Corriere della piana - n.44

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Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro - Nuova serie, n° 44, Anno 2016 - “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Aut: ATSUD/CZ/518 val. dal 13/10/15”

In regalo SPORT MAGAZINE (24 pagine)

Agostino Pantano ASSOLUZIONE !

Rosarno Alta velocità

Gioia Tauro La strage dimenticata

Molochio Ricordata Maddalena Del Re

Polistena Io non ho paura

Lorenzo Kruger Artista sardonico


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Corriere della Piana del 25 Luglio 2016

sommario

Buona fortuna Muna

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uella che vi voglio raccontare è una storia che mi è capitata di vivere in prima persona per alcuni giorni, ma della quale purtroppo non conosco la fine. Nella prima decade di Giugno ultimo scorso, per problemi di salute sono stata ricoverata nel reparto di medicina dell’ospedale di Polistena “S. Maria degli Ungheresi”. Niente da eccepire: medici e personale para-medico professionali e gentili, attenti alle esigenze dei pazienti. Nella stanza dove sono stata ricoverata, ho trovato una ragazza della Somalia, giovanissima appena sbarcata da uno di quei tristemente noti barconi, con una brutta polmonite contratta durante il viaggio. A primo acchito non ho nutrito molta simpatia verso la mia compagna di stanza, la penso sporca, piena di malattie infettive… ma è bastata un poco di convivenza forzata per capire che i miei pregiudizi fossero senza fondamento. Muna, così si

Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi Hanno collaborato a questo numero: Salvatore Larocca, Giovanni Garreffa, Caterina Sorbara, Adamo De Ducy, Gianluca Iovine, Vincenzo Vaticano, Gaetano Mamone, Marinella Gioffrè, Lucia Treccasi, Domenico De Angelis, Francesco Lacquaniti, Antonio Violi, Natale Pace, Francesca Agostino, Domenico Caruso, Diego Demaio. Foto: Gianluca Iovine, Luigi Giordani, Free's Tanaka Press, Diego Demaio. Grafica e impaginazione:

Copertina: Concept by Free's Tanaka Press Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Sede redazione: Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999 La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 25-07-2016 Visit us on

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chiamava la ragazza, non conosceva nessuna lingua per dialogare ma un sorriso e una mimica disarmante, in poco tempo è diventata la mascotte di tutto il reparto; era una gara di solidarietà a chi poteva dare di più: vestiti, scarpe, ma anche cose sfiziose. Muna amava le patatine che sgranocchiava nascondendosi sotto le lenzuola, gli slip, che non conosceva come biancheria intima, li usava per legarsi i capelli. Con un piccolo palloncino che le era stato regalato, è venuta fuori la sua voglia di spensieratezza e di fanciullezza mai avuta. La reticenza nel non voler assaggiare il cibo che non conosceva, l’uso delle posate che nel suo paese non sono utilizzate, ma anche il rifiuto delle punture che le arrecavano molta sofferenza. Nella sua brutta avventura è stata anche stuprata ed è rimasta incinta di un figlio che lei non riusciva ad accettare. Nei suoi occhi si leggeva la paura, l’abbandono ma anche la fiducia di avere già raggiunto una meta, ma non ancora la sicurezza di essere fuori dall’orrore, dalla guerra e dalla miseria. Io dopo qualche giorno sono stata dimessa e Muna l’ho lasciata lì, nella speranza che la psicologa, le assistenti sociali ed Emergency siano riusciti a trovarle una buona sistemazione che la faccia sentire serena. Buona fortuna Muna, rimarrai sempre nel mio cuore.

Editoriale: Adieu Montesquieu Attaccare stampa e giornalisti? Errore abnorme del terzo millennio

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Rosarno: Alta Velocità

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Puritanesimo a due velocità

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Gioia Tauro da rivisitare. Tra traffici e commerci Gioia Tauro: Una strage dimenticata

Natalina Bongiovanni

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Lorenzo Kruger: Artista Sardonico

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Musica e Armonia si tinge di jazz

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La "Santa degli Impossibili"

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Oppido Mamertina dice no al bullismo nelle scuole

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Successo "Capitale" per Grace

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Ulivi di Calabria

Gioia Tauro: Presentato il Libro di Sframeli "A 'ndrangheta"

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Un pomeriggio di Aprile alla riscoperta di Palmi

Corsi e ricorsi

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Da Radicena in giro per il mondo

L'assistenza domiciliare in cure palliative diventa realtà

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Il respiro di una Piazza Palmi 3.0

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Gioia Tauro: Concorso letterario "Pina Alessio" Delianuova: Il poeta dell'immagine

Molochio: Memorial Mimma Marafioti

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Molochio: Un esempio per tutti

Delianuova: Musica, Educazione alla Legalità

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19 Delianuova:

Ouverture della Legalità

Appunti e saggi di critica letteraria di Giuseppe Fantino

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Achille Cofano: La scultura e l'arte nel destino

S. Giorgio Morgeto: Solidarietà e Filantropia

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I sette vizi capitali: L'Accidia

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Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana

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Editoriale

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Dopo il tragico mordi e fuggi di Nizza di Luigi Mamone

Adieu Montesquieu

14 Luglio, il giorno del dolore e dell’incapacità

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l 14 Luglio, giorno simbolo per la storia dell’Umanità. 1789: “Presa della Bastiglia” e inizio della Rivoluzione Francese. Evento sanguinoso e sanguinario - comunque necessario per scardinare l’ancient regime tardo feudale legato alla conservazione dei privilegi della classe aristocratica e della nobiltà di sangue. Giorno del sangue e della luce. Dalla presa della Bastiglia all’affermazione dei principi illuministici di Montesquieu, ai fasti napoleonici, alla lunga scia di sangue e di terrore del triumvirato di Robespierre, Danton e Marat: lunghissima serie di condannati a morte per decapitazione, attraverso il sistema di uccisione serial-industriale messo a punto da monsieur Ghiglioten da cui - la triste macchina di morte ancor oggi chiamata ghigliottina. Fiumi di sangue, spesso innocente. Migliaia di vite spezzate dalla logica del terrore. Duecentoventisei anni dopo. Ancora un 14 di Luglio. Di giorno, sfilate militari e passaggi di aerei della pattuglia acrobatica transalpina. Di notte, fuochi d'artificio e gente in festa in ogni angolo della Francia, nel ricordo di un evento del quale, a due secoli e più di distanza, s’era rimosso l’odore del sangue e il raccapriccio di migliaia di teste staccate dal corpo ma ancora per qualche attimo vitali: occhi vivi, labbra aperte in un ultimo rantolo: grido che nessuno avrebbe più potuto sentire. Teste decollate, cadute nel canestro sottostante e spesso alzate in aria per i capelli, offerte al ludibrio della folla, da boia incappucciati e non tanto diversi dagli attuali boia dell’ISIS. La storia la scrivono - l’hanno sempre fatto - i vincitori e, anche l’inizio della Rivoluzione Francese, viene ormai visto come un passaggio obbligato verso la conquista della libertà. Festa grande dunque. 2016, Nizza. Promenade. Notte di un Luglio caldo. Fuochi d'artifico a illuminare il cielo e migliaia di persone - giunte anche dall’estero per una data che ormai, più che evocare conquiste di libertà e bagni di sangue innocente, richiamano solo turisti. La Bastiglia e i sans-coulottes che la vanno

a conquistare. Luigi XVI e Maria Antonietta d’Austria trasportati al patibolo sulla carretta dei condannati a morte. Nulla di tutto questo nella sera dolce del 14 Luglio sulla Promenade di Nizza. Una sera d’estate, di giochi di fuoco e di voglia di vivere. Improvvisamente un TIR Bianco che avanza a zig zag fra la gente, investe, uccide, prosegue la sua marcia mentre la Promenade cambia volto e diviene uno scenario di guerra. “Da dove è arrivato le camìòn? Chi l’ha fatto passare?” Spari. Morte. Urla. Dolore. Rabbia. Poi ancora spari. Infine il silenzio. Le camìòn, il parabrezza forato da decine di colpi d’arma da fuoco è ormai fermo. L’autista è stato ucciso. Ha falciato ma la conta dei morti è provvisoria - 87 vite. Altrettanti e forse di più i feriti. Lo spettro dell’ISIS e del terrorismo islamico prende corpo intorno a quel truck ormai fermo come una belva uccisa dai cacciatori dopo aver fatto strage d’innocenti. Quel che in epoca non sospetta avevamo scritto e detto - peccato che si scriva solo su un foglio di provincia che pochi leggono e nessuno ascolta, si è verificato: le polizie occidentali e in particolar modo la Gendarmerìe transalpina non sono in condizioni di prevedere e neutralizzare gli attacchi di isolati combattenti islamici. Tecnica del mordi e fuggi che storicamente ha consentito, a chi combatte in condizioni di inferiorità numerica, di portare attacchi imprevisti e difficilmente contrastabili. Ma Nizza non è Saigon o Hanoi e qui non vi sono giungle e paludi! Solo una passeggiata a mare zeppa di persone. Appare inverosimile o quanto meno difficile da credersi che il franco tunisino autore della strage abbia potuto superare il posto di controllo dicendo di star distribuendo gelati. “Le Flick” ovvero gli agenti della Gendarmerìe mai come in questo caso sono stati leggeri o - e più calzante - tragicamente incapaci. Nessuna perquisizione per verificare il carico del TIR. Per vedere se vi fossero veramente gelati o se fosse - come era - vuoto. Già questo avrebbe potuto impedire la strage. Davanti a tanta dabbenaggine - davanti alla quale anche il mitico agente Catarella in servizio nel romanzato Commissariato di Vigàta, alle dipendenze del Commissario Montalbano - sarebbe apparso un genìo - sorge spontanea la domanda: e se le camìòn, veicolo da 18 tonnellate di portata fosse stato imbottito di esplosivo? L’avrebbero fatto passare convinto che trasportasse gelati. L’esplosione sulla Promenade avrebbe provocato centinaia e centinaia - forse migliaia di morti. La Francia, fino ad oggi teatro di molte azioni terroristiche, aveva avuto degli alibi per giustificare l’inefficienza del proprio apparato di sicurezza. Dal 14 Luglio nessun alibi potrà più reggere. La sicurezza non può essere lasciata a telecamere di controllo e ad agenti poco attenti. La non convenzionalità delle azioni militari che consentono ai terroristi di mordere e fuggire sono difficile da controllare ovunque. Però gli apparati di interdizione devono passare attraverso la previsione anche dell’imprevedibile. Certo è che esistono luoghi assolutamente non protetti: si pensi alle stazioni del metro, agli autobus, alle navi traghetto. Urgono alla luce di questi fatti misure straordinarie. Che ne sarebbe delle centinaia di viaggiatori fra automobilisti e pedoni che ogni giorno a Villa San Giovanni traghettano da e per la Sicilia se un camion o un’auto imbottita di esplosivo venisse fatta esplodere nel bel mezzo dello stretto di Messina? Che ne sarebbe? A chi di competenza la risposta. Prevenire è meglio che piangere vittime innocenti: prima che qualche fanatico islamico decida di conquistarsi il suo personale posto nel paradiso degli assassini islamici facendo il kamikaze dalle nostre parti. Urgono investimenti per proteggere tutte le aree a rischio con metal detectors. Se Alfano e soci si decidessero a capirlo. A Nizza, intanto, è stato ucciso il fascino della Rivoluzione illuminista. Il prossimo anno più che le gesta dei sans-coulottes si commemorerà il primo anniversario della strage.


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Il Giornalista Agostino Pantano

Avv Salvatore Costantino - Il Giornalista Agostino Pantano - Avv Claudio Novella

Attaccare stampa e giornalisti ? Errore abnorme del terzo millennio! Ex caso Pantano!

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e è vero che la forza che sprigiona la notizia fa girare il mondo, è il caso di tenere in considerazione l’enorme quantità di opinioni e riflessioni che ogni giornalista scatena attraverso i suoi scritti. Cosa mancherebbe ad un procuratore capo della Repubblica o ad un magistrato? I loro poteri nell’esercizio delle funzioni che esercitano sono fortissimi, eppure anche loro amano scrivere per diffondere sempre più notizie con l’uso della pubblicazione di libri denuncia su ‘ndrangheta e mafia, romanzi attraverso i quali si comprendono le strategie del malaffare e l’uso del giornalismo che si pone come mezzo diretto di comunicazione ai cittadini e sensibilizzazione delle coscienze verso la legalità. Quindi l’importanza del giornalismo, apprezzato anche dalla Magistratura come mezzo necessario a veicolare opinioni che formano nella società modelli umani di comportamento fondati sulla liceità, deriva dal fatto che se viene usato in modo sano e in nome di una verità oggettiva che non sia costruita a proprio uso e consumo, può davvero cambiare il mondo in bene. Questo gioiello preziosissimo di cui può beneficiare il mondo, doveva assolutamente rimanere libero anche nel rispetto dei principi sanciti dalla Carta Costituzione che tutela la libertà di pensiero e di parola. Nel caso del collega Agostino Pantano è stato riconosciuto il diritto di cronaca e la libertà di stampa dopo un’accusa di ricettazione della notizia. Una rogna, come la definisce lo stesso Pantano, da cui si è liberato dopo venti mesi di tensioni con assoluzione con formula amplissima e con soddisfazione piena che non è solo dell’ex accusato, ma di tutto il mondo giornalistico. Il pericolo più avvertito dei nostri tempi è il coinvolgimento nelle rogne con imputazioni che sono fuori da criteri che dovrebbero seguire degli iter giurisprudenziali

che sembrano non sapere più che fine abbiano fatto. Tutt’oggi ci chiediamo come mai il collega Agostino Pantano sia stato coinvolto in un processo che non doveva nascere, ma come sempre chi non ha colpe, ma fa bene il proprio dovere ne esce indenne e rafforzato nei principi e nei valori, nei quali Agostino ha mosso i suoi primi passi. I veri vantaggi per un giornalista calabrese sono quelli di nascere in famiglie sane, lontane da ombre mafiose. Coloro i quali vantano natali fondati sulla roccia, non sono assolti per poi essere nuovamente accusati e continuare con le rogne, ma vivranno tranquillamente da uomini liberi in una società che tende a schiavizzare chi ha poteri e nel caso dei giornalisti quello dell’informazione e dell’opinione, che non solo fa girare il mondo, ma ha il potere di modificarlo in bene. L’attenzione deve essere posta da tutti coloro che esercitano, in ogni caso, poteri forti e non solo dai giornalisti. Un giornalista oltre agli studi è sottoposto a lunghi percorsi formativi ed agisce da torre di controllo sul territorio. Dagli incontri tra giornalisti girano concetti a raffica d’intelletto e non di mitra, quindi, pur essendo uomini di cultura e non sporchi mafiosi, c’è chi cerca di abbatterci in modo diverso, perché diamo fastidio. C’è chi vuole farci passare per ladri che vendono notizie al mercato nero, c’è chi con un comportamento strano e misterioso cerca di confonderci per stancarci e farci sbagliare in modo da raccogliere nel frattempo capi d’accusa contro di noi, in tal caso bisogna usare attenzione, perché potrebbero essere atteggiamenti suggeriti da ‘ndranghetisti o ‘ndranghetiste (oggi parecchio di moda) a loro vicini, nel tentativo di annientarci. Ma torniamo al caso Pantano, il sacrificio di venti mesi di processo finito bene, è servito a dare maggiore forza all’informazione e alle nostre opinioni che viaggiano con la forza dell’intelletto e dell’esperienza che

di Filomena Scarpati

per un giornalista costituiscono il punto di forza. Ad arricchirci sono anche le notti passate in bianco attaccati ad un computer per dare le notizie ai lettori il giorno successivo; è la ricerca di negatività che serve a rendere consapevoli i lettori delle problematiche che quotidianamente devono affrontare come cittadini; è la cura degli aspetti sociali, burocratici, giurisprudenziali, politici, economici e religiosi su cui c’è bisogno di essere informati per crescere mentalmente e migliorarsi. Ma tra le tante righe che sono transitate dopo la sentenza del Tribunale di Palmi del 14 Luglio, sono quelle di Agostino Pantano le più toccanti e apprezzate, infatti scrive: «Tornato a casa dal Tribunale ho dovuto rispondere a mio nipote, che con preoccupazione mi chiedeva: “hai vinto?” E’ complicato tirare fuori la giustizia da un metodo in cui si vince o si perde, si tifa o si sta muti. Gli ho risposto che ho vinto perché ho convinto l’arbitro a entrare in squadra con me, ma che non l’ho corrotto e tutte le regole sono state rispettate. Non credevo al giudizio di un Tribunale dove non dovevo proprio stare, ma serviva il giudizio di chi ha imparato a conoscermi partendo da ciò che qui riporto: «sono un giornalista che ha scritto tanto e oggi il Pm, inconsapevolmente, ha chiarito che sono credibile pure come social media manager. E’ stato dalla mia parte l’arbitro che è in un’opinione pubblica a volte feroce e distratta, a volte - invece - consapevole e premurosa verso la difesa di un proprio diritto. Ripartiamo con onore e credibilità. Merce rara di questi tempi».


