Rassegna commenti e pareri sulla Riforma del Terzo Settore

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Approvato dalla Camera il 9 aprile 2015 il Ddl delega per la Riforma del Terzo Settore: i commenti e i pareri dal mondo delle istituzioni e dell’associazionismo


Riforma del Terzo Settore: una sintesi del percorso Intervenendo al Festival del volontariato di Lucca il 12 aprile 2014, il Presidente del Consiglio Renzi ha annunciato che, entro un mese, si sarebbe fatto promotore di una proposta di riforma del Terzo settore. Il 12 maggio 2014 il Consiglio dei Ministri ha reso pubbliche le Linee Guida per la riforma del Terzo settore, lanciando una consultazione pubblica della durata di un mese. Sono circa un migliaio i contributi inviati al Ministero del Lavoro proposti sia da singoli, sia da associazioni e da reti di organizzazioni, tra cui il documento del Forum Nazionale del Terzo Settore e il documento di CSVnet. Il 10 luglio il Consiglio dei Ministri approva il Disegno di Legge “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale” (A. C. 2617); il testo, però, sarà reso pubblico solo il 5 agosto e ufficialmente presentato alla Camera il 22 agosto. Il 19 settembre il Ministero del Lavoro pubblica un report sui contributi ricevuti a seguito della consultazione pubblica.

ALLA CAMERA Affidato alla Commissione XII Affari Sociali della Camera, il 1° ottobre 2014 il DDL vede cominciare il dibattito. La Commissione avvia un ciclo di audizioni: fra gli altri, il 10 novembre, viene audito anche il Forum Nazionale Terzo Settore e CSVnet. Esaurita la tornata di audizioni, ottenuti i pareri delle altre Commissioni interessate e scaduto il 15 gennaio 2015 il termine per la presentazione degli emendamenti, si avvia il loro esame e discussione in Commissione. Il DDL subisce diverse correzioni, tanto da dare origine ad un nuovo testo che viene reinviato alle altre Commissioni della Camera per il loro parere ed eventuali ulteriori correzioni, giungendo infine al testo approvato dalla Commissione (A.C. 2617-A). Il testo viene presentato all’Assemblea della Camera in seno alla quale, il 1° aprile, prende corpo la discussione. Presentati gliemendamenti dell’Assemblea, si avvia il loro esame e discussione. Anche in questa sede vengono approvati emendamenti che modificano il testo proposto dalla Commissione, giungendo il 9 aprile all’approvazione da parte della Camera del testo finale del DDL, che viene trasmesso al Senato (A.S. 1870)

AL SENATO Il 20 aprile, il DDL A.S. 1870 è assegnato alla Commissione I Affari Costituzionali.


09 aprile 2015

Approvato alla Camera il Disegno di legge Delega per la Riforma del Terzo Settore

Roma 9 aprile 2015 – Siamo soddisfatti per l’approvazione del Ddl delega sul Terzo Settore. A meno di un anno dal suo annuncio, ci viene restituito, per questa prima parte dell’iter parlamentare, un buon testo, a riprova che la Commissione e l’Aula alla Camera hanno lavorato con grande attenzione per la Riforma e riorganizzazione di un mondo vastissimo, che interessa oltre 300mila organizzazioni, quasi un milione di lavoratori totali e oltre 4,5 milioni di volontari. Si tratta di un passaggio epocale che coinvolge l’intero Paese e non solo il nostro mondo. Auspichiamo che il successivo esame del testo al Senato possa apportare alcune migliorie legate ad alcuni aspetti gestionali ed organizzativi, anche di natura civilistica e fiscale, delle realtà di terzo settore e delle imprese sociali, ma anche a questioni relative al servizio civile, così come ad una maggiore attenzione al volontariato organizzato e alle forme più spontanee di volontariato e partecipazione dei cittadini, e infine ad una più chiara individuazione del ruolo e funzione dei Centri di servizio per il volontariato. Aspettiamo di poter chiarire i dubbi e dare risposte alle domande su un punto nodale che è quello delle risorse disponibili. Questione che una Riforma di questa portata non può certo ignorare. Su questo e tutti gli altri aspetti continueremo a fare la nostra parte e dare il nostro contributo.


09 aprile 2015

“Scarsa attenzione al volontariato organizzato”: questo il commento della ConVol 09/04/2015 Sin dall’inizio la ConVol ha apprezzato il desiderio del Governo di volersi impegnare con spirito costruttivo alla riforma del terzo settore ma, dichiara la presidente Emma Cavallaro “non possiamo non ripetere il nostro disaccordo per la scarsa attenzione che – nel testo licenziato dalla Camera - è stata data all’identità delle organizzazioni di volontariato e all’autonomia del volontariato organizzato. L’augurio è che si riescano a recuperare nel prosieguo dell’iter legislativo senza confusioni i valori fondanti di una realtà nazionale che coinvolge milioni di persone che operano nella gratuità per il bene comune con spirito di solidarietà, partecipazione e cittadinanza attiva”.


09 aprile 2015

TERZO SETTORE: LEGGE DELEGA ENNESIMA OCCASIONE PERSA PER AMMODERNARE IL PAESE

Il MODAVI Onlus esprime tutta la sua preoccupazione per il contenuto della legge delega approvata oggi dalla Camera dei Deputati. Riteniamo che questa sia l’ennesima occasione persa dal Governo, per ammodernare il Paese e renderlo al passo con le sfide del futuro, e favorire concretamente l’autonoma iniziativa dei cittadini tesa alla tutela dell’interesse generale. La delega presenta due macroscopiche criticità, che ci auguriamo vengano colmate dal Senato: la mancanza di coinvolgimento degli enti del Terzo Settore nella fase di stesura dei regolamenti delegati e l’assenza di Autorità Garante del Terzo Settore con ampi poteri di controllo e di garanzia su enti, procedure di affidamento, spese sostenute con denaro pubblico nonché sull’impatto sociale degli interventi finanziati. Il mancato coinvolgimento degli enti rischia di generare una riforma distante dai reali problemi di chi vive il comparto, e pone in evidenza l’approccio burocratico/amministrativo adottato dal Governo su questo tema. Inoltre, con questa formulazione viene meno, ancora una volta, un punto di confronto e di sintesi tra il mondo della politica ed il mondo del sociale. Denunciamo anche l’assenza di un’Authority del Terzo Settore, che avrebbe garantito l’etica di comportamento delle organizzazioni senza scopo di lucro. Pertanto, l’Authority, alla luce dei vergognosi fatti di Roma Capitale e della speculazione economica di alcune realtà a danno della promozione sociale, sarebbe stata un’importante segnale di trasparenza e di tutela ed attenzione di tutte quelle migliaia di volontari ed operatori del sociale che, invece, si impegnano costantemente ed instancabilmente per il bene comune. Nel complesso, riteniamo si tratti di una delega molto ampia e non circostanziata, con la quale è stata data carta bianca al Governo sulla definizione dello spazio vitale del Terzo Settore; una delega poco finanziata, poichè mancano le risorse per realizzare importanti parti della riforma, come il servizio civile universale o le attività di controllo affidate al Ministero del Lavoro. In pratica, la riforma del Terzo Settore si traduce in una timida attuazione dell’impresa sociale, in aiuto agli investitori e a chi ha denaro da poter spendere, attraverso l’allargamento dei concetti di finanza e di profitto rispetto alla legge del 2005, l’introduzione della distribuzione degli utili e l’affiancamento di attività commerciali alle attività sociali. Roma, li 9/04/2015


09 aprile 2015

Bobba, bene ok Camera a riforma Terzo Settore, misura importante e attesa "La Camera ha approvato oggi, in meno di due giorni, la legge delega di riforma del Terzo Settore che, quindi, continua speditamente il suo iter parlamentare". Ad affermarlo in una nota è il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba. "Sono molto soddisfatto per il lavoro svolto, per il metodo utilizzato e per l’impegno profuso in Commissione Affari Sociali", sottolinea Bobba aggiungendo che "si è svolto un dialogo serrato con tutte le forze politiche, certamente non privo di ostacoli ma sicuramente proficuo e costruttivo che ha portato al voto finale di oggi. Direi che il passaggio parlamentare più impegnativo si è concluso e ora riprenderemo i lavori in Senato auspicando che si possa mantenere lo stesso passo". La delega al Governo per la Riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, rileva Bobba,"è stata varata dopo un percorso iniziato con la presentazione on line delle linee guida cui è seguita una consultazione pubblica alla quale hanno partecipato più di mille soggetti fra associazioni, cooperative, fondazioni e organismi del mondo del volontariato e rappresenta per l’Italia una svolta culturale poiché è la prima volta che un Governo decide di riformare un settore così delicato e significativo per la vita economica e sociale del nostro Paese". Per Bobba si tratta di "una riforma importante e attesa che è stata annoverata tra le grandi riforme che trasformeranno il Paese e contribuiranno ad offrire nuove opportunità al cittadino sia come singolo sia nelle formazioni sociali secondo il dettato costituzionale. Se non vi saranno intralci l’iter parlamentare potrebbe terminare prima dell’estate per poi passare, finalmente, alla stesura dei decreti delegati".


09 aprile 2015

Terzo settore: Poletti, approvazione delega alla Camera passaggio importante per un provvedimento che punta a dare certezza di regole, di risorse e trasparenza alle attività

A seguito dell'approvazione, da parte della Camera dei Deputati, del disegno di legge delega per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Voglio esprimere la mia soddisfazione ed il mio apprezzamento per il lavoro svolto dalla Commissione Affari Sociali, dai relatori e dall'Aula che ha consentito di migliorare il testo consegnato dal Governo. L'approvazione di oggi segna un passaggio importante nel percorso parlamentare di un provvedimento che punta -definendo un quadro di regole certe e di trasparenza e senza intaccare il valore della pluralità delle esperienze- ad introdurre misure per favorire la partecipazione attiva e responsabile delle persone, valorizzare il potenziale di crescita e di creazione di occupazione insito nell'economia sociale e nelle attività svolte dal cosiddetto Terzo settore, anche attraverso il riordino e l'armonizzazione di incentivi e strumenti di sostegno. Senza dimenticare il riconoscimento del carattere 'universale' del servizio civile, cioè aperto a tutti e su base volontaria, finalizzato a promuovere attività di solidarietà, inclusione sociale, cittadinanza attiva, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale del nostro Paese. La legge delega punta, inoltre, a dare certezza di risorse. Su questo piano, le previsioni che contiene si affiancano a scelte già compiute con la legge di stabilità che ha stanziato oltre 115 milioni che, sommandosi ai 10 milioni ottenuti dai risparmi sulle spese generali della Presidenza del Consiglio, permetteranno, nel 2015, di avviare al servizio civile circa 50.000 giovani. Così come non vanno dimenticati i 500 milioni destinati alla stabilizzazione del 5 per mille, che consentiranno alle organizzazioni del Terzo settore di progettare e programmare i loro interventi finanziati con queste risorse. L'auspicio è che il Senato, al quale passerà ora il testo licenziato dalla Camera, possa assicurare una rapida approvazione del provvedimento".


09 aprile 2015

Riforma del terzo settore. Cgil: rischio deriva commerciale nei servizi Lamonica, segretaria confederale sull'approvazione della legge delega: "Si allarga la possibilità di agire per imprese profit, con il serio rischio che irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare" 09 aprile 2015 - 15:53 ROMA - "Il disegno di legge, dopo le modifiche approvate alla Camera, definisce in modo più chiaro l'ambito della riforma del terzo settore, quindi dove interverranno i successivi decreti delegati del governo, e preserva il ruolo peculiare del volontariato e il suo carattere gratuito. Purtroppo, però, conferma norme che snaturano l'impresa sociale, accentuandone il carattere commerciale". Così Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil, commenta il via libera di Montecitorio al ddl delega per la riforma del terzo settore. "Con questo provvedimento - continua Lamonica - si allarga anziché restringere la possibilità di agire per imprese profit, con il serio rischio che irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare, già duramente colpito dai tagli alla spesa per la protezione sociale". Per la dirigente sindacale vi è poi "un'altra grave mancanza, da colmare in quanto mina un tratto distintivo dell'impresa sociale: devono essere riconosciuti ruolo e diritti dei lavoratori con strumenti adeguati quali informazione, consultazione, contrattazione e clausole sociali. Per questi motivi - conclude Lamonica - nel corso della discussione parlamentare al Senato continueremo ad insistere sulle proposte di modifica presentate da Cgil, Cisl e Uil".


09 aprile 2015

Riforma del terzo settore, via libera della Camera. "Passaggio storico" Passata con 297 voti favorevoli, 121 voti contrari e 50 astenuti in prima lettura a Montecitorio. Patriarca (Pd): "Pari a una riforma costituzionale perché ridisegna la struttura della società civile". La relatrice Lenzi: "La vera partita saranno i decreti". 09 aprile 2015 - 16:13 ROMA – “Uno dei più importanti passaggi di questa legislatura, come fosse una riforma costituzionale”. Con 121 voti contrari, 297 voti favorevoli e 50 astenuti passa in prima lettura a Montecitorio la riforma del Terzo settore: contrari Sel e Movimento 5 Stelle, astenuta Forza Italia. A commentare il voto i deputati del Partito democratico, Edoardo Patriarca e Donata Lenzi, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera e relatrice al Ddl delega in materia di Terzo settore. Un testo approdato in aula agli inizi di aprile e che ad oggi ha visto apportare soltanto poche modifiche, ma si tratta del primo passaggio in aula e la partita è ancora aperta. Una vittoria non a pieni voti, ma con una piena maggioranza. C’è “rammarico” tra le fila del Pd per il no di Sel, spiega Patriarca. “L’intervento di Giulio Marcon (deputato di Sel, ndr) mi è sembrato davvero fuori tempo e ovviamente non mi ha stupito il no dei grillini, perché questo loro mettere sempre al centro il tema dei controlli, della corruzione e di disegnare un terzo settore come quello di Mafia capitale non potevamo certo accettarlo come prospettiva della legge. Abbiamo dovuto respingere tutte quelle norme che calcavano pesantemente sugli aspetti del controllo, della vigilanza, dell’antimafia. Non si poteva orientare una riforma sotto la cifra del controllo e della vigilanza”. Secondo Lenzi, inoltre, da parte di Sel e del Movimento 5 Stelle c’è stata “una lettura antica per cui sostenere il Terzo settore sia di per sé segno di una volontà di demolizione del Welfare, cosa che non è assolutamente nelle nostre intenzioni. Riteniamo, invece, che bisogna ricordare che il Terzo settore non si occupa soltanto di assistenza sociale, ma in grandissima misura di cultura, di difesa del patrimonio ambientale, sport e altro. E’ una visione molto limitata di Terzo settore quella che ritiene che sia solo nel sociale”. Tra le modifiche apportate al testo, quella sul Codice civile, l’impresa sociale e la vigilanza. “Le operazioni più sostanziali di modifica – spiega Patriarca - sono state quelle di rivedere quegli articoli in cui si impegnava il governo a rivedere il codice civile: l’articolo uno e due erano abbastanza confusi e li abbiamo sistemati migliorandoli, introducendo per la volta la definizione di Terzo settore che prima non esisteva in nessuna norma legislativa”. Il ddl, spiega Lenzi, “prevede la revisione delle norme del Codice civile in materia di associazioni e fondazioni attraverso la semplificazione del procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica, l’obbligo di trasparenza e informazione anche con forme di pubblicità dei bilanci e la garanzia del rispetto dei diritti degli associati”. Altro intervento in aula quello sull’impresa sociale. “Il mandato del governo era un po’ troppo largo – aggiunge Patriarca -. Abbiamo limitato la parziale redistribuzione degli utili vincolandola alle normative già esistenti per le cooperative”. Poi la questione della vigilanza. “Abbiamo migliorato quello che il governo chiamava struttura di missione – aggiunge Patriarca -, una struttura fragilissima che non poteva controllare il Terzo settore. Abbiamo preferito affidare al ministero del Lavoro e ad altri soggetti tra cui il terzo settore il compito della vigilanza e del controllo”. Punto centrale della riforma, aggiunge Lenzi, “l’istituzione del Codice del Terzo settore per la raccolta e il


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coordinamento delle norme al fine di definire le modalità organizzative e amministrative degli enti che dovranno essere ispirate ai principi di democrazia, eguaglianza e pari opportunità; disciplinare gli obblighi di controllo interno, rendicontazione e trasparenza e le modalità di verifica periodica dell'attività svolta; riorganizzare il sistema di registrazione degli enti attraverso la messa a punto di un registro unico del Terzo settore che sarà istituito presso il ministero del Lavoro con la previsione dell'obbligo della iscrizione per tutti gli enti che si avvalgono di fondi pubblici o privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei”. Tema aperto, infine, quello della definizione di Servizio civile: “La proposta che abbiamo fatto non è stata interpretata da alcuni nel senso che auspicavamo – aggiunge Lenzi -. Penso che sarà necessario intervenire ancora per chiarire che non abbiamo alcuna intenzione di perdere quel contenuto non violento e di difesa non armata della patria che è propria del Servizio civile”. Sul resto del testo, inoltre, per Lenzi “ci sono stati miglioramenti anche tecnici per riuscire a rendere il testo più comprensibile”. Un passaggio storico. Per Patriarca il voto di oggi ha segnato “uno dei più importanti passaggi di questa legislatura, forse poco percepito come passaggio di rilievo. Per me è stato un passaggio pari ad una riforma costituzionale perché in qualche modo ridisegna la struttura della società civile, che è parte della Repubblica. Questo momento era atteso da anni”. Un “buon testo”, aggiunge Patriarca, “decisamente migliorato rispetto a quello che ci ha consegnato il governo. Poi qualcuno dirà che non va ancora bene e vedremo col passaggio al Senato”. Per Lenzi, infine, l’iter potrebbe non apportare grosse modifiche. “Non so dire se ci potranno essere modifiche nei prossimi passaggi parlamentari – spiega -, ma non credo che possano esserci modifiche significative. Abbiamo cercato di lavorare tenendo un contatto con i senatori. La vera partita saranno i decreti”.


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Riforma del terzo settore, Guerini (coop sociali): "Direzione giusta" Il portavoce di Alleanza Cooperative Sociali commenta l'approvazione della legge delega: "sulla rete di controlli si giocherà la buona riuscita della riforma, ma siano intelligenti e non appesantiscano" 09 aprile 2015 - 16:56 ROMA - "Va nella giusta direzione e pone le basi per intervenire su un settore che da tempo aveva necessità di essere ordinato con maggior chiarezza e trasparenza". Così Giuseppe Guerini, portavoce Alleanza Cooperative Sociali commenta positivamente l’approvazione del disegno di legge delega per la riforma del terzo settore da parte della Camera. "Tra i punti centrali del provvedimento – aggiunge Guerini – si evidenzia l’introduzione di una doppia rete di controlli, con l’azione esterna del ministero del Lavoro e dall’Agenzia delle entrate associata a un sistema di accertamenti interni, sulla quale si giocherà la buona riuscita della riforma. Avviare un meccanismo di controlli più stringente e basato sulla massima trasparenza – continua la nota – eviterà che le imprese sane continuino a essere danneggiate da quelle che speculano su un settore cui il governo, nel testo del provvedimento appena approvato, riconosce finalità d’interesse generale, poiché fondato sulla cultura della sussidiarietà e della partecipazione attiva dei cittadini alla vita economica". "Auspichiamo che i controlli siano intelligenti e non appesantiscano ulteriormente gli oneri burocratici che già gravano sulle imprese e che il provvedimento venga integrato da norme che diano maggiore impulso all’economia sociale. Il reale completamento della riforma – conclude Guerini – dipenderà dall’impostazione dei provvedimenti ad essa collegati, soprattutto in ambito economico".


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Riforma Terzo settore, Melandri: passi avanti sull'impresa sociale L'approvazione, "una buona notizia". Il commento della presidente di Human Foundation: "La delega ci restituisce un profilo giuridico dell’impresa sociale più avanzato e allineato con quanto sta accadendo negli altri Paesi Europei sull'imprenditorialità sociale" 09 aprile 2015 - 15:07 ROMA - “L’approvazione, in prima lettura, della Legge Delega di riforma del Terzo Settore è certamente una buona notizia". E' il commento di Giovanna Melandri, coordinatrice dell’Advisory Board italiano della Task Force G8 sugli investimenti sociali e presidente di Human Foundation - In particolare, da una prima analisi del testo uscito dall’esame della Camera dei Deputati, ci sembra che sull’impresa sociale si siano fatti alcuni importanti passi in avanti rispetto alla precedente normativa". Per Melandri la Delega "ci restituisce un profilo giuridico dell’impresa sociale più avanzato e, soprattutto, allineato con quanto sta accadendo da tempo negli altri Paesi Europei sull’imprenditorialità sociale". "Rispetto al tema dell’articolazione in settori di intervento, il testo iniziale era certamente più avanzato e coraggioso, pertanto, su questo aspetto, il giudizio è solo parzialmente positivo. - prosegue - Allo stesso tempo, ci preme rilevare con favore l’enfasi del testo della delega sulle pratiche di misurazione dell’impatto sociale, che sono uno strumento fondamentale per rendere più efficace, efficiente e trasparente il Terzo Settore.”


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Riforma del terzo settore, sì alla legge delega. Tappa storica o chance persa? La Camera dei deputati ha concluso l'esame e approvato il disegno di legge per la riforma. Ora passa al Senato. Associazioni divise, mentre il Pd difende la riforma. Poletti: "Definito un quadro di regole certe". Argentin (Pd): "Garantita la trasparenza". Marcon (Sel): "Terzo settore asservito alle logiche di mercato". 09 aprile 2015 ROMA - La Camera dei deputati ha concluso l'esame del testo e approvato il Disegno legge di Delega per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale. "Voglio esprimere la mia soddisfazione ed il mio apprezzamento per il lavoro svolto dalla Commissione Affari Sociali, dai relatori e dall'Aula che ha consentito di migliorare il testo consegnato dal Governo. L'approvazione di oggi segna un passaggio importante nel percorso parlamentare di un provvedimento che punta, definendo un quadro di regole certe e di trasparenza e senza intaccare il valore della pluralità delle esperienze, ad introdurre misure per favorire la partecipazione attiva e responsabile delle persone, valorizzare il potenziale di crescita e di creazione di occupazione insito nell'economia sociale e nelle attività svolte dal cosiddetto Terzo settore, anche attraverso il riordino e l'armonizzazione di incentivi e strumenti di sostegno". Così a seguito dell'approvazione da parte della Camera del disegno di legge delega per la riforma del Terzo settore, il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti. E aggiunge: "Senza dimenticare il riconoscimento del carattere 'universale' del servizio civile, cioè aperto a tutti e su base volontaria, finalizzato a promuovere attività di solidarietà, inclusione sociale, cittadinanza attiva, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale del nostro Paese". Per Poletti "la legge delega punta, inoltre, a dare certezza di risorse. Su questo piano, le previsioni che contiene si affiancano a scelte già compiute con la legge di stabilità che ha stanziato oltre 115 milioni che, sommandosi ai 10 milioni ottenuti dai risparmi sulle spese generali della Presidenza del Consiglio, permetteranno, nel 2015, di avviare al servizio civile circa 50 mila giovani. Così come non vanno dimenticati i 500 milioni destinati alla stabilizzazione del 5 per mille, che consentiranno alle organizzazioni del Terzo settore di progettare e programmare i loro interventi finanziati con queste risorse. L'auspicio - conclude il ministro - è che il Senato, al quale passerà ora il testo licenziato dalla Camera, possa assicurare una rapida approvazione del provvedimento". Le reazioni delle associazioni. Il Modaviesprime tutta la sua preoccupazione per il contenuto della legge delega. "Riteniamo - si legge in una nota - che questa sia l’ennesima occasione persa dal Governo”. La delega, per l’associazione, “presenta due macroscopiche criticità, che ci auguriamo vengano colmate dal Senato: la mancanza di coinvolgimento degli enti del terzo settore nella fase di stesura dei regolamenti delegati e l’assenza di Autorità Garante del Terzo Settore con ampi poteri di controllo e di garanzia su enti, procedure di affidamento, spese sostenute con denaro pubblico nonché sull’impatto sociale degli interventi finanziati". Per Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil, "il disegno di legge definisce in modo più chiaro l'ambito della riforma del terzo settore e preserva il ruolo peculiare del volontariato e il suo carattere gratuito. Purtroppo, però, conferma norme che snaturano l'impresa sociale, accentuandone il carattere commerciale". Per Giuseppe Guerini, portavoce di Alleanza Cooperative Sociali, il disegno di legge delega "va nella giusta direzione e pone le basi per intervenire su un settore che da tempo aveva necessità di essere ordinato con maggior chiarezza e trasparenza".


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Tra i punti centrali del provvedimento, evidenziata “l’introduzione di una doppia rete di controlli, con l’azione esterna del ministero del Lavoro e dall’Agenzia delle entrate associata a un sistema di accertamenti interni, sulla quale si giocherà la buona riuscita della riforma”. La presidente di ConVol, Emma Cavallaro, sottolinea il disaccordo della propria associazione “per la scarsa attenzione che - nel testo licenziato dalla Camera - è stata data all’identità delle organizzazioni di volontariato e all’autonomia del volontariato organizzato”. Positivo invece il commento di Giovanna Melandri, coordinatrice dell’Advisory Board italiano della Task Force G8 sugli investimenti sociali e presidente di Human Foundation. Che afferma: “Da una prima analisi del testo ci sembra che sull’impresa sociale si siano fatti alcuni importanti passi in avanti rispetto alla precedente normativa". La delega, inoltre, "ci restituisce un profilo giuridico dell’impresa sociale più avanzato e, soprattutto, allineato con quanto sta accadendo da tempo negli altri Paesi Europei sull’imprenditorialità sociale". Le reazioni politiche. Ileana Argentin (Pd): finalmente garantita la trasparenza. Per la deputata del Pd, "ce n'era un gran bisogno e sono certa che episodi come quelli legati a Mafia Capitale non si ripeteranno anche grazie allo scudo di questa legge. Auspico ulteriori aggiustamenti in Senato - aggiunge - che possano contribuire a garantire la trasparenza per le imprese sociali". Paola Binetti (Ap): distinguere volontariato da impresa sociale. Per la deputata, "la questione sociale, in particolare in questa congiuntura critica, deve tornare al centro del dibattito parlamentare. Per questo voteremo in favore del ddl delega di riforma del terzosettore". Tuttavia, precisa, "dobbiamo distinguere sempre di più e meglio, anche nei prossimi decreti attuativi, tra terzo settore e Impresa sociale. Al tempo stesso bisogna riconoscere che tra le due realta'' ci possono essere flussi positivi di reciproca influenza ma non sovrapposizione". Giulio Marcon (Sel): no a una legge che apre alla privatizzazione. Nel corso dell’intervento in Aula, il deputato ha affermato: “Quella approvata oggi è una legge che non tutela i diritti dei lavoratori del terzo settore, che rende subalterno e asservito il terzo settore alle logiche del mercato e della supplenza alle istituzioni pubbliche. Una legge che rischia di ridurre i servizi di welfare per fare spazio alle imprese”. Ha risposto Edoardo Patriarca (Pd), che ha affermato: “L’intervento di Giulio Marcon mi è sembrato davvero fuori tempo e ovviamente non mi ha stupito il no dei grillini, perché questo loro mettere sempre al centro il tema dei controlli, della corruzione e di disegnare un terzo settore come quello di Mafia capitale non potevamo certo accettarlo come prospettiva della legge". Per Patriarca, invece, siamo in presenza di "uno dei più importanti passaggi di questa legislatura, come fosse una riforma costituzionale”. E sempre sulle polemiche, Donata Lenzi (Pd), relatrice al Ddl delega, ha aggiunto: "Quella di Sel e M5S è una lettura antica per cui sostenere il Terzo settore sia di per sé segno di una volontà di demolizione del Welfare, cosa che non è assolutamente nelle nostre intenzioni. Riteniamo, invece, che bisogna ricordare che il Terzo settore non si occupa soltanto di assistenza sociale, ma in grandissima misura di cultura, di difesa del patrimonio ambientale, sport e altro. E’ una visione molto limitata di Terzo settore quella che ritiene che sia solo nel sociale”. Per il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba, invece, "è una riforma importante e attesa che è stata annoverata tra le grandi riforme che trasformeranno il Paese e contribuiranno ad offrire nuove opportunità al cittadino sia come singolo sia nelle formazioni sociali secondo il dettato costituzionale. Se non vi saranno intralci l'iter parlamentare potrebbe terminare prima dell'estate per poi passare, finalmente, alla stesura dei decreti delegati".


