Corriere della piana - n.39

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Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro - Nuova serie, n° 39, Anno 2016 - “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Aut: ATSUD/CZ/518 val. dal 13/10/15”

Ombre lunghe sulla Calabria

In regalo SPORT MAGAZINE (24 pagine)

La scuola è morta ?

Mattarella: La Calabria può farcela

Famiglia: Quale futuro ?

La giornata della memoria


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Corriere della Piana del 26 Febbraio 2016

sommario

La morte di Andrea Mantineo Improvvisamente, il 12 Gennaio si è spento a Ostia il Luogotenente dei Carabinieri, Andrea Mantineo: una delle figure carismatiche dei militari che scrissero, negli ultimi 40 anni, la storia del contrasto alla criminalità nella Piana del Tauro. Mantineo, che seppe essere anche leader carismatico per i propri subalterni ed esempio di vita e di amicizia per tutti gli appartenenti alla famiglia dell'Arma, aveva concluso la propria carriera nella città laziale dove aveva poi abitato fino alla prematura e improvvisa scomparsa. Fu nominato Cittadino onorario dei comuni di Taurianova, Molochio, Anoia Inferiore, Terranova Sappo Minulio e Varapodio a conferma della stima e del generale apprezzamento e rispetto che il territorio gli riconosceva. Il Corriere della Piana associandosi al condiviso cordoglio, porge dalle colonne di questa rubrica che rappresenta il primo momento di approccio ad ogni numero del giornale, i sensi della propria vicinanza alla famiglia dello scomparso.

Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro

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Foto: Deborah Serratore, La danza della vita, Free's Tanaka Press, Diego Demaio. Grafica e impaginazione:

Copertina: Concept by Free's Tanaka Press

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La scuola è morta, viva la scuola!

24 Una vetrina per nuovi talenti

La Pac non risolve i problemi degli agricoltori

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Una terra che può farcela

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I Talk Show di prima serata

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Famiglia: quale futuro?

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Cittanova: Al "Luigi Chitti" si parla di Shoah

Il Giorno della Memoria a Ferramonti

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La Comunità Amato e la Shoah

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La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 26-02-2016

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che sognano l'Ariston

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Sonia Foti: una star nascente nel firmamento della Piana Caterina e le sue allieve al The Harp Candelora Day: una luce per Palmi Da Spartaco, servo romano, a Zervò A San Giorgio Morgeto l'antica Azienda Carpentieri

Una Messa per ricordare le vittime de "Il Grande Flagello"

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La Calabria cattolica

33 De viris illustribus 34 Dialettando

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Taurianova: Progetto Martina

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La superbia

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Maria Lactans

Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it

Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999

Taurianova: Giornata della Memoria all'Auser "Madre Teresa di Calcutta"

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corrieredellapiana@libero.it

Musical: "Aspettiamolo insieme esultiamo in Lui"

Una Calabria senza alibi

Stampa: Litotipografia Franco Colarco

Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Sede redazione: Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC)

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Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Garreffa, Gianluca Iovine, Vincenzo Vaticano, Dova Cahan, Caterina Sorbara, Aurora Placanica, Veronica Iannello, Natalina Bongiovanni, Deborah Serratore, Antonio Violi, Francesca Agostino, Lucia Treccasi, Raffaella Barresi, Giosofatto Pangallo, Domenico Caruso, Filippo Marino, Domenico De Angelis, Diego Demaio.

Editoriale: Ombre lunghe sul futuro della Calabria

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Polistena: Recital pianistico di Stefania Surace

Polistena: Tornano i colori nelle vie per il Carnevale

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Carnevale a Taurianova

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Arte: orginale rappresentazione dell'Arcangelo San Michele Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana

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Editoriale

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di Luigi Mamone

Ombre lunghe sul futuro della Calabria Fra precarietà e sogni di “posto fisso”

L’

inverno volge al termine. Un inverno asciutto, poco piovoso. Spesso caldo. Ma le ombre sul futuro della Calabria restano lunghe. Ubbie, incertezze, burocrazia, 'ndrangheta e disfattismo politico fanno da brodo di coltura ad una realtà nella quale impéra la precarietà della condizione borderline di migliaia di persone, molte delle quali giovani e molte altre meno giovani: disoccupate da sempre ed esodate. Comunque rassegnate all’ineluttabilità di un divenire che - alla fin fine - volgerà verso l’erogazione di una pensione sociale a concretamento di un fallimento personale dato dalla incapacità di leggere il futuro, di analizzare i mercati, di adire al credito, di pianificare gli investimenti, di rapportarsi con la pubblica amministrazione. Per i giovani il dramma è palese - nonostante le capacità individuali - figlie dell’intelligenza e della passione verso lo studio - il livello dei nostri studenti - e non per loro colpa - non è altissimo. Certo, vi sono le eccezioni: ragazzi super preparati e beneficiari di esperienze extra scolastiche che consentono loro di esprimere una proposta maggiormente qualificata appena si proporranno sul mercato del lavoro. Purtroppo la stragrande maggioranza dei giovani è meno fortunata. Livello di conoscenza delle lingue estere basso o nullo. Livello di preparazione curriculare: basso o bassissimo. Capacità di scrittura: non elevata; capacità di sintesi mnemonica e di memorizzazione: pressocchè nulla. Da autodidatti i giovani smanettano tutti con disinvoltura su PC e supporti di interconnessione mediatica. Molto meno quelli che sanno veramente lavorare da informatici e da programmatori. Come dire: un conto è guidare - anche bene - una macchina e altro è progettarla in tutte le sue componenti o saperla riparare. Ancora una volta dal mondo della scuola non arrivano segnali incoraggianti. E da tale sommarietà derivano possibilità di inserimento nel mondo del lavoro molto scarse. Anche perché il privato seleziona eccellenze, e comunque persone già formate e non da addestrare, istruire, preparare. Ormai per i giovani meridionali è venuta meno quella valvola di sfogo occupazionale

rappresentata dal pubblico impiego. Checco Zalone, nella sua satira di costume irriverente, feroce ma sempre intelligentemente aderente a un analisi cinica e sincera della realtà mette in bocca al suo personaggio la battuta “Posto fisso”. Haimè il posto fisso è stato e resta da sempre la prospettiva di moltissimi giovani meridionali. Un saggio e anziano signore, che se fosse vissuto oggi sarebbe vicino al traguardo del secolo, era solito dire a noi, i giovani degli anni ’70: “Il pane dello Stato è il migliore”. Quell’uomo che aveva vissuto povertà, restrizioni, la guerra, la campagna di Russia e poi il dopoguerra in una Roma, gran madre per falangi di terroni giunti con le pezze al sedere interpretava - con un percorso diverso e sofferto - la stessa sintesi valoriale di Zalone e del suo ormai celeberrimo “posto fisso”. Posto fisso che non è mancanza di ambizione. Ma impossibilità di competere alla pari su mercati liberi, cinici e spietati. Ma - certamente - molto più spietato cinico e feroce è il percorso che da Biagi in avanti ha portato all’affermazione del concetto di interinalità del lavoro e di flessibilità dell’impiego: dalla meiosi di questi due termini poco accessibili deriva un'unica sintesi, purtroppo più comprensibile: Precarietà. Precarietà e posto fisso estremi dicotomici come il bene e il male, il dolore e la gioia, la certezza e il dubbio. In questo strano inverno il mare è spesso piatto, immobile come una tavola. E mentre il sole cala all’orizzonte le gigantesche grue del porto di Gioia proiettano a terra, esse pure ombre lunghe. Il Porto, nonostante le possibilii aperture e prospettive di diversificazione continua a restare immobile e a non creare lavoro. I livelli occupazionali non crescono, molti fra gli occupati vivono la realtà della cassa integrazione e nell’immediato si sentono solo parole: proclami destinati ad essere portati lontano dal vento che spazza le banchine d’un soffio invisibile, talvolta fastidiosamente carico di olezzi e di odore di un mare non più fonte di vita e di speranza. Fra un mese o poco più tornerà la primavera e con essa anche l’ora legale. Le ombre della sera tarderanno di una ora. Quelle sul futuro della Calabria continueranno ad attendere che la luce di speranze nuove le diradino.

Le gigantesche grue del porto di Gioia Tauro


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Il pontile della S.I.R. a Lamezia Terme

Saline Joniche

UNA CALABRIA SENZA ALIBI

P

rotestiamo per tutto: per le ferrovie, specialmente per quella della tratta jonica, per la SS 106, da decenni identificata come la strada della morte, per i porti all'abbandono, come quello di Crotone, di Vibo Valentia, di Reggio Calabria, tanto per citarne soltanto alcuni, per gli aeroporti, come quello di Crotone, che funziona quando e come può, o come quello di Reggio Calabria, un giorno si e l'altro pure al limite del fallimento, per gli ospedali, nella nostra regione disseminati a pochi passi l'uno dall'altro, di cui alcuni mai entrati in funzione, per il capolavoro della spreco rappresentano dalla fine della S.I.R. di Lamezia Terme e dalla cattedrale nel deserto di Saline Joniche, mai attivata, per una infinità di altre cose che effettivamente non vanno o che, all'insegna di una campanile mentalità, invero molto diffusa tra noi, si immagina, talvolta pure a buon ragione, che potrebbero andare diversamente, ovviamente in direzione del meglio. Sembrerebbe che l'unica cosa di cui non difettiamo sia costituita dalle maglie nere che ci vengono attribuite ad ogni piè sospinto. Non mi pare, però, che si presti la dovuta attenzione nella equa ripartizione delle colpe: se attribuirle all'Unità d'Italia, al nord, ai vari governi, ovvero se distribuirle coraggiosamente a casa. Intendo riferirmi specificatamente ad una retrospettiva politica, che comprenda almeno i decenni di vita democratica e repubblicana del nostro Paese, durante i quali non mancarono uomini di governo nostri corregionali, che a livello nazionale

hanno esercitato un peso non indifferente. La ricaduta è stata e rimane evidente: ospedali nati come gli asili d'infanzia, autostrada a percorso obbligato, indipendentemente dalla economicità e dalla funzionalità del tracciato, pur di seguire una certa rotta, stazioni ferroviarie più grandi di quelle di Bologna e di Firenze, come "regalo" (così dichiarato dall'autore!) alla propria città, omaggio fatto, però, con le tasche degli altri, ben quattro università, invece di quella unica, nuova e moderna, allora prevista dal Parlamento e disegnata dal ministro Medici, per l'ubicazione della quale il CIPE ha individuato la centralità geografica della Calabria a Cosenza (sarebbe interessante conoscere su quali testi i componenti il comitato hanno studiato!), due elefantiache strutture regionali, una a Catanzaro (la Giunta) ed altra a Reggio Calabria (il Consiglio), massima espressione di un parto politico dei nostri grandi del tempo, con un organico di dipendenti ed un assetto dirigenziale superiori a quelli della Regione Lombardia, la cui popolazione sorpassa il triplo della nostra. Quali le ricadute? Non è facile calendarizzare o soltanto immaginare il giorno in cui tutto andrà meglio, perchè vi sono vistose conseguenze deleterie purtroppo irreversibili; basta pensare alle strutture cadenti dei citati ospedali, mai funzionanti e non solo mai riconvertiti nella destinazione, ma mai tentato di farlo, ovvero alla sorte dei cimiteri inustriali di Lametia Terme e Saline Joniche. Una considerazione a parte merita il discorso sulle università, con tutti i doppioni di corsi di laurea, a fronte