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di Salvatore Larocca

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Rosarno: Alta Velocità

ovrebbe essere il tempo di una condivisione d’intenti, a prescindere dai colori, per tutte le amministrazioni della piana di Gioia Tauro, per porre in essere ogni atto formale, da far pervenire sollecitamente al ministero dei trasporti, a supporto di quanto, dopo almeno trent’anni, rimette mano alla logistica dei trasporti, cercando di “collegare” la Calabria al resto della Nazione. Una deficienza ben presente negli uomini di governo che già avevano espresso, chiaramente, in occasione di recenti incontri, comunque elettorali, è difficile che ce ne siano in “tempi normali”. Era in effetti la campagna elettorale per la tornata regionale, quando l’ex ministro Lupi, prima dei fastidiosi orologi, in quel di Laureana di Borrello sosteneva che non è ammissibile, né politicamente né strutturalmente, una nazione a due velocità, riferendosi, naturalmente al divario nord/sud in fatto di alta velocità. A quelle due velocità riconosciute dal Ministro, si potrebbe, a buon ragione, aggiungere la terza, del tutto pianigiana con interessamento della Locride. A differenza del comune pensare, che pone Gioia Tauro al centro del polo di snodo ferroviario e logistico, di fatto è la stazione di Rosarno ad esserlo, sia per quanto riguarda il trasporto merci, con tutto ciò che concerne l’area portuale, sia Per quanto riguarda il trasporto passeggeri. Sotto quest’ultimo profilo si tratta di un bacino d’utenza di circa centottantamila persone che, dall’intera Piana di Gioia Tauro con i suoi trentatrè comuni, oltre ai vicinori, abbraccia tutta l’area della Locride con il collegamento della SGC. Bene, a coronamento di una collezione di defaillance, sotto ogni profilo infrastrutturale, la piana di Gioia Tauro è bypassata dall’unica tratta giornaliera dell’altra velocità, sia andata che ritorno, verso la capitale che, si tratta comunque di una freccia d’argento. Paradosso che completa l’opera è che mentre nella mattinata un regionale potrebbe, per essere pazienti, collegare Rosarno a Lamezia Terme in tempo alla coincidenza con la Freccia, al ritorno non c’è la stessa corsa, almeno nell’imminenza dell’arrivo. Completamente tagliati fuori. Eppure è accertato che ci sono state reiterati interessamenti, non ultima l’Amministrazione Tripodi con atto formale. Eppure non avrebbe dovuto essere così complesso ridistribuire una fermata di un paio di minuti da “rubare” a Villa S.G., Lamezia Terme e Paola, oltre alle lunghe soste di Napoli, cinque-sei minuti in tutto, oltre a considerare che la banchina ferroviaria centrale della stazione di Rosarno è stata

adeguata, a suo tempo, all’alta velocità. Nulla di fatto fino ad oggi che, con tutta la buona volontà l’utente può considerare Lamezia Terme e i suoi quarantacinque minuti di autostrada dallo svincolo rosarnese. E mentre potrebbe avere un senso, logisticamente, un aeroporto di posizione centrale, con le sue distanze, adeguatamente attrezzato per voli e rotte, diventa fuori dalla logica ferroviaria, del senso stesso di treno, essere saltati da un servizio così importante, proprio per la filosofia della capillarità che il treno assume nel comune pensare. Altro discorso, penoso, meriterebbe il trattamento riservato alla fascia jonica di questa desolata regione con in atto “uno sciagurato processo di dismissione della linea ferroviaria jonica” come denuncia il rappresentante del Comitato italiano utenti delle ferrovie regionali, Domenico Gattuso, che potrebbe trovare, anche se come magra consolazione, lo sbocco ferroviario Rosarnese. A Poco serve, se non per decoro urbano e civico, il progettato imminente HYPERLINK "https://www.google.it/search?q=restyling&spell=1&sa=X&ved=0ahUKEwiLvv _r-MjNAhXC0RoKHbD7ASYQvwUIGygA" restyling, sembra, della stazione ferroviaria se ad esso non segue, o contestualmente si affianca, uno sviluppo dei collegamenti veloci con la capitale anche per questa parte di territorio. Potrebbe, e forse dovrebbe, essere il momento propizio a chiedere a gran voce, da parte di tutti, oltre ogni sorta di campanilismo, un riallineamento del territorio, delle “pari opportunità” che sia alta velocità "alternativa", Frecciaverde e quanto altro, ma che ci pone alla pari con il resto degli italiani almeno per arrivare a Roma.


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Puritanesimo a due velocità di Giovanni Garreffa

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ualche giorno, e soltanto qualche giorno, prima del 5 Giugno, data fissata dal Governo per le elezioni amministrative, la Santa Giovanna d’Arco della politica, ovvero Rosy Bindi, con l’atteggiamento di sufficienza che le è proprio, che talvolta rasenta perfino l’arroganza, proclamava l’elenco degli incandidabili, tali ritenuti da parte della Commissione Parlamentare Antimafia, quando ormai le liste erano state da tempo pubblicate e le prefetture avevano già provveduto alla stampa delle schede elettorali. L’iniziativa, invero, appare di per se oltremodo scorretta ed inefficace, oltre che inopportuna, proprio perchè posta in essere a ridosso delle votazioni, con evidente pregiudizio per la democrazia, influenzando di fatto il risultato elettorale. Vi sarebbero, poi, non pochi rilievi nel merito; individuamone soltanto qualcuno. Anzitutto vi si afferma che le liste civiche, presenti particolarmente, a suo dire, nel mezzogiorno, rappresentano l’humus più fertile per l’approdo, da parte di soggetti con le carte poco in regola con la giustizia, alla politica e dunque ai momenti gestionali della cosa pubblica; affermazione, questa, oltremodo gratuita, che sembrerebbe conferire ai partiti politici il potere taumaturgico di trasformare la delinquenza organizzata in confraternita, avendo in dotazione una sorta di depuratore civile. Voglio ricordare all’On. Bindy che le generalizzazioni non appartengono certo alle persone intelligenti; ci sorregge in questo convincimento il caso del Presidente della Regione Campania, appartenente

al suo partito, per la precisione il P.D., anch’egli affidato alla gogna mediatica a mezzo di analoga lista di proscrizione, pure questa pubblicata a ridosso di altro appuntamento elettorale. Dunque, la contraddizione è così evidente, da non aver bisogno di alcun commento. Altro fatto singolare evidenziato dalla presidente della predetta Commissione Parlamentare riguarda Platì, comune di questa provincia che nelle precedenti elezioni amministrative non ha votato per mancanza di liste, commissariato, sempre a suo dire, nel secolo appena alle nostre spalle, per ben quindici volte, il cui consiglio comunale è stato ripetutamente sciolto per infiltrazioni mafiose, sotto gestione commissariale da dieci anni e fino alla data del 5 Giugno u.s.; secondo lei, le due liste, questa volta finalmente in campo, erano formate da candidati direttamente ed indirettamente imparentati o in amicizia con soggetti affiliati alla ‘ndrangheta. Mi pare di poter dedurre, da quanto prima, che quel comune non abbia più, in perpetuo, il diritto di avvviare un suo processo di democratizzazione della vita civile, ma che debba essere affidato ad oltranza ad un podestà, di funesta memoria. A che vale, dunque, il continuo pellegrinare della Commissione verso questa terra, quando, poi, non si crede in una sua redenzione, sia pure nel tempo, progettata e realizzata attraverso una scientifica opera di prevenzione, piuttosto che pensando prevalentemente, se non esclusivamente, ad acuire il rigore della repressione, esattamente al contrario di quanto prevede la nostra Costi-

tuzione e che addirittura già secoli prima aveva proclamato Cesare Beccaria. Eppure la integerrima moralista Rosy Bindi, quando, non molti anni fa, è stata paracadutata dal suo partito in Calabria per le “primarie”, non mi risulta abbia prodotto alcun atto preliminare di rifiuto dei voti a suo favore, provenienti da Platì e da tutti quegli altri centri per lei similari; ovviamente, non ci vuole molto a capire che clamorosamente si tratta di un puritanesimo a due velocità.


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Gioia Tauro da rivisitare

Fra traffici e commerci

Punto di incontro in una lunga stagione di dinamismo commerciale di Caterina Sorbara

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ioia Tauro, fin dall’antichità ha posseduto una vocazione marinara e commerciale; infatti già nell’Ottocento era conosciuta anche all’estero per il suo scalo marittimo, la vocazione commerciale, il dinamismo degli operatori che qui facevano base e, negli anni che seguirono, anche per la sempre crescente importanza del suo snodo ferroviario che grazie alle linee Taurensi consentiva di far giungere - partendo da Gioia - merci in tutti i paesi dell’hinterland toccati o a ridosso del tratto ferroviaria calabro lucana. Il grande fascino di Gioia resta comunque legato al mare. Quì facevano scalo grandi velieri, battenti bandiere di diversa nazionalità, che caricavano il pesce azzurro e i prodotti agricoli della Piana e soprattutto l’olio d’oliva che già nel XVIII e XIX secolo veniva esportato in Inghilterra e in America. Oltre l’olio, il grano e il vino che arrivavano sulla costa gioiese trasportati sui muli o su grandi carri trainati da possenti cavalli da tiro o da buoi per poi essere conservati in enormi botti che poi sarebbero state caricate sui bastimenti. Da sempre a corollario di questi traffici erano presenti strutture di pesa pubblica, agenti marittimi e finanziari che direttamente o tramite banche o fedi di credito acquistavano i prodotti da esportare. E anche albergatori: per fare fronte alle esigenze di soggiorno e di sosta dei viaggiatori e degli agenti di commercio e - fin quando non venne approvata la Legge Merlin - anche alle esigenze di legioni di adolescenti alla ricerca della “prima volta” in linea con la migliore filmografia di Tinto Brass. Negli anni ‘60 la catena Jolly Hotel realizzò una struttura per anni frequentatissima e unica, moderna e funzionale rispetto ai tanti “pidocchietti” dei paesi, risalenti agli anni ‘30 e con fosche aure di stagioni a luci moderno Hotel. Il commercio per Gioia aveva una grandissima importanza economica, tanto da indurre molti Stati ad aprire qui sedi consolari. Stati Uniti, Inghilterra, Brasile, Svezia, Norvegia, Spagna, Germania e Francia ebbero sedi di rappresentanza a Gioia Tauro. Numerosi, furono poi - di conseguenza gli operatori di altre regioni a forte vocazione commerciale quali gli “Amalfitani” che si trasferirono a Gioia Tauro, aprendo tantissimi negozi. Testimonianza di questo esodo molti cognomi gioiesi che storicamente sono oggi un filo rosso di memoria con le terre d’origine - allora bacia-

te dal sole e non ancora terre dei fuochi della camorra: gli Orso, i Gargano, gli Anastasio, i Pisani, i Proto, i Corvo, gli Aloia, i Vissicchio, gli Esposito, i Torre, i Cretella, i Gambardella, i De Vivo, gli Scannapieco, Cappellini, Russo, Normanno, De Felice, Milano, De Rosa, e tante altre famiglie, come i Messina, i Napoli, i Veneto, i Lombardo, i Giacobbe che mostrano nel toponimo una evidente origine ebraica perfettamente collimante con le conseguenze delle persecuzioni antiebraiche di Ferdinando di Castiglia e Isabella d’Aragona e la pratica del commercio tipica delle comunità ebree che hanno dato lustro alla città grazie alla loro operosità. Gioia Tauro pertanto è da sempre il punto di riferimento di tutta la Piana del Tauro. Lo stesso impianto viario e architettonico cittadino è una testimonianza del dinamismo commerciale. La storica via Roma è stata sempre il cuore pulsante della città, dove erano concentrate tutte le attività imprenditoriali. Un tempo era denominata Via Commercio, partiva da Piazza Silipigni ed arrivava al Quadrivio Sbaglia. Altra storica via fu la Via “Pic-

cola velocità” che lega il proprio nome alla movimentazione dei carri merci da trasportare poi su rotaia. Tantissimi i negozi da considerarsi presenze storiche, come il panificio di Natale Pappacoda, l’emporio della famiglia del signor Nicola Orso, la merceria dei fratelli Vizzari, con la signora Annunziata, proveniente da Bagnara, antesignana del commercio gioiese di filati e corredi; il famoso mini market del signor Nicola Nostro, unico in tutta la Piana, il negozio di profumi e detersivi del signor Andrea Corvo. E poi i magazzini per l’ammasso dell’olio e - antesignani della cultura del riciclaggio dei rifiuti - anche grossi centri di raccolta del ferro abbandonato: imprenditori che acquistavano tutti gli scarti ferrosi, industriali e domestici che, soprattutto ad opera di zingari di etnia rom ma non solo, erano raccattati facendo una accurata opera di pulizia volontaria del territorio di tutto ciò che oggi è classificato rifiuto speciale. Nel dopo-

guerra la modernizzazione fece si che a Gioia Tauro venisse collocato un punto vendita dell’UPIM: una delle due famosissime catene di vendita di beni di largo e generale consumo che insieme alla Standa rappresentava per gli abitanti dell’Hinterland un tuffo nella modernità. Andare all’UPIM era come andare in città. Il profumo di pulito, la luce soffusa, la musica in sottofondo, la possibilità di scegliere di tutto negli scaffali dei vari reparti e poi le cassiere e le impiegate tutte in divisa, era come essere a Milano o a Roma o a Messina, giacchè a Reggio operava solo una piccola filiale della Standa. Via Roma, nonostante i cambiamenti avvenuti nel corso degli anni, ha mantenuto intatte la sue caratteristiche. Molti dei negozi di un tempo, oggi non ci sono più, ma sono stati sostituiti da nuovi esercizi, perché ancora oggi la città mantiene ferma la sua vocazione commerciale restando, nonostante la nascita dei famigerati Centri Commerciali, la meta preferita per lo shopping, dell’intera Piana e di tutta la provincia, soprattutto il sabato e la domenica. Negli ultimi cinque anni, molti negozi dei paesi limitrofi hanno chiuso. Gioia Tauro ha invece incrementato le proprie attività produttive. Molti anche i punti di ristoro: bar e ristoranti che offrono servizi di ottima qualità. Oggi la vocazione commerciale viene coniugata con quella turistica. Il lungomare, vera promenade dove è possibile fare una bellissima passeggiata con la visione delle isole Eolie e con lo Stromboli che spesso si vede fumare, è ricco di ristoranti, lidi e balere che hanno sostituito l’antico e oggi non più esistente Lido Gerace degli anni ’50 e ’60. Un’altra attrattiva è il Museo Archeologico Metauros e il Centro storico denominato “Piano delle Fosse”. Infine non possiamo dimenticare anche la felice posizione della città, al centro della Piana e facilmente accessibile. Resta la nota dolente del Porto che ancora oggi, nonostante le tante promesse, non è riuscita a decollare. Se ciò avvenisse potrebbe decollare una cintura industriale per la lavorazione delle materie prime, allora si potrebbe anche ritornare ai fasti del passato. Oggi la città punta su un altro progetto ambizioso: il collegamento del lungomare Gioia-Palmi, fortemente spinto dal Sindaco Giuseppe Pedà. Se realizzato potrebbe diventare volano di ricchezza e sviluppo per una città che nonostante tutto conferma ancora una posizione da leader della provincia reggina.