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Riforma Terzo settore, la Camera approva 09/04/2015 Il testo passa coi i voti contrari di Sel e Movimento 5 Stelle. Il deputato democratico Edoardo Patriarca: «Un passaggio fondamentale dell'intera legislatura ma rimane aperto il nodo delle coperture. Mi auguro che il governo con la legge di Stabilità dimostri coerenza» Contrari Sel e Movimento 5 Stelle, astenuta Forza Italia, favorevoli tutti i partiti della maggioranza. Si è chiusa così la votazione alla Camera in prima lettura della delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale. (C. 2617-A). In allegato il testo della bozza del Ddl con evidenziati i passaggi modificati (il testo non acora rivisto dagli uffici legislativi di Montecitorio, quello ufficiale non sarà divulgato prima di lunedì). “Questa norma è un manifesto contro la sfiducia verso il prossimo, il declinismo e la disgregazione. Una legge di valore che sprigiona valori positivi, un giusto riconoscimento per chi lavora nel mondo del Terzo settore e troppo spesso fa quello che lo Stato non riesce a fare. Dal governo è arrivato un vero e proprio Social Capital Act, una proposta di forte innovazione che il Parlamento ha migliorato” così Pierpaolo Vargiu, presidente della Commissione Affari Sociali di Montecitorio, ha commentato il via libera della Camera. Quanto ai contenuti, ecco la panoramica di Donata Lenzi, la relatrice di maggioranza del ddl: “La legge delega fornisce una grande occasione di crescita per tutti i protagonisti del Terzo Settore. In particolare, di fronte agli scandali e alle inchieste che coinvolgono pesantemente dirigenti di alcune imprese cooperative – conclude -, credo che l'attuazione di questa riforma debba e possa rappresentare uno stimolo e uno strumento per un forte rinnovamento, così da difendere il patrimonio di valori e di lavoro positivo del mondo della cooperazione”. “L'approvazione in prima lettura della Legge Delega che riforma il Terzo Settore e il Servizio Civile è una buona notizia per i milioni di italiani che quotidianamente prestano la loro opera da volontari, da cooperatori, da imprenditori sociali. Si compie finalmente un passo nella direzione di un riordino - da tempo ritenuto necessario di tutte le normative specifiche e si creano le condizioni per un rilancio del ruolo dei diversi attori del Terzo Settore”. Così Marina Sereni, vice presidente della Camera, commenta l’ok di Montecitorio.


09 aprile 2015

Riforma Terzo Settore, la Cnesc: «Sul servizio civile, testo da migliorare» 09 aprile 2015

Secondo la Conferenza nazionale degli enti «la contrazione a tre tipologie di esperienze (“cittadinanza attiva, solidarietà e inclusione sociale”) rischia di eliminare ad esempio le esperienze ambientali, nei beni culturali, nella promozione sociale, oltre che aprire alla discrezionalità del potere politico di turno» La Conferenza nazionale degli enti di servizio civile (la Cnesc, in foto il presidente Licio Palazzini) promuove la riforma del Terzo settore, ma con riserva. «Tre erano i cardini innovativi della riforma in materia di servizio civile proposta dal Governo» scrive in una nota, «Renderlo Universale, cioè aperto a tutti i giovani che chiedono di farlo e su questo punto sarà il DEF in via di presentazione e la successiva legge di stabilità 2016-2018 che chiariranno le intenzioni del Governo. Al momento con la dotazione attuale prevista per il 2016 (113 milioni di euro) si tornerebbe a poco più di 20.000 opportunità con le drammatiche conseguenze sul Servizio Civile Nazionale esistente. Per avere 50.000 giovani in servizio nel 2016, numero già basso rispetto all’obiettivo dei 100.000 nel 2017, serviranno almeno 300 milioni di euro». «L’altro cardine», continua la nota, «era portare a compimento l’apertura ai cittadini stranieri residenti nel nostro Paese e ai cittadini comunitari. Per motivi di tenuta nella maggioranza di Governo la questione è stata accantonata, ma resta aperta sul piano parlamentare, con la curiosa situazione che, sul piano amministrativo, il servizio civile nazionale è dal 2013 aperto di fatto ai non italiani». «L’ultimo cardine», conclude la Cnesc, «era la definizione dell’identità costituzionale e culturale del Servizio Civile Universale per dare uno sbocco positivo ai conflitti che dal 2001 indeboliscono il servizio civile in Italia. Rispetto al limpido testo proposto dal Governo la formulazione votata appare confusa e riduttiva. Confusa perché l’introduzione della dizione “valori fondanti della patria” (su quali come non essere d’accordo?) va approfondita nel suo incardinamento nell’ordine costituzionale e giuridico, e soprattutto non risolve quei conflitti di cui sopra. Riduttiva perché elimina la caratteristica “civile e non armata” al Servizio Civile. Non vorremmo che la formulazione approvata aprisse di fatto a esiti paradossali. La contrazione a tre tipologie di esperienze (“cittadinanza attiva, solidarietà e inclusione sociale”) rischia di eliminare ad esempio le esperienze ambientali, nei beni culturali, nella promozione sociale, oltre che aprire alla discrezionalità del potere politico di turno».


09 aprile 2015

L’On. Maria Greco (Pd) su riforma del terzo Settore Soddisfazione è stata espressa da parte dell’ Onorevole del Pd. Maria Greco per l’ approvazione da parte della Camera dei deputati in prima lettura del disegno di legge delega sulla riforma del “Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale.” Capillare, produttivo, in costante e rapida espansione. Il Terzo settore rappresenta una delle realtà economiche, sociali e giuridiche più rilevanti e dinamiche del nostro paese. “Nell’ esprimere personalmente gratitudine per le attività svolte dal Terzo settore, il provvedimento – ha detto l’ On. Maria Greco – riforma organicamente la disciplina riguardante il volontariato, la cooperazione sociale, l’associazionismo non-profit, le fondazioni, le imprese sociali, alcune associazioni , queste realtà – ha detto l’ On Greco – assumono un rilievo particolare per il loro contributo pubblico in termini di attivazione di processi solidaristici e di capacità coesiva, il primo intento del provvedimento è quello di sostenere e incentivare i cittadini che si associano per il bene comune”. Nel corso degli anni, il mondo del non-profit e il network degli enti e delle associazioni che rientrano in questa categoria, si sono arricchiti e sviluppati su tutto il territorio nazionale. Per le molteplici attività del Terzo settore, negli anni si sono andate profilando di fatto tre condizioni essenziali: la natura privata dei soggetti, l’assenza dello scopo di lucro e lo svolgimento di attività socialmente rilevanti. Tuttavia, nell’ordinamento italiano, è mancata finora una disciplina organica che individuasse e valorizzasse a pieno le modalità di azione di una sfera che risponde a logiche diverse rispetto all’impresa di mercato. “Il testo approvato – ha proseguito l’ On. Maria Greco – interviene su quattro direttrici: la riforma del Codice civile nelle parti in cui regola l’attività delle associazioni e delle fondazioni; la costruzione e definizione di un codice del Terzo settore; l’aggiornamento dell’impresa sociale e, infine, l’istituzione di un riformato servizio civile universale, inoltre – conclude l’ On. Maria Greco – sono previste agevolazioni economiche in favore degli enti del Terzo settore e il riordino e l’armonizzazione della relativa disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio, è prevista una nuova definizione di ente non commerciale ai fini fiscali, la riorganizzazione delle agevolazioni fiscali connesse all’erogazione di risorse al Terzo settore, la riforma dell’istituto del cinque per mille allo scopo di rendere noto l’utilizzo delle somme devolute con questo strumento, l’assegnazione di immobili pubblici inutilizzati e la revisione della disciplina delle Onlus” L’Istat ha censito 300.191 organizzazioni non profit che impiegano 681mila addetti, 271mila lavoratori stabili e 5mila temporanei. I volontari sono 4 milioni e 700mila. Il ‘Terzo settore’ viene definito come il complesso degli enti privati con finalità civiche e solidaristiche che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d’interesse generale attuando il principio di sussidiarietà.


09 aprile 2015

Ddl terzo settore, Sel: “Privatizzerà sanità”. Ma Poletti: “Molto soddisfatto” L'approvazione alla Camera del provvedimento non placa la polemica sulla riforma del no profit, che non prevede tra il resto la creazione di un'authority di vigilanza ad hoc e apra alla possibilità per le imprese sociali di distribuire utili. Il Forum del terzo settore evidenzia che per tradurre in pratica la delega servono risorse. Il sociologo Giovanni Moro: "Hanno prevalso spinte lottizzatrici". 09/04/2015 “Sel ha votato contro la legge delega sul terzo settore perché apre le porte alla privatizzazione della sanità e della formazione dell’università, e dà la possibilità alle società profit, commerciali, di capitali di usufruire delle agevolazioni del terzo settore per investire nei mercati sociali”. L’approvazione del discusso ddl delega per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale avvenuta mercoledì alla Camera con 297 voti favorevoli, 121 contrari, 50 astenuti, insomma, non placa le polemiche su quella che nella più benevola delle interpretazioni degli addetti ai lavori, è stata definita un’occasione mancata. “Quella approvata oggi è una legge che non tutela i diritti dei lavoratori del terzo settore, che rende subalterno e asservito il terzo settore alle logiche del mercato e della supplenza alle istituzioni pubbliche. Una legge che rischia di ridurre i servizi di welfare per fare spazio alle imprese”, ha rincarato la dose Sel per bocca del deputato Giulio Marcon. Sulla stessa linea la Cgil, secondo la quale “il disegno di legge (che ora passa al Senato, ndr) preserva il ruolo peculiare delvolontariato e il suo carattere gratuito. Purtroppo, però, conferma norme che snaturano l’impresa sociale, accentuandone il carattere commerciale”. La confederazione, per bocca del segretario confederale Vera Lamonica, sottolinea che con il provvedimento “si allarga anziché restringere la possibilità di agire per le imprese profit, con il serio rischio che irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare, già duramente colpito dai tagli alla spesa per la protezione sociale”. Per la dirigente sindacale vi è poi “un’altra grave mancanza, da colmare in quanto mina un tratto distintivo dell’impresa sociale: devono essere riconosciuti ruolo e diritti dei lavoratori con strumenti adeguati quali informazione, consultazione, contrattazione e clausole sociali”. Dalla ripartizione degli utili al servizio civile universale – Al centro delle critiche c’è il punto più controverso del provvedimento, quello in base al quale i futuri decreti delegati dovranno prevedere per le imprese sociali – società che producono beni o servizi “di utilità sociale” – “forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione degli utili“, pur assicurandone “la prevalente destinazione al conseguimento degli obiettivi sociali”. Tra le altre novità ci sono poi l’istituzione di un registro unico del terzo settore, la nascita del servizio civile universale, il riordino delle agevolazioni fiscali e di sostegno economico, compreso il 5 per mille: verranno rivisti i criteri di accreditamento dei soggetti beneficiari e i requisiti per l’accesso al beneficio e sarà introdotto l’obbligo di pubblicità sull’utilizzo delle risorse ricevute. Arriva poi una nuova definizione ufficiale del terzo settore: “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento senza scopo di lucro di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d’interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità”. Alleanza cooperative festeggia. Anche se non ci sarà un’authority di vigilanza ad hoc per il settore - Il ministro del Lavoro e del welfare Giuliano Poletti, ex numero uno delle coop, è però convinto che questo primo via


09 aprile 2015

libera segni un “passaggio importante per un provvedimento che punta a dare certezza di regole e di risorse e trasparenza alle attività”. Quanto al servizio civile, “le previsioni” contenute nella legge delega “si affiancano a scelte già compiute con la legge di Stabilità che ha stanziato oltre 115 milioni che, sommandosi ai 10 milioni ottenuti dai risparmi sulle spese generali della Presidenza del Consiglio, permetteranno, nel 2015, di avviare circa 50mila giovani”. Analogo entusiasmo dalle cooperative del settore. “Va nella giusta direzione e pone le basi per intervenire su un settore che da tempo aveva necessità di essere ordinato con maggior chiarezza e trasparenza”, ha commentato il portavoce di Alleanza Cooperative Sociali, Giuseppe Guerini, per il quale tra i punti centrali del provvedimento, “si evidenzia l’introduzione di unadoppia rete di controlli, con l’azione esterna del ministero del Lavoro e dall’Agenzia delle entrate associata a un sistema di accertamenti interni, sulla quale si giocherà la buona riuscita della riforma”. Quindi nessun problema per la mancata creazione di un’authority di vigilanza ad hoc, anzi: “Avviare un meccanismo di controlli più stringente e basato sulla massima trasparenza eviterà che le imprese sane continuino a essere danneggiate da quelle che speculano su un settore cui il governo, nel testo del provvedimento appena approvato, riconosce finalità d’interesse generale, poiché fondato sulla cultura della sussidiarietà e della partecipazione attiva dei cittadini alla vita economica”. Infine le richieste: Guerini auspica che “i controlli siano intelligenti e non appesantiscano ulteriormente gli oneri burocratici che già gravano sulle imprese e che il provvedimento venga integrato da norme che diano maggiore impulso all’economia sociale”. Forum nazionale del terzo settore: “Ora trovare i fondi” - Ma il Forum nazionale del Terzo settore, pur tra i grandi sostenitori della riforma e convinto che il testo rappresenti “unpassaggio epocale“, solleva dubbi proprio sul fronte delle risorse. E auspica “che il successivo esame del testo al Senato possa apportare alcune migliorie legate ad alcuni aspetti gestionali e organizzativi, anche di natura civilistica e fiscale, delle realtà di terzo settore e delle imprese sociali, ma anche a questioni relative al servizio civile, così come a una maggiore attenzione al volontariato organizzato e alle forme più spontanee di volontariato e partecipazione dei cittadini, e infine a una più chiara individuazione del ruolo e funzione dei Centri di servizio per il volontariato“. Per il sociologo Giovanni Moro il ddl “applica una logica di mercato al welfare” – Molti addetti ai lavori, per altro, esprimono perplessità sulla filosofia di fondo della delega. Il sociologo Giovanni Moro, presidente di Fondazione Fondacae autore del saggio Contro il non profit, in un’intervista al quotidiano online Vita ha detto che nell’iter parlamentare hanno prevalso “spinte lottizzatrici“. Sfociate in un testo che applica “una logica mercatistica al welfare”, “eccede nell’ansia di regolamentare tutta la galassia del cosiddetto non profit” e prefigura “una sorta di “Confindustria del Terzo settore”, un comodo interlocutore unico delle istituzioni, a cui fra l’altro vengono affidate le potestà di controllo. Che poi è il meccanismo dell’autocontrollo delle cooperative, i cui effetti abbiamo visto conMafia Capitale“.


10 aprile 2015

Riforma del Terzo Settore: il commento di CSVnet Roma, 10 aprile 2015 - L'approvazione del DDL delega sulla Riforma del Terzo Settore ci consente di comprendere l'idea con la quale il legislatore sta delineando ruolo e funzioni dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSV). Ciò che emerge dai lavori della Camera è che l'iter legislativo apre a soluzioni potenzialmente incongruenti con il naturale sviluppo del sistema in essere e, soprattutto, con gli interessi del Volontariato. Ci pare che, nel complesso, sia proprio il Volontariato italiano a rischiare di vedere ridimensionate quelle attenzioni che gli dovrebbero essere riconosciute a ragione delle decine di migliaia di organizzazioni e dei milioni di volontari che ogni giorno fanno sentire la loro presenza radicata in tutto il Paese. Speriamo che il passaggio in Senato possa precisare il lavoro della Camera, di cui abbiamo apprezzato le finalità nonché il tentativo di perseguire il necessario cambiamento. Con riferimento ai Centri di Servizio auspichiamo, in particolare, che continuino ad essere governati dalle organizzazioni di volontariato; che venga riconosciuta la rappresentanza nazionale di CSVnet in una logica di sistema; che venga garantito un meccanismo equo per il finanziamento dei CSV in tutte le regioni. Chiediamo inoltre l'uniformità regolamentare su tutto il territorio nazionale e, non ultimo, il riconoscimento della promozione delle attività di volontariato quale finalità specifica del nostro mandato. Per quanto ci riguarda, dobbiamo constatare che non è arrivata con la necessaria chiarezza ed efficacia all'aula parlamentare l'esperienza maturata in circa 20 anni di attività e l'attesa di oltre 30mila organizzazioni di volontariato a cui quotidianamente i nostri CSV rivolgono i propri servizi.


10 aprile 2015

Riforma del Terzo settore: trenta pirlate non fanno un articolo di Riccardo Bonacina 10/04/2015 La rassegna stampa di questa mattina sull’approvazione alla Camera dei deputati della Legge delega di Riforma del Terzo settore, dell’Impresa sociale e del Servizio civile, è una sorta di fiera dei dilettanti allo sbaraglio. Roba da depressione pensando allo stato dell’informazione in questo Paese. Quel che penso della Riforma l’ho scritto e l’ho detto in questi mesi, concentriamoci ora su alcuni casi della Rassegna stampa odierna che non si capisce se ispirati da malafede o da ignoranza, o le due cose insieme. Cominciamo dal Corriere della sera, cartaceo, che nel sommario ad un articolo ordinato e abbastanza preciso di Alessandra Arachi (a pag. 26) confonde il 5 per mille con l’8 per mille. Mammamia! Il Corriere.it, invece, riprende un articolo di Luca Mattiucci, responsabile di Corriere sociale. Si tratta di un articolo-collage di vari pezzi e dichiarazioni usciti in questi giorni, naturalmente senza citare gli originali. Il problema è che nell’ansia di prestazione, Mattiucci, che pesca di qua e di là, cita senza capire quel che cita. Ecco un esempio. Pescando senza capirne il senso da un articolo di Andrea Rapaccini scrive Mattiucci: “Se oggi chiunque può scegliere di finanziare un’impresa sociale recuperando un tasso di debito comunque non superiore al 21% (legge anti-usura), dopo la Riforma sarà possibile investire nell’impresa sociale “rischiando” il capitale. In altre parole se oggi finanziare una non-profit può equivalere a recuperare l’importo erogato, dopo la Riforma si potrà investire nel capitale dell’organizzazione equiparando ricavi e perdite esattamente come in qualsiasi profit. Un gioco pericoloso”. Caro Mattiucci, pericoloso è chi non capisce e non si sforza di capire. Quel passaggio mal citato (anzi non citato) voleva spiegare che oggi a fronte della necessità di investimenti alle imprese sociali oggi sono percorribili solo due vie: la prima quella di trovare dei donatori a fondo perduto, la seconda quella di finanziarsi a debito, ovvero tramite mutui o bond bancari. Il finanziamento a debito non ha limiti di legge al lucro bancario se non le norme anti usura, il 21% del prestato appunto. Se questo è chiaro (chiaro?) allora non si capisce perchè non introdurre (come in tutta Europa) anche l’investimento con capitale di rischio con una remunerazione cappata di tale capitale, la delega parla dello stesso cap previsto per le cooperative. Per approfondimenti si veda il DLgs. n. 6/2003 che ha novellato l’art. 2526 c.c. Uffa, spero sia chiaro. Il campione del giornalismo di inchiesta, poi, Il Fatto quotidiano, se ne esce con un articolo a firma di Salvatore Cannavò (ex deputato di Rifondazione comunista e vice direttore di quel che fu il suo quotidiano, Liberazione), che è una summa di idiozie e di retroscena fantasmagorici fondati sul “sentito dire”. “Da oggi si guadagna” recita il titolo, come se l’ipotesi di non dipendere più dagli affidamenti diretti da parte degli assessori e della politica fosse lo scenario peggiore. Remember Coop 29 giugno? Caro Cannavò il problema non è se l’impresa sociale si muoverà con più autonomia e indipendenza sul mercato dei beni e servizi pubblici (acqua, trasporti, beni culturali, turismo, ect), il problema è semmai se l’impresa sociale continuerà ad essere lo strumento di una brutale esternalizzazione da parte dell’ente pubblico delle funzioni del welfare. Che si guadagni è un bene se non si vuole un non profit schiavo della politica e del malaffare. Cito un passaggio a testimonianza della confusione mentale di Cannavò. Scrive “La torta è di circa 175 miliardi, corrispondenti alla spesa sociale non coperta da assistenza pubblica che potrebbe essere drenata nel giro di otto anni dalle nuove imprese sociali”. Caro Cannavò ma se oggi ammonta a 175 miliardi la spesa privata per l’asssistenza, non si è mai chiesto chi ci sta lucrando e chi ci lucrerà? Magari De Benedetti oppure i gruppi for profit con i canini lunghi lunghi. A lei va bene così? Va bene la privatizzazione del welfare a beneficio dei soliti noti? Non crede sia interessante,


10 aprile 2015

certo per chi vuole cambiare pezzi di economia e non si accontenti di prediche e prefiche, promuovere un vero mercato sociale in questi settori? Ci si può consolare leggendo l’ottimo pezzo di Leonardo Becchetti su Avvenire che scrive: “Va apprezzato il tentativo di risolvere l’apparente dilemma della capitalizzazione (da una parte le attività massimizzatrici di profitto che non hanno problemi ad attirare nuovi capitali di rischio, dall’altra le attività sociali che fanno grande fatica ad attirarli) attraverso la ‘ibridazione’ delle organizzazioni di Terzo settore e l’apertura al capitale di rischio. È proprio questa la direzione più interessante della riforma che sembra anche evitare l’errore della rigida separazione tra un mondo profit socialmente ed ambientalmente irresponsabile e uno del non profit senza risorse proprie chiamato a riparare i guasti del primo dipendendo per il proprio funzionamento solo dalla generosità dello Stato, delle imprese o delle persone”. Già ma Becchetti non è un giornalista.Possibile che nessuno di questi campioni abbia sottolineato come la Legge delega di Riforma sia stata condivisa da tutte le rappresentanze del settore oltre che da un migliaio di organizzazioni? Karl Popper, ispirandosi al modello fornito dai medici e dalla forma di controllo generalmente istituita per la loro disciplina, proponeva che chiunque abbia a che fare con l’informazione di massa debba avere una patente, una licenza, un brevetto, che gli possa essere ritirato a vita qualora agisca in contrasto con certi principi. Ovvero con malafede e ignoranza, bisognerebbe pensarci per davvero.


10 aprile 2015

“Terzo settore, riforma senza tarpare le ali” di Leonardo Becchetti 10 aprile 2015 L'economista Leonardo Becchetti commenta su Avvenire la delega approvata ieri: «Il quadro della riforma sembra, al momento, capace di rispondere efficacemente alle attese. Elementi importanti sono la spinta verso trasparenza, la rendicontazione, la qualità della governance, la valutazione d’impatto» La riforma del Terzo settore entra nel vivo con la discussione in Parlamento della legge delega che poi dovrà essere seguita dai decreti e dai regolamenti attuativi (e purtroppo, come si usa dire, il diavolo sa annidarsi nei dettagli). Si tratta di una riforma attesa, che dovrebbe offrire nuove opportunità creando ambienti che facilitino l’espressione 'dal basso' delle energie buone della società civile. Non mettendo vincoli arbitrari o tetti dimensionali alle opportunità di bene possibile, facilitando e agevolando – per quanto possibile – le buone organizzazioni sociali (con attenzione ai profili di concorrenza) ed evitando il rischio di dare sostegno a cattive organizzazioni. Il quadro della riforma del Terzo settore sembra, al momento, capace di rispondere efficacemente a queste attese. Elementi importanti sono la spinta verso trasparenza, la rendicontazione, la qualità della governance, la valutazione d’impatto. E soprattutto va apprezzato il tentativo di risolvere l’apparente dilemma della capitalizzazione (da una parte le attività massimizzatrici di profitto che non hanno problemi ad attirare nuovi capitali di rischio, dall’altra le attività sociali che fanno grande fatica ad attirarli) attraverso la 'ibridazione' delle organizzazioni di Terzo settore e l’apertura al capitale di rischio. È proprio questa la direzione più interessante della riforma che sembra anche evitare l’errore della rigida separazione tra un mondo profit socialmente ed ambientalmente irresponsabile e uno del non profit senza risorse proprie chiamato a riparare i guasti del primo dipendendo per il proprio funzionamento solo dalla generosità dello Stato, delle imprese o delle persone. Una congiunzione dei due mondi appare possibile attraverso organizzazioni che creino valore economico (attraverso la produzione di beni e servizi) in modo già socialmente ed ambientalmente sostenibile. Bella e opportuna a questo proposito la definizione di Terzo settore come «complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche e solidaristiche, che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d’interesse generale, anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale conseguiti anche attraverso forme di mutualità, in attuazione del principio di sussidiarietà». In questa prospettiva si riconosce e si favorisce per il Terzo settore «l’iniziativa privata svolta senza finalità lucrative, diretta a realizzare prioritariamente la produzione o lo scambio di beni e sevizi di utilità sociale o d’interesse generale, anche al fine di elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali». Lo ripetiamo ancora una volta: una legge quadro di riforma deve aprire nuove vie e opportunità per favorire lo sviluppo positivo di energie 'dal basso', mentre diventerebbe un boomerang se finisse per tarpare le ali a quanto di buono già esiste. Ed è per questo che è nei dettagli dei decreti attuativi e dei regolamenti che si annidano i pericoli o si aprono nuove prospettive. Il tema più delicato è quello, al tempo stesso così promettente, degli 'ibridi'. Anche se non si chiamano 'imprese sociali' le organizzazioni che ricadono nell’ampio cappello descritto dalla riforma già esistono e prosperano: dalle cooperative sociali di tipo A e B (reinserimento al lavoro di categorie svantaggiate), alle organizzazioni di microcredito, dalle botteghe equosolidali ai gruppi d’acquisto solidali e alla neonata agricoltura sociale, solo per citarne alcune. Se tutto questo mondo avrà, dopo la riforma, maggiori possibilità di accesso a risorse (anche solo private) e a nuove forme organizzative per poter svolgere ancor meglio le proprie finalità sociali, il gioco sarà valso la candela. L’albero della riforma, insomma, ha per ora rami ampi e frondosi, speriamo che non ne perda di importanti strada facendo.


