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Auto Italia s.r.l. Concessionaria Mercedes-Benz

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Editoriale

Il muro Il muro

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atale 2009 alle porte. Anche questo anno sta per chiudere. Lo hanno caratterizzato e segnato molti avvenimenti. Ve lo abbiamo raccontanto segnalandovi alcuni avvenimenti, altri velandoli, altri ancora approfondendoli. Nell’ultimo numero abbiamo presentato ai nostri lettori l’artista Zeb, noto per le sue pungenti scritte sui muri di Livorno, ma pittore di grande qualità, e lo avrete certamente apprezzato dalle immagini delle sue opere. A lui ci riallacciamo per qualche considerazione sul tema del muro, sul quale Zeb si è lungamente espresso, prima di scomparire. Il muro non è luogo e metafora da poco, anche nelle sue versioni poetiche e artistiche. Non solo perché è da poco trascorso l’anniversario della caduta di quello di Berlino, dove ha lungamente separato ideologie, culture, popoli. Il muro ancora oggi conserva il ventaglio dei significati che lo hanno contrassegnato nei secoli: delimitazione, protezione, roccaforte difensiva, baluardo da superare, o da abbattere. Cosa rappresenta un muro per ognuno di noi, e a cosa ci riferiamo pensando ad esso? Quali sono, oggi, in questa società, i nuovi muri? Siamo veramente così moderni, all’avanguardia? Le nostre menti sono davvero avanzate, oppure il progresso e le macchine sono più avanti di noi? Certo è che quando due individui si incontrano, nonché confrontarsi e riconoscersi, sempre più spesso i loro iceberg si scontrano. All’incrocio con lo sconosciuto, chiunque esso sia, scatta subito in noi l’istinto protettivo: ci mettiamo subito sulle difensive, armiamo le nostre cannoniere, non sempre solo psicologiche. Ecco create le barriere, le corazze, i muri, appunto! Il diverso ci intimorisce, ci dà fastidio, ma la non conoscenza non è sinonimo di negatività, o per lo meno, aspettiamo ad etichettarla. Vero è che nella quotidianità si presentano delle incomprensioni; non sempre la comunicazione è facile e non sempre siamo disponibili a calare la maschera, ad aprirci agli altri, a farci conoscere per come siamo. Nella vita sono necessari dei paletti, dei limiti oltre i quali non si deve andare, o meglio: non si dovrebbe andare. Sono regole per certi versi difficili, ma assolutamente da rispettare. Sembrano restrittive, ma ci danno libertà: la libertà di vivere, creare, rompere certi schemi e andare al di là delle apparenze, di ciò che è semplice e scontato e immediato. Il rispetto e il superamento attivo del limite dà a noi e a chi ci circonda l’opportunità di sperimentare sensazioni nuove, profonde, sublimi. Quelli che alcuni percepiscono e vivono come limiti, per altri sono punti di forza, di espressione, di creatività. Forse i muri, nel senso migliore, esistono, e sempre esisteranno per metterci alla prova. C’è chi li costruisce, chi ci nasconde, chi ci scrive la storia e chi li abbatte per crearne di nuovi e diversi.


Reality MAGAZINE D’INFORMAZIONE Editore: Centro Toscano Edizioni srl Sede legale: via Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Redazione: casella postale 36 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico: via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Recapiti: Tel. 0571.360592 - Fax 0571.245651 info@ctedizioni.it www.ctedizioni.it Direttore responsabile: Margherita Casazza - direzione@ctedizioni.it Direttore artistico: Nicola Micieli Redazione - redazione@ctedizioni.it Studio grafico - lab@ctedizioni.it Abbonamenti - abbonamenti@ctedizioni.it

Text: Ada Neri, Andrea Berti, Andrea Cianferoni, Angela Colombini, Angelo Errera, Brunella Brotini, Carla Cavicchini, Carla Sabatini, Carlo Ciappina, Carmelo De Luca, Claudio Guerrini, Claudio Mollo, Cristiana Borchi, Domenico Savini, Elenoire, Enrica Frediani, Fabio Maddaleni, Federica Cipollini, Federico Ghimenti, Francesca Ciampalini, Gaia Simonetti, Gianpaolo Russo, Giuliano Valdes, Giusy Esposto, Gloria Nobile, Graziano Bellini, Gustavo De Feo, Luca Gennai, Luciano Gianfranceschi, Maria Rita Montagnani, Martina Ercoli, Matthew Licht, Nicola Micieli, Paola Ircani Menichini, Paolo Pianigiani, Patrizia Bonistalli, Romano Masoni, Sara Taglialagamba, Serena Marzini, Sergio Matteoni, Stefania Catastini, Tamara Frediani, Valerio Vallini.

Photo: Alena Fialová, Mauro Rossi, Francesco Michienzi, Giorge Tatge, Gualtiero Milito, Luca Federici, Luca Lupi, Marco Bonucci, Mariangela Ciucci, Marika Ricci, Max Margheri, Nicola Vendramina, Paolo Innocenti, Riccardo Lombardi, Simone Borghini, Stefano Boddi.

Stampa: Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (Pi) ISSN 1973-3658 Reality numero 54 - dicembre 2009 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007

© La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: info@ctedizioni. it - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.



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Sommario

Stefano Cecchi La pozzanghera nella voliera 2009

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ARTE & MOSTRE Delirio immaginativo Ritorna il grande Barocco Chagall e il Mediterraneo Miagolando con Franco Gentilini Robert Cahen Le icone di Santa Barbara Artemis Riscoprire la collezione Lensi Renato Santini Abbacinanti trame dell’oscurità Venite Adoremus

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STORIA & TERRITORIO Santa Croce e l’Arno Silenziose strade medievali ‘800. Viaggi nella Toscana Weekend in Val di Cornia Bientina, la città dell’antiquariato 13 maggio 1981

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POESIA & LETTERATURA Eugenio Montale Amourang Droga, cura e fonte di ispirazione?

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MUSICA & SPETTACOLO Festival internazionale del film Sicilia cara L’universo senza centro Teatri della Versilia Maria Virginia Rolfo Corde d’autore Una notte alla Enrico Nascimbeni L’arte dei 5 sensi

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EVENTI & SOCIETÀ Architettura e contemporaneità

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Guglielmo Marconi L’anno sociale di Fidapa Premio Pierazzi ai fratelli Taviani Penna e Pennello Insieme The Heart of Children Bellezza imperiale È festa in tavola Gran Galà Veneziano Cronache mondane Il Polo, che spettacolo! ECONOMIA & AMBIENTE La prima vettura elettrica HACCP Come ottenere le qualifiche Il ruolo dell’informazione Biokimica sfida la crisi CRM, la soluzione orientata In conceria la Green Economy Delta Consulting si tinge di viola

5 SENSI Antica Osteria al Castello Sublimi contrasti palermitani 17a Edizione Amaretto

39a Mostra del Tartufo Lucca Comics & Games 2009 Aspettando il Carnevale Il Ciclamino, il fiore avvelenato Il sangue di Bacco LE VETRINE DI REALITY ArtAround Booking a Book Show Reel Juke Box


Parliamo di...

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Delirio immaginativo Stefano Cecchi

di Nicola Micieli

Come un palombaro isolato nello scafandro-abitacolo, dipinge con ostinazione, divisi in quarti, giganteschi quadri che riunisce dopo e altrove, in spazi adeguati sorprendendosi e sorprendendo. I suoi quadri nascono da molteplici complicazioni: si capisce che gli stimoli operativi sono diretti anche a calpestare le regole del dolce far bene per agguantare la gioia esisteziale dello svolgimento del visibile.

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n uno scritto del 1995 definivo Stefani Cecchi pittore del “delirio immaginativo”, pensando alla sua pittura eccessiva e debordante, fitta di immagini di una incontinenza visiva e una intemperanza espressiva davvero senza limiti. Una pittura, quella del singolare artista pisano, tenuta sempre fuori dalle righe. Nessun rispetto per le convenzioni rappresentative, le belle maniere stilistiche, il buongusto salottiero, anche quello versione radical-chic. Anzi, rilevavo una certa proditoria frequenza di figure estreme, oscene e perfino scurrili. Quali possono rinvenirsi in certe forme di art brut e di graffitismo molto vicine alle performance creative dei folli. Poi una decisa tendenza a occupare l’intera superficie della tela facendovi proliferare una incredibile genia di presenze abnormi: specie di alieni o di mutanti (oggetti o figure) abitatori di allucinanti lande metropolitane, di sordidi angiporti, di stanze claustrofobiche e altri luoghi dell’interdizione e del confino. Creature del sottosuolo, insomma, chiamate a recitare un dramma collettivo dissociato o disconnesso sul piano delle strutture narrative, anche quando rimandano a precisi aspetti problematici della vita quotidiana. La narrazione di Cecchi, in effetti, inclina alla saga apocalittica, alla sarabanda grottesca. Il clima è spesso da tregenda, la scena a dir poco alluvionale, affollata all’inverosimile di relitti umanoidi, rigurgiti del sottosuolo antropologico alla deriva tra liquami, spurghi, rifiuti di un mondo reso inabitabile e minaccioso dalla tecnologica, vera e propria versione meccanizzata e robotizzata dell’inferno dantesco. Cecchi dipinge freneticamente, con un regime torrenziale. Raramente fallisce un’opera, pur se non mancano scorie e fisiologici scompensi nelle sue partiture. Le aritmie del segno e gli spasimi della materia somatizzano il magma delle interiori visioni. Che sono ansiose e discontinue al pari della percezione che l’artista ha della realtà: un territorio interdetto, un desolato teatro della crudeltà in cui Cecchi mette in scena, senza il velo pietoso della metafora, la difformità della vita quotidiana. Pochi artisti sono al suo pari sensibili e pensosi della vicenda collettiva, altrettanto disposti a farsi carico visionario degli accidenti che ne costellano il cammino. Per questa ragione egli coltiva un’arte che assume la patologia del linguaggio come uno specchio dell’insania del mondo.


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Stefano Cecchi Ë nato a Pisa il 4 maggio 1953. Dal ‘67 al ‘68 ha frequentato il liceo artistico di Carrara, dal ‘68 al ‘71 l’istituto d’arte di Pisa. Dal ‘72 al ‘90 ha lavorato presso il segretariato generale della Presidenza della Repubblica, nella tenuta di San Rossore, un periodo durante il quale ha dipinto e sopratutto disegnato con continuit‡, ma in modo appartato e senza mai mostrare le proprie opere. Quindi, dal ‘90 si Ë dedicato completamente alla pittura approfondendo il proprio mondo visionario. Dal ‘92 espone in spazi pubblici e privati le proprie opere, accolte sempre con gande interesse dal pubblico e dalla critica.

NOTIZIA

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Cecchi gioca d’anticipo anche sulle proprie emozioni, dissolvendole nella fiumara visionaria di una pittura che è nel suo insieme una sorta di esorcismo praticato con l’arma affilata dell’ironia e ancor più con quella corrosiva del sarcasmo. Un esorcismo affidato ai ghigni feroci e alle movenze straniate dei suoi personaggi grotteschi, esibito con l’ostentazione oscena di un eros sadomasochistico che non lascia dubbi circa l’intenzione liberatoria, ancor prima che critica, dell’immane rappresentazione. Dice dunque di sé, certamente, nel suo “delirio”, ma il respiro delle sue opere oggi è da pittore parietale, della specie estinta con gli ultimi rappresentanti del muralismo latino-americano, ormai improponibile se non nelle forme a loro modo “selvagge” del graffitismo metropolitano. Difatti Cecchi non si propone come narratore di storia, nella deriva della propria disastrata epopea nella quale riconosciamo lo smarrimento del mondo contemporaneo. Nei suoi “teleri” rifluiscono inquietudini e allarmi esistenziali, sintomi di una passione vissuta sulla propria pelle. Della quale la pellicola disastrata della pittura si fa luogo drammatico ghignante e crudele, amplificazione visionaria, cassa di riso-


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Agitate da frenetica fantasia, si collocano nei quadri di Cecchi, figure, squarci di paesaggio, esseri alieni, figure violentate a far mostra di sé stesse anche dalle parti più intime, animali come sfingi invadenti, aggressori che invadono le sue tele con armi mortali. Cecchi è per la vita e ci invade con il suo caos mostruoso dell’irrazionalità quotidiana che colpisce le nostre menti e che lui manipola grottescamente traducendole in trame pittoriche freneticamente variate. La teatralità che ne scaturisce carica le sue storie di tensioni espressioniste. Mino Trafeli

nanza critica ed emotiva, alla fine etica, per la tensione morale sottesa allo sguardo di uno scettico che non rinuncia a credere nella vita e nei suoi valori. Nel suo quotidiano lavoro Cecchi usa riempire pile quaderni di disegni, o meglio schizzi buttati giù in modo quasi automatico e a getto continuo. È un vero e proprio diario di bordo, una quotidiana navigazione mentale fissata con fulmineità stenografica sulla carta. A ogni appunto corrisponde una situazione esistenziale, una soluzione visionaria passibile di approfondimento e che non sempre, ovviamente, si traduce nell’ampiezza e nella determinazione formale della pittura. Cecchi coprirebbe di pittura la pelle del mondo, e mostra con insistenza e apprensione sintomatiche le sue pagine germinali, quasi a suggerire che tra quelle sparse annotazioni, anzi nella continuità del loro fluire consiste il senso vero del proprio lavoro. L’opera alla quale non potrà mai porre mano è il mosaico di situazioni enucleate nei disegni: le sue intuizioni ed elaborazione mentali della vita. Non potrà mai dipingere il film della vita, se non per approssimative stazioni, semplici tappe o soluzioni di continuità di un percorso il cui disegno complessivo è fatalmente destinato a restare irrealizzato.

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La pozzanghera nella voliera, 2009 L’amore è come il fuoco, senza alimento si spegne, 2009 La bambina col vestito rosso, 2009 Ora d’aria, 2009 Tarzan, Topolino e Giorgio Ventura, 2008 Odio implacabile, 2006 Vespe, calabrone e coccinelle, 2007


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Mostre

Barocco

Ritorna il grande partenopeo

TEXT Carmelo De Luca

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l fasto di una grande città, capitale di un regno prolifico di maestri eccelsi, raccontato attraverso pitture, sculture, manufatti, architettura, gioielli risalenti al periodo aureo dell’arte napoletana: il Barocco. Precursore di quel naturalismo e realismo, tanto caro a molte correnti degli ultimi due secoli, Caravaggio rappresenta per Napoli l’inizio di una florida produzione del-

La città di Napoli ospita fino all’11 aprile 2010 una rassegna di opere da Caravaggio a Vanvitelli la quale, ancora oggi, l’occhio umano può deliziarsi girovagando per musei, dimore signorili, chiese, arredi urbani. La permanenza per ben tre anni in città del maestro influenzano profondamente l’operato di Battistello, De Ribera, Lo Spagnoletto, Falcone, Giordano, Preti, Solimena sino ad arrivare ai grandi progettisti dell’architettura urbana settecentesca corrispondenti ai nomi di Vanvitelli, Fuga, Fontana. Per l’appunto, la bellissima mostra intende valorizzare le connotazioni peculiari assunte nel regno partenopeo dalla innovativa corrente artistica rappresentante il cosiddetto “stile napoletano” nella vecchia Eur o -

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pa dominata da illustri stirpi reali. In verità il barocco della capitale asburgica-borbonica riassume le sue contraddizioni: il dualismo simbiotico tra leggenda e verità, realtà e immaginazione, affermazione soggettiva e comparsa, festa e tragedia, insomma una vera pagina di vissuto quotidiano tra le viuzze dei quartieri spagnoli o dentro gli aristocratici palazzi dei quartieri residenziali. Questo accattivante aspetto della cultura barocca è raccontato attraverso sei esposizioni coinvolgenti Certosa e Museo di San Martino per le immagini sulla Città e i ritratti; il Museo della Ceramica Duca di Martina per le arti decorative; il Museo Pignatelli per la natura morta; Palazzo Reale per l’architettura, urbanistica, cartografia, decorazione, arredi, il Presepio; Capodimonte per la pittura-capolavoro con i suoi maggiori interpreti; Castel San’Elmo per le opere d’arte restaurate. A tutti gli ammiratori di Napoli buona visione. Per informazioni: www.ritornoalbarocco.it 1. Artemisia Gentileschi, Betsabea al Bagno, Columbus Museum of Art 2. Cosimo Fanzago, Geremia, Napoli, Chiesa del Gesù Nuovo (foto L. Pedicini) 3. Paolo Porpora, Rosa Centifolia, Conchiglie, Tartarughe e Farfalle in un Paesaggio, collezione privata 4. Giacomo Gentili, Alzata con Diana Cacciatrice, Loreto Aprutino, Museo Acerbo (particolare)

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Mostre

Cha-

e il Mediterraneo

“Ringrazio il destino per avermi condotto sulle vie del Mediterraneo...” TEXT Margherita Casazza

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elle sale dil Palazzo Blu sono esposte 150 opere, tra dipinti, sculture, ceramiche e litografie create dall’artista russo a partire dal 1926, quando per la prima volta incontrò la luce, i colori e il paesaggio del Mediterraneo, dei paesi che vi si affacciano, dalla Francia alla Grecia alla Terra Santa.

Il Palazzo Blu di Pisa ospita le opere di Chagall fino al 17 gennaio 2010

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Opere provenienti dalle più importanti istituzioni pubbliche francesi, come il Musée National Marc Chagall di Nizza, il Centro Pompidou di Parigi, il Musée di Le Chateau Cambrésis e da collezioni private. Opere nate dopo l’incontro dell’artista con la luce, il colore e il paesaggio mediterraneo, elementi che contribuirono a modificare l’arte di Chagall in una pittura più ariosa, più sensuale, in cui la magia dei colori diventa predominante trasformando

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le sue tele e le sue ceramiche in spazi luminosi dove i colori diventano autonomi, portando con sé le figure che popolano lo spazio. La tavolozza di Chagall riflette il fascino che esercitano sulla sua anima russa quel colore azzurro e quella luce. Un ambiente, un’architettura, gusti e sapori di un paesaggio mediterraneo in cui l’artista ritrova la memoria di un diverso modo di essere e di vivere la felicità. Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni, che analizzano i grandi temi con cui Chagall affrontò la sua nuova vita artistica: una dedicata alla Costa Azzurra, un’altra alla Grecia in cui si presentano alcune gouache che riflettono le emozioni provate di fronte alla scoperta della civiltà classica del Mediterraneo; un’altra ancora dedicata alla Bibbia con ac-

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2 quarelli preparatori e grandi dipinti raffiguranti la crocifissione di Cristo con abiti ebraici; chiudendo infine con una sezione dedicata alla scultura, alle ceramiche e ai collage; questi ultimi realizzati con svariati materiali: pizzo, stoffe e parti di dipinti e disegni, sbizzarrendosi in una sorta di creatività senza limiti. 1. Abramo e i tre angeli, 1940-1950 2. La sposa dai due volti, 1927 3. Il circo rosso, 1956-1960 4. Coppia sopra Saint Paul, 1970-1971

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Arte

miagolando con

Franco Gentilini TEXT Nicola Micieli

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esare Zavattini, sceneggiatore di “Ladri di biciclette”, diceva di diventare amabile davanti alla pittura di Franco Gentilini, di miagolare “come un certo suo gatto

Se tutti dipingessero come Franco Gentilini, sarebbe soffocante rovinoso oltraggioso. Invece c’è solo Gentilini che dipinge come Gentilini e allora sono amabile civile comprensivo e miagolo come un certo suo gatto davanti a una chiesa. Cesare Zavattini 2

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davanti a una chiesa”. Biciclette e gatti paffuti e sornioni, gatti di strada e gatti domestici, Gentilini ne ha dipinti a profusione. Assieme a carretti di ambulanti, automobili e altri marchingegni permutati in stralunate presenze; e un inventario di oggetti spesso esibiti su un tavolo apparecchiato, con annesse, talvolta, figure prosciugate di banchettanti, sulla strada, in uno slargo o nel bel mezzo di una celebre piazza del Museo Italia. Alberto Moravia, nel 1952, coglieva un punto centrale del linguaggio e della poetica di Gentilini: l’attrito vitalizzante, la “contaminazione” tra lingua “alta” e lingua “bassa” o volgare, in chiave stilistica e poetica. Del resto, del proprio mondo di visione Gentilini parlava come di una balzacchiana commedia umana, concepita come “antitesi di Grandezza e di Miseria”. Il tragico e il comico si intrecciano nella sua narrazione, specie durante la grande stagione delle scene romane tra anni Quaranta e Cinquanta (e il precedente periodo espressionista delle spiagge affollate). Nelle quali i celebri luoghi della città monumentale – latina e papalina – apparivano teatro della quotidiana fatica e della variatissima manifestazione del vivere. Un teatro sulla cui ribalta sciamavano uomini e donne appartenenti ugualmente alla realtà e alla finzione. Sono figure a un tempo della vita e dell’arte, abitatrici di spazi urbani come sospesi nel tempo per quanto segnati dai “graffiti” del vivere. Quando la materia pittorica si sedimenterà in una sorta di superficie sabbiata di suggestione muraria, quelle figure troveranno una collocazione squisitamente formale tra le architet-

ture di quella città immaginaria che Dino Buzzati battezzerà “Gentilinia”, e saranno fissate in cifre stilistiche di grande eleganza e semplicità, rappresentando Banchetti, Sirene, Cattedrali, Nudi femminili, Nature morte composte come architetture di forme definite da agili impalcati lineari. Nel suo lungo percorso Gentilini manterrà sempre la duplicità dello sguardo che coglie e risolve nell’unità della visione l’alto e il basso, il sacro e il profano, la sensibile bellezza della vita e delle forme artistiche. Non a caso lo storico Enzo Carli, presentando una sua mostra pisana, evoca il lessico architettonico di Buscheto e di Rainaldo, gli architetti dei “miracoli” pisani, per sottolineare la vocazione del maestro faentino a erigere figure come cattedrali: “I seni dei suoi non sempre castissimi nudi femminili hanno l’emisferica regolarità e nitidezza delle cupole che si levano all’incrocio dei transetti o sopra le cilindriche moli dei battisteri.” 1. Il Banchetto, 1953 2. L’Esquilino, 1950 3. Daniela, 1959 4. Una sera a Chartres, 1979


3 Di Franco Gentilini (1909-1981) cade quest’anno il centenario della nascita. Una grande antologica al Museo della Permanente di Milano, curata da Maria Teresa Benedetti (catalogo Skira con testi di Strinati, Pontiggia e Turco Liveri) ne ripercorre la vicenda scandita per tappe significative lungo una buona parte del secolo scorso: dagli esordi faentini nell’ambito di un chiaro tonalismo alla duplice valenza, espressionista e novecentista, della Scuola Romana, e poi la fase espressionista ironica e grottesca defluita nella visioni della Roma monumentale contaminata dalla vita popolare. Fino alla ricerca materica delle superfici sabbiate in cui la sintesi del linguaggio restituisce forme e figure delle antiche pitture parietali e dei mosaici bizantini in sincretismo con elementi formali e citazioni dalle avanguardie storiche.

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Mostre

tempo

Robert Cahen Il tempo fuori dal TEXT Angela Colombini

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ello splendido contesto del Complesso Monumentale di San Micheletto a Lucca, sede della Fondazione Ragghianti dal 1981, saranno esposte, fino al 10 gennaio, video-installazioni dell’artista francese Robert Cahen, pioniere ed esponente di spicco della videoarte europea e internazionale.

Lucca presenta “Passaggi” la rassegna più completa di videoinstallazioni dell’artista francese allestita finora in Europa Negli studi televisivi della tv pubblica francese Cahen già dal 1971 inizia a sperimentare le strumentazioni elettroniche ricercando interconnessioni e trasformazioni tra segni e suoni, tra i principi dell’immagine e quelli della musica. Un esempio di questo lavoro è la prima opera esposta nello stretto corridoio che ci introduce alla mostra dal titolo Horizontales couleurs. Righe, griglie e trame elettroniche alle quali l’autore accosta forme e colori producendo una sorta di illusione ottica ed effetti di rilievo. Si ha la sensazione di sprofondare e risalire in superficie in un mare virtuale che ci rapisce e ci lascia andare. Nella prima sala

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uno schermo circolare ruotante ci mostra soffuse immagini di una strada in Cina. È Attention ça tourne! dove si fondono e confondono colori e persone in un ipnotico viaggio attraverso l’immaginazione. L’unico suono è quello del motore che fa girare lo schermo, lasciato come compagno nella visione del viaggio che si ripete in loop. Una doppia proiezione di immagini, Paysages d’hiver, ci porta in Antartico. Il profondo blu del cielo e del mare contrasta con il bianco lucente del ghiaccio in un’atmosfera ovattata improvvisamente interrotta da alcune presenze che cromaticamente spezzano il paesaggio. Nella seconda sala ammiriamo Suaire: una stoffa bianca appesa al soffitto mostra il volto di una donna nascosta da un velo. Il pavimento è coperto da una distesa circolare di ghiaia bianca, la tipica ghiaia dei sentieri dei cimiteri. Il visitatore, “costretto” a passegiare su di essa per contemplare appieno l’opera, non può fare a meno di percepire distintamente proprio questo ricordo: un funerale, la morte, il silenzio. Nella terza sala osserviamo Sept Vision; sette casse di legno oblunghe appese con all’interno un monitor. Le immagini che si sgorgono si riferiscono ad un viaggio in Cina. Vita pubblica e privata che scorre amalgamata ad effetti elettronici e imballata in queste casse pronte per essere spedite, o forse, sotterrate. L’installazione seguente è Paysages/Passage. Diciotto schermi collocati per terra su del nylon con la struttura trasparente e i cavi aggrovigliati e dispiegati lasciati “a vista”. Le immagini che “passano” sono di un viaggio in treno. Il paesaggio scorre velocemen-

te, il treno “mangia” i colori, tutto è un gioco di ritmi veloci scandito dal rumore del treno stesso. Ad un tratto la proiezione si ribalta, si capovolge e poi ritorna stabile. Il visitatore diviene protagonista di questo viaggio che così, scansionato e spezzato, ha la dimensione di un sogno. L’installazione successiva è Sanaa, passages en noir; Donne velate e figure maschili passeggiano in una stradina della capitale dello Yemen. Il transitare delle figure si ripete sovrapposto. Le immagini si moltiplicano e si intersecano svanendo. Come sottofondo una musica di Bach a significare il possibile superamento delle barriere tra la cultura orientale e quella occidentale. Segue il video Françoise in memoire: il primo piano della donna ci trasporta in sentieri fatti di rughe e emozioni. Contemporaneamente alla proiezione del volto di Françoise vengono proiettate delle parole che scivolano sul pavimento alle quali la signora sembra reagire con gesti ed espressioni profonde. Nella sala principale una grande proiezione dal titolo Traverses. Figure di persone ci vengono incontro avvolte nella nebbia, camminano verso di noi e scompaiono. L’enigma che avvolge questi personaggi ci riporta al viaggio di Dante e obbliga a porsi domande sul dove, il come e il perché quelle figure siano lì e se cerchino in qualche modo di interagire. Un mondo sospeso, un altro


Sept Vision

mondo, che forse è fisicamente dietro la tela o forse solo nella nostra mente. Al piano superiore della stessa sala sono allestite tre proiezioni. La proiezione centrale, Le Cercle, su schermo sagomato, ci porta stavolta in Artico. Ancora il blu come protagonista dell’opera, ancora una porta su un mondo sconosciuto per lo più estraneo e estraniante, una spirale che attrae verso un profondo silenzioso blu. Ai lati della sala una caduta di oggetti sullo schermo di sinistra (Tombe) e di parole sullo schermo di destra dal titolo Tombe (avec les mots). Il fondo dello schermo è azzurro e gli oggetti, rallentati nella loro caduta, sembrano affondare nelle acque. Le parole (tradotte in italiano in occasione di questa mostra)

a prima vista casuali, scendono tridimensionali verso il basso. Possiamo giocare a relazionare gli oggetti e le parole, creando connessioni, che, data la diversa durata dei video, non saranno mai le stesse. Delle piccole “chicche” sono disposte all’inizio e alla fine del percorso; le Cartes Postales Vidéo realizzate dal 1984 al 1986. Riprese in fermo immagine nelle quali ad un certo punto qualcosa si muove, destando la sorpresa di chi le guarda. Questi brevi componimenti “spiazzanti” furono utilizzati come intermezzo anche dalla RAI. Alla fine di questo percorso ci rilassiamo nel chiostro del complesso di San Micheletto e ci chiediamo se ciò che abbiamo visto finora era un viaggio reale, un viaggio ideale oppure un sogno.

Traverses

Sanaa, passages en noir

La mostra è stata organizzata dalla Fondazione Ragghianti in collaborazione con Lucca Film Festival 2009, con il sostegno di Frac Alsace e dell’Institut Français de Florence, curata dalla professoressa Alessandra Lischi, docente presso L’Universita degli Studi di Pisa. Una piccola anticipazione per chi avrà occasione di visitare la Fondazione nei prossimi mesi. Il 18 marzo 2010 ricorreranno i cento anni dalla nascita di Ragghianti e per ricordare l’avvenimento sarà promossa la realizzazione di una serie di iniziative di alto livello scientifico e culturale; una pubblicazione, una mostra sul Medioevo ed un convegno per ricordare la figura dell’insigne studioso lucchese ed accrescere l’interesse nei riguardi del suo lavoro.

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Mostre

Le icone di TEXT Patrizia Bonistalli

Santa Barbara L

a Fondazione Peccioliper nel Comune di Peccioli (Pisa) ha intrapreso dal 2004 la gestione di buona parte del nutrito programma di progetti culturali; tra le molteplici attività, la struttura si occupa del coordinamento del Polo Museale a cui afferisce tra gli altri il Museo di Icone Russe “F. Bigazzi”, avviato nel 2000. L’esposizione consiste in due raccolte permanenti: la collezione di icone russe dal XVIII secolo agli inizi del XX, e la Collezione Belvedere S.p.A. a cui appartengono immagini, croci, e polittici in bronzo risalenti anche al XV. La sensibile apertura della Fondazione Peccioliper in direzione di una così grande sfera storico-artistica, di cui finora non si sa molto, mira a scoprire ed annunciare l’unicità di quel codice emblematico proprio delle icone, che racchiudono perpetuamente un messaggio di salvezza, ovverosia in sintesi riferiscono graficamente il messaggio delle Scritture Sacre. Generata nell’ambito del patrimonio culturale bizantino e slavo, in Russia l’icona assume un valore prioritario. Le vere immagini sacre della tradizione trasfondono la memoria religiosa del passato, personificandosi nei valori dell’adorazione e della reverenza. Al pittore di icone veniva particolarmente richiesta grande preparazione tecnica e spirituale: la creazione dell’immagine sacra presupponeva un atto di precipua purificazione intellettiva e spirituale, per cui egli si predisponeva Reality


1 in modo opportuno per poter entrare in congiungimento con il divino. In occasione dell’apertura a Peccioli della terza edizione del ciclo denominato Tutti i Santi, la mostra di icone inedite è stata attribuita quest’anno alla martire Santa Barbara, una delle più drammatiche e appassionanti figure religiose venerate dai cristiani dell’Europa orientale ed occidentale, finanche dai popoli dell’America latina e settentrionale. I primi esempi di rappresentazione del martirio di Santa Barbara si rifanno intorno all’anno 985 al Menologio di Basilio, raccolta di testi liturgici bizantini. Da Bisanzio

2 il culto della santa sopraggiunge in Russia ove si radica intimamente: la devozione per Santa Barbara s’imprime in modo imprescindibile nella vita quotidiana di ogni devoto; nella fase apicale della cultura barocca russa del XVIII secolo essa diviene una delle sante più adorate presso la corte imperiale. Proclamata protettrice degli artiglieri, dei minatori e dei vigili del fuoco, gli ortodossi ne invocano l’intercessione in condizioni di pericolo di morte o di minaccia di fuoco. Peculiarmente raffigurata con la palma del martirio nell’usanza occidentale, nell’arte ortodossa essa

3 reca piuttosto in mano la croce dei martiri. Gli indumenti adornati, come anche il velo bianco e il diadema, ricorrono come fregio fedele della sua nobile derivazione. Santa dal valore straordinario, è spesso riprodotta con il calice dell’eucaristia, poiché a lei era stata concessa la grazia di intercedere presso Dio, per sfuggire alla morte che giunge improvvisa senza ancora aver preso la comunione. Ogni singola rappresentazione restituisce in elevata spiritualità e intensità l’assolo intensamente emotivo di sopportazione del martirio. www.fondarte.peccioli.net

Nella pagina precedente: Santa Barbara, Russia, fine XIX – inizio XX sec. 1. Santa Barbara con dodici scene della vita, Russia sud-occidentale, fine XVIII - inizio XIX sec. 2. Santa Barbara, Ucraina (Lavra delle Grotte di Kiev), XIX sec. 3. Santa Barbara, San Nicola, santi Quirico e Giulitta, Sant’Anna; Russia, seconda metà del XIX sec.. 4. Icona bilaterale raffigurante Santa Barbara megalomartire; Grecia, seconda metà del XVI sec. 5. Madre di Dio dalle tre mani con Santa Barbara e l’Angelo custode sui margini, Russia (Mosca), metà del XIX sec. 6. Madre di Dio di Akhtyrka attorniata dalle raffigurazioni di Dio Sabaoth, Adamo ed Eva in paradiso, arcangelo Michele, arcangelo Gabriele, San Dmitrij di Rostov, San Nicola Taumaturgo, Santa Parasceve, Santa Barbara, Russia, ultimo quarto del XVIII sec., riza del 1841.