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Gioia Tauro: Una strage dimenticata

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ono i giorni della tensione, della contestazione e della violenza politica che attraversa l’ Italia ed in particolare il profondo Sud. Reggio Calabria rivendica il diritto di essere Capoluogo di Regione, con ogni mezzo e ad ogni costo. La destra, saldamente radicata in città, soffia sul fuoco della lotta ad oltranza, coniando lo slogan “ Boia chi Molla”, fomentando la ribellione e la protesta. Una ribellione estrema che vede la Città di Reggio e tutta la linea ferroviaria, ritenuta obiettivo sensibile, presidiata dall’esercito in armi, contestazione e tensione estrema durata per troppo e lungo tempo, nel corso della quale accadono fatti molto gravi. Come il 22 Luglio 1970, quando la “Freccia del Sud”, il treno che da Palermo porta a Torino, all’altezza della stazione di Gioia Tauro deraglia spezzandosi in più punti. L’impatto terrificante provoca sei vittime e settantasette feriti. Una tragedia che la trasmissione “Rai Cultura” ricorda nella puntata di “Diario Civile” con il titolo “Gioia Tauro: una strage dimenticata”, di Keti Riccardi, con l’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti e la consultazione delle fonti documentarie e fotografiche custodite presso l’archivio di Stato di Reggio Calabria, di cui alcuni saranno mandati in onda.

di Franco Dimasi

L’incidente, viste le indagini, è considerato disastro colposo e viene definitivamente archiviato. Dopo molti anni, intervenuti e scoperti nuovi elementi utili di quel disastroso incidente, il caso viene riaperto grazie alle dichiarazioni di un pentito nell’ambito di una indagine sulla ‘ndrangheta calabrese che squarcia il velo di bugie, omissioni e depistaggi sul deragliamento del “Treno del Sole”. Quello strano incidente ferroviario, avvenuto durante la rivolta di Reggio Calabria, in un territorio di mafie potenti e capaci di insinuarsi in ogni angolo della vita pubblica e sociale del paese, è considerato non più un disastro colposo ma un atto doloso, riconducibile agli ambienti dell’estrema destra eversiva. Un disastro, quindi, voluto, causato da una bomba posizionata, intenzionalmente, sui binari della ferrovia. Dice il magistrato Guido Salvini “Reggio Calabria e la Calabria erano un terreno fertile per l’eversione di destra e sono state una sorta di laboratorio di prova di azioni eversive che sono avvenute anche in altre parti d’Italia a cominciare ovviamente da p.zza Fontana”. E aggiunge: “Per questo episodio, per Gioia Tauro è dunque disvelata, sia pur dopo trent’anni, la verità. Una verità che giunge tardiva, per la tardività delle notizie, e la deviazione delle indagini”. L’attentato di Gioia Tauro entra così tristemente a far parte della lunga lista di stragi e depistaggi che hanno caratterizzato gli anni della strategia della tensione e hanno costellato di lutti la storia d’Italia. Conclude Tonino Perna, docente di Sociologia economica all’Università di Messina: “Una piccola storia locale si aggancia alla storia nazionale, perché serve una Reggio nera da contrapporre a una Milano rossa, serve una Reggio in guerra con morti e feriti per dire che ci vuole l’uomo forte che risolve il problema di un paese ingovernabile”.


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GIOIA TAURO di Caterina Sorbara

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Presentato il libro di Sframeli "A 'ndrangheta"

omenica 10 Luglio nella antica Sala Fallara a Gioia Tauro, è stato presentato il libro del luogotenente Cosimo Sframeli e del maresciallo Francesca Parisi: “A ‘ndrangheta. Evoluzione e forme di contrasto. Falzea Editore”. Evento conclusivo del “Caffè Letterario” organizzato dall’Associazione Culturale Kairos, da tanti anni appuntamento fisso dell’estate gioiese e che ha visto la presenza di autori di prestigio come: Ruggero Pegna, Aldo Pecora, Pino Toscano, Francesco Fonti e Arcangelo Badolati. Ad aprire i lavori la Presidente del sodalizio gioiese, Prof.ssa Milena Marvasi Panunzio che ha sottolineato l’importanza del binomio cultura e legalità, per la rinascita di un territorio. La Marvasi, ha poi ricordato l’amara vicenda dei sequestri di Maria Graziella Belcastro e di Fausta Rigoli e del figlio, Rocco Lupini, entrambi presenti in sala. Subito dopo ha tracciato un breve profilo degli autori, ricordando quanto è importante la presenza delle forze dell’ordine, per la sicurezza della città e dei suoi abitanti. Proseguendo il Dott. Michele Mammola Vice Presidente Kairos, ha svolto un lunga e articolata dissertazione sul volume: evidenziando che il titolo non debba

essere inteso come dialettale ma la A iniziale non sia un articolo determinativo dialettizzato ma una negatoria: A, come contro; A come Anti. Venendo al volume: un viaggio in 11 capitoli nel mondo della simbologia e del linguaggio della ‘ndrangheta, con la convinzione che, per contrastarla efficacemente, bisogna per prima comprendere le profonde e robuste radici culturali. E’ un libro-verità che ripropone fatti sanguinosi, comunque terribili, avvenuti nel nostro territorio, dove emerge che per avere una visione globale della ‘ndrangheta dobbiamo tenere in considerazione il lavoro dei magistrati e delle forze dell’ordine. Un lungo excursus, che dalle origini mitologiche e un pò folkloriche che rimandano ai tre cavalieri Spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso passa dal summit che si tenne a Montalto nel 1969 ai sequestri di persona, fino al monopolio sul traffico di droga. E poi ancora il famoso “processo dei 60”, la legge “Rognoni-Latorre”, il fenomeno del pentitismo. Nel corso degli anni, la ‘ndrangheta è cresciuta ed è ben radicata non solo in Italia, ma anche all’estero, in quanto tratta direttamente con i Columbiani. Il libro si chiude con le riflessioni del magistrato Salvatore Rizzo, che dice di come negli anni ‘80 i magistrati sono stati lasciati soli e con il

ricordo del maresciallo Spanò. Concludendo il Dott. Mammola ha ricordato, commosso, il sequestro di sua moglie. Il Sindaco di Gioia Tauro, Giuseppe Pedà, dopo aver ringraziato le forze dell’ordine per la loro presenza costante sul territorio, ha puntualizzato che in città è in atto una trasformazione culturale e sociale, un’isola ecologica è sorta da poco su un terreno confiscato. L’autore Sframeli, con l’ausilio di un video realizzato dall’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria, dal titolo “Qual è l’onore”, ha illustrato la genesi del libro, ricordando il brigadiere Carmine Tripodi ucciso dalla ‘ndrangheta il 6 Febbraio del 1985 e il carabiniere Pietro Ragno ucciso nel 1988, sottolineando che: “Se dentro non c’è la giustizia la legalità non vale”. Numeroso il pubblico presente in sala, tra cui il Sindaco di Taurianova, Fabio Scionti e l’Assessore alla Sicurezza Urbana e alla legalità, Luigi Mamone; l’On. Angela Napoli; i vertici dell’arma gioiese; il generale Salvatore Luongo; il luogotenente Gaetano Vaccari; la vedova del generale Andrea Mantineo e l’amministrazione comunale gioiese ai quali è stata consegnata una targa ricordo come segno tangibile di ringraziamento per il loro impegno in prima linea nella durissima stagione del contrasto all’Anonima sequestri,


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Danneggiamento contro un nostro collaboratore

Corsi e ricorsi

di Adamo De Ducy

Urge domandarsi: cambierà mai la Calabria?

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n atto intimidatorio. Un messaggio. Una conferma che la barbarie alligni in Calabria nonostante i proclami, le inquiry e tutto quanto fa seguito e corollario ad ogni azione eclatante della magistratura: arresti e avvisi di garanzia contro personaggi noti e meno noti; cupole di un malaffare che vengono sgominate a suon di intercettazioni ambientali e telefoniche destinate ad assumere valenze investigative utili all’esercizio dell’azione penale da chi - certamente per merito - è stato introdotto nel ristrettissimo empireo della magistratura. Uomini chiamati a valutare le azioni di altri uomini e a perseguirle ove mai contrarie alle leggi. Salvo poi spesso a scoprire che, chi ha collaborato con il magistrato all’effettuazione delle indagini, in qualche caso è stato disattento e in altri casi malevolo dando un senso diverso - cattivo - ad una tal frase o a un tal comportamento. Ermeneutica dell’investigazione che intanto provoca al malcapitato una iscrizione nel registro degli indagati e se i fatti sembrerebbero palesarsi gravi anche misure cautelari e l’onta della promiscuità dentro il mondo carcerario dove - checchè ne dicano vescovi, prelati e Pontefici che di tanto in tanto varcano il cancello di qualche penitenziario con schiere di telecronisti al seguito - non esiste. E’ morto, o meglio non ha diritto di accesso: come ha raccontato in “Pertanto accuso” lo scrittore Michele

Caccamo. La piccola manifestazione di mafiosità o di malandrineria che dir si voglia non fa notizia e non va in cronaca sui giornali e sui siti Web. Eppure il danno e la paura sono reali. Percepibili e percettibili. Come per la nostra collaboratrice Veronica Iannello che ha avuto l’amara sorpresa di veder bruciate da malviventi ignoti e notturni le piante di un suo uliveto. A prescindere dal danno economico: la perdita delle piante, il lucro che cessa nell’attesa che una nuova pianta diventi produttiva come quella bruciata, resta il senso di umiliazione. Di impotenza. Di una vergogna simile a quella che prova una donna violentata. Violata nel corpo e nell’anima. Questa è la sommatoria di sensazioni che si provano davanti a una vigliaccata simile a quella del danneggiamento notturno. Anticamente, ai tempi delle 'ndrine patriarcal-rurali di alvariana memoria (con Alvaro si intende il famoso scrittore e giornalista Corrado Alvaro au-

tore di Gente in Aspromonte” e non l’omonima cosca aspromontana attualmente agli onori delle cronache giudiziarie) e il senso dell’onore imponeva ai picciotti che certe azioni venissero fatte a viso scoperto “ di faccia a faccia”. Oggi quelli che credono di essere bravi o valenti agendo con il favore delle tenebre e danneggiando il patrimonio di altre persone sono solo dei vigliacchi: come chi spaccia droga. Come chi uccide. Come chi corrompe o si fa corrompere. Gli appartenenti alle 'ndrine attribuivano a sé un tempo la definizione di “uomini d’onore”, come in un ancor oggi ricordato romanzo pubblicato nel 1988 dallo scrittore Antonio Floccari. Quale onore? Gli attuali malavitosi di onore certamente non ne hanno. Nè nel modus agendi nè nelle sfere personali e familiari come hanno raccontato legioni di pentiti e di collaboratori di giustizia che hanno aperto squarci di luce su storie truci, truculente e - parafrasando Giampaolo Pansa - “di sangue, di sesso e di soldi”. Bene ha fatto Papa Francesco nella spianata di Cassano allo Jonio a bollare con la scomunica gli 'ndranghetisti. Alla collega Veronica Iannello l’invito a non abbassare la guardia e a non arrendersi perché i vigliacchi se vedono il terreno friabile e molle e percepiscono la paura “zappano a fondo” ovvero alzano il tiro e colpiscono senza pietà. Ma se qualcuno mostra i muscoli e dice chiaro e tondo “io non ho paura” girano al largo.


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Palmi: Grazie all'Associazione onlus "La Danza della Vita"

di Francesco Di Masi

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L'assistenza domiciliare in cure palliative diventa realtà.

n data 13 c.m., presso la sede dell’Associazione onlus “la Danza della vita” sita in Palmi alla via G. Mazzini, si è tenuta una riunione dell’équipe professionale di cure domiciliari che ha visto l’istituzione di una équipe multidisciplinare in cure palliative, medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, in collaborazione e sotto le direttive della responsabile della Provincia di Reggio Calabria, Dott.ssa Paola Serranò. L’équipe sta avviando un nuovo servizio di assistenza alle persone affette da malattie inguaribili in fase avanzata. Il servizio offerto è pubblico ed organizzato dall’azienda sanitaria di Reggio Calabria e coordinato dall’unità di cure palliative. “Le cure palliative sono un complesso di cure fortemente integrato, che si prefigge di tutelare la qualità di vita dei malati inguaribili e delle loro famiglie. Il controllo del dolore e degli altri sintomi caratterizza l’approccio sanitario cui si affianca una grande attenzione per gli aspetti psicologici e relazionali. Lo sviluppo delle cure palliative in Italia è un fenomeno recente: trent’anni fa un movimento nato in nord Europa negli anni Settanta approda in Ita-

lia, in particolare a Milano, grazie a un gruppo di medici, imprenditori, uomini e donne della società civile, che proponevano un pensiero apparentemente semplice, ma con una forte carica rivoluzionaria: «La sanità non dovrebbe occuparsi solo delle patologie, con l’intento di guarire le persone malate e restituire loro salute e integrità fisica»”. La Federazione Cure Palliative attraverso percorsi di confronto e di progettazione tra le associazioni ha definito le linee guida per la formazione dei volontari in cure palliative, rispondendo così a quanto previsto dalla legge 38 che, prendendo atto della particolare delicatezza del servizio, prevede la necessità di «definire percorsi formativi omogenei per i volontari su tutto il territorio nazionale». L’associazione mette a disposizione la propria sede in spirito di collaborazione e per la buona riuscita del sudetto progetto. La Presidente Sig.ra Maria Anedda e gli altri operatori affiancano in forma di volontariato l’ èquipe medica professionale e si rendono disponibili ad accogliere le segnalazioni di ascolto e di aiuto che pervengono dai pazienti e dalle loro famiglie e si

rendono disponibili ad accompagnarle ed assisterle per le diverse incombenze che si dovessero presentare. Questo progetto rientra nella programmazione sanitaria dell’ASP di RC per potenziare i servizi sul territotio e rispondere in modo adeguato ai bisogni di salute delle persone affette da malattia cronica evolutiva sia adulti che minori del territorio provinciale ed in particolare dell’area tirrenica. La Danza della Vita Onlus, che offre assistenza domiciliare, ha avviato anche un progetto per supporto psicologico individuale e di gruppo per le persone affette da cancro, ed è punto di riferimento per le cure palliative per l’area tirrenica.


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Il respiro di una Piazza Palmi 3.0

Appunti da un viaggio immersivo di Gianluca Iovine

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ra le tante realtà della Piana, Palmi sembra resistere ancora nell’immaginario dei cittadini della Piana come il luogo dove ancora tutto è possibile. In città la Storia e le storie si intrecciano infatti alla cronaca, sottolineando contraddizioni, riportando alla luce frammenti di discorsi dispersi, o dimenticando per tutto il tempo dell’oggi quello che non sembra più utile perché ha la sola colpa di essere bello. Da quando però due anni fa, l’UNESCO ha consacrato la Varia come patrimonio intangibile e universale dell’Umanità, molte cose sono cambiate. E a fronte di un visibile degrado urbanistico e ambientale, alcuni hanno con più forza sollevato la città dalla malinconia che la stava mangiando, inventando modi nuovi di guardare la città, anche per chi la abita. Raccontare Palmi è insomma già di per sé una sfida; farlo con molte parole e poche fotografie in tempi di realtà immersiva rasenta la provocazione. Eppure, anche in questa esasperata modernità sembra avanzare lo spazio per un viaggio contenuto in poche centinaia di metri, ribaltando il visibile e

il nascosto, il senso esoterico e la pura apparenza delle cose. Una fontana che si apre a ventaglio è il primo indizio: siamo a lato della sede dei ‘Mbuttaturi della Varia di Palmi, punteggiata di cinque stemmi corporativi, e vera anima della festa solenne oggi diventata Patrimonio dell’Umanità. In piazza non c’è sbocco al gran caldo, che alita giù dalle palme in aperta sfioritura, e tra i lampioni Belle Époque. Le nuvole anzi sono così sperse nel cielo blu polvere, da scolorire per un attimo la bellezza senza tempo di questa città Principessa del mare, sottolineando senza rispetto i cartelli di Vendesi di case sfitte e le vetrine di negozi un tempo vivi. Il diritto della fontana è una conchiglia; il suo rovescio, una mezzaluna liquida di rifiuti stagnanti, così come per le aiuole circolari e perfette che reggono due palme gemelle, esistono, all’opposto, moncherini di palme uccise dai parassiti. Ed è straniante voltare le spalle al Tribunale e guardare con gli occhi della grande fontana di piazza Amendola in disincanto i bar aperti pieni di dolci e gelati, e le auto in sosta selvaggia. Del Banco di Napoli restano solo

i locali desolatamente vuoti, e la traccia della scritta. I manifesti gettati all’interno fotografano il tempo esatto della chiusura. Anche dov’era Barbaro Fashion, in questa crisi trasversale che non fa prigionieri, c’è un Affittasi. Chissà se per qualcuno il nome di Nicola Pizi e il suo sacrificio nella Grande Guerra hanno ancora significato, o se restano solo una lapide antica un secolo, e la dedica di una via. Le ferite dei terremoti antichi sono diventate intelligenza del paesaggio: il grande rettangolo punteggiato di palazzi e negozi che dietro ha per sfondo il verde del Sant’Elia è uno dei nuovi simboli della città. Un altro, più moderno, è fatto di volontà e muscoli, ed è sul manifesto appena strappato che contrappone in A2 Femminile la GolemVolley Palmi alla Saugella di Monza. Appena sotto la crosta della sua stessa contraddittoria bellezza, Palmi cela arte, in ogni forma. Per non perdersi tra gli splendori e le miserie di questo gioiello di Calabria, meglio non uscire dal quadrato magico della Piazza I Maggio, vera metafora della città e della nostra regione. Perché basta allontanarsi proprio dalla Fontana della Malfa, che continua a lanciare a chi la osserva un grido di aiuto mentre ha le acque rese verde torbido da giornali e rifiuti decomposti, e risalire fino alla grande piazza che si apre in stile spagnolo davanti agli occhi, per cambiare orizzonte e dimensione. È qui che il viaggio si trasforma, senza neppure chiudere gli occhi, ma anzi sgranandoli, di fronte alle saracinesche chiuse di negozi e banche, ai bar sorti come funghi tra i vecchi palazzi dei nobili, girando, in senso orario, usando le gambe come lancette, in una mattina di temporale che non vuole venire giù. Pareti colorate, vetro,