10 aprile 2015

“Terzo Settore, tutto quello che non va nella riforma” di Luca Mattiucci 10 Aprile 2015 ROMA – Il presidente del Consiglio Matteo Renzi l’aveva annunciata esattamente un anno fa. Una Legge capace di disciplinare meglio il Terzo Settore, favorendo la crescita dell’economia sociale, che negli ultimi anni aveva registrato dati incoraggianti in termini di crescita (5% del PIL), anche sotto il profilo occupazionale, la si attendeva da circa vent’anni. Quest’oggi, l’aula della Camera dei Deputati, con un lavoro complessivo di poco meno di due giorni, ha approvato il ddl di delega per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, con 297 si’, 121 no e 50 astenuti. Il provvedimento, che in Italia riguarda oltre 800mila lavoratori e quattro milioni di volontari, ora passa all’esame del Senato. Secondo gli esponenti della maggioranza, la Riforma ha un ché di epocale: “Quello che approviamo oggi e’ un provvedimento che farà la storia; lo approviamo dopo aver parlato con coloro che ogni giorno lavorano nel Terzo Settore e non aspettavano altro che essere ascoltati dalla politica. Questo ddl riguarda 300 mila organizzazioni non profit e quasi 5 milioni di volontari che ogni giorno lavorano per dare sollievo e sostegno ai piu’ deboli”. Ad affermarlo è Micaela Campana, deputata e responsabile Welfare del Pd durante la dichiarazione di voto sul ddl delega in materia di Terzo Settore. Peccato che l’onorevole abbia dimenticato di dire che la “partecipazione dal basso”, tanto sbandierata, abbia riguardato solo un modesto 10%, (come scrivemmo a suo tempo), del complesso mondo del non-profit. IL REGISTRO UNICO PASSA, MA LE RISORSE ECONOMICHE MANCANO Al di là dei proclami, però, resta ora il dubbio sulle coperture economiche. Dubbio avanzato anche tra le fila della maggioranza da alcuni componenti della Commissione Affari Sociali, Edoardo Patriarca (PD) in primis, che ora sperano in un miracolo nella Legge di Stabilità. Di sicuro, ciò che di buono vi è in questa Riforma, è che finalmente le oltre 77 norme che regolano il Terzo Settore verranno messe a sistema in un unico impianto in grado di “mettere ordine fra la miriade di leggi e leggine su volontariato, cooperazione sociale, ong e onlus”, spiega Marco Di Maio, deputato Pd e membro dell’ufficio di presidenza del gruppo alla Camera. “La delega si occupa della riforma del codice civile; della costruzione e definizione del nuovo codice del terzo settore con un unico registro presso il Ministero del Lavoro, superando così i registri locali comunali e regionali”. Va aggiunto anche che finalmente oggi esiste una definizione più chiara di Terzo Settore e da questa definizione vengono messi alla porta partiti e sindacati, la cui natura è sostanzialmente diversa dai punti cardine del resto dell’associazionismo. IL TERZO SETTORE DOVRA’ DIVIDERE LE GIA’ IMPROBABILI RISORSE CON I “CUGINI” ESTERI? Sempre nella giornata di oggi, somigliante più a una maratona che ad una votazione, ecco arrivare anche una sorpresa che con buona probabilità farà storcere il naso a una parte consistente del Terzo Settore nostrano. L’ordine del giorno in questione porta la firma della deputata di Per l’Italia Fucsia FitzGerald Nissoli che si muove in favore delle comunità italiane all’estero. Forzando un po’ la mano e con un buon giro di argomentazioni l’Onorevole Nissoli ha portato a casa l’impegno a far sì che “nella predisposizione dei prossimi decreti attuativi”, si abbia “cura di salvaguardare il patrimonio associazionistico italiano nel mondo, frutto del lavoro instancabile di generazioni di emigrati e che avrà un ruolo decisivo in ‘termini di rete’ anche in futuro”. In altri termini risorse pari a prima ma maggiormente frazionate.


10 aprile 2015

IL NON-PROFIT ORA DIVERRA’ FOR PROFIT, L’ALLARME DEI 5 STELLE E se da un lato l’entusiasmo è alle stelle il dissenso va di ora in ora crescendo e diffondendosi. Soprattutto tra quelle forze politiche che nel tempo non hanno avuto né modo, né tempo di stringere legami di particolare prossimità con cooperative ed associazioni. I malpensati direbbero, insomma, che il punto di vista dei 5 Stelle sull’argomento appare più neutro di altri. Sono loro infatti a bollare la Riforma come una operazione “che in sostanza trasforma il non profit in profit: si finanziarizzano i bisogni dei cittadini e si delegano sempre piu’ all’esterno le competenze dello Stato, assegnando con fondi pubblici uno sconfinato campo di attivita’ sociali e culturali a soggetti privati, che potranno distribuire gli utili. La parola chiave e’, come sempre, ‘appalti’: tu, partito, mi porti soldi, io ti porto gente ai gazebo delle primarie e se posso ti faccio piazzare persone -sottopagate- nell’azienda. E poi capita anche che la commessa finisca in subappalto ad un’altra azienda gestita dalla criminalita’ organizzata”. Il rischio paventato dalla giovane formazione politica è appunto che se oggi chiunque può scegliere di finanziare un’impresa sociale recuperando un tasso di debito comunque non superiore al 21% (legge anti-usura), dopo la Riforma sarà possibile investire nell’impresa sociale “rischiando” il capitale. In altre parole se oggi finanziare una non-profit può equivalere a recuperare l’importo erogato, dopo la Riforma si potrà investire nel capitale dell’organizzazione equiparando ricavi e perdite esattamente come in qualsiasi profit. Un gioco pericoloso aggravato dall’assenza di controllo. PESA L’ASSENZA DI UN ORGANISMO CHE CONTROLLI IL SETTORE, IL RISCHIO DEL MOLTIPLICARSI DI “MAFIA CAPITALE” Il sistema di per sé infatti potrebbe ancora essere letto nella sua chiave positiva se non fosse che in assenza di un organismo di controllo (l’ultimo baluardo era l’Agenzia per il Terzo Settore, inspiegabilmente soppressa dal Governo Montindr). Il Terzo Settore negli anni e nel passato recente ha mostrato di avere il suo interno diverse realtà più o meno “malate”, si va dagli scandali di Mafia Capitale, alle licenze per locali camuffate da onlus, passando per lo scandalo CIE sino al rappresentante antiracket che svolgeva in proprio l’attività. Un rischio annunciato in questi giorni anche dal Presidente dell’Agenzia Anticorruzione Raffaele Cantone, che ha ricordato come “a breve potrebbero partire nuove inchieste riguardanti il mondo del sociale”. Tra le proposte decisamente particolare è apparsa quella dell’Onorevole Gelli, membro della Commissione Affari sociali ma al tempo stesso anche presidente del CESVOT Toscana, che non più tardi di qualche giorno fa ha lasciato intuire come la sola parte di “controllo” legata al 5 x mille ed alla trasparenza delle associazioni potrebbe essere affidata ai Centri di Servizio per il Volontariato, gli stessi che vedono al proprio interno sedere quasi tutte le grandi organizzazioni di volontariato e promozione sociale. Insomma che il controllato si controlli con i propri controllori. Un sistema anni luce indietro da quello francese e statunitense dove nel primo caso si è dato vita ad un vero e proprio Ministero dell’economia sociale, nel secondo con un giro d’affari di quasi 500 miliardi di dollari il fisco ha dedicato un intero comparto al monitoraggio, al controllo ed al sanzionamento. Fare il bene ma facendo bene, verrebbe da dire. LA DEREGULATION RISCHIA DI DARE VITA AD UN MERCATO “AL RIBASSO” Inoltre la deregolamentazione di coop e onlus, che godono di una fiscalita’ agevolata, con la riforma, è ragionevole immaginare che tenteranno un’ ingresso massiccio in nuovi mercati. Il che potrebbe causare fenomeni di concorrenza sleale nei confronti delle altre aziende. “Non solo: le piccole associazioni ne faranno le spese, lasciate indietro – incalza il Movimento 5 Stelle – a favore delle grandi entita’ che alle spalle hanno un politico o una corrente di riferimento”. La quadra del cerchio, per i grillini, pare così essere una sorta di “golpe al rallentatore, si vogliono prendere anche un altro pezzo, i servizi sociali e la cultura, in un intreccio partitico-elettorale-clientelare-finanziario senza precedenti. Tutto sotto controllo, il piano procede come previsto: e’ la rinascita democratica, bellezza”. Un’ipotesi forse troppo pessimista, eppure ci si stupisce guardando il voto contrario di ieri con cui il Pd ha bocciato la proposta del MoVimento 5 Stelle di vietare alle cooperative di finanziare i partiti.


10 aprile 2015

SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE SI, MA NON TROPPO. MIGRANTI FUORI DALLA LEGGE Nella giornata delle polemiche contro Salvini un risultato positivo lo porta a casa anche la Lega Nord che nella mattinata si era fatta sentire sul tema del Servizio Civile attraverso le parole del leghista Marco Rondini: “Il governo non pensi di utilizzare la pseudo-riforma del Terzo settore come una delega in bianco per estendere il servizio civile agli extracomunitari. Un cavallo di troia che rischia di svendere il Terzo settore agli immigrati e alle coop di mafia capitale”, visto che “il sistema dei controlli centralizzati ha gia’ dimostrato di non essere in grado di fare argine alle degenerazioni del sistema cooperativo”. Rondini si e’ poi scagliato contro “lo scippo delle competenze alle Regioni in materia di servizio civile, una misura che suona come una sfida alle richieste presentate dalla conferenza Stato Regioni di poter organizzare il servizio a livello locale”. Servizio civile bocciato anche dal Pd per chi cittadino italiano non è. LEGA NORD, UNA VITTORIA A META’: “IL REGISTRO UNICO DEL TERZO SETTORE FAVORIRA’ CLIENTELISMI E SPRECHI” Nel mirino della Lega anche l’”introduzione del registro unico nazionale, che assegna a Roma il monopolio del giudizio su enti e associazioni no profit che operano per lo piu’ a livello territoriale”. “Le competenze centralizzate rischiano di alimentare un sistema di sprechi, clientelismi e discriminazioni – ha avvertito il parlamentare leghista -. Due esempi: prima della regionalizzazione del servizio nel Comune di Caccamo vi erano 100 ragazzi in servizio civile su 8mila abitanti e per il Comune di Panettieri si approvo’ un progetto di assistenza agli anziani che prevedeva l’impiego di 30 volontari, a fronte di soli 65 residenti’ ultra65enni. L’allentamento dei meccanismi di controllo di prossimita’ rischia di aprire un nuovo fronte alla degenerazione del sistema che ha prodotto gli scandali di mafia capitale”. Ma viene da sé pensare che un registro unico, una “Confidustria del Terzo Settore”, come l’ha ribattezzata Giovanni Moro, è una comodità certa per chi come il Governo si troverà ad avere un unico interlocutore con cui poter decidere di un universo cosi complesso, senza dover star li ad ascoltare tutte le associazioni che in quello che fanno ci mettono il cuore. COME UNA “PRIVATIZZAZIONE”, ORA LA PAROLA PASSA AL SENATO Il bilancio per adesso non pare essere dei più positivi seppure una riforma bisognava avanzarla. La sensazione pero è che come avvenne per la 266 del 1991 che approdo dopo lungo tempo rispetto alle fasi di concertazione “vere” e che di lì a qualche anno era già superata, oggi il rischio è il medesimo con l’aggravante di una corsa, ribadita oggi dal Sottosegretario Bobba: “Contiamo di arrivare all’approvazione definitiva entro luglio”, che ha più il sapore di una stelletta da mettersi in petto che non il raccogliere l’esigenza reale di un processo innovativo. Manca una stabilizzazione vera del 5 x mille, una detassazione dell’IVA per chi crea vere infrastrutture per la comunità, mancano i fondi salvo quelli delle Fondazioni bancarie distolti dal Governo al sociale per sanare gli impegni presi con L’UE, manca un controllo e manca su tutto lo spirito che in Italia diede vita a questo esercito di cinque milioni di persone. Uno schiaffo al contributo di milioni di cittadini impegnati nelle associazioni che negli anni sono divenuti colonna portante del nostro Paese, esempio magnifico di tutela della cultura e dei servizi sociali. Riformare sta all’italiano come provare a migliorare, qui dovrebbe divenire rendere più agile quello che è il bene comune per antonomasia. Il rischio invece è di assistere all’ennesima privatizzazione, stavolta del tutto insensata.


10 aprile 2015

Tweet di Bonacina e Mattiucci (Corriere Sociale)


10 aprile 2015

Riforma Terzo Settore, il sì della Camera La legge delega cui ha contribuito anche il CSV Salento ora sbarca al Senato per la ratifica definitiva. In allegato il testo approvato La Camera dei deputati ha concluso ieri, 9 aprile, l'esame del testo e approvato il Disegno legge di Delega per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale. Con 11 articoli la legge mette mano ad un vero e proprio riordino di norme creando un Codice unico. “Non è azzardato affermare che l’Approvazione oggi in Aula del Testo di Legge delega per la Riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale rappresenta nel nostro Paese una svolta epocale, attesa da tempo. Adesso, finalmente, con il testo di Legge delega si danno gambe e respiro all’economia no profit, quella che da sempre ha come obiettivo il benessere delle comunità nella sua accezione più ampia, dai servizi alla persona alla tutela e salvaguardia dei beni culturali e ambientali. Così i deputati pd della Puglia Salvatore Capone ed Elisa Mariano, subito dopo l’approvazione alla Camera dei deputati del Testo di Legge delega per la Riforma del Terzo Settore che adesso verrà sottoposto all’approvazione del Senato. “All’esame della Camera”, prosegue l’On. Salvatore Capone, “il Testo di Legge delega è giunto notevolmente arricchito e ampliato grazie all’intenso lavoro svolto nelle Commissioni e soprattutto nella Commissione Affari sociali, e grazie alla grande campagna di ascolto e confronto promossa dal Governo oltre ché alle numerose audizioni tenute in Commissione. Come ho avuto modo di affermare sia in Commissione che in Aula, da tempo era avvertita con forza l’urgenza di un’azione legislativa che ricomponesse e riordinasse una materia così vasta, un vero e proprio Codice del Terzo Settore, non a caso l’unico capace di crescere con numeri confortanti nel nostro Paese e anche al Sud, cui si legasse l’istituzione di un Registro unico, finora assente, presso il Ministero del Lavoro. Welfare e democrazia dal basso, servizi alla persona, tutela e salvaguardia ambientale, promozione culturale, lavoro e impresa sociale, servizio civile: per questi ambiti, da oggi, è in campo un paradigma normativo organico ed omogeneo che ha l’ambizione non solo di riordinare una materia legislativa multiforme ma soprattutto di agire esso stesso come motore di crescita e di ulteriore sviluppo del settore. Per questa ragione moltiplicheremo, in Puglia e nel Salento, incontri e confronti con il mondo del volontariato e del no profit sul Testo di Legge approvato perché è evidente come, soprattutto in un momento difficile come l’attuale, gli obiettivi che la Legge si propone siano oltremodo preziosi: sostenere la libera iniziativa dei cittadini che si associano per perseguire il bene comune; favorire la partecipazione attiva delle persone, singolarmente o in forma associata; valorizzare il potenziale di crescita dell'economia sociale; armonizzare gli incentivi e uniformare la disciplina in una materia caratterizzata finora da un quadro normativo non omogeneo”. “Soprattutto al Sud e soprattutto in Puglia”, prosegue l’On. Elisa Mariano, “è importante comprendere come il terzo settore possa divenire un elemento fondamentale nello sviluppo di buone economie costituendo un argine potentissimo alla disgregazione delle comunità e nel sostegno alle fasce deboli della popolazione. Non credo sia fuor di luogo riconoscere all’azione del volontariato e delle imprese no profit una capacità di lavoro nei tessuti sociali più sensibili, in grado di concentrarsi e specializzarsi anche su settori ritenuti strategici per il futuro stesso del territorio come la tutela e la salvaguardia ambientale e la valorizzazione delle risorse culturali. Penso, non a caso, all’importante lavoro proprio nel mio territorio di quelle strutture che, sfidando pregiudizi e collusioni, hanno valorizzato beni e terreni confiscati alla mafia dando vita a progetti preziosi. Questo voto, inoltre respinge le provocazioni di chi ha tentato di affossare il provvedimento con ricostruzioni semplicistiche e ingenerose verso l’energia positiva che rappresenta l’intero mondo del terzo settore. Mi auguro che tale riforma possa arrivare presto al voto finale affinché gli enti del terzo settore possano avere le meritate risposte che da anni attendono".


10 aprile 2015

Riforma Terzo settore, punti di forza e limiti Il parere di Giulio Sensi, Direttore della rivista Volontariato Oggi* Il Governo ha predisposto una serie di linee guida per la riforma del Terzo settore, attualmente in discussione al Parlamento. Per avere un’opinione sul progetto abbiamo intervistato Giulio Sensi, Direttore della rivista Volontariato Oggi. “Il percorso di riforma è stato lanciato un anno fa a Lucca dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi durante il Festival del Volontariato. Nel mese successivo il Governo elaborò delle linee guida aperte al contributo di tutti coloro, soggetti del terzo settore o cittadini, che volessero dire la loro. Dopo la consultazione il Governo portò in Consiglio dei Ministri un disegno di legge delega che è approdato in Parlamento a fine agosto e in questi mesi, prima di approdare in aula, è stato modificato e arricchito dalla Commissione Affari Sociali. Quello è più o meno il testo che oggi la Camera approva e che verrà discusso in Senato”. “I punti di forza della riforma consistono nell’inedita presa in carico della riforma e della riorganizzazione di tutte le questioni più importanti che riguardano il Terzo settore: il riordino civilistico, il cinque per mille, la sistemazione delle leggi di settore (volontariato, promozione sociale), l’introduzione del servizio civile universale, l’impresa sociale e tutto il complicato tema delle agevolazioni fiscali per il no profit. È la prima volta che il Governo prende in carico le istanze del Terzo settore e cerca di dare risposte positive e complessive”. “I limiti invece riguardano aspetti ancora aperti: in primo luogo il nodo delle risorse che per ora sono poche e demandate alla Legge di Stabilità: si stima che per dare risposta ai grandi obiettivi che la delega si pone serva almeno un miliardo di euro. In secondo luogo un certo ridimensionamento delle aspettative che lo stesso Governo Renzi aveva creato non solo dal punto di vista dei fondi, ma anche della reintroduzione di un’Agenzia di settore che svolgesse funzioni di Authority e anche di promozione. Non ci sarà un Authority, ma una sorta di regia interministeriale che dovrebbe svolgere compiti simili. In terzo luogo, a parere di molti, un eccessivo grado di compromesso trovato sul rilancio dell’impresa sociale che non ha oggettivamente ancora trovato, nonostante le premesse, una definizione capace di darne una veste completamente nuova e liberarne le potenzialità”. La delega al governo al momento pare lasciare indisturbato un lungo elenco di falsi enti e associazioni che con la collaborazione di avvocati e commercialisti riescono a truffare lo Stato con manovre che rappresentano il peggio di quanto possa essere definito italiano. Tra le oltre 235mila unità istituzionali che secondo l’Istat compongono il privato sociale manca la percentuale di quelle che vogliono semplicemente evadere le tasse. Soltanto la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle entrate stanno provando a dare una risposta a questa domanda. I primi risultati lasciano a bocca aperta: il Progetto Ercole condotto dalla Guardia di Finanza, su un campione di società dilettantistiche sportive, ha scoperto che il 92 per cento ha commesso qualche illecito finanziario, incluso il 15 per cento di evasori totali, mentre solo 5 risultano perfettamente in regola. La direzione piemontese dell’Agenzia delle entrate ha firmato un protocollo con la Provincia di Torino per incrociare le banche dati e smascherare le attività commerciali che si nascondono dietro la maschera di una ONLUS. Fra i controlli su 200 società è comparso un lussuoso agriturismo con pista d’atterraggio per elicotteri che tutto faceva pensare tranne che al volontariato. Per aprire un bar o un ristorante, raccomandano i consulenti specializzati nella materia, bisogna partire dal basso e fare un passo alla volta per non dare troppo nell’occhio. Un prestampato per la costituzione di un’associazione enogastronomica e culturale recita per lo statuto ufficiale: «L’associazione si prefigge lo scopo di valorizzare la cultura del mangiare e del bere nel territorio».


10 aprile 2015

Nessun obbligo d’iscrizione alla Camera di commercio, nessun pagamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP), idem per l’Imposta sul Reddito delle Società (IRES). Capitolo a parte riguarda le discoteche e i locali notturni. Attraverso la costituzione di un circolo privato si eludono le vigenti regole sulla sicurezza con locali che non hanno né porte d’emergenza né impianto anti incendio. Ma la vera evasione mira sull’aggiramento fiscale: il 22 per cento d’Imposta sul valore aggiunto (IVA), il 16 per cento d’Imposta sugli intrattenimenti e il 5 per cento la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) spariscono d’incanto. E non si pagano neppure le tasse a fine anno proprio perché’ si tratta di esercizi no profit. «Noi abbiamo denunciato negli ultimi anni 700 discoteche e locali abusivi», racconta Luciano Zanchi, presidente di Assointrattenimento, «e spesso le irregolarità sono state riscontrate dalle autorità competenti. Ma le finte associazioni che gestiscono discoteche continuano a spuntare come funghi, mettendo in crisi tutto il settore. Nel 2000 le discoteche erano oltre 4mila e davano lavoro a circa 250mila giovani. Oggi ne rimangono operative poco più di mille per meno di 60mila posti di lavoro». E una cifra compresa tra il 15 e il 2 per cento appartiene alle ONLUS. A Sensi abbiamo domandato quale sia l’effetto della Riforma sull’ampliamento alle attività commerciali. “Il no profit italiano, come emerge anche dal censimento dell’Istat, ha già una vocazione che in considerevole parte si è sviluppata e consolidata con un forte orientamento al mercato. Non si tratta di un tabù che è stato sfatato dal Governo con questa riforma, ma della presa d’atto che il Terzo settore non è solo quello delle buone azioni e della gratuità. È anche, e sempre di più, quello dell’imprenditorialità. Crea lavoro, inclusione, benessere. Manovra competenze e risorse”. “Ci sono statistiche, come quelle diffuse ogni anno da Unioncamere, che dimostrano una più forte tenuta occupazionale del Terzo settore rispetto ad altri, nonché una sua capacità di impiegare donne, giovani stranieri, forze fresche. In questo non c’è niente di male, anzi, la sua funzione economica oltre che sociale è importante. La riforma, nella parte in cui ridefinisce l’impresa sociale, cerca di liberarla dai lacci troppo stretti che fino ad oggi le erano stati cuciti addosso, aprendo alcuni varchi che in passato sarebbe stato difficile appunto aprire. Questo comporta naturalmente alcuni rischi e provoca delle diffidenze da parte di alcune anime del terzo settore tradizionalmente più orientate alla difesa di identità storiche molto rilevanti e nobili”. E sulla possibilità di ripartire gli utili tra i soci? “È appunto uno dei temi su cui è aperta la discussione”, sostiene Sensi, “Ma va capito bene. Con questa riforma il no profit non diventa profit, bensì viene concesso ad alcuni attori di utilizzare parzialmente degli strumenti che le leggi e i codici permettono alle imprese di natura profit con l’idea che questo serva ad attrarre risorse, dinamismo competenze e anche capitali. Il tabù dello zero profit di fatto è superato, ma si sancisce la parziale distribuzione degli utili lasciando l’opzione dell’indivisibilità del patrimonio, integrando e inquadrando il tema in sostanza con quello che esiste già per le cooperative a mutualità prevalente e quindi vincolandolo a una norma già esistente. Ma togliendo a quel punto la possibilità di accesso alla fiscalità agevolata. Questo sarà il tema più spinoso e ultimo che il governo dovrà affrontare coi decreti attuativi”. La cancellazione dell’Authority di controllo, decisa da gran parte della maggioranza e giustificata dall’Onorevole Donata Lenzi del Partito democratico con l’espressione «C’è una certa stanchezza nell’opinione pubblica verso le authority», ha provocato un’ondata di sdegno tra le opposizioni, in particolare nel Movimento 5 Stelle. Ed è bene ricordare che mai è stato condotto una ricerca o un sondaggio su questa particolare stanchezza degli italiani. “L’Authority si chiamava Agenzia per il Terzo settore ed era presieduta da uno degli esponenti più importanti del pensiero del no profit italiano e non solo, il Professor Stefano Zamagni. Era stata cancellata dal Governo Monti e da quel momento mai più ripristinata”, continua Sensi, “Un’Agenzia sarebbe stata opportuna e molti parlamentari hanno spinto fino all’ultimo. Credo che però il motivo reale della sua opportunità non sia quello di disincentivare gli scandali -è solo uno dei


10 aprile 2015

motivi- quanto di aiutare il settore che si muove, talvolta con pochi strumenti, in un terreno sociale ed economico sempre più complicato. Ma introdurre un’altra Authority sarebbe stato poco renziano e anche incomprensibile nel momento in cui si dovrebbe rimettere mano a quelle esistenti. E quindi si è optato per la proposta di una struttura interministeriale aperta anche ad altri soggetti, come l’Agenzia per le entrate, che dovrebbero regolare il funzionamento del Terzo settore. Cosa sarà è ancora non del tutto chiaro ed è uno dei temi che i decreti attuativi dovranno risolvere”. Rimane da interrogarsi cosa possa cambiare a questo punto dopo gli scandali di Roma Capitale ed Expo. “Gli scandali non sono estesi in tutta Italia”, conclude Sensi, “Quelli che riguardano il Terzo settore nella sua definizione sono stati proprio relativi alla Cooperativa 29 Giugno e al sottobosco che quella vicenda ha mostrato. Le responsabilità sono personali e non è giusto generalizzare. Chi conosce il terzo settore e non si limita alla semplificazioni o alle strumentalizzazioni politiche sa bene che non è un magna-magna, ma un mondo che lavora perlopiù quotidianamente per creare lavoro, coesione, benessere. Questo non significa che abbia la patente di buono cucito sulla divisa”. “Anche dentro al terzo settore se si tradiscono valori e si infrangono le leggi è possibile arricchirsi e truffare. Ma la gran parte di questo mondo ha gli anticorpi per non farlo anche perché, diciamocelo, non è che girino milioni di euro molto facilmente. Spesso si lavora a risorse limitate e nonostante questo si fanno grandi cose. Le dimensioni delle organizzazioni sono in genere piccole ed è proprio per questo che spesso devono mettersi in rete”. “Il problema semmai è un altro e si sviluppa su due lati: da una parte non perdere la vocazione solidale e progressista che il no profit storicamente ha sempre avuto. E in alcuni casi questa si sta perdendo per andare dietro a necessità o difficoltà economiche. Da un certo punto di vista è anche comprensibile. Dall’altro lato invece quello di far crescere qualitativamente il terzo settore in termini di innovazione, qualità, capacità. Se il Terzo settore migliora e cresce si creano anche gli anticorpi per non prestare il fianco a un uso scandaloso delle risorse che il sistema gli metterà, se le premesse della riforma saranno mantenute, probabilmente sempre più a disposizione”. * Intervista di Roberto Rezzo Quotidiano L’Indro


