contenuto assoluto di Sali, indicate nella prevenzione della calcolosi renale, e nell’alimentazione dei neonati. Acque oligominerali: sono le più rappresentate tra quelle presenti in commercio, circa il 55%. Hanno un contenuto salino non superiore a 500 mg./l. Favoriscono la diuresi, e sono indicate nell’ipertensione e nelle malattie cardiache avendo un basso contenuto di sodio. Acque minerali: rappresentano il 25% delle acque in commercio con sali tra 500 e 1500mg./l. Questa classificazione comprende in realtà moltissime acque con diverse funzioni: quelle con residuo fisso fino a 1000mg./l. hanno proprietà simili alle acque oligominerali, sono utili nell’alimentazione degli sportivi e quando occorre reintegrare i liquidi e i minerali come nella stagio-


ne estiva. Al contrario quelle con soglia superiore a questi valori possono portare a un eccesso di sodio nella dieta e alla formazione di calcolosi renale nei soggetti predisposti. Acque ricche di sali minerali: con sali oltre i 1500 mg./l. Sono acque con effetto medicamentoso, usate di solito a scopo terapeutico; da assumere sotto controllo medico, perché per l’elevata presenza di sodio, solfati, magnesio, potassio e altri Sali, potrebbero favorire patologie come la calcolosi, l’ipertensione o avere una marcata azione lassativa. Superano il valore massimale ammissibile di residuo fisso previsto dalla legge per la comune acqua potabile, quindi sono sconsigliate per un consumo quotidiano. Il pH delle acque minerali è un importante parametro che ci dà una stima della loro acidità; nelle acque naturali ha di solito un valore compreso tra 6,5 e 8,0. Altri parametri visibili sull’etichetta delle acque minerali sono la durezza, che si esprime in gradi francesi (“F”), ci dà una stima della presenza di calcio e magnesio; più questo valore è alto più l’acqua è considerata calcarea. La conducibilità elettrica, riportata sull’etichetta con il termine di “conducibilità elettrica specifica a 20°”, è un valore che aumenta tanto maggiore è il contenuto delle sostanze minerali disciolte. Come scegliere l’acqua giusta? Spesso l’offerta veramente ampia delle acque minerali e una martellante pubblicità che esalta una singola caratteristica dell’acqua reclamizzata, rischiano di fuorviare il consumatore. Tutte le acque sono salutari, ma possono essere più o meno adatte al nostro stile di vita e alle nostre esigenze. Le etichette poste sulla bottiglia rappresentano un valido aiuto nella scelta dell’acqua minerale più idonea identificando tutti gli elementi e le caratteristiche di essa. Il consumo di un tipo di acqua minerale piuttosto di un’altra può contribuire a mantenere lo stato di salute nelle varie fasi della vita. In gravidanza e nell’allattamento sono consigliate acque oligominerali e medio minerali-calciche; può essere utile alternare anche con l’assunzione di acqua ferrosa, inoltre il contenuto dei nitrati deve essere basso o nullo per i rischi sul feto. Nello sport sono utili acque mediominerali con un buon contenuto di calcio, sodio, ferro e con pH superiore a 7 perché aiuta ad assorbire l’acido lattico che si accumula con lo sforzo fisico. Nelle diete ipocaloriche per la perdita di peso sono necessarie acque oligominerali

per depurare l’organismo favorendo l’eliminazione di tossine. Nella calcolosi renale, nelle iperuricemia e nella gotta, acque oligominerali o minimamente mineralizzate per stimolare la diuresi e favorire l’escrezione urinaria dei calcoli e dell’acido urico. Come pure nell’ipertensione, sono utili le acque oligominerali a basso contenuto di sodio, associate ad una dieta iposodica. Nell’osteoporosi è necessaria un acqua ricca di calcio, con un contenuto superiore a 150mg./l.; tali acque garantiscono buona parte del fabbisogno giornaliero di questo minerale. Importante che venga riportata sull’etichetta la scritta “calcio biodisponibile” perché esso sia facilmente assimilabile. Le acque minerali calciche sono indicate anche per chi è intollerante al latte. Le acque minerali magnesiche con un tenore di magnesio superiore a 50mg./l hanno azione lassativa, migliorando la stipsi, ma sono utili anche nella prevenzione dell’arteriosclerosi perché favoriscono la dilatazione arteriosa. Le acque ferruginose, cioé con ferro superiore a 1mg./l., sono indicate nelle anemie sideropeniche e sono utili anche nell’alimentazione del vegetariano e in tutti i soggetti con elevato fabbisogno di ferro come gli sportivi, gli adolescenti, le donne in gravidanza. Nelle gastriti e nelle malattie epatiche sono indicate acque di tipo bicarbonato - calciche. Ma quanto bere? Vale la nota regola del litro e mezzo-due al giorno, con un incremento nella stagione estiva e facendo particolare attenzione a i bambini e agli anziani che possono andare più facilmente incontro a disidratazione. In questi ultimi il senso della sete arriva in ritardo spesso quando le funzioni sono già compromesse. I rischi della disidratazione vanno da un generale senso di stanchezza e affaticamento, fino a disturbi gravi come emicrania, calo della pressione arteriosa fino alla perdita di conoscenza. L’acqua ha una grande importanza anche per contrastare l’invecchiamento sia a livello cutaneo, che degli organi interni. Il corpo umano è composto da un’alta percentuale di acqua che al momento della nascita costituisce l’80% e nell’anziano scende al 60%: l’invecchiamento è una lenta disidratazione dell’organismo. L’acqua può diventare, se abbinata a una corretta alimentazione e stile di vita anche un valido alleato per mantenersi giovani! www.baggianinutrizione.it

