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cultura

pagina 20 • 4 febbraio 2009

Mostre. Fino al 1 marzo, Torino celebra le opere d’arte del noto collezionista nell’esposizione “Dalla preistoria al futuro”

L’arte secondo Bischofberger di Stefano Bianchi

Alcune immagini delle opere collezionate da Bischofberger ed esposte, fino al 1 marzo, alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino. La mostra “Dalla preistoria al futuro”, propone 164 pezzi tra cui un dipinto dell’ottocentesco Bartholomäus Lämmler e un’ascia preistorica, da lui considerata la più antica forma estetica esistente

TORINO. Mucche svizzere pascolano in compagnia dei monti, bucolicamente delineati sullo sfondo. In fila indiana, riempiono l’Alpe con corteo alpestre, il dipinto dell’ottocentesco Bartholomäus Lämmler, padre della pittura dell’Appenzell. È il quadro preferito di Bruno Bischofberger, gallerista col fiuto per il “masterpiece”che la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino omaggia fino all’1 marzo con la mostra Dalla preistoria al futuro. Capolavori dalla collezione Bischofberger (catalogo Electa, 45 euro). Dal grande elvetico, classe 1940, che nel ’63 (ancora studente) inaugura la galleria d’arte a Zurigo presentando la sua collezione di Art Nouveau; nell’83 espone i Children’s Paintings di Andy Warhol appendendoli strategicamente ad altezza bimbo e l’anno successivo s’inventa le Collaborations fra Warhol, il graffitista Jean-Michel Basquiat e il transavanguardista Francesco Clemente (a proposito: ammirate la fondamentale Alba’s Breakfast), ci saremmo aspettati lodi per ben altri pezzi da novanta. Ad esempio, per quella ceramica dipinta da Lucio Fontana alla fine degli anni Cinquanta che da sola giustificherebbe qualunque collezione

coi fiocchi. Oppure, piacciano o meno, per i piccoli squali immersi nella formaldeide di Two Similar Swimming Forms in Endless Motion di Damien Hirst. E invece, scegliendo proprio quel dipinto “naïf”, Bischofberger ha voluto ribadire l’orgoglio delle proprie radici e ricordare suo padre, nato nell’Appenzell, scrupoloso collezionista d’arte sacra medievale.

gno. E poi, via via, esplorando antiquari sempre più prestigiosi. In realtà, il gusto proibito del “tarlo collezionistico” l’aveva sperimentato ben prima, a tre anni, raccogliendo francobolli postali, biglietti della linea tramviaria e piantine del collegio. Il tutto, pressato e ordinato in una serie di album. Scopriamo, allora, che il “talent scout”di Julian Schnabel, Fran-

Tra i 164 pezzi esposti, un dipinto dell’ottocentesco Bartholomäus Lämmler e un’ascia preistorica, da lui considerata la più antica forma estetica esistente Quelle mucche, quei contadini e quelle vette (con l’aggiunta delle pitture su vetro di Sandl, in Austria, che ispirarono Vasilij Kandinskij e Franz Marc) sono il sorprendente filo conduttore delle 164 opere d’arte popolare, moderna e contemporanea, nonché del design, della fotografia e dell’archeologia, raccolte in più di quarant’anni d’appassionate ricerche e ora proposte da Magnus Bischofberger, il più giovane dei suoi quattro figli.

Una piccola ma significativa parte del patrimonio che il mercante e storico dell’arte comincia ad assemblare quindicenne, girovagando da una baita all’altra, dove scova piccoli tesori folk come una mucca-giocattolo intagliata nel le-

cesco Clemente, Miquel Barcelò, Damien Hirst ed Enzo Cucchi ha un debole per l’archeologia (in mostra c’è un’ascia preistorica, da lui considerata la più antica forma estetica esistente). Che ama circondarsi dall’interior design maiuscolo: quello, per intenderci, che va dal mobile Correalist progettato nel ’42 da Friedrich Kiesler per la galleria newyorkese Art of this Century di Peggy Guggenheim, all’armadio di Giò Ponti e Piero

Fornasetti (’51); dall’accoppiata poltrona + tavolino firmati Jean Prouvé & Jacques André (’37), all’armadio primi Novecento di Adolf Loos. Che predilige i colpi d’occhio fotografici di Man Ray, Irving Penn e Richard Avedon, con particolare predilezione per gli scatti che “raccontano” l’evolversi della moda: vedi La donna con di cappello Dior e Martini (Irving Penn, ’52) e Charneaux Caslis (Man Ray, ’30), che accosta con audacia la Venere di Milo a un busto col reggiseno. Questo tripudio di preistorico e moderno, dimostra che collezionisti si nasce e non si diventa: «Il mio sguardo è capace di posarsi tanto sulla pittura dei valligiani dell’Ottocento, o sulle forme minimali delle asce preistoriche, quanto sul dipingere pop o postmoderno di un artista della metropoli contemporanea. O ancora, sul linguaggio provocatorio che regredisce ai

segni dell’infanzia. Nato, però, in un contesto evolutivo per lingua e tecnica».

Parola dell’instancabile Bruno, che nel ’65 organizza in galleria la prima collettiva d’arte Pop americana mettendo uno accanto all’altro Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, Jim Dine, Tom Wesselman e Claes Oldenburg («Riuscii a vendere solo una serigrafia di Lichtenstein. Ad acquistarla per una cifra irrisoria fu Max Bill, animatore dell’astrattismo concreto. All’epoca, si pensava che la Pop Art fosse una faccenda da night club»); nel ’66 presenta la prima personale di Gerhard Richter al di fuori della Germania; poi dà lustro all’arte concettuale di Sol Lewitt, Dan Flavin, Joseph Kosuth e Bruce Nauman; sottolinea il genio creativo di Jean Tinguely, Daniel Spoerri, Yves Klein… Fra una mostra e l’altra, Bruno Bischofberger ha avuto tempo e modo di raccogliere tutto ciò che è bello (e materico, e artigianale) con l’aiuto della moglie Christina Clifton. Che è stata (ed è) complice d’incontri con artisti eccentrici, innumerevoli visite ai musei e (naturalmente) di questa sbalorditiva Wunderkammer.


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