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Il progetto dell’associazione Gea Freedogs

22 | Società Solidale | N. 3 / 2020

IL PROGETTO DELL’ASSOCIAZIONE GEA FREEDOGS Così si sono aperte le porte del canile

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L’estate appena trascorsa ha visto succedere qualcosa di particolare presso il canile – rifugio 281 di San Michele Mondovì. Le volontarie dell’associazione GEA, con il supporto del CSV di Mondovì, hanno accolto per tre giorni e tre notti il collettivo artistico Teatro Selvatico. Gli artisti hanno vissuto come i cani, in silenzio, seguendo i loro ritmi, chiusi nei box di notte e in un recinto esterno il giorno. Un’esperienza importante per le volontarie dell’associazione animalista che con questa apertura nei confronti dell’arte hanno voluto ribadire il bisogno di rivedere l’idea di canile come luogo di mera detenzione dei randagi e la necessità di trasformare questi luoghi in spazi destinati alla collettività, nuovi ambienti da frequentare dove i cani e la società possano relazionarsi esplorando nuove strade percorribili. Il collettivo artistico ha accettato l’invito perché, oltre ad essere sostenitori del progetto Canile-Rifugio281 per il quale hanno realizzato alcuni video promozionali al fine adottivo dei cani ospitati, ha ritenuto di dover affrontare questa prova vissuta come occasione per indagare il tema della privazione di libertà. Da questa esperienza raccontata dal fotografo del collettivo, anch’esso rinchiuso, verrà pubblicato, grazie al sostegno economico del CSV, il calendario 2021 dell’associazione GEA e uno spettacolo teatrale che verrà proposto a fine autunno. Per scoprire dove assistere allo spettacolo o come reperire il calendario è possibile seguire la pagina Facebook/ geailcercacasa o i due siti internet: www.geassociazione.eu www.teatroselvatico.it.

BASTA CON I CANILI SOVRAFFOLLATI, BASTA CON UNA GESTIONE POCO EFFICACE PERCHÉ È POSSIBILE E NECESSARIO. L’associazione monregalese GEA a gennaio 2020 si occupa della gestione il canile di San Michele Mondovì, l’ha chiamato Canile-Rifugio 281 ispirandosi alla legge quadro n°281 del 1991 che aprì le porte a radicali cambiamenti come il divieto della soppressione dei cani trovati randagi, da allora i Comuni divennero i proprietari di questi cani con l’obbligo di provvedere al risanamento dei canili comunali o di affidare gli animali a privati con strutture idonee, ecco allora che gli allevatori di cani si fecero avanti intravvedendo in questa novi-

tà una fonte di guadagno garantita. Siamo agli inizi e i Comuni affidano i primi trovatelli a queste strutture elargendo delle quote giornaliere per il loro mantenimento. In queste strutture i cani aumentano, le femmine partoriscono cucciolate, le adozioni vengono disincentivate, poiché più cani ci sono e più permangono in struttura, più rendono. In pochissimi anni i Comuni vedono gonfiarsi il numero dei randagi da mantenere e aumentare l’importo delle fatture da pagare. Un quadro sempre più drammatico non solo per le amministrazioni ma anche per quei cani che privati di visibilità e di occasioni d’adozione scompaiono nelle tante gabbie pagando con la loro vita bollette, case, auto e vacanze dei loro carcerieri. Nel 1997 l’etologo Roberto Marchesini pubblica un testo “Animali in città” a cui seguirà “Il canile come presidio zooantropologico, da struttura problema a centro di valorizzazione del rapporto con il cane” in cui con dovizia di particolari esprime la sua opinione riguardo una necessaria riforma del sistema canile proponendo la nascita del parco-canile; luogo dove il cane non viene distanziato dalla società ma preparato a rientrarvi nel minor tempo possibile, un luogo gestito da associazioni animaliste, personale qualificato in collaborazioni con Asl e Comuni. L’associazione GEA, tutta Monregalese, sostiene da tempo la necessità di una nuova riforma che avrebbe una duplice finalità: quella di alleggerire i costi di gestione delle strutture diminuendo il numero dei cani in queste rinchiusi ma soprattutto di diventare un punto di prevenzione e di educazione relativo alla gestione dei cani, punto nevralgico se si pensa alla sempre più numerosa presenza di animali nelle famiglie italiane (l’Italia è seconda in Europa per numero di animali domestici), questo richiede la presenza di presidi di prevenzione al randagismo e di gestione delle dinamiche di gestione degli animali nei contesti urbani. Nelle famiglie italiane vivono 7 milioni di cani, dato che puo’ far intuire la cambiata sensibilità nei confronti di questi animali che da “animali da lavoro” si sono trasformati in veri e propri “compagni di vita” per metà della popolazione italiana. Per questo motivo prima del suo ingresso nella struttura di San Michele l’associazione GEA ha chiesto ai Comuni che volessero convenzionarsi di rivedere il tipo di convenzione abbandonando la quota alberghiera a cui erano abituati per trasformarla in una quota fissa che andasse a sostenere un progetto, un servizio alla cittadinanza e non più una retta giustificata solo dalla capacità di detenzione e dall’assenza di progettualità. Non è stato semplice ma alcuni comuni hanno creduto in questo progetto e hanno firmato la loro convenzione con GEA. Oggi, dopo quasi nove mesi, ci sono dei numeri che dimostrano che il cambiamento è possibile e che a beneficiarne sono in tanti. Nel 2018 l’associazione GEA entrò nel canile privato di San Michele Mondovì come asso-