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GUSTO

zuccotto

tradizione ingegno gusto

quando il dolce elogia la fantasia Federica Farini

Bernardo Buontalenti inventore dello zuccotto

S

e i vostri occhi e il vostro palato esigono un tocco di immaginazione mista a dolcezza, ricordatevi di servire loro un semifreddo: acqua e zucchero che devono trovare un giusto equilibrio per regolare lo stato di congelamento del risultato finale, proprio come una pozione magica. L’invenzione dello zuccotto è attribuita all’architetto Bernando Buontalenti - scultore, chimico e artista incaricato della preparazione di feste e banchetti alla corte dei Medici - che nel Rinascimento usò neve e ghiaccio per conservare in buche esposte al nord una crema dolce, da surgelare come all’interno di un freezer. La sua rudimentale “macchina” da gelato si componeva di un recipiente metallico dentro al quale inserire le sostanze da raffreddare, che si amalgamavano grazie a spatole mosse continuamente da una manopola esterna. La forma semisferica dei contenitori in cui veniva servito il dessert ricordava un elmo piccolo e tondo, che serviva a coprire la parte superiore del capo dei fanti (la “zucca”, da qui il nome zuccotto). Il primo zuccotto che la storia ricorda, in occasione di un fastoso ricevimento per un’ambasceria spagnola, si componeva di ricotta zuccherata ma non di pan di Spagna, che giunse da questa terra

in Italia duecento anni dopo: al suo posto biscotti ammorbiditi, oltre agli altri ingredienti come neve, sale (che per legge fisica abbassa la temperatura fino quasi allo zero), bianco d’uovo, latte, succo di limone, zucchero, miele, tuorlo d’uovo e vino. Dopo l’intelligente e gustosa scoperta fu Caterina de’ Medici a trasportare con entusiasmo in Francia questo tipo di semifreddo. Negli anni ‘70 e ‘80 del 1900 divenne moda chiudere i pranzi domenicali con questo tradizionale dessert, arricchito nella sua variante più opulenta. Oggi lo zuccotto ha successo nelle tipologie più semplici, al gelato o alla frutta; un’utile idea potrebbe essere realizzare il proprio zuccotto con gli avanzi disponibili in casa a seconda della stagione, sostituendo la base di Pan di Spagna con cioccolato, pandoro, panettone, torrone o colomba. Et voilà: lo zuccotto si traveste di Natale, Befana e Pasqua. Esistono molte varietà creative del semifreddo in questione: solo bianco, sostituendo i canditi con nocciole tritate, con base di ricotta (diffuso a Roma), mentre in estate lo zuccotto può trasformarsi in una piacevole esperienza refrigerante grazie alla sua versione alle pesche o al limone, quest’ultimo a base di panna fresca, pan di spagna e… limoncello. E perché non vestire questa delizia fredda di tradizione regionale? Ecco la variante al pistacchio di Bronte, dal pan di Spagna dal colore verdone. L’idea più originale al confine con la pop-art? Certamente il modello Barbie… vestita di un sontuoso abito dalla gonna a forma di zuccotto; è sufficiente infilare la bambola al centro del dolce e il gioco è fatto: una dolcissima dama pronta per un valzer!

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ZUCCOTTO TOSCANO CLASSICO 1 dose di pasta genoise 400 gr di ricotta (meglio se di pecora) 200 gr di panna da montare 40-50 gr di zucchero Liquore Alkermes 15 gr di cacao amaro Lasciare sgocciolare la ricotta eliminando il liquido in eccesso, setacciarla in un colino, aggiungere lo zucchero e amalgamare. Montare la panna e aggiungerla al composto

di ricotta e zucchero: separare in due parti uguali la crema. Aggiungere ad una metà la polvere di cacao setacciata, all’altra metà o un pugno di canditi o scaglie di cioccolato fondente. Tagliare la pasta genoise in fette da 1 cm (eliminare in caso le croste esterne). Con le fette di pasta genoise rivestire lo stampo dello zuccotto (diametro suggerito 15 cm) senza ungerlo. Intingere le fette di l’Alkermes, versare la parte di crema scura – spianando la forma – versare la crema bianca e spianare anche quest’ultima. Inzuppare altre fette di pasta genoise (porre la parte bagnata a contatto con la crema) e rivestire

il fondo dello zuccotto. Riporre in freezer a ghiacciare per 3 ore circa. Per servire: rigirarlo sul piatto da portata, è sufficiente battere un paio di colpi e il dolce si staccherà senza problemi. Beviamoci su: per accompagnare lo zuccotto, più che il tradizionale Vin Santo, il cui gusto si perde a causa del freddo della composizione, il suggerimento è di servirlo con lo stesso liquore che è stato scelto per confezionarlo. In questo caso perfetto con… Alkermes!