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lastre di pietra, e la prima fermata di una laica via crucis di quadrati lucidi e neri unendo opere d’arte a parole di poeti della nostra terra che la Consulta Giovanile comunale ha voluto creare, coinvolgendo in un’operazione geniale, Assessorato alle Politiche Giovanili, Grafia, Villaggio Globale, Apeiron Pubblicità Creativa, Grafi.it Crom e Creative Movie che in consorzio hanno creato una speciale, laicissima via crucis di opere d’arte, per mostrare l’interno di Casa Repaci ai viaggiatori. Ogni opera lega insieme parole e immagine di due autori diversi, saldandoli tra vento di mare e basalto. “Il vaso di fiori” di Alberto Salietti vive nelle parole di Leonida Repaci, mentre “Lavoro” di Mario Sironi ha per didascalia la poesia di Ermelinda Oliva. Passo dopo passo, la “Crocefissione” di Tintoretto e “Paesaggio” di Camille Corot si alternano ai versi di Lacquaniti. Un esoterismo prosaico lega un bar e l’araba fenice, quasi irriso dal “Cavaliere” di Marino Marini. Le opere del Marmythos 2013 irrompono a raccontare un sentiero che porta a un esoterismo diverso, meno commerciale e accademico, dove le bacchette che tengono un pesce assomigliano a un gigantesco compasso che ridisegna Dio. Intanto Francesco Cilea sembra vederla davvero, “Piazza San Marco” di Bernardino Palazzi, mentre l’eros scritto di Armando Zagari richiama “Le calze viola” di Renato Bertoloni. La strada chiude verso una ringhiera. Nulla più del mare, e si torna indietro, seguendo il filo

rosso dell’arte. Sulla grande chiesa gialla è ancora presente la cometa: i simboli della cristianità e della sua negazione, a Palmi si rincorrono. Intanto lo sguardo si ferma incantato di fronte al mosaico nobiliare, e a quel 1911 che esalta un palazzo e un secolo che oggi appare troppo distante per bellezza raggiunta. Leoni, angeli, limoni, e poi per strada, “Cleopatra” del Guercino e le “Domande senza risposte” di Domenico Antonio Cardone. Era il 25 agosto 1860 quando, dalla casa che ci viene incontro, si affacciò Giuseppe Garibaldi. Anche Palmi, come tante città di Calabria, gli chiese di inneggiare a Vittorio Emanuele Re d’Italia. E subito “Donna con frutta” di Carlo Levi riapre questo museo a cielo aperto, mentre “Corrida” di Canevari ci sospinge in un angolo di vecchie stalle dove un cartello malinconicamente capovolto segnala l’assenza di un antico laboratorio orafo che fu. Decadente è pure la scritta rimasta solo in parte dell’Hotel Garden, visibile da Piazza I Maggio. Un tempo era il punto di fuga di una salita. Nicola Lojercio e il Manet di “Figura femminile” irrompono in scena dopo aver lasciato con gli occhi la sede del Monte dei Paschi in piazza. Lamberto Ciavatta, “Convivio” è un quadro pieno di tormento, e contrasta con l’enoteca dedicata a Bacco e il 10HP Lounge Bar in piazza. A “Case” di Aldo Gentilini e “Donna” di Modigliani annodata ai versi di Maria De Maria si contrappongono “Barche” di Mario Marcucci nella dida-

scalia di Giuseppe Silvestri Silva e “Donna Negra” di Giuseppe Blasi, contrastato dalle parole di Pietro Milone. E in fondo deve essere questa la realtà aumentata, vista col cuore e vissuta con gli occhi: un mondo dove i “Personaggi” di Franz Borghese e “Donne e cocomeri” di Primo Conti sono ugualmente reali, e i versi di Domenico Zappone e Armando Zagari incrociano suggestioni. I colori di Giorgio Orefice si accompagnano alle parole di Felice Battaglia, mentre la realtà di fuori fa intravedere la chiusura di una paninoteca. I nomi di pittori e scrittori sono un vortice che avvolge barche appena schizzate di nero e una carpa che sembra dubitare di se stessa; un nudo di donna tra i libri e la furia del mare a Viareggio. I “Fiori” di Adriana Pincherle preparano al possente monumento di Piazza Libertà, dell’uomo che libera se stesso dalla pietra. “Emozionarsi fino all’ultimo istante della vita” scrive Repaci, e i “Butteri” di Fattori e l’orologio che prelude al corso sembrano riaffermarlo. Vedutismo e intimismo, maternità e impalcature, convergono scambiandosi colori e significati, così come lamiere che covano cancro e fregi novecenteschi anticipano le contraddizioni della piazza. I balconi sembrano pregare chi passa perché li salvi mentre il tempo li sbriciola, e lo spazio della metafisica deborda da “Figure mitologiche” di De Chirico, fino a un locale chiamato evocativamente “La Marina che non c’è”. Sotto il Sant’Elia i palazzi bassi di Palmi sono ancora sfoglie di crema e cemento, mentre la Varia vive un altro giorno lungo un anno, e la “Natura morta” di Guttuso è un pranzo frugale consumato su un foglio di giornale.


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Molochio:

Memorial Mimma Marafioti di Vincenzo Vaticano

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n impatto violento tra due autovetture lungo la strada che unisce Ivrea a Burolo, un drammatico incidente avvenuto nel Febbraio di due anni fa che costò la vita a una trentottenne maestra di Molochio: Domenica “Mimma” Marafioti. L’evento luttuoso generò costernazione e sgomento tanto a Molochio quanto a Borgofranco d’Ivrea dove Mimma Marafioti oltre ad essere stimata per il suo lavoro di instancabile educatrice era molto apprezzata anche per la sua attività e il suo impegno in campo extrascolastico a fianco di associazioni come “Gessetti colorati” e “Il cuore oltre l’ostacolo”. In segno di cordoglio, fu proclamato a Molochio il lutto cittadino e durante il passaggio del corteo funebre furono abbassate le serrande di tutti gli esercizi commerciali. Tangibile vicinanza alla famiglia fu dimostrata anche dal Comune di Borgofranco. Per ricordarla e commemorarla, a due anni e poco più dalla scomparsa, l’associazione “Il cuore oltre l’ostacolo” - con il supporto dei congiunti e le componenti del locale Istituto comprensivo - ha riproposto la se-

conda edizione del concorso scolastico per l’assegnazione (da parte della stessa associazione) della “2a Borsa di studio Mimma Marafioti”. Ad aggiudicarsi (ex aequo) il concorso di poesia sono stati gli alunni della scuola primaria Sofia Macrì e Giuseppe Miceli delle classi V A e B. A consegnare l’assegno, nel corso di una partecipata e toccante cerimonia, è stata il presidente dell’associazione Katia Marafioti (sorella di Mimma) che, all’unisono con il dirigente scolastico Ferdinando Rotolo, ha sottolineato «il ruolo sociale, pedagogico e di maestra che Mimma ha avuto nella sua breve esistenza nei confronti dei bambini, anche e soprattutto nei confronti dei ragazzi diversamente abili». Significativa la presenza di altre due rappresentanti dell’associazione: la dr.ssa Antonietta Izzo e l’ins. Melania Loi. «Servizio, amore e solidarietà verso gli ultimi». Questi, infine, i concetti più volte ripetuti nell’omelia di Don Antonino Larocca durante la messa officiata per commemorare la giovane maestra prematuramente scomparsa.


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Pur gravemente malata, aveva affrontato con entusiasmo e impegno la campagna elettorale in un paese non suo che aveva subito amato

Commemorata a Molochio l'Avv. Maddalena Del Re

Un esempio per tutti

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stata commemorata nel Municipio di Molochio lo scorso 25 Giugno l’Avv. Lametino Maddalena Del Re. Da sempre impegnata nel sociale e nelle battaglie in difesa di legalità in seno alla Associazione “Lazzati” promossa dal Giudice Romano De Grazia che nelle ultime amministrative era stata presente a Molochio a supporto della lista capeggiata dall’Avv. Rocco Iorianni, attuale leader della minoranza. Pur già gravemente malata l’Avv. Del Re aveva accettato di candidarsi a Molochio, luogo che non conosceva ma che aveva iniziato ad amare - facendosi conoscere e ricordare - lungo il breve arco di una campagna elettorale. Le immagini girate dagli I-Phone hanno consegnato alla storia, il suo volto, la sua voce e i suoi messaggi di impegno sociale, sostanzialmente super partes. Non era stata eletta. Ma aveva continuato ad amare Molochio. Che non l’ha dimenticata. Presenti il Sindaco Francesco Miceli e il Presi-

dente del Consiglio, Maria Grazia Cardone, l’Avv. Rocco Iorianni e il Dott Ismaele Ottavio Caruso. Dopo l’introduzione il moderatore e la giornalista Teresa Cosmano, han-

di Gaetano Mamone

no porto il proprio saluto e il ricordo per una figura che al di là degli schieramenti e delle appartenenze ha lasciato a Molochio un segno e un esempio di impegno civile. Dopo la proiezione di un filmato girato durante la campagna elettorale e che ha consentito di ascoltare la voce dell’allora candidata, vi sono stati gli interventi del Sindaco Miceli, del Sindaco di Cosenza Roberto Occhiuto e dell’assessore alla legalità del Comune di Taurianova, Luigi Mamone, che hanno porto il loro contributo concordando tutti sulla grande importanza dell’esempio offerto dall’Avv. Del Re. Infine, il Giudice Romano De Grazia, lucidissimo e appassionato, ha ribadito il valore dell’esempio e del sacrifico che Maddalena Del Re, pur sapendo di essere gravemente malata, ha offerto - e non solo agli elettori di Molochio - un esempio di partecipazione e di coerente impegno al servizio di un ideale, ergendosi a eroina ed esempio di impegno civile volto alla costruzione di una società migliore.


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Delianuova: Con i fondi del PON Sicurezza di Marinella Gioffré

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Musica, Educazione alla Legalità Inaugurati i locali destinati alla realizzazione del progetto

i è svolta nel Teatro comunale “G. Vocisano”, la cerimonia inaugurale per la consegna, da parte del Comune all’Associazione Culturale “N. Spadaro”, dei locali della scuola di musica. Il progetto è stato promosso dal Ministero dell’Interno attraverso il PON Sicurezza per lo sviluppo, Obiettivo Convergenza ed è stato realizzato dal Comune che ha eseguito i lavori di ristrutturazione di un padiglione della scuola elementare. Ha aperto i lavori il Moderatore Prof. Franco Palumbo, che ha parlato di musica intesa come legalità e sviluppo, affermando che “L’amministrazione comunale ha saputo interpretare la gestione e la realizzazione dell’opera, portandola a compimento nonostante le difficoltà”. Il Sindaco, Franco Rossi, ha incentrato il suo intervento sull’importanza della struttura. “Abbiamo scelto di affidare i locali all’Orchestra dell’Associazione

“N.Spadaro” al fine di donare ai giovani un luogo dove poter esercitare, accrescere e coltivare la passione per la musica. Ringrazio il Senatore Luigi De Sena, promotore e sostenitore del PON Sicurezza a Delianuova e il Dr. Giuseppe Scerra che 16 anni fa ebbe l’intuizione di far rinascere la banda dopo 50 di assenza”. Il Dr. Giuseppe Scerra a sua volta ha espresso “gratitudine e riconoscenza all’amministrazione comunale per la determinazione nell’aver portato a compimento l’infrastruttura che rappresenta l’educazione alla legalità e allo sviluppo”. Un ringraziamento è stato rivolto rivolto al Senatore De Sena, deceduto il 31 Agosto scorso, per l’impegno a favore del progetto. Monsignor Francesco Milito ha affermato che “la Calabria vera è quella che porta a termine le buone iniziative con tenacia, lottando contro le devianze”. Per il Presidente del Parco d’Aspromonte Giuseppe Bombino “la musica

è nella natura e riproduce le leggi universali dell’esistenza. Istituzionalizzare questa realtà significa investire sulla cultura dell’intera area.”. Per il Sindaco di Reggio Calabria, nonché futuro presidente della Città Metropolitana, Giuseppe Falcomatà: “con la città metropolitana si dovrà puntare allo sviluppo di tutta la provincia. Con l’entusiasmo dei suoi 97 Sindaci, come ha dimostrato il vostro, si potranno raggiungere obiettivi importanti”. Il Governatore della Calabria, Mario Oliverio, ha elogiato il Dr. Giuseppe Scerra per aver creato un progetto di “musica e legalità”. Il PON Sicurezza si prefigge di fare crescere il territorio in modo determinante e non temporaneo”. Presenti per il Ministero dell’Interno la Dr.ssa Famiglietti e la Vice Prefetto Zimbalatti, nonché il Procuratore della Repubblica di Firenze Giuseppe Creazzo, Don Bruno Cocolo, le autorità militari rappresentate dai graduati Perrone e Pagliuca, i direttore d’orchestra Maestri Netti e Managò, i sindaci del comprensorio. Il M° Fulvio Creux ha diretto l’orchestra nell’esecuzione di un brano da lui composto per l’occasione dal titolo “La marcia accademica”. E’ stato poi eseguito il concerto diretto dal Maestro Gaetano Pisano, concluso con l’Inno di Mameli. La manifestazione è proseguita con la firma della convenzione a cura del Sindaco Rossi e del Presidente Scerra che hanno accompagnato i presenti all’ingresso della nuova struttura dove, dopo la benedizione, il taglio del nastro ha sancito l’apertura della scuola.


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Nella sede ristrutturata dal Comune con fondi PON in un'ala della scuola elementare e donata all'Associazione Musicale "Nicola Spadaro"

Un momento del saggio con la maestra Antonella Luppino

Delianuova: Saggio Musicale di fine anno

Overture della legalità

di Marinella Gioffré

L’

Associazione “Nicola Spadaro” come primo atto, dopo l’ingresso nella nuova struttura assegnatagli dal Comune, ha presentato il saggio di fine anno di tutte le componenti che costituiscono l’impianto strumentale di propedeutica e didattica. L’istituzione musicale deliese deve molto alla sensibilità e alla lungimiranza dell’Assessore alla Cultura della Provincia, Edoardo Lamberti Castronuovo per avere promosso al grande pubblico l’Orchestra di fiati, oltre che al Maestro Riccardo Muti, divenuto cittadino onorario deliese. La manifestazione si è svolta alla presenza del Presidente Giuseppe Scerra, fondatore nel 2000 di questa realtà, che rivolgendosi ai giovani ha affermato: “questa è la vostra casa, nella quale vi auguro di poter realizzare e concretizzare i vostri obiettivi”. Per il vicepresidente Prof. Franco Palumbo “questa scuola che accomuna sacrifici, consolazioni e gioie dei ragazzi dell’orchestra, rappresenta una realtà musicale ma principalmente un volano culturale e sociale, all’insegna della legalità”. Il Sindaco, Franco Rossi, ha affermato che “solo la cultura può mutare gli eventi in maniera positiva. Proporrò al consiglio municipale il conferimento della cittadinanza onoraria al maestro Gaetano Pisano, per avere con la sua presenza garantito da sedici anni, la continuità didattica e socio-culturale al progetto musicale”. Presenti gli assessori Teresa Carbone e Angelo Gioffrè. Le esecuzioni sono state presentate da Roberta Rossi ed hanno visto impegnati in primis i più piccoli, seguiti dal Maestro Giuseppe Federico, seguiti dalla classe di flauto di Debora Leuzzi, diretti da Anna Luppino.