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ciazione di supporto, incaricata da alcuni comuni a promuovere le adozioni dei loro cani. Il primo impatto fu struggente, cinque padiglioni pieni di cani, persino il sanitario ne ospitava alcuni. In ogni box abitavano anche sei cani, pochi di loro avevano accesso alle aree esterne e la maggioranza viveva reclusa tutto il giorno, tutti i giorni, da anni. Non fu facile censire tutti gli animali, conoscerli bene per poi poterli promuovere alle famiglie, le femmine erano tutte intere e spesso nascevano cuccioli. Gli accalappiamenti erano frequenti, continuamente arrivavano nuovi animali. «L’odore pungente penetrava nei pori della pelle e quando si tornava a casa non bastava una doccia a lavarlo via. Ma più che tutto era il dolore che si respirava in quei corridoi che è difficile da dimenticare, c’erano cani malati lasciati al loro destino, altri che sbattevano sulle grate come impazziti, e poi un abbaiare costante, un frastuono insopportabile» raccontano le volontarie. Ma quando la situazione è complicata bisogna trovare una soluzione; una via era quella di denunciare, di “fare casino”, ma si sa queste strade spesso portano a poco e soprattutto alla fine e comunque sarebbero stati gli animali a soffrirne di più, sequestrati forse e magari deportati chissà dove, l’altra strada era quella di tapparsi il naso e un passo alla volta provare a cambiare qualcosa. Si è iniziato con le sterilizzazioni delle femmine e con le cure degli animali malati e con il lunghissimo censimento di tutti gli ospiti. Iniziarono così le prime adozioni che con il tempo aumentarono, in due anni 220 cani trovarono casa. Poi la svolta, l’occasione di poter gestire direttamente la struttura e per GEA il cambiamento doveva essere radicale: aumentare la qualità della vita degli ospiti, iniziare con ognuno di loro un percorso rieducativo che prepararli all’adozione, coinvolgere attivamente la cittadinanza. Il primo gennaio i cani presenti in struttura erano 108, di cui 17 lasciati in canile a totale carico dell’associazione dalle gestioni precedenti, oggi sono 37. “Ogni cane ha diritto ad una casa e per ogni cane esiste l’adottante giusto, basta cercarlo”. Siamo in un’epoca in cui i social-media la fanno da padroni ecco perché è importante che i cani-