di Giovanni Garreffa

di una offerta formativa che manca di non poche facoltà, con la conseguenza che oltre la metà degli alunni dichiarati annualmente maturi non vi si immatricola ed inbocca altre strade, in linea di massima da Roma in su, con le conseguenze socioeconomiche che ne derivano e che ricadono sotto gli occhi di tutti. In buona sostanza, al talento dei malpensanti, e non solo, potrebbe sembrare che il nostro mondo accademico sia stato molto bravo a costruire percorsi professionali e cattedre a propria misura e funzionali a garantire le dinastie, piuttosto che capace di calamitare utenza anche da altre regioni o paesi, come nvece sistematicamente avviene per la stragrande maggioranza degli altri atenei. Non si può, infine, non rilevare lo stato della sanità ed i conseguenti viaggi della speranza, sempre ricadenti, come, d'altra parte, è giusto che sia, sul bilancio della Regione. Stando così le cose, a quando il rientro? Sarà mai possibile mettersi al passo della Regione Lombardia, per non essere rimproverati di foraggiare una burocrazia incapace e parassitaria? Vi saranno mai un Consiglio Regionale ed una Giunta che avranno il coraggio di riparametrare l'organico del nostro personale a quello delle gemelle istituzioni milanesi? Si tratta di guai che non ci ha imposto nessuno, ma che ci siamo regalati noi Calabresi; se non ci sarà recupero, è iniquo imprecare contro fantomatici nostri avversari o nemici geografici o istituzionali, impegnati, come spesso siamo, in una assurda ed irrazionale ricerca, comunque non credibile, di comodi ed inesistenti alibi.


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di Gianluca Iovine

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La scuola è morta, viva la scuola!

uori piove e fa freddo. Nella sala del Consiglio Comunale di Polistena Fabio Giuseppe Auddino, professore di matematica e fisica e attivista del gruppo locale del Movimento Cinque Stelle “Libertà e Partecipazione” prepara l’incontro-dibattito sulla riforma: “C’era una volta… la buona scuola”. A breve parleranno i cittadini-deputati M5S Federica Dieni, Paolo Parentela e Silvia Chimienti, in Commissione parlamentare, supportati dalla professoressa Rosanna Giovinazzo. Un grave lutto familiare ha impedito alla collega Alba Oppedisano di essere presente. Sullo schermo giallo sfilano in sequenza, forti come appena pronunciate, estratti del discorso che Piero Calamandrei tenne a Roma al III Congresso dell’Associazione a difesa della Scuola Nazionale l’11 Febbraio 1950. Già allora autoritarismo ed elitarismo della scuola privata venivano indicati dal padre costituente come i pericoli più gravi da combattere per docenti e alunni della scuola pubblica, nella necessità di difendere libertà, istruzione e cultura. La riforma imposta dal governo Renzi non convince chi a scuola dirige, insegna, impara; va anzi a inasprire la crisi che già vive un settore vitale per la cultura e il futuro del Paese. I punti all’attenzione del dibattito vertono su Comitato di valutazione, nuovi poteri del dirigente scolastico, alternanza obbligatoria scuola-lavoro, deleghe in bianco al Governo. Per Auddino la famigerata Legge 107/2015 è figlia della fretta: non resta altro, dopo la sua approvazione, che testimoniare la buona scuola che non c’è

più, e un’epoca che sapeva distinguere tra scuola pubblica e privata, senza partiti unici o un solo pensiero dominante. Federica Dieni teme cittadini trasformati in sudditi con il tramite della scuola, dove invece andrebbero salvaguardate libertà dei programmi didattici e individualità dei docenti, respingendo ogni ingerenza governativa. I giovani vanno formati, non cooptati, continua la Dieni, perché dialettica e confronto delle idee portano allo scambio; paura e coercizione vanno tenuti lontani. Cita Calamandrei e Einstein, affida all’insegnante il ruolo di Virgilio per Dante, e ricostruisce il punto di vista di un’opposizione che inutilmente, con proposte e interrogazioni ha evidenziato il dissesto della scuola. Racconta della materna a Villa San Giovanni, dove i bambini giocano accanto a oggetti pericolosi, o della scuola di Condofuri “che andrebbe chiusa”, ristrutturata più volte, è ancora in condizioni inaccettabili. Si indigna per i ragazzi dell’Alberghiero di Villa, costretti da una scuola inagibile a riparare al Tecnico o altrove, nel silenzio di Comune e Provincia. Parla dei disabili, che a scuola ancora trovano barriere fisiche e ideologiche, “e a volte neppure insegnanti idonei a realizzare l’integrazione che la Legge 104 auspicava, poi ripresa dalla nota del 4/8/2009 del Ministero dell’Istruzione”, fallendo ogni obiettivo di crescita e integrazione della comunità scolastica. Tra le promesse mancate, le visite settimanali di Renzi alle scuole e il rifiuto dei 25 milioni di euro richiesti per nuovi asili nido in regione, dove mancano. Chiede di cambiare insieme questo stato di cose senza lasciare

la Calabria. Auddino si rifà a Calamandrei, quando afferma: “La scuola è da difendere in quanto presidio di libertà e democrazia”, e gli fa eco Rosanna Giovinazzo, del “Gruppo insegnanti calabresi partigiani della scuola pubblica”. Si “lotta strenuamente contro la Legge 107/2015 e la sua propaganda populista”, e si è automaticamente tra quei docenti contrastivi, bersagli preferiti del dirigente scolastico per come previsto dalla riforma, che analizza con passione nei suoi punti nevralgici. Il Collegio di Valutazione è eletto dal Collegio Docenti, ne valuta i meriti, ma comprende anche i genitori degli alunni; i criteri di valutazione vengono comunque decisi dal dirigente, specie in materia di bonus per l’insegnante, “in palese conflitto con l’art. 97 della Costituzione sull’organizzazione dei pubblici uffici”, con pesanti ricadute sulla libertà di insegnamento e un tradimento sistematico di fondamentali articoli della Costituzione, tanto da far dire al giudice Imposimato che la legge 107 è “un pasticcio inemendabile”. Quanto all’alternanza scuola-lavoro, “le 200 ore obbligatorie ledono gravemente il diritto allo studio”, afferma la docente,“scavalcando il potere di normare in materia da parte della regione, come da articolo 117 della Costituzione”. Infatti, i “Partigiani” hanno presentato in regione una mozione già rinviata dal 31 Agosto al 17 Settembre, in data vicina alla scadenza. La Giovinazzo affronta le deleghe in bianco dell’art. 76, e l’evidente attacco che la Legge 107 porta alla contrattazione collettiva, dove il Governo entra in ambiti delicati quali aggiornamento, sostegno e scuola dell’infanzia


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La scuola è da difendere in quanto presidio di

libertà e democrazia e, concedendo il recupero del 65% di quanto donato da fondazioni e associazioni permetterà ai privati di condizionare la libertà degli insegnanti, colpendo appunto i docenti contrastivi. Escludere il finanziamento delle scuole di quartieri a rischio come Zen o Scampia, viola, secondo la professoressa Giovinazzo, l’articolo 3 della Costituzione, premiando solo le scuole-bene a scapito di quelle difficili. “Non vogliamo una scuola che abbia come parole chiave azienda, manager e prodotto!”, riafferma con rabbia, difendendo una visione universalistica, che formi cittadini dotati di senso critico e capaci di scegliere. Insomma, il fronte del dibattito è chiaro: da una parte una scuola che vuole mantenersi “libera, solidale, pubblica, statale e costituzionale”; dall’altra un’entità futura che si annuncia “verticistica e aziendalistica”. Il Professor Auddino riafferma la bontà del binomio qualità-tempo: “Vale per risolvere un problema e per fare una legge”. Poi si domanda se davvero sia stata una riforma democratica visto “non si è voluto trovare il massimo consenso per farne la migliore legge possibile, invece di calarla dall’alto”. A parlare è il padre, non l’insegnante: “Temo che mia figlia troverà una scuola anche peggiore. La scuola deve dare mobilità sociale, permettere a chiunque di diventare quello che sogna, senza trascurare il merito”. E cita suo padre, il compianto docente Cesare Auddino, che amava dire che “solo l’istruzione è garanzia di libertà”. Parla Paolo Parentela: “È un momento buio. Ciò che non è riuscito a Mussolini e a Berlusconi, o con la Gelmini, accade adesso”, Spiega che la buona scuola, costruita come uno slogan pubblicitario, ricorda, per modalità dei trasferimenti e delle supplenze, le norme fasciste. “Il DDL è pieno di difetti costituzionali, forse la Corte lo stabilirà. E il Sistema vuole il silenzio, comprando con 500 euro gli insegnanti”, così come il bonus ai diciottenni “serve a condizionare l’elettorato giovane”. Lo interrompe la Giovinazzo, con-

fidando di averli investiti con il suo gruppo di lotta per inviare vari volumi, tra cui una Costituzione, a Palazzo Chigi. Comunque, il 18 Novembre 2015 è stato inviato in prefettura il documento recante i dubbi di incostituzionalità della legge. In aula risuona la parola “Resistenza!”, mentre si racconta di un premier che vuole consumatori, non persone colte. Si negano, continua il deputato, 8 miliardi destinati al triennio 2008-2011, mentre si regalano 500 milioni in 5 anni alle scuole private, secondo una linea comune ad almeno quattro governi a questa parte: “Non finanziare la scuola pubblica serve a richiederne la trasformazione in azienda, magari corrotta e a chiamata diretta. Beh, non ci stiamo, non molliamo la presa”. Eppure le proposte di legge non vengono discusse: “Il Parlamento non c’è più, si va avanti per decreto, si pone la fiducia, la maggioranza esegue”. Parentela ricorda le proposte sull’edilizia scolastica, dove manca tutto, dai sistemi antincendio alla resistenza ai sismi. Lo sviluppo di una cultura del rischio è importante: “Terremoti, alluvioni e dissesto vanno conosciuti e combattuti”. Cita i ruoli scoperti in fisica, chimica, geografia o scienze della terra, e le assunzioni fatte a casaccio, oltre allo scandalo di “più di duemila istituti che contengono amianto, che in Calabria non è neppure censito!” Ritiene il 5 per mille “discriminatorio, e servirà solo a creare studenti e scuole di serie A e serie B.” Ricorda un disabile di Catanzaro, per cui ha fatto un’interrogazione al ministro: impossibilitato ad andare in bagno nella sua scuola per le barriere presenti in essa. Una scuola che causa scoliosi con zaini pesanti e non considera le opportunità degli e-books digitali e gratuiti, e delle piattaforme open source dati da una legge priva del decreto attuativo e che il M5S farà applicare. Fabio Auddino aggiunge che “la legge 107, per me pessima, con il M5S andrà migliorata al 95%, che è come dire cancellarla, fatte salve le assunzioni”. Una legge con un solo articolo