11 aprile 2015

Riforma Terzo Settore, Gelli (Pd) fa una precisazione a Gelli (Cesvot) Dopo la pubblicazione su Corriere Sociale del servizio dedicato alla Riforma del Terzo Settore, riceviamo dall’Onorevole del Pd e membro della Commissione Affari Sociali Federico Gelli la richiesta di puntualizzare alcune affermazioni riportate nel servizio, in cui venivano riprese le parole di Federico Gelli nelle vesti di Presidente del Centro di Servizio per il Volontariato della Toscana. In particolare nell’articolo scrivevamo “Gelli ha lasciato intuire come la sola parte di -controllo- legata al 5 x mille ed alla trasparenza delle associazioni potrebbe essere affidata ai Centri di Servizio per il Volontariato, gli stessi che vedono al proprio interno sedere quasi tutte le grandi organizzazioni di volontariato e promozione sociale. Insomma che il controllato si controlli con i propri controllori”. Per offrire al lettore ulteriori elementi di chiarezza ecco lo stralcio del comunicato stampa del Cesvot in cui Gelli affermava, lo scorso 21 marzo: “In Commissione Affari Sociali alla Camera sono stati inseriti due importanti emendamenti, già approvati, per far svolgere a tutti i Centri Servizio d’Italia un reale ruolo di riferimento per tutto il Terzo settore. Se la legge di riforma sarà approvata tenendo conto di queste proposte, i Centri di Servizio si occuperanno, fra le altre cose, del controllo e della vigilanza presso il Ministero del Lavoro dell’Istituto del 5 per mille per le associazioni e di garantire la trasparenza all’interno delle stesse per tutelare concretamente chi si organizza per aiutare gli altri”. Di seguito le precisazioni dell’Onorevole Federico Gelli al comunicato del Presidente del Cesvot Federico Gelli: di Federico Gelli* “Dopo un anno esatto dall’annuncio del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, la Camera ha approvato il Disegno di Legge Delega della Riforma del Terzo settore. Adesso la legge passerà al Senato che ci auguriamo la approverà così come licenziata dalla Camera. Punto centrale del ddl è l’istituzione del Codice del Terzo settore per la raccolta e il coordinamento delle norme al fine di individuare le attività solidaristiche che caratterizzano gli enti del Terzo settore. Una richiesta da anni avanzata da volontari ed operatori impegnati nell’ambito del non profit. Nel ddl, si definiscono inoltre le modalità organizzative e amministrative degli enti che dovranno essere ispirate ai principi di democrazia, eguaglianza, pari opportunità; si prevede il divieto di distribuzione degli utili, anche in forma indiretta; si disciplinano gli obblighi di controllo interno, rendicontazione e trasparenza e le modalità di verifica periodica dell’attività svolta, nonché la riorganizzazione del sistema di registrazione degli enti attraverso la messa a punto di un Registro unico del Terzo settore che sarà istituito presso il Ministero del Lavoro. Ed è in questo contesto che si inserisce anche il dibattito sul futuro ruolo dei Centri di Servizio per il Volontariato. La solida infrastruttura che essi rappresentano nel nostro Paese dovrà essere al servizio di tutti i volontari, non soltanto di coloro che operano nelle associazioni di volontariato. Con la loro esperienza i Centri potranno mettersi a disposizione del Ministero per aiutare la tenuta dei Registri, nonché per collaborare a rendere le organizzazioni del Terzo settore sempre più trasparenti. Rendicontazione sociale, formazione, sostegno alla contabilità sono già attività garantite dai Centri alle migliaia di associazioni italiane, non vedo perché tali competenze non potranno essere offerte a tutti i soggetti del grande universo del non profit italiano a garanzia della trasparenza e della legalità. Per quanto riguarda l’istituzione di un Authority di controllo si è valutato che, vista la necessità di riduzione


11 aprile 2015

e razionalizzazione dei costi delle tante Authority già esistenti, fosse più sostenibile porre tale competenza presso il Ministero. Mi preme infine segnalare la necessità di “rivisitare” le modalità di erogazione del 5permille ad oggi destinato anche a soggetti che poco hanno a che fare con l’interesse generale, con l’utilità sociale e con i bisogni dei più deboli. Auspico che questa materia possa essere disciplinata con apposito decreto delegato.” *Parlamentare italiano e membro della Commissione Affari Sociali


11 aprile 2015

Impresa sociale, Make a Change: “ ‘Tracce’ di nuova economia” di Andrea Rapaccini*

Giovedì 9 aprile 2015 alla Camera è stato approvato il testo (ancora non ufficiale) della legge delega per la “riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”. L’art 6, che riguardava la modifica dell’attuale legge 155/2006 sull’impresa sociale e l’art 7, relativo alla vigilanza, monitoraggio e controllo sul Terzo Settore, sono stati tra i punti maggiormente discussi e controversi. Le modifiche proposte alla legge sull’impresa sociale puntano a rendere questa forma di impresa attrattiva per gli investitori di capitale (oggi non lo è assolutamente), senza però snaturarne la missione non lucrativa. La nuova impresa sociale consentirà principalmente di avere un ritorno (comunque vincolato) sull’investimento in capitale, di garantire una presenza (non di controllo) nel CdA anche agli investitori profit e di ampliare i settori di attività su cui le imprese sociali potranno dare il loro contributo. Se il testo passerà al Senato e se i decreti attuativi manterranno lo spirito della proposta, avremo una nuova infrastruttura giuridica per promuovere lo sviluppo di una economia più equa rispetto al capitalismo finanziario di questi ultimi anni. In questo senso, la nuova impresa sociale più che un soggetto del terzo settore, si propone come un nuovo modello di impresa che affianca, senza avere la pretesa di sostituirlo, il “mercato per il mercato”, ovvero l’unica forma di economia che conosciamo, quella “for profit”. La nuova impresa sociale potrà essere scelta da tutti coloro che ritengono che la massimizzazione del profitto e la remunerazione del capitale non debbano essere per forza il principaleobiettivo di un’impresa, ma allo stesso modo che profitto e capitale non siano nemmeno “lo sterco del diavolo” quanto un mezzo, una risorsa utile per lo sviluppo, l’occupazione e l’innovazione sociale nel nostro Paese. In particolare la nuova impresa sociale potrà diventare un’opzione per: - imprenditori (gli imprenditori sociali) che vorranno impegnarsi in una missione di miglioramento sociale ed ambientale attraverso un’attività d’impresa, senza dover basare la propria sostenibilità economica su beneficienza, sovvenzioni pubbliche e volontariato; - amministratori locali che per finanziare gli investimenti nei servizi ai cittadini potranno gestire i servizi pubblici locali attraverso un’impresa sociale (es. il ciclo idrico), invece di privatizzarli sul libero mercato; - forze politiche che potranno ristrutturare la macchina statale, avendo come riferimento anche un modello di economia sociale e solidale, sulla linea della big society inglese o delle ultime politiche di sviluppo varate da Portogallo e Francia; - investitori e strumenti finanziari, che ricercano un ritorno stabile, anche se moderato e di lungo periodo, come ad esempio i fondi infrastrutturali, le compagnie di assicurazioni, i fondi di impact investing, i grandi patrimoni familiari e le istituzioni del territorio; - cittadini che vorranno contribuire a processi di socializzazione di beni comuni, attraverso nuove forme di partecipazione (crowdfunding, social bond…); Un secondo tema di cui si discute molto è quello dei sistemi di controllo sul Terzo settore, in particolare su quelle organizzazioni “non for profit” che svolgono attività commerciale prevalente, come le cooperative sociali e la nuova impresa sociale, appunto. Il testo approvato alla Camera introduce un modello più regolato e controllabile rispetto a quello attuale: riconosce la qualifica di “impresa sociale” a tutte le cooperative sociali


11 aprile 2015

e ai loro consorzi (operando de facto come tale) costringendoli a vincoli di trasparenza più stringenti, prevede limiti di remunerazione alle cariche sociali e ai dirigenti, obbliga la nomina di sindaci terzi per un controllo interno sul mantenimento della missione non lucrativa. Ma per alcuni il punto più controverso della riforma è la mancanza dell’istituzione di un vero e proprio Garante del controllo sul Terzo Settore, avendo lasciato al Ministero del Lavoro e all’ Agenzia delle entrate il compito di vigilanza. Il problema è che ogni volta che abbiamo intrapreso la scelta di un Organo Centrale di Vigilanza, scelta spesso guidata dalla nostra tradizionale “diffidenza italica”, non abbiamo fatto altro che aumentare l’inefficienza del sistema e la burocrazia ottenendo in cambio risultati piuttosto modesti in termini di contenimento del malaffare. Più di un Organismo di controllo servirebbe piuttosto un vero e proprio Regulator, ovvero una Unità in grado di monitorare l’efficacia delle norme, aggiornare l’estensione dei settori, misurare l’impatto sociale ed ambientale prodotto dal terzo settore, seguire da vicino gli output di queste nuove forme ibride di impresa, individuare le migliori pratiche e stimolare le politiche governative necessarie per il loro sviluppo. La vigilanza sui comportamenti illeciti è in qualche modo “fuori tema” rispetta al dibattito attuale, essendo naturalmente demandata alle leggi anticorruzione e agli organismi preposti. Certo, si poteva forse osare di più sia sull’impresa sociale sia sul sistema regolatorio per il terzo settore, ma questa legge delega mette comunque un primo seme positivo per la crescita di un nuovo modello economico e sociale nel nostro Paese. *Presidente Make a Change - Movimento per il Business Sociale in Italia


13 aprile 2015

Riforma terzo settore, tra vizi e virtù La Camera ha approvato il disegno di legge delega. Quali questioni restano aperte? Quali correzioni si attendono? Riassumiamo gli argomenti principali 13 aprile 2015 La Camera dei Deputati, dopo le consultazioni avvenute nei mesi scorsi, ha approvato il disegno di legge delega per la riforma del Terzo Settore, con 297 sì, 121 no e 50 astensioni. Un passaggio importante, considerato che, con 5 milioni di volontari, 12 mila cooperative sociali, almeno 800 mila occupati e oltre 300 mila istituzioni attive, il mondo del non profit rappresenta il 4% del Pil. Tra commenti favorevoli e critiche, il testo passerà ora all'esame del Senato. Quali sono le questioni aperte? Quali correzioni si attendono? Certezza di risorse, regole e trasparenza. Soddisfazione per la maggioranza Soddisfazione per la maggioranza: per il Sottosegretario al lavoro Luigi Bobba, si tratta di “una riforma importante e attesa che è stata annoverata tra le grandi riforme che trasformeranno il Paese e contribuiranno ad offrire nuove opportunità al cittadino sia come singolo sia nelle formazioni sociali secondo il dettato costituzionale. Se non vi saranno intralci l'iter parlamentare potrebbe terminare prima dell'estate per poi passare, finalmente, alla stesura dei decreti delegati". La riforma, attesa da tempo, arriverebbe in effetti ad approvazione a circa un anno dal suo annuncio. Anche il Ministro Poletti parla di un “passaggio importante per un provvedimento che punta a dare certezza di regole e di risorse e trasparenza alle attività, ad introdurre misure per favorire la partecipazione attiva e responsabile delle persone, valorizzare il potenziale di crescita e di creazione di occupazione insito nell'economia sociale e nelle attività svolte dal cosiddetto Terzo settore”. Trasparenza e nuove opportunità quindi al centro della riforma. E maggiore certezza delle regole: finalmente le oltre 77 norme che regolano il Terzo Settore verranno messe a sistema in un unico impianto in grado di “mettere ordine fra la miriade di leggi e leggine su volontariato, cooperazione sociale, ONG e Onlus”, spiega Marco Di Maio, deputato Pd e membro dell’ufficio di presidenza del gruppo alla Camera. Positivo anche il commento di Giovanna Melandri, coordinatrice dell’Advisory Board italiano della Task Force G8 sugli investimenti sociali e presidente di Human Foundation, che afferma: “Da una prima analisi del testo ci sembra che sull’impresa sociale si siano fatti alcuni importanti passi in avanti rispetto alla precedente normativa". La delega, inoltre, "ci restituisce un profilo giuridico dell’impresa sociale più avanzato e, soprattutto, allineato con quanto sta accadendo da tempo negli altri Paesi Europei sull’imprenditorialità sociale". Profit o non profit? Restano tuttavia numerose questioni aperte. La riforma, così com’è, ha sollevato molti dubbi, sia nel mondo della politica che all’interno dello stesso terzo settore. Tra le questioni più spinose proprio l’articolo 6, sull’impresa sociale. Da più parti, si sottolinea il rischio di aprire le porte alla privatizzazione del welfare: “Quella approvata oggi è una legge che non tutela i diritti dei lavoratori del terzo settore, che rende subalterno e asservito il terzo settore alle logiche del mercato e della supplenza alle istituzioni pubbliche. Una legge che rischia di ridurre i servizi di welfare per fare spazio alle imprese” commenta Giulio Marcon, deputato di SEL. Sulla stessa linea la Cgil, secondo la quale “il disegno di legge preserva il ruolo peculiare del volontariato e il suo carattere gratuito.


13 aprile 2015

Purtroppo, però, conferma norme che snaturano l’impresa sociale, accentuandone il carattere commerciale”. La confederazione, tramite il Segretario confederale Vera Lamonica, sottolinea che con il provvedimento “si allarga anziché restringere la possibilità di agire per le imprese profit, con il serio rischio che irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare, già duramente colpito dai tagli alla spesa per la protezione sociale”. Per la dirigente sindacale vi è poi “un’altra grave mancanza, da colmare in quanto mina un tratto distintivo dell’impresa sociale: devono essere riconosciuti ruolo e diritti dei lavoratori con strumenti adeguati quali informazione, consultazione, contrattazione e clausole sociali”. Anche il Movimento 5 Stelle parla di privatizzazione, definendola una riforma “che in sostanza trasforma il nonprofit in profit: si finanziarizzano i bisogni dei cittadini e si delegano sempre più all’esterno le competenze dello Stato, assegnando con fondi pubblici uno sconfinato campo di attività sociali e culturali a soggetti privati, che potranno distribuire gli utili”. Ma sono numerose anche le opinioni differenti, tra cui quella è Andrea Rapaccini, Presidente di Make a Change, per il quale “se il testo passerà al Senato e se i decreti attuativi manterranno lo spirito della proposta, avremo una nuova infrastruttura giuridica per promuovere lo sviluppo di un’economia più equa rispetto al capitalismo finanziario di questi ultimi anni. In questo senso, la nuova impresa sociale più che un soggetto del terzo settore, si propone come un nuovo modello di impresa che affianca, senza avere la pretesa di sostituirlo, il “mercato per il mercato”, ovvero l’unica forma di economia che conosciamo, quella “for profit”. La nuova impresa sociale potrà essere scelta da tutti coloro – dai cittadini agli amministratori, dagli imprenditori alle forze politiche - che ritengono che la massimizzazione del profitto e la remunerazione del capitale non debbano essere per forza il principale obiettivo di un’impresa, ma allo stesso modo che profitto e capitale non siano nemmeno “lo sterco del diavolo” quanto un mezzo, una risorsa utile per lo sviluppo, l’occupazione e l’innovazione sociale nel nostro Paese”. Su questo punto è intervenuto anche Giulio Sensi, Direttore della rivista Volontariato Oggi, "il Terzo settore non è solo quello delle buone azioni e della gratuità. È anche, e sempre di più, quello dell’imprenditorialità. Crea lavoro, inclusione, benessere. Manovra competenze e risorse. Ci sono statistiche, come quelle diffuse ogni anno da Unioncamere, che dimostrano una più forte tenuta occupazionale del terzo settore rispetto ad altri, nonché una sua capacità di impiegare donne, giovani stranieri, forze fresche. In questo non c’è niente di male, anzi, la sua funzione economica oltre che sociale è importante. La riforma, nella parte in cui ridefinisce l’impresa sociale, cerca di liberarla dai lacci troppo stretti che fino ad oggi le erano stati cuciti addosso, aprendo alcuni varchi che in passato sarebbe stato difficile appunto aprire. Questo comporta naturalmente alcuni rischi e provoca delle diffidenze da parte di alcune anime del terzo settore tradizionalmente più orientate alla difesa di identità storiche molto rilevanti e nobili”. La questione dei controlli: no all’autority Altro “motivo di discordia” – soprattutto da parte del M5S – è che nonostante i numerosi scandali, culminati con Mafia Capitale, non verrà istituita alcuna autority di controllo perché, come spiegato dall’Onorevole Federico Gelli (PD), “si è valutato che, vista la necessità di riduzione e razionalizzazione dei costi delle tante authority già esistenti, fosse più sostenibile porre tale competenza presso il Ministero”. Le funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo pubblico saranno quindi esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione, per quanto di competenza, con i ministeri interessati e con l'Agenzia delle entrate, promuovendo forme di autocontrollo. Il testo approvato alla Camera introduce infatti la qualifica di “impresa sociale” a tutte le cooperative sociali e ai loro consorzi costringendoli a vincoli di trasparenza più stringenti, prevede limiti di remunerazione alle cariche sociali e ai dirigenti, obbliga la nomina di sindaci terzi per un controllo interno sul mantenimento della missione non lucrativa.


13 aprile 2015

Il Volontariato chiede maggiore riconoscimento Anche il mondo del volontariato, ovviamente, ha fatto sentire la propria voce. Il CSVnet nazionale ha pubblicato un comunicato nel quale dichiara la necessità di una maggiore attenzione al mondo del volontariato. “Ci pare che, nel complesso, sia proprio il Volontariato italiano a rischiare di vedere ridimensionate quelle attenzioni che gli dovrebbero essere riconosciute a ragione delle decine di migliaia di organizzazioni e dei milioni di volontari che ogni giorno fanno sentire la loro presenza radicata in tutto il Paese. Speriamo che il passaggio in Senato possa precisare il lavoro della Camera, di cui abbiamo apprezzato le finalità nonché il tentativo di perseguire il necessario cambiamento. Con riferimento ai Centri di Servizio auspichiamo, in particolare, che continuino ad essere governati dalle organizzazioni di volontariato; che venga riconosciuta la rappresentanza nazionale di CSVnet in una logica di sistema; che venga garantito un meccanismo equo per il finanziamento dei CSV in tutte le regioni. Chiediamo inoltre l'uniformità regolamentare su tutto il territorio nazionale e, non ultimo, il riconoscimento della promozione delle attività di volontariato quale finalità specifica del nostro mandato”.

Terzo settore: soddisfazione con alcune riserve Il Forum Nazionale del Terzo Settore sul sito nazionale spiega “siamo soddisfatti per l’approvazione del Ddl delega sul Terzo Settore. A meno di un anno dal suo annuncio, ci viene restituito, per questa prima parte dell’iter parlamentare, un buon testo, a riprova che la Commissione e l’Aula alla Camera hanno lavorato con grande attenzione per la riforma e riorganizzazione di un mondo vastissimo. Auspichiamo che il successivo esame del testo al Senato possa apportare alcune migliorie legate ad alcuni aspetti gestionali ed organizzativi, anche di natura civilistica e fiscale, delle realtà di terzo settore e delle imprese sociali, ma anche a questioni relative al servizio civile, così come ad una maggiore attenzione al volontariato organizzato e alle forme più spontanee di volontariato e partecipazione dei cittadini, e infine ad una più chiara individuazione del ruolo e delle funzione dei Centri di servizio per il volontariato. Aspettiamo di poter chiarire i dubbi e dare risposte alle domande su un punto nodale che è quello delle risorse disponibili. Questione che una riforma di questa portata non può certo ignorare. Su questo e tutti gli altri aspetti continueremo a fare la nostra parte e dare il nostro contributo”.

Riferimenti Il testo approvato dalla Camera coi relativi emendamenti Terzo settore, tutto quello che non va nella riforma, Luca Mattiucci, Corriere Sociale, 30 aprile 2015 Riforma del terzo settore, sì alla legge delega. Tappa storica o chance persa?, Redattore Sociale, 9 aprile 2015 Riforma Terzo settore, punti di forza e limiti, Roberto Rezzo, L'Indro, 10 aprile 2015 Impresa sociale, Make a Change: «”Tracce” di nuova economia», Andrea Rapaccini, Corriere Sociale, 11 aprile 2015 Riforma Terzo Settore, quanti malintesi sull'impresa sociale, Andrea Rapaccini, Vita.it, 07 aprile 2015 Riforma del terzo settore: 30 pirlate non fanno un articolo, Riccardo Bonacina, Vita.it, 10 aprile 2015 Riforma del terzo settore, il commento di CSVnet Il commento del Forum Terzo Settore La riforma del terzo settore: un'impresa poco sociale con molto profit, Giulio Marcon, Huffington Post, 30 marzo 2015


13 aprile 2015

Riforma Terzo Settore, ecco chi l’ha sparata più grossa Di Stefano Arduini, 13/04/2015 Breviario degli interventi più strampalati che si sono uditi nel corso del dibattito dello scorso 9 aprile Il sito della camera dei deputati ha pubblicato on line lo stenografico della seduta del 9 aprile che in cui è stata approvata in prima lettura la legge delega di riforma del Terzo settore. Il documento è scaricabile cliccando su questo link (al dibattuto sulla riforma sono dedicate le prime 41 pagine). Qui invece una breve sintesi, quasi un bestiario, degli interventi più strampalati che si sono sentiti in Aula durante le dichiarazioni di voto. A rompere gli indugi è Gruppo misto ex movimento 5 Stelle con Eleonara Bechis, limitandosi a fatica di citare mago merlino attacca a testa bassa: «Questa legge delega porta con sé l’emozione dell’inaspettato, di un appuntamento al buio, del rischio di fare qualcosa di proibito: coniugare il profit con il no profit, un’alchimia fantastica. Si badi bene, queste parole vogliono essere una valutazione di un divenire, di un indefinito. Potremmo mai soffocare nella culla il business dell’impresa sociale e del volontario lavoratore? Nell’asfittico mercato della penisola potrebbe esser una boccata d’aria fresca, un nuovo mercato con meno burocrazia, meno tasse, meno tutele per tutti e un diverso concetto di concorrenza. Un nuovo Eden finalmente ! Mi chiedo: che senso avrà domani aprire un’azienda, quando, per fare le stesse cose, si potrà aprire una ONLUS?». Ma sentito parlare dei impatto sociale? Ma passiamo oltre. Palla a Marco Rondini (Lega Nord) che mette nel mirino il progetto di registro unico: « La previsione, poi, di un registro unico del terzo settore, al fine di favorirne la piena conoscibilità in tutto il territorio nazionale, oltre ad apparire in contrasto con il rispetto delle prerogative delle regioni, ai sensi anche della disciplina costituzionale prevista dal Titolo V, non definisce la natura giuridica dell’iscrizione e quale sia l’ambito soggettivo degli enti obbligati alla registrazione». Meglio allora il caos che oggi regna sovrano? Anarchia in salsa padana, insomma. Anche se ad oggi non risultano altre Regioni eccetto il caso recentissimo del Piemonte che stiano provvedendo a fare ordine in autonomia. Ecco il turno dell’apocalittico Giulio Marcon (Sel): « Prevedete nella legge delega che nei consigli di amministrazione delle imprese sociali possano sedere i rappresentanti di Atti Parlamentari amministrazioni pubbliche e delle imprese private: cioè vi piace un terzo settore sotto tutela dei burocrati e degli imprenditori. Questo è un mostro, non è il terzo settore. Prevedete nella legge delega che si possano distribuire gli utili e si possa remunerare il capitale. Prevedete nella legge delega che una parte del welfare sia dato in appalto ai privati. Questo non è più terzo settore, questo è affarismo sociale. Per voi il terzo settore non è un soggetto di cambiamento ma un implementatore di servizi sociali; non è un elemento della cittadinanza ma della produzione dei servizi; non è un fattore di partecipazione ma della democrazia del gradimento. Il mercantilismo ha ormai permeato la vostra visione economica e sociale. Voi siete non solo per una economia di mercato ma anche per una società di mercato, dove non ci sono cittadini, ma solo clienti, dove non ci sono diritti ma solo bisogni, dove non ci sono servizi ma solo mercati sociali. E così, le imprese sociali, di cui all’articolo 6 di questo provvedimento, sono il cavallo di Troia per la privatizzazione e lo smantellamento del welfare nell’istruzione e la sanità». Amen. Ps: per la cronaca la remunerazione dei capitale in misura limitata e non speculativa allo stato attuale è già prevista per le cooperative sociali, che fino a prova contraria fanno parte del Terzo settore. Insomma la società di mercato evocata da Marcon esiste ormai da diversi annetti… Chiudiamo la panoramica con un'esponente a 5 Stelle, grillina di nome e di fatto: Giulia Grillo. Alla quale tocca


13 aprile 2015

la domanda capitale: Chi ha scritto questa legge? Ma soprattutto chi c’è dietro? Prima ipotesi: «L’ha scritta forse Luigi Bobba, l’attuale sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ex presidente delle ACLI dal 1998 al 2006? Le stesse ACLI che, poi, naturalmente, prendono anche i finanziamenti da parte dello stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali, questione sulla quale il Movimento 5 Stelle ha presentato anche un’interrogazione perché sono tanti i progetti finanziati con tanti soldi pubblici di cui non si conoscono gli esiti». Tema interessante, che forse non riguarda solo le Acli. Tema, ancora una volta quello dell’impatto sociale, che la legge tratta in un’ottica europea. Ma forse dietro questa legge c’è dell’altro. Chi? Ancora la Grillo: «Ma questa legge l’ha scritta Luigi Bobba oppure l’ha scritta, per esempio, Vincenzo Manes, il super consulente di Matteo Renzi in campo sociale, uno dei maggiori finanziatori della sua fondazione « Open », esperto di alta finanza? È lo stesso che dice: «Una nuova IRI del sociale (...) ». In effetti in quando consulente di Renzi, qualche consulenza, misteriosa o meno che sia, l’avrà pur data. Ma forse la verità è un'altra: «Oppure la legge, cari colleghi, «l’hanno scritta i consulenti della McKinsey, gli stessi che poi vanno in giro per l’Italia a contattare gli attivisti del Movimento 5 Stelle per fargli capire quanto è bello privatizzare la sanità?». A scuola ci hanno insegnato che le leggi le faceva il Parlamento (lobbisti o non lobbisti, la responsabilità è di chi esprime il voto). Cara Grillo, non è che questa legge la state facendo proprio voi in Parlamento, attraverso una discussione lunga diversi mesi e molto partecipata (con i 5 Stelle meritoriamente in prima linea e legittimamente contrari)?