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lArte

CARISMI per

Mostre

ARTEmis

creazione ricerca libertà nell’immaginario femminile TEXT Romano Masoni

S

i è svolta all’insegna delle donne artiste – che non significa di una pittura o una scultura riconosci-

A Palazzo Inquilini di San Miniato la rassegna ARTEmis di pittura e scultura al femminile, con la collaborazione di “Frida - donne che sostengono le donne” bile come “femminile” per linguaggio, stile, espressione, mondo poetico – la seconda manifestazione promossa da Carismi per l’Arte. Comincia dunque a prendere corpo il progetto della Cassa di Risparmio di San Miniato di proporre nelle proprie sedi momenti di comunicazione e di intervento culturale legate all’arte, alla creatività, alla bellezza. All’esordio dell’estate scorsa, con l’originale installazione realizzata da Antonio Bobò nel salone della sede livornese dell’istituto bancario, ha fatto seguito la rassegna ARTEmis allestita nel Palazzo Inquilini, a San Miniato, anch’essa curata da Margherita Casazza del Centro Toscano Edizioni. Questa volta con la collaborazione dell’Associazione “Frida - donne che sostengono donne”, che nel territorio di San Miniato agisce su un’ampia tastiera in difesa e a sostegno delle donne e per valorizzare le diverse espressioni della loro cultura e creatività. Nasce dunque con questo spirito, ma nel riconoscimento di un impegno e di un valore artistici che vanno al di là della apparReality


tenenza di genere, una proposta espositiva che invita a riflettere e a muoversi laddove trovano spazio la creazione, la ricerca e la libertà nell’immaginario femminile. Un piccolo ma intenso e multiforme viaggio, che ha fatto tappa a Vecchiano, Grosseto, Pistoia, Firenze e Pontedera, dove vivono e operano rispettivamente Marta della Croce, Lea Monetti, Cristina Palandri, Gianna Scoino e Paola Vallini. Si tratta di autrici dalla vigorosa e inequivocabile personalità, attestate su diversi versanti della ricerca attuale oggi in Toscana: Della Croce, Monetti, Palandri e Scoino agiscono nell’ambito della figurazione, ognuna con una propria declinazione linguistica, mentre Paola Vallini privilegia la materia e il segno di appartenenza informale, che in lei fissano strutture e forme primarie, evocative anche di arcaici simboli di appartenenza. Marta Della Croce visita le aree di confine tra la realtà fenomenica, che compare con figure e situazioni della quotidianità, e quella obliqua e sommersa della psiche che quelle presenze permuta in visioni. Nella pittura e nella scultura Lea Monetti indaga con sguardo integro e un evidente coinvolgimento poetico le figure del corpo, della natura e della “fabbrica” umana. Cristina Palandri racconta con spirito ludico e grande sapienza esecutiva, suggestivi viaggi in un mondo che dalla realtà sconfina nella dimensione dell’immaginario. Infine, ma certo non ultima per la qualità formale e la tensione espressiva della intrigante immagine, Gianna Scoino medita sulla presenza e sull’assenza, giocando sulla contaminazione dei media intorno all’effige di una donna che si manifesta sulla tela come in un luogo di passione e di mistero.

Dall’alto: il vicepresidente CARISMI dott. Giovanni Vivaldi, il direttore generale dott. Giorgio Giuliani e la curatrice Margherita Casazza; il pubblico presente; Margherita Casazza con alcune delle artiste; il vicepresidente firma il libro delle presenze. A fianco: alunni degli istituti superiori e medie inferiori durante una visita guidata.

Gianna Scoino

Cristina Palandri

Lea Monetti

Marta Della Croce

Paola Vallini




Mostre

Riscoprire la collezione naturalistica Lensi TEXT Patrizia Bonistalli

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ntico e storicamente espressivo, Palazzo Corsini a Fucecchio (Firenze), sede del Museo, raccoglie una ricca ed articolata antologia culturale; in seno ad esso, tra le altre si concretizza la sezione ornitologia di fresca ristrutturazione, composta da esemplari acquisiti dall’antica famiglia Lensi tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, collezionati dal proprietario Adolfo Lensi. Reperti di uccelli rapaci e migratori, quasi esclusivamente toscani, buona parte pervenuti da Fucecchio e dall’area di Firenze; specie rare di uccelli acquatici, varietà estinte nel nostro Paese o presenti solo in Sardegna. La mirabile collezione naturalistica, conservata nella Villa Lensi di Ponte a Cappiano, fu acquisita dal Comune di Fucecchio: grazie al diligente recupero conservativo condotto dal Centro di Ricerca e Documentazione di Fucecchio, è possibile oggi apprezzarne il ben riuscito allestimento didattico. La disposizione delle vetrine corredate da pannelli esplicativi, foto e disegni, rende le notizie accattivanti e fruibili al pubblico. L’esposizione sottolinea l’importanza della conservazione degli esemplari ponendo altresì l’accento sul loro rispettivo ambiente di appartenenza. L’interesse verso tale raccolta fluisce dalla rilevanza che essa ricopre nell’ambito della cultura naturalistica, a compimento di un interessante cammino di rivalutazione del patrimonio locale. Deposizione effettiva di una zona tra le più comunicanti della toscana, la collezione apporta il proprio notevole contributo scientifico, riconsegnando alla modernità uno spaccato di epoche naturalistiche distanti, fissate nel tempo e contemplate con l’ammirazione di oggi. Accanto al titolo, esemplare di pollo sultano (Sardegna 1914). In alto, composizione con esemplari di Scolopacidi (Fucecchio, 1878-1893) e coppia di Avocette (Fucecchio, 1884, 1893). Al centro, Aquila reale e Grifone. In basso, la collezione nell’allestimento attuale. Le foto delle vetrine sono di George Tatge. Le foto degli esemplari sono di Luca Lupi

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Artisti

Renato Santini TEXT Enrica Frediani

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enato Santini nasce a Viareggio (Lucca) nel 1912. Scopre, giovanissimo, la sua passione per il disegno e la pittura mostrando una naturale tendenza alla riflessione e all’osservazione delle cose che lo circondano, prediligendo scenari marini e tutto ciò che a questo mondo appartiene.

Visioni poetiche caratterizzate da luminosità rarefatte, cromatismi dilavati, suggestioni del drammatico espressionismo vianesco All’età di quattordici anni conosce Lorenzo Viani. Con il Maestro viareggino stringe un’amicizia importante, frequenta il suo studio di Fossa dell’Abate e di Via Virgilio, ne ammira la carica umana e l’abilità professionale. Nello stesso tempo lavora come imbianchino e come aiutante nella costruzione di maschere e fantocci per il carnevale di Viareggio. L’ambiente carnevalesco diverrà, in seguito, fonte di grande ispirazione. Nel 1933 realizza “Composizione” pre-

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sentata nel ‘34 col titolo “Donne di marinai” ad una esposizione presso Palazzo Strozzi e acquistata nello stesso anno dal Museo d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. L’opera evidenzia il temperamento meditativo dell’artista portandolo a soffermare l’ attenzione su soggetti esprimenti la solitudine che alberga nell’animo umano e che è presente, insieme alla povertà, nell’ambiente che lo circonda. La pittura di Renato Santini rappresenta dunque l’incessante e profonda ricerca sul sentimento che governa le leggi dell’esistenza. È un sentimento che si esprime attraverso il trionfo urlante della vita sulla drammaticità degli accadimenti di umane vicende e sulla caducità di una natura domata dalle leggi del ciclo biologico espressi attraverso il disegno, la pittura ad olio e l’acquarello. Ecco che radici di canne di fiume estirpate al loro alveo da processi alluvionali e oggetti appartenuti all’uomo divenuti rifiuti, restituiti alla battima dalle mareggiate, ispirano il senso poetico di Santini che scaturisce dall’amore infinito per il mare e per la terra natia in cui l’artista scopre emozioni celate nella più recondita ed intima natura dei soggetti rappresentati. Lo straccale martoriato dalle acque diviene, sulle sue tele, un veliero mosso dal vento o personaggi grotteschi, ma anche bambole, sedie rotte e sventrate, gusci di molluschi vuoti, resti di attrezzature marine stimolano la fantasia dell’artista che, per la sua natura intimistica, ne reinterpreta l’originaria dignità concedendo loro la possibilità di redimersi da un predestinato esito di consunzione. La sua pittura passa at-

traverso risoluzioni stilistiche di ascendenza metafisica per l’imposizione del soggetto in atmosfere estranianti, per quel senso di sospensione e di solitudine dove predomina l’assenza di vita, il silenzio assoluto, e per quel desiderio di osmosi tra coscienza di sé e consapevolezza cosmica. Sono suggestioni che ritroviamo soprattutto in dipinti riproducenti ciò che rimane delle feste carnevalesche dove resti di pupazzi e maschere mostrano nei volti, nei corpi dilaniati e negli abiti laceri i segni dell’effimera esistenza e della strumentalizzazione ad opera dell’uomo. Figure spettrali di umane sembianze appaiono in notturni silenziosi e immobili, illuminati solo da una fioca luce lunare avvolta nella foschia che sale dal mare viareggino: “Composizione grottesca”, 1974; “Maschere di periferia”,1976; “Maschere di notte”, 1977. Le sue visioni poetiche sono caratterizzate da luminosità rarefatte, cromatismi dilavati, ma fondano le radici sull’espressionismo vianesco di cui rimane, dagli anni ‘60 in poi, certo senso drammatico della vita, certo senso panico del proscenio che Santini trasforma, per gli esiti ottimistici degli elaborati, nella fiducia e nell’amore per la vita. Si spegne a Viareggio nel 1995. Il “Museo Ugo Guidi” di Forte dei Marmi, gli ha dedicato recentemente la retrospettiva “Santini intimo”, mettendo in luce il percorso stilistico con opere realizzate tra il 1938 e il 1994, tutte appartenenti alla collezione di famiglia: ritratti di parenti o soggetti realizzati per essere a loro donati, oltre al tema delle nature morte e delle maschere carnevalesche.


Artisti

Ilaria Marchione

Abbacinanti trame dell’oscurità

TEXT Maria Rita Montagnani

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ensa come il buio carico di sogni, inestricabile come la notte che dipana memorie, la pittura di Ilaria Marchione ci offre un universo nostalgico ed inquietante che si configura in un labirintico ordito. In esso, figure estasiate ed allucinate si muovono con la lentezza saturnina di chi sa di essere ormai estraneo allo spazio e al tempo. Il nero che si accentua in dolenti grumi materici, sembra a tratti quasi volersi liberare dalla materia che lo costringe in una sorta di “putrefactio” alchemica e lì, sotto quello strato cromatico annerito, si coagulano le nostre tremende paure, le nostre inconfessabili imperfezioni e debolezze, il senso del vuoto e della morte che sempre costellano l’archetipo della coscienza. La pittura di Ilaria Marchione è tutta assorta nella contemplazione della propria interiorità, persa tra le sfaccettate e multiformi pieghe della sua intima essenza. Qui l’artista non anela tanto ad una purezza astratta, bensì a quella purezza faticosamente distillata, così a lungo cercata ed evocata nella profondità dell’introspezione, quella purezza che, solo dopo essersi

Ora sono solo. Senza mani per rubare senza occhi per sognare senza bocca per gridare senza vita per morire. Il cuore di fuoco divora la mia mente lucidissima, con il fiore del male.

macerata nell’afflizione e nel tormento, si libera finalmente dalle melmose scorie del vivere per divenire incanto e illuminazione. Con i suoi dipinti dal linguaggio fotografico, Ilaria ci presenta una visione del mondo tormentata e sofferta, intrisa di pathos, perché consapevole della contraddittoria ed ossimorica natura delle cose terrene. Le sue tematiche rispecchiano in pieno questa lacerante contraddizione e soprattutto riguardano l’inconsistenza della vita umana, l’inattendibilità dei sentimenti, l’incombere e l’incalzare della morte che, con la sua lente deformante, deforma anche la prospettiva della vita. Con la sua opera Ilaria, lancia una sfida ai propri limiti e vincoli personali, scommettendo la fantasia e la creatività contro il nulla dell’esistenza. La posta in gioco è alta, vitale e fatale: l’anima e l’arte. Oscurità è dunque la pittura di Ilaria Marchione, ma la sua aspirazione alla luce è così forte e assillante che, occhieggiando tra le trame di quel cielo nero, diviene essa stessa abbacinante al pari di una stella. Ma dove la luce è più intensa, l’ombra è più nera.

Ciò che è stato, tecnica mista su tavola, cm 70x90, 2009

Sovrana del sé, unica signora e padrona dei miei labirinti sei. Se ti nominano non ti volti, ma chi ti si oppone lo porti via. Con un filo rosso di sangue o di follia. Neri Tancredi

Neri Tancredi Senza, dal ciclo Il fiore del male, 2009

Sovrana del sé, 2009

Reality


Arte

Adoremus

Venite

L’Adorazione dei Magi di Leonardo

TEXT Sara Taglialagamba

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a tavola fu commissionata dai canonici di Sant’Agostino per l’altare maggiore della Chiesa di San Donato a Scopeto, di cui era notaio il padre di Leonardo, Ser Piero da Vinci, ma rimase incompiuta alla sua dipartita per Milano nel 1482 nella casa di Amerigo Benci. I monaci furono costretti ad allogare la tavola quindici anni dopo a Filippino Lippi che dipinse una tavola con il medesimo soggetto oggi conservata agli Uffizi. La tavola del Lippi per molti aspetti è vicina alla tavola di Leonardo: si ipotizza dunque che fosse accessibile agli artisti in casa del Benci dove con tutta probabilità fu vista anche da Filippino. Molti sono i punti di contatto tra le due tavole: l’attitudine di alcune figure, le rovine architettoniche, i cavalli e cavalieri nello sfondo, il personaggio repoussoir a destra in primo piano. La tavola leonardesca nel 1670 è in possesso di Antonio e Giulio dei Medici e durante il XVII secolo è inventariata nel Casino di San Marco tra i beni di Don Antonio de’ Medici. Successivamente passò a Villa di Castello per entrare negli Uffizi nel 1794. La tavola, nonostante l’aspetto incompiuto, risulta una grande macchina scenica che colpisce per il suo aspetto dinamico, per la sua iconografia complessa, per lo sfondo prospettico ricco di pathos, per le lotte furibonde tra cavalli e cavalieri nello sfondo, per i personaggi assiepati attorno al gruppo divino in un repertorio di moti psicologici, in un crescendo ritmico di passioni e sentimento. Nel primo piano Leonardo raffigura l’Adorazione dei Magi: la scena ritrae la Vergine e il Bambino attorno ai quali si dispongono gli astanti, compresi i Magi, tenendo comunque una reverenziale distanza. I

Reality

personaggi che circondano il gruppo divino sono colti in un vortice di emozioni e gesti dall’Epifania divina. Sullo sfondo, attraverso la diagonale formata dai due alberi, un alloro, simbolo di trionfo, e la palma, simbolo del martirio, si svolgono due scene: a destra, uno scontro tra cavalli e cavalieri, in riferimento alla follia degli uomini che non hanno ancora ricevuto il messaggio cristiano; a sinistra il tempio in rovina che allude alla caduta del Tempio di Gerusalemme, e sull’arco spezzato, piccoli arbusti come si vedono talvolta su alcune costruzioni in cui la natura ha

avuto tutto il tempo di impadronirsene nuovamente. Anche la natura partecipa all’Epifania divina: i due alberi, l’alloro e la palma, oltre ad organizzare la scena, rivestono una funzione simbolico-escatologica per la loro allusione al martirio e alla resurrezione; i cavalli che da questo momento in poi diventeranno uno degli animali disegnati con la massima frequenza da Leonardo, partecipano alla scena nella zuffa sullo sfondo. Leonardo aveva

elaborato probabilmente due diversi studi preparatori per l’Adorazione: lo studio degli Uffizi prevedeva un’organizzazione prospettica dello sfondo raffigurato poi nel dipinto, nel quale fa la sua comparsa anche un dromedario accovacciato. Tratto in comune di questi studi e del dipinto finito, oltre allo sfondo che sarà la chiave di lettura dell’Avvento del bambino e del Mistero dell’Incarnazione, sarà comunque la presenza di cavalli e animali che vivacizzano ed animano la scena. Quello del Louvre, assecondando un’iconografia più consueta, raffigurava la stalla di Betlemme in primo piano, aggiungendo l’asinello e il bue, mentre sullo sfondo era previsto uno sviluppo ulteriore accennato dalle scale e dalla tettoia appena delineata. Tratto comune è l’universalità sacra dell’evento: l’epifania del verbo nella nascita del Bambino divino, spartiacque tra il nuovo e il vecchio mondo. Quest’opera segna la fine del primo periodo fiorentino ma contiene già in nuce dettagli stilistici che saranno sviluppati in seguito. La scena è ben bilanciata attraverso quinte sceniche che vedano organizzarsi in prospettiva secondo piani paralleli: il primo piano è occupato dalla Rivelazione del gruppo divino della Vergine e del Bambino isolati, seduti sopra uno sprone roccioso. I personaggi tra cui spiccano i tre Magi in primo piano si dispongono in modo ordinato attorno al gruppo divino che spicca solitario al centro della composizione. La folla si accalca incuriosita assiepandosi in maniera caotica, rendendo difficile perfino l’identificazione dei personaggi gli uni dagli altri: è un’umanità emotiva, quasi incredula e dubbiosa, ma al tempo stesso colpita ed attratta dal Mistero della Rivelazione


Nella pagina precedente: Adorazione dei Magi, Firenze, Uffizi Qui a fianco: particolare dell’Adorazione dei Magi, riflettografia ad infrarosso

del Bambino. Gli astanti sembrano pervasi ed animati da un’ondata emotiva che comunque assicura quel rispetto reverenziale alla divinità in primo piano. La Vergine è raffigurata come una figura eterea, quasi un’apparizione divina,

mentre è il Bambino che sembra essere l’unico contatto con l’umanità che con la manina protesa, gesto infantile e non certo regale, è incuriosito dal recipiente portato in dono da uno dei Magi. L’Adorazione dei Magi riconferma gli interessi leonardeschi di questo periodo: lo studio della figura umana e i suoi movimenti di articolazione spaziale. Ogni personaggio risulta articolato con la massima padronanza come scandaglio di misurazione spaziale e caratterizzato dalla partecipazione totale all’esperienza mistica, in un repertorio emotivo vario, espressione di dubbi, certezze, abbandono e speranza. Si consideri la raffigurazione dei tre volti in successione disponendosi quasi secondo un meccanismo di scansione cronologico-temporale, sembrano progressivamente indicare tre diversi stadi di senilità, descritti in maniera fedele a partire dall’estrema sinistra, benché ogni volto tenda a mantenere una propria fisionomia ben precisa, necessaria a distinguersi dagli altri due. Essi, infatti, risultano essere simili nella morfologia dei tratti: questo ci permette di avvalorare la

nostra considerazione. La loro fisionomia potrebbe essere ricondotta al prototipo ideale di vecchio saggio ed autorevole, il cui aspetto severo è confermato dai tratti piuttosto regolari, dalla folta barba e dall’espressione accigliata. Esaminiamo le tre figure partendo dal volto in alto, posto alla destra del gruppo sacro: questo potrebbe essere preso come stadio di partenza. Il volto sottostante, infatti, pur riconoscendovi i tratti regolari del precedente, mostra un accentuarsi dell’atonicità della pelle, che invece, nell’altro ne scolpiva gli zigomi e ne rendeva meno infossate le cavità orbitali. Si passi poi ad osservare il volto a sinistra che sembra mettere in evidenza una maggiore senescenza, in particolare, con il motivo del cranio quasi totalmente calvo. Sia le opere pittoriche che i disegni manifestano gli stessi orientamenti: essi si caratterizzano per l’impietosa resa realistica della vecchiaia, caratterizzata dalla minuziosa descrizione della pelle che, perdendo progressivamente la propria tonicità, tende a ricadere pur seguendo la conformazione del profilo sottostante.

Reality


FIRENZE

Dal Seicento a Van Gogh

Fiori Natura e Figura

L’Arma per l’arte

15 dicembre 2009 31 gennaio 2010 Reali Poste, Piazzale degli Uffizi Tel. 055 238 8683

FIRENZE

I mai visti

tutta l’arte intorno a te a cura di Carmelo De Luca

ART AROUND

FORLÌ

Egregio tributo alla pittura avente per soggetto il fiore, 24 gennaio 2010 raffinato elemento 20 giugno 2010 estetico, centro Musei San Domenico nevralgico dell’opera Piazza Guido artistica, delicato da Montefeltro 12 interprete della Tel. 0543 712606 potenza simbolica. Il Complesso di San Domenico possiede la Fiasca Fiorita, opera di eccezionale fattura artistica, misteriosa come il maestro che l’ha eseguita. Intorno a questo capolavoro si sviluppa la tematica dell’esposizione, che intende esternare il genio insito nella storia della pittura floreale sin dai suoi esordi legati al naturalismo della scuola caravaggesca. I maestri innamorati di tale tematica, degnamente rappresentati nelle tele della mostra, annoverano i nomi di Caravaggio, Cagnacci, Dolci, Rembrandt, Monet, Cézanne, Van Gogh, Boldini solo per citarne alcuni. Un evento da non perdere per quanti apprezzano la qualità estetica e la forza espressiva di tale pianta.

È tradizione consolidata regalare alla città di Firenze e ai turisti le meraviglie “nascoste” della celebre Galleria degli Uffizi. Così per le prossime festività natalizie, i curatori della mostra propongono l’ultima donazione acquisita: il bellissimo ritratto di Alessandro Achillini, medico e filosofo vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo, sapientemente dipinto dalle mani di Amico Asperini. Proveniente dalla raccolta di personaggi illustri appartenuta al comasco Paolo Giovio, la splendida opera è attorniata da altre mirabili creazioni artistiche aventi lo scopo di evidenziare l’amore culturale dei Granduchi Medicei verso la ritrattistica dei personaggi che contano, provenienti dai depositi della costruzione vasariana e dalle collezioni del Museo Civico di Como: un contatto culturale con le grandi figure del passato di sicuro impatto visivo.

La Reggia dei Medici festeggia il quarantesimo compleanno del Comando dei Carabinieri, Nucleo Tutela del Patrimoni, con una esposizione che racconta il valido operato nel recupero di opere d’arte a soggetto religioso. Un lungo elenco di meraviglie, donate ai legittimi proprietari, evidenziano l’importanza strategica dell’Arma nello stroncare il fenomeno dei furti in chiese, conventi, istituzioni museali. Giovanni da Milano, Piero della Francesca, Lukas Cranach il Vecchio, Giovanni Bellini, Luca Giordano rappresentano alcuni nomi eccellenti presenti in mostra con i loro capolavori ritornati a vivere nei luoghi di appartenenza o più sicuri. Il ritrovamento di un’opera d’arte, spesso, diventa occasione di una accurata operazione di restauro e, per l’occasione, il visitatore può ammirare un polittico di Sano di Pietro e un trittico di Mariotto di Nardo.

21 novembre 2009 6 aprile 2010 Galleria Palatina Piazza Pitti 1 Tel. 055 294883


Inca - Plus Ultra Un tripudio di oggetti in oro, argento, rame, terrecotte, sculture raccontano l’illustre storia della civiltà Inca. Articolata in dieci sezioni, la mostra permette un coinvolgente viaggio dal 1500 A.C. all’epoca della conquista spagnola del Perù, rimarcando l’importanza ispirativa dell’ambiente, dei miti, dei riti sulla realizzazione dei pregevoli manufatti presenti nelle sale espositive. I sontuosi vestiti regali ricoperti d’oro, gli ornamenti, gli strumenti rituali, i corredi funebri visibili al visitatore manifestano l’eccezionale fattura artistica e l’elevato senso di spiritualità che accompagnava la quotidianità del popolo andino nel magico rapporto tra divino, terreno, inframondo. L’età post-colombiana è raccontata attraverso la mostra PLUS ULTRA, raccogliente numerosi capolavori barocchi indio, nella quale i rappresentanti della pittura sacra indigena si confrontano con sculture lignee, avori, piccoli quadri dalle splendide cornici in argento legati al tema della fede e, ancora, paraventi dipinti settecenteschi e le famose tele di “castas”.

BRESCIA LARI (PI)

4 dicembre 2009 27 giugno 2010 Museo di Santa Giulia Via Musei 81/b Numero Verde 800775083

Tre mostre per Lari Con il patrocinio del Comune di Lari e della Provincia di Pisa, il contributo de L’Antica Osteria al Cartello di Lari e la collaborazione 13 dicembre 2009 dell’associazione turistica “ViviLari”, l’associazione culturale “Il 5 aprile 2010 Castello”, “FuoriLuogo – Arte Contemporanea”, il periodico Castello dei Vicari d’informazione “Reality Magazine”, il periodico “Arte a Livorno” e Tel. 333 3197384 l’associazione culturale “La Ruga” verranno realizzate nei prossimi www.lariarte.it mesi alcune importanti mostre. La prima Terra Infinita, esposizione lariarte@live.it personale di Marcello Scarselli si conclude il 17 gennaio. La seconda, una personale dell’artista Gualtiero Nativi dal titolo “Aristocrazia di segno, forma e colore” inaugurerà il 30 gennaio 2010 e si protrarrà fino al 28 febbraio 2010. La terza sarà una mostra collettiva di pittura dal titolo “Eva e il pennello proibito – l’arte di essere donna”. Sarà inaugurata il 6 marzo e resterà aperta fino al 5 aprile 2010. Gli orari per visitare le mostre sono: dal martedì al venerdì dalle 15 alle 18, il sabato e la domenica dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 18. Tutte le mostre sono a ingresso libero.

CASTELFRANCO

VENETO

12 dicembre 2009 11 aprile 2010 Museo Casa Giorgione Piazza San Liberale Tel. 0423 735673

Giorgione Impareggiabile tributo al grande maestro veneto la cui enigmatica esistenza contribuisce a creare un alone di poetica magia che avvolge l’intero operato artistico. Se sono vani i tentativi nel delineare una cronologia completa della sua vita, tale carenza è ampiamente colmata da una produzione artistica impareggiabile, innovativa, impregnata di un inebriante lirismo evidente nella tecnica del colore ma, sopratutto, nel simbiotico legame tra l’uomo e la natura. La mostra annovera prestiti di eccezionale fattura ricostruenti l’intero percorso artistico del pittore che, attraverso l’arte del pennello, racconta il lustro dell’epoca rinascimentale avvolta in un mistico senso di mistero, allegoria, grazia, affermazione egocentrica dell’essere. Tra i molti capolavori esposti si annoverano la celeberrima Tempesta, Le tre Età, Il Tramonto, La Madonna con Bambino, accompagnati da opere di illustri pittori del periodo e, ancora, bronzi, incisioni, libri, dai quali Giorgione trae ispirazione o ne è degnissimo soggetto.

la vetrina di Reality


Storia

Navalestri, navicellai, bardotti, pontanari, pescatori, cavatori, gente di fiume

TEXT Valerio Vallini

l’Arno Santa Croce e

Lungarno anni Venti del Novecento

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rimi furono i navalestri: barcaioli che traghettavano da una riva all’altra, cabotavano brevi tratti da un villaggio, da una capanna di pescatori, pastori, agricoltori. In una carta dei Capitani di Parte Guelfa della fine del Cinquecento, c’è l’indicazione Pontanari proprio allo sfondo di via Di Pelle sull’Arno, vicino allo scalo di San Vito nominato come porto, e guado antichissimo come testimoniano reperti romani e medievali trovati da Agostino Dani e che datano dal I/II secolo al Settecento. L’attività dei “passi di navi”: barche traiettizie, in mancanza di ponti era essenziale alla comunicazione e ai trasporti. Era così importante per cui la gestione per l’attraversamento dell’Arno era concessa dal sovrano alla comunità e questa l’appaltava a privati. Il legame con l’Arno, per i popoli dei villaggi di San Vito in villa d’Elmo, San Tommaso di Vignale, S.Andrea e per Santa Croce, è precedente alla fondazione del castello nel 1253. Da quando il fiume allagava più o meno felicemente, molto spesso tragicamente i campi e i borghi, la pesca e le terre rese fertili dalle acque piovane e fluviali consentirono condizioni di vita accettabili. E il fiume portava con la pesca anche traffici, beni, notizie, tradizioni. Così un giorno da Lucca, è probabile per vie di Serchio e di

laghi e di fiumi, (vedi la Gusciana), giunse su un barcone quella copia lignea del Volto Santo, che si venera nella Collegiata di San Lorenzo. Così Santa Croce fu legata più strettamente all’Arno ma allora non ne prese il nome, cosa che accadrà nell’Ottocento. Si chiamava Castro Santa Cruce o Santa Croce Vallis Arni. Ma questo nelle antiche filze; per il popolo era Santa Croce. Come scrive Angelo Nesti nella sua Breve storia di Santa Croce sull’Arno, Pacini Editore, 2009, “…fin dal medioevo, mulini, gualchiere, fornaci, cartiere, concerie e vetrerie, attingevano acqua dall’Arno con l’utilizzo delle steccaie costruite in legno o pietra. Provvedimenti cinquecenteschi andarono in direzione dello sviluppo della navigazione e si attuò un complesso sistema fluviale con canali di collegamento che mettevano in comunicazione il neonato porto di Livorno con il Valdarno e Firenze. Dall’Arno si potevano raggiungere più agevolmente la piana lucchese e la Val di Nievole. Il fiume Usciana collegava l’Arno al Padule di Fucecchio.” Santa Croce colse le opportunità di questo sistema e riuscì a sviluppare i primi servizi di navi-

gazione nel corso del XVII secolo e anche prima se si pensa all’intenso traffico dal Callone a Castelfranco nei due sensi già nel luglio del 1575. Certamente da noi, nella seconda metà del XVIII secolo il settore era già strutturato: 55 capifamiglia trasportavano per vie d’acqua, si viveva anche di fiume. Nel XVIII secolo la famiglia Pacchiani gestiva il passo di Santa Croce che poi nel XIX passò a Gaspero Pescini. Navicellai e bardotti erano a bordo dell’imbarcazione principale: il navicello, battello che variava da 9 a 11 metri di lunghezza. I bardotti, in particolare scendevano e tiravano l’alzaia: una fune attaccata al navicello. La tiravano controcorrente da un percorso parallelo al fiume. Era un lavoro faticosissimo reso stupendamente da un’incisione di Giuseppe Viviani dove un corpo imbracato e teso dà il senso della fatica e della forza. (vedi illustrazione nel testo) I navicellai santacrocesi arrivavano con le loro barche al porto del Pignone vicino a Firenze, o a Signa, verso Nord-est, oppure raggiungevano Livorno con piccoli scali lungo l’Arno. Santa Croce aveva il Callaione: piccolo porto fluviale, poco più di un rimessaggio dotato di puntoni per l’ancoraggio, che mi pare di aver individuato fra S. Tommaso e l’attuale sbocco della rampa Lami grazie a testimonianze attendibili e analisi di vecchie foto. Qui

Navicello (foto tratta da una pubblicazione della ProLoco Santa Croce)

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San Tommaso, torre campanaria e alzaioli

trovavano riparo e ancoraggio le imbarcazioni del borgo che poi venivano tirate in secco nei periodi di piena massiccia. Nella seconda metà del Settecento, lo stato delle anime della parrocchia di San Lorenzo testimonia la presenza di costruttori santacrocesi. Così pure la relazione del Maire, il sindaco di istituzione napoleonica del 1809. Nei secoli il corso dell’Arno è stato continuamente sorvegliato perché periodicamente le sue acque rompevano gli argini e provocavano danni ingenti. A tal proposito si legge in una nota a cura di G. Nanni: “il 7 novembre 1587 il perito Lorenzo di Giovanni rileva la necessità di costruire una possente muraglia a difesa dei malridotti argini. …il muro dovrà essere alto otto braccia e largo tre [circa 4m x 1,5] ed è assolutamente necessario perché si trova oggi il letto d’Arno alto quanto il piani del terreno di detto castello.” Si parla anche di togliere una torretta “ricontro alla fine del castello” ma non si capisce se sia ad est o ad ovest. Troppo lungo sarebbe soffermarsi sulle inondazioni che hanno colpito Santa Croce da quella memorabile narrata dal Giovanni Villani del 1333 e che provocò il crollo delle mura, a quella del 1966 sulla quale esiste una vasta e appassionata letteratura e documentazione. Per tornare al rapporto dei santacrocesi con l’Arno e vederne la fonte di vita che derivava basta accennare ad una nota di C. Torti in cui si racconta come nel 1787

con una popolazione di neppure 3.000 abitanti, molti giovani si spostavano per lavorare “a opera” in Maremma, nel pisano e nel fiorentino…l’agricoltura non bastava a soddisfare le esigenze della popolazione. In questo quadro preoccupante il commercio e i trasporti e quindi il fiume con cavatori e pescatori erano una possibilità di vita. Nel corso dell’Ottocento per le fornaci, l’ Arno e le terre vicine fornivano buone argille. L’importanza del fiume balzò evidente nel 1833 quando una secca dell’Arno ridusse i movimenti dei navicellai provocando disagi e miseria. Fortunatamente si andavano creando opifici e fabbriche anche se le concerie erano soltanto tre. Con la costruzione della ferrovia Leopolda dal 1847 al 1853, si ridimensionò fortemente la centralità economica dell’Arno come idrovia naturale, ma per la mancanza di una stazione accessibile sulla riva destra, saranno ancora i navicellai a svolgere un discreto ruolo fino alla costruzione del ponte sull’Arno e alla sistemazione rotabile della via arginale per San Romano. In quegli anni si hanno notizie da Ignazio Donati nel Diario Montopolese, di rivolte di navicellai, barrocciai, vetturali e contadini aizzati da padroni terrieri e da un cle-

ro che vedeva nella ferrovia un pericolo per le tradizioni. Ancora al fiume, dopo la chiusura del ponte nel 1924, si rivolgeranno i santacrocesi. Ancora al fiume e ai navalestri durante il passaggio del fronte nell’agosto-settembre 1944, ci si rivolgerà per cibo e trasporto. Poi il fiume fu ferito quasi a morte dagli anni del boom economico a tutti gli Ottanta del Novecento. Le colpe venivano a monte dal massiccio inquinamento di Firenze e Prato e di altre città rivierasche. Le concerie di Santa Croce, Ponte a Egola e Fucecchio ebbero colpe a valle da Ponticelli al mare. L’Arno scorreva nero e senza vita. Finalmente, in quest’ultimo ventennio con la depurazione delle acque l’Arno è rinato. Il cattivo odore è scomparso, pescatori popolano le rive, cormorani e altri uccelli nidificano. Si tenta un luogo di ricreazione proprio dov’era il Callaione, davanti ai resti di San Tommaso che fu porto e villaggio nel XII secolo. Il pericolo ora sono la siccità e il clima.