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li siano attivi e presenti su queste piattaforme ed è grazie alla forte presenza di GEA su Facebook, Instagram e YouTube che alcune storie si possono scrivere; come quella di Rudy, cagnolino con una dentatura molto particolare che dopo 10 anni ha trovato la sua casa o la storia di Tatoo che dopo 12 anni di gabbia ora vive con la sua nuova famiglia sulla collina di Moncalieri, ma anche la storia dei due fratelli Tin e Til che sono stati adottati da due diverse famiglie e oggi sono gli inseparabili amici di due ragazzini della stessa età. Le storie da raccontare sono tantissime all’interno di un canile e le volontarie di GEA lo fanno quotidianamente attraverso le foto “d’autore” della loro pagina Facebook/canilerifugio 281, ma soprattutto con i video divertenti che pubblicano su Facebook/geailcercacasa che conta quasi 5.000 follower raggiungendo in media 22.000 persone a settimana. Sono stati mesi molto faticosi, la struttura era in condizioni fatiscenti, sporchissima e i ratti scorrazzavano liberi fra i box e le zone esterne, ad oggi tutto è stato ripulito, sono stati eseguiti lavori di bonifica, di derattizzazione e strutturali, in questi giorni verrà terminato l’ambulatorio e sono iniziati i lavori di riqualifica delle aree verdi. L’associazione GEA collabora inoltre con alcune cooperative sociali e con il tribunale di Torino e al suo interno sono anche attivi progetti legati all’arte come il recente “Freedogs” del collettivo artistico Teatro Selvatico e il murales realizzato ad opera Serena Petraglia. Dopo questi mesi di gestione l’associazione si guarda indietro soddisfatta dei passi fatti ma inizia a pensare al futuro e a chiedersi come potrebbe essere possibile migliorare ancora. Il rifugio di San Michele ha dimostrato di avere le carte in regola per trasformarsi in un luogo con una forte valenza sociale e culturale, un progetto pilota per trasformare la visione obsoleta di luogo di detenzione dei cani randagi in uno spazio aperto alla cittadinanza, un “Mondo-Cane” dove attivare servizi aperti al pubblico come il centro medico e la toelettatura, i campi di educativa cinofila e spazi per accogliere conferenze e corsi dedicati al mondo degli animali. L’idea c’è ed è stata messa nero su bianco dalla direzione di GEA e distribuita alle amministrazioni. L’ASL CN1 a cui la zona monregalese fa capo conta 6 distretti: quello di Mondovì e quello di Ceva conta 86.360 abitanti a cui potrebbe far capo il canile di San Michele Mondovì. Non tutti i Comuni hanno però scelto di convenzionarsi con il canile di San Michele e mantengono un centinaio di cani in altre strutture spesso distanti dal monregalese, questi Comuni pagano una retta giornaliera a cane che troppo spesso garantisce peraltro solo il mantenimento e la custodia ma che esclude la sterilizzazione (fondamentale per la lotta al randagismo), il recupero e la promozione mirata all’adozione. I dati ricavati dall’analisi dell’anagrafe canina dimostrano che il numero di cani presenti nelle strutture che applicano questo tipo di “contratto” non scende mai generando così una quota fissa che si regge sulla vita degli animali incarcerati ingiustamente. C’è un altro dato interessante che non può essere ignorato: la ripartizione delle spese non è equa. Il cane viene “caricato” al comune in cui viene accalappiato, le volontarie GEA che sono anche accalappiatrici ci spiegano che tale ripartizione non è corretta perché un cane “in fuga” percorre anche 30 chilometri in un solo giorno. Sono tantissimi infatti i casi di cani con microchip accalappiati in un comune e poi restituiti al proprietario residente in tutt’altro luogo. La ripartizione delle spese dovrebbe venire fatta sull’intero territorio, è proprio il caso di dire che in questo caso l’unione farebbe la forza perché con una quota fissa i Comuni potrebbero partecipare alla realizzazione di un progetto di ampio respiro che diventerebbe un fiore all’occhiello della comunità monregalese. I progetti non sono solo idee ma sono energie messe in campo dalle persone e GEA che conta più di venti volontari annovera fra le sue fila educatrici cinofile, operatrici di zooantropologia didattica e tutti i volontari vengono invitati a seguire un modello di gestione degli animali che si impronta su un approccio cognitivozooantropologico. Le volontarie di GEA auspicano che nei prossimi mesi i Comuni monregalesi decidano di dare un’occhiata alle spese che sostengono per i randagi e che decidano di investire con loro in direzione di un canile diverso “Ad oggi ospitiamo poco più di trenta cani, fra i quali alcuni stanno seguendo un percorso di recupero ed altri sono anziani, riceviamo quotidianamente richieste di adozioni che spesso non possiamo soddisfare perché il cane richiesto non lo abbiamo in struttura e pensare che ci sono 100 cani monregalesi in cerca di casa e chiusi in canili distanti dalle nostre zone tanto da disincentivare gli adottanti ci dispiace un bel po’” concludono le volontarie del Canile Rifugio 281. UFFICO STAMPA GEA geassociazione@libero.it www.geassociazione.eu

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