20 aprile 2015

Terzo settore, “riforma inefficace se non si potenzia il fundraising” Secondo Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-raising.it, il ddl delega è insufficiente sulla raccolta fondi, su cui si basa l’economia specifica del terzo settore: “Così l’Italia perde l’occasione di sostenere il welfare di comunità” 20 aprile 2015 - 14:38 ROMA – La legge delega di riforma del terzo settore punta molto al riordino e al miglioramento del mondo del non profit, ma non porta nessun incentivo e nessuno sviluppo: manca soprattutto una “visione moderna del fundraising” e del valore economico che la raccolta fondi può avere. A sostenerlo è Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-raising.it, secondo il quale la legge “non è sufficiente a raggiungere gli obiettivi che Renzi e il governo si sono posti”. Coen Cagli evidenzia che “non si può riformare e potenziare il terzo settore se non si potenzia e si favorisce la sua economia specifica che oggi in gran parte e rappresentata proprio dal fundraising”. “Dopo molta fatica – racconta - abbiamo ottenuto l’ inserimento della parola ‘raccolta fondi’ nel testo di legge: un passo importante, ma totalmente insufficiente”. “Sul fundraising il testo di legge – precisa - non dice nulla di significativo e per fortuna non dice neanche nulla di sbagliato. Semplicemente non dice nulla. Se gli atti che seguiranno, necessari a implementare in concreto il ddl, non tratteranno adeguatamente il fundraising, questa riforma rischia veramente di essere inefficace sotto il profilo della sostenibilità e l’Italia avrà perso un’occasione per fare del fundraising una forma significativa di sostegno al welfare di comunità, che è poi il welfare del futuro”. La Scuola di Roma fa presente di aver messo a disposizione del governo una elaborazione di circa 100 provvedimenti e azioni facilmente attuabili, e di aver incontrato in un paio di occasioni anche il sottosegretario Bobba: “Al momento però – dice Coen Cagli - sembrerebbe non esserci alcuna prospettiva concreta di attivazione: speriamo davvero di sbagliarci, ma crediamo sia legittimo nutrire qualche dubbio sulla reale volontà del governo di liberare il fundraising, proprio perché lo si vede ancora come “zeppa” alla finanza pubblica e non come un sistema democratico per creare economia sociale. Si tratta di investire in una nuova economia”. Nella sua analisi, il direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-raising.it mette in evidenzaaltri tre punti critici del ddl delega di riforma del terzo settore. Il primo è la considerazione che “l’approccio che traspare nel dettato di legge è ancora incentrato su aspetti giuridici e burocratici: ci domandiamo che collocazione potranno avere nel terzo settore che si sta ridisegnando, le migliaia di gruppi di cittadini che con forme atipiche rispetto a volontariato, cooperazione e associazionismo tradizionale stanno nascendo per curare i ‘beni comuni’ (ad esempio cittadini e lavoratori delle scuole, delle biblioteche, dei servizi sanitari che hanno identità che non rientrano nel cosiddetto terzo settore)”. In secondo luogo viene segnalata lamancanza di un’Authority per “non lasciare così al solo Ministero del Welfare la funzione di controllo”, e inoltre la questione delle risorse disponibili: “Una riforma non si può fare senza investimenti strategici”. Infine, la questione del cinque per mille, che si vorrebbe ampliare anche alle scuole. “Non vediamo nulla di male a che scuole, biblioteche e perfino enti locali facciano fundraising – dice Coen Cagli – ma il punto è


20 aprile 2015

che non c’è una strategia generale: ancora non è chiaro se e come il 5 per mille delle scuole inciderà sul 5 per mille del non profit e in che misura”. Soprattutto, precisa, “manca un aspetto fondamentale e cioè che i soggetti finanziati dai soldi delle nostre tasse che decidessero di fare fundraising devono prima garantire un uso eccellente di questi fondi: chi paga le tasse per un servizio pubblico come la scuola, non vuole finanziare un’ istituzione che non fa buon uso dei soldi versati. In poche parole ci vogliono più garanzie per i donatori se vogliamo fare fundraising per le scuole: si possono dare soldi ad uno Stato che rifà il tetto di una scuola che crolla dopo 4 mesi? No. Si potrà fare quando queste cose non accadranno più”.


22 aprile 2015

DDL TERZO SETTORE, ANPAS: IMPRESCINDIBILE UNA MAGGIORE VALORIZZAZIONE DEL VOLONTARIATO In Italia ci sono circa 5 milioni di volontari: quali sono le condizioni - e quindi anche quale quadro normativo per far crescere il Volontariato nei prossimi anni? Questa è la domanda su cui si sta interrogando Anpas sull'ultima formulazione del DDL sulla riforma del Terzo Settore. Al termine dell'ultimoconsiglio nazionale, tenutosi a Sarzana il 18 aprile 2015 in occasione dei 140 della pubblica assistenza, Anpas ha elaborato un documento dove ribadisce la necessità di un riconoscimento e di una valorizzazione del volontariato, nucleo originale ed innovativo dell’intero Terzo Settore. “Non sono tante le realtà che superano il secolo di vita e di attività, che sono state capaci di superare due guerre, una dittatura e che, ciò nonostante, sono state capaci di adattarsi anche al contesto normativo in continuo cambiamento e che ne ha regolato le attività e la vita associativa”, dichiara Fabrizio Pregliasco, presidente Anpas. “Anpas in questo percorso sta cercando di formulare quelle che sono le sue proposte nel percorso di approvazione del Disegno di Legge e dei conseguenti Decreti Legislativi attuativi e contemporaneamente, al suo interno, si sta attrezzando per cogliere al meglio le nuove opportunità della riforma per rispondere sempre in modo adeguato alle necessità delle comunità e del Paese”. Anpas propone un welfare universalista e partecipato dove comunità locali e cittadini siano soggetti attivi, codecisori e quindi attori delle scelte e delle azioni politiche conseguenti. Un welfare non riparatorio, ma di promozione e sviluppo. “È necessario difendere il ruolo attivo dei cittadini in un welfare universalista e partecipato che promuova e difenda un’idea benessere che non può limitarsi solo agli aspetti sanitari e sociali, per quanto importanti, ma che sappia guardare agli stili di vita e alla sostenibilità ambientale”, conclude Pregliasco. Ecco i punti chiave della posizione di Anpas e sul DDL • Consentire la permanenza e la valorizzazione dell’azione volontaria nelle forme organizzative previste dalla Riforma del Terzo Settore (art. 2 comma 1). Occorre difendere il carattere nazionale nella definizione dei principi fondamentali e dei caratteri del volontariato, non attribuibili alle legislazioni regionali, al fine di evitare differenze nella possibilità di esercitare il diritto costituzionale a svolgere l’azione volontaria in maniera uguale in tutto il territorio nazionale (vedi sentenza della Corte Costituzionale n.75 del 28/02/1992). • Rafforzare il passaggio da attività commerciale marginale a strumentale (art. 4, primo comma, punto e) Nei decreti attuativi occorrerà rafforzare la possibilità per il Volontariato nel Terzo Settore di svolgere attività commerciali e di impresa strumentali alla realizzazione dei propri scopi istituzionali. • Garantire alle organizzazioni di volontariato di conservare le proprie caratteristiche peculiari anche per quelle realtà che sceglieranno la qualifica di impresa sociale per svolgere attività complesse, permettendo loro di continuare ad avvalersi del contributo dei volontari. • Soccorso e trasporto sanitario devono essere considerate attività di interesse generale, fattibili con il volontariato, con finalità solidaristiche . • Riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite dei volontari (art 5, comma 1, lettera c) attraverso la validazione da parte delle reti di secondo livello di Volontariato


22 aprile 2015

• Valorizzazione del ruolo di servizio dei CSV, mantenendone la governance al Volontariato (art. 5 comma 1 lettera e). • Rendere il Servizio Civile Universale (art. 8), cioè accessibile a tutti i giovani che chiedono di parteciparvi, mantenendone un’identità costituzionale fondata sulla “difesa della Patria in modo non armato e non violento” e non dalla formulazione attuale incentrata invece sui “valori fondanti della Patria”.


Il 20 aprile 2015 il Ddl delega per la Riforma del Terzo Settore è stato assegnato alla Commissione I Affari Costituzionali del Senato.


04 maggio 2015

Riforma Terzo settore, partono i lavori in Senato Il pd Stefano Lepri nominato relatore della norma incardinata nella Commissione Affari costituzionali: la discussione riparte giovedì 7. Possibili modifiche. Probabile quindi che la delega torni alla Camera. Il sottosegretario Luigi Bobba: «Chiudere entro l'estate» Ripartirà giovedì 7 maggio al Senato la discussione sulla legge delega di riforma del Terzo settore (http:// www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/45510.htm). Il testo licenziato dalla Camera lo scorso 9 aprile è stato infatti incardinato pressa la commissione Affari Costituzionali . A raccogliere il testimone da Donata Lenzi, in qualità di relatore, a palazzo Madama sarà il senatore del partito democratico Stefano Lepri. «Una scelta molto opportuna», commenta il sottosegretario al Welfare Luigi Bobba, «Lepri è certamente un parlamentare molto preparato sul tema e ha seguito con grande attenzione il dibattito della Camera». Vale la pena ricordare come già dallo scorso anno Lepri e Bobba abbiamo lavorato fianco a fianco a una proposta di legge di riforma della 155/2006 sull’impresa sociale. Lepri è stato scelto come relatore dalla presidenza del Senato pur non appartenendo alla prima Commissione, ma alla 11esima (Lavoro e previdenza sociale). Una scelta che ha evitato l’incardinamento congiunto alle due commissioni maggiormente competenti, incardinamento congiunto che avrebbe necessariamente allungato i tempi. «Se non ci saranno intoppi mi auguro che il lavoro parlamentare si concluda entro l’estate», precisa Bobba. Molto probabilmente sarà comunque necessario un nuovo passaggio a Montecitorio. «Credo che siano possibili aggiustamenti, ma non rivoluzioni, il grosso del lavoro già stato fatto», conclude il sottosegretario. In questo senso sarà importante valutare con attenzione la relazione introduttiva che Lepri presenterà giovedì «in cui indicherò alcuni possibili ritocchi e linee di sviluppo». «Il testo uscito dalla Camera è certamente un buon testo, lavoreremo affinché diventi ottimo», aggiunge il senatore democratico. Che però non si sbilancia sulla tempistica: «L’iter parlamentare è una cosa troppo serie, per fare previsioni, molto dipenderà dagli orientamenti della Commissione». Ci saranno altre audizioni? «Anche qui la risposta spetta alla Commissione, il mio pensiero è che probabilmente non c’è ne è bisogno vista l’ampiezza che il dibattuto ha avuto finora, ma se al contrario se ne sentisse la necessità è una possibilità da valutare».


05 maggio 2015

Riforma terzo settore, si riparte dal Senato. Lepri: “Più enfasi sul volontariato” A Palazzo Madama, in Commissione Affari Costituzionali, inizia giovedì l’esame del ddl delega. Stefano Lepri (Pd) scelto come relatore: “Il testo è buono, ci prepariamo a fare qualche ulteriore miglioramento”. Fra questi, dopo le numerose critiche, anche una maggiore attenzione all’azione volontaria. 05 maggio 2015 - 15:17 ROMA – E ora al Senato, dove non ci sarà nessun stravolgimento ma qualcosa certamente cambierà. Un mese dopo l’approvazione da parte della Camera dei deputati, il treno dellalegge delega di riforma del terzo settore si rimette in corsa a Palazzo Madama, dove è tutto pronto per l’avvio della discussione, previsto il prossimo 7 maggio in Commissione Affari costituzionali. Le prime indicazioni sulle possibili e probabili modifiche al testo arriveranno subito dalla relazione introduttiva di Stefano Lepri, indicato dal Partito democratico come relatore del provvedimento: i temi caldi non mancano (dall’impresa sociale alle funzioni di controllo e vigilanza), ma fra tutte hanno particolarmente colpito le critiche che il Forum del terzo settore, insieme a numerose realtà del volontariato (in prima fila Convol e CSVnet), hanno rivolto al testo votato a Montecitorio, accusato di “mettere ai margini” e di “trascurare” proprio il volontariato. “E’ un argomento – anticipa al riguardo Lepri che dovremo recuperare: il testo non trascura l’azione volontaria, ma probabilmente questa va meglio enfatizzata, credo che sia un’osservazione pertinente”. La scelta di Stefano Lepri come relatore del testo non è frutto del caso: classe 1961, sposato con un figlio adolescente, Lepri conosce bene i temi del terzo settore. Nella sua vita è stato prima volontario, poi ricercatore e imprenditore nel sociale, infine politico, con un impegno ormai quasi ventennale che a Torino – sua città di adozione – lo ha visto per otto anni (dal 1997 al 2005) nel ruolo di assessore alle politiche sociali e sanitarie del comune. Esponente prima della Margherita e poi del Pd, dopo gli anni al Comune, dal 2005 è stato in Consiglio regionale per due mandati, fino all’elezione a Palazzo Madama, dove è anche vicepresidente del Gruppo Pd. Conoscitore in particolare dell’impresa sociale (è stato anche direttore della rivista “Impresa sociale” del gruppo cooperativo CGM), un anno fa aveva presentato come primo firmatario al Senato un disegno di legge di modifica della normativa attuale sull’impresa sociale (D.Lgs. 155/06): lo stesso testo era stato presentato alla Camera da Luigi Bobba appena un paio di settimane prima di venire nominato sottosegretario al ministero del Lavoro e Politiche sociali e di vedersi assegnata proprio la responsabilità di seguire l’intero iter di riforma del terzo settore. A distanza di un anno Bobba e Lepri si ritrovano così nuovamente insieme, stavolta a trattare non solo di impresa sociale ma a gestire le sorti dell’intero iter della legge delega di riforma del terzo settore. I tempi per arrivare al testo finale comunque non saranno brevissimi: il governo, con il sottosegretario Bobba, auspica la conclusione del lavoro parlamentare entro l’estate, considerando anche la tempistica dell’ormai inevitabile terza lettura a Montecitorio. “Il lavoro della Camera – dice Lepri – è stato molto buono e migliorativo rispetto al testo del governo, adesso tocca a noi fare qualche ulteriore miglioramento, partendo da una fase che è molto avanzata”. Il menù in Commissione vedrà prima la discussione generale, poi la presentazione degli emendamenti e infine la loro votazione.


05 maggio 2015

Incertezza sulla presenza o meno di audizioni: alla Camera ne sono state fatte molte, “non mi sorprenderei che la Commissione le giudicasse sufficienti”, dice Lepri. Ma la decisione spetta alla Commissione nel suo complesso. A proposito di Commissione, stiamo parlando della Commissione Affari Costituzionali, alla quale il presidente del Senato Grasso ha assegnato l’esame del ddl. Una curiosità: non è la commissione della quale fa parte Lepri, che è membro invece della Lavoro e Previdenza sociale. Nulla di anomalo: non è infatti inusuale che su temi che incrociano le competenze di più commissioni si scelga di affidare l’iter ad una commissione e il ruolo di relatore al componente di un’altra. (ska)


06 maggio 2015

Riforma Terzo settore, Sel: «Nessun pregiudizio» Domani parte la discussione in commissione Affari Costituzionali. Sinistra Ecologia e Libertà oggi promuove un incontro con le associazioni. Nuccio Iovene: «Il testo va migliorato e la scelta di procedere con una legge delega è sbagliata, ma il nostro voto negativo non è scontato» Nessun pregiudizio e nessun voto prestabilito. Il gruppo di senatori di Sel si prepara a sedersi al tavolo della discussione della riforma del Terzo settore (l’iter al Senato parte domani, in commissione Affari Costituzionali) «supportati dal lavoro svolto dai colleghi della Camera, ma pronti a dialogare con tutti per rendere migliore quel testo», spiega a Vita.it Nuccio Iovene ex parlamentare ed ex portavoce del Forum del Terzo settore, attualmente membro della direzione nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà e in particolare della direzione Welfare. Carica nella cui veste ha convocato per la giornata di oggi un incontro fra i “suoi” sette senatori (Gruppo misto), il Forum del Terso settore e «un panel di associazioni con cui da tempo abbiamo aperto la discussione». Sel alla Camera ha votato contro la riforma, al Senato il vostro giudizio può cambiare? Mi consenta due premesse. È vero che abbiamo votato contro il provvedimento nella sua interezza, ma questo non ci ha impedito di dichiararci favorevoli ad alcuni emendamenti. Secondo: il fatto che il corpus normativo che riguarda il Terzo settore vada rivisto ci trova d’accordo. Sono gli strumenti usati che non vanno bene. A cosa si riferisce? Innanzitutto alla legge delega. Mi spiego: c’erano alcune misure come la stabilizzazione del 5 per mille senza tetto o il rafforzamento del budget per il servizio civile che potevano essere prese quasi in via amministrativa senza tanto clamore e in modo immediato. Invece si è preferito usare uno strumento che consente annunci roboanti sui giornali rinviando però alle calende greche i veri contenuti della delega. Insomma è un po’ la logica del chi vivrà vedrà. Ma la riforma non si esaurisce al 5 per mille e al servizio civile… Appunto. La riforma del codice civile, quella delle associazioni di promozione sociale e dei centri di servizio al volontariato, ma anche la revisione dell’impresa sociale sono punti che andavano affrontati nel contesto di un normale iter parlamentare. Ma ormai il dado è tratto… Per questo abbiamo chiesto alla Camera e chiederemo nel proseguo del dibattito che i decreti legislativi siano sottoposti al vaglio vincolante del Parlamento Venendo al tema caldo dell’impresa sociale, cosa non vi convince? Il fatto che la norma disegna una terra di mezzo in cui si perdono le distinzioni fra profit e non profit in un momento in cui invece la reputazione e l’identità del Terzo settore andrebbero preservate con molta cura Quando parla di ibridazione a cosa si riferisce in concreto? Decidere la remunerazione del capitale sociale e la distribuzione degli utili è una scelta delicata e molto discutibile. La riforma però richiama esplicitamente il modello delle cooperative a mutualità prevalente… D’accordo, ma occorre stabilite dei tetti e dei limiti.


06 maggio 2015

Cosa che la riforma prevede rimandando ai decreti il quantum… Come le dicevo prima, sui decreti occorrerà mantenere alta l’attenzione. Ma non è questo l'unico tema all'ordine del giorno. La legge mi sembra molto lacunosa sul versante della difesa e valorizzazione del lavoro dentro il Terzo settore. Sia dal punto di vista contrattualistico, ma anche da quello della partecipazione dei lavoratori alla vita e alle decisioni imprenditoriali. Infine c’è il nodo dell’Authority. Era prevista nelle linee guida e poi è sparita senza un perché. Altro che rottamatore, Renzi si è dimostrato in piana continuità con Monti e poi Letta. Concludendo, si sente di escludere a priori un voto favorevole dei senatori di Sel in Aula? Non escludo nulla, dipenderà da come il testo recepirà le nostre istanze. Di sicuro noi ci impegneremo affinché il provvedimento sia migliore di quello votato a Montecitorio.


07 maggio 2015

RIFORMA TERZO SETTORE, BELLUCCI (MODAVI): MAGGIORANZA HA CANCELLATO IL DIBATTITO SCIENTIFICO E QUELLO DEMOCRATICO Siamo profondamente delusi dalla scelta del Senato di incardinare la discussione sulla riforma del Terzo Settore nella Commissione Affari Costituzionali. Tale scelta conferma ancora una volta le intenzioni del Governo che ritiene talmente soddisfacente il testo approvato dalla Camera al punto tale da non ritenere opportuno né il coinvolgimento della commissione competente per materia né una seconda tornata di audizioni per gli enti: in un colpo solo, Renzi elimina sia il dibattito scientifico che quello democratico. Come si fa ad ignorare tutte le voci critiche che si sono levate sul testo della riforma? Se è vero che è possibile governare a colpi di maggioranza, è sicuramente vero che in questo modo non riusciremo mai a cambiare la Nazione. È quanto dichiara in una nota Maria Teresa Bellucci, Presidente Nazionale del MODAVI Onlus Roma, li 07/05/2015


07 maggio 2015

Riforma terzo settore, al Senato se la litigano due commissioni Falsa partenza in Senato per la legge delega: slitta la relazione di Lepri. Il rinvio deciso dopo la decisione della Commissione Lavoro di ricorrere contro l’assegnazione del provvedimento alla Affari Costituzionali decisa dal presidente Grasso: “Siamo noi competenti su quei temi”. 07 maggio 2015 - 16:01 ROMA – Sulla riforma del terzo settore, la prima novità che porta l’esame al Senato è che, oltre che sul merito del provvedimento, si discute anche su chi sia più titolato ad esaminarlo. E nel frattempo che si decide chi debba occuparsene, succede che il primo intervento in programma, quello del relatore Stefano Lepri (Pd), che era pronto a tracciare il quadro d’azione delle prossime settimane, slitti a data da destinarsi. Falsa partenza, dunque, per la riforma del terzo settore a Palazzo Madama. "Oggi avevo la relazione pronta - dice Lepri - ma ci siamo fermati per il conflitto di attribuzione fra la Prima e la Undicesima Commissione". Il rinvio a data da destinarsi – ma verosimilmente già la prossima settimana si potrà ripartire – è infatti dovuto al fatto che i componenti della Commissione Lavoro e Previdenza sociale (XI) non hanno mandato giù la decisione del presidente del Senato Grasso, e dell’ufficio di presidenza, di assegnare l’esame del ddl delega (atto Senato 1870) alla commissione Affari Costituzionali (I). E’ vero che il Pd, come talvolta si usa fare, ha indicato come relatore al testo il senatore Lepri che proprio della commissione Lavoro (e non della Affari Costituzionali) fa parte, ma questo non è bastato a evitare una mossa ufficiale verso la presidenza del Senato. Nella seduta di ieri, i componenti della Commissione Lavoro, praticamente all’unanimità, hanno rimarcato come i temi del ddl delega del terzo settore siano di propria diretta e stretta competenza. Il presidente della commissione, Maurizio Sacconi, dopo aver ascoltato i pareri dei colleghi, ha così avuto mandato di sollevare presso la Presidenza del Senato una questione di competenza per l'assegnazione del disegno di legge n. 1870 in sede referente alla Commissione Lavoro e previdenza sociale o, in subordine, alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro e previdenza sociale. Come a dire: la riforma del terzo settore datela a noi, o se proprio non si può o non volete, almeno datela sia a noi che a loro per lavorarci tutti insieme. Sacconi ha argomentato che i contenuti del ddl delega sul terzo settore “riguardano materie che investono in via diretta e qualificano le competenze della Commissione Lavoro su un versante omogeneo e specifico, quali le tematiche afferenti ai servizi di utilità sociale, alle organizzazioni socio-assistenziali, all'impresa sociale e ai diritti dei lavoratori, in cui, dunque, la competenza primaria di essa è esclusiva e incontestata e che, rispetto al complesso dell'iniziativa legislativa in questione, assumono carattere prevalente”. A ciò – secondo Sacconi va aggiunto il “ruolo riconosciuto dalle disposizioni del disegno di legge, sotto il profilo organizzativo e della vigilanza e del controllo, al solo Ministero del lavoro e delle politiche sociali”. Per queste ragioni, l’esponente di Ncd e presidente della Commissione Lavoro ha affermato che “ferma restando la complessità del provvedimento, il profilo prevalente ricade comunque nelle competenze della Commissione lavoro, il cui ruolo non può dunque essere limitato ad un esame in sede consultiva”.


07 maggio 2015

Anche Stefano Lepri (Pd), relatore del ddl, ha sottolineato il ruolo rilevante ed esclusivo affidato dalle norme contenute nella legge delega al Ministero del lavoro, e sulla stessa linea si sono espressi anche la senatrice Catalfo (M5S), i senatori Ichino (Pd), Serafini (Fi), Pagano (Ap), Berger (Aut) e Divina (Ln). Si è distinto solamente il senatore Barozzino (Sel), unico ad astenersi nel voto che ha dato mandato al presidente Sacconi di proporre la questione di competenza. Il giorno dopo, oggi, giovedì 7 maggio, la seduta da tempo convocata della Commissione Affari Costituzionali, che avrebbe dovuto segnare il via alla discussione con la relazione di Lepri, è diventata così una seduta lampo, nel corso della quale si è preso atto dell’iniziativa della Commissione Lavoro e si è deciso di evitare di andare avanti. La palla passa ora a Grasso che dovrà decidere sul conflitto di competenza. E a quel punto, si dovrebbe partire davvero. (ska)


08 maggio 2015

Riforma, la prima discussione in Senato dura un quarto d'ora Tutto bloccato per il conflitto di attribuzione fra Commissione Affari Costituzionali e Commissione Lavoro. Ecco come si sono schierati i partiti È durata appena un quarto d’ora la prima seduta di ieri pomeriggio della discussione al Senato del disegno di legge delega sul Terzo settore. Il dibattito si è infatti subito incartato sul conflitto di attribuzione fra la Commissione Affari costituzionali (dove è stato incardinato il provvedimento) e la Commissione Lavoro, a cui appartiene il relatore Stefano Lepri. A richiedere il trasferimento sono stati Forza italia col senatore Donato Bruno e il Nuovo Centrodestra che con il senatore Andrea Augello ha fatto sapere di « che le materie disciplinate dal disegno di legge n. 1870, afferenti principalmente ai servizi di utilità sociale, le organizzazioni socio-assistenziali, l'impresa sociale e i diritti dei lavoratori, siano di competenza della Commissione lavoro». Favorevoli a continuare l’esame in Affari costituzionali invece il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle. Doris Lo Moro (Pd): « appare riconducibile alla competenza della Commissione affari costituzionali gran parte dei contenuti del disegno di legge, in particolare con riferimento al riordino e alla revisione della disciplina del Terzo settore, alla regolazione dell'attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso e alla disciplina del Servizio civile universale». Giovanni Endrizzi (Movimento 5 Stelle) ha anche auspicato che il ddl non sia « assegnato alle Commissioni riunite, dal momento che - come si è potuto constatare in altre occasioni - tale scelta, in ragione degli impegni che gravano sulle due Commissioni, è suscettibile di ostacolare l'esame del disegno di legge». La parola ora passa alla Presidenza del Senato. Nel frattempo da calendario l’iter dovrebbe riprendere martedì e mercoledì prossimi in commissione Affari costituzionali.