Anno: 2008 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Dilvo Lotti

Anno: 2008 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Rinaldo Bigi

Anno: 2008 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Enzo Sciavolino

Anno: 2008 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Andrea Gabbriellini

Anno: 2009 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Romano Stefanelli

Anno: 2009 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Giuliano Ghelli

Anno: 2009 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: David Fedi Zeb

Anno: 2009 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Stefano Cecchi

Anno: 2010 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Stefano Tonelli


Anno: 2010 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Luca Alinari

Anno: 2010 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Giuseppe Gavazzi

Anno: 2010 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Antonio Possenti

1998-2013 15 anni insieme all’arte

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on grande soddisfazione Reality magazine compie il suo quindicesimo anno: occasione perfetta per ricordare e dare di nuovo spazio a quegli artisti che, dal 2008 a oggi, hanno realizzato le opere di copertina. I ventidue pittori, scultori e operatori artistici che hanno scandito le stagioni della testata e dei suoi lettori saranno, infatti, presenti dal 16 al 28 luglio in Reality Cover. Gli artisti di copertina in mostra, presso gli Spazi per l’Arte Fonte Mazzola di Peccioli. L’esposizione si inserisce nella programmazione della Rassegna 11Lune, appuntamento estivo ormai attesissimo in cui cultura e spettacolo convergono e che ci ha gentilmente concesso questa importante occasione. Sulle pareti degli Spazi per l’Arte si ripercorrerà quel viaggio che, numero dopo numero, con il supporto del nostro direttore artistico Nicola Micieli, ha permesso alla rivista di incontrare artisti eccellenti e

organizzare mostre di successo con non poche seganalazioni di preziosi talenti. Ogni ricorrenza coincide sempre con un momento “x”, utile per fare il punto della situazione. Permetteteci di gongolare un po’... Reality è come un buon vino: migliora, invecchiando! La voglia di rischiare e sperimentare ci ha spinti a dare ulteriore spazio alle immagini con una grafica rinnovata, un nuovo logo e un formato più grande, ma anche ad aprirci alle tecnologie di ultima generazione, a cui, ormai, è difficile rinunciare: i nostri lettori possono oggi scaricare l’applicazione gratuita per Iphone e Ipad, oltre a sfogliare la rivista attraverso il nostro sito web per avere il mondo dell’arte a portata di click. Senza dimenticare il nostro territorio, a cui dobbiamo moltissimo, ci preme rimarcare, infine, che le pagine di Reality hanno mirato a poco a poco nuovi orizzonti, dedicandosi alle curiosità dal

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mondo e a nuove rubriche, nell’intento di soddisfare un pubblico sempre più eterogeneo. Il trimestrale Reality magazine, con una mostra ad hoc, dedica il suo quindicesimo compleanno al suo pane quotidiano: i creativi, vecchi e nuovi, vicini e lontani. Ma anche, e soprattutto, agli inserzionisti: associazioni e aziende all’avanguardia nel territorio toscano che, ogni mese, contribuiscono a sostenere la testata, condividendo con noi un importante valore: la ricerca della qualità a dispetto della quantità. Un ringraziamento speciale va anche ai Festival di arte, teatro, musica e spettacolo come La Versiliana, 11 Lune, Bolgheri Melody..., giusto per nominarne alcuni tra i più conosciuti, che collaborano con noi arricchendo le nostre pagine e i nostri servizi e facendo conoscere la nostra testata anche al di fuori di quelli che sono i suoi confini.


Anno: 2011 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Franco Fortunato

Anno: 2011 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Giuliano Vangi, Contemplazione 2011, scultura-ambiente, Seul, Corea del Sud

Anno: 2011 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Francesco Musante

Anno: 2011 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Raffaele De Rosa

Anno: 2012 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Romano Masoni

Anno: 2012 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Domenico Difilippo

Anno: 2012 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Michael Zyw

Anno: 2012 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Roberto Giovannelli

Anno: 2013 - Edizioni: Centro Toscano Edizioni srl Copertina dedicata a: Cesare Borsacchi


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Conceria San Lorenzo Spa Via Provinciale Francesca Nord, 191-193 56022 Castelfranco di Sotto (PI) - Italy Tel. +39 0571478985-6 Fax +39 0571489661 www.sanlorenzospa.it - info@sanlorenzospa.it


reality 2008-2013

Reality Cover a cura di Margherita Casazza e Nicola Micieli

Spazi per l’Arte Fonte Mazzola

16 - 28 luglio 2013


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