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e circa duecento commi. In uno di essi si sopprime la parola docente. In sala si commenta che forse si comincia da lì, sopprimendo le persone, specie se contrastive. Nelle prime due settimane di governo vanno affrontate alcune leggi per riportare i diritti che la società ha perso, dice Auddino, citando, tra gli altri, il diritto alla cura e all’istruzione. Parla Silvia Chimienti: “Da un certo punto di vista ciò che è successo è irreparabile, ma può costituire un punto di svolta per la società. Per la prima volta sono in questa meravigliosa regione, colpita, io piemontese, da quello che ho visto, come l’antica Squillace, Scolacium, dove nemmeno si paga un biglietto d’ingresso. Fa male al cuore vedere tanta bellezza paesaggistica e architettonica così abbandonata”. La Chimienti parla della scuola pubblica come di “una ricchezza, un ascensore sociale”, minato alle basi dalla Legge 107. Dice no all’idea di una scuola azienda, di un preside-manager, che controlli gli insegnanti: “Deve restare un servizio pubblico necessario ed essenziale, per tutti i ragazzi, e creare cittadini liberi”. Si sofferma sulla sensibilità trasversale degli insegnanti italiani, scesi in piazza. Ma quel milione di persone, di fronte all’approvazione, ponendo la fiducia al Senato, ha provato grandissima rabbia e frustrazione, prosegue la cittadina-deputata, ma anche voglia di cambiare le cose. Il pensiero politico del Movimento sulla scuola parte dall’edilizia scolastica, dalle classi pollaio, dalla didattica, dalla pedagogia, dal diritto allo

studio, dall’inclusione. “Non pretendiamo di avere soluzioni in tasca, ma semplicemente ascoltiamo le istanze degli insegnanti”. La situazione contrattuale dell’insegnante è questa: essere scelto o non scelto, chiamato o non chiamato, con un contratto triennale rinnovabile e un grande ma: se valutato come contrastivo può essere mandato via. I criteri sono ancora vaghi. Sono chiari solo quei 10 euro di scatto ogni triennio, e già si può immaginare la rottura della necessaria unità di intenti tra docenti: ci si farà la guerra per lo scatto o per entrare nelle grazie del preside, da cui dipenderà tutto. Duecento milioni deliberati per pagare quello scatto, a fronte del miliardo e mezzo di euro chiesto per il rinnovo del contratto, ricorda la Giovinazzo, mentre appare chiaro che lo Stato ha rinunciato ad occuparsi della didattica, lasciando a famiglie e privati il compito di sostenerla. Privati che chiederanno qualcosa in cambio, teme la partigiana della scuola. E cita la promozioneparadosso che dopo Expo continua: per i bambini che mangiano al Mac Donald’s c’è la possibilità di acquisire punti per la propria scuola, sancendo di fatto la consacrazione del cibo spazzatura e introducendo, come fatto con Coop, Esselunga e altri soggetti, marketing non richiesto a scuola, approfittando delle condizioni in cui versa. E se l’obiettivo di una scuola pubblica di qualità non è mai stato raggiunto in tempi recenti, i presenti ricordano la Legge Berlinguer, che accorse in soccorso delle paritarie, drenando fondi pubblici.

Poi, la Gelmini tagliando materie e posti di lavoro, causò una flessione da duecentocinquantamila unità. Ma oggi, dice Renzi, “La scuola inverte la rotta”, e in realtà quanto elargito corrisponde esattamente a quanto sottratto a ricerca e università. I cento milioni del diritto allo studio impallidiscono di fronte ai due miliardi stanziati in Francia e Germania. E paradossale è pure avere alunni idonei non meritevoli di borsa di studio per mancanza di fondi. Circa la pregiudiziale di incostituzionalità per la discriminazione dei nuovi assunti nel piano assunzione degli insegnanti, va detto che la Corte di Giustizia Europea nel 2014 ha chiesto l’adeguamento delle assunzioni. Gli assunti non coincidevano con le richieste dei dirigenti scolastici con clamorosi scompensi. Il provvedimento andava semmai tarato sul reale fabbisogno delle scuole. La riforma, osservano i presenti, non abolisce ne’ la supplenza, ne’ la precarietà. Il fronte futuro è il referendum. Molte associazioni si stanno organizzando, e l’unità creata in piazza il 5 Maggio ha allargato il fronte di lotta ai diritti della scuola, contro un governo che i presenti non ritengono di sinistra, ma “vergognoso”, perché “distrugge tutto il bello della Costituzione”, come detto dalla Chimienti. Auddino le fa eco, osservando che per la prima volta non si tratta di mere rivendicazioni salariali, ferme da sette anni, ma per la scuola, il merito, il diritto allo studio, la libertà, contro “una politica che finanzia gli F-35 e non la scuola!” Iniziano le domande. La scuola non smette la sua lotta.


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La PAC - Politica Agricola Comunitaria - non risolve i problemi degli agricoltori

I

n relazione alla gestione e ai pagamenti dei premi comunitari relativi all’annata 2015, gran parte degli agricoltori calabresi - com’era nelle previsioni - si sono trovati e si trovano tutt'ora in evidente difficoltà nell’affrontare le innovative e, per certi versi penalizzanti, disposizioni adottate in sede comunitaria per l’erogazione dei contributi agricoli inerenti il periodo 2014-2020. Secondo la nuova programmazione Pac (Politica agricola comunitaria), tali disposizioni, infatti, oltre a prevedere nuovi “precetti” e requisiti per accedere agli aiuti, hanno di fatto comportato una riduzione complessiva delle risorse finanziarie con il ridimensionamento (almeno per il momento) delle somme (espresse in “Titoli”) destinate agli agricoltori. Già provati dalla crisi galoppante e irreversibile che continua anno dopo anno a rendere sempre meno remunerativa la loro attività, tantissimi agricoltori calabresi (in particolare agrumicoltori e olivicoltori della Piana), si trovano letteralmente in ginocchio per non aver ancora percepito quanto loro dovuto sottoforma di “integrazione”. Un aiuto, ormai unanimemente considerato indispensabile per poter continuare ad operare in un settore, quello agricolo, da tutti considerato strategico per le pro-

spettive di sviluppo della regione perchè da sempre principale fonte di occupazione e di reddito per migliaia di famiglie, ma che oggi, per molteplici fattori, stenta a sopravvivere e rischia di dissolversi. Un aiuto che - va rilevato - negli anni scorsi, di questi tempi, è risultato sempre corrisposto con un puntuale acconto, prima, e con il saldo subito dopo.

Tale “stallo” creatosi nei pagamenti è verosimilmente dovuto all’introduzione nella nuova normativa comunitaria della figura dell’agricoltore in attività quale requisito necessario per poter beneficiare dei “premi” comunitari. Una condizione che, in fase di procedura di un primo e superficiale accertamento, ha determinato l’inserimento di migliaia di domande nel-

di Vincenzo Vaticano

la c.d. “black list” poiché ritenute viziate da anomalie. In sostanza, chi ha gestito quelle domande considerandole anomale - relativamente al possesso della qualifica di “Agricoltore attivo” - non ha tenuto conto di alcune precisazioni contenute nel nuovo regolamento comunitario. Tra le più importanti, quella che considera “Agricoltore attivo” chi, pur non risultando titolare di partita Iva nel Giugno del 2014, abbia ricevuto, per lo stesso anno, pagamenti diretti a titolo di aiuto comunitario per un importo pari o superiore al 5% del reddito complessivo ottenuto da attività extra agricole. Un semplice controllo incrociato, per esempio, avrebbe evitato a migliaia di agricoltori di subire il blocco del pagamento di quanto loro spettante. Questa è la situazione a metà del mese di Febbraio 2016. Fino a quando l’anomalia non verrà rimossa e le domande non verranno “sanate”, per l’agricoltura calabrese - secondo quanto si evince da alcune recenti dichiarazioni rilasciate, a vario titolo, da alcune associazioni operanti nel settore e da alcuni esponenti politici - «I tempi saranno bui e non si intravede all’orizzonte alcun cenno di schiarita. Ciò, fino a quando i nostri governanti regionali e nazionali non si preoccuperanno di risolvere nell’immediato, il problema del mancato pagamento della Pac e del Psr (Piano sviluppo rurale, ndc)».


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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

La Calabria politica all'inaugurazione della nuova sede della Regione Calabria

Inaugurata la nuova sede della regione di Luigi Mamone

Una terra che può farcela Sergio Mattarella incoraggia i calabresi

L’

inaugurazione, lo scorso 29 Gennaio, della nuova sede della Regione Calabria, a Germaneto di Catanzaro, di fatto in funzione quasi da un anno, ha visto la visita, prima del suo mandato, del Presidente della Repubblica. Mattarella, atteso da quasi tutti i Sindaci della Regione che han dato vita a un variegato plotone di gente in fascia tricolore, è giunto intorno alle 13,00. Oltre ai sindaci ad attenderlo tantissimi studenti e tanta altra gente, della strada, senza certezze e senza speranze. Poi i discorsi ufficiali. Il primo è Sergio Abramo, il Sindaco di Catanzaro, che propone di intitolare il Palazzo agli Itali. Dopo lui Nicola Irto presidente del consiglio regionale emozionatissimo e poi Mario Oliverio. Il Governatore affabula la platea con un intervento pregno di contenuti sull'ur-

genza di fare. Infine, Mattarella pacato e discreto come sempre, celebra l'opra di Portoghesi esortando i calabresi a riappropriarsi del proprio destino e del

diritto di scegliere. A fine intervento, discreto come sempre e preceduto da due corazzieri altissimi, il Presidente ineffabile come sempre va via.