08 maggio 2015

Il volontariato e la Riforma. Ecco le questioni su cui bisogna vigilare In vista della mobilitazione del volontariato italiano che comincerà il 9 maggio all’Università di Roma per ragionare sulla Riforma del Terzo Settore, Stefano Zamagni, sul numero di Vita in edicola, ragiona sui rischi sulla legge che sta concludendo il suo iter parlamentare, in particolare circa l'art. 5 che affronta la tematica relativa al volontariato. Mi hanno colpito in queste settimane le tante voci del mondo del volontariato che hanno espresso dubbi e lamenti rispetto ai contenuto della Legge delega di Riforma del Terzo settore che sta concludendo il suo iter parlamentare. La domanda è se siano giustificati questi mal di pancia o no. Nella Legge delega la tematica specifica del volontariato è affrontata all’art. 5. Posso capire la preoccupazione ma il lamento che ho percepito da alcuni ambienti del volontariato non ha fondamento. Se ci dovevano essere motivi di insoddisfazione avrebbero dovuto essere espressi prima, per esempio nelle audizioni parlamentari o comunque in questo largo lasso di tempo, non a distanza di quasi un anno. Quello che invece si deve temere è che i decreti delegati, che inizieranno il proprio iter a breve dopo il placet definitivo del Senato, prendano una piega che non faccia risaltare in tutto il suo splendore la verità del volontariato. In questo senso, allora, anch’io condivido alcune preoccupazioni. All’art. 5, alla lettera a) si scrive come criterio direttivo che occorre, «armonizzazione e coordinamento delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato, e di promozione sociale, valorizzando i principi di gratuità, democraticità e partecipazione e riconoscendo la specificità e le tutele dello status di volontario all’interno delle organizzazioni di Terzo settore». Quindi il tema è ben presente nella Legge delega, dove nasce allora la preoccupazione? Mi pare che in questione ci sia la fase della scrittura dei decreti delegati che dovranno definire cosa effettivamente siano la «gratuità, la democraticità e la partecipazione». È la fase definitoria che desta preoccupazioni. Per esempio, il principio di democraticità come si dettaglierà? Pensiamo ad alcune organizzazioni di tendenza, tipo quelle cattoliche legate spesso a congregazioni religiose, organizzazioni senza le quali l’accoglienza dei migranti in questo Paese sarebbe ancor più complicata di quanto già lo è, per loro la democraticità non può essere le libere elezioni con propaganda di liste, lì non si può procedere a colpi di maggioranza. Ma quello non è volontariato? Il principio democratico, l’ho sottolineato tante volte, non coincide con il sistema delle elezioni. Altro esempio, al punto b) si dice «promuovere la cultura del volontariato», qui secondo me c’è una svista quasi lessicale. Perché cultura del volontariato non significa nulla, bisognerebbe dire «promozione dell’azione volontaria», il volontariato è un’organizzazione, si promuove la cultura dell’organizzazione o dell’agire volontario? Nella scrittura dei decreti delegati bisognerà vigilare che non passi l’interpretazione secondo cui la cultura del volontariato è la cultura organizzativa, che sarebbe una riduzione funzionalistica. La cultura dell’agire volontario è la cultura della gratuità, ed è questa dimensione che bisogna promuovere affinché si rigeneri continuamente il motore primo d’ogni iniziativa solidale.


08 maggio 2015

Gratuità non vuol dire fare senza costi, senza neppure un rimborso spese, altrimenti il volontariato si ridurrà ad essere fenomeno per ricchi o per dame di carità. Queste mi sembrano le preoccupazioni che stanno emergendo e che sono condivisibili. Quello che è importante è poi la lettera e) che riguarda i Centri di servizio del volontariato. Lì si dice che i Centri di servizio hanno finalità di supporto tecnico, formativo e informativo per l’intero Terzo settore e persino per il sostegno di iniziative territoriali solidali. Questo punto può essere foriero di equivoci terribili. I Centri di servizio devono operare anche a favore delle fondazioni, delle imprese sociali? Siccome le risorse sono quelle che sono è ovvio che la preoccupazione è che per il volontariato rimangano risorse residue. Basterebbe perciò che i decreti introducessero una quota, per esempio scrivendo che almeno il 70 o 75% delle risorse siano dedicate al volontariato. È una preoccupazione seria perché i Centri di servizio sono un obiettivo polmone finanziario e di servizio soprattutto per i piccoli soggetti del volontariato. Infine, un altro motivo di preoccupazione è che alla fine il controllo, anche sul volontariato lo farà la burocrazia, ovvero il ministero del Lavoro, e anche questo, soprattutto per le organizzazioni di volontariato medio piccole, fa paura perché il volontariato è l’anello più debole del Terzo settore e la burocrazia troppo spesso si limita all’applicazione dei regolamenti in modo cieco. Quindi, vigiliamo.


08 maggio 2015

Terzo settore, una riforma contro la corruzione «La risposta migliore alla corruzione e alla speculazione è il sostegno a un modello di impresa sano e sostenibile. Il testo uscito dalla Camera è migliorabile, ma va nella direzione giusta». L'intervento di Stefano Granata, numero uno del Consorzio Cgm. La ripartenza delle discussioni al Senato sulla Riforma del Terzo Settore ci rende ottimisti sulla conclusione dell’iter parlamentare entro l’estate. E’ un’altra tappa di avvicinamento a quella che potrebbe essere una pietra miliare della nostra storia e di tutto il movimento cooperativo italiano dopo anni di incertezza. L’impegno del Governo è importante innanzitutto dal punto di vista culturale. Il Terzo Settore viene riconosciuto, finalmente, come luogo di crescita, valorizzando un modello economico e sociale che interessa la società nella sua interezza e non più solo una parte della popolazione. Alla luce di ciò, riferirsi solo a una legge che riguarda uno specifico settore è ormai riduttivo. Si tratta di una riforma che incide sì sulle imprese sociali, ma con un impatto anche sul lavoro, sul welfare, sulla cultura. Una vera e propria svolta nel nostro Paese. Per questo abbiamo sostenuto fin da subito le linee guida del Governo e dunque il testo della Riforma, che riteniamo possieda enormi potenzialità. Finalmente l’impresa sociale è riconosciuta per quello che è, non un concetto sconosciuto e autosufficiente, bensì un modello efficace di sviluppo per il nostro Paese. In questi mesi abbiamo avuto la dimostrazione che le nostre richieste possono essere esaudite, senza, per questo, pretendere privilegi. Abbiamo chiesto, ad esempio, risorse che siano destinate a chi intende puntare in modo strutturale e non occasionale sulle opportunità di crescita, in primis sull’occupazione. È quindi importante che il Terzo Settore sia certificato secondo criteri chiari in grado di identificare veramente le imprese che rispondono alla propria vocazione sociale, sia in termini di processo che di risultato, che abbiano un programma ben definito e una propria stabilità. La risposta migliore alla corruzione e alla speculazione è il sostegno a un modello di impresa sano e sostenibile. Il pubblico deve fidarsi solo di imprese certificate e capaci di fare il loro mestiere. Del resto, non ci si improvvisa cooperatori o imprenditori sociali da un giorno all’altro, altrimenti si finisce per alimentare patologie e reati. Le modalità di finanziamento attraverso gare e appalti devono basarsi su una rigida e trasparente selezione capaci di valutare realmente le competenze, accompagnate da un sistema di controllo in grado di monitorare nel tempo tutti i singoli passaggi. Il testo di legge che è uscito dalla Camera nelle scorse settimane è, secondo noi, un buon testo da diversi punti di vista, basti pensare al fatto che finalmente viene messo a sistema in un unico impianto un settore che finora era regolato in maniera troppo frammentaria. In Senato potrebbe essere ancora migliorato. Aspettiamo che la legge sia approvata e, a quel punto, vedremo


08 maggio 2015

se tutti i soggetti coinvolti saranno disposti a fare la propria parte in questa direzione, senza piĂš scuse e attenuanti. Il passaggio da una politica di prevalente spesa pubblica ad una risposta decisamente piĂš inclusiva e adeguata alla domanda dei cittadini richiede una trasformazione culturale e strutturale importante: sapere attrarre investimenti, aggregare risorse e predisporre piani di sviluppo complessi potrĂ essere la vera ricetta per garantire un sistema di welfare universale oltre che qualificarsi come contributo decisivo per la realizzazione di un modello economico sostenibile per tutti. Ora inizia veramente la partita e noi proveremo a giocarcela fino in fondo.


12 maggio 2015

Riforma Terzo settore, la relazione di Lepri Al via i lavori in Commissione Affari Costituzionali. In anteprima su Vita.it l'intervento del relatore Stefano Lepri: «Con il testo proposto, il Terzo settore diventa un’espressione giuridicamente fondata, un soggetto cui l’istituzione riconosce un ruolo centrale in aspetti strategici per lo sviluppo». Si è di fatto aperta questo pomeriggio la discussione al Senato sul “Disegno di Legge Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”. A “rompere il ghiaccio” dopo il nulla di fatto di settimana scorsa a seguito del conflitto di attribuzione sollevato da Forza Italia con Maurizio Sacconi è stata la relazione introduttiva del relatore, il senatore Stefano Lepri. Testo, che Vita.it è in grado di pubblicare in anteprima. I lavori della commissione presieduta da Anna Finocchiaro sul testo (AS 1870) proseguiranno domani. Premessa IL FOCUS: “Con questo provvedimento il Terzo settore si trasforma da espressione sociologica che gli studiosi utilizzano per racchiudere un insieme di elementi eterogenei e ispirati a normative differenti a soggetto giuridico soggetto cui l’istituzione riconosce un ruolo centrale in aspetti strategici per lo sviluppo del Paese” Il Disegno di Legge Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale giunge all’esame del Senato della Repubblica dopo un lungo percorso, partito con una consultazione pubblica su un documento di orientamenti e principi, cui hanno partecipato oltre mille soggetti, da persone fisiche a organizzazioni di terzo settore rappresentative delle differenti sensibilità e vocazioni. Dopo ampie audizioni presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati e un’approfondita discussione, il testo è uscito migliorato rispetto alle formulazioni iniziali. Il Disegno di Legge che da oggi ci si appresta ad esaminare, anche grazie a questo positivo processo di ascolto e rielaborazione, rappresenta una risposta convincente a molte delle istanze che stanno all’origine della sua proposizione. Sino ad oggi “Terzo settore” è stata solo un’espressione sociologica, che gli studiosi utilizzano per racchiudere un insieme di elementi eterogenei e ispirati a normative differenti. Con il testo proposto, il Terzo settore diventa un’espressione giuridicamente fondata, un soggetto cui l’istituzione riconosce un ruolo centrale in aspetti strategici per lo sviluppo del Paese. Il testo giunto al Senato affronta in modo convincente questioni ereditate dagli anni passati, sia con l’obiettivo di semplificare l’operatività di chi è impegnato in queste meritorie attività, sia per rendere alle istituzioni e ai cittadini maggiormente identificabili le attività di terzo settore. E in ultimo – senza con ciò voler esaurire i meriti del testo a noi sottoposto – sono poste le basi per poter realizzare un’attività di verifica, monitoraggio e controllo delle organizzazioni di terzo settore, utile ad evitare o quanto meno a limitare abusi che hanno esiti mortificanti per le tantissime persone che nel terzo settore operano mosse da autentico spirito di solidarietà e per i cittadini che in tali organizzazioni confidano. Questi e molti altri aspetti vanno ascritti a meriti del DDL così come formulato al termine della discussione presso la Camera dei Deputati.


12 maggio 2015

Da oggi il Senato della Repubblica è chiamato a valutare questo testo, intervenendo laddove esso potrà risultare ancora passibile di miglioramenti. Di qui in avanti, si avanzano riflessioni e proposte su questioni su cui potrebbe essere opportuna un’ulteriore riflessione”. Articolo 1 IL FOCUS: “Il testo complessivo presenta alcune incertezze circa l’appartenenza a pieno titolo dell’impresa sociale al terzo settore. In alcuni passaggi, infatti, sembra che si vogliano disciplinare due tipi di soggetti distinti, per quanto contigui (ad es. l’articolo 9, comma 1, lettera g che si riferisce agli investimenti “degli enti di terzo settore e delle imprese sociali” quasi che si tratti di due diverse entità). Va quindi chiarito, sia nell’articolo 1 che nel testo complessivo, che le imprese sociali sono ricomprese entro la dizione “enti privati” e che esse fanno indiscutibilmente parte a pieno titolo del Terzo settore”. Proprio perché il punto di partenza è una definizione ineccepibile di cosa sia il terzo settore – non a caso a questo articolo ricorrono numerosi riferimenti, nel corso di tutto il testo – sarà forse utile porre ancora una volta attenzione alla formulazione utilizzata, da diversi punti di vista. La definizione poggia su “quattro colonne”: le finalità solidaristiche e civiche, l’assenza di scopo di lucro e quindi la non distribuzione degli utili, il chiaro beneficio pubblico delle attività, l’utilità sociale indiscutibile dei settori in cui operare. La definizione è convincente a condizione di tener conto che, con la dizione “finalità solidaristiche e civiche” non si intende limitare il raggio dei settori di attività di utilità sociale e che quindi anche comparti quali ad esempio le attività sportive, culturali, di protezione civile, di recupero ambientale sono pienamente compatibili laddove rispettose delle succitate “quattro colonne.” Il testo complessivo presenta alcune incertezze circa l’appartenenza a pieno titolo dell’impresa sociale al terzo settore. In alcuni passaggi, infatti, sembra che si vogliano disciplinare due tipi di soggetti distinti, per quanto contigui (ad es. l’articolo 9, comma 1, lettera g che si riferisce agli investimenti “degli enti di terzo settore e delle imprese sociali” quasi che si tratti di due diverse entità). Va quindi chiarito, sia nell’articolo 1 che nel testo complessivo, che le imprese sociali sono ricomprese entro la dizione “enti privati” e che esse fanno indiscutibilmente parte a pieno titolo del Terzo settore. Occorre cioè eliminare ogni dubbio sul fatto che le diverse previsioni che nel testo ricorrono e che sono indirizzate “agli enti di cui all’articolo 1” siano anche ad esse riferite, cosa peraltro che sembra evincersi bene nella stessa definizione, per la quale le organizzazioni di terzo settore operano anche attraverso la produzione e lo scambio di beni e servizi. Per evitare aggiramenti della sostanza della norma, l’opportuna precisazione che esclude dal terzo settore “le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati e le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche” dovrebbe verosimilmente valere anche per enti strumentali ad esse collegati, quali ad esempio le fondazioni legate a partiti o a loro esponenti. Articolo 2 IL FOCUS: “ tra i principi richiamati sembrerebbe opportuno inserire il codice del dono come uno dei possibili principi ispiratori dell’azione; o, in alternativa, tale codice potrebbe essere richiamato in un punto ad hoc, a rimarcare come uno degli obiettivi della legge sia quello di sostenere, rafforzare e diffondere orientamenti e organizzazioni ispirati al dono”. L’attuale formulazione presenta un disequilibrio tra quanto è riservato alle organizzazioni di terzo settore che promuovono solidarietà e partecipazione civica (l’art. 2, comma 1, lettera a, utilizza i termini “riconoscere e


12 maggio 2015

garantire”) e quanto si prevede per le organizzazioni a carattere imprenditoriale (per le quali si parla di “riconoscere e favorire”). La seconda locuzione, “riconoscere e favorire” sembra più adeguata – e quindi da riproporsi anche all’art. 2, comma 1, lettera a). Nel comma 1, lettera a), tra i principi richiamati sembrerebbe opportuno inserire il codice del dono come uno dei possibili principi ispiratori dell’azione; o, in alternativa, tale codice potrebbe essere richiamato in un punto ad hoc, a rimarcare come uno degli obiettivi della legge sia quello di sostenere, rafforzare e diffondere orientamenti e organizzazioni ispirati al dono. Inoltre, relativamente all’art. 2, comma 1, lettera b, si richiama quanto già prima enunciato in merito all’articolo 1: l’iniziativa economica privata indicata come meritevole di riconoscimento e sostegno è ora definita come impegnata a realizzare “la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale o d’interesse generale”, mentre il solo settore di attività, per i motivi già delineati, non pare un criterio di per sé sufficiente: meglio quindi riferirsi ai beni o servizi di utilità sociale e con benefici di interesse generale – coerente, tra l’altro, con l’esito subito dopo correttamente enunciato di elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali. Si invita inoltre a ragionare sull’opportunità di inserire, tra i principi direttivi, una ulteriore lettera e) che porti ad evidenziare meglio le specifiche vocazioni delle diverse forme giuridiche del terzo settore, così da favorire l’adozione degli strumenti organizzativi più idonei rispetto agli scopi. Articolo 3 IL FOCUS: “Si propone inoltre di considerare, in una logica di semplificazione e di risparmio di costi e tempi, la possibilità di assegnare la procedura di riconoscimento della personalità giuridica delle associazioni e delle fondazioni ai notai, analogamente a quanto accade per le società di capitali”. E’ forse utile considerare l’inserimento – lì, dove avrebbe attinenza diretta, ma anche altrove, nel provvedimento – di previsioni relative alle fondazioni. Taluni tra gli sviluppi più interessanti degli ultimi anni riguardano infatti lo sviluppo dell’istituto della fondazione, soprattutto nella declinazione delle fondazioni di partecipazione e delle fondazioni di famiglia, per la protezione di soggetti deboli. Va dato atto che nulla osta allo svolgimento, da parte delle fondazioni e delle associazioni, di attività stabile e prevalente d’impresa - anche se non ritengono di assumere la forma dell’impresa sociale - e pertanto si applica la normativa dei libri V e VI del codice civile, a condizione che in ogni caso vi sia il divieto di distribuzione di utili. Si esprimono inoltre dubbi sulla pregnanza del criterio del rapporto tra patrimonio netto e indebitamento come metro per misurare l’affidabilità delle organizzazioni. Si propone inoltre di considerare, in una logica di semplificazione e di risparmio di costi e tempi, la possibilità di assegnare la procedura di riconoscimento della personalità giuridica delle associazioni e delle fondazioni ai notai, analogamente a quanto accade per le società di capitali. Oggi la competenza per il riconoscimento delle persone giuridiche spetta alle Prefetture, per gli enti che operano a livello nazionale, oppure alle Regioni, per gli enti che agiscono a livello regionale. L’elemento di discrezionalità nel giudizio, soprattutto di congruità dello scopo rispetto all’entità del patrimonio, lascia spazio a scelte largamente difformi sia sul territorio che, nell’ambito del medesimo territorio, tra le autorità alternativamente competenti. Inoltre i tempi imposti per la chiusura del procedimento raramente sono osservati. Si aggiunga inoltre che i registri presso le Prefetture sono tenuti in forma cartacea e non sono pertanto consultabili, se non recandosi fisicamente nel luogo dove sono conservati. La soluzione suggerita potrebbe legarsi a quella prefigurata a proposito dell’articolo 4, di tenuta di un Registro delle persone giuridiche, costituita da un’apposita sezione del Registro delle imprese.


12 maggio 2015

Articolo 4 IL FOCUS: “Rispetto tema delle modalità di relazione tra Enti pubblici e terzo settore, il testo, forse sull’onda dei fatti di cronaca, cita esclusivamente elementi orientati a contrastare eventuali opacità o casi di impiego di fondi pubblici non sufficientemente motivati. Questo è del tutto condivisibile, ma non deve far dimenticare il patrimonio di elaborazioni, nazionale e comunitario, ispirate al principio di cooperazione e collaborazione tra enti – pubblici e di terzo settore – che condividono le finalità di interesse generale”. Rispetto all’art. 4 al comma 1, lettera b, va nuovamente indicata l’opportunità di utilizzare locuzioni uniformi nel testo; si richiamano “attività solidaristiche e di interesse generale”, mentre meglio sarebbe attestarsi su una stessa espressione, che potrebbe appunto essere quella dei settori di utilità sociale – tra l’altro ben consolidata, a partire dal d.lgs 460/1997 nel nostro ordinamento – che, congiuntamente al conseguimento di un beneficio di interesse generale (pubblico o mutualistico) costituisce un tratto distintivo del terzo settore. Circa il Registro unico di cui alla lettera i), dove l’attuale testo chiama in causa il Ministero del lavoro, è forse opportuno ricordare che oggi esiste un sistema, quello del registro delle imprese, che non comporta costi aggiuntivi e che tra l'altro è già collegato telematicamente con gli studi notarili. È quindi opportuno valutare la possibilità di iscrivere le imprese sociali entro un’apposita sezione del registro delle imprese, insieme agli enti commerciali non profit, nonché di usare il Registro degli enti e delle associazioni per gli enti senza personalità giuridica che non svolgono attività di impresa, con la possibilità che nel registro siano pubblicati tutti i dati salienti dell’organizzazione di terzo settore, quali cariche sociali, bilanci. È opportuno suggerire che il previsto Registro unico debba ricomprendere anche enti riconosciuti e enti regolamentati dalle leggi speciali (organizzazioni di volontariato, APS, cooperative sociali) per evitare che l’intento semplificatorio sia vanificato dalla sopravvivenza di registri paralleli. Sempre al fine di rendere meno onerosi gli aspetti burocratici potrebbe essere utile prevedere forme semplificate di iscrizione al Registro delle organizzazioni affiliate ad una organizzazione nazionale già iscritta. Infine, rispetto al Registro di cui alla lettera i), potrebbe essere utile richiamare, per maggiore chiarezza, le diverse forme giuridiche che sono comunque, sulla base dell’attuale assetto del terzo settore italiano, chiamate ad aderirvi, quali organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociale, fondazioni, organizzazioni non governative, società di mutuo soccorso, comitati, enti ecclesiastici. Si tratta quindi di capire come valorizzare tali possibilità con l’intento del Registro unico. Rispetto alla lettera m) del medesimo comma, che affronta il tema delle modalità di relazione tra Enti pubblici e terzo settore, il testo, forse sull’onda dei fatti di cronaca, cita esclusivamente elementi orientati a contrastare eventuali opacità o casi di impiego di fondi pubblici non sufficientemente motivati. Questo è del tutto condivisibile, ma non deve far dimenticare il patrimonio di elaborazioni, nazionale e comunitario, ispirate al principio di cooperazione e collaborazione tra enti – pubblici e di terzo settore – che condividono le finalità di interesse generale. In ciò è possibile senz’altro valorizzare: •

il patrimonio giuridico che, a partire dall’atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affida-

mento dei servizi alla persona (DPCM 30/3/2011 applicativo della 328/2000), valorizza le forme basate sulla coprogettazione e sulla considerazione degli aspetti di qualità del servizio; •

procedure sviluppate in questi anni sul livello locale, che, nel pieno e scrupoloso rispetto dell’evi-

denza pubblica, valorizzano i principio di cooperazione più che quello di competizione;


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gli sviluppi della normativa comunitaria, che con la direttiva comunitaria 24/2014 dedica un capo

apposito agli affidamenti di servizi sociali specificando che «Gli Stati membri sono liberi di determinare le norme procedurali applicabili fin¬ tantoché tali norme consentono alle amministrazioni aggiudica¬trici di prendere in considerazione le specificità dei servizi in questione.» (art. 76) E, in questo ambito diventa possibile riservare servizi sanitari, sociali e culturali ad organizzazioni 1) non profit 2) finalizzate ad un interesse pubblico e 3) strutturate in modo da consentire la partecipazione allargata di lavoratori e/o utenti affidamenti nell’ambito dei servizi sociali (art. 77). Va inoltre ricordato che una parte significativa delle criticità che coinvolgono organizzazioni di terzo settore riguarda il trattamento riservato a chi vi lavora, soprattutto laddove ciò avviene a seguito di affidamenti pubblici. Ciò è legato anche ad una pluralità di contratti in essere, alcuni dei quali presentano condizioni significativamente peggiorative che rischiano paradossalmente di favorire chi le adotta nella competizione di mercato. Ciò può essere contrastato, oltre che con procedure di affidamento che valorizzino adeguatamente gli aspetti di qualità, prevedendo l’applicazione di CCNL siglati con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative individuate nell’aver superato una soglia minima di rappresentatività stabilita negli accordi interconfederali e differenziata a seconda che si tratti di organizzazione sindacale singola o associata con altre. Articolo 5 IL FOCUS: “è forse ragionevole valutare una riorganizzazione dei Centri di servizio del Volontariato che incida sulle attuali criticità, prefigurando soluzioni per le quali sia previsto” In merito all’art. 5, comma 1, lettera a) potrebbe essere opportuno introdurre, accanto alla opportuna valorizzazione dei “principi di gratuità, democraticità e partecipazione” e alle tutele dello status di volontario, previsioni normative che evitino l’utilizzo improprio di istituti quali il rimborso spese in accezioni di fatto non coerenti con tali principi. Relativamente all’articolo 5, comma 1, lettera e) è forse ragionevole valutare una riorganizzazione dei Centri di servizio del Volontariato che incida sulle attuali criticità, prefigurando soluzioni per le quali sia previsto: •

che i Centri di servizio assumano, come già specificato nel testo, una forma giuridica di terzo set-

tore caratterizzata per un assetto democratico, siano liberamente costituiti ed operino, sulla base delle libere scelte delle organizzazioni che scelgono di avvalersi dei servizi offerti, anche su base non territoriale; •

che i criteri di accreditamento comprendano un numero minimo di soggetti associati, il principio

della porta aperta che renda possibile l’ingresso nella compagine associativa e nella governance delle organizzazioni che fruiscono dei servizi, un insieme di servizi standard che debba comunque essere messo a disposizione delle organizzazioni fruitrici, la presenza con proprie articolazioni sul territorio ove si propongono come erogatori di servizi; •

criteri democratici per la definizione della governance (ad esempio escludendo o comunque limi-

tando il voto multiplo degli aderenti sulla base delle dimensioni secondo una misura massima); •

l’impossibilità, per ciascuna organizzazione, di associarsi a più di un centro di servizio;

l’incompatibilità, in entrata e in uscita, tra i ruoli apicali nei centri servizi e l’assunzione di cariche

politiche, definendo un periodo minimo tra la cessazione di un ruolo e l’eventuale assunzione di un ruolo nell’altro ambito; •

la delega ai Centri di servizio dei compiti di monitoraggio, verifica e controllo rispetto agli enti al

di sotto di determinate dimensioni;


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il dimensionamento di organi di controllo, destinati ad assumere anche i compiti e funzioni degli

attuali CoGe, su scala regionale o, nelle regioni più piccole, macro regionale con governance partecipata a maggioranza dalle fondazioni finanziatrici, nonché da soggetti unitari di rappresentanza delle diverse forme di terzo settore; •

l’attribuzione agli organi di controllo delle funzioni di accreditamento dei Centri di servizio nonché

di concessione ai fruitori di voucher finalizzati al pagamento dei servizi presso i Centri di servizio accreditati sulla base della libera scelta delle organizzazioni fruitrici. Articolo 6 IL FOCUS: “In riferimento ai criteri di distribuzione degli utili, pur apprezzando lo sforzo di sintesi realizzato nel testo della Camera, si suggerisce di valutare la possibilità di un testo più rigoroso, che eviti il rischio di interpretazioni estensive e alla fine poco rispondenti all’orientamento non profit del Terzo settore”. Grazie alla più precisa indicazione da introdursi all’articolo 1, comma 1, è probabilmente ragionevole alleggerire la lettera a) del comma 1 dell’articolo 6, con la quale si intende qualificare l’impresa sociale, essendo essa già definita come entità di terzo settore (con le caratteristiche quindi richiamate all’articolo 1, comma 1 e rispettosa dei principi e dei criteri dettagliatamente sviluppati all’art. 4) che, condividendo le finalità di interesse generale delle altre organizzazioni comprese nell’articolo 1, trova la sua specificità nel perseguirle attraverso strumenti imprenditoriali. Appare dunque da valutare l’indicazione, peraltro addirittura in posizione preminente, di un criterio come l’impatto sociale che ha natura diversa – non definitoria ma concernente l’effettivo prodotto realizzato – e che giustamente trova il proprio dominio nel successivo articolo 7, relativo al monitoraggio delle attività degli enti. In ogni caso – qui e altrove – sembra opportuno porre attenzioni a tutte quelle locuzioni (es. il “raggiungimento di obiettivi sociali”) che hanno forse un significato evocativo, ma che appaiono di dubbia pregnanza normativa, mentre sono da privilegiare riferimenti (es. “coerentemente con lo scopo individuato dagli statuti sociali”) rispetto a cui sia possibile in sede di controllo operare effettive verifiche. A questo proposito, comunque, va ricordato come la definizione presente del D.Lgs 155/2006 appaia chiara ed esauriente e che quindi gli interventi su tali aspetti debbono essere introdotti con molta attenzione per evitare il rischio di introdurre elementi di complessità e confusione. In riferimento ai criteri di distribuzione degli utili, pur apprezzando lo sforzo di sintesi realizzato nel testo della Camera, si suggerisce di valutare la possibilità di un testo più rigoroso, che eviti il rischio di interpretazioni estensive e alla fine poco rispondenti all’orientamento non profit del terzo settore. Si ipotizza pertanto la possibilità di un testo alternativo quale il seguente: “previsione di forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione degli utili, da assoggettare alle condizioni e ai limiti massimi applicati alle cooperative a mutualità prevalente e che assicurino comunque la prevalente destinazione degli utili a una riserva indivisibile, da destinare integralmente, in caso di scioglimento, ad altre organizzazioni di terzo settore con finalità coerenti con lo scopo dell’impresa sociale”. L’opinione del relatore è che questa seconda formulazione sia preferibile; laddove invece si intendesse optare per il mantenimento dell’attuale testo, aprendo quindi alla possibilità ad un sorta di low profit, occorrerà a quel punto escludere tali soggetti da talune forme di premialità quali la detraibilità e deducibilità in caso di erogazioni liberali o l’accesso al 5X1000.