Ha fatto seguito la classe di clarinetto diretta da Rosa Italiano e Antonella Luppino e quella di tromba di Alessio Giordano. L’esibizione del reparto percussioni è stata diretta da Matteo Pietropaolo. I Maestri hanno poi intrattenuto il pubblico con un mix di brani. Il saggio si è concluso con i ragazzi di Delianuova, Terranova e Sinopoli diretti da Gaetano Pisano. In ultimo la professoressa Domenica Licastro ha omaggiato l’orchestra di una tela del compianto marito Tommaso Minniti, in arte Mintom, che ritrae uno scorcio del borgo antico San Francesco. Un segno e un esempio di impegno civile.


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Lorenzo Kruger e il grande di Gaetano Mamone

successo dei Nobraino

Artista sardonico

I

l successo senza precedenti del gruppo Musicale “Nobraino” che lo scorso 16 Luglio, a Taurianova, grazie ad un Comitato Feste che ha ascoltato i consigli di un gruppo di giovani esperti di musiche e tendenze musicali, ha trasformato la festa patronale per la Madonna del Carmine in un evento che ha richiamato migliaia di presenze da tutta la Calabria, coinvolgendo il pubblico in momenti di vera partecipazione capaci di far impallidire i fasti e la capacità di coinvolgimento della ormai disciolta ( qualcuno ha detto “scoppiata”) coppia Cavallaro - Papandrea e dei Tarantaproject, si lega soprattutto alla straordinaria figura del solista Lorenzo Kruger. Kruger. Non solo una voce: bella, profonda, intrigante, a tratti magnetica e coinvolgente ma artista e caratterista a tutto tondo, capace di dominare la scena, di coinvolgere la platea, anche improvvisando soluzioni estemporanee seguendo un istinto che lo trasforma in un vero mattatore: maschera e specchio di una società che sotto l’apparente scudo della omologazione e della tribalizzazione vuole ribellarsi alle convenzioni e alle mistificazioni di un potere che mira a condizionare le coscienze e a ridurre al silenzio e alla rassegnazione le

voci - non solo dei giovani - che invece vorrebbero gridare alto e forte quello stesso anelito di libertà che i testi dei NOBRAINO sviluppano con molta originalità e che Kruger interpreta con una grinta e una classe che lo collocano in una ristretta cerchia di artisti destinati a non essere le meteore di una calda estate ma a lasciare un solco nel mondo della musica. Kruger scende fra il pubblico, si pone con la sua maschera che ricorda ora il Chaplin di Tempi Moderni ora un personaggio graffiato con tratti alla Dylan Dog, coinvolge. I giovani cantano, ballano, qualcuno viene rapato. Poi sale sul tetto del furgone e da qui canta e balla, agile come un folletto si arrampica fino alla sommità sulla colonna della struttura “americana” del palco e da qui continua a cantare. Brano dopo brano l’atmosfera coinvolge, affabula, incanta. Fino alla fine - che avresti voluto - non giungesse: per farsi ancora trascinare in una deriva di suoni e atmosfere che dicono che la voce e l’urlo dei poeti non potrà mai essere messo a tacere. Da nessuno. Grazie Kruger, per quanto sai dare. “Non sono pazzo”, ripete nel refrain di un brano. Ne siamo convinti. La verità quando è non convenzionale o forse solo scomoda, spesso, viene equiparata alla pazzia.


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Non solo voce ma maschera di una Società che vuole affermare la centralità di una umanità che qualcuno vorrebbe ridurre al silenzio


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di Francesco Di Masi

L’

Musica e Armonia si tinge di Jazz

associazione musicale “Musica e Armonia” con sede a Cittanova sulla strada statale che da Taurianova porta a Polistena nei pressi del quadrivio Bombino, è ormai diventata un'attiva e concreta realtà nel panorama Artistico-Musicale della piana di Gioia Tauro e dell'intera Calabria. Fiore all’occhiello in campo di innovazione e professionalità, diretta con eccellenza artistica da Giuseppe Pugliese e con la collaborazione di valenti insegnanti, ha organizzato presso la sua sede, una Master Class di jazz che si è svolta nei giorni 29-30 Giugno e 1 Luglio. Il corso ha trattato i più disparati argomenti, dal linguaggio jazz propriamente detto, a temi più specifici come lo “Swing”. Al timone di questa fantastica iniziativa, tre validissimi docenti, che hanno guidato i partecipanti (ragazzi variegati per età e preparazione) lungo un cammino che in poco tempo ha dato ottimi risultati. Ad occuparsi della sezione fiati, dell’accompagnamento pianistico e dell’armonia il Maestro Domenico Ammendola, eccellente clarinettista che si destreggia da anni in questo ambiente ed in

quello della musica contemporanea. A capo della sezione archi invece, il Maestro Andrea Brissa, duttilissimo contrabbassista che ha mirabilmente creato un gioco di armonie sulle quali i fiati hanno potuto destreggiarsi con semplicità. Infine, a guidare l’aspetto ritmico delle percussioni e della batteria, il Maestro Francesco Scopelliti, che ha introdotto i piccoli discenti all’arte della dinamica e dello spostamento dell’accento, tipicamente jazz. In soli tre giorni questi giovani talenti sono riusciti a tirare fuori dal gruppo di partecipanti quanto di più entusiasmante non si potesse immaginare. Il Master si è concluso, infatti, giorno 1 Luglio nel Salone delle feste del Comune di Polistena con un magnifico concerto suddiviso in due parti. Nella prima parte, gli allievi si sono esibiti dando sfoggio di quanto appreso in questa fantastica esperienza; nella seconda parte invece, i maestri hanno deliziato il pubblico intervenuto, con alcune chicche del loro repertorio. Il metodo, il lavoro e la forza di volontà hanno contraddistinto la full-immersion appena descritta. I Docenti, avvalendosi di materiale audio e video, hanno introdotto e descritto ogni gruppo di classe e i compiti che hanno svolto in tutto quello che sarebbe stato il loro pane quotidiano. A seguire si è svolta l’analisi delle principali strutture jazzistiche, nonché degli specifici esercizi ritmici e di improvvisazione. Le lezioni si sono sviluppate sia individualmente

che insieme a formazioni insolite e stimolanti, dando vita così, ad uno spettacolare saggio conclusivo degno di menzione e lode. Durante la tre giorni il motivo conduttore principale è stato quello della “condivisione”. I ragazzi hanno trascorso giornate intere a studiare e confrontarsi, senza mai avvertire alcuna stanchezza, questo perché la musica non è solo fatica, non è solo un impegno, è anche e soprattutto amore e passione. L'ottimo risultato ottenuto non si sarebbe mai potuto realizzare senza l’ausilio ed il sostegno del Direttore Artistico della scuola, Giuseppe Pugliese, il quale insieme ai suoi fratelli, ha lavorato sodo affinchè l’evento si concludesse nel migliore dei modi dando i frutti sperati. Cosa mai avrà in cantiere adesso Musica e Armonia? Sicuramente, tantissime ed entusiasmanti novità, che attendono solo di essere realizzate.


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La “Santa degli Impossibili” Un esempio di vita e di fede

di Lucia Treccasi

nella tradizione popolare oppidese

S

anta Rita è una delle Sante più amate ed è oggetto di una straordinaria devozione popolare, poiché è stata una donna, una madre e una monaca. La comunità oppidese ha una particolare venerazione per Santa Rita che, per la sua fede esemplare e per la sua vicinanza ai bisognosi ha ottenuto popolarmente l’epiteto di “Santa degli Impossibili”. Il culto per la Taumaturga di Cascia ad Oppido Mamertina inizia con il canonico Bruno Palaia, Abate - Parroco dell’antica Parrocchia oppidese “San Nicola extra moenia”, che collocò nella Chiesa - Abbazia una prima statua della Santa umbra. L’effigie era di cartapesta e rappresentava Santa Rita in piedi, con il tradizionale abito da suora agostiniana, nell’atto di contemplare il crocifisso, stretto tra le mani. Questa statua è stata venerata, solennizzata e portata in processione per le vie del paese fino a che un decreto del 31 Maggio del 1960 del vescovo della diocesi Oppido Mamertina - Palmi, Mons. Raspini, ordinò che: «Le statue, perché siano degne di culto, devono essere artistiche e di materiale prezioso, evitando quelle di gesso e questo avvenga sostituendo, almeno una all’anno, quelle non approvate». Per adempiere al volere di Mons. Raspini, fu ordinata un’artistica statua in legno, che venne realizzata dal famoso scultore Giuseppe Stuflesser di Ortisei. Il simulacro rappresenta Santa Rita in abito nero monacale, con la grossa spina conficcata sulla fronte, in atto di pregare sull’inginocchiatoio, dinnanzi al libro delle Sacre Scritture, circondata dalle rose mentre guarda un Crocifisso, stretto tra le mani. Dal Giugno 2012 al Giugno 2013, la Chiesa - Abbazia ha ospitato un’insigne reliquia di Santa Rita, proveniente da Roccaporena, suo paese natale. Ogni anno il popolo oppidese onora con stra-

ordinaria devozione Santa Rita. Il Comitato Festa e l’intero popolo si impegna con zelo per la buona riuscita della festa. Nella Chiesa - Abbazia vengono celebrati i “15 giovedì di Santa Rita”, seguiti da una novena che prepara la comunità alla celebrazione della festa della Santa, la quale ricorre il 22 Maggio. Il 16 Maggio 2016 è stata riportata a Oppido Mamertina l’antica statua di Santa Rita, che fu venerata fino al 1960. In questi

anni è stata custodita dalla famiglia Molluso e poi è stata consegnata allo scultore delianuovese Domenico Papalia per il restauro. L’effigie della Taumaturga di Cascia è stata condotta in Cattedrale e poi è stata portata a spalla in processione nella Chiesa - Abbazia per essere restituita alla sua parrocchia. In seguito, è stata celebrata una messa, presieduta da Don Letterio Festa, parroco della Cattedrale, alla presenza di un considerevole numero di fedeli oppidesi, intervenuti per ammirare la restaurata statua di Santa Rita. L’antico simulacro della “Santa delle rose” verrà sistemato in una teca, che verrà appositamente costruita e collocata nella cappella della Chiesa - Abbazia. La festa di Santa Rita, tradizionalmente celebrata il 22 Maggio, è stata spostata al giorno successivo per la ricorrenza della Solennità della Santissima Trinità. Il 23 Maggio, durante la messa mattutina, come da consuetudine sono stata benedette le rose, simbolo ritiano per eccellenza. La celebrazione eucaristica vespertina è stata presieduta da S.E. Mons. Francesco Milito, Vescovo della diocesi di Oppido Mamertina - Palmi. Al termine della messa, l’effigie di Santa Rita è stata portata in processione per le vie cittadine. Al rientro nella Chiesa - Abbazia, i fedeli hanno potuto baciare la Reliquia. Le serate del 22 e 23 Maggio sono state allietate dai concerti di musica popolare di Mimmo Lamonaca e dei “Novataranta”. Il 24 Maggio la statua di Santa Rita è stata riposta nella sua nicchia abituale. L’ultima domenica di Giugno di ogni anno la città di Oppido Mamertina celebra la “Festa della Rosa e delle Rite”, sull’esempio di quella che si tiene a Roccaporena. Una cerimonia particolare che prevede la benedizione delle Rose e delle Rite, con la consegna delle pergamene nominative a coloro che portano il nome della Santa di Cascia.


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di Francesco Di Masi

Oppido Mamertina dice no al bullismo nelle scuole e al cyberbullismo

Stop al bullismo! Stiamo bene insieme”. Questo il titolo del convegno dibattito organizzato dai volontari del Servizio Civile Nazionale del Comune di Oppido Mamertina, tenutosi presso l’Auditorium della Scuola Primaria “Mariangela Ansalone”. L’incontro si inserisce nell’ambito di numerose attività inerenti all’omonimo progetto, che le volontarie hanno svolto con grande spirito di dedizione e di altruismo, “dimostrando di aver fatto proprio quello che è il vero significato del Servizio Civile e divenendo, per il loro concreto operato, motivo di orgoglio non solo per la nostra Amministrazione Comunale, ma per l’intera cittadina”, così ha sottolineato il Sindaco di Oppido Domenico Giannetta. Le iniziative previste dal progetto, coordinate dalla responsabile Stefania Bruno, sono state illustrate ai presenti da una ragazza che fa parte dei volontari, Jessica Strangio: un’attenta e costante azione di monitoraggio dei bambini durante la loro quotidianità e nei potenziali luoghi in cui si possono verificare episodi di bullismo, ovvero in classe, sugli scuolabus o presso il refettorio e la somministrazione di test anonimi come strumenti utili per svolgere

un sondaggio sul grado di bullismo presente. Il bullismo a scuola è stato il tema centrale dell’intervento della Prof.ssa Daniela Epifanio, Vicaria dell’Istituto Comprensivo, che ha permesso lo svolgimento delle attività anche grazie alla collaborazione di tutto il personale docente. L’Assessore all’Istruzione Elisa Scerra, moderatrice dell’incontro, ha poi presentato tra i relatori il Prof. Enzo Marazzita, il quale, facendo riferimento alla sua personale esperienza con i ragazzi in qualità di progettista e formatore del Servizio Civile, ha sottolineato l’attualità del tema oggetto dell’incontro e ha tracciato un breve excursus del bullismo nel corso degli anni, fino a giungere ai nostri giorni e alla nuova piaga sociale del cyberbullismo. E proprio a questi metodi di bullismo mediante la rete si è ricollegato l’intervento della Dott.ssa Maria Giovanna Ursida, specialista in relazioni d’aiuto, che ha illustrato gli aspetti tecnici e psicologici di questa forma di prevaricazione e di intolleranza, evidenziando soprattutto le conseguenze e gli stati d’animo di chi ne è vittima e l’importanza del dialogo e dell’esternazione ai genitori, agli insegnanti e alle forze dell’ordine. Ma di particolare interesse è stata la proposta

nata dall’incontro: così come “ReThink”, un’idea di una 15enne americana, anche Oppido e la sua scuola avranno un’App per fermare il cyberbullismo. La funzione del software è quella di riconoscere le parole offensive e le tipiche espressioni da bulli, facendo apparire sullo schermo una finestra di dialogo che chiede a chi scrive di ripensarci. L‘idea è stata subito accolta dagli studenti dell’Istituto Tecnico di Oppido, presenti tra il pubblico, che hanno assunto pubblicamente l’impegno a dare attuazione alla proposta nel corso dei loro studi informatici e durante i percorsi di alternanza scuola lavoro, unanimemente rappresentati nell’intervento della Prof.ssa Annamaria Zappia. L’incontro si è concluso con la premiazione del concorso sul bullismo al quale hanno partecipato i ragazzi della Scuola Primaria e Secondaria di I grado e con la proiezione del video in anteprima della mostra fotografica sulla violenza sulle donne, allestita a cura dei volontari del Servizio Civile, quale ulteriore iniziativa di interesse sociale. Un incontro che testimonia ancora una volta come, per poter affrontare e provare a sconfiggere un male così grave quale il bullismo, occorra un’azione sinergica tra scuola, istituzioni e operatori sociali.


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Foto Luigi Giordani

Successo “Capitale” per Grace

L’artista terranovese, Graziella Citroni, ha confermato all’AltaRoma il suo stile unico ed inconfondibile!