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Volterra

Silenziose strade medievali

TEXT&PHOTO Paola Ircani Menichini

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l visitatore che oggi giunge a Volterra cercando ciò che resta della città medievale, non vede subito i monumenti principali che si trovano nella Piazza dei Priori e in altri luoghi più o meno vicini, ma focalizza lo sguardo su altri aspetti immediati come ad esempio i campi incolti presso le mura, i viali, le case costruite attaccate una all’altra, i negozi e la gente

Al di sopra dei muri di cinta si scorgevano cipressi e alberi da frutto, pergole per l’uva e per il fresco... che cammina svelta per le strade. Riportata però l’attenzione alle proprie aspettative, comprende che per «vedere» la città di allora deve fare un’opera di spogliamento e volgere la mente solo alle imponenti opere di pietra e ad altre «vestigia», nonché al messaggio tra virgolette che la città doveva avere per chi veniva da fuori. Quindi Volterra medievale era: alte mura di difesa, campi coltivati che arrivavano fino sotto i bastioni, nessun viale alberato, alcune piazzette presso le dimore più belle e le torri, una grande Piazza pubblica, un castello che nel 1472 cedette il posto alla Fortezza e... solitudine e silenzio.

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Difficile ritrovare il silenzio oggi. Il Medioevo è lontano e i cittadini vivono in un altro modo. È però possibile riscoprirlo a Volterra andando nei quartieri periferici o anche osservando le cartoline d’epoca che mostrano aspetti urbani insoliti: in quest’ultime infatti si noterà un vero e proprio deserto con poche persone sulle strade, quasi intimorite dai palazzi, dalle chiese o dalle mura della città. Questa soggezione verso i monumenti era molto sentita anche nel Medioevo. Anzi i cittadini di allora erano fieri dell’imponente e ordinata urbanistica da loro progettata e vi si conformavano con un orgoglio che aveva il suo opposto nei sentimenti che provava chi era «a bando», cioè le famiglie o i singoli che, espulsi dalla Giustizia per debiti o altro, cercavano lavoro e stabilità lontano dalla patria, dove potevano... La consapevole società del tempo non aveva nemmeno l’abitudine di fare quello che oggi si dice «un giro in città». Le contrade e i gruppi di case entro le mura erano separati di fatto e, lungo una via o un chiasso, in una piazzetta si trovavano nuclei e problemi familiari del tutto diversi da quelli di un altro gruppo poco distante. Tra le contrade di Volterra, quella di Piazza era la più antica e nobile e così, con i suoi cavalieri, restò fino al tardo Medioevo. Si estendeva tra la porta all’Arco, la cattedrale, il palazzo dei Priori e il Castello. Contrapposta era la contrada di Borgo S. Maria, residenza di ricchi mercanti, giudici e notai, in genere gente realista e in contatto con la città che stava diventando prima in Toscana: Firenze. Alcune strade della contrada di Piazza dimostravano pari aristocrazia. D’altronde certe strade hanno un «verso» e vanno viste alzando lo sguardo verso l’alto: così

le vollero gli antichi urbanisti, affinché chi veniva dalla campagna, da fuori, salisse con rispetto al monte dove risiedevano le autorità e i propri signori. Ancora oggi la via della Porta all’Arco, che va verso la Piazza, vista dal basso, sembra proprio una scalinata ad un piano di rango, quello che nel Medioevo era formato dall’Incrociata dei Baldinotti (via Marchesi), dalle torri Mannucci e poco più lontano dal Castello. La strada inoltre mostrava lo stretto indispensabile: case di pietra e mattoni con i portoni chiusi, finestre con le inferriate, e i grossi scuri. Là uno stemma, qua una bandiera, un’insegna, un servo alla porta, un cavallo che nitrisce, un asino col basto ... Poca gente. Tanto silenzio. Le abitazioni del Medioevo poi non erano alte o attaccate tra loro, come oggi, ma separate da stradelle e da varie pertinenze che erano stalle, orti e corti con animali domestici, chiostri e giardini con pozzi e cisterne. Al di sopra dei muri di cinta si scorgevano cipressi e alberi da frutto, pergole per l’uva e per il fresco. Durante la bella stagione, nei giardini interni di queste e altre case simili, si ricevevano le visite e si stava a far la musica o la «bella brigata» come si diceva allora. «Giardino chiuso» era anche una metafora elegante, attribuita alla Vergine Maria nel linguaggio religioso con riferimento al Cantico dei Cantici - giardino chiuso mia sposa, dai melograni, frutti squisiti - che celebra la Sposa, cioè la Chiesa. Il paradiso stesso era immaginato come un giardino e tale era il significato della parola in origine perché derivava dal persiano pardez, giardino con siepi, come quelli del re Serse e dei suoi magnati, noti nell’antichità per alberi, fiori variopinti, fontane, cervi, splendidi uccelli. Anche il Beato Angelico dipinse il paradiso del Giudizio Universale come un giardino incantevole dove i suoi felici santi cantano e danzano tenendosi per mano, vestiti con i preziosi abiti della grazia divina. Continuando però a percorrere le silenziose strade di Volterra, se ne noteranno


altre che vanno viste «in orizzontale», come la Petraia, presso le mura meridionali, un tempo itinerario di guardie, di artigiani minori - pellicciai, beccai o macellai, fornai, vetturali – e di piccoli commercianti. Era la via di testa dei chiassi popolari della contrada di Borgo S. Maria, quelli con i nomi suggestivi di Chinzica, Coda Rimessa, Matteo di Fecino, Santa Felice. Finiva e si slargava in una piazzetta che esiste ancora oggi: Fornelli, dove dominava, isolato, tra diverse vigne, a pieno sole, il Palazzo degli Ospedalieri di Altopascio. Erano questi dei cavalieri che avevano il compito di accogliere i pellegrini, aggiustare le strade ed i ponti,

accompagnare i viandanti nei passaggi pericolosi, assistere i malati, esercitare la beneficenza; il loro Ordine decadde nel tardo Medioevo proprio a seguito del tramonto della nobiltà. Ma, nei tempi in cui ebbe importanza, il palazzo di Altopascio di Fornelli vegliò anche sui viaggiatori che giungevano dalla Valdicecina e che, tramite una via che oggi è detta Lungo le mura della Porta all’Arco e poi la via della Petraia, potevano andare fino al convento di S. Francesco e nel quartiere di Borgonuovo, silenziosamente, quasi di nascosto dall’itinerario «in verticale» che portava alla Piazza principale. Da Fornelli la visione sui monti volterra-

ni è sorprendente e si rimane incantati da quelle che nel passato erano dette le Pendici e il Contado: colline, cielo, boschi, pascoli, fiumi, vie, in un insieme immutabile per il quale il tempo non sembra scorrere. Viene anzi da pensare che forse il cittadino o il viaggiatore che nel Medioevo passava da quelle parti, osservandolo, non sentisse più tanta soggezione degli imponenti monumenti o del potere dei signori e delle autorità, ma fosse preso anch’egli solo dall’ammirazione per quello che poteva sembragli il giardino più bello del mondo, anche di quello del re Serse: il giardino del creato...

In basso a sinistra nella pagina precedente: Via dei Marchesi (già Incrociata dei Baldinotti) in una cartolina d’epoca, sec. XX e Via della Porta all’Arco, oggi. In alto: le pendici di Volterra in località Mazzolla; Beato Angelico, particolare dal Giudizio Universale, ca. 1430, Firenze, Museo di S. Marco

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Storia

Viaggi nella Da documenti originali dell’epoca scritti da Francesco IV d’Austria d’Este

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ppena giorno ci alzammo e, visitato il Duomo che la più vasta e miglior chiesa di Livorno, essendo tutte le altre piccole e di niun rilievo, conoscendosi che ivi si è sempre atteso a formar magazzini, che ad occupar posto in a ergervi templi, per cui ancora non sono molte. Bisogna anche osservare che di ottantamila anime, ve ne forse la metà di cristiani. Gli altri ebrei, levantini (che sono ebrei vestiti ad uso greco e turco) degli inglesi, dei turchi e che so io? La prima cosa che indi facemmo fu il ritornare in darsena per godere il piacere di navigare. Rientrati con poche grazie in una barca fummo da due barcajuoli condotti intorno a poscia usciti entrammo

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nelle onde del mare lasciando addietro a noi la città. Una bellissima mattina, un mar quieto, aere fresco ci faceva goder tanto quella gita, che non vi so esprimere. Andammo alla Lanterna, che è una

Prospero Fantozzi nel 1833 attraversa la Toscana Granducale e visita Pisa torre piantata incima a degli scogli. La sua forma è rotonda ed alta ed incima è tutta aperta e solo la chiudono tellari con cristalli, standovi in mezzo un’antenna, alla quale sono appesi dodici o

quattordici grossi lumini ad olio con riverberi con riverberi che da lontano fanno un intiero fanale che, alla notte, serve d’indizio ai naviganti. Vi si sale per una scaletta che gira intorno all’intorno e nel mezzo vi sono delle stanze per il custode e lampioniere. Ritornammo poscia a Livorno e nel passare il porto osservai le ruote degli scavi siccome il canal di Livorno passa come dissi per Darsena ed entra in mare, così per lunga striscia di porto scorre l’acqua prima che si confonda nell’acqua marina. In questo spazio vi sono diverse barche apposta con congegno di ampie ruote, intorno alle quali stanno i galeotti coi ceppi a lavorare e facendole rotolare


ToscanaGranducale scavano di continuo, con certe macchine, il fondo del torrente che innalzandosi nel suo letto potrebbe impedire e trattenere il passaggio ai vascelli di mare. Ritornando poscia in città cercammo del medico signor dottor Giovannetti, la di cui moglie signora Giovanna nata contessa Carli di Castelnovo, alla quale fummo raccomandati, ci condusse a vedere insieme con la figlia Livia, diversi negozi della città. Li vidi e ne restai attonito per la quantità delle merci, ma perchè troppo ammassate non vi scorsi quel bell’ordine e quell’ampiezza delle botteghe che si riscontrano con piacere nelle nostre. Ivi poi tutto è caro all’eccesso. Merita di esser veduto il vasto negozio Micali, dove è di ogni sorta di mercanzia. Il signor Dottore poscia ci condusse a vedere la chiesa dei greci orientali scismatici ed è una gran stanza che mostra richezza, ma non ha del maestoso. Hanno certi riti che non li fa intendere ed il secolare non può accostarsi all’altare in Sancta Santorum. I suoi dipinti, rappresentanti il Signore e la Madonna, sono all’uso antico e greco, ma nulla vi è che indichi soggezione alla Santa Sede, che non vi credono. All’uso degli ebrei le donne stanno divise in un sito alto, come una cantoria. Passammo in seguito alla chiesa dei greci latini, che

sono cattolici e soggetti alla Santa Sede, le di cui cerimonie e i riti diversificano però dai nostri. La loro chiesa è un quid simile della or or descritta. Passeggiando col figlio del signor dottore, il signor Andrea studente di Pisa, ci furon mostrati sobborghi di San Leopoldo bellissimi e nuovi detti anche Borgo Reale, di cui ammirai l’eleganza e da lui potei conoscere a qual bello saranno un giorno ridotti. Vedemmo di fuori l’ospitale degli ebrei ed il cimitero degli inglesi che è un bel boschetto, cinto da mura in quadro, pieno di tavole di marmo con iscrizioni e vaghi piccoli mausolei, forse tutti lavori di Carrara. Vi è quindi un teatro diurno od arena e finalmente fummo all’ampio cisternone costrutto di nuovo. Sembra un gran salone sostenuto da alti pilastroni il tetto di buon gusto è circondato da loggiati e nel mezzo deve essere sempre pieno di acque a beneficio della città allorquando si rompesse un condotto delle acque che scorrono da quattordici miglia dalle montagne, dove mi si narra che vi sono ampli archi, li uni sopra li altri per cavalcare le montagne onde dedurre quest’acqua e che invero sento dire che sembra un’opera romana. L’atrio a colonne, la facciata non anche

finita devono riuscire un lavoro di perfetta eleganza. Tutto così lodato ed in fretta veduti quei borghi belli (che non vi erano un dodici, quattordici anni fa) rientrammo in sull’ora dopo il mezzodì alla nostra locanda, per pranzare, da qui partimmo in sulle due ore per la città di Pisa. Il viaggio da Livorno a Pisa è seccantissimo per cui non feci che dormire. Non presenta che pianure mal coltivate, paludose in parte e con poco piantume, le piante con viti sono salici e pioppi lasciati senza industria ed ornamento. A diritta si scorgono da lontano le montagne e gran parte delle casupole di proprietà dell’arcivescovo di Pisa. Si passa una parrocchiale con chiesa e torre gotica detta Sanbiero. A mano diritta si osserva un canale navigabile, che è quello che da Pisa passa per Livorno e per darsena si entra in mare. Più innanzi vedemmo pur da lontano ampli boschi in massima parte di pini e cerri che servono per il divertimento e l’utile della cacciagione al Gran Duca sovrano. Finalmente, quando Dio volle arrivammo sulle cinque ore in Pisa dopo fatte dodici miglia. Testi tratti da una pubblicazione edita da Antiche Porte editrice tel. 0522 433326 - info@anticheporte.it Reality


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Weekend in Val di Cornia TEXT&PHOTO Giuliano Valdes

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uando le calure estive cedono il passo ai riflessi ambrati dell’autunno, è la stagione più propizia per trascorrere un paio di giorni in Val di Cornia. Questa microregione, all’interno della cosiddetta Maremma Pisana, ha tratti e caratteri paesaggisticamente e morfologicamente completi. Essa insiste sul baci-

Piccolo ed autentico paradiso in Toscana, ha tutte le carte in regola: dalla collina, ai boschi, alla pianura, al mare... no idrografico del Fiume Cornia, presentandosi come una successione di ondulate colline ed alture più aspre che la contornano. Ad occidente, la fascia litoranea della Costa degli Etruschi si stempera nelle intense tonalità cromatiche del golfo di Baratti, mentre a sud il promontorio di Piombino prepara la visione dell’incantevole golfo di Follonica. Qui si distendono i bianchi arenili, orlati dal paesaggio delle dune costiere e delle pinete, nonché dallo scenario tipicamente maremmano del Parco della Sterpaia. Ma la Val di Cornia è un insieme di colori, di profumi e di emozioni: è un paesaggio naturale selvaggio, umanizzato dalle coltivazioni e dalle dimore di campagna, dagli insediamenti sparsi, dai casolari e dai borghi di collina. Qui la vite e l’olivo, alternati al cipresso, descrivono l’aspetto e la cultura di una terra rigogliosa e prodiga, mentre i paesi, vere e proprie perle dell’urbanistica e dell’architettura medievale, custodiscono preziosi tesori d’arte, austeri palazzi, memorie storiche e tradizioni popolari. Si percepisce ancora l’afflato etrusco e dei primi abitanti di queste terre: dalla Necropoli di Populonia, ai forni fusori sparsi un po’ovunque, al villaggio mi-

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5 nerario di Rocca San Silvestro. Storia e natura si uniscono in un suggestivo contesto che attira turisti da ogni dove. Il vino, l’olio, i prodotti autentici della terra, i saporiti salumi, i formaggi, l’artigianato hanno da tempo dischiuso un sentiero tematico ben distinto alla frequentazione turistica. Il sistema dei Parchi della Val di Cornia, incentrato sulla natura, sul paesaggio e sull’ambiente, non prescinde dalle connotazioni tematiche di carattere storico, dal periodo etrusco al Medioevo ed oltre. La Val di Cornia, piccolo ed autentico paradiso in Toscana, ha tutte le carte in regola: dalla collina, ai boschi ombrosi, alla pianura ed al mare, senza trascurare le proposte termali ed enogastronomiche. Una natura particolarmente prodiga e l’intervento mirato dell’uomo nel corso dei secoli, hanno riscattato una territorio già malarico ed ostile, facendone una delle offerte turistiche più appetibili della provincia livornese. Bibliografia “Guida alla Val di Cornia” – Circondario della Val di Cornia Felici Editore, Pisa 2003 1. 2. 3. 4. 5. 6.

La pineta di Baratti Populonia, scorcio dell’Acropoli (Parco Archeologico) Sassetta, panorama Oasi degli Orti-Bottagone Piombino, la punta di Piazza Bovio (sullo sfondo l’isola d’Elba) La fattoria di Vignale Vecchio

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Bientina La città dell’Antiquariato TEXT&PHOTO Serena Marzini

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ientina anticamente fu una città di frontiera tra i terriori pisani e lucchesi, legata alle attività di pesca sull’omonimo lago, chiamato Padule, oggi prosciugato e bonificato nel 1859.

L’ultimo weekend di ogni mese la Piazza del Borgo di Mezzo si trasforma in un affollato mercato di appassionati Testimonianze storiche riportano notizie sulla grande importanza del Padule, comprendente una superficie di circa 14 miglia quadrate, dove i Bientinesi raccoglievano una copiosa quantità di fieno detto falasco, ma soprattutto si dedicavano alla pesca di luccio, pesce persico e anguille. Agli animali del lago sono da annoverare anche gli uccelli acquatici tra i quali i germani e le folaghe, inoltre il padule apportava un altro mezzo di industria nel trasporto per la vettura dei generi che arrivavano e che venivano spediti nella Val di Nievole e nel Valdarno inferiore dall’una e dall’altra sponda del lago. La prima menzione storica del paese di Bientina- dal latino “bis antes” cioè due siepi, per alcuni. dal gentilizio etrusco “Plitine” secondo altri, risale al 793 d.c.. quando Saximondo Reality

di Gumberto diacono, concesse a Giovanni, Vescovo di Lucca, una porzione di terreno nel Monastero di S. Andrea in luogo di Bientina. Una carta del 1117 ci dà notizia della vendita, da parte del Marchese di Toscana Robodone, del castello con il suo distretto e la giurisdizione signorile a favore dell’Arcivescovo di Pisa dietro pagamento di 2000 soldi d’argento. Subito dopo essere passata sotto il dominio pisano, a Bientina chiamata “ Borgo” vennero ad abitare tutte le persone della zona per ordine del vescovo di Pisa, Ubaldo. Bientina assunse allora un ruolo importante perché Pisa decise di instaurarvi la sede di un capitano che comandasse anche i popoli di Montecchio e San Prospero a Cintola. In questo periodo il borgo venne rinforzato nella struttura difensiva e modificato in quella urbana o più probabilmente costruito ex novo come centro di colonizzazione pisano. Le mura erano di forma quadrangolare ed angoli ottusi, ai 4 lati le torri principali, al centro la strada maggiore e perpendicolari ad essa, altre 3 strade più piccole che determinavano insieme ai vicoli di servizio, degli isolati di abitazione tutti più o meno uguali tra loro. I nomi delle 4 torri erano: Torre del Giglio che si trova a sud-est, nome forse attribuitole dopo il passaggio di Bientina sotto la denominazione fiorentina nel 1402, in quanto essa era appunto la torre che guardava verso Firenze, du cui il Giglio era il simbolo,

Torre del Tessitori posta a Nord Ovest, dal nome di un antico proprietario, la Torre del Belvedere che si trova a Nord Est che fu così chiamata perché da essa si poteva controllare tutto il territorio circostante ed avvistare i nemici in caso di attacco ed infine la Torre della Mora, la più importante, anche se non la più alta, posta all’angolo sudovest perché guardava verso l’Arno su cui transitavano passeggeri e merci. Il nome dovrebbe derivare da mora ossia cumulo di pietre che nell’italiano delle origini forse poteva significare torre. Le torri tutt’oggi sono ben conservate, e dopo alcuni interventi mirati di ristrutturazione emergono in tutta la loro bellezza a guardia del paese. Sono inoltre state adibite a case private. Fino al 1965 il centro di Bientina era abitato da numerose famiglie che avevano case, talora risaleni al Medioevo, in condizioni inaccettabili. Queste abitazioni avevano strutture murarie pericolanti e non avevano servizi igienici adeguati: i piccoli vicoli di servizio tra casamento e casamento servivano da fognature a cielo aperto a da immonendezzai che venivano ripuliti solo dalle piogge. Già nei secoli passati le pessime condizioni di vita dei Borghi avevano provocate epidemie di tifo e peste, in seguito alle quali furono abbattuti ampi tratti dalle mura perché l’aria potesse circolare. Le strade inoltre erano mal pavimentate, le stanze interne delle abitazioni maltenute,


per questo il Comune ordinò ai concittadini dei Borghi di cambiare abitazione facendoli trasferire nel villaggio San Giuseppe; ma poi, invece di procedere al risanamento e al restauro, i Borghi furono del tutto abbattuti. Una visita a Bientina, che si trova a 25 Km da Pisa, con collegamento stradale superstrada Firenze - Pisa - Livorno con uscita Pontedera, merita anche la Pieve di S. Maria Assunta consacrata nella prima metà del 1600 adornata di stucchi e pregevoli dipinti. Notevole il soffitto ligneo pitturato recante al centro l’immagine intagliata dell’Assunta nella gloria degli angeli, opera del pisano Andrea Mattei. Sopra il ballatoio sono visibili sei grandi dipinti a tempera, opera del fiorentino Giuseppe Romei che raffigurano i miracoli di S. Valentino. Notevole inoltre la cantoria del Silvani, dall’originale balaustra in pietra serena, con l’organo costruito nel 1639 da Bartolomeo Rafani di Lucca ( uno dei più antichi della provincia) arricchito da una splendida cassa lignea dorata oro zecchino del fiorentino Guglielmi. Vicino alla Piazza principale, nella Pieve di San Domenico, da visitare il presepe meccanico animato meccanico che tutti gli anni nel periodo natalizio viene allestito al suo interno. Nel 1993 è stato inaugurato il museo della Pieve, che comprende una grande quantità di arredi sacri quali candelieri. calici, ostensori, vassoi, lampade prodotte dai più famosi argentieri della scuola lucchese, pisana e fiorentina. L’itinerario della visita non può concludersi senza aver conosciuto il mercato dell’antiquariato, il terzo in ordine d’importanza in Toscana dopo Arezzo e Lucca. Presso gli antiquari è possibile trovare oggetti di varietà incredibili: dai preziosi argenti Sheffields ai vasi raffinati, dai servizi di porcellana ai tavoli da pranzo inglesi di epoca vittoriana. Ogni singolo negozio ha una sua specializzazione. Ogni commerciante è un attento selezionatore che è in genere riuscito a raccogliere oggetti e mobili del passato e dalla bellezza fascinosa di epoche trascorse quali francesi, inglesi, oltre che italiane. Il mercato si svolge nella Piazza del Borgo di Mezzo l’ultimo sabato e domenica di ogni mese.


13 maggio 1981 Suor Rita e Giovanni Paolo II

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ono nata soltanto qualche ora prima che Giovanni Paolo II subisse l’attentato da parte di Alì Agca. Era il 13 maggio del 1981 ed intorno alle 17.20 in una piazza San Pietro gremita di turisti e pellegrini, il pontefice veniva raggiunto dagli spari del terrorista turco che a soli tre metri circa di distanza, puntava l’arma senza riuscire ad uccidere. In molti si sono chiesti come sia stato possibile che una persona così esperta come doveva essere Alì Agca, non sia stata capace di andare a segno da una distanza così ravvicinata: Giovanni Paolo II infatti venne subito trasportato all’Ospedale Agostino Gemelli di Roma e qui nonostante le gravissime condizioni in cui versava, riuscì a salvarsi. Il professor Francesco Crucitti, chirurgo che operò il papa in quel giorno, dichiarò che il proiettile aveva effettuato una strana traiettoria a zig zag che aveva permesso di evitare gli organi vitali. In che modo Suor Rita, una monaca agostiniana del monastero di Santa Croce sull’Arno, centro della provincia di Pisa, può essere collegata con tutto questo? E’ proprio una testimonianza del terrorista turco, avvenuta durante i molti interrogatori, a fornirci questa probabile relazione. Alì Agca raccontò di essere stato disturbato nella sua azione da una suora che in quel pomeriggio di maggio gli si era letteralmente aggrappata al braccio, disturbando la sua azione. Le indagini svolte riscontrarono che l’unica religiosa presente in piazza San Pietro nelle vicinanze dell’attentatore fu Suor Lucia Giudici, la quale dichiarò però di aver bloccato Alì Agca soltanto durante la sua fuga e che questo si trovava distante di una decina di metri. L’interrogativo torna allora al punto di partenza: chi bloccò il braccio dell’attentatore, impedendo di sparare il terzo e decisivo colpo? Ed ecco che la vita di Suor Rita entra in rapporto con quella di Giovanni Paolo II. Nel maggio del 2006 padre Franco d’Anastasio, che vive nel santuario della Reality

Madonna della Stella di Montefalco in provincia di Perugia, amico e confidente spirituale della monaca agostiniana, rilasciò una dichiarazione attraverso un atto notarile nella quale raccontò che Suor Rita verso la fine del 1981 gli aveva parlato dell’attentato dicendo “…la Madonna ed Io abbiamo deviato con le nostre mani quella dell’attentatore del papa..” e chiedendo di non divulgare a nessuno queste notizie prima della sua morte. Tutto questo sarebbe avvenuto attraverso il fenomeno della bilocazione, la capacità soprannaturale di trovarsi contemporaneamente in più luoghi, dono che sia suor Rita che Padre Pio dichiararono di avere in vita e che molte persone testimoniarono attraverso le proprie vicende di guarigione. Suor Rita che era nata in provincia di Napoli, a Cercola il 3 aprile del 1920 come Cristina Montella, trascorse gran parte della sua vita nel monastero di Santa Cristiana a Santa Croce sull’Arno in provincia di Pisa. Vi arrivò il 10 agosto del 1940, e dopo avervi trascorso un anno si recò a Radicondoli per poi far ritorno nella cittadina santacrocese nel 1942, dove divenne monaca conversa con il nome di Suor Rita dello Spirito Santo e visse fino alla morte avvenuta il 26 novembre del 1992. La sua figura è circondata da un alone di misticismo, che nel tempo ha portato molte persone ad occuparsi della sua vita, che come abbiamo visto si trova al centro di eventi e relazioni importanti. Già nel 1934, prima ancora di diventare monaca le era apparso in bilocazione Padre Pio, avvenimento che dette inizio ad “una costante frequentazione spirituale tra i due”. Fu Padre Pio a chiamare suor Rita “la mia bambina”. Oltre ad Antonio Socci, si sono occupati della vicenda di Suor Rita anche la nota scrittrice Cristina Siccardi, con la pubblicazione “La «bambina» di padre Pio Rita Montella” edita da La Città Ideale 2003, il nipote Arcangelo Aurino con varie pubblicazioni, e nel 2008 su Rete 4 all’interno di una puntata della trasmissione Top

TEXT Tamara Frediani

Secret, è stata ampiamente trattata la vicenda relativa all’attentato. L’interpretazione di questi fatti è naturalmente personale; lo stesso gruppo di “Amici di Suor Rita” nel divulgare informazioni, e nel raccogliere materiale relativo alla vita della monaca dichiara di non voler in nessun modo essere in contrasto con la Chiesa Cattolica e che se la competente Autorità Ecclesiastica dovesse farne richiesta sarebbe pronto a modificare o annullare il contenuto delle informazioni divulgate , specificando anche che ai fenomeni soprannaturali esposti va prestata una fede solamente umana. Ognuno in base alla propria formazione e alla propria fede darà una diversa interpretazione della vicenda; quello che è certo è che come ha detto il giornalista Claudio Brachino durante la trasmissione televisiva andata in onda lo scorso anno, tutta la vicenda dell’attentato a Giovanni Paolo II avvenuto il 13 maggio del 1981, è caratterizzata da una “suggestione mistica che non si riesce a dissolvere”. Note: Antonio Socci, Il segreto di Padre Pio, Rizzoli, 2007 Link: www.suorritamontella.com


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Lo scaffale dei poeti

Eugenio Montale dagli Ossi di Seppia alle Occasioni TEXT Valerio Vallini

U

Eugenio Montale

go Friedrich, nelle considerazioni preliminari al suo “La struttura della lirica moderna” pubblicata nel 1956 ad Amburgo, così si esprime: “La lirica europea del XX secolo non è davvero facilmente accessibile. Essa parla per enigmi e oscurità”. Cita fra le altre, un’affermazione notissima di Eugenio Montale: “Nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quello di farsi capire”. Non si può certamente negare che ci sia molta oscurità nella poesia di Montale dagli Ossi di seppia alle Occasioni alla Bufera, ma contro questa etichettatura del Montale “ermetico”, basta riflettere che il nucleo dell’ermetismo va dal saggio “Letteratura come vita” di Carlo Bo, del 1937, a “Chimera” di Luzi, fino a Bigongiari. Quindi l’ermetismo come “scuola”, come clima culturale e linguaggio comune, fu posteriore al Montale degli Ossi di seppia e contemporaneo alla scrittura delle Occasioni. Detto questo, cercherò di evidenziare quanto Montale sia tributario della tradizione pascoli-dannunziana e dove invece emerga il Montale autentico. Gli Ossi di seppia che uscirono nel 1925, e che dovevano intitolarsi “Rottami”, presero, per fortuna, il titolo di Ossi di seppia da alcune parole della poesia Riviere che è l’ultima della raccolta.