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Relativamente alla lettera b), anche in considerazione della rapida evoluzione, in relazioni ai mutevoli bisogni sociali, dei settori di attività dove può esplicarsi la realizzazione di un beneficio di interesse generale, sembra opportuno introdurre la possibilità di intervenire su questi aspetti, oltre che in sede di legge, come qui opportunamente avviene, anche con autonoma decretazione del Governo, sulla base di un’analisi da compiersi periodicamente anche di concerto con le rappresentanze del terzo settore. Inoltre, sempre alla medesima lettera, sembra ragionevole qualificare i “limiti per lo svolgimento di attività commerciali diverse da quelle di utilità sociale” in senso chiaramente minoritario (oltre, come sempre, a specificare il criterio del beneficio di interesse generale congiuntamente al settore di attività come qualificante delle azioni propriamente svolte dalle imprese sociali). Articolo 7 IL FOCUS: “ l’equilibrio tra l’intento di introdurre controlli più efficaci, necessari e evitare opacità e abusi e l’intento di semplificare l’azione di chi opera a vantaggio della comunità senza gravarlo ulteriormente di appesantimenti formali può essere trovato solo mutando la natura dei controlli stessi. in ottica di deburocratizzazione e di orientamento verso aspetti sostanziali”. Nel corso del dibattito presso la Camera dei Deputati, si è a lungo esaminata la soluzione più opportuna circa il soggetto cui mettere in capo il controllo e monitoraggio degli enti di terzo settore. Da una parte appare opportuno non riaprire da principio tale dibattito, dando per acquisito che tali funzioni vadano poste in capo al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali; dall’altra vanno raccolte le preoccupazioni circa la necessità che una funzione di questa delicatezza – il “separare il grano dal loglio” è uno dei principi sin dall’inizio posti alla base del provvedimento – possa essere realizzata adeguatamente senza risorse dedicate. L’articolato sottoposto all’esame del Senato presenta infatti, rispetto a quello inizialmente elaborato dal Governo, numerosi e condivisibili riferimenti alla necessità di presidiare il settore con adeguati controlli e monitoraggi, ma questo rischia di rimanere mera enunciazione di principio in assenza di specifiche risorse. Sembra inoltre opportuno puntualizzare due principi generali che orientino la decretazione in merito ai controlli. Il primo è che l’equilibrio tra l’intento di introdurre controlli più efficaci, necessari e evitare opacità e abusi e l’intento di semplificare l’azione di chi opera a vantaggio della comunità senza gravarlo ulteriormente di appesantimenti formali può essere trovato solo mutando la natura dei controlli stessi. in ottica di deburocratizzazione e di orientamento verso aspetti sostanziali. Il secondo è esplicitare e sistematizzare meglio una graduazione – comunque cui già l’attuale testo fa riferimento - dei meccanismi di controllo sulla base di dei seguenti elementi: •

dimensione degli enti;

ricorso o meno degli enti a forme di finanziamento pubblico o a raccolte di risorse basate sulla fe-

de pubblica; •

assunzione o meno degli enti di caratteristiche di impresa.

Ragionare in questi termini permetterebbe di graduare l’intensità dei controlli su criteri minimi che non guardino alla forma giuridica ma alla sostanzialità dell’azione delle organizzazioni e al ricorso ad elementi che chiamino in causa la fiducia di terzi o delle istituzioni.


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(prosegue dalla pagina precedente) Articolo 8 IL FOCUS: “Rispetto al servizio civile da prevedere la definizione del riparto di funzioni tra istituzioni statali e regionali, mediante l’attribuzione agli organi centrali dello Stato della competenza a definire le attività di programmazione e organizzazione del servizio civile universale, in cui sono coinvolti gli enti territoriali nonché gli enti pubblici e privati senza scopo di lucro”. Al comma 1, lettera a), dell’articolo 8 è affidato il compito di sintetizzare i concetti legati alla difesa non armata della Patria, eredità della stagione nascente del servizio civile come alternativa al servizio militare e gli ideali di promozione dei valori fondativi della nostra Repubblica. Probabilmente l’attuale formulazione non coglie ancora nel modo migliore questi diversi aspetti e pare quindi suggeribile individuare una locuzione che, lasciando inalterati i riferimenti costituzionali opportunamente richiamati, definisca il servizio civile universale come finalizzato alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica. Alla lettera d) del medesimo comma si suggerisce di bilanciare il riferimento agli enti territoriali con un maggiore coinvolgimento dello Stato, al fine di assicurare maggiore omogeneità del Servizio civile ed evitare talune controindicazioni connesse a fenomeni di regionalizzazione, anche in coerenza con gli orientamenti che si stanno affermando in altri ambiti delle politiche del lavoro. Il punto potrebbe essere quindi elaborato prevedendo la definizione, nel rispetto del principio di leale collaborazione, del riparto di funzioni tra istituzioni statali e regionali, mediante l’attribuzione agli organi centrali dello Stato della competenza a definire le attività di programmazione e organizzazione del servizio civile universale, in cui sono coinvolti gli enti territoriali nonché gli enti pubblici e privati senza scopo di lucro. Articolo 9 IL FOCUS: “Va compiuta una riflessione sull’opportunità di mantenere a fini fiscali un concetto, come quello di “ente non commerciale”, che si sovrappone all’impianto definitorio già presente nella normativa, che ha invece intenti semplificatori”. In generale, va compiuta una riflessione sull’opportunità di mantenere a fini fiscali un concetto, come quello di “ente non commerciale”, che si sovrappone all’impianto definitorio già presente nella normativa, che ha invece intenti semplificatori. Si propone quindi di non confermare ulteriori definizioni basate sullo svolgimento o meno di attività a rilevanza economica, incoerenti sia con l’impianto del provvedimento, sia con la realtà attuale. Ad esempio le cooperative sociali, che svolgono attività economica, sono già destinatarie delle misure qui riservate agli enti non commerciali. Meglio invece rifarsi alle definizioni già presenti nella legge rispetto alle organizzazioni di terzo settore, piuttosto graduando i benefici riscuotibili sulla base delle scelte dell’organizzazione in materia di destinazione degli utili. Ciò porterebbe quindi al superamento della definizione di ente non commerciale con il passaggio ad un regime fiscale che riconosca l’esercizio dell’attività commerciale per finalità di interesse generale senza scopo di lucro, come già avviene per le cooperative sociali. A questo proposito, si considerino nell’articolo 9, al comma 1, le previsioni delle lettere a, b, c, d, i e ed l che sono riferite agli enti di cui all’articolo 1, cioè, opportunamente, a tutti gli enti di terzo settore. Va d’altra parte richiamato come all’articolo 6, comma 1, lettera d), sia stata introdotta una disciplina degli utili dell’impresa sociale molto flessibile, cosi da dare conto non solo di fenomeni consolidati come la cooperazione sociale, ma anche di altre forme che potrebbero giovarsi di regimi più premianti per chi apporta capitali. Il riferimento analogico a quanto previsto per le cooperative a mutualità prevalente in materia di quota di utili remunerabili e di tasso di remunerazione è per questo reso differenziabile “in base alla forma giuridica adottata dall’impresa”. Questo, d’altra parte, porta a suggerire di prevedere, per gli enti che, avvalendosi di tale flessibilità, vogliano prevedere statutariamente la possibilità di forme di distribuzione degli utili più premianti per l’investitore rispetto alle cooperative a mutualità prevalente, l’impossibilità di accedere ai benefici fiscali


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richiamati in tali lettere. Tali soggetti rimarrebbero comunque destinatari delle misure previste alla lettera f) g) h). Relativamente all’art. 9, comma 1, lettera c), il condivisibile richiamo alla riforma strutturale del 5X1000 va completato con una specificazione circa l’opportunità che gli importi destinati al terzo settore non siano dispersi su altre finalità – pur altrettanto meritorie, quali la destinazione ad enti locali o servizi pubblici – che meritano risorse opportunamente dedicate (magari con meccanismi analoghi al 5X1000) e non in competizione con quanto assicurato al terzo settore. Infine, correttamente, alla lettera f), sono previste misure a sostegno di alcune funzioni specifiche connesse all’azione delle imprese sociali, a rafforzamento della vocazione di queste organizzazioni e investire con finalità sociali e ad innovare. Un altro ambito rispetto al quale potrebbe essere utile prevedere strumenti specifici è relativo ad azioni per favorire l’ingresso entro le imprese sociali di lavoratori che svolgono funzioni a basso contenuto professionale e a bassa tutela, segnatamente nell’area dell’assistenza familiare, riducendo il loro impiego a titolo individuale o attraverso prestazioni di lavoro in somministrazione. Articolo 10 IL FOCUS: “Si suggerisce un’ulteriore destinazione, relativa alla ristrutturazione di beni pubblici o confiscati e dati in gestione a soggetti di terzo settore e prevedendo a tale proposito forme di premialità laddove l’organizzazione di terzo settore sia in grado di garantire co-investimenti da parte di soggetti diversi”. L’attuale formulazione potrebbe forse essere rafforzata prevedendo, accanto alle risorse già citate, anche fondi ulteriori ministeriali, a integrazione dei fondi rotativi previsti all’articolo 9, comma 1, lettera g), destinandoli in particolare al finanziamento, in parte rotativo in parte a fondo perduto. Si suggerisce un’ulteriore destinazione, relativa alla ristrutturazione di beni pubblici o confiscati e dati in gestione a soggetti di terzo settore e prevedendo a tale proposito forme di premialità laddove l’organizzazione di terzo settore sia in grado di garantire co-investimenti da parte di soggetti diversi. Tra le modalità di sostegno al terzo settore, richiamando quanto affermato all’art. 4, comma 1, lettera m), (“prevedere strumenti che favoriscano i processi aggregativi, … di enti con finalità statutarie affini, anche allo scopo di definire la loro rappresentatività presso i soggetti istituzionali”) e dall’articolo 5, comma 1, lettera d) (“riconoscimento e valorizzazione delle reti associative di secondo livello, intese quali associazioni composte da enti del Terzo settore…”) parrebbe opportuno dare concretezza a tale affermazione con una seppur minima forma di sostegno economico ad organismi ampiamente rappresentativi delle diverse forme di terzo settore. Infine si suggerisce di destinare una piccola parte della dotazione prevista allo svolgimento delle attività di controllo e autocontrollo previste dall’art. 7.


12 maggio 2015

Terzo settore, ecco come la riforma cambierà ancora al Senato Avviato l’iter in Commissione Affari Costituzionali, nella relazione di Stefano Lepri le principali ipotesi di modifica. “Più rigorosa” la distribuzione degli utili delle imprese sociali, soldi per le attività di controllo e per ristrutturare beni confiscati. Riorganizzazione dei Csv, attenzione ai lavoratori. 12 maggio 2015 - 19:02 ROMA – Altro che passaggio formale, il cammino sarà ancora lungo: la legge delega che riforma il terzo settore è destinata a cambiare e, probabilmente, anche a migliorare. Se qualcuno, dopo il via libera dell’aprile scorso a Montecitorio, pensava che il passaggio al Senato sarebbe stato molto più rapido, agevole e semplice di quello alla Camera, sarà bene che si ricreda: il primo giorno di lavoro a Palazzo Madama è servito a capire che il testo cambierà, e anche se non arriveranno sconvolgimenti epocali, la proposta avanzata dal relatore (un insieme di aggiustamenti e alcune innovazioni) rende evidente che l’iter non sarà né rapidissimo né semplicissimo. C’è da lavorare ancora, insomma, all’insegna del detto che per far bene le cose ci vuole tempo. Teatro di questo impegno sarà la Commissione Affari Costituzionali, che si è vista confermare dalla presidenza del Senato la titolarità ad esaminare il testo in sede referente, vincendo così il derby con la Commissione Lavoro che aveva sollevato un conflitto di attribuzione e che si dovrà invece accontentare di stare alla finestra. Anche se, come noto, è proprio fra le sue fila che è stato scelto il relatore. Nel pomeriggio di martedì 12 maggio, dunque, in Commissione Affari Costituzionali è stato incardinato ufficialmente il testo e il relatore Stefano Lepri (Pd) ha svolto la relazione introduttiva. Otto pagine fitte in cui viene reso merito e onore al lavoro compiuto alla Camera ma vengono anche segnalati una pluralità di punti che a giudizio del relatore andrebbero modificati per dare una maggior coesione e una maggiore efficacia al testo. Lepri propone anzitutto di perfezionare la definizione di “terzo settore” per specificare oltre ogni ragionevole dubbio di interpretazione che in esso possono stare dentro, rispettando certe condizioni, anche le realtà impegnate in attività sportive, culturali, di protezione civile, di recupero ambientale. E anche le imprese sociali, che del terzo settore “fanno indiscutibilmente parte a pieno titolo”. Ma proprio sulle imprese sociali Lepri avanza una proposta che farà discutere, perché interessa uno dei temi sui quali più veementi sono state le polemiche: la distribuzione degli utili. Per il relatore serve “un testo più rigoroso che eviti il rischio di interpretazioni estensive e alla fine poco rispondenti all’orientamento non profit del terzo settore”. Altro tema caldo, quello dei controlli. Lepri non mette in discussione e dà anzi “per acquisito” il principio di assegnare al ministero del Lavoro le funzioni di controllo e monitoraggio degli enti del terzo settore (niente Authority, dunque), ma dice a chiare lettere che senza risorse economiche adeguate a tal fine dedicate tutto ciò rischia di “rimanere mera enunciazione di principio”. E propone dunque di assegnare a tal fine “una piccola parte della dotazione prevista” dalla legge. Siccome poi c’è modo e modo di controllare, aggiunge che sarebbe il caso di graduare meglio i meccanismi di controllo insistendo soprattutto sugli enti più grandi e su quelli che hanno finanziamenti pubblici, guardando non alla forma giuridica ma al tipo di azione svolta (non “chi” fa, ma “cosa” fa). E a proposito di chi fa, viene ipotizzato di mettere a disposizione risorse anche per la ristrutturazione di beni pubblici o di beni confiscati dati in gestione a soggetti del terzo settore.


12 maggio 2015

Fra gli altri numerosi punti, Lepri fa riferimento alla necessità di esplicitare l’esclusione dal terzo settore non solo di partiti e sindacati, ma anche degli enti a loro collegati come le fondazioni legate ai partiti o a loro esponenti, e spinge per l’inserimento nel testo di previsioni relative allefondazioni. Parla del “codice del dono” come principio ispiratore, chiede un intervento a favore dei lavoratori del terzo settore, propone misure concrete per facilitare sia la tenuta delRegistro Unico sia la procedura di riconoscimento della personalità giuridica delle associazioni. E sul volontariato, oltre a dichiarare guerra ai “rimborsi spese” e al loro utilizzo improprio, illustra una vera e propria “riorganizzazione dei Centri di servizio per il volontariato”. Osservazioni non marginali ci sono, infine, anche per il servizio civile, il cinque per mille e l’uso della nozione a fini fiscali di “ente non commerciale”. Il cammino è ripreso. Da domani al via la discussione generale in Commissione. (ska)


13 maggio 2015

I nuovi Csv nella riforma del terzo settore: democratici e distanti dalla politica Legge delega di riforma del terzo settore al Senato. Per il relatore Lepri necessaria una riorganizzazione dei Centri di servizio per il volontariato: principio della porta aperta, ruolo di controllo, e guerra aperta ai rimborsi spese impropri. 13 maggio 2015 - 11:19 ROMA – No ai rimborsi spese utilizzati impropriamente, si ad una riorganizzazione dei Centri di servizio per il volontariato che preveda degli standard minimi di servizi e la concessione alle organizzazioni di voucher finalizzati al pagamento dei servizi presso i Centri di servizio. C'è anche questo nella relazione con la quale ha preso il via al Senato la discussione sulla legge delega di riforma del terzo settore. Nel suo documento, il relatore Stefano Lepri (Pd) ha sostenuto la necessità di “introdurre, accanto alla opportuna valorizzazione dei “principi di gratuità, democraticità e partecipazione” e alle tutele dello status di volontario, previsioni normative che evitino l’utilizzo improprio di istituti quali il rimborso spese in accezioni di fatto non coerenti con tali principi”. Quanto ai Centri di servizio del Volontariato, Lepri sostiene che “è forse ragionevole valutare una riorganizzazione che incida sulle attuali criticità”. E immagina una situazione in cui i Csv assumano “una forma giuridica di terzo settore caratterizzata per un assetto democratico, siano liberamente costituiti ed operino, sulla base delle libere scelte delle organizzazioni che scelgono di avvalersi dei servizi offerti, anche su base non territoriale”. A ciò che è già previsto nel testo della Camera, Lepri aggiunge altri elementi, affermando che i criteri di accreditamento debbano comprendere un “numero minimo di soggetti associati”, il “principio della porta aperta” che renda possibile l’ingresso nella compagine associativa e nella governance delle organizzazioni che fruiscono dei servizi, un “insieme di servizi standard che debba comunque essere messo a disposizione delle organizzazioni fruitrici”, la “presenza con proprie articolazioni sul territorio ove si propongono come erogatori di servizi”. Per Lepri devono ancora esserci “criteri democratici per la definizione della governance”, ad esempio escludendo o comunque limitando il voto multiplo degli aderenti sulla base delle dimensioni secondo una misura massima. Ciascuna organizzazione, poi, non potrà associarsi a più di un centro di servizio. Criteri rigidi anche per ciò che riguarda i rapporti fra politica e volontariato, con la previsione della “incompatibilità, in entrata e in uscita, tra i ruoli apicali nei centri servizi e l’assunzione di cariche politiche, definendo un periodo minimo tra la cessazione di un ruolo e l’eventuale assunzione di un ruolo nell’altro ambito”. Ai Csv, secondo Lepri, vanno delegati “compiti di monitoraggio, verifica e controllo rispetto agli enti al di sotto di determinate dimensioni” (a quelle di dimensioni maggiori, nella visione del relatore, provvederanno i controlli del Ministero del Lavoro), e agli organi di controllo vanno attribuite anche le “funzioni di accreditamento dei Centri di servizio nonché di concessione ai fruitori di voucher finalizzati al pagamento dei servizi presso i Centri di servizio accreditati sulla base della libera scelta delle organizzazioni fruitrici”.


13 maggio 2015

In tema di volontariato, è da sottolineare che secondo il relatore sarebbe opportuno fra i principi richiamati in apertura della legge, al comma 1 dell'articolo 1, il “codice del dono come uno dei possibili principi ispiratori dell’azione; o, in alternativa, tale codice potrebbe essere richiamato in un punto ad hoc, a rimarcare come uno degli obiettivi della legge sia quello di sostenere, rafforzare e diffondere orientamenti e organizzazioni ispirati al dono”. Inoltre, da sottolineare c'è, “in una logica di semplificazione e di risparmio di costi e tempi, la possibilità di assegnare la procedura di riconoscimento della personalità giuridica delle associazioni e delle fondazioni ai notai, analogamente a quanto accade per le società di capitali”: una competenza che oggi spetta alle Prefetture per gli enti che operano a livello nazionale, oppure alle Regioni per gli enti che agiscono a livello regionale. Quanto al Registro Unico, il relatore specifica che nel testo “è opportuno suggerire che il previsto Registro unico debba ricomprendere anche enti riconosciuti e enti regolamentati dalle leggi speciali (organizzazioni di volontariato, APS, cooperative sociali) per evitare che l’intento semplificatorio sia vanificato dalla sopravvivenza di registri paralleli”. (ska)


13 maggio 2015

La Riforma del Terzo Settore: apprezzamento per la relazione del Senatore Stefano Lepri Roma 13 maggio 2015 – Dopo la sua approvazione alla Camera, ha preso il via nei giorni scorsi anche al Senato – in Commissione Affari Costituzionali – il dibattito sul DDL delega al Governo per la riforma del Terzo Settore. (Relazione del relatore Sen. Stefano Lepri) “Anpas ha apprezzato la relazione del relatore Lepri che pone all’attenzione della Commissione la possibilità di prevedere per il testo licenziato dalla Camera alcune ulteriori modifiche" commenta il presidente di Anpas Nazionale Fabrizio Pregliasco. "Condividiamo in particolare l'approccio alla riforma del Senatore su temi complessi e sui quali ci stiamo confrontando anche al nostro interno, ma un approfondimento di questo tipo è quello che auspicavamo”.


15 maggio 2015

Pregliasco: «Più impresa per valorizzare il volontariato» Su Vita.it continua il dibattito sulla Riforma. L'intervento del presidente di Anpas: «Nei decreti attuativi occorrerà rafforzare la possibilità per il Volontariato nel Terzo Settore di svolgere attività commerciali e di impresa strumentali alla realizzazione dei propri scopi istituzionali». In Italia ci sono circa 5 milioni di volontari: quali sono le condizioni - e quindi anche quale quadro normativo per far crescere il Volontariato nei prossimi anni? Questa è la domanda su cui si sta interrogando Anpas sull'ultima formulazione del DDL sulla riforma del Terzo Settore. Anpas ha elaborato un documento dove ribadisce la necessità di un riconoscimento e di una valorizzazione del volontariato, nucleo originale ed innovativo dell’intero Terzo Settore. Oggi contiamo 880 pubbliche assistenze, 90mila volontari formati. Non sono tante le realtà che superano il secolo di vita e di attività, che sono state capaci di superare due guerre, una dittatura, lotte sociali e terrorismo e che, ciò nonostante, sono state capaci di adattarsi anche al contesto normativo in continuo cambiamento e che ne ha regolato le attività e la vita associativa. Anpas in questo percorso, che ha chiamato Anpas 2020, sta cercando di formulare quelle che sono le sue proposte nel percorso di approvazione del Disegno di Legge e dei conseguenti Decreti Legislativi attuativi e contemporaneamente, al suo interno, si sta attrezzando per cogliere al meglio le nuove opportunità della riforma per rispondere sempre in modo adeguato alle necessità delle comunità e del Paese. Condivido quanto sottolineato dal sociologo Magatti su Vita.it (vedi nelle correlate) all’indomani l’autoconvocazione del volontariato dello scorso 9 maggio a Roma quando afferma che il volontariato è stata una spinta sociale storica visibile, che ha messo in moto molte energie, uno dei motori centrali, non l’unico, che ha portato poi alla nascita del Terzo Settore. Ora però, riprendendo le parole del sociologo “bisogna essere consapevoli che siamo in un altro mondo; bisogna cercare di capire come, dove, con che forma e in che contesti può nascere un altro ciclo, che sarà diverso dal precedente”.

Le nostre proposte? Anpas propone un welfare universalista e partecipato dove comunità locali e cittadini siano soggetti attivi, co-decisori e quindi attori delle scelte e delle azioni politiche conseguenti. Un welfare non riparatorio, ma di promozione e sviluppo. È necessario difendere il ruolo attivo dei cittadini in un welfare universalista e partecipato che promuova e difenda un’idea benessere che non può limitarsi solo agli aspetti sanitari e sociali, per quanto importanti, ma che sappia guardare agli stili di vita e alla sostenibilità ambientale. I punti chiave della proposta : • Consentire la permanenza e la valorizzazione dell’azione volontaria nelle forme organizzative previste dalla Riforma del Terzo Settore (art. 2 comma 1). Occorre difendere il carattere nazionale nella definizione dei principi fondamentali e dei caratteri del volontariato, non attribuibili alle legislazioni regionali, al fine di evitare differenze nella possibilità di esercitare il diritto costituzionale a svolgere l’azione volontaria in maniera uguale in tutto il territorio nazionale (vedi sentenza della Corte Costituzionale n.75 del 28/02/1992).


15 maggio 2015

• Rafforzare il passaggio da attività commerciale marginale a strumentale (art. 4, primo comma, punto e) Nei decreti attuativi occorrerà rafforzare la possibilità per il Volontariato nel Terzo Settore di svolgere attività commerciali e di impresa strumentali alla realizzazione dei propri scopi istituzionali. • Garantire alle organizzazioni di volontariato di conservare le proprie caratteristiche peculiari anche per quelle realtà che sceglieranno la qualifica di impresa sociale per svolgere attività complesse, permettendo loro di continuare ad avvalersi del contributo dei volontari. • Soccorso e trasporto sanitario devono essere considerate attività di interesse generale, fattibili con il volontariato, con finalità solidaristiche . • Riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite dei volontari (art 5, comma 1, lettera c) attraverso la validazione da parte delle reti di secondo livello di Volontariat. • Valorizzazione del ruolo di servizio dei CSV, mantenendone la governance al Volontariato (art. 5 comma 1 lettera e). • Rendere il Servizio Civile Universale (art. 8), cioè accessibile a tutti i giovani che chiedono di parteciparvi, mantenendone un’identità costituzionale fondata sulla “difesa della Patria in modo non armato e non violento” e non dalla formulazione attuale incentrata invece sui “valori fondanti della Patria”.