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na rinnovata soddisfazione. Una gradita conferma. Se tra le pagine di questo mensile, lo scorso anno, la parola d’ordine è stata “novità” (vedi CdP n. 29), adesso è “conferma” per un talento nostrano, nel mondo della moda. Roma conquistata da una calabrese. È successo questo all’AltaRoma, la fashion week capitolina, capace di creare molteplici occasioni d’incontro tra le storiche realtà italiane della moda e le nuove realtà produttive e creative internazionali. Una manifestazione ricca di appuntamenti per valorizzare tradizione e innovazione sartoriale, patrimonio culturale e futuro, con un’attenzione sempre più focalizzata sui giovani talenti della moda, dell’artigianato e del Made in Italy. Quest’anno, l’evento si è svolto dall’8 all’11 Luglio u.s., ed ha visto tra i suoi partecipanti nomi di grande spessore come Balestra, Persechino, Zakhem ecc. I caldi giorni di moda sono stati anticipati dai festeggiamenti per i 90 anni di Fendi, nella suggestiva Fontana di Trevi. Chi è il talento riconfermatosi nella kermesse capitolina? Si tratta dell’artista terranovese Graziella Citroni. La stessa, ha portato nella storica location romana, precisamente tra le mura dei Mercati di Traiano, a due passi da Piazza Venezia e l’Altare della Patria, l’ultima realizzazione di moda insieme ai suoi accessori, rigorosamente fatti a mano. L’abito della calabrese è stato considerato “un’opera d’arte”. Proprio così. Infatti, qualsiasi creazione, che infonda emozioni e sappia proiettare nella dimensione del “sogno”, può essere considerata tale. È un abito che richiama ed evidenzia sia le radici calabre, segnate dalla Magra Grecia, che lo stile di Versace (il corregionale più famoso nel campo della moda). Gli accessori, realizzati dall’artista, sono stati accuratamente cuciti all’abito. Gli stessi, come anticipato, sono stati modellati secondo i canoni di un preciso periodo storico. Posta al centro la reinterpretata testa di “Medusa”, dalla quale si espandono sinuosità, simili

di Domenico De Angelis

a dei raggi che toccano, per ravvivarli, gli altri disegni d’ispirazione greca. Il colore degli accessori non poteva che essere oro, affinché la regalità dell’abito venisse al meglio esaltata. Il tessuto bianco, che le fa da sfondo, evidenzia il duplice aspetto di “luce” attraverso la quale intravedere la “rinnovata donna” vestita di storia ed arte. Ovviamente, l’abito è unico. Come l’unicità dell’attimo in cui l’idea viene posta in atto. La stessa diviene elemento fisico e tangibile, passando da concetto ad oggetto. Percepibile non solo dall’artista, ma da un pubblico più vasto, calamitato da una visione che diviene dimensione emozionale. L’artista modella secondo uno stile proprio, una personale maniera di sentire e plasmare. Si distingue così dalle altre portando in sé il segno autografo ed inconfondibile. Il manufatto è, pertanto, riconoscibile ed unico. In questo caso, si può ben dire che la moda può essere paragonata ad un’opera d’arte. La Citroni, capace di estraniarsi dal sistema consumistico, riesce a trasformare il suo lavoro in essenza stilistica. Le esigenze di comodità ed uso passano in secondo piano. Ciò permette il necessario allontanamento dalla realizzazione di un abito come prodotto da vendere, sottoposto alla dimensione della riproduzione in serie, alle scadenze stagionali, alle leggi del consumo ecc. L’abito si fa arte proprio perché entra nel campo della sperimentazione assoluta. Viene così proiettato oltre i confini della moda. La creazione artistica non passa, ma resta fissa in una dimensione ed un tempo che non sono assoggettati alla moda passeggera. La terranovese non si è limitata a ricamare un abito ma a modellare un sogno. Il sogno di continuare a stupire quanti sanno apprezzare, nella moda, l’intuizione originaria. Il genio creativo della Citroni ha fissato un nuovo stile. Lo chiamiamo Grace Style, sempre più riconoscibile, autentico ed esclusivamente fatto a mano! Che dire? Congratulazioni ed auguri affinché possa brillare sempre più nel magico olimpo della moda. .


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Concorso narrativo multimediale al Politecnico di Milano di Luigi O. Cordova

Ulivi di Calabria

Premiati gli alunni di Messignadi

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rande soddisfazione per la classe IA della Scuola media dell’Istituto Comprensivo Oppido - Molochio - Varapodio, che, con la narrazione Ulivi di Calabria, si è aggiudicata la vittoria per la Qualità dei contenuti al concorso Policultura Expo Milano 2016. La competizione, organizzata dal Politecnico di Milano, era rivolta a tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado, che sono state invitate a realizzare una narrazione multimediale interattiva, cioè un racconto nato dall'unione di testi, immagini, audio e video, su un argomento a scelta libera o collegato al tema dell’Esposizione Universale 2015, utilizzando 1001Storia, uno strumento autore creato da HOC-LAB, il laboratorio multidisciplinare del DEIB (Dipartimento del Politecnico dedicato alla ricerca nel campo dell’Elettronica, dell’Informatica e della BioIngegneria). Il concorso ha tenuto conto del grado scolastico della classe partecipante con -per ogni livello, - una giuria, costituita da esperti di comunicazione e pedagogia, da professori del Politecnico di Milano e dallo staff del Laboratorio HOC, che hanno selezionato i finalisti per le varie categorie e individuato i vincitori, basandosi su due parametri guida:

la Qualità del progetto didattico, e la “Media Literacy”, cioè la qualità della comunicazione multimediale, sia negli aspetti tecnici, sia negli aspetti comunicativi. La cerimonia di premiazione, trasmessa anche in streaming, si tenuta nella sede del Politecnico il 27 maggio 2016. Gli allievi della I A del Plesso di Messignadi, che sono stati premiati per la Qualità dei Contenuti, con la motivazione: “La narrazione tratta dell'ulivo in Calabria, risorsa che ha antiche origini e risulta ancora oggi preziosa per la popolazione. Il tema è trattato in profondità, con una notevole quantità di informazioni che vanno dalle origini degli ulivi in Calabria, per passare alle diverse varietà di ulivi coltivati e alla produzione di olio, senza dimenticare la necessità di preservare questa ricchezza anche nel futuro. Nel complesso la narrazione è esaustiva e ottimamente realizzata.” hanno ottenuto anche altri due riconoscimenti: la menzione speciale per la Qualità dei Contenuti per l'Esposizione Universale e la nomination per la migliore narrazione. Nella realizzazione del loro lavoro, essi sono stati guidati dalla prof.ssa Rosa Anna Cartisano, che ha ricevuto in merito una formazione specifica, seguendo un corso “Digital Storytelling a scuola”, riguardo l’uso delle tecnologie digitali per narrare storie, sempre

attraverso il laboratorio di ricerca HOC-LAB, molto attivo nel campo dell'e-learning fin dagli anni Novanta. Quella dello Storytelling, con cui i docenti possono sperimentare un “approccio moderno” dell’insegnamento, legato all’uso avanzato della tecnologia, è un’iniziativa avviata nel 2006 ed è la base di PoliCultura, il progetto per le scuole, non solo italiane (accanto alla competizione italiana, difatti, ne esiste una internazionale in lingua inglese), del Politecnico milanese, che ha coinvolto nel tempo circa 10.000 insegnanti e 100.000 studenti. Si tratta di un’esperienza molto interessante, dalla duplice valenza, comunicativa e, soprattutto, didattica, per le ricadute positive all’interno della classe: dallo sviluppo della capacità di usare gli strumenti multimediali per lo svolgimento di attività scolastiche alla capacità, da parte degli stessi alunni, di costruire prodotti multimediali. È questo un importante cambiamento, che, rispetto all’uso dei media, vede gli allievi creatori e non più soltanto semplici fruitori. Il risultato del lavoro svolto, infatti, è un sito web( HYPERLINK "http://www.policultura. it" www.policultura.it ), un Portale dedicato non solo alle narrazioni vincitrici, ma a tutte quelle partecipanti, dove queste sono rese visibili da PC, tablet o smartphone.


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Un pomeriggio di Aprile alla riscoperta di Palmi … in un connubio tra fede, storia e paesaggi…

M

artedì 5 Aprile, nel primo pomeriggio, sono giunti a Palmi, alcuni bambini delle classi quarte della scuola elementare “Ugo Foscolo” di Bagnara, provenienti da Varapodio, accompagnati dalle loro maestre. La visita, che rientra nel turismo didattico, è stata organizzata dal laboratorio didattico Bergarte di Mosè Diretto. In poco più due ore, grazie, principalmente, ad Antonio Tedesco (volontario del Movimento Culturale San Fantino attivo da anni per conoscenza storica e dei beni culturali del territorio di Palmi) e al sottoscritto (agronomo), partendo dal punto esatto da dove avviene “la scasata” della Varia, il percorso è poi proseguito verso piazza Matteotti (nella quale si trova una colonna di epoca romana), il Monumento ai Caduti, piazza primo maggio (con il nuovo lastricato in pietra lavica), per poi arrivare nella villa comunale “Giuseppe Mazzini” (che nel 1847, all’epoca “Piano delle Muraglie”, venne immortalata, in un dipinto, dal pittore e scrittore inglese Edward Lear), dove, oltre al magnifico panorama, sullo sfondo del mare azzurro, che da Capo Vaticano, passando per le isole Eolie, fa scorgere anche la sommità dell’Etna, nonché il lussureggiante monte Sant’Elia, è presente, tra i monumenti e il verde, un raro esemplare di chorisia insignis, un albero, originario delle zone semiaride del Perù, la cui caratteristica, principale, è la presenza di spine lungo il tronco. Un particolare che, però, non è potuto sfuggire è stato nel vedere, in ogni dove, il simbolo di Palmi, la palma delle Canarie (phoenix canariensis), che, falcidiata dal punteruolo rosso della palma (rhynchophorus ferrugineus), sta,

di Francesco Lacquaniti

forse, scomparendo per sempre! La visita guidata si è, poi, conclusa presso il Santuario del Carmine. Uno dei momenti più coinvolgenti è stato all’inizio quando Antonio Tedesco ha spiegato ai bambini la festa della Varia, fin dalle sue remote origini, con la quale si celebra l’Assunzione della Madonna in cielo, rappresentata da una fanciulla, “l’animella”, attraverso il suo trasporto trionfale, lungo il corso principale, su un carro sacro alto circa sedici metri, ad opera di duecento “mbuttaturi”. La Festa, che si celebra a Palmi, con cadenza pluriennale, l’ultima domenica di Agosto, rientra nella “Rete delle grandi macchine a spalla italiane” e fa parte, dal 2013, del Patrimonio orale e immateriale dell’umanità dell’U.N.E.S.C.O. Il momento maggiormente intenso si è, però, vissuto, nell’ultima tappa del percorso, presso il Santuario della Madonna del Carmine dove, il Rettore e Priore, Padre Carmelo Silvaggio, l’unico padre carmelitano presente oggi in Calabria, ha parlato ai bambini del miracolo della Madonna del Carmine avvenuto, sul far della sera, il 16 Novembre 1894. La chiosa finale si è, poi, avuta quando, Padre Carmelo, ha mostrato il fazzoletto con il quale vennero asciugate le lacrime della Statua della Madonna del Carmine (presente ancora oggi nello stesso Santuario), durante quei memorandi giorni di quasi centoventidue anni orsono. I bambini, al termine della loro bellissima giornata, hanno fatto, entusiasti, ritorno a casa… nella certezza che, quello appena trascorso, rimarrà, per sempre, un giorno da ricordare e da raccontare.


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Da Radicena in giro per il mondo di Antonio Violi

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a sempre piacere consultare un libro antico, capire dai caratteri della scrittura e da tutta l’impostazione che si tratta di uno scritto, comunque, di valore. Sapere pure che quel libro fu scritto da un conterraneo, invoglia a leggerlo. In questo caso ci troviamo di fronte alla più famosa pubblicazione di Giovanni Francesco Gemelli Careri, che nacque a Radicena nel 1651 e che, dopo aver viaggiato tantissimo, ci lasciò i racconti dei suoi viaggi effettuati soprattutto in oriente. Si tratta di un personaggio molto importante per la nostra terra e, anche se lui stesso loda i grandi viaggiatori che l’hanno preceduto (Amerigo Vespucci, Cristoforo Colombo e Vasco De Gama), noi, oggi, lo annoveriamo tra questi grandi viaggiatori per la caparbietà e l’importante patrimonio che ci ha lasciato delle cultura che ha visitato. Partì da Palmi nel 1693 ed al ritorno pubblicò le sue memorie, di cui questa prima stampa risale al 1699: “Giro del mondo del dottor D. Gio: Francesco Gemelli Careri. Parte Seconda, Contenente le cose più ragguardevoli vedute nella Persia, pubblicata a Napoli, nella Stamperia di Giuseppe Roselli”. Il libro inizia con l’introduzione dell’amico Matteo Egizio: “A chi vuole leggere”. Il

racconto originale è diviso in tre libri, di cui il primo è composto di 10 capitoli, il secondo di 9 ed il terzo di 5. Racconta di città, di matrimoni, di riti funebri, di re e di tutto quello che videro i suoi occhi. Ovvio che l’attenzione spesso è rivolta a quei costumi che più si differenziavano col mondo occidentale. Notò che, per quanto riguarda la religione, c’erano Maomettani, Pagani, Gori, Giudei, Cristiani, Nestoriani, Melchiti, Manichei, Franchi, e Armeni Cattolici, ma era maggiormente seguita la prima. Cita Alcuni discendenti di Maometto (pag. 134) che propagarono la religione “più con la spada che con le ragioni” ed ai seguaci della setta non era permesso “di sputarne” ma mantenerla con le armi. Ovvio che ogni viaggio in quelle terre lontane, nei tanti villaggi visitati, era un susseguirsi di nuove culture e di sorprese. Il nostro viaggiatore notava che maritavano le figliuole in età tenera e la loro legge permetteva di tenere nello stesso tempo quattro mogli legittime, delle quali una era quella vera e la principale chiamata Zana codesa, le altre venivano chiamate Motha. Prendevano tante concubine, quante ne volevano. Poi, in caso si pentissero della loro unione “la donna domandava il suo dotario”, detto tilac,

dopodiché “alla presenza del dottor della legge si scioglievano dal nodo matrimoniale”. Con occhio fine, notò che le mogli certamente erano custodite con grande gelosia, però i poveri non si turbavano molto nel vederle corteggiate e cortesi con gli amanti. Descrive anche il loro abbigliamento costituito da camice di seta colorata o di bambagia di vari colori. Le braghe li portavano molto lunghe fino alle caviglie e le calze erano molto larghe sopra e sotto. Ma, il racconto, ovviamente, è lungo e vario perché le città, le grandi terre ed i popoli visitati furono tantissimi. La seconda edizione del libro “accresciuta e ricorretta” fu pubblicata a Venezia nel 1728, in tutto 9 volumi con indice dei viaggiatori e delle loro opere, diviso in tre libri, più la tavola dei capitoli. Note 1 – Giro del mondo del dottor D. Gio: Francesco Gemelli Careri. Parte Seconda, Contenente le cose più ragguardevoli vedute nella Persia, Napoli, Stamperia di Giuseppe Roselli, 1699; Giro del Mondo del Dott. D. Gio: Francesco Gemelli Careri. Nuova edizione accresciuta, ricorretta, e divisa in nove volumi. Con indice de’ viaggiatori, e loro opere. Tomo Secondo. Contenente le cose più ragguardevoli vedute nella Persia. Venezia, MDCCXXVIII, Presso Sebastiano Coleti.


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Da sinistra: A. Ambrosoli, E.L.Castronuovo, F.Idotta, Il Curatore F.to Mannino

"Appunti e saggi di critica letteraria" del nativo di Melicuccà Giuseppe Fantino curato da Fortunato Mannino

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ell’Aula Magna dell'Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria è stato presentato il libro di “Appunti e saggi di critica letteraria” per valorizzare gli scritti del nostro conterraneo Giuseppe Fantino curato da Fortunato Mannino. L’Università per Stranieri, spesso dedica la sua attenzione alle grandi personalità del territorio calabrese. Giuseppe Fantino è stato novelliere, romanziere, critico letterario e drammaturgo ma i suoi scritti sono stati fino ad oggi ignorati o ancor peggio, snobbati, dalla critica letteraria ufficiale. Nonostante questi scritti abbiano ricevuto encomi e premi, sia in vita che dopo la morte dell'autore, queste sue opere non sono mai state ristampate. I manoscritti editi e inediti, i diari, gli appunti attendono da anni di essere consultati e studiati ma nessuno sa della loro esistenza, sembra che siano caduti in un oscuro oblio. L’associazione culturale “Scampoli”, diretta dal Presidente Fortunato Mannino, si è proposta di portare in auge e di curare la pubblicazione di alcuni scritti editi e inediti del letterato calabrese, allo scopo di valorizzare e divulgare l’importante percorso

umanistico dello sfortunato autore calabrese. Nato a Melicuccà (RC) nel 1908, Giuseppe Fantino - come il suo amico e collega compaesano Lorenzo Calogero - produsse una vasta quantità di manoscritti. Fin troppo ignorato dalla critica ufficiale, finalmente il suo con-

di Francesco Di Masi

siderevole pensiero è adesso presentato grazie allo studio e alle analisi dei suoi elaborati letterari, dei suoi diari e dei suoi appunti finora trascurati. “Appunti e saggi di critica letteraria" editi da "Il Rifugio", è una selezione dei suoi saggi critici d'illustri scrittori e poeti italiani e non, quali: Vittorio Alfieri, Lorenzo Calogero, Jean Cau, Orphée, Pièce De Jean Cocteau, Tommasi di Lampedusa, Anna Frank, Ugo Foscolo, Carlo Goldoni, Giuseppe Mazzini, Alberto Moravia, Ada Negri, Alfredo Oriani, Giovanni Papini, Giovanni Pascoli, Leonida Repaci, Francoise Sagan, Giovanni Verga. Nel corso dell’incontro sono intervenuti per portare il loro apporto di conoscenza per valorizzare l'importanza di questa figura finalmente riscoperta: il curatore Fortunato Mannino, docente di Lettere, Eduardo Lamberti Castronuovo, Assessore alla Cultura della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Bova, Presidente della Società Dante Alighieri, Francesco Idotta, docente di Filosofia e Storia, Angela Ambrosoli, docente e vicepresidente As.Pe.I. di Reggio Calabria. Altri inerventi da parte dei partecipanti hanno concluso l'interessante incontro apprezzato e qualificato.