Reality

“Oh allora sballottati / come l’osso di seppia dalle ondate / svanire a poco a poco; / diventare / un albero rugoso od una pietra / levigata dal mare... E’ noto che gli Ossi sono dominati dal rifiuto della sacralità della parola capace di attingere ad una verità assoluta (ed in questo senso sono addirittura antiermetici) e da una volontà di negazione. “Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Ecco allora i motivi del male di vivere. Questa negatività da un lato si dialettizza con l’opposta figura di vitalità rappresentata dalla natura, dal paesaggio e dal mare ligure; dall’altro si apre alla “attesa del miracolo” un miracolo laico come ad esempio proprio in apertura degli Ossi. “Un rovello è di qua dall’erto muro. / Se procedi t’imbatti / tu forse nel fantasma che ti salva: / si compongono qui le storie, gli atti / scancellati pel giuoco del futuro.” Dove “fantasma” è la donna, la poesia, i morti, l’amore, la fede intellettuale. Sul piano del linguaggio poetico il debito verso D’annunzio è immenso non solo riguardo al lessico, ma alla sintassi e alla stessa metrica. Un D’Annunzio al quale Montale ha attinto direttamente. Montale stesso osserva “... D’Annunzio è presente in tutti perché ha sperimentato o sfiorato tutte le possibilità lingui-

Nato a Genova il 12 ottobre 1896, morto a San Felice a Ema nel 1981. Si diplomò ragioniere: titolo che tenne accuratamente nascosto. Non nascondeva la sua passione per il bel canto: studiò da baritono, sia negli anni della prima giovinezza (1915), sia dopo la guerra. Nel 1916 esordì nel “suo secondo mestiere” (giornalista), sul Piccolo di Genova. Congedato dal fronte della Grande Guerra torna a Genova dove conosce e frequenta Sbarbaro. Nel 1925 la sua prima raccolta organica “Ossi di Seppia” segnò una tappa fondamentale nella poesia del Novecento. Negli anni trenta frequentò l’ambiente delle Giubbe Rosse dove conobbe fra gli altri: Bonsanti, Nannetti, Vittorini, Timpanaro, Loria, Carocci che facevano capo alla Rivista Solaria. Nel 1975 gli fu assegnato il Nobel per la poesia “Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”. Nel dopoguerra collabora a Firenze a La Nazione del Popolo ed è condirettore del quindicinale Il Mondo. Nel 1948, a Milano, è assunto come redattore del Corriere e nei primi tempi divide la stanza con Indro Montanelli. Contemporaneamente sul Corriere d’informazione torna al suo antico amore come titolare della critica musicale.

stiche e prosodiche del nostro tempo. In questo senso non avere appreso nulla da lui sarebbe un pessimo segno”. In che modo Montale abbia attraversato D’Annunzio, basta vedere negli Ossi alcuni pochi esempi fra gli innumerevoli che potrei citare. In Falsetto -”Esterina i vent’anni ti minacciano, / grigiorosea nube... Poi dal fiotto di cenere uscirai / adusta più che mai, / proteso a un’avventura più lontana / “/ l’intento viso che assembra / l’arcera Diana /”. E in - Gloria del disteso mezzogiorno che in una sua confidenza al poeta Barile nel 1924 è definito il migliore degli Ossi e che allora fu “battezzato” Meriggio. Si faccia attenzione a parole come parvenze, aggettivi come falbe, sostantivo come reliquia e tutto il tono della poesia. E’ naturalmente un D’annuzio non retorico, rovesciato nell’andamento colloquiale dove la sonorità è resa asciutta. E’ montale insomma! E leggiamo ancora da Tentava la vostra


Eugenio Montale con Carla Fracci

In limine

Felicità raggiunta, si cammina

Godi se il vento ch’entra nel pomario vi rimena l’ondata della vita: qui dove affonda un morto viluppo di memorie, orto non era, ma reliquiario.

Felicità raggiunta, si cammina per te su fil di lama. Agli occhi sei barlume che vacilla, al piede, teso ghiaccio che s’incrina; e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Il frullo che tu senti non è un volo, ma il commuoversi dell’eterno grembo; vedi che si trasforma questo lembo di terra solitario in un crogiuolo.

Se giungi sulle anime invase di tristezza e le schiari, il tuo mattino è dolce e turbatore come i nidi delle cimase. Ma nulla paga il pianto del bambino a cui fugge il pallone fra le case.

Un rovello è di qua dall’erto muro. Se procedi t’imbatti nel fantasma che ti salva: si compongono qui le storie, gli atti scancellati pel giuoco del futuro.

mano la tastiera: “Compresi che tutto, intorno, s’ inteneriva/ in vedervi inceppata inerme ignara/ del linguaggio più vostro: ne bruiva/ oltre i vetri socchiusi la marina chiara”, viene in mente la Sera Fiesolana “Dolci le mie parole nella sera/ ti sien come la pioggia che bruiva”. Ci sono poi temi e luoghi dannunziani: in Cigola la carrucola del pozzo - dove nel Notturno di D’Annunzio si legge: odo stridere la carrucola del pozzo -. Ognuno avrà occasione di osservare dalle sue letture del poeta come taluni momenti iniziali dell’esperienza montaliana si costituiscano sopra uno sfondo di abitudini linguistiche e di modelli tematici in cui si sovrappongono e si fondono apporti pascoliani e dannunziani e crepuscolari (gozzaniani) ecc. Con Le Occasioni (1928-1939), si può dire che inizia il Montale davvero europeo ed è con le Occasioni che il distacco dall’esperienza dannunziana procede parallelo alla decisa rottura con abitudini tradizionali di scrittura. E’ indicativa la massiccia e quasi programmatica acquisizione di lessico medio: (lessico antipoetico: parole come megafono, riflettori, autocarri, pista, commesso, impiantito), e una precisa presa di contatto con correnti e rappresentanti fondamentali della moderna poesia e letteratura europea: si pensi ad Eliot: dei “Quattro Quartetti” in particolare - La casa dei doganieri, in questa prima fase delle Occasioni è legata anche formalmente al mondo degli Ossi. Nelle Occasioni c’è un affidarsi alle emergenze della propria biografia e cronaca privata opposte alla insensatezza e barbarie della storia: sono gli anni del nazi-fascismo e dell’at-

Cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! Va, per te l’ho pregato, - ora la sete mi sarà lieve, meno acre la ruggine…

Da “Ossi di seppia” Spesso il male di vivere ho incontrato Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Gloria del disteso mezzogiorno Gloria del disteso mezzogiorno quand’ombra non rendono gli alberi, e più e più si mostrano d’attorno per troppa luce, le parvenze falbe. Il sole in alto. – e un secco greto. Il mio giorno non è dunque passato: l’ora più bella è di là dal muretto che rinchiude in un occaso scialbato.

Il balcone Pareva facile giuoco mutare in nulla lo spazio che m’era aperto, in un tedio malcerto il certo tuo fuoco. Ora a quel vuoto ho congiunto ogni mio tardo motivo, sull’arduo nulla si spunta l’ansia di attenderti vivo. La vita che dà barlumi è quella che sola tu scorgi. A lei ti sporgi da questa finestra che non s’illumina. Da “Le Occasioni” LINDAU La rondine vi porta fili d’erba, non vuole che la vita passi. Ma tra gli argini, a notte, l’acqua morta logora i sassi. Sotto le torce fumicose sbanda sempre qualche ombra sulle prode vuote. Nel cerchio della piazza una sarabanda s’agita al mugghio dei battelli a ruote. Non recidere forbice quel volto

L’arsura in giro; un martin pescatore volteggia su una reliquia di vita. La buona pioggia è di là dallo squallore, ma in attendere è gioia più compita.

Non recidere, forbice, quel volto, solo nella memoria che si sfolla, non far del grande suo viso in ascolto la mia nebbia di sempre. Un freddo cala... Duro il colpo svetta. E l’acacia ferita da sé scrolla il guscio di cicala nella prima belletta di Novembre.

tesa della guerra. Ne deriva l’oscurità che l’autore ha giustificato con un eccesso di confidenza nella propria materia. Si è detto che Montale pur essendo fortemente debitore di molti stilemi, di molto lessico, di molti temi, di molta metrica a D’annunzio, tuttavia lo rovescia. La prima operazione è l’accostamento di toni poetici più quotidiani e dimessi. Questo rovesciamento della poetica e dei modi dannunziani, mi pare si possa sintetizzare già negli Ossi, in questi versi di Non rifugiarti nell’ombra: “E’ ora di lasciare il canneto/ stento che pare s’addorma/ e di guardare le forme/ della vita che si sgretola”.

Va inoltre ricordata la giustificazione di massima che Montale ebbe a dare nel 1928, della sua ricerca ostinata di uno smalto formale prezioso, dichiarando che “poesia non si dà senza un minimo di sensualità espressiva...un libro di versi non regge se a lettura finita non lascia una memoria, un insieme di toni, di armonie, di dissonanze, che rappresentino nel suo aspetto sensibile la personalità del poeta”. Ma tale sensualità espressiva - ed è qui un altro scarto da D’Annuzio - “non vuol sempre dire colore, sfarzo, scintillìo, ma può essere benissimo secchezza, nervosità, senso dell’essenziale”. Reality


Racconto

Amourang Amourang Amourang La seconda puntata del racconto di Matthew Licht

L

’uomo che gestiva il Sea Empress aveva esattamente l’aspetto del tipo di persona che avrei voluto essere quel fine settimana. Gli occhi di un azzurro latteo come il mare, indossava solo un paio di calzoncini e delle ciabatte di gomma infradito. Mi chiese di tenergli la sua piccina nuda mentre lui e Zabba si cimentavano nella cerimonia del checking-in. Non c’era traccia di sua moglie, madre di quella bebè serena. La signora che gestiva il negozio di liquori era alta e aveva un corpo spigoloso. Con tono lievemente preoccupato, mi chiese se intendevo mandare giù tutta quella roba da solo. Mi chiamò “tesoro” e infilò una bottiglia di hooch al frutto della passione in uno dei sacchetti di carta. Me la scolai prima di avviare il motore e buttai la bottiglia vuota sul sedile posteriore. Sulla via del ritorno mi smarrì. Vidi il mio primo alligatore selvatico; sembrava uno stronzo spettacolare steso sull’erba secca sovrastante un canale. Dopo aver individuato l’oceano, parcheggiai accanto a un molo pubblico e camminai fino a raggiungere il punto dove parecchie famiglie di colore stavano pescando. Enormi navi mercantili disegnavano una coda di traffico ben distribuito punteggiato di grandi navi bianche da crociera che entrava e usciva dal porto degli Everglades. Entrambi i tipi di vascello apparivano sovraccarichi, goffi, torvi. Dal fondo del molo, per via delle sue balaustre color schiuma marina, riuscì a scorgere il Sea Empress Motel. Quando vi tornai, Nibs era già arrivata. Solo lei avrebbe potuto affittare quella decappottabile fucsia. Aveva lasciato le sue borse – ben tre grosse per soli tre giorni – incustodite sul sedile posteriore. Per essere gentile, gliele portai su in camera. O forse aveva pensato che gliele avrei comunque portate. La nostra suite sembrava la scena di un delitto orgiastico. Indumenti femminili erano sparsi ovunque. M’immaginavo le due amiche, non più ragazzine, mentre si spalmavano strati preliminari di creme

Amourang

antisolari e provavano varie combinazioni di costumi da bagno e prendisole cercando l’approvazione dell’altra. Depositai i bagagli di Nibs sul letto dell’altra camera, impilai le birre nel frigo, m’infilai i pantaloncini da surf e preparai il primo round di piña coladas potentissime in bicchieri di plastica. Uscì sulla terrazza a prua e, dopo qualche minuto, scorsi le mie due compagne per il weekend. Erano sedute su delle sdraio sotto a delle palme da cocco, con uno sfondo verde brillante di vegetazione a foglie tonde. La parola “per sempre” pronunciata da Nibs con quel tono da sirena stridula, mi colpì le orecchie mentre mi avvicinai, un po’ goffamente, con i drink. Le donne si ammutolirono, osservandomi senza tradire emozioni dietro i loro occhiali da sole grandi come schermi cinematografici. Le stavo disturbando. Distribuii i bicchieri di plastica. “Ciao Nibs. Mi spiace terribilmente per Tom. Ma sono contento che tu sia potuta venire. Sono contento che tu sia qui. Sei bellissima. Tutt’e due lo siete.” Nibs si alzò lentamente dalla sedia a

sdraio. E’ una donna alta. Mi mise le braccia attorno alle spalle e mi strinse a sé, forte. Sentivo i suoi seni, bagnati e freddi da una nuotata recente, pigiati contro il mio petto. Si spinse più in là: anche il suo pube si spingeva in avanti e si dimenava un po’ contro di me. Poi sentii che della piña colada scivolava lungo la mia schiena e mi colava fredda dentro i pantaloncini. Nibs fece finta di essere mortificata e si scusò. Anche se avevo una gran voglia di versare il mio drink sulla sua pettinatura, glielo porsi in segno di riappacificazione. Stavo avendo a che fare con una donna diventata di recente vedova; tendono, comprensibilmente, ad avere un comportamento erratico. “Alla vostra”, dissi, “ne preparerò ancora tra un minuto; ma prima ho voglia di fare una nuotatina veloce. Scusatemi, fanciulle.” Mentre correvo verso la riva, sentii dire, “Ah, non è un tesoro?” Contai cinquanta bracciate prima di tuffarmi sott’acqua, ad occhi aperti, per afferrare una manciata di sabbia dal fondo – era un’abitudine della mia infanzia; la prova che ero riuscito a toccare il fondo. Riemersi lentamente alla superficie e volsi lo sguardo verso la spiaggia per guardare mia moglie e la sua amica. Mi trovavo a parecchie centinaia di metri dalla riva, ma le due donne non stavano cercando di scorgere la mia testa nell’acqua. Nuotai disegnando un arco nell’acqua ed emersi dalle onde sul lato opposto del motel, dove si trovava una doccia all’aperto. Su in camera, accesi la TV e mi preparai un’altra piña colada. Forse ne presi uno o due sorsi. Mi accomodai su una sedia con il mio cocktail tropicale e guardai parte di un programma di danza, poi tagliai a fettine alcuni piccoli lime amari e tornai sulla spiaggia con tre birre fredde messicane in altrettanti bicchieri di plastica. “Sta cercando di farci ubriacare”, disse Nibs. Non dovevo sforzarmi più di tanto. Dodici birre, una grande lattina di succo


d’ananas, mezzo litro di crema di cocco color perla, vischiosa, da arresto cardiaco, si mescolarono e furono mandati giù in un baleno insieme a mezzo litro di rum. Al tramonto, dato che non ce la sentivamo né di guidare né di fare da passeggeri, facemmo una passeggiata e cenammo in un posto noto come Le Beache Combeur. I tavoli erano tutti all’aperto, all’ombra di mangrovie sgocciolanti e fichi d’India. Patate fritte rammollite, pezzetti di hamburger, rimasugli d’insalata, e cracker venivano gettati a mare da cameriere e clienti per essere rumorosamente divorate da un banco di tarponi mostruosi che si aggirava per la baia sottostante la terrazza del ristorante. Non avevo mai visto dei tarponi, salvo sotto uno strato spesso di vernice in certi bar. Avevo pensato a loro come un tipo raro, esotico di preda da pescare – avversari tosti ed elusivi per uomini pettoruti che lottavano con canne da pesca piegate pericolosamente. Invece, ecco che guizzavano via come lunghi fantasmi grigi, ingozzandosi di spazzatura proprio come uno stuolo di pesciolini. Il rientro allo Sea Empress diede il via alle lacrime. La mezzanotte era già passata che ci trovavamo spaparanzati sulle sdraio della terrazza, a seguire con lo sguardo le luci delle navi che andavano e venivano dal porto. Nibs sussurrò: “Tom mi portò a Catalina per il nostro primo appuntamento. A bordo di un idrovolante. Non vi sembra un gesto speciale?” Poi si scatenarono i giochi d’acqua al femminile – i pianti a dirotto, i singhiozzi e i sussulti, gli abbracci e le carezze confortanti. Andai in camera da letto e mi spogliai: mi slacciai i pantaloncini e li lasciai cadere a terra. Poi mi buttai sul letto. Non so per quanto tempo ho potuto godere del mio stato d’incoscienza. La porta si aprì. Una persona balzò e si arrotolò sul materasso, seguita da un’altra. Non ero, se ben ricordo, molto felice di diventare bruscamente consapevole di mal di testa, bocca secca e nausea, ma quasi immediatamente fui sopraffatto da due corpi femminili, con tutti i loro penzolamenti e orifizi. Mi svegliai io per primo. Mi svincolai da quel groviglio e uscii a fare una passeggiata sulla spiaggia. Ma prima di avventurarmi, feci una nuotata. Mi sentivo sgradevolmente appiccicoso e avevo addosso un odore alieno. L’acqua era tiepida, l’alba rosso-rosata dietro alcune nubi grigio-viola. Mi sembrava di fluttuare in un’enorme conchiglia color papaia. La marea era al suo livello più basso; detriti marini erano sparsi sulla sabbia bianca. Mi misi a raccogliere conchiglie e trovai un piccolo pesce rosso carino con occhi neri sporgenti. Il ventre rosa del pesce era teso in modo grottesco. Mentre mi chinai in avanti per ispezionarlo meglio, fui colto da un giramento di testa e la voglia di vomitare. Notai che dalla bocca del pesce morto protrudevano un paio di sottili antenne, come baffi sottili: quel piccolo ingordo si era fatalmente ingolfato di un gamberetto quasi grosso quanto lui.


Salute

Droga

cura e fonte di ispirazione?

TEXT Brunella Brotini

G

ià 5.000 anni fa i sumeri e gli assiro-babilonesi conoscevano il papavero da oppio che su un papiro egiziano viene raccomandato come sedativo.

Dai sumeri a Pulp Fiction, un viaggio da sballo nella storia dell’oppio e dei suoi celebri consumatori Nell’Odissea si parla del loto, dolce fiore che faceva perdere la memoria. Verso l’anno 1000 il grande medico Avicenna introdusse il papavero nella farmacopea araba e, secondo un suo discepolo, fu proprio il suo abuso a causare la morte del maestro. Sempre una intossicazione da oppio causò la morte di Paracelso (1541) che aveva inventato il laudano, praticamente una tintura di oppio. Nella seconda metà del Medio Evo il consumo di oppio era altissimo in tutta l’Europa e la Santa Inquisizione ne vietò l’uso anche a scopo terapeutico. Il

Reality

laudano, arricchito di scherry e zafferano, veniva usato come sedativo della tosse, contro la diarrea ed i dolori di intestino. Poi nell’800 prende campo l’idea che l’oppio sia fonte di ispirazione letteraria (“Le confessioni di un mangiatore d’oppio” di De Amincey). Anche Honoré de Balzac ne fu consumatore insieme alla poetessa Gorge Sand e pure Edgar Allan Poe, pioniere del genere horror. Consumatori di hashish, per alimentare la loro fantasia, furono Dumas padre e Baudelaire. Nella Parigi dell’epoca fu fondato addirittura il Club de Les Hashishins.

Cocainomane invece Robert Louis Stevenson che probabilmente scrisse “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde” sotto l’effetto della droga. Oppiomane fu Jean Cocteau. Gli stupefacenti hanno avuto un peso decisivo su tutti gli autori della Beat Generation, uno per tutti il “Pasto nudo” di Burroughs - 1959. Ken Kesey, guru psichedelico degli anni sessanta, scriverà “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Vale ricordare anche “Paura e disgusto a Las Vegas” - 1971, delirante reportage di Hunter Thompson, scritto oltretutto


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durante una conferenza contro la droga. Grandi quantità di cocaina vengono consumate dagli Yuppies degli anni ottanta nei romanzi di McInerney; grande successo ebbe nel 1993 Trainspotting. Vi ricordate la scena in Pulp Fiction di Quentin Tarantino in cui Jon Travolta fa l’iniezione di adrenalina a Huma Turman in overdose? E oggi? Oggi, mentre dal punto di vista sanitario non ci sono ostacoli all’uso di morfina nella terapia del dolore, (per gli oppiacei minori basta addirittura il ricettario regionale), come “Musa” la droga ispira ragazzi sempre più giovani allo sballo, alla ricerca di un piacere tanto effimero quanto devastante per il corpo e lo spirito.

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[...] Sulla collina di San Miniato, sotto al sole d’oro che dicevamo, si levano agili e squadrate le due torri: più in alto quella di Federico II, con la cima diroccata, simbolo della città e della sua storia; di poco più in basso l’altra torre, quella di Matilde, con gli archetti pensili che sembrano un po’ la corona che cinge la testa della famosa contessa dalla quale prende il nome. Intorno il verde cupo o argentato delle chiome degli alberi che scendono giù verso la pianura seguendo il crinale tufaceo e lasciando sempre più spazio agli oliveti e ai campi coltivati. Dalla torre di Federico sembra di poter toccare il cielo: con lo sguardo, raggiungi San Gimignano, Montaione, Palaia e, laggiù sull’ultima cresta verso sud, Volterra. A nord lo spazio aperto della valle dell’Arno. [...]

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Padre Virgilio Bianchi nacque ad Arlia Fivizzano (Massa Carrara) il 29 giugno 1920. Dopo gli studi vestì l’abito francescano e fece l’anno di noviziato a Cortona. Fu ordinato sacerdote nel 1943. In considerazione della sua esperienza pastorale fu nominato nel 1979 Commissario in Terra Santa. Questo libretto è un frutto spirituale e di solidarietà con i cristiani di Betlemme e di Gerusalemme. Leggerlo è una sorpresa e una gioia poiché da esso emerge l’amore e la profonda conoscenza che Padre Virgilio Bianchi aveva della Terra Santa.


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“Cibo contro natura” è un libro scomodo, un libro che forse non si sarebbe mai voluto leggere, perché ci prospetta un cammino difficile e una strada quasi senza speranza. È purtroppo un elenco di cose perdute, mai sostituite e sicuramente ormai non recuperabili. Ma è anche un libro vero, un libro che apre gli occhi e la mente su una realtà divenuta anche per colpa nostra ineluttabile che ci coinvolge e tenta, anche con successo, di travolgerci.

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Emanuele Libonati bussa alla porta di casa Grandi il 7 Gennaio 1982. Chiara Grandi è nata proprio il 25 dicembre 1981 e sarà lei che Emanuele visiterà ogni inverno per monitorarne crescita, evoluzione e pensieri. Il tempo passa, Chiara cresce da adolescente inquieta, all’ombra di una madre presente, ma profondamente segnata dagli accadimenti del passato. Emanuele è sempre accanto a loro, legato alle due donne da un filo misterioso che intreccia i loro destini fino al 2028, quando finalmente ognuno troverà le risposte che da sempre cercava…

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RICORDI

Edizioni: LabArtArc

La riscoperta delle proprie radici rappresenta un bisogno tipico della condizione adulta in un mondo che sembra spesso voler cancellare il passato, i ricordi, il ruolo insostituibile della memoria. Tutto è infatti concentrato su un presente carico di indubbie potenzialità e attrazioni, ma anche di innumerevoli rischi, non ultimo quello della perdita dell’identità e dell’appartenenza a un solido tessuto di valori e tradizioni, apparentemente sopiti, ma pronti a rinvigorirsi se sollecitati, perché ormai parte integrante della nostra esistenza. E’ questo il senso del breve racconto della vita dei “ragazzi del campino” in un Pinocchio ben diverso dalla San Miniato Basso di oggi e nel quale potranno riconoscersi tanti che, come l’Autore, sono cresciuti nello spazio vivace della Parrocchia, liberi da condizionamenti di ogni tipo, dove era facile incontrarsi e scontrarsi, conoscersi, diventare e rimanere amici. Marzio Gabbanini, medico-chirurgo specializzato in Urologia, Chirurgia d’Urgenza e Chirurgia Generale presso l’Università degli Studi di Pisa, è dirigente medico di II° livello nella U.O.C. di Urologia AUSL 11 Empoli.

la vetrina di Reality


Cinema

Festival Internazionale del Film di Roma

TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni

C

on la cerimonia di premiazione nella Sala Sinopoli dell’Auditorium, si è conclusa la quarta edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma. La giuria, guidata dal regista Milos Forman ha attribuito il Marc’Aurelio d’Oro al miglior film a Brotherhood, pelli-

Ancora insieme la coppia dell’anno, George Clooney ed Elisabetta Canalis, apparsi sul red carpet in occasione della presentazione del film “Up in the air” cola del danese (di origini italiane) Nicolo Donato incentrata sull’amore impossibile tra due ragazzi gay membri di un gruppo neonazista. Donato, che può vantarsi di aver sconfitto nomi del calibro di Margarethe von Trotta e Jason Reitman, definendo la sua opera “una storia d’amore senza speranza, un archetipo che risale

Reality

a Romeo e Giulietta”, afferma di essere già al lavoro su un nuovo progetto con Sergio Castellitto. L’attore italiano, sposato con la scrittrice Margareth Mazzantini, ha ottime ragioni per abbandonare felicemente la kermesse romana. La sua interpretazione in “Alza la testa” di Alessandro Angelini gli è valsa il Marc’Aurelio d’Argento della Giuria al migliore attore. Tra le presenza femminili più significative di quest’anno l’attrice Maryl Streep.

A 60 anni già compiuti, la pluripremiata attrice statunitense - 2 Oscar, 6 Golden Globes, e 60 premi ricevuti dai festival internazionali più prestigiosi - è ancora sulla cresta dell’onda, complici soprattutto gli straordinari incassi dei suoi due ultimi film “Il Diavolo veste Prada” e “Mamma mia”, ciliegine sulla torta di una carriera iniziata nel 1977 e costellata di pellicole indimenticabili come Kramer contro Kramer, Manhattan, La mia Africa,


I ponti di Madison County, giusto per citarne qualcuna. Considerata dalla critica una delle attrici viventi più talentuose, la Streep è arrivata al Festival del Cinema di Roma per ricevere il Marc’Aurelio d’oro alla carriera. La kermesse romana è stata anche l’occasione per presentare in anteprima al pubblico la sua ultima fatica cinematografica, la commedia culinaria “Julie & Julia”, la vera storia della cuoca più famosa d’America, Julia Child, scritta e diretta da Norah Ephron. Altra grande presenza femminile è stata quella di Helen Mirren, insignita del Marc’Aurelio d’Argento della Giuria alla migliore attrice. In un perfetto italiano, l’attrice britannica ha ringraziato il cinema italiano. E proprio il cinema italiano, tanto apprezzato dalla Mirren, dimostra di godere ancora di buona salute. Lo confermano i tre premi conquistati da “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti, sulla strage di Marzabotto: il Premio “La meglio gioventù”, consegnato dal Ministro della Gioventù Giorgia Meloni; il Gran Premio della Giuria Marc’Aurelio d’argento e il Marc’Aurelio d’Oro del pubblico. La manifestazione romana ha visto trionfare anche “Sons of Cuba” di Andrew Lang, Miglior Documentario per la sezione L’Altro Cinema – Extra, che racconta l’esistenza commovente dei giovanissimi pugili de l’Havana Boxing Academy, la scuola che sforna i campioni di pugilato cubani, da quarant’anni imbattuti ai giochi olimpici. Tante le anteprime e gli eventi speciali tra cui l’omaggio al defunto Heath Ledger con la presentazione dei suoi inediti da regista e la proiezione del suo ultimo film da interprete “The Immaginarium of Doctor Parnassus”, la maratona Red Riding Trilogy, crime-thriller che proviene dalla tv inglese, l’evento “Popieluszko il cappellanno di Solidarnosc” con l’intervento di Lech Walesa. Non sono mancate le mostre fotografiche come quella dedicata al grande regista di we-

stern Sergio Leone dal titolo “Il ruggito del maestro”; La mostra (visitabile fino al 30 gennmaio) evoca l’atmosfera dei set dei film di Leone, nonchè alcune peculiarità della sua tecnica cinematografica; le fotografie ritraggono poi alcuni degli interpreti più intensi dei suoi film. Pioniere del fortunato genere dello spaghettiwestern, Sergio Leone è considerato uno dei più importanti registi della storia del cinema nonchè un modello per alcuni dei più importanti nomi dei nostri tempi, come Tarantino, Martin Scorsese, Brian De Palma, e Stanley Kubrick, il quale dichiarò che senza il suo esempio non avrebbe mai realizzato Arancia Meccanica. Da citare infine lo spot “Omaggio a Roma”, per la regia di Franco Zeffirelli, un cortometraggio interpretato da un grandissimo protagonista della musica italiana come Andrea Bocelli realizzato per la promozione di Roma nel mondo. Il Comune di Roma ha preseguito anche quest’anno nell’impegno sociale all’interno del Festival attraverso la collaborazione con iniziative promosse da Telethon, Fao, Unicef, Greenpeace, Legambiente ed A.n.g.e.l.s. Quest’ultima onlus, promossa dalla giovane imprenditrice Benedetta Paravia, che si occupa della cura in Italia dei bambini provenienti da zone di guerra, ha istituito il premio “Giovani per la fratellanza” consistente in un prezioso bracciale della collezione Brotherhood, sons of the same Father”, da lei stessa disegnato e realizzato in collaborazione con la Gioielleria Bedetti, che simboleggia la fratellanza tra le tre religioni monoteiste.

Nella pagina precedente: la cerimonia di chiusura del festival; Valeria Solarino e Isabella Ragonese; Sergio Castellitto; Amanda Sandrelli, Alessandro Haber, Stefania Sandrelli. In questa pagina: Franco Zeffrirelli ed Andrea Bocelli; Helen Mirren; Meryl Streep e Gianni Alemanno; Bendetta Paravia con il ministro La Russa, Franco Di Mare, Marcello Bedetti, Giacomo Frati. Sulla destra George Clooney ed Elisabetta Canalis. Qui a fianco: il cast di “Oggi Sposi” Moran Atias, Gabriella Pession, Carolina Crescentini, Isabella Ragonese; Gabriele Muccino, Mario Sesti, Giuseppe Tornatore; Richard Gere.


e r o t a n r To

Interviste

Sicilia cara

TEXT Carla Cavicchini

L

a voce è calda e pacata, ed il sorriso perenne racconta di un Tornatore felice, felice d’essere a Firenze, una città che ama moltissimo e che contiene.. molti amici. “Son qui per presentare ‘Baaria’, in questo cinema, Odeon, semplicemente bellissimo, stracolmo di persone. Qui ho rapporti di lavoro, collaborazione, con tutte le varie realtà che hanno cadenzato ciclicamente la mia vita, grazie a iniziative ed esperienze che conservo nella memoria collettiva. Vengo spesso da Alinari, con loro ho rapporti di collaborazione notevoli, e ringrazio tutti, in particolare anche la Mediateca Regionale, il suo Presidente, Ugo Di Tullio, per l’opportunità che mi è stata concessa. Scalfari su questo mio ultimo lavoro ha fatto un pezzo molto bello, altrettanto Riotta sul “Sole 24 ore”, ed ho letto anche di altre recensioni più che positive. Beh, penso che tutto arricchisce! Come non poter essere contento? Prima di parlare di Cecchi Gori, perché debbo dire anche una cosa in merito, lancio un appello per la salvaguardia delle sale cinematografiche tradizionali; il loro tramonto, e quindi città senza cinema, porterà ad un impoverimento enorme, quale un volto senza occhi”. E’ basilare pertanto trovare nuovi margini, nuove forme di proiezione, per il bene della collettività”. Quanto al produttore sopracitato... sì, qualche anno fa avevo scritto un film, ma era diverso da questo: purtroppo mi fu bocciato, covava paura che fosse troppo politico... troppe bandiere rosse... osservò, e quindi la faccenda non andò in porto. “Personalmente penso che il concetto di politica si sia trasformato; mio padre ci credeva molto ed io a casa respiravo tale pensiero”. Nella pellicola è proprio il padre il protagonista, qual uomo che arranca nei meandri della vita, partito da niente, eppure dignitosisissimo. Nutre speranze, forse non ben raccolte, e tutto questo durante un corso d’anni che presenta uno scorcio

Reality

riflessioni, ricordi ed altro

sull’intera comunità, che si muove dagli anni trenta sino a toccar gli ottanta. Già – prosegue il figlio – si va all’opposto... nel film la politica segue l’amore, poiché se non si riaffacciano certi valori, difficilmente andremo avanti, spero che il nostro paese torni ad avere quella fiducia che nutriva una volta” Gli fanno osservare che il suo film oltre ad essere veramente ben fatto, è stato una grande impresa cinematografica. “Beh... i miei produttori si sono innamorati del progetto e quindi siamo andati avanti per ben tre anni. Personalmente faccio film che mi piacciono, in cui credo, ed è per questo che non ne ho fatti tantissimi. Baaria ha avviato una discussione, questo è positivo, riproponendo certi interrogativi sulla storia del nostro paese, raccontata attraverso il quotidiano d’una famiglia all’interno di un microcosmo quale quello della provincia. Non ho voluto raccontare l’Italia, anche se inevitabilmente la storia ufficiale arriva, se ne sente l’eco. Una costruzione narrativa capace di rendere forte ciò che non c’è: l’assenza come immanenza. I protagonisti, parlo di marito e moglie, si sono applicati molto, a mio avviso son stati bravissimi, con la Madè, Margaret, abbiamo lavorato a lungo sul dialetto, su come muoversi, agire, la tecnica... il risultato, ditelo voi! Ci sono molte simbologie . La corsa, questo correre incessante porta verso passioni e utopie, ed i simboli magici, quali quelle delle uova rotte, rappresentano l’allegoria dell’insuccesso quale appunto l’infertilità. I serpenti neri? La proiezione della morte. Sapete, girare a Bagheria, sarebbe stata un’impresa folle: significava chiudere la città per più di otto mesi, rendere inagibile il centro storico... no, una cosa impossibile, e quindi decidemmo di lavorare in Tunisia. La Tunisia è vicina alla Sicilia, i costi non sono stati esorbitanti, è stato speso quello che ci voleva, e quindi…ecco, mettiamo in conto anche tutti i problemi che abbiamo affrontato durante la lavorazione, quali quelle tremende tempeste di sab-

bia che “ci tenevano compagnia” durante le riprese. Un giornalista gli ricorda la famosa frase di Franco Cristaldi: “tu hai pur diritto di vincere l’Oscar, ma gli altri hanno il diritto di odiarti!“. Il grande regista siciliano toglie un attimo gli occhiali coi modi lenti ed eleganti come solo gli uomini di terra sicula lo sanno fare. Capiamo tutti che nel lavoro mette un impegno verosimile e, i fatti, anzi…le immagini, gli danno perfettamente ragione. Baaria interpreta magistralmente luminosità e chiaroscuri tipici, qual opera del nostro uomo del profondo sud. Tra primi piani semplicemente unici, si ricordano la particolarità delle immagini dell’amore clandestino... (ma non troppo!) dentro una baracca semialluvionata con tanto d’ombrello sgangherato che... raccoglie la gocce!, nonché cocenti sospiri amorosi di due bei giovani che fanno sesso, o ‘petting’, se volete, tra “alti ponteggi”. Si, proprio in una sorta di cantiere, catturati dagli alunni colla voglia d’appiccicar il naso ai vetri della scuola per osservar meglio. Ci pensa l’insegnante a… no, ci ripensa e, con una scusa, guarda anch’egli compiaciuto. La carne è carne! Una carne di provincia, verace, colorata, ove si dipanano matti, puttanieri, furbastri, mafiosi, con quel ’grullo’ di Beppe Fiorello dalla faccia emaciata e malinconica, che farfuglia qualcosa continuamente a mò di: ”Atten ai dollari!”