Nicola Irto, Sergio Abramo, il Presidente Sergio Mattarella e Mario Oliverio


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I "Talk Show" di prima serata perdono telespettatori a favore delle " Fiction"

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el tempo gli interessi degli italiani sembrano cambiare, ma le motivazioni di tali mutamenti non sono difficili da capire. I talk show di prima sera perdono telespettatori a favore di fiction come "Don Matteo" o "Luisa Spagnoli". A parte la bontà delle produzioni, bisogna comprendere che gli italiani stanno attraversando un periodo critico, al quale non si sentono di appartenere per il semplice fatto che non hanno contribuito alla sua creazione. Non è difficile capire perché "Don Matteo" registra più telespettatori dei talk se si pensa alla funzione che qualsiasi prete svolge all'interno della società, i valori che esprime attraverso le azioni protese al sostentamento dei meno abbienti, delle famiglie con problemi, sebbene si stia attraversando un periodo di pericolosa caccia al prete. Pericolosa, perché gli errori di pochi possono passare per i difetti di tutti. Il ruolo di Don Matteo va oltre i canoni di ciò che rappresenta quando fa il "questorino", così definito da qualche più che vescovo, oserei dire vescovino, perché non tutti godono della preparazione e maturità necessarie a certi ruoli. Bisogna fare uno sforzo in più per capire che Don Matteo interpreta la parte che gli spettatori gradiscono e cioè il ruolo del parroco che contribuisce anche ad affermare quei concetti di legalità che restituiscano di-

gnità e giustizia sociale al territorio dove un uomo di Dio svolge la sua missione, identità essenziali per la costruzione di un mondo migliore. Don Matteo è un prete che non propina solo concetti teologici, ma si batte fino all'estremo per rispondere in modo più concreto alle aspettative dei giovani e delle famiglie, necessarie per la costruzione del bene comune, impartendo un'educazione sana, ispirata ai principi del Vangelo. Portare una persona che delinque al pentimento e al risarcimento dei danni, oltre all'espiazione convinta delle proprie colpe attraverso la detenzione che opera, anche se non sempre, in modo correttivo e rieducativo, non è di facile ottenimento. Può essere quindi definita una fiction che risponde ai bisogni e alle aspettative dei telespettatori, che regala emozioni e fa sperare in un serio miglioramento di ogni cosa che ci circonda. "Luisa Spagnoli" in sole due puntate, ha attirato milioni di attenzioni per motivazioni simili. Una donna povera di soldi, ma ricca d'idee che riesce a realizzare due imperi economici nel settore dolciario e nel settore della sartoria come la "Perugina" e la casa di moda "Luisa Spagnoli". Viviamo in un contesto in cui c'è bisogno di certezze e fortezza per restituire credibilità, il fatto stesso che i telespettatori gradiscano Luisa Spagnoli ai talk show di cui gli invitati principali sono sempre i politici e la mancanza d'interesse per questi

di Filomena Scarpati

ultimi, può essere attribuita alla totale perdita di visibilità! Ricordando l'Enrico IV, Pirandello avrebbe detto: "Credere ancora nella politica è da pazzi". Essa è fatta da persone prive di valori che cercano di arraffare qualcosa per sé e per i più vicini, ma nonostante si è governati da incapaci con l'appellativo di politici, la gente resta ferma nella convinzione che "domani è un altro giorno si vedrà" senza scoraggiarsi perchè chi si ritrova ad affrontare innumerevoli problemi quotidianamente matura e acquista l'elemento essenziale ad affrontare anche le catastrofi: la fortezza. I veri uomini di Stato e di Governo non esistono più, Berlusconi, D'Alema, Casini, Fini e nei tempi precedenti Andreotti, Pertini, Moro e ..., ce ne sarebbero per tutti i gusti, erano in grado di attirare per ore i telespettatori perché sapevano condurre un dibattito, non mancava la ricchezza di argomenti e proposte che lasciava sperarare gli elettori, nella costruzione di un mondo a misura d'uomo, seppur con tanti inciampi che servivano a crescere e a migliorarsi e non certo a distruggere. Oggi la mancanza di figure forti nei riferimenti porta all'incertezza nemica della costruzione del buon dialogo politico e sociale. In attesa di un cambiamento cosa bisogna fare? Essere noi stessi protagonisti dei mutamenti, non tralasciando la sete del sapere,dei buoni propositi e della moralità di cui si comincia a sentirne fortemente la mancanza!


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di Luigi Mamone

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l dibattito che occupa in queste settimane le colonne dei giornali, gli spazi delle maggiori emittenti ed un esercito variegato di anchormen e opinionisti prezzolati per far finta di litigare in TV, nonché la pletora di parlamentari più o meno incompetenti, più o meno nullafacenti che, grazie al porcellum, siedono in Parlamento è data dal dibattito per l’approvazione del Decreto Cirinnà. Disegno di legge, questo, che consentirebbe, ove approvato, alle coppie omosessuali di poter adottare dei figli. Il pensiero va a quei lontani anni ’70 del secolo scorso quando la classe politica italiana, le frange intellettuali e la Chiesa si confrontavano sul dicotomico punto di domanda: “Divorzio si, divorzio no”. I toni furono da tregenda. Il bene si scontrava con il male. Il matrimonio era principalmente un sacramento, e come tale doveva restare indissolubile. I divorzisti più che progressisti venivano dipinti come assatanati distruttori di qualsiasi legame familiare preda di immorali passioni e pulsioni e incuranti del futuro dei loro figli, irrimediabilmente marchiati dalla separazione dei loro genitori. Gli antidivorzisti per converso con una buona dose di perbenismo codino, proponevano

Famiglia: Quale futuro ? la famiglia, vista con la stessa immagine poetica che oggi ricaveremmo dall’analisi delle pubblicità dei biscotti del Mulino Bianco e della Pasta Barilla: quella con la quale la famiglia media italiana riscoprirebbe “il gusto del mezzogiorno”. In realtà in quegli anni vi erano drammi nascosti di matrimoni infelici e di coppie apparentemente unite ma in realtà separate da odi e indifferenza, tradimenti e inganni. La vittoria dei progressisti divorzisti consentì all’Italia di porsi in una posizione più vicina a quella del resto dell’Europa. Residuavano ancora le conseguenze di carattere religioso: la scomunica e l’impossibilità di risposarsi in Chiesa. Non per tutti certamente. Solo per quelli che non potevano ricorrere alle alchimie dei tribunali ecclesiastici e ai servigi di abili avvocati, curiali e latinisti, grazie alla cui opera si rattoppavano sfilacciati vasi di Pandora . Quarant’anni dopo gli italiani si spaccano nuovamente. Questa volta su un nodo assolutamente diverso e molto più spinoso. Riconoscere fondamento e validità alle unioni civili omosessuali e - dunque - riconoscere legittimità ad un modo nuovo di concepire il concetto di famiglia. Questa, giuridicamente, dovrebbe essere - e fino ad ora lo è stata - l’unione materiale

e spirituale finalizzata alla costruzione di una famiglia e alla procreazione. Orbene davanti a un’unione di carattere omossessuale il concetto storicistico di famiglia diviene assolutamente nuovo, evanescente e per certi aspetti difficile da accettare. La filiazione non è più subordinata alla procreazione, che non è più esclusivamente il frutto di una meiosi cromosomica derivante dalla fecondazione di un ovocita da parte dello spermatozoo, al culmine di un rapporto sessuale fra un animale mammifero di razza umana e di sesso maschile e un animale mammifero di razza umana di sesso femminile. La filiazione secondo questa nuova logica rappresenterà, attraverso forme della stessa, non più legata alla riproduzione ma semmai - e ove mai - all’adozione, una forma di collante e di forzoso completamente di unioni di per se - naturalmente - impedite a procreare. Sul punto esisterebbero poi sfaccettature e diversificazioni. Coppie di esemplari mammiferi di razza umana, entrambi di sesso maschile, mai potrebbero giungere ad una filiazione se non attraverso l’adozione di un figlio generato da soggetti diversi, salva l’ipotesi che uno dei due partner non si sia congiunto con una donna da parificare non ad una madre ma solo - haimè - ad


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Chi potrebbe tutelare i minori in carico ad una coppia omosex ? una fattrice (animale mammifero di sesso femminile destinato ad essere ingravidato a fini di riproduzione). Nel caso di due esemplari umani di razza umana di sesso femminile, invece, mentre il concetto di maternità potrebbe essere compiutamente realizzato da una delle due figure femminili, residuerebbe il problema della paternità dovendo la coppia far ricorso al seme di un donatore esterno o a forme di inseminazione artificiale. Sorge spontanea la domanda. Siffatta forma di filiazione a quale interesse risponde? Il nascituro o l’adottato è dono o strumento di rafforzamento di unioni, altrimenti - con il trascorrere degli anni e il sopravvento della maturità e delle vecchiezza - destinate a sfiorire nella monotonia di una quotidianità sempre più priva di amore? Altra domanda che sorge si lega all’imprinting: a quella forma sensoriale di trasmissione di sentimenti, istinti e pulsioni che i genitori trasmettono ai figli. E oltre a questo - inutile negarlo - i bambini spesso scoprono o intuiscono la sessualità dalla percezione dell’affettuosità che i genitori manifestano. Si pensi ai bimbi che nel cuore della notte si alzano e sgattaiolano nel lettone di mamma e papà ponendosi al centro, percependo il contatto sensoriale con il corpo dei genitori. Il figlio - generato o adottato - da una coppia omossessuale in che misura potrebbe

beneficiare di ciò? E in che misura l’eccentricità o l’io talvolta spiccato di soggetti che vivono la diversità di costume e di tendenza sessuale come ostentazione ed esaltazione di forme di egocentrismo, potrebbe consentire contributi educativi come quelli che può offrire ai figli una coppia di genitori tradizionali? Il dibattito è lungo e assolutamente non facile. Oggi non è facile essere genitori. Troppe volte la velocità di input mediatici e di interconnessioni sociali rendono difficile il compito. Ancor più difficile è in caso di separazione coniugale e di famiglie allargate. Difficilissimo, in linea teorica, appare - ma vorremmo sbagliarci - essere genitori per un coppia omossessuale: due soggetti che appaiono entrambi padri o entrambi madri possono creare nei minori stati di confusione e di conflitto e talvolta sensi di frustrazione, di colpa e spirito di rivalsa. I minori oggi appaiono spesso a rischio. Chi potrebbe tutelare i minori in carico ad una coppia omosex? I servizi sociali sono spesso privi di uomini e di risorse. Le parrocchie di questi tempi non svolgono più la medesima funzione educatrice di un tempo. E nello stillicidio di speranze e attese la beffa del tempo non perdona. E - nelle previsioni - tantissimi nuovi, irrisolti e forse irrisolvibili complessi di Arianna ed Edipo.