16 maggio 2015

Riforma del terzo settore, gli investimenti sociali sono trendy ma non è priorità Pubblichiamo l'intervento di Vincenzo Manes, consigliere pro bono del presidente del Consiglio per il terzo settore nonché presidente di fondazione Dynamo Camp e del gruppo Intek, sul tema dei contributi privati alle organizzazioni senza fini di lucro. A parte gli addetti ai lavori pochi sanno che in Senato sta per essere approvata una legge delega i cui effetti potrebbero essere di grande rilievo. Riguarda il terzo settore, ovvero tutte quelle organizzazioni tramite cui la nostra società si attiva per risolvere problemi di interesse pubblico senza dipendere necessariamente dallo Stato. E senza mettere al primo posto una motivazione economica. Non è un settore marginale e non si occupa solo di situazioni di marginalità, a dispetto di ciò che si è abituati a pensare. I numeri sono rilevanti: 301.191 organizzazioni e quasi un milione di addetti. Considerando solo le cosiddette imprese sociali di fatto, cioè le organizzazioni del terzo settore in cui l’attività imprenditoriale è prevalente, gli occupati sono oltre 700.000 e gli utenti serviti circa 6 milioni. In poche parole, ogni giorno in Italia c’è una parte consistente del paese che si rivolge al terzo settore per soddisfare un bisogno disalute, di assistenza, di cura dell’ambiente e del patrimonio culturale, oltre ad altri bisogni sociali in continua crescita. Domande alle quali il settore pubblico non riesce più a rispondere da solo, ma per le quali anche la logica del profitto non funziona. Motivo che spiega perché il terzo settore cresce. Con una tendenza diffusa in tutti i paesi più avanzati, che nasce dalle difficoltà dei bilanci pubblici, dagli effetti indesiderati della privatizzazione dei servizi pubblici, ma soprattutto dalla richiesta che sale dal basso di dare spazio a nuove forme di assunzione di responsabilità da parte della società civile. Il punto, a mio avviso, è che il potenziale da sviluppare è ancora più grande. Per questo è importante che la legge-delega sia chiara negli indirizzi ed efficace nei meccanismi. Il suo risultato si misurerà sulla capacità di aumentare il ruolo della responsabilità attiva dei cittadini e delle organizzazioni sociali nella ricerca di soluzioni a problemi pubblici. Non per sostituirsi allo Stato, ma per mobilitare più energie e quindi aumentare l’efficacia delle risposte. In concreto questo significa liberare il potenziale del terzo settore, amplificandone il raggio d’azione e aumentando significativamente le risorse messe in gioco. Risorse – a scanso di equivoci – che non bisogna aspettarsi dalle esauste casse dello Stato ma che vanno reperite mettendo in movimento a fini sociali una parte della ingente ricchezza privata presente nel paese. Fugando però una volta per tutte il sospetto – alimentato anche di recente sulla stampa da un dibattito strumentale – che l’intenzione retrostante alla nuova legge consista nell’aprire al capitale le praterie del settore sociale, perché possa lanciarsi nelle sue scorribande speculative. Perciò è importante eliminare ogni ambiguità, anche dalla legge-delega. Sciogliendo alcuni nodi che la discussione degli scorsi mesi non è riuscita a risolvere, come emerge da un testo che risente di un’impostazione non del tutto coerente. Due in particolare sono gli interventi necessari: da un lato va superata l’idea, tautologica e quindi inutile, che l’impresa sociale sia quella che produce un impatto sociale, dall’altro occorre smetterla di ricercare soluzioni che permettano alle imprese sociali di distribuire utili in una misura che le renda appetitose per gli investitori.


16 maggio 2015

Mi spiego, per quanto riguarda il primo punto. Estendere il concetto di impresa sociale fino a sbiadirne il significato è una tentazione che va contrastata. Su questo la legge-delega farebbe bene a non lasciare nessun margine al dubbio. Dire che le imprese sono sociali in quanto producono un impatto sociale è una colossale banalità. Messa così, tutte le imprese sono sociali: Ryanair sarebbe uno dei campioni del settore, visto che i voli low cost hanno trasformato in profondità le nostre società. E altrettanto si potrebbe dire di Google, perché mettendo a disposizione gratuitamente il suo motore di ricerca consegna nelle mani di ognuno uno straordinario strumento di empowerment. Così come si può parlare di potente impatto sociale anche in relazione ad ogni nuovofarmaco che l’industria immette sul mercato, se fornisce una soluzione a malattie di grande diffusione sociale. In altre parole, se mettiamo l’accento sull’impatto non si va molto lontano perché la definizione è talmente generica da risultare inutilizzabile. Quasi tutte le imprese – salvo forse l’industria dellearmi, il racket e il sequestro di persona – possono a buon diritto reclamare che il loro impatto è sociale e al tempo stesso positivo. Per questo ogni volta che sento parlare di impact investing mi viene da reagire come il rag. Fantozzi all’ennesima replica della Corazzata Potemkim: il fatto che sia trendy, che venga dalla City e che vada di moda in qualche salotto non significa che sia la priorità su cui concentrarsi. Evitiamo il conformismo di formule che suonano sexy e prendiamo piuttosto un’altra strada, più semplice e cristallina. Per qualificare l’impresa come sociale, oltre alla finalità, conta il modo in cui sono organizzate, gestite, governate, e a cosa destinano i propri profitti. Rovesciando l’approccio della finanza tradizionale, da cui l’impact investing non si allontana, è sociale l’impresa che produce benefici sociali, e quindi in cui il ritorno economico è funzionale a questa missione. L’obiettivo dell’impresa sociale non è quindi massimizzare il profitto ma massimizzare il ritorno sociale. Di conseguenza, per venire al secondo punto, credo che la questione di remunerare il capitale di chi investe nelle imprese sociali sia un problema mal posto. Intanto perché chi cerca guadagni investendo nel sociale ha già a disposizione strumenti più garantiti e remunerativi, come ad esempio i bond sociali. Mentre l’accoglienza non esaltante che gli investitori italiani hanno riservato al venture capital dovrebbe rendere molto prudenti nel riproporre questo strumento nelle forme del social venture. In una logica di ritorno dell’investimento, non credo che fuori dalla porta delle imprese sociali italiane ci sarebbe la fila di investitori desiderosi di mettere a disposizione il proprio denaro. Ecco perché – ed è il punto centrale della questione – secondo me occorre che nel rapporto con il terzo settore si abbandoni la logica del ritorno dell’investimento. Perciò, per dirla in modo ancora più esplicito, ritengo che in tema di distribuzione degli utili la legge-delega non dovrebbe scostarsi da quanto già previsto per le cooperative sociali, limitandosi ad ampliare quel meccanismo a tutte le organizzazioni dell’economia sociale. Gli utili vanno interamente investiti nell’impresa sociale stessa ovvero redistribuiti in misura minima, con percentuali che non lascino dubbi riguardo al fatto che l’obiettivo non è il ritorno finanziario. Basterebbe infatti il sospetto che gli investimenti nel sociale possano essere un’altra forma che la finanza sfrutta a vantaggio di pochi per decretarne il fallimento. Su questo credo che il testo della legge-delega faccia bene a proporre il modello previsto per la cooperazione sociale, così che sia chiara l’estraneità al terzo settore di ogni logica speculativa ma al tempo stesso vi sia apertura al contributo che la cultura dell’impresa for profit può portare in termini di managerialità e attenzione per la sostenibilità economica. Il terzo settore non va visto come una nuova area alla quale estendere le aspettative di rendimento di un’economia finanziarizzata. Deve avvenire invece l’opposto: le risorse finanziarie vanno portate dentro il terzo settore per incrementare l’impatto delle sue organizzazioni, per metterle in condizione di essere più incisive rispetto alle grandi questioni sociali.


16 maggio 2015

Le risorse finanziarie vanno messe a disposizione dell’economia sociale e non viceversa. Servono per sostenere progetti di rilievo nazionale, per creare più occupazione, per affrontare temi sempre più complessi. E il capitale investito nel sociale deve trovare il suo tornaconto non nella bottom line dei bilanci ma nel miglioramento del clima sociale e del contesto pubblico da cui dipende la stessa prosperità delle imprese. Da imprenditore, e da imprenditore anche sociale, il problema che oggi vedo più urgente è quello di portare risorse private ad un settore che ha un grande potenziale di crescita. Risorse che però vengono messe a disposizione senza altro interesse che quello per lo sviluppo sociale. Senza aspettarsi in cambio nient’altro che un contributo alla crescita di questo paese. Rendendosi conto che anche questo è un modo per ricavare un beneficio dal proprio investimento, dove però più che i dividendi del capitale conta il contributo a rendere più accogliente la società in cui viviamo e lavoriamo. di Vincenzo Manes, consigliere pro bono del presidente del Consiglio per il terzo settore nonché presidente di fondazione Dynamo Camp e del gruppo Intek


19 maggio 2015

La prospettiva della «quarta via» Di Paolo Venturi C’è addirittura una quarta via per l’impresa sociale in Italia? E' l'interrogativo che emerge scorrendo il testo della delega al governo per la riforma del Terzo settore che, nel suo articolato, prevede anche il riordino dell’istituto giuridico relativo a quelle imprese che perseguono obiettivi di “interesse generale”. La terza via è quella che colloca l’impresa sociale nel bacino delle istituzioni non profit - o, significativamente, Terzo settore - che sviluppano, soprattutto grazie alla cooperazione sociale, un modello in grado di produrre “in via stabile e continuativa” beni di “utilità sociale” in alcune nicchie del welfare. La quarta via, invece, è un’opzione di sviluppo basata sulla ricerca di fertilizzazione incrociata tra attori non profit e imprese di capitali, dando vita a piattaforme cooperative da cui scaturiscono nuove imprese ibride. Non la separatezza tra organizzazioni che alimentano circuiti di redistribuzione come imprese di capitali che destinano parte del surplus a fondazioni che finanziano soggetti non profit e pubbliche amministrazioni che allocano risorse per beni di interesse collettivo come stazioni appaltanti. Si tratta piuttosto di sistemi economici che individuano come elemento costitutivo il valore sociale, soprattutto su scala locale. La prospettiva della «quarta via» Paolo Venturi e Flaviano Zandonai, Sole 24 Ore, 18 maggio 2015


19 maggio 2015

Il Terzo Settore trova il suo ancoraggio nella sussidiarietà e nell’interesse generale La riforma del Terzo Settore attua finalmente l’art. 118 ultimo comma anche sul piano legislativo Di Gregorio Arena Il disegno di legge delega sulla riforma del Terzo Settore deve ancora completare il suo iter parlamentare, ma una cosa è già chiara. Quando la riforma sarà approvata, essa rappresenterà quella legge attuativa del principio costituzionale di sussidiarietà che finora mancava per completare il sistema delle fonti in questa materia. Dal 2001 al 2014 il principio di sussidiarietà è stato presente nel nostro ordinamento unicamente attraverso l’art. 118, ultimo comma della Costituzione. Da quel momento e fino all’anno scorso il principio di sussidiarietà è stato inconsapevolmente applicato da migliaia di cittadini, come dimostrano i casi pubblicati nel nostro sito, ma è stato invece ignorato sul piano istituzionale, perché la carenza di fonti normative diverse dalla Costituzione ne rendeva assai difficile l’applicazione da parte delle amministrazioni pubbliche, in particolare di quelle locali. Finalmente una legge sulla sussidiarietà Labsus ha cercato di supplire a questa carenza redigendo insieme con il comune di Bologna ilRegolamento sull’amministrazione condivisa, che dal febbraio 2014 ad oggi è stato adottato da 40 comuni, mentre altri 70 lo stanno adottando. Ma, per quanto un regolamento comunale possa essere un ottimo strumento sul piano operativo, una legge ovviamente è un’altra cosa, tanto più una legge che ambisce a disciplinare un intero, importantissimo settore della nostra società come quella sul Terzo Settore ora in discussione. E gli effetti dal punto di vista dell’attuazione del principio di sussidiarietà saranno ancora più significativi quando saranno emanati i decreti delegati. La riforma del Terzo Settore può dunque essere letta anche come uno dei modi con cui lo Stato “favorisce”, come dispone l’art. 118, ultimo comma, le “autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale”, creando quegli strumenti legislativi che finora sono mancati. Ciò non soltanto faciliterà l’applicazione del Regolamento sull’amministrazione condivisa, che da un certo momento in poi potrà fare riferimento sia alla Costituzione, sia ad una o più leggi, ma produrrà alcune conseguenze importanti dal punto di vista della individuazione dei soggetti che compongono il mondo del Terzo Settore. Gli incerti confini del Terzo Settore Le discussioni che a volte si ascoltano nei convegni su quali siano i criteri per individuare i soggetti che fanno parte del Terzo Settore e quelli che ne sono fuori ricordano molto le discussioni fra i giuristi del secolo scorso sui criteri per individuare gli enti pubblici. Comunque, per quanto criteri si potessero affastellare, qualche ente rimaneva sempre fuori. La verità è che il mondo del Terzo Settore (così come a suo tempo quello degli enti pubblici) è una galassia così variegata, così frastagliata, così complicata da rendere molto difficile creare una griglia di criteri distintivi capace di contenere al suo interno tutti i soggetti del Terzo Settore italiano. Ma adesso il legislatore nel disegno di legge offre una definizione del Terzo Settore che fa perno su un criterio cruciale, il perseguimento dell’interesse generale:


19 maggio 2015

“Per Terzo Settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità” (art. 1, comma 1°). Un’endiadi per identificare il Terzo Settore Il Terzo Settore è un “complesso” di “enti”. Ente vuol dire letteralmente “ciò che è”, quindi il Terzo Settore è un complesso di entità, di soggetti che hanno tre caratteristiche fondamentali: sono soggetti privati, perseguono finalità civiche e solidaristiche e lo fanno senza scopo di lucro. Le tre caratteristiche sono tutte e tre essenziali e l’una rinvia all’altra, per cui se ne manca anche soltanto una l’ente non appartiene al Terzo Settore. Innanzitutto, la precisazione che i soggetti del Terzo Settore sono privati è importante perché le finalità che essi perseguono sono più simili agli obiettivi assegnati dalle leggi alle pubbliche amministrazioni che non a quello che perseguono i soggetti privati che operano sul mercato, cioè il profitto nell’ambito di un sistema fondato sulla concorrenza. Detto in altri termini, gli enti del Terzo Settore sono soggetti privati particolari, che operano per finalità molto diverse da quelle degli altri soggetti privati, cioè per “finalità civiche e solidaristiche”. L’espressione “finalità civiche e solidaristiche” è un’endiadi, cioè una figura retorica che si usa per esprimere una cosa sola con due termini. In questo caso i due termini rinviano a due concetti distinti ma complementari, che insieme danno appunto vita ad un concetto unico, quello che identifica la finalità complessiva del Terzo Settore. Finalità civiche e solidaristiche Il primo termine, finalità civiche, fa riferimento a ciò che è proprio del buon cittadino. Si parla infatti di senso civico, di civismo, di educazione civica, di benemerenze civiche per identificare comportamenti e sentimenti positivi, che identificano coloro che stanno nella comunità in maniera rispettosa delle regole e delle esigenze degli altri. Sotto questo profilo, i volontari sono sicuramente buoni cittadini, dotati di senso civico in abbondanza, quindi affermare che il Terzo Settore persegue finalità civiche è coerente con ciò che i volontari sono e fanno. Il secondo termine dell’endiadi, finalità solidaristiche, è fondamentale per integrare e completare il primo termine dal punto di vista dell’appartenenza al Terzo Settore, perché si può essere buoni cittadini, dotati di molto senso civico, senza necessariamente essere anche solidali. Le finalità solidaristiche sono quelle che distinguono i volontari (e dunque il Terzo Settore) dagli altri cittadini, perché se c’è un tratto distintivo del volontariato questo è appunto la solidarietà verso i membri della comunità in condizioni di difficoltà. Finalità di interesse generale Gli enti che compongono il Terzo Settore sono dunque soggetti privati dotati di senso civico e di spirito di solidarietà, due caratteristiche entrambe non egoistiche. Tant’è vero (e questa è la terza caratteristica fondamentale che secondo il legislatore identifica il Terzo Settore) che questi soggetti privati agiscono senza scopo di lucro. Si può quindi dire che il Terzo Settore è un complesso di soggetti privati costituiti in maniera specifica per perseguire senza scopo di lucro finalità civiche e solidaristiche che, in quanto non egoistiche,


19 maggio 2015

sono di interesse generale. Detto in altri termini, il Terzo Settore è composto da soggetti privati che, a differenza degli altri soggetti privati, perseguono l’interesse generale, non il proprio interesse, inteso come interesse sia delle associazioni del Terzo Settore sia delle persone che ne fanno a vario titolo parte. Non sempre purtroppo questo è vero, perché per una legge “naturale” delle organizzazioni qualunque struttura, grande o piccola, prima o poi tende a diventare autoreferenziale, cioè a dare la priorità agli interessi di chi opera al suo interno rispetto a quelli di coloro i cui interessi l’organizzazione dovrebbe tutelare. Vale per i ministeri come per gli ordini religiosi, ma vale anche per le organizzazioni del Terzo Settore. Cittadini attivi strutturali L’ancoraggio all’interesse generale diventa quindi ancora più importante per evitare che i soggetti del Terzo Settore perdano di vista il motivo per cui esistono. E infatti forse non a caso il legislatore ribadisce questo ancoraggio nella seconda parte della definizione, dove afferma che tali soggetti “… in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità”. Dire che i soggetti del Terzo Settore attuano il principio di sussidiarietà promuovendo e realizzando attività di interesse generale è come dire che questi soggetti sono cittadini attivi che applicano l’art. 118 ultimo comma della Costituzione. E poiché lo fanno non in forma temporanea o contingente, come potrebbe farlo un comitato informale di cittadini in un quartiere, ma “in coerenza con i propri statuti”, quindi in maniera strutturale, si potrebbe concludere dicendo che attuare la sussidiarietà mediante attività di interesse generale è la missione dei soggetti che compongono il Terzo Settore. Si conferma l’assetto tripolare Questa conclusione porta a due conseguenze rilevanti. In primo luogo, è un’ulteriore conferma di quanto dicevamo in un editoriale nel giugno del 2014 a proposito del possibile passaggio della società italiana dalla tradizionale bipolarità Stato-mercato (interesse pubblico-interesse privato) ad un assetto tripolare, in cui oltre ai soggetti portatori di interessi pubblici e di interessi privati entrano in gioco anche i soggetti portatori dell’interesse generale, cioè, nella nostra interpretazione dell’art. 1 della riforma, i soggetti che compongono il Terzo Settore. La seconda conseguenza riguarda le attività di cura condivisa dei beni comuni, attualmente disciplinate solo dal Regolamento che Labsus sta promuovendo da mesi. Se la missione dei soggetti che compongono il Terzo Settore consiste nell’attuare la sussidiarietà mediante attività di interesse generale, si può ragionevolmente sostenere che fra tali attività rientrano, oltre a quelle di cura delle persone in condizioni di disagio tradizionalmente svolte dal Terzo Settore, anche quelle di cura dei beni comuni materiali e immateriali. Se questo è vero, la legge di riforma del Terzo Settore e i relativi decreti attuativi potranno nel sistema delle fonti porsi “a monte” del Regolamento, fornendo una ulteriore legittimazione, questa volta sul piano legislativo, al modello dell’amministrazione condivisa. Cosa manca per la cura dei beni comuni Per rafforzare tale legittimazione sarebbe però necessario integrare l’art. 5, comma 1° del disegno di legge delega, riguardante le attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso, con un riferimento esplicito alle attività di cura dei beni comuni. Questo articolo contiene infatti un elenco dettagliato di principi e criteri direttivi per il riordino e la revisione organica della disciplina vigente sul Terzo Settore. Fra questi,


19 maggio 2015

sarebbe opportuno introdurre un ulteriore principio che preveda la promozione nell’ambito del Terzo Settore delle attività di cura condivisa dei beni comuni materiali e immateriali, in quanto beni delle comunità locali di cui esse possono godere ma di cui sono responsabili nei confronti del resto dell’umanità, presente e futura.


20 maggio 2015

Luci e ombre sulla riforma del Terzo settore Silvia Zambrini, Vice Presidente FAVO Nella attuale situazione una riforma è non solo auspicabile ma sicuramente necessaria. Il decreto legislativo in approvazione non è dunque cosa da poco. Il problema sorge quando la Riforma rischia di minare alla base l’identità e l’essenza del volontariato che è la gratuità. Va chiarito, ad esempio, il ruolo del capitale privato nel settore sociale. 20 MAG - Dopo la sua approvazione alla Camera ha preso il via anche al Senato, in Commissione atti Costituzionali, il dibattito sul DDL, Delega al Governo per la Riforma del Terzo Settore. La Legge Delega riguarda la riforma del Terzo Settore, dell’Impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale. Nella attuale situazione una riforma è non solo auspicabile ma sicuramente necessaria e molte sono le istanze poste dal mondo del volontariato, prima fra tutte l’obiettivo di una chiara identificazione e la semplificazione della operatività. Il mondo del no-Profit si è fortemente ampliato in questi anni, soprattutto nel Nord e nel Centro Italia, fino a contare oltre 300.000 Organizzazioni, con 4,8 milioni di volontari e circa 1 milione di lavoratori dipendenti o esterni. Il decreto legislativo in approvazione non è dunque cosa da poco. Infatti regolamenta il lavoro di un settore non marginale, impegnato nella soluzione di problemi di interesse pubblico, ma senza motivazioni economiche. I bisogni espressi dai cittadini riguardano la salute, l’assistenza, la cura dell’ambiente e del patrimonio culturale. Dunque la società civile assume responsabilità non assunte, o precariamente gestite, dal settore pubblico. E che vanno interpretate con una nuova cultura umanistica. È vero che il Paese ha bisogno di radicali cambiamenti innovativi ed è assolutamente vero che il variegato mondo del volontariato ha bisogno di entrare in una fase di modernizzazione per affrontare un nuovo ciclo operativo. E fin qui tutti d’accordo. Il problema sorge quando la Riforma rischia di minare alla base l’identità e l’essenza del volontariato che è la gratuità, non solo come totale assenza di lucro ma come capacità del ”dono” di sé verso l’altro bisognoso o verso specifici problemi ambientali e di mancata crescita culturale. La Legge Delega dovrà dunque essere chiara per ottenere una maggiore e diversa potenzialità delle forze impegnate, ma tenendo conto delle istanze espresse negli emendamenti proposti dal volontariato e dalla promozione sociale, anche se con voce e accenti diversi. Va chiarito ad esempio il ruolo del capitale privato nel settore sociale, ricchezza che va certamente chiamata in causa, vista la scarsa potenzialità delle risorse dello Stato, ma eliminando ogni ambiguità. Infatti non si possono considerare sociali le imprese solo perché producono risultati sociali, mentre sicuramente per impresa sociale si intende quella che realizza il massimo utile cambiamento sociale. Nelle organizzazioni di volontariato non esiste ritorno finanziario o distribuzione degli utili o attività rivolte esclusivamente ai soci. Come si può allora accettare una completa uniforme assimilazione con le Associazioni di Promozione Sociale che, per organizzazione, contenuti e obiettivi si diversificano nettamente dalle O.d.V.? Ciò non vuol dire che questa diversa e ribadita identità non possa essere considerata nella Legge Delega con pari opportunità, per esempio sul piano fiscale e sul riconoscimento della attività da parte dello Stato. D’altra parte è anche vero che, proprio perché questo riconoscimento sia valido e garantito, tutto il mondo


20 maggio 2015

afferente al Terzo Settore deve assoggettarsi a una fase di “pulitura” nel senso che le varie O.d.V., le OPS e lo stesso settore della Cooperazione sociale devono compiere uno sforzo di rinnovamento per poter entrare a buon diritto ma con le necessarie competenze e managerialità in un sistema pubblico-privato sociale capace di affrontare le grandi questioni morali e sociali del Paese in un’ottica rinnovata. Un altro obiettivo condiviso dallo stesso mondo del volontariato è la possibilità di un monitoraggio e controllo delle organizzazioni per evitare abusi e falsificazioni che umiliano gli onesti operatori del settore. Esaminando gli articoli del testo riteniamo positivo l’art. 1 che definisce il Terzo Settore con particolare riferimento all’assenza dei fini di lucro, con un richiamo alla “sussidiarietà” orizzontale così come formulato dall’art.118 della Costituzione. Altrettanto positivo, se sarà attuato con urgenza, è l’art.2 dove al comma d) si parla di semplificare la normativa vigente, croce continua di tutte le O.d.V., specialmente le più piccole, estremamente meritevoli sul territorio, ma carenti di risorse umane ed economiche. Da esaminare con attenzione invece l’art. 4, alla lettera i) che prevede la riorganizzazione del sistema di registrazione degli Enti attraverso un Registro unico del Terzo Settore, materia variamente regolata dalle Regioni, con una diversità di previsione a livello nazionale. Come già accennato, pone notevoli dubbi l’attuazione dell’art. 5 che prevede l’ “armonizzazione” delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato e di promozione sociale (lett.a). Ricordiamo che la definizione di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui si fa parte. Ma è anche vero che tutte le Onlus costituiscono una categoria rilevante ai soli fini fiscali, alle quali è destinato un regime tributario di favore in considerazione delle finalità di solidarietà sociale perseguita. Assolutamente positivo il giudizio sull’articolo che riguarda la promozione della cultura del volontariato tra i giovani, anche attraverso apposite iniziative da svolgere nella scuola (lett. b e c), come pure il riconoscimento delle reti associative di secondo livello (lett. d). Ma su questo obiettivo occorrerà un serio monitoraggio a causa dell’attuale insoddisfacente livello didattico-educativo negli istituti scolastici dove fino ad ora solo iniziative volontaristiche hanno proposto e gestito progetti di educazione alla solidarietà. Poiché Volontari non si nasce ma si diventa. Infine molta attenzione andrà posta all’articolo relativo alla revisione del sistema dei Centri di Servizio che si dovranno costituire nelle forme previste per il Terzo settore e acquisire la Personalità Giuridica (lett. e). Esiste, a questo proposito, una seria situazione di disparità nelle varie Regioni in alcune delle quali non risulta attuata completamente neanche la vecchia Legge 266/91. Questa e altre disparità e inadempienze tuttora evidenti in un tutto il Paese renderanno probabilmente difficile l’applicazione della Legge Delega di Riforma del Terzo Settore, nella quale dovranno evitarsi situazioni di esclusione, specialmente a carico delle piccole Associazioni di sola consistenza locale, e ulteriori ambiguità di interpretazione in contrasto all’obiettivo stesso della Legge.


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