Adesso il grande Giuseppe racconta d’aver preso appunti su cose che lo incuriosivano: ”ho sempre raccolto tutto, leggendo cose false, vere, intuizioni, parole... in testa già da molto tempo avevo blocchi del film; una sorta d’innamoramento in cui da un mondo informe, ho dato corpo a due attori, che considero veri talenti naturali. Molti, gli attori famosi, che mi hanno chiamato per lavorare anch’essi nel film, accettando parti sia pure piccolissime, pur di partecipare. E debbo dire che questo grande gioco corale, divertentissimo di volti conosciutissimi, ha ingigantito la piccola vita di provincia”. Tra poco prendo ‘dieci’. Però ci arrivo più tardi. Tornatore prosegue ricordando la sua gioventù. “Più che ribelle, ero iperattivo. Al Liceo F. Scaduto di Bagheria, mi rifugiavo nella biblioteca durante l’ora di religione e di educazione fisica. Ricordo che accatastai tutti i libri, divertendomi più tardi, a fare cineforum”. Si, il dado era tratto! Lei ha detto che non amava molto l’ora di religione... “No! Non ho detto questo e per favore non lo scriva, anche perché così verrebbe fuori un cattivo rapporto con la stampa e la cosa non mi piace proprio”. Poc’anzi ha detto che, nell’ora fatidica, si allontanava... “Eccoci arrivati al punto! Durante l’ora di religione, poiché non veniva insegnato niente, e quindi si faceva baldoria, preferivo fare altro. Non sono un credente modello ma, nella mia ribellione, ho sempre avuto un rapporto sereno col clero. Ho inoltre molti amici nel mondo religioso, e che professano. Quindi mettiamo i puntini sulle i.” Messi. Maria Grazia Cucinotta raccontando del personaggio Tornatore osserva che lei decrive la Sicilia in maniera diversa da tutti. “Mah... sono la persona meno adatta a dare un simile parere così lusinghiero. Non so, mi fa piacere, penso che sia un giudizio positivo, oddio raccontare in maniera diversa… può essere anche un’altra cosa, però da Maria Grazia colgo il lato molto affettuoso e gliene sono molto grato. Certo che non saprei dire se è vero o meno ciò che lei ha detto, ma penso... e mi sorride con aria più che benevola. No, la mora, procace e bellissima attrice siciliana, non intendeva proprio menzionare tra doppi sensi. E’ Il momento delle foto. Mi avvicino per il consueto click. Poco dopo ci allontaniamo. L’intervista è finita. Saluto Tornatore ed egli con un largo sorriso torna sull’ora di religione. Guardi che non volevo… “Ma no... ci siamo capiti perfettamente. Spero d’incontrarla presto. Complimenti ancora per ‘Baaria’ presentato in prima mondiale lo scorso settembre, in gran pompa magna, all’ultima mostra del Cinema di Venezia. Eppoi perdono il suo piccolo ‘scatto’ se mi chiama per il suo prossimo film! Oddio! Il telefono piange ancora! Ed io che ho lavorato persino con Lizzani!



Teatro

L’universo senza centro Riflessioni amare dalla galleria del Verdi TEXT Federica Cipollini

“M

aledetto sia Copernico! Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni. Storie di vermuc-

In scena al Teatro Verdi di Pisa il Galileo di Brecht ci ormai, le nostre!” Così Mattia Pascal, dalle pagine del rivoluzionario romanzo pirandelliano, tuonava amaro nel 1904. Il crollo del geocentrismo, insomma, avrebbe segnato l’inizio di una profonda e insanabile crisi per l’umanità tutta, costretta a rinunciare al proprio ruolo di protagonista sulla scena del cosmo, per trovarsi dispersa in Universo infinito, senza centro, senza più un posto, nei cieli, da assegnare a Dio. Con le sue teorie Copernico avrebbe rovinato per sempre la possibilità dell’uomo di sentirsi portatore di un valore unico e irripetibile, trasformandolo in un vermuzzo che striscia sulla crosta di uno dei tanti corpi celesti disseminati nel cosmo, e avrebbe così dato origine all’epoca moderna con un terribile trauma. Diversa la lettura di questo evento epocale fornita da Bertolt Brecht nel suo dramma Vita di Galileo, riportato quest’anno sulla scena dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per la regia di Antonio Calenda. Quella che viene messa in scena attraverso la narrazione delle vicende relative al processo subito da Galileo per eresia e alla succesiva abiura delle proprie scoperte sul cosmo, è la storia del conflitto tra un mondo chiuso, immobile e dominato dai poteri forti, quello geocentrico-aristotelico, e un universo infinito, illimitato, che schiude all’uomo una vertiginosa possibilità di sviluppo e conoscenza, rappresentato dal modello copernicano.

Brecht vede nella repressione operata dall’Inquisizione nei confronti di Galileo e dei suoi compagni di scienza, il segno del terrore per le conseguenze delle loro rivoluzionarie scoperte. Tutto l’equilibrio sociale esistente, fatto di rigide gerarchie di potere nobiliare ed ecclesiastico, sarebbe crollato quando l’umanità si fosse resa conto che tale struttura gerarchica non era legittimata dall’ordine stesso dell’universo, che era invece policentrico, illimitato, tutt’altro che immobile e immutabile. Attraverso una scenografia che continuamente ci propone i personaggi sullo sfondo di un cosmo immenso proiettato sulla scena, le vicende umane di Galileo alle prese con il potere che contrasta le sue scoperte, appaiono allo spettatore ancor più tragiche, proprio a causa della loro infinitesima piccolezza nei confronti dell’Universo. Non un eroe romantico, però, il Galileo di Brecht, rappresentato sulla scena dal bravo Franco Branciaroli, ma un uomo piccolo, sensibile ai bisogni materiali, in ultima analisi incapace di sacrificarsi per le proprie convinzioni, tanto da abiurare davanti al tribunale della Santa Inquisizione per evitare la condanna a morte e assicurarsi una vecchiaia tranquilla e pasciuta. L’intellettuale raccontato da Brecht attraverso la storia di Galileo è un uomo, non un superuomo, capace col proprio intelletto di portare avanti illimitatamente gli orizzonti dell’umanità, ma sostanzialmente sotto scacco nei raporti con un potere repressivo, quale quello della Chiesa nel Seicento, quale quello del terzo Reich, ai tempi in cui scriveva l’autore. E’ da questa drammatica consapevolezza che scaturisce la frase più celebre del dramma brechtiano, cifra della triste condizione dell’intellettuale che vive in tempi bui: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi!”. Reality


Teatro

Teatri della Sù il sipario sulla magia del teatro

P

rosa, commedia, danza, concerti, operette, cabaret e letture d’autore nella quindicesima edizione della stagione teatrale de “I Teatri della Versilia”. In tutto 21 eventi portati sul palcoscenico dalle migliori produzioni italiane, sei mesi di programmazione ininterrotta fino al 13 aprile, tre teatri storici - il Comunale di Pietrasanta,

Il Comunale di Pietrasanta, il Politeama di Viareggio e l’Olivo di Camaiore per assicurare al pubblico un cartellone unico il Politeama di Viareggio e l’Olivo di Camaiore - per assicurare al pubblico un cartellone unico, vasto e variegato, nelle forme e nei generi, nei testi e nelle interpretazioni affidate ai grandi nomi popolari del palcoscenico, della tivù e del cinema internazionale. Un miracolo che si rinnova, quello de “I Teatri della Versilia”, grazie alla collaborazione e alle sinergie messe in campo dal Teatro Comunale di Pietra-

Reality

santa attraverso la Fondazione La Versiliana e dal Teatro Politeama di Viareggio con l’Assessorato alla Cultura, e dal Teatro Olivo di Camaiore con la Fondazione “Città di Camaiore”, che danno concretezza al progetto di un polo teatrale versiliese, unico esempio in Toscana, dove non esistono confini geografici, e dove a primeggiare sono la cultura nelle sue espressioni più pure e raffinate e lo spettacolo di qualità. La magia è servita. Tanti i nomi celebri, noti al grande pubblico del piccolo e grande schermo, che saliranno sul palcoscenico de “I Teatri della Versilia” con una nutrita componente “al femminile” tra cui spiccano le stelle di Eleonora Giorgi, Caterina Murino, Monica Guerritore, Mariangela D’Abbraccio, Chiara Noschese, Benedicta Boccoli, Geppi Cucciari e Rossella Brescia. Testi impegnati che spaziano dal classico dei classici shakespeariani a Pirandello, Neil Simon, Giorgio Gaber, Eduardo De Filippo passando per la storia della letteratura italiana con Dante, Leopardi, Morante e Pavese, internazionale con Perrault, Beaumont e De Brunhoff, fino alle riletture e trasposizioni ambiziose

TEXT Andrea Berti di Jorge Amado, Pristley ed Edward Morgan Forster. Tra le stelle “al maschile” Luca Barbareschi, Sebastiano Lo Monaco, Luigi De Filippo, Giulio Bosetti e la pattuglia di comici guidata da Maurizio Crozza, Giobbe Covatta, Enrico Beruschi e Carlo Buccirosso. Di grande prestigio le regie dove troviamo tra le firme Giancarlo Sepe, Gabriele Lavia e Federico Tiezzi. Partita il 13 novembre dal Teatro Comunale di Pietrasanta con il tutto esaurito di “Fiori di Cactus” con Eleonora Giorgi e Franco Castellano (regia Guglielmo Ferro) e all’Olivo con Monica Guerritore (tutto esaurito) il mega cartellone si chiuderà martedì 13 aprile al Politeama di Viareggio con lo show di Giobbe Covatta “Trenta”. A fare da spessore in ordine cronologico un classico della prosa inglese “Un ispettore in casa Birling” (domenica 6 dicembre), di J. P. Priestley con Paolo Ferrari e Andrea Giordana (regia Giancarlo Sepe); l’one man show di Maurizio Crozza “Fenomeni” (Politeama, venerdì 11 dicembre) con le musiche, rigorosamente live, di Silvano Belfiore; i dialoghi gaberiani di “Il caso di Alessandro e Maria” con Luca Barba-


reschi (sua anche la regia) e Chiara Noschese (Comunale Pietrasanta, martedì 15 dicembre); due operette all’Olivo firmate dalla “Compagnia Italiana” con Umberto Scida e Elena D’Angelo, “La Vedova Allegra” per le musiche di Franz Léar (Olivo, giovedì 17 dicembre) e “La Principessa della Czardas” di R. Benatzky e R. Stolz (Olivo, 10 gennaio); il classico targato Eduardo De Filippo “La Fortuna con la effe maiuscola” (Politeama, giovedì 21 gennaio) con Luigi De Filippo; la commedia pirandelliana “nata e mai scritta” (regia Mauro Bolognini) interpretata da Sebastiano Lo Monaco “Il Berretto a sonagli” (Comunale Pietrasanta, mercoledì 13 gennaio); il classico spumeggiante “Molto rumore per nulla” di William Shakspeare (regia Gabriele Lavia) con Lorenzo Lavia, Giorgia Solari e Pietro Biondi (Comunale Pietrasanta, lunedì 25 gennaio); “La strana coppia” Mariangela D’Abbraccio e Elisabetta Pozzi (regia Francesco Tavassi), commedia comica al femminile capolavoro di divertimento uscita dalla penna di Neil Simon (Comunale Pietrasanta, giovedì 4 febbraio); il ritorno dell’icona di “Drive-In” Enrico Beruschi insieme alla conduttrice Patrizia Rossetti (scritto e diretto da Rosario Galli) ne “Chi lo ha detto che gli uomini preferiscono le bionde? (Olivo, sabato 20 febbraio); “Passaggio in India” di Santha Rama Rau (Politeama, martedì 23 febbraio) tratto dal romanzo di Edward Morgan Forster con Giulia Lazzarini, Sandro Lombardi, Massimo Verdastro e Debora Zuin (regia Federico Tiezzi); il balletto “Carmen” (Politeama, lunedì 1 marzo) con la conduttrice-ballerina Rossella Brescia insieme al divo di “Amici” Josè Perez (regia e coreografie Luciano Cannito); la risata contagiosa del comico Carlo Buccirosso in “Vogliamoci tanto bene” (Olivo, mercoledì 3 marzo); il menage a trois della rilettura comedy del romanzo di Jorge Amado “Dona Flor e i suoi due mariti” (regia Emanuele Giordano) con la bellissima attrice di fama internazionale Caterina Murino (Comunale Pietrasanta, domenica 14 marzo); la comicità rosa e zelighiana di Geppi Cucciari nel one-women-show “Si vive una volta. Sola” (Olivo, mercoledì 17 marzo); i “Sei personaggi in cerca di autore” di Luigi Pirandello (Politeama, venerdì 26 marzo) con il maestro teatrale Giulio Bosetti e con Antonio Salines, Silvia Ferretti, Nora Fuser e Marina Bonfigli; la danza moderna dei Keos Dance Project e Compagnia Teatro Sottratto (Fuori abbonamento. Sabato 27 Marzo 2010) di “Hell and Heaven” per le coregrafie di Stefano Puccinelli (regia Stefano Puccinelli e Andrea Elodie Moretti) e Paolo Poli ne il concerto di musica e parole “Favole” tratto da Perrault, Beaumont e De Brunhoff (Comunale Pietrasanta, giovedì 1 aprile). In tutto 21 notti di grande teatro da non perdere con “I Teatri della Versilia”. Cultura e Spettacolo. Il teatro è vita. La vita è teatro.


Musica

Maria Virginia Rolfo Dietro le orme di Vincenzio Sodi TEXT Gustavo Defeo

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a Toscana è una regione prodiga nelle arti e nella creatività dei suoi artigiani. Dopo l’invenzione del Fortepiano da parte di Bartolomeo Cristofori, “strumentaio” alla corte di Ferdinando de’ Medici, si sono succeduti a Firenze diversi cembalari dedicati alla costruzione sia di clavicembali, sia dei primi fortepiani. L’avvento del classicismo musicale, anticamera del romanticismo, ha favoreggiato l’ampiezza di effetti che si potevano esprimere con il fortepiano poi evoluto nel pianoforte moderno, in discapito delle caratteristiche sonore del clavicembalo, tipiche del barocco. Così il clavicembalo fu praticamente dimenticato per più di un secolo. Purtroppo gli albori del novecento si sono caratterizzati non solo da una grande emigrazione di persone, ma anche di opere d’arte. Basta pensare ad uno dei capolavori indiscussi nell’arte dell’intarsio: lo studiolo commissionato da Federico di Montefeltro per il suo Palazzo di Gubbio. Quest’opera della seconda metà del quattrocento è attualmente custodita nel Metropolitan Museum di New York. Stessa fine hanno avuto gli strumenti antichi da tasto, alcuni d’importanza storica incommensurabile, come quelli di Bartolomeo Cristofori e i suoi “gravicembali

Reality

per suonare col forte e col piano” ovvero i primi pianoforti. Il più antico (1720) si trova al Metropolitan Museum di New York, un altro del 1726 al Museum für Musikinstrumente der Universität Leipzig (a Lipsia) e per fortuna almeno uno in Italia (1722) nel Museo Nazionale di Strumenti Musicali di Roma. Uguale sor-

te hanno avuto altri strumenti costruiti da noti cembalari della scuola Fiorentina, tra questi Vincenzio Sodi - costruttore dell’ultimo clavicembalo italiano antico esistente. Sodi ha vissuto la fine del clavicembalo e l’avvento del fortepiano nella Firenze dei Lorena. Fino a qualche mese fa, appena un solo strumento documentato si trovava in Italia, nella collezione Tagliavini di Bologna. Gli altri erano sparsi in collezioni pubbliche e private in diverse città del mondo (Amburgo, Exeter, Vermilion, Boston, e New York). Maria Virginia Rolfo, clavicembalista e ricercatrice nel campo dell’esecuzione filologica della musica antica, si è decisa a rimpatriare un prezioso clavicembalo costruito nel 1778-1779, che ha trovato durante le sue ricerche, a New York. Fi-


nalmente nel mese di gennaio scorso, dopo cent’anni di esilio, è riuscita a riportarlo in Italia. Lo strumento è stato presentato in società nel mese di settembre scorso nell’Aula Magna dell’Università di Firenze, durante il Convegno internazionale del CIMCIM (Comitato Internazionale di Musei e Collezioni di Strumenti Musicali) sul tema “Strumenti musicali come patrimonio storico: situazione e conservazione”. Nata in Argentina, Virginia Rolfo si è appassionata, da piccola, agli strumenti da tasto. Dopo gli studi di pianoforte nel suo paese natale, si trasferì in Olanda dove ha studiato con i noti maestri, Jacques Ogg presso il conservatorio Reale dell’Aia e Menno van Delft presso il conservatorio d’Amsterdam. Sempre dedicata alla musica antica, ha svolto un’intensa attività concertistica sia come solista, sia in formazioni cameristiche ed orchestrali in Olanda, Italia, Argentina, Francia, Portogallo e Stati Uniti riscuotendo apprezzamenti unanimi; ha partecipato inoltre in diverse produzioni dell’Opera Barocca di Amsterdam, è stata docente presso la Scuola di Musica di Amsterdam ed organista in diverse parrocchie nella stessa città. Nel 2006 e 2007 ha diretto l’ensemble di musica antica Collegium Musicum dell’Università di Dakota del Sud. Ha registrato per la radio e televisione Argentina e Olandese, per il Museo Nazionale di Musica negli Stati Uniti suonando diversi strumenti storici della collezione, e già in Italia, dove risiede dal 2008, musica di compositori toscani con l’Ensemble San Felice di Firenze. Nel 2006 ha ricevuto il premio William E. Gribbon Award dell’American Musical Instrument Society, destinato a giovani studiosi. Il suo amore per gli strumenti da tasto l’ha portata a cooperare con il cembalaro olandese Joop Klinkhammer, e poi a seguire un master all’Università di South Dakota presso il Museo Nazionale di Musica negli Stati Uniti. Dopo due anni di studi e lavoro in questo museo ha deciso di indirizzare le sue ricerche nei dati biografici di Vincenzio Sodi e le caratteristiche dei suoi strumenti. Virginia Rolfo ha studiato ciascuno degli strumenti di questo noto cembalaro per poi continuare negli archivi fiorentini. I primi dati biografici frutto delle sue ricerche, sono stati presentati durante un convegno internazionale alla Russell Collection presso l’Università di Edimburgo e pubblicati nel Catalogo dell’importante Collezione Tagliavini di Bologna. I risultati di questa importate ricerca arricchiranno la conoscenza sulla scuola Fiorentina di cembalari, che ha apportato importanti progressi alla storia degli strumenti musicali, e di cui ancora le nostre conoscenze sono limitate. Nella pagina precedente: Virginia Rolfo al clavicembalo costruito da Jacques Germain, Paris, 1785 durante un concerto nel National Music Museum, South Dakota (fotografia Sarah Richardson). In basso a sinistra alcuni particolari del clavicembalo, Vincenzio Sodi 1778 / 1779. A destra l’immagine intera del clavicembalo. In questa pagina in alto: Virginia Rolfo.


Musica

Corde d’Autore

Anima

Musica per viaggi dell’

TEXT Claudio Guerrini

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i sono dischi dove la musica ce la trovi un po’ di più, e sono quelli dove l’autore ci fa passar dentro la propria vita, il suo percorso artistico e quello personale, spesso non scissi; ecco che allora l’ascolto di questi lavori diventa un viaggio dai contorni via via più definiti, e viene voglia di continuare a rifarlo finchè non abbiamo fatto nostro ogni più piccolo particolare del paesaggio; stavolta quindi,vi parlerò di dischi... e di viaggi. “La musica dei boschi è suonare d’arpe, melodia che induce pace perfetta”. Non ci potrebbe essere frase migliore per narrarvi del mondo sonoro di Stefano Corsi, arpista dei Whisky Trail, della ultima fatica dei quali, Chaosmos, ci siamo occupati nel numero di Aprile. “Trails for Celtic Harp” vi aprirà la dimensione dell’altrove sin dai primi pizzichi di corda di “Mna Na Eirinn”, brano d’apertura che vi condurrà per mano a camminare a piedi scalzi sotto il mistico cielo d’Irlanda, che si farà notturno e disvelatore di mgici disegni in “Stars”; in “To Ireland in the coReality

ming times” Stefano ci avvolge con la sua voce rassicurante e sembra coprirci le spalle con una calda coperta per proteggerci dal freddo; “Blarney Pilgrim” scatena in noi il demone della danza.. Questo lavoro è come la Guinness, la puoi bere d’un fiato ma anche assaporarne le sfumature. Dall’Irlanda a New Orleans, e vi narrerò di un folksinger che una volta, quando lo sentii a Umbria Jazz suonare”Case of you” di Joni Mitchell, mi toccò a tal punto da farmi quasi piangere; autentico, ruvido e poetico, Chip Wilson sforna con Constantinople uno dei lavori folk più belli che abbia sentito in vita mia. In questo disco c’è malinconia, poesia, sonorità autentiche (il nostro faceva anche il liutaio, ne consegue il rapporto viscerale con lo strumento...) e il grido pacato di un grandissimo artista che ha reagito alle difficoltà che la vita gli ha messo davanti. Adoro la gentile pacatezza di “Contantinople” e di “The Cost Is Clear” (agrodolce analisi della vita del musicista), le atmosfere scure di “Life On The Farm”, gli echi celtici di “Fiddler a Dram”, le intriganti armonie a tinte fosche di “Stealing Flowers”; alcune di questi brani Chip li ha suonati per 40 anni prima di registrarli,immaginatevi quanto di lui potete assaporare ascoltando questo lavoro. Tra l’altro a Umbria Jazz è ospite fisso; fatevi un favore, andate a sentirlo. Mississipi e non solo, miele per l’anima. E a proposito di Jazz, mozione d’onore per “Bagaria” Max Amazio, e per il calore avvolgente della sua chitarra, anche se è più sul suo ruolo di compositore che metterei l’accento. Affiancato da turnisti di caratura internazionale, tra cui Paolo Cozzani dei Planet Funk al basso, Amazio ci regala dipinti di jazz mediterraneo in cui però l’aspetto comunicativo ha un ruolo predominante; Certamente gradito agli amanti di Pat Metheny ma non solo, questo lavoro ci fa sognare e ci ricorda quei quartieri delle città dove ci sono i mercatini alternativi, dove trovi cose di

valore, che durano nel tempo, e che possono essere tramandate non diventando mai vecchie. Un balsamo per l’anima. Occhi aperti su “Ferro Torto” della Macchina Ossuta, gruppo rock dalle influenze“arcobaleniche”, from Abba (ma non esageriamo...) to Zappa (decisamente di più...) come dicono gli Americani. Si parla di una band sudata e colta che ospita turnisti di grande livello, ed ha sfornato un lavoro splendido, intelligente ed incazzato dove arrangiamenti d’ispirazione ed esperienza sono uno scrigno che costodisce testi preziosi, mai banali e tuttavia diretti nel coinvolgere. Di pari livello il Side project MO Machine e il lavoro “Prequel”, con i pezzi risuonati ed i testi in Inglese. Rock globale e non inglobabile in categorie strutturate, d’altissimo livello, moderno e tuttavia con solidissime e tentacolari radici che pescano nel passato rielaborandolo... Dischi Rock come questi non si ascoltano più in giro. La scoperta musicale più intrigante che ho fatto di recente è Sergio Altamura; Altamura appartiene alla categoria di musicisti che mi intrigano di più, perchè danno al suono ed alla composizione lo stesso peso; ed ecco che ad ascoltare i loro lavori si aprono mondi evocativi ed è come se scoprissimo nuovi modi di percepire le vibrazioni musicali. La musica da camera dai tratti compositivi anche mediterranei si fonde con un uso consapevole, visionario e tuttavia comunicativo della tecnologia; fingerstyle melodico si alterna ad atmosfere dilatate e talvolta piacevolmente stridenti; da Akkerman a Bailey, Da fripp & Eno a Sylvian, rapisce. Concludendo: potete anche comprarli tutti, ci metto la faccia. Nelle Mie Corde. Contatti: www.stefanocorsi.it www.myspace.com/chipwilson www.myspace.com/maxamazio www.myspace.com/lamacchinaossuta www.myspace.com/sergioaltamura


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Interviste

Una notte alla

Enrico Nascimbeni TEXT&PHOTO Graziano Bellini

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hi c’era sa di cosa sto parlando. Di buona musica e rapporti umani. Prima, grandi emozioni nel bellissimo nuovo teatro nel Castello di Sanguinetto (Verona) per il concerto di Enrico Nascimbeni in occasione della presentazione del suo prossimo album “Il serpente tonto”, accompagnato sul palco da ben 11 elementi, compreso un quartetto d’archi.

mercato musicale di oggi. Seduti nel suo studio, dove si respira un’aria un po’ bohémien fra foto d’epoca, cd musicali di ogni genere e un computer sempre accesso, abbiamo chiacchierato di filosofia, di ideologie, di sogni e di musica fino a tarda notte. E proprio parlando di musica, in un primo momento di quella degli anni settanta, irripetibile per la realtà italiana, e poi di

Un concerto, una festa e un’intervista con il cantautore veronese poco conosciuto al grande pubblico ma che nel 2009 si è aggiudicato il disco d’oro e di platino con la sua musica d’autore Poi, magiche sensazioni nella comune che si è creata successivamente a casa del cantante fra alcuni fedelissimi che si sono riuniti in un happening che sapeva tanto di beat generation e letteratura americana, che profumava tanto di risotto al forno e che odorava di cultura sprigionata dalle pareti di quella casa paterna (dell’indementicabile giornalista Giulio Nascimbeni, ndr), ma che soprattutto respirava il sapore libero della fratellanza generata dalla comunione di sentimenti. Una notte alla Enrico Nascimbeni, per Enrico Nascimbeni e che sarebbe piaciuta tanto al vecchio caro Charles Bukowski. Una notte diventata magica dove la condivisione di stima verso il cantante e l’uomo Enrico, verso la sua coerenza e la sua umanità, hanno unito coloro che erano presenti in un legame filosofico e culturale. Un gruppo di persone amanti della buona musica e delle buone sensazioni, un nucleo di afecionados che si aggiunge a quello più esteso che lo segue sui social network Facebook e My Space e che si stringe intorno alla sensibilità di questo bravo cantautore che ha preso coscienza di essere, con la sua musica d’autore, una bella realtà nel panorama musicale italiano a dispetto dell’alienazione e dell’omologazione imperanti nel Reality

quella che ha segnato la sua carriera musicale, è nata questa intervista dove siamo entrati nei dettagli di questo suo momento magico. Enrico, possiamo dire che la tua carriera è arrivata ad una svolta? La mia carriera ha già svoltato. Non dimentichiamoci che l’album “Uomini sbagliati” ha venduto 80.000 copie ottenendo il disco d’oro e di platino e che per il prossimo album, “Il serpente tonto”, ci sono già 20.000 prenotazioni on-line. Alla luce di questo successo non ti sei un po’ pentito di aver abbandonato la carriera musicale dopo i primi album? Si, tantissimo. Tanto più che adesso, riascoltando i vecchi lavori, mi sto anche “riscoprendo” per quello che avevo fatto in gioventù. Per un periodo avevo un po’ declassato quei lavori ma ora li sto riscoprendo e posso già anticipare che tra poco uscirà un cofanetto a tiratura limitata con il meglio dei primi tre album come regalo per quei fans che ancora non conoscono i miei primi anni musicali e anche come ringraziamento per coloro che mi hanno sempre seguito fin dall’inizio. Gli ultimi tuoi lavori sono stati lo specchio della tua anima sofferente dopo le tristi vicende familiari (la morte della mamma Carla e del padre Giulio, ndr).


Questo album che sta per uscire quale Enrico Nascimbeni rappresenterà? Sono più sereno! Il mio stato d’animo è più positivo e anche l’album ne risente. E’ un album diverso rispetto a “Uomini sbagliati”, con suoni diversi, con strumenti veri senza musica campionata. Più leggero, nel senso alto del termine, ma non ammiccante alle radio. Se non lo passeranno, me ne fotterò altamente, come al solito. Ho bisogno di sentire me stesso dentro a quello che canto e se a qualcuno non piace non posso farci niente. Dopo l’uscita del disco è prevista una tourneè? Si, sicuramente andremo nelle principali città italiane come Milano, Roma, Firenze, Palermo, ma ci sono ancora alcune date da confermare in altre città per delineare con precisione tutto il tour che partirà nei primi mesi dell’anno. Però adesso ti do una notizia in anteprima nazionale che nessuno sa: dopo questo tour inizierà una tourneé nei teatri con Fiorella Mannoia, Vecchioni, De Gregori, Guccini, Carboni, Turci, Matia Bazaar, New Trolls e altri, per promuovere il progetto “Radio libere, ma libere veramente”. Vuole essere un manifesto sulla musica italiana perché sia riconosciuta come patrimonio nazionale e per impedire che i tanti talenti di questo paese rimangano sistematicamente ignorati dalle nostre radio. E infine la domanda scontata sul titolo di questo tuo ultimo lavoro: chi è “Il serpente tonto”? E’ un’artista che se la tira, che attraversa la strada sotto il sole della celebrità beandosi del suo bel manto, approfittando con arroganza della sua posizione previlegiata senza accorgersi della propria vacuità, per ritrovarsi poi magari da solo, come un serpente appunto, oppure finire schiacciato addirittura sotto le ruote di un Tir. Quando esce il disco? Il 21 Dicembre su Itunes e il 15 Gennaio 2010 nei negozi. Alle 4 del mattino gli amici si salutano e se ne vanno. La notte alla Enrico Nascimbeni è finita ma la corsa al prossimo disco di platino è appena cominciata.

NOTIZIA

In alto: il concerto nel teatro di Sanguinetto (Verona). A sinistra: l’atmosfera dopo il concerto; i manifesti del concerto davanti al Castello di Sanguinetto (Verona)

Enrico Nascimbeni, cantautore veronese, esordisce nel 1979 con l’album Maracaibo, al quale collabora anche Roberto Vecchioni, suo amico e pigmalione, all’insegna della migliore tradizione cantautorale italiana arricchita con sonorità aperte e innovative per quei tempi. Dopo una discreta accoglienza per questo primo lavoro seguono Verso il mare e Hotel Costarica ma non riscuotono lo stesso successo del primo disco e passano quasi inosservati tanto da far decidere ad Enrico di abbandonare la strada musicale per intraprendere quella di giornalista, seguendo cosi le orme del padre, quel famoso Giulio Nascimbeni fiore all’occhiello del giornalismo italiano. Seguono anni di intenso lavoro per Studio Aperto, a Mediaset, all’epoca di Mani Pulite e come inviato di guerra nella ex-Jugoslavia, senza comunque tralasciare la sua vera passione e la sua natura artistica continuando a scrivere canzoni per Paola Turci, Michele Amadori, Mango, Gli Allunati, Francesco Baccini, Roberto Vecchioni (con il quale vince il Premio Tenco con la canzone L’ultima notte di un vecchio sporcaccione dedicata a Bukowski) fin quando nel 2003 decide di dedicarsi alla musica a tempo pieno incidendo l’album del ritorno Amori disordinati. Da li inizia un crescendo di ispirazione creativa e di successi con i successivi album Le due anime (disco d’oro), Male di amare, fino all’ultimo Uomini sbagliati che ha ottenuto il disco d’oro e di platino con 80.000 copie vendute (soltanto Pausini, Ferro e Ramazzotti ci sono riusciti in Italia) risultando il cantante italiano più venduto su Itunes. Adesso siamo in attesa dell’imminente uscita del prossimo album, Il serpente tonto per il quale ci sono già 20.000 prenotazioni on-line. Nel 2009 ha dato alle stampe anche la sua prima raccolta in versi intitolata Non-Poesie.

Reality


Musica

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L’Arte dei Sensi: T.U.V.O.G. art. A

TEXT Luca Gennai

diIvanCattaneo

lcuni dicono che Ivan Cattaneo fu abbandonato in una notte di tragedia del 1916 davanti all’ingresso del Cabaret Voltaire a Zurigo dove raccolto da Jean Arp e Tristan Tzara fece le sue prime esperienze di vagiti grafico/pittorici. Secondo altre fonti invece,il fantolino Ivan fu rinvenuto nella metropolitana di Londra (Underground) da una colonia di Pop-Stars imbellettate e allattato a base di Rock. (Umberto Moravia).