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Trizzino riceve da Veneto e Militano una creazione dell’orafo Magazzù a ricordo della donazione

di Francesco Di Masi

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Il Sindaco con i premiati e la Giuria

Al "Luigi Chitti " di Cittanova per il secondo anno si parla di SHOAH

anti sono i nomi e i termini usati per indicare una tragedia, la Shoah, perpetrata per la distruzione di massa di un popolo. Il termine ebraico Shoah significa "annientamento", i nazisti usarono chiamarla "soluzione finale", il termine "genocidio" porta il significato di distruzione di una nazione o di un gruppo etnico, negli anni '70 è stato imposto il significato di " Olocausto" dal greco "holòkauston", composto da "hòlos, "tutto, intero" e "kaustòs", "bruciato", che in origine definiva un rito religioso in cui le offerte votive venivano bruciate e distrutte dal fuoco sull'altare dei sacrifici. Lo "sterminio" degli ebrei europei da parte del regime nazista, nel corso della seconda guerra mondiale, va collocato nel periodo che va dal 30 Gennaio del 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, all'otto Maggio del 1945 data in cui termina la guerra in Europa. In questo periodo di tempo furono soppresse per la follia razziale milioni di persone e non solo ebrei. Anche quest'anno nella giornata della memoria 2016, per "Conoscere... Ricordare....Non dimenticare...", gli alunni delle terze classi dell'Istituto Comprensivo " Luigi Chitti" di Cittanova sotto la direzione del Prof. Antonio Sorace e coordinati nella ricerca dai docenti Antonio Megna e

Giuseppe Salaris, hanno partecipato per il secondo anno consecutivo, al concorso indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione: " I giovani ricordano la Shoah", la ricerca e il lavoro svolto dagli alunni dal titolo:" Libertà in fumo, Potere e Dissenso", è stato selezionato dall'Ufficio Scolastico Regionale della Calabria ed inviato al Miur per la fase finale del concorso. In esso, i ragazzi, con il metodo della ricerca e dell'analisi hanno evidenziato notizie ed avvenimenti storici chiusi nelle pieghe di vita sociale e personale di gente legata a fatti di cronaca occultate proditoriamente dalla censura del tempo e che impediscono il libero giudizio sull'emarginazione, il razzismo, sulla libertà di espressione, sulla distruzione delle opere d'arte, sui roghi dei libri, sulla distruzione di siti archeologici, sui luoghi di culto, sulle culture che hanno contraddistinto quel periodo. Ogni forma di libertà e di potere hanno visto impegnati i ragazzi nella ricerca della più ampia espressione. La giornata conclusiva, a lungo preparata dagli alunni e guidati dai docenti di storia del "Chitti", ha inizio con il far risuonare nell'auditorium dell'istituto comprensivo, l'inno nazionale d'Israele. Rigorosamente tutti i partecipanti si sono posti in piedi, per salutare e rendere omaggio all'ingresso nella sala di Dova Cahan, scrittrice e regista ebrea nata a Bu-

carest, vissuta per lungo tempo ad Asmara e attualmente abitante a Tel Aviv, autrice del libro "Un Askenazita tra Romania ed Eritrea". Nel corso dell'incontro sono stati proiettati i lavori realizzati dai gruppi di lavoro delle singole classi, è stata realizzata, inoltre, una mostra con i simboli ebraici descritti nel dettaglio nel corso dell'incontro. Gli alunni speciali si sono cimentati in un lavoro di attività di laboratorio, costruendo in scala una riproduzione del campo di concentramento di Auschwitz. Vari sono stati i brani letti e commentati, tratti dal libro della scrittrice Dova Cahan, in cui racconta le vicende vissute dalla sua famiglia e in particolare da suo padre, del quale ha parlato lungamente nel suo intervento, interagendo con i ragazzi e rispondendo alle loro domande per soddisfare le loro leggittime curiosità. La riuscitissima manifestazione ha visto la collaborazione di diverse componenti: l'associazione "Ars Musica " di Oppido Mamertina, i musicisti Vincenzo e Francesco De Stefano che hanno eseguito "La Moldava" di Smentana per due pianoforti, nonchè l'impegno profuso da Roque Pugliese, Domenica Sorrenti, Emanuela Foresta ed Emanuele Saccà, con soddisfazione generale e con un plauso per tutti si è conclusa la giornata con un gesto simbolico, offrendo ai convenuti il pane dello Shabbat.


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Il Giorno della Memoria a Ferramonti di Dova Cahan

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uest'anno in occasione della ricorrenza annuale del "Giorno della Memoria" ho avuto l'occasione di presentare il mio libro "Un Askenazita tra Romania ed Eritrea" GDS Edizioni in varie città in Calabria. Il 26 Gennaio 2016 la prima presentazione è stata all'apertura delle commemorazioni al Campo di Concentramento a Ferramonti di Tarsia, in seguito alla Prefettura di Catanzaro, al Sistema Bibliotecario Vibonese a Vibo Valentia ed infine agli alunni delle scuole medie e licei a Soriano ed a Cittanova. Il mio impegno è stato quello di ricordare gli errori del passato commessi verso il Popolo ebraico fino allo sterminio e al genocidio da parte dei nazifascisti. Questi eventi antisemiti non furono eventi sporadici che accadevano a quel tempo solamente in Germania ed in Italia, ma in tutta l'Europa già dagli anni '30 e in particolare dal 1938 con le emanazioni delle "Leggi Razziali". Questo fu il punto di partenza dell'odio e del razzismo (in una sola parola, antisemitismo) verso un popolo scacciato dalla sua terra d'Israele, perseguitato e minacciato. Per secoli questo popolo è stato costretto a subire innumerevoli emigrazioni e spostamenti in cerca di nuovi luoghi dove poter vivere tranquillamente, praticare il proprio credo religioso, con le sue tradizioni e la sua cultura, le attività intellettuali, sociali e professionali. Ho fornito la mia testimonianza nella veste di figlia di un condannato rumeno ai lavori forzati, che durante gli eventi filonazisti in Romania, eseguiti dai legionari conosciuti anche sotto il nome delle "camicie verdi" del generale rumeno Ion Antonescu, collaboratore della Germania Nazista di Adolf Hitler, fu costretto ad abbandonare gli studi superiori al Liceo Commerciale di Galati e rinchiudersi in casa, come del successe ad altri giovani studenti rumeni espulsi dalle scuole locali. Tra gli anni 1938 e 1945, purtroppo, la feroce propaganda antisemita degenerò in prigionia, deportazioni, sterminio e genocidio. Il genocidio più grande della storia umana, noto inizialmente come "Olocausto", ma che oggi è più correttamente conosciuto anche con il nome di "Shoah" il cui significato nella lingua ebraica è "catastrofe", ovvero "distruzione"; definizione, quest'ultima, ben

più adatta di "olocausto", che è un termine biblico che ricorda i sacrifici nel Tempio di Gerusalemme. L'Europa del secolo passato, continente di grande civiltà e all'avanguardia di tutte le dottrine religiose, letterarie, filosofiche, politiche e scientifiche, si è ridotta in uno spettro di malvagità e crudeltà

fino che ha portato allo sterminio di sei milioni di ebrei solo perché appartenenti ad un altra cultura e tradizione. Mio padre, Herscu Saim Cahan, fu anche un grande sionista che riuscì a scampare prima alle deportazioni dei filonazisti e successivamente dei filocomunisti, ma fu costretto ad abbandonare ancora una volta tutti i suoi beni, e a rifugiarsi con la sua famiglia, agli inizi del 1948, prima nella Palestina Mandataria Britannica e poi a prendere nuovamente la via dell'esilio. Gli inglesi, che si attenevano rigorosamente al "Libro Bianco" che limitava il numero dei profughi ebrei a restare in Palestina, timorosi del rancore e delle minacce dei Paesi arabi confinanti e della popolazione araba locale, non permisero più agli ebrei sopravvissuti provenienti dall'Europa, di accedervi e di rimanere. Di conseguenza la mia famiglia dovette nuovamente prendere la via dell'esilio e rifugiarsi ad Asmara, Eritrea, ex-colonia italiana persa definitivamente nel 1941 e ceduta agli inglesi. Ritengo che tenere viva la memoria della Shoah significhi non soltanto l'obbligo di non dimenticare la tragedia del popolo ebraico nel passato ma di ricordare anche ciò che è avvenuto durante questi ultimi 70 anni, affin-

ché le nuove generazioni possano imparare a costruire un presente e un futuro migliore perché tutto ciò non si ripeta mai più. Oggi vediamo che il seme dell'odio, della violenza e dell'intolleranza si risvegliano ancora una volta in Europa e per questo motivo il mio messaggio ai giovani studenti e a tutti coloro che hanno avuto modo di ascoltarmi è stato quello di ribadire l'importanza di questa giornata. Il Giorno della Memoria è doveroso non soltanto per ricordare i sei milioni di ebrei sterminati dall'ideologia nazifascista ma anche per contrastare l'attuale antisemitismo che l'Europa purtroppo sta attraversando nuovamente ora. Il mondo non deve divenire ancora una volta teatro di guerra e persecuzione causate dallo stesso odio che tutti abbiamo visto manifestato contro gli Ebrei nella seconda guerra mondiale. Dopo aver ricordato la storia tragica del popolo ebraico, ho sempre concluso con una riflessione a cui sono giunta come autrice di un libro dedicato alla grande figura sionista di mio padre, vittima di questo orribile periodo: ripercorrere le sue vicissitudini mi ha fatto ben comprendere come il sacrificio di sei milioni di ebrei ha reso indispensabile, e non più procrastinabile, la fondazione della Stato d'Israele, come casa, rifugio e patria del nostro popolo. Israele sorge dalle ceneri della Shoah e giunge alla sua fondazione come Stato indipendente e democratico. Anche io oggi risiedo, realizzando quello che fu il grande sogno di mio padre e che con grande rammarico lui non riuscì mai a realizzare. Devo ancora una volta riaffermare che Israele, che dal 1948 fin ancora ad oggi, lotta per la sopravvivenza sua, dei suoi cittadini e anche quella degli ebrei della diaspora, ma non manca mai di tendere la mano agli Stati vicini nel nome della pace. Israele rappresenta, altresì, un modello d'integrazione con oltre 14 mila studenti stranieri, provenienti da tutto il mondo tra cui anche l'Italia, che vengono da noi per sperimentare le nuove frontiere della ricerca e della tecnologia, ovvero il presente ed il futuro d'Israele. Il "Giorno della Memoria" offre utili e necessarie riflessioni per non dimenticare mai e mai più, con la speranza che nel futuro si riesca a ricostruire in maniera più positiva ciò che il nazifascismo è riuscito a distruggere soltanto pochi decenni fa.