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Gioia Tauro: di Caterina Sorbara

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Concorso Letterario "Pina Alessio"

i è svolto il 9 Luglio a Gioia Tauro, sull’incantevole terrazza di Palazzo Baldari, la cerimonia di premiazione della seconda edizione del concorso letterario intitolato alla compianta Pina Alessio, stimato medico gioiese. L’evento si è aperto con i saluti del Presidente della Fondazione Giuseppe Alessio che ha firmato insieme al Sindaco di Gioia Tauro Giuseppe Pedà, la convenzione per l’affidamento di un bene immobile, da parte del Comune alla Fondazione: un ex hotel sito nella Strada Provinciale 1, dove nascerà un centro polivalente. Centro fortemente voluto dalla Fondazione Pina Alessio, dove sarà realizzato un centro per disabili. Subito dopo l’annuncio, è stato scoperto il plastico del futuro centro, realizzato dall’architetto PierValentino Marino. Mons. Francesco Milito, Vescovo della Diocesi Oppido-Palmi, ha lodato l’importanza del progetto perché saranno al centro gli ultimi. Come dice il Vangelo è importante fare dell’altro il punto di riferimento. A seguire, il saluto del Sindaco Pedà, nominato socio onorario della Fondazione e l’intervento dell’assessore alla cultura, Francesco Toscano che ha sottolineato il prestigio dell’iniziativa. Ha magistralmente presentato la serata la Dott.ssa Maria Teresa Bagalà, Responsabile del Comitato Culturale della Fondazione. Emozionante il momento della consegna dei premi per le migliori poesie e racconti. Un boom di elaborati sono arrivati da tutta l’ Ita-

lia, persino uno dal lontano Canada. Per la Sezione Studenti, è stata premiata la giovanissima Aurora Polimenti per il suo racconto “Amore e dolore”. Sempre per la Sezione Studenti, è stata premiata Adelasia Barresi per la sua poesia “Silenzio Sospirato”. Secondo e terzo posto ad altri due giovanissimi, Albanese Domenico per la sua “Ti cercherò” e Elena Micali per i suoi versi in “Non maledico la vita”. Per la Sezione Adulti è stata premiata per il suo racconto “Castelli d’amore” Teresa Martino, che si è aggiudicata il primo posto. Sul podio anche Carlo Monteleone con il suo racconto “Pensieri davanti al mare” e Donatella Dariel con “Tra le braccia di Morfeo”. Migliore poesia per la sezione adulti “Con i bambini” di Antonio Giordano, palermitano di origine che da anni vive a Torino, mentre la poesia “Oltre la vita” del gioiese Antonio Ietto si è aggiudicata il secondo posto. Premiato infine anche Giuseppe Salvatore per la sua poesia “Chiara”

che si è aggiudicata il terzo posto. Gli intermezzi musicali sono stati curati da Raimonda Ruginyte e da Antonella Vissicchio; mentre nei locali della biblioteca sono state esposte le opere di Pasquale d’Angeli e Luigi Greco. Nel corso della cerimonia infine è stato anche presentato Arturo de Maio, vincitore del Premio Agol Giovani Comunicatori, per il progetto pubblicitario da lui realizzato. Membri della commissione giudicatrice per gli elaborati ricevuti sono stati: lo storico Antonino Catananti Teramo; la Presidente dell’Auser Madre Teresa di Calcutta di Taurianova, Rosa Romeo e la Presidente dell’Associazione Culturalmene di Amato, Maria Fedele. Nel corso della cerimonia, Giuseppe Alessio ha nominato il Sindaco Pedà socio onorario della fondazione e gli ha consegnato una medaglia d’oro realizzata da un orafo gioiese. Numeroso il pubblico presente, tra cui Don Antonio Scordo, parroco del Duomo di Gioia Tauro e la pittrice Giusy Gaglianò.


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Il premio, ideato da “Librarsi”, dedicato al giornalismo e alla letteratura, ricorda un uomo semplice, giornalista e sportivo fuori del comune, anzitempo scomparso

Delianuova: I Edizione premio "Pino Anfuso"

Il poeta dell'immagine

N

el salotto di “Librarsi” in Aspromonte si è svolta la I Edizione del Premio GiornalisticoLetterario “In memoria di Pino Anfuso”, cineoperatore Rai, scomparso un anno fa. L’evento è stato organizzato da Caterina Di Pietro e Raffaele Leuzzi, moderatore dell’incontro, che ha ricordato Pino Anfuso ripercorrendo le tappe della sua vita di professionista dell’immagine e dell’informazione televisiva dedito al lavoro, alla famiglia e alle motociclette, pacioso e sorridente. “Amava il suo lavoro - ha affermato - coronato dalla passione per le fotografie e le moto”. Sempre presente nelle importanti occasioni, ha dedicato a Delianuova un servizio dal titolo “Il paese dello smeraldo”. Marisa Barbaro ha ringraziato gli organizzatori e i colleghi accorsi a rendere omaggio alla memoria del caro marito. E’ seguito un intermezzo musicale di Davide Sergi, Domenico Gioffrè ed Emanuele Sergi. Ad onorare il ricordo di un grande professionista e amico, alla presenza di una delle due figlie e della moglie è intervenuto Gregorio Corigliano che lo ha definito “accomodan-

te e disponibile, fuori dal normale”. Per Mimmo Nunnari era “equilibrato, amante del suo lavoro, semplice, e i suoi lavori non necessitavano di manipolazioni”. Per Orazio Cipriani “Franco Bruno con la penna e Pino Anfuso con le immagini riuscivano a realizzare importanti servizi. E’ necessario impegnarsi affinché le responsabilità sulla sua scomparsa vadano accertate”. Pasqualino Pandullo ha letto una missiva dedicata a Pino e Musumeci lo ha definito “maestro di immagini”. Karen Sarlo ha sottolineato la perdita subita nel mondo del giornalismo, per la redazione per la quale lavorava, ma anche per il grande pubblico. “Il suo amore per la musica - per Pino Guglielmo - lo portava spesso a Delianuova attratto dall’Orchestra di fiati Nicola Spadaro” e per Carlo Macrì “riusciva a far diventare i suoi lavori degli affreschi”. Giovanni Scarinci e Franco Arcidiaco lo hanno definito “onesto e leale lavoratore, disponibile al dialogo ed al confronto, instancabile e sorridente”. Per Michele Albanese, “Pino amava questa terra e le sue contraddizioni, lottava per questo territorio. Occorrono nel mondo del giornalismo, meno vol-

di Marinella Gioffrè

ti, meno firme, più verità, più giustizia”. Domenico Frisina, giovane orafo scidese che ha scelto di non emigrare ma di sviluppare il proprio progetto artistico nel paese di origine, ha realizzato il Premio, “consistente in una soglia di marmo e vetro, con diamantatura e taglio in ottone, rappresentante un omino con un libro e l’operatore che riprende”. Vincitore della I Edizione del Premio giornalisticoletterario è Mimmo Nunnari, “giornalista di prim’ordine che unisce alla passione giornalistica il pregio di essere un’ottima penna, regalando ai lettori pagine ed emozioni uniche”. Ha consegnato il premio Marisa Barbaro.


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di Natale Pace

Achille Cofano

La scultura e l’arte nel destino

L’

arte e la scultura erano scritte nel destino di Achille Cofano prima ancora che egli nascesse alla vita; nel destino di Achille c’era che egli sarebbe diventato un grande artista nella lavorazione di materiali classici - marmo, bronzo e soprattutto, quello che egli predilige: la terracotta. Achille Cofano è nato a Reggio Calabria l’8 Gennaio 1975 (battezzato a Palmi nella Chiesa di Maria SS. del Soccorso un mese e un giorno dopo), da madre palmese e padre salentino. Dopo la prematura scomparsa del padre (anch’egli artista), avvenuta nella prima adolescenza, Cofano ha compiuto gli studi artistici a Lecce, allievo dello scultore Sergio Sebaste (uno dei discepoli prediletti di Pericle Fazzini) continuando la propria formazione, alternata con altri studi, a Roma. Sin dall’infanzia di Achille, a una certa ora compare la memoria dello zio materno Nicola Gullì, grande scultore di fine ottocento, emigrato per motivi politici in Argentina ove abbellì le piazze delle principali città con importanti, monumentali sculture e bassorilievi (per altre notizie vi rinvio al mio scritto che trovate su: www.ilsudonline.it/468202; e sul mio sito: www.natalepace.it) Il giovane rimane come ammaliato dalle notizie che attraverso le sue ricerche riesce a recuperare e che gli danno la certezza di avere nel sangue e, dicevo, nel destino la stessa ispirazione artistica, la stessa strada da seguire. Ho conosciuto per la prima volta Achille Cofano a Palmi, in occasione della inaugurazione del Monumento ai Vigili Urbani caduti in servizio, uno straordinario bassorilievo collocato nel primo ingresso del

Municipio. Non diventammo subito gli amici che siamo, ma rimasi colpito quando una massa di capelli scomposti, bohemienne, salì sul piccolo palco per spiegare il suo lavoro. E non c’è cosa peggiore per un artista che parlare di una sua opera o per un poeta di leggere una sua poesia. Oltretutto quella mattina i palmesi sembravano più incuriositi dal personaggio che dalle sue spiegazioni tecnico-artistiche. Achille a Palmi aveva già lasciato alcuni importanti lavori: due dei quattro pannelli in bronzo che impreziosiscono la restaurata Fontana dei Canali in piazza Lo Sardo, la stele artistica dedicata a Mario Bagalà, amato personaggio della cultura popolare palmese, collocata nella parete della casa di Mario e il busto in gesso del pittore Domenico Augimeri, anch’egli ritrattista coevo dello zio Gullì (ma tu guarda i casi della vita!). Poi sempre a Palmi, dall’Associazione Prometeus, gli viene commissionata una monumentale scultura in bronzo raffigurante un pescatore della Tonnara che lavora seduto a riparare le reti, mentre in piedi, la sua donna, gravida, guarda lontano verso l’occidente marino, verso un punto che a seguire lo sguardo si individua oltre lo Scoglio dell’Ulivo, dal quale da sempre il suo uomo ritorna dopo le nottate di pesca. Io ho visto altre belle opere di Achille Cofano (tra cui un monumento in bronzo alla “Santa Vergine” realizzato anni fa per una chiesa di Cerignola, in provincia di Foggia) ed altre spero di ammirarne in futuro, magari tecnicamente più pregiate, rifinite, simbolicamente più dense di significati, ma non si ripeterà mai, credo, salvo a smentirmi Achille come spesso riesce, l’emozione provata una prima volta a Maglie, quando Prometeus e il

suo vulcanico Presidente Saverio Petitto, organizzarono un viaggio per visionare la prima parte dell’opera, il pescatore ed io vi partecipai da assessore in rappresentanza istituzionale del Comune. Tolta la coperta, venne alla luce un personaggio vivo, muscoloso ma delicatissimo nell’atto di riparare la rete da pesca che tratteneva tirata tra due dita del piede e non mi riuscì più di staccarne gli occhi. E anche a tutti gli altri. Lui, Achille, come sempre sembrava stupito dalle reazioni entusiastiche di noi tutti; una foto, un autografo sul depliant, ma sempre schernendosi, tentando di apparire il meno possibile. La bellissima statua adorna oggi il quartiere popolare dei pescatori di Tonnara, rispondendo in pieno simbolicamente alla volontà degli amici di Prometeus e dell’Amministrazione comunale che anche i quartieri più degradati hanno diritto alla riqualificazione artistica. L’opera è stata adottata dai tonnaroti e guai a chi gliela tocca. Miracolo di Achille Cofano. In una recente mail, mi spiegava con dovizia di particolari le sue predilezioni circa il materiale, credo che niente meglio delle sue parole possa dare il senso delle scelte artistiche e ve le propongo: «In questo periodo prediligo la terracotta, materiale nobilissimo, poiché traduce in forma plastica il diretto e genuino segno delle mani di uno scultore, della loro vibrazione, del loro calore. Sebbene, apparentemente, l’iniziale modellazione non consenta eccessivi movimenti (per via della necessità di svuotare con cura le masse d’argilla), l’esito della lavorazione restituisce, nudo e crudo, un artista: nel bene o nel male egli “verrà fuori” dalla cottura coi suoi limiti e con le sue virtù; quel che più importa - al di


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Un artista che predilige modellare, e la creta è unica per questo

là dei mezzi espressivi adottati, siano essi figurativi (come nel mio caso) o al contrario informali - con la propria capacità di fare poesia. La freschezza e la genuinità della terracotta derivano principalmente dall’assenza di mediazioni, diversamente da quanto accade con l’opera finale in bronzo, a causa degli obbligati passaggi tecnici cui è vincolata (formatura, fusione, cesellatura); a differenza persino del marmo che “nel togliere” necessita di svariati strumenti, specie quando questi ultimi si adoperino - per esigenze pratiche - con aiuti meccanici, perdendo quella morbidezza di tocco e quella stessa imprecisione

(positiva) che - dopo la sbozzatura - solo la modulazione naturale della forza, con la quale il polso guida ogni segno della gradina, può rendere». Un artista dunque che predilige modellare - e la creta è unica per questo - legato agli stilemi classici, che richiama per alcuni aspetti più che le opere dello zio Gullì, il classicheggiante di Michele Guerrisi che di Gullì e Augimeri fu maestro. Sì per alcuni aspetti Cofano ci ricorda Guerrisi, mancando però dei modelli dalla scultura di epoca fascista che caratterizzarono il palmese di Cittanova, ma poi egli perfeziona con lo studio della struttura fisica

dei personaggi approfondito e sviluppato stilisticamente, allontanandosi dalla strada neo-classica e per questo assumendo caratteristiche di una scultura moderna, che più moderna non si potrebbe. A Maglie, vicino Lecce, città in cui l’artista ha il suo studio, Achille Cofano ha realizzato vari artistici lavori, tra i più recenti segnaliamo: un bassorilievo in bronzo a “Francesca Capece” (prossimo ad essere inaugurato sulla facciata dell’omonimo palazzo sede del locale Liceo Classico nella piazza maggiore della cittadina), ed un busto che egli ha da poco ultimato in occasione del centenario della nascita dell’artista salentino G. Mangionello. Nella città di Aldo Moro, inoltre, a questo giovane lo scorso anno è stato conferito il “Premio Meridiana” per la cultura, uno dei più prestigiosi riconoscimenti nel panorama culturale del Salento. Noi siamo felici dell’amore che la Puglia riserva a questo bravo figlio di Palmi che prosegue la grande tradizione d’illustri palmesi, Cilea, Manfroce, Repaci, Cardone, Altomonte, Augimeri, Gulli che nei secoli hanno portato per il mondo una palmesità di cui andare fieri. Gli artisti, i grandi artisti, vanno soltanto omaggiati e ringraziati. Grazie Achille Cofano!