Nel 1977 incide “Primo Secondo e Frutta (Ivan compreso)”, il primo demenziale italiano Nasce a Bergamo il 18 marzo 1953 Sino all’età di 16 anni vive nel suo paesino Pianico accanto al lago d’Iseo. Mentre frequenta il Liceo Artistico, impara a suonare la chitarra, studia musica, e incomincia a suonare in alcuni gruppi

locali di blues. Nel 1972 finisce il Liceo Artistico e parte per Londra psichedelica, qui diventa amico di: Mark Edwards produttore di star come U2, Brian Eno, David Bowie. Introdotto nei mitici party della swinging London ’70 conosce Cat Stevens, Marc Bolan, il fotografo David Bailey e il pittore Francio Bacon. Nel 1975 Nanni Ricordi gli propone di entrare come cantautore nell’etichetta Ultima Spiaggia unica etichetta d’avanguardia in Italia insieme alla Cramps, e incide il suo primo Lp “UOAEI”,in questo primo disco Ivan usa la voce come strumento, in modo molto sperimentale, e usa per certe parti un Linguaggio Inventato. Nel 1977 incide “ Primo Secondo e Frutta (Ivan compreso)”….ed è la prima volta che si sentono citazioni nei testi. Senza che Ivan nemmeno se ne accorgesse è il primo demenziale italiano..., frasi caleidoscopiche, significati come scatole cinesi, il personaggio per quei tempi è decisamente scandaloso e indecifrabile. La musica decisamente innovativa grazie anche all’incontro con Roberto Colombo che debutta magistralmente nell’Arte dell’arrangiamento. Ma la cosa ancora più innovativa di quel suo secondo disco, è l’anticipo di circa vent’anni sulla oggi tanto abusata multimedialità. Ivan, infatti inventa la “T.U.V.O.G.art.” l’Arte Totale dei cinque sensi, appunto TattoUditoVistaOlfattoGusto. E’ una vera e propria provocazione Dada corrente tanto cara a Cattaneo. TUVOG è un libro abbinato al suo Lp appunto Primo Secondo e Frutta... un libro di immagini di poesie di testi/canzone, di Manifesti Artistici e, cosa nuova di suggerimenti di odori profumi, gusti, sensa-

zioni tattili da abbinare ad ogni specifica sua canzone. Tutta la TUVOG art. viene accompagnata oltre che dal disco e libro, anche da una grande mostra Milanese, e da uno spettacolo Teatrale molto innovativo ed irriverente. Nella mostra ogni quadro da la “vista” ad una canzone, Ivan si dedica sempre di più a Happening e Performance, e cioè molto teatro molta Arte e poca canzonetta. T.U.V.O.G.art – vistagustouditolfattotatto – detta anche l’arte dei 5 SENSI. I SENSI Artisticamentte più sviluppati della nostra società culturale sono: VISTA: quadro / teatro / film / danza / poesia (letta) UDITO: musica / canto / recitazione / poesia (se contata o recitata) Ma non estiste forse anche un arte culinaria? o la raffinatezza “Artistica” dei profumi (odori) un odore improvviso ci può ricordare un momento piacevole vissuto anni prima con lo stesso ODORE – quindi ODORE X = TEMPO & MOMENTO X. Perché lasciare l’ARTE degli ODORI dei GUSTI e dei TATTI ad una casualità quotidiana? Una torta di CASTAGNE inveche che di fragole? L’odore del bosco o l’odore di vostro marito? Portiamo il tutto in una galleria ed Abbiniamolo ad un quadro ed una musica (sensi già Artistici) Esempio: SITUAZIONE PIACEVOLE = FORMA ROTONDA COLORE AZZURRO UDITO PIANOFORTE+VOCE OLFATTO CICLAMINO GUSTO CILIEGIA TATTO VISONE I soli mazzi/organi che ci permettono di collegare/comunicare/recepire la nostra essensa con il mondo esterno e i suoi fenomeni/sono i sensi... ogni uomo possiede 5 SENSI... unirli e portarli a una manipolazione artistica significa dimostrare ancora una volta che: arte è vita e che la vita deve essere arte. Struttura materiale TUVOG art: la rap-


la vera trasformazione da mettere in atto è fuori nella vita stessa dove le sensazioni che riceviamo in ogni momento (vistagustouditolfattotatto) vanno migliorate rivoluzionate per il trionfo definitivo del piacere e la scomparsa/distruzione d’ Arte come piacere isolato elitario e puramente sublimazione intellettuale. Ma nonostante tutto TUVOG rimane un gioco inutile la scanzonatura il burlesco dell’ Arte con la A maiuscola; non sarà mai n’è corrente ne gruppo ne scuola perché la cosa più importante è non credere troppo ma saper giocare bene. GUARDARE TOCCARE ANNUSARE UDIRE GUSTARE Ma ATTENTI... Ivan da più di 30 anni alterna la sua attività live di musicista e cantante a quella di pittore e artista multimediale. IvAN CaTTaNeO, artista da sempre all’avanguardia nell’evoluzione tecnologica, può essere considerato un pittore convertito alla tecnologia, oltre che un artista in grado di travalicare i confini tra le varie arti, utilizzando spregiudicatamente sia la fotografia digitale sia il segno a mano libera, sia la musica che il racconto orale. In questa versione/ visione è previsto il nuovo lavoro discografico del 2010.

© www.ctedizioni.it

presentazione pittorica TUVOG non segue uno stile preciso di corrente o scelta estetico/formale ma cambia e si adatta a seconda del messaggio che vuoi comunicare. Quindi a forme pittoriche più tradizionali si potranno trovare: collages/ tecniche miste/ operazioni su fotografie/ sculture/fotocopie (fotocopiart). Oggetti necessari per imbastire opera TUVOG: 1 VISTA: è data dalla rappresentazione pittorica/fotografica/fotocopia o altro. 2 UDITO: è dato dal materiale sonoro

contenuto nella canzona. 3 OLFATTO: è dato da un flacone posto sotto il quadro contenente l’odore addetto per esprimere il messaggio. 4 GUSTO: è dato da un contenitore con materiale commestibile scelto e adatto per quel determinato messaggio. 5 TATTO: è dato da un oggetto da toccare per recepire uno stimolo tattile. 6 OGGETTO DIMENTICATO (o oggetto chiave) è dato da un oggetto posto accanto all’opera per creare uno stimolo curioso o una chiave di lettura a tutta l’opera. Ma TUVOG non crede di aver raggiunto con questo la Totalità dell’arte. Flaconi, oggetti tattili e commestibili sono messi lì sotto l’opera solo come prov/vocazione dadaista perché il messaggio è / tutto questo non è che finzione messa in scena utilizzando gli stessi elementi reali VISTAGUSTOUDITOLFATTOTATTO ma

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Reality


Solo il meglio del cinema a cura di Kirilla THRILLER

show reel

The Wolf Man

Regia: Joe Johnston Distribuzione: UIP Data di uscita: 19 Febbraio 2010 Ritornato nella casa di famiglia, nella sua cittadina d’origine, Lawrence Talbot, un nobile dall’animo sofferente, risponde alla richiesta d’aiuto della fidanzata del fratello, disperata per l’improvvisa scomparsa del suo amato. E’ da quando era morta la madre che Lawrence non rimetteva piede in quei luoghi, e sembra che ora una figura, oscura conseguenza di una maledizione, stia creando il panico tra la popolazione. Ad indagare su quegli strani episodi é accorso anche Aberline, un ispettore mandato da Scotland Yard...

ROMANTICO Adam

Regia: Max Mayer Distribuzione: 20th Century Fox Data di uscita: 5 Febbraio 2010

FANTASTICO

Una giovane ed affascinante scrittrice in erba, Beth, appena trasferitasi portando come bagaglio la delusione per una relazione finita male, fa la conoscenza del suo nuovo vicino di casa, Adam, uno strano tipo, carino ma tremendamente goffo a causa del lieve autismo. Il loro complicato rapporto va avanti fino a diventare sempre più profondo e, nonostante le distanze iniziali tra i loro mondi, sfocia in una bellissima storia d’amore...

Alice in Wonderland

Regia: Tim Burton Distribuzione: Walt Disney Data di uscita: 3 Marzo 2010 Nuova versione, in stile gotico, dell’affascinante storia di “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Questa volta troviamo un’Alice un po’ più grande, che abbandonato un party troppo noioso, finisce per inseguire il Bianconiglio dentro la sua tana, precipitando nel mondo fantastico che già dieci anni prima aveva visitato. Alice, però, di quella visita non ricorda niente ed ora deve decidere se aiutare gli strani abitanti di questo posto nel preparare la loro attesa rivolta...


Il Teatro degli Orrori (La Tempesta) 2009

(Raf) Rock Nerocarnale

(autoproduzione) 2009

Ingrediente Novus Moltheni

(La Tempesta/Venus) 2009

tare

“Ingrediente Novus” è l’ultimo passo di un cantautore italiano Umberto Giardini che sente il bisogno di staccare la spina col mercato discografico e mettere in stand by Moltheni. Assolutamente uno dei più bravi giovani cantautori italiani che l’Italia non ha ancora riconosciuto tale. In questo cd-dvd, si trovano rielaborazioni di 15 brani (tra i suoi migliori) pescati nell’arco di 10 anni di carriera + 2 inediti + dvd con immagini di concerti video e un nuovo cortometraggio “frutto del fiume”.Grandioso finale, degno di se medesimo che dice “ Non lascerò un vuoto incolmabile e andrò in breve tempo nel dimenticatoio” COMPRATELO!

Nerocarnale, già il nome è una botta. La voce di Martina è qualcosa che mancava nel panorama Rock Italiano. Graffiante, Rock, Punk, Metal. Rime semplici e usuali, in un sound potente. Buona immagine. Una nuova buona realtà che nasce nella verde Toscana.Tutto quello che dovreste provare ascoltando il cdo è spiegato con la parola ROUGH: ruvido, rozzo, grossolano, scabroso, zotico, ecc. Da provare, lo consiglio! Lunga vita a Nerocarnale.

la musica che ci piace ascol-

Tra le migliori uscite dell’anno questo “A sangue freddo” ombroso secondo album del gruppo veneziano Il Teatro degli Orrori. Incrociando Sonic Youth, Noise Hardcore, Carmelo Bene, Nirvana, con il più buon cantautorato italiano il gruppo da all’album un impatto potente sull’ascoltatore gettandogli addosso sentimenti forti, raccontando la vita e quanto brutta stia diventando questa attuale società italiana. Un disco che merita di essere posseduto da chi cerca ancora Amore, Dio, Forza e buon poesia lavorata con buon rock-alternative italiano. Da avere!

juke boxe

A sangue freddo

Nel Sole Scarlet Diva

(produzione autogestita) 2009 a cura di Luca Gennai

Scarlet Diva gruppo Genovese con cantante Pontederese ci propone un album di 11 brani in bilico tra pop d’autore e rock fatto di brani che si possono collocare nel manierismo cantautorale aperto da Cesare Cremonini, alcuni passaggi ricordano Gino Paoli. I brani di “Nel sole”emanano un sound che ha pretese di inserirsi nel panorama musicale odierno. Dolci con tocchi di tastiere, armonie romantiche e un brano: “Cosa hai pensato” che sa di Hit. Il tutto suona molto pulito e sicuramente farà gola ai produttori sempre in cerca di talenti da santificare. “Io vivo con le scimmie” sulla scia di Subsonici riff difficilmente, una volta ascoltato, ti lascia.

la vetrina di Reality


Architettura e Contemporaneità ROMPERE IL MURO TEXT Stefania Catastini

“Posso immaginare un futuro in cui gli architetti saranno fedeli compagni degli studenti per contribuire a progettare un futuro più significativo e bello per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro ubicazione, la nazionalità, o posizione sociale. Ricordo un vecchio meraviglioso proverbio che dice: LA VITA NON CONSISTE IN COME SOPRAVVIVERE ALLA TEMPESTA, MA COME BALLARE SOTTO LA PIOGGIA” A.D. THE SOUL OF ARCHITECTURE L’architettura meditativa. Conferenza di Arthur Dyson 7 Ottobre 2009 Pisa, Palazzo Gambacorti, Sala Baleari. Intervista effettuata dagli architetti Stefania Catastini e Paolo Posarelli durante il ciclo di conferenze tenute a Volterra e Pisa grazie all’Associazione amici di Wright e al comune di Pisa.

Incontro con Arthur Dyson Quanto è stata significativa per lei la lezione di Wright? Gli architetti oggi hanno riscoperto a livello mondiale la sostenibilità come se fosse stata una cosa nuova ma per F. L. Wright questo tipo di ricerca è sempre stato una costante del proprio lavoro. Uomo e Natura sono un unico ed inscindibile elemento, a questo tendeva l’architettura di F. L. Wright. Purtroppo il progresso tecnologico e l’eccessiva specializzazione stanno portando alla netta distinzione tra uomo e natura. La lezione di Wright e la sua contemporaneità. Ma quanto è importante oggi la lezione di un Maestro? E’ un peccato che questa pratica non sia più così frequente perché io ho imparato moltissimo da coloro che mi hanno preceduto e mi dispiace che non esista più; fa piacere adesso trasmettere ciò che ho appreso ad altri anche se io non sono un maestro. Per me è particolarmente importante la domanda, perché con il mio lavoro oggi cerco di avvicinare gli architetti professionisti agli studenti al fine di formare un laboratorio comune e continuo. L’entusiasmo degli studenti e l’esperienza degli architetti professionisti è un eccezionale connubio. Si può oggi ricreare una scuola di architettura come ha fatto Wright molti anni fa? Wright ha lasciato un ottimo modello, ed è importante che gli architetti professionisti lavorino con gli studenti a scala mondiale. La pratica architettonica ci insegna ad erigere pareti a volte molto belle ma purtroppo sempre pareti; ecco, io vorrei con


Arthur Dyson

Il giovane Arthur Dyson con F. L. Wright

questi incontri tra studenti e professionisti buttare giù queste pareti. Living city è una lezione ancora valida? Devo dire che il contesto storico è sempre molto interessante, di base l’architettura organica è per definizione un’architettura che cresce, che non è stagnate. Certe cose che potevano essere valide 60 anni fa oggi non lo sono più; per esempio sessanta anni fa non c’era il computer, non c’era internet; oggi ci sono. Alcuni concetti restano, altri no. La storia può costituire la base eccellente per guardare al futuro, ma se non si fa particolare attenzione può diventare anche un peso. Expo Milano 2015. C’è un grande dibattito tra l’importanza della verticalità dello spazio urbano e l’orizzontalità degli orti dei parchi e della città verde in genere. Che cosa ne pensa? Io credo che qualunque sia la questione il dibattito è sempre positivo. La verticalità ha un doppio ruolo: occupa meno superficie e, se il grattacielo è ben pensato in maniera organica, può andare nella direzione della sostenibilità. Per esempio si potrebbe eliminare l’utilizzo delle automobili, perché tutta la vita si svolgerebbe nel grattacielo; anche se non so se ci vivrei. La verticalità vista in un contesto dove esistono

edifici più bassi è diversa, occorre capire il contesto per fare una scelta simile, il confronto, il rapporto e l’opportunità. Con una metafora potrei dire: “Se vivi in un campo di erbacce per poter aver un senso di appartenenza deciderai di essere un’altra erbaccia o di diventare un bel fiore?” Cosa è per lei un architettura contemporanea? Per essere buona l’architettura deve essere appropriata ma deve contenere anche molti altri ingredenti: - deve essere un sorta di buon vicino; - deve elevare lo spirito umano delle persone che ci vivono dentro; - deve andare a colpire l’emozione e i cuori degli abitanti e di coloro che l’hanno voluta e costruita e possibilmente utilizzare le migliori tecnologie disponibili. Fare Architettura “è passione”! Si può trasmetterla? Non credo che la passione si possa imparare, è una dote innata che si ha dentro, può nascondersi ed essere riscoperta con meraviglia. Io ho sempre cercato di fare al meglio delle mio possibilità, essere il miglior padre, il miglior figlio, il miglior allievo, il miglior insegnante... Non è detto che ci sia sempre riuscito.

Arthur Dyson, vive a lavora in California. Entra a 18 anni a Taliesin nella scuola di F. L. Wright dove apprende la lezione dal grande Maestro Americano (collaborò alla progettazione del Marin County Civic Center di San Rafael e del Guggenhaim Museum a New York). La sua attenzione alla natura ed all’ambiente caratterizzano il suo pensiero ed il suo fare architettura. Le immagini sono tratte dalla presentazione del suo ECO-VILLAGE (programma di costruzione per cittadini senza casa). All’apertura della conferenza questo bellissimo antico proverbio degli indiani d’America imperava. “TRATTATE BENE LA TERRA: NON L’ABBIAMO EREDITATA DAI NOSTRI PADRI, MA L’ABBIAMO AVUTA IN PRESTITO DAI NOSTRI FIGLI”

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MATERIALI UTILIZZATI PER LE COSTRUZIONI: 1. 2. 3. 4. 5.

Paglia e legno Lamiera, legno e parabrezza Parabrezza Terra battuta Pneumatici. Si evidenzia il percorso del materiale dalla discarica fino alla costruzione del fabbricato


Anniversari

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Guglielmo Marconi

anni dal Premio Nobel

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el 1909 Guglielmo Marconi fu il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la Fisica: anche se ottenuto in giovane età (Marconi aveva 35 anni) quel premio giunse al termine di un programma straordinariamente intenso di lavoro durato 15 anni. Tutto era iniziato nel laboratorio della casa paterna, villa Grifone sulle colline bolognesi,

Un convegno, alla presenza del Capo dello Stato, celebra il grande scienziato inventore della radio con i primi esperimenti di telegrafia senza fili, ma poi teatro del periodo pionieristico delle radiocomunicazioni furono le coste atlantiche: la Gran Bretagna fu la seconda casa dell’inventore ma fu la prima dell’imprenditore Marconi, l’Irlanda, terra da cui proveniva la madre Annie Jameson, ospitò importanti stazioni per i primi collegamenti transatlantici, il Canada e gli Stati Uniti videro trionfare il giovane “visionario” italiano che tra il 1901 e il 1903 riuscì a ricevere i primi segnali radiofonici che avevano superato quell’enorme ostacolo naturale che era appunto l’Oceano Atlantico. Tra il 1895 e il 1903 Marconi fu il pioniere assoluto delle radiocomunicazioni ma, nonostanElettra Marconi e il figlio Guglielmo

Reality

TEXT Giampaolo Russo te circolassero voci sulla possibile vittoria del Premio Nobel già al termine di quel periodo, assai impegnativi furono anche gli anni in cui quegli straordinari successi dovevano essere consolidati. Una tappa fondamentale di quel processo fu l’inaugurazione del primo regolare servizio pubblico di radiotelegrafia attraverso l’Atlantico, nell’ottobre del 1907, e senza alcun dubbio la straordinaria utilità del radio soccorso diede eccezionale prova in occasione del salvataggio dei passeggeri a bordo del transatlantico Republic nel gennaio 1909 nel quale grandi meriti ebbe l’operatore radiotelegrafico Binns che lavorava per la Compagnia Marconi. E proprio in quell’anno iniziato con i clamori di quel salvataggio Marconi vinse, condividendo con lo scienziato tedesco Karl Ferdinand Braun, il Nobel per la fisica “a riconoscimento del contributo dato allo sviluppo della telegrafia senza fili”. La carriera di Marconi durò ancora a lungo e in decine di occasioni egli fu celebrato in quanto simbolo vivente delle radiocomunicazioni, ma non vi è dubbio che il conferimento del Premio Nobel fu un momento fondamentale per un personaggio che aveva avviato, a soli 21 anni, una vera e propria rivoluzione nelle telecomunicazioni e che dedicò l’intera carriera agli sviluppi della Radio combinando doti scientifiche e qualità imprenditoriali, grandi intuizioni e straordinaria determinazione. Queste caratteristiche costituiscono oggi, a un secolo di distanza, un esempio di grande positività in tempi di serrata competizione globale. Il centenario del Premio Nobel è una preziosa occasione per un programma di iniziative culminate con il convegno svoltosi venerdì 11 dicembre nella sala della Promoteca del Campidoglio, in Roma, alla presenza, oltre che del presidente della Repubblica, di importanti personalità culturali, economiche ed imprenditoriali italiane le quali hanno ricordato il Marconi inventore e il Marconi imprenditore, l’uomo cosmopolita la cui invenzione e i relativi sviluppi rappresentano tuttora

Guglielmo Giovanelli Marconi nel palazzo di famiglia in via Condotti a Roma

un potente strumento a disposizione dell’umanità. Fulcro delle celebrazioni è stata la Fondazione Guglielmo Marconi, ente morale costituito nel 1938 con sede a Pontecchio Marconi (Sasso Marconi, Bologna). Se la Fondazione promuove ed incoraggia studi e ricerche sulle radiocomunicazioni, molte iniziative che valgano a perpetuare la memoria e la conoscenza del grande scienziato vengono sostenute dalla figlia del grande scienziato Elettra Marconi e dal nipote Guglielmo Giovanelli Marconi. Entrambi vivono a Roma nel palazzo di famiglia, in via Condotti, a pochi metri da Piazza di Spagna ed è qui che Donna Elettra ci riceve per questa esclusiva intervista. Principessa Elettra, suo padre ricevette nel 1909, a soli trentacinque anni, il Premio Nobel per la Fisica. A quale epoca risalgono i primi esperimenti che gli consentirono, successivamente, di arrivare a inventare la radio? Incominciò i primi esperimenti quando era adolescente, all’età di 15 anni, con degli apparecchi molto rudimentali. Studiò da solo la matematica, la chimica, la fisica ma soprattutto era interessato


dalle onde elettriche, che ebbe la fortunata intuizione di utilizzare per le comunicazioni a distanza. Con la sua invenzione ha consentito di poter comunicare velocemente in ogni parte del mondo agevolando i soccorsi e salvando così tante vite umane, soprattutto per le imbarcazioni. Nell’aprile del 1912, con la tragedia del Titanic, la popolarità di Guglielmo Marconi crebbe talmente che gli oltre 700 superstiti del transatlantico affondato gli offrirono un targa d’oro. I soccorsi, grazie alla sua invenzione arrivarono, ma purtroppo non cosi velocemente da consentire di salvare la maggioranza dei passeggeri. Mio padre era molto dispiaciuto del fatto che sul Titanic non ci fossero abbastanza scialuppe di salvataggio e che la nave più vicina, la California, avesse un solo operatore radio che era andato a dormire poco del messaggio di aiuto inviato dal transatlantico. Pochi anni prima, suo padre conquistò l’ammirazione della Regina Vittoria d’Inghilterra, permettendole di comunicare dalla sua residenza sull’isola di Wight con il Principe di Galles, che si trovava sullo Yacht reale. Mio padre aveva appena ventitre anni e la Regina aveva sentito parlare di questo giovane capace di inviare messaggi con la telegrafia senza fili. Grazie a lui la sovrana riuscì a collegarsi più volte con il figlio che non si poteva muovere dallo yacht reale in quanto si era fratturato un ginocchio. Tutti questi messaggi sono conservati nell’archivio del Museo della collezione Marconi all’Università di Oxford. Quando il Principe di Galles diventò Re con il nome di Edoardo VII, offrì a mio padre, con il quale intratteneva buoni rapporti di amicizia, la cittadinanza britannica. Egli però non accettò per il grande attaccamento all’Italia. Ancora oggi abbiamo il privilegio di poter assistere alle corse di cavalli di Ascot nella tribuna reale dove siedono tutti i componenti della Royal family. In cosa pensa di assomigliare a suo padre? Chi nel passato l’ha conosciuto mi ha sempre detto che gli assomiglio molto come gusti, carattere e sensibilità. Sicuramente mi ha trasmesso la grande passione per il mare. Nel 1919 mio padre acquistò il grande panfilo appartenuto all’Arciduchessa Maria Teresa d’Austria ribattezzandolo “Elettra” che gli consentì, da una parte, di soddisfare l’innata passione per il mare, dall’altra di avere a disposizione un laboratorio mobile per svolgere i suoi esperimenti in qualsiasi parte del mondo. A quale Paese si sente più legata? Sono molto orgogliosa di essere italiana, mio padre mi ha trasmesso un grande amore e rispetto per il nostro Paese. In genere quando viaggio mi trovo molto bene nei Paesi di lingua e cultura anglosassone come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, dove spessissimo vengono eretti monumenti a Guglielmo Marconi. Sono sempre molto felice di partecipare e vedere il grande rispetto che c’è per lui.

In alto a sinistra: Marconi da giovane. A destra dall’alto: la stazione senza fili di Poldhu con le torrette di legno decorate. Le decorazioni erano in onore della visita del principe e dalla principessa del Galles alla stazione il 18 luglio 1903; Guglielmo Marconi nel suo studio a bordo della nave Elettra; Guglielmo Marconi, nel gennaio del 1905, fotografato in casa Marconi-Majani. Da sinistra a destra: Giovanni Marconi (nipote di Guglielmo); dottor Calandrelli; prof. Leonelli; il segretario di Guglielmo Marconi; Alfonso Marconi (fratello di Guglielmo); l’avvocato Carpi; Guglielmo Marconi; la signora Luisa Majani e Arturo Majani. Sedute: la signora Ersilia Agnoli; Letizia Marconi Majani (cognata di Guglielmo Marconi); la signora Annetta Marconi Jameson (madre di Guglielmo) e Pietro Marconi (nipote).

Reality


Eventi

L’anno sociale di Fidapa si apre in I

n occasione dell’inaugurazione del nuovo anno sociale 2009-2010, la sezione Fidapa di San Miniato ha accolto i propri membri presso la Sala del Poggio Salamartano a Fucecchio proponendo un coinvolgente concerto: interprete il Trio Messicano Nahual, un gruppo di giovani formatosi in Messico, che da molti anni si è affermato in Italia ed è stato plaudito con molteplici riconoscimenti di rilievo. Il programma, esecuzione ad elevato livello espressivo e di ricercata intensità sonora, ha incluso brani di Vivaldi, De Lohyer, Granados, Piazzola. Particolarmente acclamata dal pubblico presente, l’offerta del nuovo evento musicale si fa portavoce di un forte intento ormai distintivo della federazione, la quale da anni si adopera sensibilmente nel sostenere l’incontro con i più significativi linguaggi culturali ed artistici.

Reality

Nel 2001 formano il gruppo tre giovani chitarristi messicani – Mauricio González, Rodrigo Herrera e Josué Gutiérrez – provenienti da diverse realtà culturali, ma uniti dallo stesso percorso di studi effettuato alla Facultad de Musica de la Universidad Veracruzana in Messico. Il trasferimento in Italia permette loro di proseguire gli studi di chitarra e musica da camera con i Maestri Paolo Pegoraro e Stefano Viola presso l’Accademia di Interpretazione Chitarristica “Francisco Tárrega” di Pordenone e di ottenere il Diploma col massimo dei voti al Conservatorio “A. Steffani” di Castelfranco Veneto e il Diploma accademico di II livello in discipline musicali col massimo dei voti al Conservatorio “J. Tomadini” di Udine. Nel 2007 ottengono il Diploma di Merito assegnato dall’Accademia “F. Tarrega” di Pordenone. Inoltre partecipano ai corsi di musica tenuti dal M. Oscar Ghiglia presso l’Accademia Chigiana di Siena, ottenendo il Diploma di Merito e il Premio Speciale “C. Corsini & F. Basacca” assegnato dal Rotary Club di Siena. Dal 2002 seguono diversi corsi di musica da camera, seminari e masterclass tenuti dai maestri Giampaolo Bandini, Filippo Faes, Eduardo Fernández, Oscar Ghiglia, Ilario Gregoletto, Stefano Grondona, Tilman Hoppstock, Carlo Marchione, Pablo Márquez, Christine Meyr, Alberto Ponce, Marco Socias, Pavel Steidl, Carles Trepat. Una profonda intesa e il grande affiatamento caratterizzano il Trio Nahual nell’esecuzione dei numerosi concerti tenuti in Italia, Slovenia, Austria, Repubblica Ceca, Svizzera e Messico all’interno di diversi fra i più rinomati festival e rassegne internazionali di chitarra e musica da camera. Ha inoltre al suo attivo numerosi riconoscimenti in diversi concorsi nazionali e internazionali di chitarra e musica da camera.

Nahual

TEXT Patrizia Bonistalli

a c i s u m


Eventi

Premio Pierazzi ai

fratelli Taviani TEXT Fabio Maddaleni

I

l Premio nasce nell’anno 2005, in occasione dei festeggiamenti del 175° anno dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di San Miniato, atti a celebrare il fondatore Mons.Torello Pierazzi e soprattutto i valori umani e morali che lo stesso ha lasciato in eredità alla Cassa e alla Fondazione. Il primo a ricevere il Premio è stato il Dott. Dan Shanit, del Centro Peres per la Pace, per il suo impegno nel progetto Saving Children. Nel 2007 è stato attribuito al Prof. Pietro Pfanner, per il suo impegno nella Fondazione Stella Maris. Il Premio Monsignor Torello Pierazzi, è un premio che, a titolo onorifico, viene assegnato con cadenza di norma biennale dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato. Dare continuità a quelli che sono stati i valori ispiratori della Cassa di Risparmio di San Miniato, è l’obiettivo

da essa prefissato. Con questo riconoscimento la Fondazione CRSM intende onorare soggetti di riconosciuto valore morale ed umano (persone fisiche e giuridiche) che, in perfetta consonanza con i principi ispiratori della stessa Fondazione CRSM dettati nel 1830 da Mons. Torello Pierazzi, abbiano a vario titolo dedicato la propria vita agli altri ed al miglioramento della qualità di vita di tutti. Il Premio Mons. Torello Pierazzi 2009 è stato consegnato, nella splendida cornice di Palazzo Grifoni, dal Presidente della Fondazione CRSM Alessandro Bandini ai registi Paolo e Vittorio Taviani, sanminiatesi doc. Alla cerimonia era presente anche il sindaco di San Miniato, Vittorio Gabbanini. Prima di una conversazione tra i due registi premiati ed il critico cinematografico Giovanni Bogani c’è stata un’introduzione a cura della Professoressa Maria Fancelli. In occasione del Premio Torello Pierazzi è stato consegnato dall’On. Maria Taddei anche un riconoscimento speciale al pittore santacrocese Romano Masoni, un artista della nostra terra divenuto messaggero di pace e di cultura a livello nazionale e internazionale,

usando il linguaggio dell’arte per testimoniare i valori della pacificazione, della convivenza, della solidarietà. “Il Premio Torello Pierazzi - ha ricordato Alessandro Bandini - è conferito a Paolo e Vittorio Taviani per l’alto valore morale ed estetico delle loro opere; per il loro fecondo rapporto con San Miniato e con i luoghi della loro formazione; perché partendo da qui, in anni difficili, sono riusciti a concepire e a realizzare uno straordinario e coerente progetto di vita e di lavoro artistico; perché hanno saputo interpretare, con la lingua del cinema, la migliore tradizione culturale di San Miniato e del suo territorio, testimoniando sempre una personale fedeltà al paesaggio toscano e alle sue valenze simboliche”.

Paolo e Vittorio Taviani, sono nati a San Miniato nel 1931 e nel 1929, dopo la guerra che ha distrutto la loro casa, si trasferiscono a Pisa, dove scoprono il cinema di Rossellini, Visconti, De Sica. Alla loro città dedicano il primo cortometraggio “San Miniato, luglio 44”. Con Valentino Orsini, amico e collaboratore, si trasferiscono a Roma, dove, dopo una serie di documentari e una collaborazione alla regia del grande regista olandese Joris Ivens, dirigono “Un uomo da bruciare” con l’esordiente G.M. Volontè, attore da loro molto amato. Dopo “I fuorilegge del matrimonio” con U.Tognazzi e A.Girardot, si separano in amicizia da Orsini. Nonostante le restrizioni di un mercato spesso sordo e grazie all’incontro con G.De Negri Giuliani, produttore illuminato, riescono a realizzare i loro film. Tra i più noti: “San Michele aveva un gallo” con Giulio Brogi, “Allonsanfan” con un rinnovato Mastroianni, Lea Massari e L.Betti, “Padre padrone” con O.Antonutti, S.Marconi e N.Moretti, “La notte di San Lorenzo” con O.Antonutti e C.Bigagli. Mentre fanno parte della giuria del Festival di Venezia nel 1985, viene presentato “Kaos”, libero incontro con L.Pirandello. Dopo i riconoscimenti a Cannes anche Hollywood si interessa ai Taviani, che realizzano “Good morning Babilonia”, dove – a parte le sequenze girate in America la vecchia Hollywood dei pionieri viene ricostruita negli ex-studi di Tirrenia. Ispirati da eventi reali o da suggestioni letterarie realizzano ogni due o tre anni il loro nuovo film. L’ultimo è dedicato al genocidio degli Armeni. Per “La masseria delle allodole” il Presidente della Repubblica Armena ha conferito ai due fratelli il massimo riconoscimento dello Stato.