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Maria Fedele, Presidente dell'Associazione Culturalmente

di Caterina Sorbara

Il Sindaco con i premiati e la Giuria

Culturalmente per ricordare

La Comunità Amato e la Shoah occasione d’incontro e di riflessione

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a legge n.11 del 20 Gennaio del 2000 ha istituito il 27 Gennaio “Giorno della Memoria”, data dell’abbattimento dei cancelli di “Auschwitz,” al fine di ricordare la Shoah (stermino del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. La macchina di morte, messa in piedi dalla Germania nazista, si può raccontare in questi freddi numeri: 6 milioni di ebrei morti nei lager e negli omicidi di massa perpetrati dai tedeschi e da alleati e collaborazionisti; almeno 300.000 zingari di etnia Rom e Sinti morti nei campi di concentramento (anche se numerose altre stime riportano cifre che potrebbero raggiungere le 800.000 vittime); 300.000 esseri umani affetti da qualche tipo di disabilità mentale o fisica “eliminati” in nome dell’eugenetica e dell’ “improduttività”; 100.000 oppositori politici del regime nazista uccisi (in maggioranza comunisti e liberali massoni); 25.000

omosessuali; 5.000 testimoni di Geova. Numeri, spesso tragicamente approssimativi, perché le dimensioni della tragedia, e la furia razionale e cieca del regime di Hitler, ha completamente annientato intere popolazioni, rendendo spesso impossibile ricostruire la morte di interi villaggi e comunità. Numeri che, andando avanti le ricerche storiche, sembrano essere addirittura inferiori a quelli reali. Numeri incompleti, perchè alle vittime dell’Olocausto, per le quali il nazismo aveva scientificamente organizzato il totale annientamento, vanno aggiunte quelle di milioni di morti, soprattutto polacchi e russi, che furono vittime di rappresaglie e di stragi compiute nel solo nome di una presunta superiorità della razza ariana. Moltissime le iniziative che si sono sviluppate in Calabria e in ogni parte del mondo. Ad Amato, frazione di Taurianova, l’Associazione CulturalMente, presieduta dalla pittrice Maria Fedele, ha organizzato un incontro, con lo scopo di rendere la Memoria un elemento vivo: le riflessioni del passato sono occasione di riflessione sulle contraddizioni e sulle speranze del nostro tempo. Solo ricordando quello che è stato, guardando indietro per guardare avanti, possiamo salvaguardare il tenore della nostra vita democratica oggi. L’incontro si è tenuto al Centro Sociale della frazione taurianovese. Dopo i saluti della Presidente, Maria Fedele che, si è soffermata, non solo sulle drammatiche vicende dell’Olocausto, ma anche di quelle ancora in atto, come lo sterminio dei cristiani e musulmani ad opera dell’organizzazione terroristica jihaista sunnita Boko Haram in Nigeria; i ragazzi dell’associazione, attraverso la

musica, la prosa e la poesia, hanno emozionato il numeroso pubblico presente in sala. Ha presentato l’evento Michela Taverniti, gli intermezzi musicali sono stati curati da Chiara Ascone e Pasquale Startari. Mattia Monterosso, ha dato voce ad un video sulle fasi dello sterminio, mentre Vincenzo Caccamo, Antonio Sicari, Maria Papalia e Sofia Ciano, hanno declamato delle poesie. Biografie ed approfondimenti, sono stati esposti da Michela Monterosso, Ivana Facciolo e Ilaria Ascone. Alla fine, sulle note di Imagine di John Lennon, i ragazzi dell’Associazione hanno portato delle candele, simbolo delle luce, della rinascita e della pace. L’evento è stato arricchito da una mostra fotografica, dai disegni del giovane artista Domenico Albanese e dalla proiezione del film “La vita è bella” di Roberto Benigni. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, è stato curato da Federica Fedele con il sostegno dell’Associazione Culturale “Il Castello” di San Martino. Presenti il consigliere provinciale Roy Biasi, il poliedrico Nino Spirlì, la Consigliera di maggioranza Rosalba Ascone, i Consiglieri di minoranza, Maria Teresa Perri e Nino Caridi e l’editore del Corriere della Piana Luigi Cordova. Foglia Foglia Che ti staccasti dall'albero Portata su dal vento Cercasti di toccare il cielo Ma in vano cadesti a terra. Infinito Vorrei fare un eterno viaggio Attraversare monti e pianure Mari e laghi Volare sul cielo Accarezzato dalla leggere brezza Vorrei fare un eterno viaggio Ma l'eterno non esiste. Poesie di Domenico Albanese


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La presidente Maria Rosa Romeo con il sociologo Mimmo Petullà, insieme ai soci ed agli intervenuti all'incontro

Taurianova:

Giornata della Memoria all'Auser "Madre Teresa di Calcutta"

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l 27 Gennaio, giornata della memoria, anche l’Auser “Madre Teresa di Calcutta” di Taurianova, ha organizzato un incontro, con lo scopo di ricordare e riflettere su una pagina molto toccante della storia dell’umanità. Presenti, oltre alla Presidente Maria Rosa Romeo e tutti i componenti del sodalizio taurianovese, il noto sociologo Mimmo Petullà. Dopo i saluti della Presidente, ha preso la parola Mimmo Petullà soffermandosi sul termine Olocausto. Con questo termine (con l’adozione della maiuscola), a partire dalla seconda metà del XX secolo si indica il genocidio perpretato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli Ebrei d’ Europa, per estensione, lo sterminio nazista verso tutte le categorie ritenute “indesiderabili”, che causò circa 15 milioni di morti in pochi anni, tra cui 5-6 milioni di ebrei, di ogni sesso ed età. La parola “Olocausto” deriva dal greco λόκαυστος (olokaustos, “bruciato interamente”), a sua volta composta da λος

(olos, “tutto intero”) e καίω (kaio, “brucio”) ed era inizialmente utilizzata ad indicare la più retta forma di sacrificio prevista dal giudaismo. L’Olocausto, in quanto genocidio degli ebrei, è identificato più correttamente con il termine Shoah (in lingua ebraica ‫האושה‬, HaShoah, “catastrofe”, “distruzione”). L’uso del termine Olocausto viene anche esteso a tutte le persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti “indesiderabili” dalla dottrina nazista, e di cui il Terzo Reich aveva previsto e perseguito il totale annientamento, poiché avvenuto nel medesimo evento storico: essi

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di Caterina Sorbara

potevano comprendere, secondo i progetti del Generalplan Ost, popolazioni delle regioni orientali europee occupate, ritenute “inferiori”, e includere quindi prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, nazioni e gruppi etnici quali Rom, Sinti, Jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali, malati di mente e portatori di handicap. L’eliminazione di circa i due terzi degli ebrei d’Europa venne organizzata e portata a termine dalla Germania nazista mediante un complesso apparato amministrativo, economico e militare che coinvolse gran parte delle strutture di potere burocratiche del regime, con uno sviluppo progressivo che ebbe inizio nel 1933 con la segregazione degli ebrei tedeschi, proseguì, estendendosi a tutta l’Europa occupata . Nel corso della serata è stata letta una poesia, scritta da un bambino di nome Piter, nel campo di Terenzin, dal titolo “Filo Spinato”. Un momento davvero emozionante, per non dimenticare e per salvaguardare la libertà e la democrazia che tutti amiamo.


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Lions club Taurianova “Vallis Salinarum” di Aurora Placanica

Progetto Martina

I Lions a scuola per parlare ai giovani di lotta ai tumori

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abato 13 Febbraio i medici Lions del Club di Taurianova Vallis Salinarum, che anche quest’anno curano con professionalità ed entusiasmo il Progetto Martina, hanno incontrato gli studenti dell’Istituto Gemelli Careri. La lodevole iniziativa, ormai consolidata negli anni, è nata nel 2000 a Padova, dove un gruppo di medici Lions, sollecitati da Martina, una giovane donna colpita da un tumore al seno e che oggi, purtroppo non c’è più, incominciarono ad incontrare gli studenti delle Scuole Superiori curando un programma informativo sulle metodologie di prevenzione ai tumori. Gli incontri nelle Scuole, ripetuti annualmente, raccolsero ampi consensi tra gli studenti e le loro famiglie tanto da convincere i medici Lions a trasformare l’esperienza vissuta in un Progetto da attuare a livello nazionale con un coordinamento centrale. Nasce così il ”Progetto Martina” che prende il nome dalla sfortunata ragazza che prima di morire ha voluto lasciare un testamento, ha chiesto espressamente che i giovani siano accuratamente informati ed educati ad

avere maggiore cura della propria salute e maggiore attenzione al proprio corpo. Ed è proprio questo il programma del Progetto Martina il quale, a costo zero, si propone di combattere i tumori con l’informazione, nella convinzione che solo con la conoscenza si può essere in grado di ridurre il rischio di contrarre la malattia o di diagnosticarla troppo tardi. Nello specifico, il programma mette a punto suggerimenti pratici che invitano i giovani ad uno stile di vita corretto per eliminare la cause che determinano o favoriscono l’insorgenza dei tumori, facendo riferimento al “Codice Europeo contro il cancro” che raccomanda di non fumare, moderare il consumo delle bevande alcoliche, evitare l’esposizione eccessiva al sole, mangiare ogni giorno frutta e verdura, aderire ai programmi di screening. Le lezioni sono tenute da medici specialisti Soci Lions (ma possono partecipare al Progetto tutti i medici anche non soci) oncologi, ginecologi, urologi, senologi ecc. nel rispetto delle linee guida , in accordo con società scientifiche nazionali.

I destinatari del Progetto sono studenti di scuola superiore in età compresa tra i 16 e i 19 anni. Il Lions Club si Taurianova Vallis Salinarum cura il Progetto Martina ormai da cinque anni portando in varie scuole del territorio la mission del Progetto “combattere i tumori con la cultura” Quest’anno le scuole coinvolte nel programma sono: il Liceo Classico Gerace di Cittanova, che incontrerà i formatori sabato 20 e 27 Febbraio; Il Liceo Scientifico di Oppido Mamertina, sabato 5 e 12 mqrzo; l’Istituto Severi di Gioia Tauro, sabato 2 e 9 Marzo e l’Istituto Gemelli Careri di Taurianova dove si sono già svolte le lezioni sabato 6 e 13 febbraio. Un plauso ai Dott. Luisa Pandolfini , Pasquale Iozzo , Leopoldo Muratore,soci del nostro Lions Club, che con grande spirito lionistico e competenza si dedicano a questo nobile servizio rivolto ai nostri giovani e un grazie al Presidente in carica dottore Domenico Randazzo che promuove e sostiene le numerose attività sociali del nostro Club sempre a servizio della comunità.