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Natura morta

Vittorio

San Giorgio Morgeto, l'arte di Rinaldo De Maria di Francesca Agostino

Solidarietà e Filantropia

Efficace rappresentazione delle radici profonde della tradizione europea

P

aesaggi campestri, natura selvatica, ritratti, la città di origine, un antico borgo medievale dell’Italia meridionale. Sono questi i temi della sperimentazione artistica di Rinaldo De Maria, maestro di origine calabrese (San Giorgio Morgeto la città di origine) la cui interpretazione del reale viene riproposta su tela, con la stessa naturalezza del linguaggio parlato come manifestazione del sentimento e dell’intimo sentire. Una rappresentazione realista e al contempo impressionista, che esprime le radici più profonde e autentiche della tradizione europea, fondata sulla base dell’umanesimo, della solidarietà e della filantropia e nata con l’obiettivo di tutelare i diritti umani. E l’umanità, in tutta la propria realtà, è proprio un tratto ricorrente delle opere di De Maria. Analizziamo le tele partendo dal principio, dall’origine di una vocazione artistica che parte da lontano ed emerge sin dall’infanzia, quando, come ci racconta l’artista, durante l’unica ora settimanale di disegno artistico, un bambino ancora inconsapevole delle proprie attitudini sperimenta una forma di comunicazione unica nel suo genere: la rappresentazione figurativa della realtà. “Il mio primo lavoro di pittura è un ritrattino a olio, realizzato su un foglio di cartoncino per combattere la noia derivante da una convalescenza: da lì ha avuto inizio la mia “avventura” pittorica: un caro e prezioso Amico mi ha incoraggiato a continuare (Grazie P.G.C.)”. Anche per De Maria, come molte altre esperienze artistiche e letterarie (si pensi ad esempio alla pittrice messicana Frida Kahlo, che sperimentò

le proprie doti artistiche durante la lunga convalescenza dopo un drammatico incidente, o ad Ernest Hemingway, che proprio durante mesi di ricovero in ospedale redasse il capolavoro letterario “Addio alle Armi”), dunque, è proprio un evento della vita negativo, come può essere l’immobilismo al quale l’artista è costretto a causa di un incidente fisico, a conferire esaltazione alla dimensione fantastica e immaginaria. Come se la vita volesse mettere coloro i quali sono in possesso di determinate attitudini, ma non ne sono ancora pienamente consapevoli, dinanzi alla loro dote naturale o meta-naturale, che è appunto, il dono dell’Arte. Il realismo, un tratto autentico della composizione di De Maria, parificabile per effetto semantico e profondità del sentimento suscitato, senza

Silvia come primavera

esagerazioni né forzature, all’autenticità e fedeltà stilistica del Caravaggio. La realtà è rappresentata in tutta la sua irruenza, senza migliorie né variazioni. Così il frutto ammaccato della natura morta, così gli abiti sgualciti dei personaggi ritratti, così le espressioni profonde e universali di un popolo al contempo riservato, provato dalle difficoltà dell’esistenza, ma capace di mantenere ferma e ben salda la propria dignità. Ad una prima analisi della vastissima produzione artistica di De Maria, è possibile identificare due filoni: da una parte, il complesso di rappresentazioni paesaggistiche e naturalistiche; dall’altra, la ritrattistica. Il primo filone identifica la concezione esterna del reale, il rapporto con la natura, con il mondo esterno; il secondo invece apre lo scenario sulla introspettività dell’indole dei personaggi, spesso selezionati tra persone “note” del luogo e connotate da una profonda umiltà. Due piani di interpretazione che non rimangono comunque tra loro separati, ma anzi sono strettamente connessi ed interrelati, nella misura in cui alla dimensione introspettiva, efficacemente resa e rappresentata dalla forte carica emotiva ed espressività vitale dei personaggi impressi su tela, corrisponde senza contraddizioni l’essenza dell’ambiente circostante, caratterizzato dalla natura selvatica ed indomabile, ma al contempo, altamente suggestivo e complessivamente armonioso. Ambiente e società divengono così un unico blocco, rappresentativo di una perfetta integrazione tra uomo e natura, laddove il fascino e la selvaticità dell’ambiente da una parte, e l’equilibrio ed armoniosità espressiva dei


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Ulivi e paesaggio

personaggi, dall’altra, si incontrano nel mezzo, in un unico e favoloso racconto storico. Così, l’arte non è solo rappresentazione, ma diviene emblema e simbolo unificante di una società che in essa si identifica, e che in essa ritrova sé stessa. Le opere del De Maria in questo senso hanno anche una funzione e responsabilità sociale, considerata la loro attitudine a proporsi quale ritratto oltre che specchio di un popolo e di una civiltà, e tenere salda la mentalità prevalente su un parametro, che è quello del sentimento comune diffuso, della storia e dell’origine della civiltà. Un altro tema ricorrente, che però rifugge dalle classificazioni sopra illustrate, è quello dell’iconografia religiosa dedicata a San Giorgio Megalomartire. Una figura centrale per la tradizione della città di origine, San Giorgio Morgeto, ma anche per la tradizione italiana ed europea. La figura di San Giorgio è, infatti, essa stessa un tratto di identificazione unificante per la cultura europea, e rappresenta quei valori virtuosi di coraggio, giustizia, libertà e liberazione. “Le gesta che lo hanno innalzato agli ono-

ri dell’altare”, afferma Rinaldo, “sono valori universali di civiltà ai quali, ogni uomo, di qualunque condizione sociale, dovrebbe fare riferimento nel condurre il breve e difficile arco della vita”. Alla domanda rivolta all’artista: che cosa rappresenta l’arte nell’esistenza umana e qual è il ruolo dell’artista nell’era contemporanea? L’autore risponde: “L’arte! Che cos’è l’arte! E’ il veicolo per consegnare alle nuove generazioni un futuro che contrasti le espressioni più negative dell’uomo. L’arte deve sensibilizzare ed educare all’apprezzamento del bello e dei sentimenti più nobili che l’uomo è capace di esprimere: un mondo senza arte è un mondo senza futuro (le vicende politico-religiose attuali lo dimostrano ampiamente).” E aggiunge: “Credo che l’artista, consapevole di avere avuto dalla natura una caratteristica particolare ed una sensibilità specifica per il godimento delle cose belle che arricchiscono l’anima, debba adoperarsi affinché, oltre a produrre, educhi il prossimo alla comprensione dell’arte stessa, ponendo come obiettivo l’affinamento culturale che

conduca al godimento ed alla comprensione di ogni messaggio artistico (nobilitante). Alla domanda: esiste un’opera alla quale sei maggiormente legato? De Maria risponde: «E’ un ritratto: “Silvia come primavera”. E’ il ritratto di mia figlia Silvia in costume carnevalesco raffigurante la primavera. Lei seduta con una acconciatura di capelli arricchita di fiori finti; avvolta in un vaporoso vestito giallo, sul quale sono applicati altri fiori finti di stoffa colorata, che fanno da contrappunto ad un vaso istoriato poggiato su un tavolo, dal quale spuntano dei rametti di pesco (veri) in fiore. A fianco appese al tavolo due maschere: una con espressione triste, l’altra con espressione ridente. Il tutto in un simbolismo che rappresenta la vita, (tragedia e commedia): realizzato in un momento particolare della mia vita». “Tragedia” e “Commedia”, questa è la metafora della vita nell’interpretazione di Rinaldo De Maria; perché in fondo, come affermava il drammaturgo statunitense Arthur Miller, “Il teatro è così infinitamente affascinante perché è così casuale. E’ come la vita”.


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VI PARTE

I sette vizi Capitali

di Domenico Caruso

”L'accidia”

nella letteratura e nel folklore

L’

accidia, a differenza degli altri vizi capitali, è un peccato per difetto. Dal greco akédia (incuria, indolenza, trascuratezza), per gli antichi non rappresentava una colpa ma semplicemente un modo di essere, di cui nessuno di noi è immune. La Chiesa, dando ragione alla vox populi, interpreta l’accidia come negligenza nel compiere il dovere e perdita di fervore che conducono alla perdizione: “l’ozio è il padre dei vizi”. L’apatia nell’agire, che all’inizio appare come uno stato d’animo negativo di scoraggiamento, diviene peccato quando cede all’attività che si dovrebbe intraprendere. Per difendersi dal male i monaci, in particolare i benedettini, hanno come loro programma: ora et labora. Accompagnandosi al tedio e alla malinconia, San Tommaso nella Summa theologica definisce tristitia l’oscuro sentimento. Durante il Medio Evo appare tutta la gravità dell’avversione ad operare poiché, oltre al fisico, implica il torpore spirituale che non risparmia neppure asceti e cristiani. Un’autorevole conferma ci viene da Dante, che condanna gli accidiosi sprofondandoli nella palude stigia dell’Inferno: Fitti nel limo, dicon: /- Tristi fummo/ nell’aere dolce che dal sol s’allegra, / portando dentro accidioso fummo:/ or ci attristiam nella belletta negra - (Inf. VII, 121-124). Nel mondo allietato dal sole i neghittosi furono tristi per l’inerzia che ha annebbiato la

loro anima, qui lo sono maggiormente nella melma fetida. Non meno dura è la pena nel Purgatorio, dove gli ignavi sono costretti a rincorrersi senza sosta e si sottopongono ad una sfibrante tensione per esprimere il desiderio di riparare alla loro negligenza: Noi siam di voglia a muoverci sì pieni, / che restar non potrem; però perdona, / se villania nostra giustizia tieni. (Purg. XVIII, 115117). Mentre la letteratura ci presenta la gravità dell’accidia, i nostri avi si sof-

fermano al piacere dell’horror vacui, del vuoto che attrae: Cu’ fatiga ‘na sardina, / cu’ sta a spassu ‘na gadina.(Chi lavora viene ricompensato con una

sardina, chi sta in ozio con una gallina). Cu’ zappa ‘mbìvi all’acqua, / cu’ futti ‘mbìvi a’ gutti.(Chi fatica nei campi si disseta con l’acqua, chi frega beve il vino dalla botte).‘U primu pani jè pe’ vagabondi. (Gli oziosi godono il privilegio anche sul pane). Sant’Antoni ‘ndavi trìdici gràzzii o’ jornu pe’ vagabondi. (Sant’Antonio elargisce tredici grazie al giorno per i fannulloni). All’ortu du’ Signuri càmpanu tutti. (Anche per gli sfaticati c’è la Provvidenza). In un proverbio del nostro S. Martino (Reggio Cal.) si rileva come l’uomo inattivo sia anche cattivo verso il prossimo: Cu’ sedi cunta i passi ’i cu’ camina. / Cu’ jè avanti curri e cu’ jè arretu scurri. (Gli scansafatiche contano i passi di chi cammina. Chi è avanti corre e chi è indietro lo fa ancora di più). Il travaglio, purtroppo, logora: Se ‘a fatigha jèra bbona’a facìanu puru i cani. (Se il lavoro fosse piacevole lo farebbero persino i cani). Ed ancora: Se ‘a fatigha jera bbona, l’ordinàvanu puru i medici. (Se il lavoro facesse bene, lo prescriverebbero pure i medici). Ha ragione Eduardo De Filippo quando si preoccupa: - Cuncè, che brutto suonno che mi sò fatto stanotte. Mi sono sognato che lavoravo - (Da: Natale in casa Cupiello). «Chi non lavora non mangia» ordinava Lenin, rifacendosi a suo modo alla regola di San Paolo: Si quis non vult operare, ne manducet. (2 Ts 3,10). “ Chi non vuol lavorare, non deve neanche mangiare ”. Si dice nei paesi della nostra Piana: - Pitozzu, Pitozzu,


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Se ‘a fatigha jera bbona, l’ordinàvanu puru i medici

‘u travàgghju no’pozzu! - Pitozzu, Pitozzu, mu màngiu mi sforzu! - Iucundum… nihil agere. (Dalle: Epistole). Il dolce far niente di Plinio il Giovane trova riscontro nel nostro folklore, essendo allettante la vita di Michelaccio che:- Faci l’arti di Cafassu: màngia, ‘mbìvi e staci a spassu! - L’accanito poltrone: - Havi i cadi ‘ndo culu! (Ha i calli nel deretano!) Al fannullone si apostrofa:- Mina muschi! (Mena mosche!) - Aiuta a cu’ no’ fa’ nenti! - (Aiuta chi non fa niente!) E il vagabondo, di rimando: - No’ pani vògghju e no’ fìlici metu! - (Non chiedo pane e non mieto felci!). E’ nota la storiella del pelandrone, che sta supino con la bocca spalancata sotto una pianta di fico dai frutti maturi e sospira: - Mi mangiarrìa du’ fica, ma cu’

si leva? - (Consumerei due fichi, ma chi si alza?). All’improvviso gli cade un frutto in bocca e si rammarica: - E mmo’, cu’ ti màstica?. - (Adesso, chi ti mastica?) In un gioco del passato quando il pane scarseggiava, voltati di schiena con le braccia dell’uno incrociate a quelle dell’altro, due fanciulli sollevandosi a turno ripetevano la cantilena:- Pùlici, lèvati ch’è jornu! - (Pulce, alzati che si è fatto giorno!) Se mi levu vògghju pani! - (Se mi levo voglio del pane!) - Tornati a curcari! - (Torna a dormire!). Un tempo, l’uomo che si presentava presto al lavoro dei campi al termine veniva pagato dal padrone; chi si alzava tardi rimaneva a spasso e a mani vuote. Da qui il detto: - Cu’ si leva ’u matinu ’mbusca ’u pani e ’nu carrinu; cu’ si leva a

menzijòrnu ’mbusca ’nu cornu! - (Il pane e un carlino per il mattiniero; un corno… per chi si leva a mezzogiorno!). Dello stesso significato sono altri aforismi popolari:‘A gadhina chi camina si ricògghj a panza chjna. (La gallina che cammina trova da rimpinzarsi il gozzo). - Se voi pemmu arricchisci, fatiga quando t’incrisci! - (Se vuoi arricchire non ti fare cogliere dall’ozio, poiché il tempo è denaro!) L’anima dell’infingardo - infine - è come una pozza putrida, mentre quella dell’uomo operoso richiama alla mente l’acqua viva: Quell’ onda che rovina / dalla pendice alpina,/ balza, si frange e mormora,/ ma limpida si fa. / Altra riposa, è vero, / in cupo fondo ombroso, / ma perde in quel riposo tutta la sua beltà. (Metastasio)

AICol

ENTel

ALS

FEDER.Agri

CAA

Federazione Pensionati M.C.L.

CAF

PATRONATO SIAS

CEFA Ong

SNAP

Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori

Associazione Lavoratori Stranieri

Centro Assistenza Agricola

Centro Assistenza Fiscale

Centro Europeo di Formazione Agraria

EFAL

Ente Formazione Addestramento Lavoratori

Ente Nazionale Tempo Libero

Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura

Servizio Italiano Assistenza Sociale

Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati Dipinto - olio su tela 220 x 110: l'Arcangelo San Michele

Gioia Tauro Via Monacelli, 8 Taurianova Via Benedetto Croce, 2


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Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana La Madonna di Loreto in Castellace a cura di Diego Demaio

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In una nicchia della navata sinistra della Chiesa dell’Assunta in Castellace (Oppido Mamertina) è ben visibilmente collocata la pregevole scultura della Madonna di Loreto con in braccio il sorridente Gesù Bambino. La bella statua in marmo di Carrara, unanimamente attribuita al maestro toscano Giovambattista Mazzolo, è alta cm 168 (incluso lo scannello di cm 32). L’interessante opera è stata scolpita nell’anno 1542. Tale data è tuttora chiaramente leggibile, in quanto incisa sul disco di base. L’artistico scannello mamertino raffigura, mirabilmente, nel riquadro centrale la Santa Casa trasportata dagli Angeli e, nelle due facce laterali, l’Arcangelo Gabriele e l’Annunciata. L’episodio della traslazione della Santa Casa di Maria fu un tema largamente utilizzato dalla cultura figurativa della Controriforma. In esso si illustra il miracoloso trasferimento della dimora della Vergine da Nazareth, minacciata dall’invasione musulmana, a Loreto (Ancona). Secondo l’autorevole MESSALE ROMANO QUOTIDIANO, stampato nel 1953 dalle Edizioni Paoline, la Santa Casa (dalle dimensioni di metri 9,52 di lunghezza, metri 4,10 di larghezza e metri 4,32 di altezza) fu dapprima trasportata in Dalmazia per essere poi collocata, sotto il Pontificato di Celestino V, nelle Marche. La Madonna di Loreto è stata proclamata, da Benedetto XV, Protettrice degli Aviatori e di coloro che viaggiano in aereo. La Madonna di Loreto (Foto Dr. Diego Demaio - Riproduzione vietata)



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