Reality


Š www.ctedizioni.it


&

Eventi

Penna Pennello G

IV edizione

TEXT Ada Neri

li splendidi locali di Villa Pacchiani, Centro Espositivo del comune di Santa Croce sull’Arno (Pisa), hanno ospitato la quarta edizione di “Penna e Pennello”.

La nuova edizione conquista i locali di Villa Pacchiani e presenta le opere di Paolo Tinghi Si tratta di un appuntamento annuale della ditta Lema di San Miniato che opera al servizio delle aziende da oltre cinquant’anni e organizza in questa occasione una splendida esposizione di prestigiose penne d’autore insieme ad una mostra di pittura, ogni anno con un nuovo artista. È Paolo Tinghi, conosciuto con lo pseudonimo di PITINGHI, l’artista designato per questa edizione. Le sorelle Elisa e Valentina Leoni, animate da una grande passione per il mondo delle penne, ogni anno portano a conoscenza del pubblico le ultime creazione di Aziende Importanti: Visconti, Delta, Parker, Waterman. La mostra di pittura aveva un tema preciso che si riallacciava ai contenuti del libro, sempre di PITINGHI, appena pubblicato e intitolato “Cibo contro natura”. Il libro tratta il difficile rapporto che l’uomo contemporaneo intrattiene con il cibo. Da questo deriva la riscoperta e la valorizzazione dell’ambiente tipico toscano, nel quale questa cultura si è affermata ed ha prodotto risultati estetici sorprendenti a livello di paesaggio, si pensi alle opere pittoriche degli anni ‘800/’900. PITINGHI, facendo riferimento a questi felici momenti della pittura toscana, ripropone allora alcuni quadri che cercano di recuperare, con un meccanismo di tipo manierista, le suggestioni dei pittori macchiaioli, con tecniche diverse, con uno stile diverso, ma forse con lo stesso entusiasmo.

Valentina Leoni, il sindaco di Santa Croce sull’Arno Osvaldo Ciaponi, l’Assessore alla Cultura Mariangela Bucci, Elisa Leoni e Paolo Tinghi (PITINGHI)

Reality


Solidarietà

Insieme

I ragazzi del Centro Diurno e Cassandra De Rosa TEXT Patrizia Bonistalli

L

a fondazione Stella Maris di Calabrone è un Istituto Scientifico per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza la cui opera verte su attività di Cura e Ricovero, ma si dirige altresì verso iniziative educative e benefiche. Tra le strutture che ne sono parte, il Centro Diurno Psichiatrico per Adolescenti de La Scala, frazione di San

L’amicizia non elude la solitudine, ma rende più lievi le difficoltà Miniato (Pisa), è stato arena di un appuntamento simbolico di grandissima unione. Il 23 ottobre scorso la cantante Cassandra De Rosa, voce affascinante e melodiosa, ha incontrato i ragazzi del centro Diurno. Interprete di brani bellissimi e complessi, divenuta popolare in seguito al programma “Amici”, Cassandra ha dedicato ai ragazzi l’intero pomeriggio, dando risposta senza parsimonia a tutte le loro domande, di ordine sia artistico che personale. L’avvincente incontro coordinato dal Presidente avvocato Maffei è stato possibile grazie a Marco Vanni, fotografo degli artisti, il quale ha condotto nel Centro la cantante. L’artista si è relazionata con i giovani in modo brillante e genuino: insieme a lei, tra una foto e l’altra, riuniti in canti collettivi, i ragazzi hanno sorriso, si sono resi liberi. L’incontro ha sancito un momento sostanziale nell’impegno solidale condotto in modo esemplare dalla Fondazione: a gran voce si è voluto lanciare per ognuno di questi ragazzi un messaggio risonante di volontà nel cogliere le sfide della la vita, di umiltà nel riconoscere la bellezza e la poesia, di forza contro ogni sollecitazione senza contenuto che paventi di svuotare la nostra esistenza. Reality


Solidarietà

Heart

The of Children TEXT Andrea Cianferoni

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ioggia di vip alla Casina Valadier per la presentazione del calendario “I gioielli nel cuore”, 12 scatti che raccontano, attraverso l’obiettivo fotografico di Tiziana Luxardo, i sentimenti di amore e gioia che suscitano i nipoti nei confronti delle loro nonne. Il calendario, realizzato in tiratura limitata con l’obiettivo di sostenere “The Heart of Children”, onlus che si occupa di curare i bambini cardiopatici dei paesi in via di sviluppo, ritrae volti noti del mondo imprenditoriale, della moda, dello spettacolo tra cui Virna Lisi, Bona Frescobaldi, Carla Fracci, Franca Fendi, Simona Izzo, ecc. Coloro che desiderano contribuire all’importante iniziativa umanitaria possono farlo iscrivendosi on line all’associazione sul sito www. theheartofchildren.org e, fino ad esaurimento della tiratura, riceveranno in omaggio il calendario 2010.

Tiziana Luxardo

Lo ha respirato fin da bambina l’odore delle fotografie, degli acidi della camera oscura e delle pellicole appena asciugate. Ha calibrato il suo gusto pensando degli scatti che potevano fermare delle immagini, ha ritmato la sua vita all’insegna della messa a fuoco, fino a quando ha deciso di continuare il solco della tradizione paterna e di dedicarsi alla fotografia. Fotografa nota in Italia e all’estero, ha a Roma il suo studio dove passano personaggi noti del mondo dello spettacolo, della moda, della politica. Eppure non è quella la vocazione di Tiziana Luxardo. Oggi questa artista che opera necessariamente con le mani e con il cuore, senza trascurare la mente, ha iniziato una ricerca personale nella ritrattistica figurativa, i suoi nudi maschili evidenziano con chiarezza i cambiamenti accaduti in Italia negli ultimi sessanta anni. Certo il soggetto può sembrare audace, certamente è originale, ma è centrato per poter capire cosa sia successo negli animi e nella mente degli italiani, uomini e donne, negli ultimi anni.

Nelle foto: Bona Frescobaldi con nipote Alessandro, Virna Lisi con nipotini con Franco, Federico e Riccardo, Dede e Isabella Pratesi, Mara Venier, Federica Formilli Fendi con Antonia de Mita e Gangstalu, Tiziana Rocca, Bona e Diana Frescobaldi, Maria Josè Petruzzi e alti prelati, le sorelle Fendi con la fotografa Tiziana Luxardo, Angelo Granito Pignatelli e Guya Viola di Campalto

Reality


Moda

Bellezza imperiale con Emile-Maurice Hermès TEXT Carmelo De Luca

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l mito può diventare bellezza? La risposta è certamente affermativa, ne è prova vivente la straordinaria vita di Napoleone, imperatore, console, stratega, privato cittadino raccontato attraverso i disegni di un grande nome della moda: Hermès. Famoso per aver lanciato i foulard, vero status sociale per la donna di classe, Emile-Maurice riela-

In mostra a Lucca il percorso storico-creativo del foulard ispirato dal mito di Napoleone bora il fazzoletto da collo tuttora in dotazione all’esercito, quadrandolo, adoperando sete pregiate e costose di cui Lucca fu la principale fonte di approvvigionamento nel corso dei secoli, ma la sua attenzione si rivolge maggiormente all’abbellimento del tessuto attraverso la progettazione di disegni ricercati, ricchi di particolari, realizzati con estro creativo, delicatezza dei colori, cura del particolare. La fonte d’ispirazione del Couturier è l’Uomo d’Ajaccio, le sue celebri spade da parata, gli amati cavalli

addobbati di tutto punto, i simboli imperiali, gli altezzosi cappelli e le sontuose giubbe militari da parata, gli insoliti stivaloni fungenti da porta-bastoni, le celebrazione dei momenti salienti nella sua carriera pubblica. La riuscitissima mostra, ospitata presso le sontuose sale del Palazzo Ducale di Lucca che furono abitate dalla Granduchessa Paolina Baciocchi-Bonaparte, racconta in modo magistrale il percorso storico-creativo del foulard quale accessorio alla moda ispirato dal mito di Napoleone. I prestiti, provenienti da musei parigini e italiani, lasciano al visitatore la possibilità di scoprire analogie, dettagli, rielaborazioni, creazione attraverso la visione dei 90x90 più famosi di Hermès e dalle fonti Reality

d’ispirazione: armi, soldatini da collezione, cappelli e divise militari, utensileria da campo, carte geografiche, oggettistica richiamante la “grandeur de l’empire”. I due “Signori di Francia” hanno altri punti di convergenza, lo dimostra la comune inclinazione nel viaggiare che li porta a commissionare e creare “le nécessaire” costituito da oggetti poco ingombranti, comodi, belli: questo aspetto è ben rappresentato nel percorso espositivo con cura oculata. Promotori dell’eccezionale evento sono la Provincia di Lucca, la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e Pescia, Hermès: una occasione allettante, assolutamente da non perdere, gratuita! Per informazioni: www.mitoebellezza.it


È

festa

Interviste

...in tavola TEXT Gaia Simonetti

Pancia mia fatti capanna”. Arrivano i giorni fatidici, quelli in cui al palato è concesso tutto. O per lo meno, non si fanno grossi risparmi in termini di calorie. Ed allora spazio a lauti pranzi, completi, che vanno dall’antipasto al panettone o cene che possono durare anche più ore. E dopo aver mangiato, compare l’ine-

I consigli per affrontare il periodo delle grandi abbuffate. Stop alle diete con utili accorgimenti per non rinunciare al piacere della buona cucina vitabile timore del confronto con la bilancia. Una paura che fa da pendant ad un senso di colpa che ha portato ad esagerare in tavola. Anche perché, troppo spesso, si crede che la cucina ricca sia sinonimo di gusto e qualità. Quella povera, invece, che non ha un ruolo da protagonista, può essere ricca di proprietà nutritive e ha un altro aspetto positivo: non alleggerisce troppo il portafoglio. Parola di Ciro Vestita, apprezzato nutrinionista e fitoterapeuta.

Dott. Vestita, come si “combattono” le abbuffate del periodo natalizio? “Il primo obiettivo è tornare alla cucina povera, non solo perché fa risparmiare, ma anche per le sue proprietà nutritive. Un esempio? Per quanto riguarda la carne, non siamo soliti acquistare le parti anteriori dell’animale che, attraverso la bollitura, perdono il grasso e sono buone. Con il bollito si possono fare i ripieni per tortellini e ravioli. Ed ancora, perché non rivalutare pesci poveri come acciughe o sarde? Si possono comporre piatti eccezionali. Un altro “strumento” per combattere le abbuffate è la frutta. Purché sia di stagione: in questo periodo sì a mandarini, agrumi e kiwi”. Ci sono segreti per limitare l’appetito? “La mela prima del pranzo o della cena può essere un valido aiuto così come le tisane con tè verde, angelica e passiflora. Il tè verde, inoltre, contribuisce a far bruciare i grassi. Anche gli antipasti di crudité possono limitare l’appetito. Comunque sono azioni che da sole non bastano. Occorre avere misura a tavola”. Semplici consigli per rimettersi in forma. “Non esiste la dieta miracolo, quella che fa sparire i chili in più “in tempo reale” dopo le abbuffate. Per dimagrire è giusto mangiare un po’ di tutto e soprattutto muoversi tanto: ricordiamo che camminare almeno un’ora al giorno può permettere una dieta ricca e limita i sacrifici. Un’ora di movimento fa bruciare circa duecento calorie: l’equivalente di quasi settanta grammi di spaghetti. Bando dunque alle diete ed alle pasticche bruciagrassi: dico sempre ai miei pazienti che, per chi non vuol fare la dieta, rimane solo un buon falegname armato di una buona pialla. Il panettone o il pandoro vanno visti come i nemici numero uno?

“Se si mettono all’ultimo posto, ossia, dopo un pranzo o una cena completa, dall’antipasto al dolce, possono essere considerati dei pericoli. In realtà, in particolare il panettone, ha una struttura spugnosa che lo rende meno ricco di calorie. Abolire ogni golosità fa fallire quasi ogni dieta. E’ bene concedersi qualche sgarro a tavola, anche in piccole quantità. Vi faranno sentire sazi e contenti. Ed impariamo a prenderci del tempo per noi, a rilassarsi. Solo in questa condizione di serenità, potremo apprezzare i piaceri della buona tavola, senza rinunciare a ciò che più ci piace”. Per una volta ascoltiamo la voce del palato. Reality


Eventi

Veneziano

Gran Galà TEXT Andrea Cianferoni

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erata di gala a Palazzo Pisani Moretta, magnifica dimora seicentesca affacciata sul Canal Grande di Venezia, per la raccolta di fondi da destinare alle opere assistenziali del Gran Priorato in Brasile, del Sovrano Militare Ordine di Malta. Oltre 500 ospiti internazionali hanno raccolto l’invito del Club di San Giovanni per partecipare all’esclusivo evento, organizzato nei saloni affrescati del palazzo veneziano.

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1. Giuseppe e Rose Clerici Bagozzi. 2. Angiolo Sterzi Barolo, Fabio Severi, Roggero Caccia Dominioni, Ludwig Hoffmann Rumerstein, Alessandro Pontoglio Bina 3. Maria Giuseppina Sordi, Giada Pirro di Negro 4. Guido Fineschi Sergardi e Christine Rickmeyer 5. Giancamillo Custoza con Roxana Petrucina e Natalia Lyubchenko 6. Ginevra Giovanelli, Luisa e Dorothea Orsini d’Aragona 7. Chiara Imperiali di Francavilla e Olimpia Colonna di Paliano 8. Jaques Berthaud e Natalia Nyubchenko 9. Lucie Kneslovà e Daniel Malik 10. Roberto Ervas, Alberto Giovanelli, Virgilio Ortelli

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Firenze

Eventi

Cronache mondane

TEXT Domenico Savini

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penti, come in un romanzo di Scott Fitzgerald, gli ‘ultimi fuochi’ della bella stagione estiva al Forte con le splendide serate di Sant’Ermete e degli ottanta anni di “madame” Capannina, il ritorno in città pareva dover essere triste e noioso.

Un susseguirsi di eventi accendono l’inverno del capoluogo toscano Ma, al contrario del Sabato di leopardiana memoria, Firenze in questo ultimo spicchio di 2009, non ci ha riservato certo “tristezza e noia”. Moltissimi gli eventi che si sono susseguiti a ritmo sempre più febbrile; ora più che mai, che il Natale è alle porte e che quasi ogni sera se non c’è (e quasi sempre c’è), si crea una occasione per vedersi, incontrarsi con gli amici, per augurarsi Buon Natale è un anno ancora più brillante di questo. Fulcro e motore di questa grande giostra di eventi è stato il locale culto dei fiorentini “Boston T. “ che è ormai tappa d’obbligo per le serate, e in qui tra un aperitivo, musica dal vivo e incontri, le cronache mondane che ci vedono a volte registi, o interpreti, artefici, a volte spettatori, o

più spesso semplici cronisti, hanno avuto modo di esprimersi al meglio. La stagione è iniziata con la mostra del giovane fotografo Max Margheri, connubio di ironia e sensualità (proprio come in una canzone di Carmen Consoli!) la serata in cui un vero e proprio set fotografico era a disposizione del pubblico,e dove l’artista si prestava a ritrarre chiunque lo volesse,era condita, come detto, di ottima musica e ottimo buffet, si è protratta fino a tardi. Questo sembra essere infatti l’imperativo delle notti fiorentine: tardi ma non troppo tardi! l’evento inizia alle 19 e culmina a mezzanotte .Divertimento assicurato ma discreto, riservato proprio come il carattere di Margheri che unisce a un certo charme da artista collaudato, discrezione e, una direi quasi, controllata timidezza. Grande regista della serata, curata dalla Make up Azzurra, è il patron del locale, Bobo, che ha fatto del Boston T. pur non essendo in zona centrale, il punto di incontro della centralità fiorentina e non solo. E’ seguita poi la presentazione dei gioielli “Diverso” di Alessandro e di Luca Magnanensi, veri artigiani delle pietre d’autore; e anche qui musica e ambiente in uno spirito di cordiale simpatia, che non ci ha fatto rimpiangere le serate al mare, la Capannina, e tutta la sua storia. E ancora verso fine ottobre lo sfarzosissimo matrimonio di Ginevra Olivetti Rason con Matteo Peruzzi, celebrato e festeggiato tra la chiesa di Ognissanti e il Palazzo Corsini sul Lungarno. Tutto alla cerimonia e al successivo ricevimento era perfetto, in un trionfo di fiori bianchi e a lume di candela, alla presenza di tutta l’aristocrazia della città e della regione. Ma il vero e proprio gioiello, pur fra tanto splendore, della serata, è stata l’esibizione del violinista veneziano Fi-

Luciano Fanfani (a destra) e i concorrenti del “Più Bello d’Italia” insieme a Domenico Savini (al centro)

Alessandra e Bobo, propreitari del “Boston T.”

lippo Rollando; non si è trattato di un comune violinista classico ma di un “electric violinist “. I cultori del classico non si spaventino! Questo vero e proprio Paganini 2000 , anche se in realtà non ha fatto svenire o andare in deliquio le signore, cosa che, si racconta, era prerogativa del suo mitico predecessore , ha certo fatto sensazione. le sue “sviolinate”, che hanno accompagnato i momenti salienti della serata, dal taglio della torta prima hai ritmi da discoteca dopo, sono stati una vera rivelazione. Abbiamo apprezzato questo artista del violino, moderno ma non dissacrante, grande novità. Come abbiamo apprezzato Margheri, giovane fotografo toscano. Entrambi coraggiosi e innovativi, capaci di rendere, in queste serate fiorentine, quel qualcosa che rende , come diceva il già citato Scott Fitzgerald: “Tenera la notte”! (Foto Max Margheri) Reality


SULLA SPIAGGIA DI VIAREGGIO

IL POLO, CHE SPETTACOLO!


Eventi

Prima edizione del gioco dei Re al Centro Congressi “Principe di Piemonte” Salvatore Ferragamo e Roberto Ciufoli le stelle TEXT Andrea Berti

A Catenaccio Catenaccio Catenaccio Catenaccio Catenaccio Catenaccio Catenaccio Catenaccio Catenaccio Catenaccio

Viareggio a vincere sono il Polo e lo spettacolo. Va al “Principe di Piemonte” la prima edizione della “Viareggio Polo Beach Cup” (www.viareggiopolobeachcup.it) dedicata alla categoria “gentlemen” giocata sulla spiaggia dello stabilimento balneare del Centro Congressi “Principe di Piemonte” di fronte a migliaia di spettatori che, complice giornate di sole primaverile, hanno assalito la tribuna e gli spazi intorno al campo gara. L’evento si è tenuto dal 9 all’11 ottobre. Entusiasmo, tante curiosità per i cavalli e i loro cavalieri, e tanti gli applausi. Una vittoria “in casa” netta per il team di Edoardo Fontana, Terence Cusmano e Stefano Giansanti che vestivano i colori del “Principe di Piemonte” organizzatore assieme al Comune di Viareggio e al Polo Club Firenze dell’evento sportivo, sull’ostico Moonlocker di Antonio Matella, Marco Semprini e Chicco Casanova che hanno cercato sino all’ultimo chakker (finale 6 a 3), dopo una finalissima tirata, per agonismo e spettacolarità, di strappare la coppa dalle mani dei “Principi”. Allo Snai-Polo Club Firenze della stella Salvatore Ferragamo, Francesco Olivieri e Roberto Ciufoli (riserva Stefano Biagioni) è andata la finalina per il terzo posto giocata contro l’Hotel Esplanade composto da Alex Bignoli, Boris Bignoli e Gian Luca Magini (finale 3 a 1). Presenti alle premiazioni il Sindaco di Viareggio, Luca Lunardini che ha premiato la squadra vincitore, l’Assessore al Turismo, Pier Luigi Cinquini, il rappresentante della Provincia di Lucca e Paolo Diddi, Capo Area della Cassa di Risparmio di Lucca. Speaker ufficiali in-

ternazionali della manifestazione l’attore, Vincenzo Crocitti e il Vice Sindaco del Comune di Livigno, Narciso Zini. Il Polo a Viareggio è stato un evento sportivo di livello internazionale – era infatti la prima edizione mondiale di un torneo giocato sulla spiaggia da non professionisti - e dall’impatto mediatico imponente con il dispiegamento delle principali emittenti televisive nazionali (da Rai a Mediaset), regionali, locali e anche europee (hanno seguito l’evento anche emittenti russe e tedesche) oltre alle maggiori testate di settore. Un successo che è andato ben oltre le aspettative, malgrado i due giorni di maltempo che però non hanno fermato l’organizzazione, perfetta e puntuale in ogni aspetto tanto da ricevere i complimenti degli stessi giocatori e addetti ai lavori che torneranno “con grande piacere” il prossimo anno per la seconda edizione; una seconda edizione, quella del 2010, indicativamente la prima settimana di ottobre, “ancora più grande – come ha spiegato il Presidente del Viareggio Versilia Congressi, Manuela Clerici – e affascinante. Ci stiamo già lavorando. Ringrazio tutti i nostri partner, gli sponsor, gli addetti, la Giunta tutta, il Sindaco e l’assessore al turismo e allo sport, e chi ha lavorato a questo evento a vario titolo. E’ un successo di Viareggio”. Seguitissimi i momenti di spettacolo di dressage classico, doma vaquera e alta scuola organizzati da Claudio Barsuglia, il momento sicuramente più emozionante, a livello di spettacolarità, della tre giorni. Il Polo a Viareggio ha conquistato tutti. Ma proprio tutti!

Reality


Tecnologia

La prima vettura elettrica nel mondo

Urbanina

finalmente si fa conoscere

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’Urbanina, così chiamata dai suoi ideatori Narciso Cristiani e Marchese Piero Bargagli Bardi Bandini, è stata la prima city-car progettata nel 1966 ad emissioni zero, un’auto elettrica nata sia per uso cittadino che per spostamenti estivi in campagna e nei luoghi di villeggiatura. Un sogno, così poteva essere considerato da tutti coloro che, negli anni ’60, avevano bisogno di un mezzo comodo e facile da guidare per muoversi. Comodo in quanto dotato di una cabina ruotante, e spazioso,dato che il motore, e questa è la vera innovazione , era posto sotto il pianale, così da riservare al conducente maggior confort, ottimizzando lo spazio al suo interno. La macchina si presentava allungata verso l’alto così da poter trasportare sia gente comune che nobiluomini i quali indossavano abiti eleganti e tube. L’ Urbanina poteva quindi essere considerata un mezzo veramente esclusivo che avrebbe cambiato al meglio la vita di chi la possedeva. Fu un’auto negli anni modificata e perfezionata a tal punto che, persino grandi case automobilistiche come Fiat e Mercedes ne hanno chiesto l’acquisizione del brevetto. Dopo un breve clamore iniziale che comprese l’esposizione al Salone di Torino, di Montreal, e una tournee lungo il Tirreno da Montecarlo fino in Sicilia, tutto

cadde nel silenzio e solamente nei primi anni ’70 Zagato ne conseguì il brevetto e ne iniziò la produzione cambiando il nome in “Zelè”. La mancanza dei fondi, accreditata da numerosi svantaggi tra cui la poca autonomia della batteria, impedirono comunque al progetto di andare in porto. E per far si che le persone non dimentichino ciò che è stato, ci dice Monsignor Andrea Pio Cristiani, figlio dell’ideatore dell’auto elettrica, è stato creato un volume che raccoglie il passato dell’Urbanina (con la collaborazione di: Monsignor Andrea Cristiani, Aimone Cristiani, Marchesa Letizia Bargagli, sua sorella Cristiana Frescobaldi Bargagli, Osvaldo Ciaponi Sindaco di S.Croce, Giancarlo Andreanini, ing. Palavisini, Fraccari Italiano, Ragoni Ivano, Micheletti Enrico, Rinaldi Luciano e i fratelli Bruno e Giuliano Tamburini). Il libro, secondo Giancarlo Andreanini, redattore, deve soprattutto essere considerato come omaggio alla memoria degli ideatori della macchina elettrica, i quali sono stati il motore per l’invenzione delle auto d’oggigiorno. La presentazione del volume ha avuto luogo sabato 5 Dicembre (dopo ben ventisette anni dalla scomparsa di Narciso Cristiani) presso la sala Giovanni XXIII Piazza Matteotti S.Croce sull’Arno (PI) e argomento da non sottovalutare è stato inol-

TEXT Elenoire

tre la destinazione del ricavato. I fondi raccolti saranno donati alle iniziative umanitarie dell’organizzazione Onlus. Tutto questo grazie al movimento Shalom (editore del libro), un’associazione mossa da ideali di pace tolleranza e solidarietà ai più poveri fra i più poveri. “Siamo fieri di essere riusciti a raccontare a tutti voi la storia della nostra Urbanina” afferma Mons.Andrea Pio Cristiani, continuando: “E lo saremo ancora di più se col tempo saremo stati capaci di farvi comprendere l’importanza di questa invenzione”.


Normative

HACCP

TEXT Dott. Federico Ghimenti - Dott.ssa Martina Ercoli

Hazard Analysis and Critical Control Points

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’HACCP è un sistema di autocontrollo che ogni operatore nel settore della produzione di alimenti deve mettere in atto al fine di valutare e stimare pericoli e rischi e stabilire misure di controllo per prevenire l’insorgere di problemi igienici e sanitari.

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Delta Consulting offre la consulenza con professionalità ed esperienza a tutti coloro che vogliono intraprendere una nuova attività alimentare e a tutti coloro che vogliono mantenere un alto standard di qualità igienico sanitario

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Ai sensi del regolamento CE n° 852/2004 permane l’obbligo per i titolari di imprese alimentari di predisporre, attuare e mantenere aggiornate procedure basate sui principi del sistema HACCP, previsto dall’art. 5 del citato regolamento, il quale si basa su tre principi fondamentali:

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la responsabilità principale per la sicurezza degli alimenti ricade sul titolare dell’impresa; la sicurezza deve essere garantita lungo tutta la catena alimentare, a partire dalla produzione primaria (principio della tracciabilità e della rintracciabilità); gli alimenti importati devono rispondere agli stessi standard igienici stabiliti dalla Comunità Europea.

Sono soggetti a procedure HACCP laboratori industriali ed artigianali, ristoranti e simili, bar, gelaterie, ipermercati, esercizi annessi agli stabilimenti balneari, imprese di catering e banqueting, mense e tutte le strutture in cui vengono trattati e somministrati alimenti. L’attività di vigilanza igienico-sanitaria è svolta dalla AUSL talvolta affiancata dal NAS dei Carabinieri, Polizia e Vigili Urbani. Delta Consulting offre la consulenza con professionalità ed esperienza a tutti coloro che vogliono intraprendere una nuova attività alimentare e a tutti coloro che vogliono mantenere un alto standard di qualità igienico sanitario. I servizi offerti da Delta Consulting sono: -

Compilazione Autorizzazione Sanitaria (DIA Reg. 852-853/2004); DIA per variazione dell’attività; Stesura Piano HACCP; Campionamenti di acqua potabile, tamponi ambientali; Consulenza e sopralluoghi in azienda.

Delta è anche Organismo Formativo accreditato dalla Regione Toscana ed è in grado di offrire la formazione per addetti e responsabili HACCP, ai sensi del D.G.R.L. 282/2002. Per il calendario dei Corsi o per maggiori informazioni Vi invitiamo a consultare il sito internet o a prendere contatto telefonicamente.

Delta Consulting s.r.l.

Via Puccioni, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571.34503 – Fax 0571.34504 www.consultingdelta.it Reality


Lavoro

Come ottenere le qualifiche professionali TEXT Carla Sabatini & Francesca Ciampalini

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’Agenzia Fo.ri.um. s.c. in collaborazione con la Netaccess Soluzioni Informatiche eroga da diversi anni corsi di formazione per il rilascio di qualifiche professionali di base e altamente qualificate nel settore ICT rivolti a privati in cerca di impiego per fornire competenze specifiche secondo le normative vigenti ai sensi del Regolamento di Esecuzione ex art. 32 della LR 32/02, DP GR Toscana 8/8/03 e “Procedure operative” approvate con DGR n. 569/06. La frequenza al corso consente agli allievi di sostenere gli esami finali davanti

ad una commissione nominata dalla Regione e di ottenere attestati regionali al fine di conseguire titoli finali riconosciuti e abilitazioni professionali rilasciati dalla Provincia. I corsi riconosciuti sono quasi tutti a pagamento con costi a carico degli iscritti definiti direttamente dagli enti che gestiscono le attività. A tal proposito è però possibile ottenere dei finanziamenti destinati alla formazione individuale (vouchers o Carta ILA) per coloro che abbiano preventivamente concordato un percorso formativo con gli orientatori dei Centri per l’Impiego.

Per il 2010 sono state inviate le richieste alla Provincia di Pisa per: Corso di TECNICO QUALIFICATO-EDITOR MULTIMEDIALE Il corso fornisce le competenze previste dal profilo professionale di tecnico qualificato in “Editoria Multimediale” con particolare approfondimento alla pubblicazione di materiali informativi/promozionali su i nuovi canali di comunicazione come l’ambiente WEB e i media di ultima generazione. L’Editore Multimediale è un lavoro tecnico e creativo che richiede un’ottima conoscenza dei software grafici (nelle loro versioni più aggiornate) e degli strumenti di web authoring. Corso di RIPARAZIONE E MANUTENZIONE DI PERSONAL COMPUTER-TECNICO QUALIFICATO Il progetto intende formare una figura indispensabile da inserire all’interno del ciclo produttivo e di assistenza di aziende ICT in grado affrontare con spirito critico le specificità richieste dalle differenti esigenze di riparazione e assemblaggio dei Personal computer Il tecnico svolge un lavoro che richiede un’ottima conoscenza della struttura interna dei PC, conosce le varie architetture (nelle loro versioni più aggiornate), sa progettare, installare e configurare una rete aziendale. E’ aggiornato sulle nuove tecnologie e sulle novità del mercato e sa scegliere le componenti più adatte a seconda delle esigenze. Sa lavorare in autonomia e ha buone capacità relazionali. Corso di ADDETTO INFORMATICOCON COMPETENZE IN ECDL ED WEB DESIGN È il corso rivolto a chi non ha nessuna conoscenza informatica, il programma didattico è completo per formare l’utente finale del PC, sia stand-alone sia in rete. Comprende lo studio dei seguenti aspetti: Cenni sull’HardWare del Personal computer; il Sistema Operativo Windows, i principali pacchetti applicativi in ambiente Windows (MS Office XP); Internet e la posta elettronica; Elementi base di computer Grafica e di WebMultimedia. PER INFORMAZIONI: Fo.ri.um. Via del Bosco 264/f - S. Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571 360069 - www.forium.it Netaccess Via Pacinotti 2 - S. Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571 366980-367755 - Cell. 3484405321 - www.netaccess.it - info@netaccess.it

Reality


Società

Il ruolo dell’informazione

nella crisi economica TEXT Giusy Esposto

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ual è il ruolo dei mezzi di comunicazione nella crisi economica che stiamo vivendo? Questa la domanda da cui ha preso avvio il Convegno Nazionale dei settimanali cattolici aderenti alla Federazione Italiana dei settimanali cattolici (FISC) dal titolo “La crisi economica: sviluppo sostenibile e sistema solidale. Il ruolo dell’informazione”, che si è svolto nella Diocesi di San Miniato dal 12 al 14 novembre 2009. Le idee di finanza come creatrice della ricchezza, impresa come merce e democrazia come costo sono alla base dell’attuale crisi e la responsabilità dei mezzi di comunicazione risiede nell’aver assecondato e amplificato il pensiero dominante, senza aver dato sufficiente spazio alle voci discordanti, quindi nell’essere stati “troppi timidi nel segnalare i rischi della crisi”, dalle parole di Gianfranco Fabi, Vicedirettore del quotidiano “Il Sole 24 ore”. Le vie per uscire dalla crisi indicate nella discussione sono la “democratizzazione dell’economia”, il ritorno alla centralità del lavoro e all’impresa fatta di persone, una maggiore responsabilità etica e morale delle persone all’interno dei mercati. I mezzi di comunicazione devono contribuire alla divulgazione di questi valori, fornendo un’informazione libera, sana e professionale, che ridia centralità all’uomo e alla famiglia, come si propone di fare la stampa cattolica.

Nell’ottica del rilancio economico del nostro paese, il mondo imprenditoriale punta sull’innovazione, sul lavoro e sull’uomo al centro del processo produttivo e sulla responsabilità sociale e ambientale. I mezzi di comunicazione hanno l’importante ruolo di informare i consumatori di queste nuove realtà produttive, in modo che essi possano scegliere più consapevolmente. L’On. Enrico Letta, esperto economico, nel suo intervento ha inoltre ricordato le cinque sfide che l’Italia dovrà affrontare come sistema-paese per uscire dalla crisi: demografia, centralità del lavoro, etica in finanza, questione meridiona-

le e innovazione. Il convegno è stato anche occasione per ricordare alcuni importanti anniversari della stampa cattolica: i 70 anni del settimanale “La Domenica”, i 25 anni di Toscana Oggi e i 20 anni di attività del SIR. Sono stati inoltre consegnati il Premio Giornalistico Nazionale “Giovanni Fallani” a Barbara Baronio del “Corriere Cesenate” e a Maria Pia Fizzano di “Presenza”, quindicinale della diocesi di Ancona e un riconoscimento straordinario a “Vola”, quindicinale dell’arcidiocesi de L’Aquila, per aver dato voce alla voglia di rinascita della comunità locale colpita dal terremoto del 6 aprile.