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Polistena, recital pianistico di Stefania Surace. Presentazione del CD

Fata Morgana

…ci ritornavo tutte le volte che la vita mi defraudava di una qualche sicurezza. Mi costruivo queste musiche per avere una casa, un posto dove tornare…” Ed eccola tornare nella propria terra… quasi come rondine al proprio nido…con la passione nel cuore e nello sguardo, Stefania Surace, pianista polistenese. “Fatamorgana”, un disco denso di atmosfere suggestive, di risvolti compositivi affascinanti e visioni, questo è i cd che presenta la Surace. L’artista ha proposto, il 5 Gennaio, nel magico scenario del Salone Delle Feste del Comune di Polistena, un concerto con il proprio repertorio di composizioni originali, brani inediti e alcune composizioni di Chopin eseguite in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2015/16 del College of Europe di Bruges. Stefania circa un anno fa lancia un progetto discografico sul web: riceve il sostegno di molti e il progetto si realizza, diventa

un CD. Le sue composizioni romantiche e nate quasi sempre da improvvisazioni, sembrano generate dall’anima. Si è esibita a Polistena nell’ambito di un progetto dell’assessore alla cultura del comune di Polistena, Nelly Creazzo, di richiamare i giovani talenti polistenesi che ora sono

di Veronica Iannello

eccellenze fuori dal territorio della Piana, nell’ambito delle manifestazioni del Natale polistenese. Tra i concerti più significativi della Surace, quello ai Mercatini di Traiano di Roma e il concerto di Erbil, nel Kurdistan iracheno, organizzato dall’Ambasciata Italiana Baghdad. Quando nel semplice e soave ascolto di una musica che nasce dal cuore, dai ricordi, dalla vita quotidiana, si creano composizioni di note che toccano in modo dolce la sensibilità dell’ascoltatore, quello è ciò che definiamo ARTE PURA. Una donna, Stefania, che sceglie di sconvolgere la sua vita per inseguire con forza la sua passione, è un’artista di rara bellezza interiore. Incredula anche lei di ciò che la sua anima possa proporre al pubblico, in attesa di ciò che ancora dovrà essere, Stefania dimostra il suo forte attaccamento alla terra natia, senza mai scordare di essere “in mezzo al mondo” e trovare sempre nella sua musica un posto caldo, una casa dove tornare…


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di Veronica Iannello

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opo l’ultima sfilata organizzata dalla storica “SOCIETA’ DI MUTUO SOCCORSO FEDE E LAVORO”, nel 2005, quest’anno si è voluta riprendere la tradizione del periodo pre-quaresimale, con il patrocinio del Comune nella persona del sindaco Michele Tripodi. La “società di mutuo soccorso Fede e Lavoro”, fondata a Polistena il 16 Marzo 1920, inaugurò negli anni ’70 la tradizione, nella Piana di Gioia Tauro e nella città di Polistena, dei mascheroni di cartapesta. Primo punto di riferimento Mons. Luigi Guido, Arciprete dell’allora unica Parrocchia Santa Marina Vergine, lo scopo era di promuovere il benessere morale e materiale dei soci, ma anche lo sviluppo e la conoscenza delle tradizioni del territorio. Quest’anno si è voluto dare un input alle coscienze cittadine alla COLLABORAZIONE, che quest’anno è sicuramente mancata…ma sarà la prima prerogativa per gli anni a venire… Le vie della cittadina si sono riempite di gente e coriandoli nelle due giornate dedicate alla sfilata allegorica. Le opere in cartapesta dell’artista Carmelo Tropea, detto Melino, hanno reso ricco e originale il Carnevale Polistenese; il Folklore e la gioia dei bambini, delle famiglie e di chi ha partecipato con musiche e sorrisi, hanno poi allietato e incorniciato di fantasia l’intera manifestazione. Sicuramente, per riprendere in modo completo le tradizioni che hanno fatto del Carnevale di Polistena uno dei più belli della Piana, ci vorrà ancora un po’ di tempo… ma i presupposti ci son tutti: soprattutto la voglia dei cittadini di rendere la propria città, anche nel periodo carnevalesco, un punto di riferimento turistico…con tradizioni artistiche, folkloristiche, musicali ed enogastronomiche. Quindi un invito aperto a tutti per il prossimo anno con il “Gran Carnevale Polistenese”.

Tornano i colori nelle vie per il Carnevale di Polistena.


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CARNEVALE A TAURIANOVA :

Voliamo sul … mondo

I mitici anni ‘50

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e manifestazioni per il Carnevale sono ormai un appuntamento fisso del nostro paese, come momento di socializzazione e di svago. L’Istituto Comprensivo “Monteleone-Pascoli”, sempre attento a tutte le iniziative che possono stimolare e arricchire il bagaglio di competenze degli alunni, che hanno partecipato entusiasti all’evento che ha avuto come tema conduttore: “Suoni, balli e canti del mondo”.

La scuola ha realizzato una rivisitazione dei “Mitici anni ‘50” con il supporto della coreografa e maestra di danza Mimma Spanò che ha curato i balli tipici di quel periodo. Il folto gruppo dei bambini partecipanti, più di 200, era preceduto da uno dei simboli italiani più conosciuti nel mondo: la favolosa “Fiat 500”. I bambini hanno sfilato e ballato domenica 7 e martedì 9; una macchia di pois per le bambine e il mitico “chiodo” per i maschietti. Le note di “Volare”, una

di Natalina Bongiovanni

delle nostre canzoni più famose nel mondo, ha rallegrato tutti i partecipanti. Anche le maestre hanno voluto condividere con gli alunni questo evento travestendosi e ballando sulle stesse note, dando così un’impronta di leggerezza e di allegria. La nostra Dirigente prof.ssa M. Aurora Placanica ha espresso parole di lode nei riguardi di tutti, ma soprattutto verso le famiglie, sempre pronte a partecipare a tutte le iniziative del nostro Istituto.


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di Filomena Scarpati

Musical: "Aspettiamolo insieme esultiamo in Lui"

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entre una schiacciante psicosi di guerra si evidenzia tra le genti, per il terrorismo islamico che ha provocato migliaia di vittime e gli Stati attaccati rispondono agli attentati con altra violenza, Varapodio si cimenta in rappresentazioni teatrali tratte dai tristi eventi incapaci di meritare soluzioni che rispettino la dignità umana e la libertà di professare il proprio credo religioso senza farne questioni di Stato. Partendo da notizie giornalistiche legate alla violenza perpetrata, Angelica Miliadò, autrice di "Aspettiamo insieme esultiamo in Lui", un pò recital e un pò commedia, propone numerose problematiche su cui la Chiesa e le comunità spesso riflettono nel tentativo di trovare soluzioni equilibrate. Il lavoro dell'autrice parte con una notizia giornalistica sugli effetti dell'Isis che sembra infrangere quelle gabbie di cristallo in cui ogni Stato ha racchiuso i propri cittadini, per tenerli illusoriamente al riparo da ogni forma di violenza.

Certo, nessuno prevedeva che la morte di Gheddafi avesse generato mostri, che i governanti si preparano a combattere con altra violenza. Il recital parte proprio dalla notizia di Francia e Russia che posizionano i loro missili verso Raqqa, ma chi condanna gli attacchi in Francia deve condannare quelli in Israele, commenta il premier Benyamin Netanyahu. Mentre Hollande e Putin fanno partire i raid sullo Stato islamico e si combatte in modo tacito per non creare allarmismi, una terza guerra mondiale, i Parroci a cui vanno affidate intere comunità devono educare alla pace e al bene comune i fedeli. Progetti ambiziosi a cui si da sfogo negli oratori parrocchiali di cui uno in particolare viene preso in considerazione nel lavoro di una qualificata penna di Varapodio, che nasce per caso dopo le sollecitazioni di Don Mimmo Caruso, che non perde occasione a dare gli input necessari affinché le comunità a lui affidate, oltre agli aspetti religiosi affrontino le vie delle cultura, che aprono all'uomo

nuovi orizzonti, più ambiti, capaci di creare relazioni sociali basate sull'amore, cardine del Vangelo. Dopo il successo riscosso dal recital, oltre che scritto, messo in scena dall'autrice lo scorso 3 gennaio, l'interesse suscitato ha spinto la redazione del "Corriere della Piana" ad intervistare l'autrice Angelica Miliadò, che si spera voglia regalare al nostro territorio altri momenti così intensi, ma anche di spensieratezza, considerata la trama ricca di episodi umoristici interpretati da una particolarissima perpetua. Il toccasana, può essere considerato, in un difficile periodo storico, intriso di sangue versato dalle vittime del fondamentalismo islamico e dalle tante morti generate dall'indifferenza umana che si traduce in mal governo per molti Stati. Non si può rimanere inermi rispetto alla violenza, ma l'autrice pone in essere l'importanza della missione della Chiesa nell'educare bambini e giovani nella pratica della pace che nasce dal buon senso oltre che dai principi, inculcatici sin da piccoli dalle famiglie,


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Un pò recital e un pò commedia dai parroci che svolgono un'opera ardua sulle coscienze e dalle catechiste che, se scelte bene sembrano compiere miracoli, soprattutto sui bambini provenienti da famiglie con problemi di diversa natura. Tra i tanti personaggi che entrano in scena nell'ironica commedia di tipo musicale, a colpire maggiormente é quello della perpetua ubriacona, Peppina, che racconta di vedere la Madonna. Un dramma per certi versi, è costituito anche dalle forme di collaborazione che non sono sempre consone alle aspettative della comunità pastorale, dramma che si aggiunge ai tanti altri rappresentati dalla Miliadò e in primis riportato dal contesto giornalistico, che è anche una delle tradizioni culturali di Varapodio. Un'influenza culturale che entra anche a far parte della commedia: in prima battuta racconta la strage del Bataclan di Parigi. L'autrice, di professione Vigile Municipale di Varapodio, nell'intervista manifesta la sua incredulità rispetto alla buona riuscita di una commedia musicale messa in scena per caso. "Quando Don Caruso ha scoperto che era mia abitudine appuntare nel tempo libero delle riflessioni su ciò che accade in parrocchia, in paese e su ogni cosa che mi circonda, penso' di darmi l'incarico di creare qualcosa da condividere con gli altri per abituarci a stare insieme e riflettere anche su tematiche di una certa importanza, tratte dall'attualità. La parte più complessa era approntare un canovaccio da ciò che avevo scritto, i tempi brevi a disposizione non me lo consentivano, ma con l'aiuto dei ragazzi della comunità sono riuscita a realizzare un copione da fornire agli attori per favorirne l'interpretazione. Le coreografie sono state curate da Roberta Cacciatore e Alida Mangione. Quando scrivevo semplicemente per ri-