Nelle foto momenti del convegno: in alto a Santa Croce sull’Arno presso la Conceria Ausonia. In basso a Casciana Terme, a San Miniato. Sulla destra la consegna di un riconoscimento con Monsignor fausto Tardelli, Vescovo di San Miniato

Reality


Biokimica S.p.a

sfida la crisi

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l nuovo stabilimento Biokimica spa, recentemente inaugurato, ha ricevuto la visita del presidente della Regione Martini, il quale ha posto l’accento sull’acuto segnale di volontà di insorgere alla crisi che tale investimento rappresenta. La pesante discesa economico-finanziaria ha compromesso tutto il Paese; Biokimika S.p.a, storica impresa di servizi, non immune anch’essa dagli effetti negativi sofferti dal distretto conciario,

Reality

infonde un segno di speranza, avendo compiuto tuttavia un’incoraggiante scelta d’innovazione. Il gruppo concentra più della metà della produzione sul mercato nazionale, ma possiede una consistente rappresentazione internazionale con proprie sedi in Brasile, Messico, Egitto, Polonia, Turchia e gestisce relazioni commerciali con Cina e India. Il moderno fabbricato contiene magazzini, laboratori e sezioni per l’analisi dei pro-

dotti e la rifinitura delle pelli. Attualmente, sono in svolgimento le operazioni di ultimazione dello spazio adibito a uffici, servizio di refezione, palestra e asilo. Le istituzioni si dicono pronte a prestare aiuto alle imprese che tentano di reagire attraverso strategie e investimenti aziendali mirati, concretizzando l’impegno a puntare sulla ricerca della qualità e della crescita per risollevarsi e porre scommesse nuove sul futuro.


MAGAZZINO

ATRIO STOCCAGGIO

BOTTALINI

RIFINIZIONE LABORATORIO

PRODUZIONE



CRM la soluzione TEXT Sergio Matteoni

S

empre più spesso si sente parlare di CRM. Ma cosa si intende di preciso? La sigla sta per Customer Relationship Management che letteralmente significa “Gestione del rapporto col cliente”. Da indagini statistiche è emerso che in media le aziende perdono ogni anno più del 20% dei propri clienti e che

L’importanza della gestione del rapporto col cliente per le aziende: una filosofia di business che coinvolge tutti i processi aziendali i costi per acquisire un solo nuovo cliente sono 10 volte superiori ai costi per mantenerlo. I mercati diventano sempre più competitivi e le aziende si sono accorte che per potenziare i loro affari diventa fondamentale modernizzarsi e mettere i clienti al centro delle proprie attività. Il Customer Relationship Management è oggi una vera e propria filosofia di business che coinvolge tutti i processi aziendali: dalla segmentazione del mercato alla determinazione degli obiettivi, dall’acquisizione alla fidelizzazione della clientela, passando per il supporto alle vendite e alle strategie di marketing.

Tecnologia

orientata al cliente

Gartner Inc. è leader mondiale nella ricerca e consulenza sulle tecnologie informatiche applicate ai sistemi aziendali. Fondata nel 1979 ha il suo quartier generale a Stamford nel Connecticut, U.S.A e conta 4.000 associati con 1.200 tra analisti e consulenti in 80 Paesi. Di seguito possiamo leggere il resoconto di una ricerca di Gartner Inc pubblicato il Maggio scorso. STAMFORD Connecticut 26 Maggio 2009 Le compagnie che eviteranno di investire in una strategia di CRM a causa della difficile congiuntura economica rischiano di ritardare la loro ripresa di almeno 12 mesi dopo che la crisi sarà terminata, dando ai rivali un vantaggio sui mercati. Gli analisti Gartner dicono che le lezioni imparate dalle precedenti recessioni inducono il 40% delle aziende ad usare questo momento di recessione economica come un’opportunità per generare un recupero più efficace nel momento della ripresa economica utilizzando proprio strategie di CRM. “Proprio perché i momenti sono duri ed i bilanci sono tagliati, le aziende non dovrebbero pensare che ciò significa non investire in soluzioni CRM”, dice Scott Nelson, vice presidente di Gartner. “Le aziende dovrebbero pensare in termini di spendere più intelligentemente e non spendere meno. Ci sono soluzioni che costano pochissimo od anche niente che possono essere implementate adesso e che possono fare la differenza, generare una differenziazione e migliorare la competitività senza richiamare l’attenzione del CFO” (direttore finanziario n.d.t). Mr. Nelson ha detto che in realtà non esiste, una vera e propria “strategia costo zero” – in quanto il denaro è spesso già stato speso per i sistemi di CRM e poi ci sono le spese di assistenza e manutenzione ma in questi casi il successo del CRM può es-

Maggiori informazioni su www.worklancrm.it

sere conseguito senza spendere soldi in più per tale tecnologia. Molte aziende hanno già largamente investito in call center, siti WEB, sistemi di marketing e di automazione della forza vendite. Con questi strumenti in campo le organizzazioni possono applicare strategie efficaci e generare un reale successo dal punto di vista della clientela. “CRM è un viaggio e non qualcosa da applicare giusto una volta in via eccezionale”, dice Mr. Nelson. “Se le giuste strategie vengono impiegate adesso, allora le aziende subiranno un effetto fionda al momento dell’uscita dalla crisi, spingendole davanti ai rivali che hanno scelto di aspettare e che equiparano il successo del CRM con lo spendere di più in tecnologia”. Reality


Economia

In conceria la Green Economy TEXT Luciano Gianfranceschi

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n nome della green economy, i conciatori si sono messi nei panni - anzi nella pelle - degli stilisti che guardano alla ripresa, dopo la crisi: come convincere i consumatori rinnovare gli accessori nel guardaroba, per il prossimo inverno 2010 - 2011? A Lineapelle a Bologna, puntando decisamente sull’iper naturalezza, anziché sulle estrosità che fanno vetrina ma non commercio. DUE LINEE “Siamo i primi in Italia certificati Emas per l’eccellenza nell’ambientale”, dice Valter Ceccatelli, della conceria Incas, mostrando pellami di capre, bufali, canguri, cervi, derivanti da due linee produttive: Il veliero e Italtan. E il mercato, ovvero il cliente finale, sta finalmente attento al naturale, a ciò che non fa male. Infatti mentre il lavoro sta ripartendo,

possiamo dire di non aver mandato nessun lavoratore in cassa integrazione”. FIOCCO AZZURRA Stanno diventando cult, le borse firmate dalla giovane stiliasta Azzurra Gronchi, 29 anni. Che sulla fibbia ha inciso il proprio marchio, un elegante, minuscolo fiocco che ha il colore del proprio nome. E’ figlia d’arte: la mamma Emanuela Alderighi crea le pelli di moda, il babbo è Attilio Gronchi, presidente del Consorzio conciatori di Ponte a Egola e titolare nella conceria Samanta, nella quale la giovane si occupa della “divisione accessori”. “Sto preparando la nuova collezione invernale 2010-11 – anticipa - e sicuramente sarò alle sfilate presso lo show room di Massimo Bonini a Milano, in febbraio, con la nuova linea minimalista”. IN SELLA OPPURE A CAVALLO In vetri-

na, una bellissima sella di rettile, lavorazione artigianale, per amazzone, da Caravel pelli pregiate. All’interno, stivali in pitone del Vietnam. “Per abbinamento di alta classe. A richiesta anche in coccodrillo”, sottolinea Andrea Dolfi, amministratore delegato. CONCRETEZZA Alla Sanlorenzo, il presidente dell’assoconciatori di Santa Croce, Alessandro Francioni, sottolinea fiducioso: “Gente mirata, interessata, che va al sodo. Un po’ meno affluenza, ma rapporti diretti per lavorare”. LA PRIMA VOLTA Da sindaco di San Miniato, per Vittorio Gabbanini, la fiera a Bologna è risultata una passerella tra la moda in pelle dell’autunno inverno che verrà. “La cui produzione partirà a primavera 2010 – osserva – e si spera possa dare concretamente il via a una ripresa

e l l e p a e n i L er

t n i w autumn 1 1 0 2 10

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Reality


Azzurra

Gronchi

che qui è già nell’aria”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore Gianluca Bertini. STIVALE PER IL BASKET Perché il nome Lo Stivale a una conceria? “E’ nata per calzature da lavoro, per stivali da lavoro, poi invece siamo passati al settore della borsa e della cintura, con spalle di spessore medio pesante – rispondono Emiliano Caponi e Nicola Matteoli -. In Italia la scarpa da uomo è sempre meno prodotta, pertanto ci siamo spostati su altri settori”. L’azienda è sponsor della Folgore Fucecchio basket. IN ORTOPEDIA Da quarant’anni, La Perla Azzurra, ha in produzione spalle al vegetale, lucide, anche per ortopedia. “Le pelli sono disponibili in una vasta gamma di rifinizioni: all’anilina, al pigmento, raggrinzito, lissato - osservano il direttore alla produzione Piero Boldrini, e il direttore alle vendite Massimo Boldrini – e dunque utilizzate anche per soletti particolari, articoli ortopedici, calzatura, selleria ed articoli tecnici quali guinzagli e collari”. VACCHETTA DI BUFALO Pellami muf-

fati, con un fiore di muffa, o cerati, per aggiungere vintage, vissuto. Osserva Cristiano Catastini, alla conceria Flora: “Non più le scarpe del babbo, ma addirittura del nonno: ovvero anticate che sembrerebbero da buttar via”. E invece tra i giovani vanno a ruba. PONY & SOLIDARIETA’ Stivali in pelle, e coccarde da concorso ippico, da Masoni. L’imprenditore ha consentito a Firenze a tanti bambini il battesimo della sella su i pony, presso il CIT (Centro Ippico Toscano) centenaria e prestigiosa scuola di equitazione. Un’iniziativa benefica che si deve a Fabrizio Masoni - presidente dell’omonima industria conciaria, leader nelle produzioni eco-compatibili – il quale, sensibile ai progetti sociali riguardanti i piccoli

più sfortunati, ha deciso insieme alla moglie Federica Martini di donare anche 10.000 euro alla Fondazione Meyer. CAPOLAVORI IN PELLE Lo sono, alla conceria Priante, le sculture in cuoio dell’artista portoghese João Carvalho. Che ha definito la propria esposizione Pelle a memoria di forma. La tecnica è stata brevettata nel 2005. Osserva l’esperta d’arte Paola Bezze: “E’ riuscito a riprodurre fedelmente il corpo delle persone comuni, fissando l’attimo in un ritratto in pelle tridimensionale”. L’artista ha ereditato dagli ascendenti materni doti artistiche, invece il ramo paterno gli ha trasmesso passione per la pelle e conoscenza delle tecniche di concia.

Reality


Eventi

Delta Consulting si tinge di

Viola

TEXT Angelo Errera

N

el mese di novembre presso gli uffici della Delta Consulting di Santa Croce sull’Arno si è concluso un importante accordo commerciale tra il la stessa società e la nota emittente radiofonica Radio Blu Toscana. Delta Consulting è una società leader che opera nel settore industriale e civile, nel campo della consulenza ambien-

Un incontro tra i tifosi e il direttore della redazione sportiva di Radio Blu David Guetta tale, sicurezza sul lavoro e prevenzione incendi. Delta progetta impianti di condizionamento, riscaldamento, elettrici e antincendio. Delta offre, tramite un gruppo di professionisti specializzati in diverse discipline tecniche, una serie di servizi e consulenza di assistenza globale nei campi della sicurezza, dell’ambiente e della qualità. Radio Blu è una delle maggiori emittenti toscane a livello di ascolto ed è conosciuta soprattutto ai tifosi della Fiorentina in quanto quotidianamente si occupa delle vicende della squadra viola in particolare nella fascia oraria che va dalle 18 alle 20 nel programma “Pentasport”. Per l’occasione è stato organizzato un incontro tra i tifosi viola e il direttore della redazione sportiva, David Guetta, voce storica da quasi 30 anni al servizio di Radio Blu. All’incontro ha partecipato anche il Direttore di Reality Margherita Casazza.


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Sensi

di Margot

Lascia dormire il futuro come merita: se lo svegli prima del tempo, otterrai un presente assonnato.

(Franz Kafka)


Piaceri di palato


Antica Osteria Al Castello Sapori di Toscana e piacevole accoglienza di Claudio Mollo Antica Osteria al Castello si trova proprio nel centro del borgo di Lari, nella piazza principale, in un ambiente accogliente e raccolto. Piacevolmente disposta su più livelli con luci soffuse e arredo rustico-elegante. Non manca la cantina che da una sala più ampia scende in un cunicolo naturale nel quale i vini trovano la loro giusta collocazione termica. Il debutto dell’Antica Osteria inizia nel 2006, quando abbandonata la gestione di un bar, Alessandra Diari insieme ai genitori, decidono di dar vita ad un ristorante, in cerca di soddisfazioni maggiori di quelle che può dare la gestione di un semplice bar ma anche per rispolverare una antica passione, visto che nei lontani anni 70 la famiglia Diari, lavorava già nella ristorazione, settore che fu accantonato per un po’ di tempo ma poi ripreso non appena se ne è ripresentata l’occasione. La cucina è quella della più schietta tradizione Toscana, realizzata però con piacevoli rivisitazioni. I prodotti, reperiti personalmente da Alessandra, si trovano tutti in un raggio di 5 chilometri da Lari o addirittura, come capita per la pasta artigianale Martelli, a pochi passi dal locale stesso, in una strada adiacente la piazza. E poi, la carne di manzo proveniente dal paese di Forcoli, quella di maiale acquistata nei vicini allevamenti, tanti salumi artigianali nei quali si ritrovano i sapori di una volta e i formaggi, vaccini e pecorini. Per non parlare delle verdure di cui sono ricche le campagne nelle quali Lari è immersa. Un valore aggiunto quindi da scoprire nei tanti piatti proposti nel menu, che cambia con le stagioni per offrire sempre il meglio. Mangiare all’Osteria, significa fare un viaggio nella cucina regionale, magistralmente interpretata dalla mano di Franca Pantani, mamma di Alessandra, coadiuvata in cucina anche dal capofamiglia, Mario Diari. Sul menu si possono incontrare piatti come: maltagliati di pasta fresca con

ragù di colombaccio, oppure altre paste condite con ragù all’alloro con tartufo di San Miniato, sughi a base di lepre ed altri piatti dove la selvaggina la fa da padrona. Si può continuare con un filetto di maiale con castagne e Marsala, oppure scegliere un intrigante tagliata con l’osso, che staccandosi dalla formula classica, viene accompagnata si con la rucola, ma saltata poi con una misticanza di altre verdure, olio, limone maggiorana ed altre spezie, che la rendono davvero particolare. Le pietanze sono accompagnate da una notevole selezione di etichette, oltre 500, che Valerio Bartoli, compagno di Alessandra e altro componente essenziale dell’Osteria, cura personalmente, sempre in giro per aziende e produttori emergenti, locali e non, a caccia del prodotto giusto, con un buon rapporto qualità prezzo, da offrire sia al cliente quotidiano che a quello più esperto. Primeggiano i Toscani, e naturalmente rossi, anche se per gli amanti dei bianchi, la scelta spazia su un’ottantina di etichette di varie parti d’Italia. Cibo e vino sono accompagnati da un’altra grande passione, quella dell’arte contemporanea, seguita anche questa da Valerio, che organizza esposizioni permanenti, di opere di artisti vari, che vengono realizzate nel locale durante tutto l’anno. Sono bastati solo 3 anni di attività alla famiglia Diari per raggiungere un ottimo livello qualitativo tanto da venire riconosciuti fra i migliori ristoranti della provincia, con tanto di riconoscimenti pubblici sulla qualità. Un Osteria, quella di Lari, frequentata da tanti turisti, vista la vicinanza di città d’arte come Lucca, Firenze, Siena e tante altre cittadine e borghi medievali, ricchi di storia e bellezze naturali, ma tanti sono anche i clienti affezionati che dai vicini comuni salgono nella piazza del borgo per passare nell’Antica Osteria al Castello un momento di relax dedicato all’enogastronomia.

ANTICA OSTERIA AL CASTELLO Piazza Matteotti 9/13 - Lari - Pisa - Italy Phone +39 0587 687868 - Mobile +39 329 2088155 info@anticaosteriadilari.it


Sublimi contrasti palermitani TEXT & PHOTO Carlo Ciappina

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iò che colpisce di Palermo sono i suoi contrasti, che la fanno apparire tutto ed il contrario di tutto. Così, passeggiando per la levantina Via Maqueda brulicante di vita, suoni e odori, ci si trova all’improvviso nell’immensa Piazza Giuseppe Verdi dominata dalla solennità del Teatro Massimo. Il Teatro è così imponente e pieno di simboli (leoni, dee greche, aquile) da apparire quasi retorico, creando un impatto visivo tanto brusco quanto inaspettato. L’arredo urbano della piazza è ben curato e i decori, in fiorito stile Liberty, abbelliscono anche i chioschi circostanti. Lì ruota l’alta borghesia cittadina, boriosa e superba come l’immensa coda del pavone: signori impo-

matati di brillantina, tipo vecchia Linetti, signore ingioiellate da improbabili brillanti o da più probabile bigiotteria comunque di lusso, auto, quelle si di lusso e di grossa cilindrata, dagli interni rigorosa-

Viaggi

mente in radica di noce. Pochi passi oltre il Massimo e si arriva al “Capo”, uno dei mercati storici di Palermo dove si ha la sensazione di essere catapultati in un mondo ancestrale, in cui il moderno non esiste più e in cui vige l’arte dell’arrangiarsi in mestieri antichi come quello del venditore di origano: i profumi Chanel delle dame che affollano i sontuosi palchi dell’austero Teatro sono qui sostituiti da quelli sprigionati dalla merce esposta, che crea una fragranza olfattiva nuova ed inebriante. La musica degli orchestrali è sostituita da quella dei venditori che, a gran voce ed in un dialetto incomprensibile per il turista, invitano ad acquistare questo o quell’altro prodotto

facendo del “Capo” un vero teatrino a cielo aperto, un’ immagine genuina di quanto ancora rimasto della sicilianità. La stessa sensazione si ha dai banchi vociferanti del pesce e dell’ortofrutta degli altri caratteristici mercati corrispondenti al nome di Ballarò o Vucciria, popolati da innumerevoli personaggi, alcuni davvero grotteschi, intriganti e bizzarri, che sembrano usciti dalla commedia dell’arte all’italiana, anzi alla siciliana. Bellissimi contrasti si ritrovano anche nell’architettura di questa metropoli del mezzogiorno, frutto della sua


blasonata storia. Fondata dai Fenici, viene conquistata dai Romani che le danno il nome di Panormus (in greco significa tutto porto), poi gli arabi nel IX sec. d.C. la chiamano Balharm, nome giunto con poche modifiche fino a noi, trasformandola in uno dei principali centri islamici in occidente. Nel 1072 la città cade in modo incruento in mano al normanno conte Ruggero, il quale consente ai mercanti, agli artigiani, agli studiosi orientali di continuare a vivere ed esercitare la propria professione. Si dif-

fonde così lo stile arabo-normanno, bellissima miscela di architettura decorativa delle due diverse etnie che arricchisce la città. Sotto Ruggero II, figlio del conte, nascono giardini di foggia levantina e lussuosi palazzi come La Zisa e La Cuba, viene eretto il superbo Palazzo dei Normanni, viene abbellita la splendida Cattedrale, vedono la luce

stupefacenti luoghi di culto come San Giovanni degli Ere-

miti. Successivamente il potere passa nelle mani di Federico II di Svevia, degli Angioini e poi degli Spagnoli che ne arricchiscono ulteriormente l’architettura; infine i Borboni di Napoli vestono la città di splendidi palazzi barocchi. Con l’Ottocento lo spazio urbano allarga i suoi confini e viene inaugurato il Viale della Libertà con il rinomato quartiere ricco di delicate creazioni liberty ma è purtroppo l’ultimo guizzo, seguito da un periodo di stasi che vede susseguirsi i bombardamenti dell’ultima guerra, il terremoto del 1968 ed un lento degrado dei quartieri medievali. Il grosso del patrimonio artistico-culturale dello splendido capoluogo siciliano è, fortunatamente, integro e orgoglioso di essere ammirato dai turisti che ne apprezzano la gloriosa storia per le sue contraddizioni, le tradizioni, l’artigianato e la cultura. Infatti Palermo sorprende per i suoi innumerevoli aspetti, non a caso è una delle capitali del mosaico realizzato prevalentemente dalle abili maestranze bizantine. Mirabili e conosciutissimi esempi di tale nobile arte abbelliscono la Cappella Palatina nel Palazzo dei Normanni, la Chiesa della Martorana, la superba cattedrale di Monreale, augusto sepolcro della dinastia normanna, dove la magnificenza delle tessere colorate conferisce luminosità e profusione di oro all’immagine solenne del Padre Onnipotente, agli episodi biblici, alle allegorie e ai simbolismi.

Nella pagina precedente dall’alto: Teatro Massimo, Mercato del Capo, Chiesa di San Cataldo, Cattedrale. In questa pagina dall’alto: Cattedrale, Palazzo dei Normanni, Teatro Politeama, Giardino Palazzo dei Normanni.


17a Edizione AMARETTO di Santa Croce sull’Arno 1° Amaretto d’Italia Il 6e l’8 dicembre le piazze e le vie del centro sono state occupate dagli stands che ospitavano produttori locali di amaretti e produttori nazionali di dolci a base di mandorla. L’associazione quattro quarti che aveva organizzato l’evento per la prima volta ha coinvolto diverse tipologie gastronomiche dal maestro cioccolataio al maestro dei dolci di marzapane oltre ad aver invitato il compaesano Simone Rugiati noto chef italiano. Un po di storia dell’amaretto Santacrocese All’inizio dell’800 le suore del convento di santa Cristiana decisero di utilizzare le mandorle che ricevevano abitualmente dai parenti delle giovani converse di origine siciliana per produrre dei dolcetti da donare, in occasione delle feste natalizie, ai benefattori della struttura religiosa. Ben presto anche i fornai esterni cominciarono a produrli in proprio. tant’è che quando, nel secolo scorso si diffuse la pratica della consegna dei doni natalizi all’interno degli ambienti di lavoro, i proprietari delle aziende conciarie presero l’abitudine di regalarli ai propri dipendenti e anche ai propri clienti sparsi in tutta l’Italia. Da quel momento diventa il dolce tipico del paese.


XXXIX Mostra del Tartufo di S. Miniato: Record di presenze Il binomio “moda e tartufo” è stato vincente, oltre 50mila persone hanno visitato la Mostra Mercato Internazionale del Tartufo Bianco delle colline sanminiatesi nei tre week end di novembre (dal 14 al 29). “San Miniato, ha dichiarato il Sindaco Vittorio Gabbanini, è una città piena di qualità che negli anni abbiamo cercato di esaltare e promuovere riuscendo a dargli un ruolo di prestigio a livello nazionale ed europeo. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di mantenere vivi questi piaceri e queste tradizioni puntando sulle potenzialità di un territorio che è in grado di offrire molto da un punto di vista dell’ospitalità e dell’accoglienza”. “Quest’anno, ha detto l’Assessore al Turismo Giacomo Gozzini, possiamo affermare con soddisfazione di aver realizzato il record di affluenza e di aver centrato questo obiettivo grazie ad un percorso iniziato nel mese di luglio e condiviso con gli artigiani e le associazioni del nostro Comune”.


LUCCA COMICS&GAMES 2009 “Lucca è conosciuta in tutto il mondo come città d’arte, di storia e di cultura; la città che ha dato i natali al grande Puccini – ha commentato il sindaco di Lucca Favilla – ma dal 1966 è indiscutibilmente anche la capitale del fumetto. Una vicenda lunga e prestigiosa che, grazie alla passione ed alla competenza di tante persone, ha fatto di Lucca un punto di riferimento a livello internazionale per questo settore. Oggi, ancora una volta la nostra città apre le sue strade, le sue piazze ed i suoi palazzi e li mette a disposizione dell’invasione allegra e colorata di tutti coloro che amano queste forme di arte e di divertimento; offre gli angoli più suggestivi, i monumenti e perfino le Mura come sede di mostre e come set di fantastici giochi. Nel dare a tutti il benvenuto, vi chiedo solamente, mentre vi aggirate tra gli stand, di alzare di tanto intanto uno sguardo per ammirare anche un po’ delle nostre bellezze e dei nostri tesori artistici”. Un grandissimo successo anche quest’anno per la manifestazione che si è svolta dal 29 ottobre al 1 novembre. (Foto di Francesco Michienzi)


Aspettando

il Carnevale Santa Croce sull’Arno 24 - 31 gennaio 7 - 14 febbraio


Il Ciclamino,

il fiore avvelenato

di Paolo Pianigiani

C

osì bello e gradito alla vista, sembra impossibile che questo splendido fiore possa racchiudere significati legati alla magia e all’occulto. Eppure, a causa del veleno che scorre dentro le sue radici, era considerato indispensabile nei filtri e negli intrugli delle streghe e fattucchiere, al pari della mandragora. Fiore sacro ad Ecate, la dea greco-romana della magia, legata ai culti primordiali della Terra, questo piccolo gioiello della natura è diffuso in tutta l’area del mediterraneo. Era usato in passato come protezione dai malefici, e messo come augurio di fertilità all’interno delle camere degli sposi. Ma era anche consigliato alle partorienti di non avvicinarsi a questa piantina, per evitare complicazioni. Veniva impiegato anche contro il veleno dei serpenti. Un fiore pieno di contraddizioni, quindi. Storie e leggende ne parlano sia in positivo che in negativo, lasciando un clima di indecisione e incertezza sulle sue qualità esoteriche, atte a difendere ma anche ad offendere. Il nome deriva forse dalla parola greca “kuklos”, che sta per “cerchio” e quindi per “ciclo”, ricollegandosi così al mondo femminile e della fertilità. Teofrasto, discepolo di Aristotele, ne parla come pianta indispensabile per rinvigorire i rapporti d’amore. Una sorta di “viagra” degli antichi, insomma. Ma guai a sperimentarne oggi gli effetti: sorbire infusi o l’ingestione diretta porta sicuramente al mal di pancia se non di peggio! Gli unici che non risentono dei veleni naturali e tossici che si trovano nei bulbi e nelle radici del ciclamino, sono i maiali e i cinghiali, che infatti lo ricercano nei boschi come loro cibo preferito, tanto che il ciclamino si è meritato, fra la gente di campagna, il soprannome di “pan porcino”, riferito sicuramente anche alla forma a pagnotta schiacciata del tubero. Ma lasciamo le leggende ai libri e vediamo da vicino questa pianta così particolare. La pianta del ciclamino è originaria dell’Asia Minore ed appartiene alla famiglia delle Primulaceae. Si tratta di piante perenni e tuberose, di cui oggi si conoscono all’incirca una quindicina di specie, sparse tra le montagne dell’Europa meridionale ed il bacino del Mediterraneo. Quelle presenti nei boschi del nostro paese sono tre: il Cyclamen repandum (primaverile), il Cyclamen neapolitanum (autunnale), ed il Cyclamen europaeum, anch’esso fiorente in autunno. E’ fra le poche piante che ci regala fiori in inverno. I colori variano dal bianco al viola, attraversando tutto lo specchio dei rossi, dal tenero rosa al lilla più intenso. I fiori sono gentili e armoniosi, si staccano dal letto delle foglie a cercare il sole, spinte da uno stelo che vibra al primo soffio di vento. Le foglie sono a forma di cuore, e il loro colore raccoglie ogni sfumatura del verde. Il linguaggio dei fiori non può che parlare di contraddizioni, a proposito del ciclamino. Rappresenta l’incertezza dei sentimenti, il rischio di tradimento, la gelosia, l’invito verso l’amato (o l’amata) di tornare sulla retta via. E infine simboleggia anche l’addio, quando l’amore proprio non esiste più. Ma è da dire che la bellezza dolce e delicata di questi fiori, veri messaggi di armonia che si innalzano dalla terra verso il cielo, non possono che regalarci momenti di felicità e di gioia. Al diavolo, per una volta, le storie e le leggende e anche i significati: godiamoci questo fiore, è bellissimo!


© Foto Alena Fialová


Miti e Leggende

U

l I sangue di

n giorno Giove, sceso sulla Terra, incontrò Semele, una giovane e bella fanciulla che aveva il dono divino di sorridere sempre. Non appena ebbe visto Semele, il re degli dei se ne invaghì e volle vivere vicino a lei come un semplice essere umano. In un primo tempo le cose andarono molto bene fra loro e l’unione venne allietata dalla nascita di un bambino che venne chiamato Bacco. Ma dopo qualche tempo Giunone, che non tralasciava di far seguire il marito, venne a conoscenza della passione di Giove. Una notte apparve in sogno alla ragazza e le disse: - L’uomo che sta con te non ti ha detto il vero sulla sua identità. Chiedigli di mostrarsi a te nella sua luce reale e avrai la prova di ciò che ti ho detto -. La mattina seguente Semele chiese a Giove di farsi vedere nel suo pieno splendore. Egli, colto di sorpresa, non seppe resistere alla vanità di essere ammirato dall’amata e riprese le sue vere sembianze di re degli dei. Subito una grande luce si sprigionò dalla sua persona e questa luce fu così intensa che incendiò in un attimo la casa e la fanciulla bruciò tra le fiamme. Giove riuscì a salvare il figlio Bacco e al fine di proteggerlo dall’ira della moglie si aprì una coscia con un pugnale e vi nascose la creatura. Bacco rimase nella gamba del padre fino a quando raggiunse l’età dell’istruzione. Il suo maestro fu Sileno, un grande bevitore tutto dedito ai divertimenti e a scatenare allegre baruffe. Man mano che cresceva, il discepolo subiva sempre più il fascino del suo precettore e sempre più la sua passione si rivolgeva verso i piaceri della vita mondana. Quando fu grande accettò di darsi alla vita militare a patto però che il suo esercito non ricorresse mai alle armi. - E come vorresti combattere, caro Bacco? - gli domandò ridendo Silena. - Con bastoni e tamburi - rispose senza esitare il dio. - In tal modo si scatenerà la guerra del fracasso a cui nessun nemico potrà resistere! - Detto fatto arruolò una grande quantità di gente allegra, in prevalenza donne, poiché era convinto che facessero molto più rumore e confusione degli uomini. Ordinò quindi al suo esercito di suonare forte e di emettere altissime grida durante il cammino. Bacco guidava quella schiera festante a cavalcioni di una botte, seguito da Sileno che se ne stava seduto sopra un asino. La strana compagnia cominciò a marciare in lungo e in largo conquistando facilmente tutte le terre che attraversava. Un giorno, però, Bacco si convinse che la guerra senza sangue era poco gloriosa. Chiese consiglio in merito a Sileno e questi gli rispose: - Il rimedio è facile. lo conosco una certa pianta che dà buffissimi frutti, i quali amano tanto la compagnia da non stare mai isolati. Allora si raggruppano intorno a un gambo. Se strizzi questi frutti ne viene fuori un liquido rosso che dà la stessa energia, lo stesso vigore, gli stessi impeti che dà il sangue. E come se nell’individuo entrasse una nuova vita. Per questo io ho dato a questa pianta il nome di “vite”. Bacco fu molto lieto di aver trovato quanto occorreva alle sue imprese di guerra e si procurò molti rami della pianta. Occupò le Indie e l’Egitto in poco tempo e in ogni territorio assoggettato piantò delle viti e obbligò i sudditi a cibarsene abbondantemente. Quando li vedeva con il viso macchiato di rosso, esclamava soddisfatto: - Ora si potrà dire che anche io ho fatto versare del sangue! -. A volte Bacco riusciva addirittura a sottomettere i nemici senza legarli in catene, ma soltanto facendoli ubriacare. Allora questi lo seguivano e non volevano più lasciarlo. Non tutto però fu sempre così facile. Licurgo, il mitico re della Tracia, con una grossa scure abbatté molti vigneti. Bacco allora volle vendicarsi di lui. Prima lo fece addormentare e poi gli soffiò sopra un alito molto caldo. Licurgo si sentì ardere la gola dalla sete e, poiché vicino a lui c’era soltanto una bisaccia con del vino, iniziò a bere avidamente fino a che non ne ebbe visto il fondo. Le conseguenze, però, furono tragiche: l’uomo si ubriacò a tal punto da non riuscire più a distinguere le cose che lo circondavano. Vedendo le sue gambe malferme gli sembrarono due nodosi tronchi di vite e cominciò dare colpi, finché non si ridusse a pezzi. Bacco insomma rideva e scherzava, ma non era proprio un bonaccione!

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