lassarmi, riportando su carta alcuni episodi vissuti nel quotidiano, mio marito Gaetano Matalone, mi esortava ad impegnarmi nella realizzazione di qualcosa di più concreto. Avevo sempre trascurato questa possibilità, fino a quando Don Caruso non mi ha nominata responsabile dell'attività teatrale delle parrocchie di Varapodio ed esorsata a realizzare una vera rappresentazione. Ero scettica sulla riuscita, ma felice per i risultati inaspettati. I personaggi - continua l'autrice - tratti dalla realtà in alcuni casi, esagerati nelle esternazioni negli altri, hanno riportato le tematiche e le problematiche che attanagliano la quotidianità, una realtà fatta di consumismo che svia i giovani dai veri valori dell'esistenta, da cui nasce la necessità per gli operatori degli oratori, di creare interessi nei bambini e nei giovani, capaci di impegnarli in modo sano in base agli insegnamenti del Vangelo. Una continua ricerca di perfezione è perseguita dal nostro Parroco che non smette mai

d'invitarci a dare il meglio di noi stessi, ma ciò che blocca è la paura del giudizio gratuitamente "cattivo", soprattutto dei piccoli ambienti". Hanno collaborato per la recitazione, l'architetto Francesco Fedele che ha interpretato Don Mimì, Vilma Rizzo nella parte di Peppina la perpetua. Gli altri personaggi sono stati rappresentati da Alessia Aloi, Salvatore Fedele, Pasquale Varapodio, Alberto Pisani, Vincenzo Silipigni, Chiara Coppola, Rosario Silipigni, Teresa Sciarrone, Giovanni Sciarrone, Letizia Carrozza, Cristiana Polifroni, Francesco Silipigni e Antonino Matalone che oltre a recitare, ha dipinto e donato alla Chiesa "La Madonna della Tenerezza", così denominata dal Parroco, per consentire, con una riffa, l'acquisto dei microfoni utili alla rappresentazione. Tutti ci sentiamo Santi, ma il nostro atteggiamento può farci ritenere meritevoli di vivere Cristo e ascoltare la Sua Parola? Con questo interrogativo l'autrice ci lascia in attesa di una sua nuova creazione!


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Francesco Oscar Ferraro

di Francesco Di Masi

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Performance di Francesco Oscar Ferraro

Una vetrina per i nuovi talenti che sognano l’Ariston Calabria protagonista a ‘CasaSanremo’ con il duo Francesco Oscar Ferraro e Giuseppe Pugliese

ra le attività del 66° Festival della Canzone Italiana, hanno preso vita quelle ad esso correlate, la più importante è CasaSanremo, dal 2008 il punto di riferimento principale per tutti coloro che calcano il palcoscenico del Festival, il luogo di aggregazione per eccellenza, rifugio e officina creativa per artisti e addetti ai lavori, nonchè formidabile vetrina per i nuovi talenti che sognano l’Ariston. E’ proprio tra queste stelle nascenti che quest’anno si sono trovati Francesco Oscar Ferraro e Giuseppe Pugliese. Francesco Oscar, cantante e poliedrico artista, calabrese originario di Varapodio, la cui performance canora, accompagnata dal pianoforte del Maestro Giuseppe Pugliese (direttore artistico di diverse scuole di musica della Piana di Gioia Tauro), ha avuto luogo il 9 febbraio presso il “Corporate Guest Village CasaSanremo”. Nato a Taurianova (RC) il 12/08/1989 è un performing artist, attore e ballerino ma principalmente cantante, con un’impostazione lirica da baritono (con particolarità da sopranista) ed una timbrica, nella musica leggera, calda e soul. Diplomato presso l’accademia di spettacolo “Fonderia delle Arti” di Roma, diretta da Giampiero Ingrassia e Maurizio Boco, ha inoltre frequentato numerosi stage di danza moderna e scuole di musica, come il Workshop di musica leggera con il maestro Luca Pitteri e con il maestro Beppe Vessicchio, con ottimi risultati. Dal 2011 al 2012 ha frequentato un seminario di Recitazione Semestrale con la docente Nicoletta Ramorino presso il Centro Teatro Attivo di Milano. Nel 2009 ha vinto il primo premio al “Note Pulite Festival”, presso il teatro Politeama di Gioia Tauro, con in Giuria il noto Giulio Rapetti Mogol; nel 2010 ha co-condotto “Miss Italia” per la Provincia di Reggio Calabria. Ha preso parte a diversi spettacoli teatrali tra cui il musical “Rocky Horror Picture Show” andato in scena a Roma nel 2009 in cui è stato protagonista. Varie le esperienze cinematografiche: nel 2011 ha avuto il ruolo di protagonista nel corto “La mafia Alternativa” di Nicola Barnaba, pellicola premiata al Festival di Cannes, al Festival di Taormina con Riconoscimento come miglior Attore non sconosciuto ed al Fe-

stival di Venezia; nel 2011 il corto “Con Rabbia e con Sapere” di Demetrio Casile, nel ruolo di co-protagonista; nel 2011 il corto “Il coraggio d’amare” di Tania Romeo, nel ruolo di protagonista; nel 2010 il film”Dance For Life” di Francesco Mazza, nel ruolo di attore e ballerino. Per la televisione ha partecipato a Forum per Canale 5; Quelli che il Calcio per Rai 2; G-Day per LA7; Pubblicità su MTV. Ha inoltre recitato nella fiction Rai 1 “Il Giudice Meschino” di Carlo Carlei, e in “Belli e Dannati” su Sky Roma. Il suo volto è stato prestato ad alcune pubblicità: “Unicredit Banca”; “Vodafone per Smartphone”; “Una Canzone per due”. Un’opportunità, questa, unica di promozione e visibilità, garantita dalla presenza a CasaSanremo dei numerosi ospiti del jetset discografico: cantanti, produttori, giornalisti e le televisioni che costantemente e quotidianamente saranno testimoni del più importante evento musicale italiano. L’ambita vetrina di CasaSanremo non è stata facile da conquistare, Francesco Oscar Ferraro ha infatti dovuto superare vari casting e selezioni: dalla prima tappa calabrese di “CasaSanremo in tour”, dell’estate 2015 dentro un noto centro commerciale, sino all’esibizione finale a Salerno lo scorso dicembre, dove l’interpretazione intensa e il timbro caldo della voce di Francesco Oscar hanno conquistato il consenso di Roby Facchinetti che complimentandosi con il promettente artista ha concesso il lasciapassare per CasaSanremo. Giuseppe Pugliese, diplomato in pianoforte al Conservatorio “Torrefranca” di Vibo Valentia, ha tra-

scorsi da bambino prodigio, infatti ha esordito negli studi musicali all’età di 7 anni e già a 9 ha cominciato ad esibirsi in pubblico. Studiando in diverse strutture, dal Conservatorio “F. Cilea” di Reggio Calabria, a San Giovanni Valdarno (FI) dove ha conosciuto il suo mentore, il maestro Andrea Turini, che lo porta a diplomarsi brillantemente e a iniziare la sua carriera concertistica. Diplomato anche in Musica Elettronica presso lo stesso Conservatorio “Torrefranca”, sta attualmente preparando la Tesi di Laurea in Musica e Spettacolo presso il Politecnico “Scientia et ars” di Vibo Valentia. Ha partecipato a numerose rassegne, corsi e concorsi, conseguendo ottimi apprezzamenti e risultati nelle città di Crotone, Cosenza e Catanzaro. Durante il primo concorso “Simone D’Agostino Città di Polistena” gli è stata conferita una menzione speciale per l’esecuzione di Chopin. Esperto di musica da camera ha accompagnato l’Orchestra d’Archi, il Quartetto d’Archi e l’ Orchestra “F. Cilea” di Palmi (RC). Ha frequentato le Master Class tenuta a Vibo Valentia da Anna Maria Cigoli ed a S.Giovanni Valdarno da Humberto Quagliata. Inoltre ha frequentato corsi di perfezionamento al Conservatorio di Vibo Valentia, con rispettivi concerti presso il Duomo San Leoluca di Vibo Valentia, il Teatro di Giardini Naxos e Bassiano. Porta avanti progetti musicali nelle scuole della Piana di Gioia Tauro e dal 2008 è titolare e direttore artistico della scuola di musica “Musica e Armonia” di Cittanova dove insegna pianoforte, teoria e solfeggio, armonia, storia della musica, propedeutica musicale, musica da camera e musica corale. Vista la grande affluenza e il successo della scuola di musica, recentemente è stata aperta una seconda sede a Gioia Tauro; da poco le scuole hanno ottenuto una convenzione con il conservatorio “Torrefranca” di Vibo Valentia con cui collabora attivamente nell’organizzazione delle manifestazioni varie e alla continua ricerca di nuovi talenti da produrre alla ribalta del panorama musicale nazionale. Questo connubio, per la prossima esibizione a “CasaSanremo”, suggellerà il sodalizio artistico, che farà di Francesco Oscar Ferraro e Giuseppe Pugliese, un duo musicale, ai quali auguriamo futuri e stellari traguardi.


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Sonia Foti - Una "Star" nascente nel firmamento della Piana

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i accorgiamo che spesso alle giovani promesse del territorio della Piana non viene dato abbastanza risalto, o non tanto quanto ne meriterebbero veramente, forse perchè siamo troppo impegnati a ricercare fatti negativi che offuscano la dignità del nostro territorio. Esistono grandi talenti come quello di Sonia Foti a cui il "Corriere della Piana" ha voluto dedicare questa pagina. Nata a Cinquefrondi il 31 Ottobre del 2003 e residente a Oppido Mamertina nella provincia di Reggio Calabria, inizia il suo percorso canoro all'eta' di otto anni iscrivendosi alla Melody Music School di Roma. Iniziano così le prime lezioni di canto con l 'insegnante Loretta Martinez, una delle vocal coach più importanti d'Italia, nonchè ex giurata della scuola di Amici di Maria de Filippi. Dopo qualche anno, considerata la sua bravura, comincia a partecipare a concorsi canori ed effettua diverse esibizoni su palchi, teatri, TV locali, regionali e nazionali, ottenendo numerosi consensi e vittorie. Il 2014 per Sonia è stato un anno da incorniciare, a giugno si iscrive al concorso canoro Campania Festival dove va in finale e vince la manifestazione categoria junior, la cui giuria è presieduta da Grazia Di Michele. Diviene poi finalista e vincitrice nella categoria junior di "Una voce per il Sud" a Manfredonia (Puglia). E' ancora una volta finalista e vincitrice nella categoria junior al Cantirpinia di Avellino e

poi vincitrice regionale e finalista Nazionale al cantagiro di Fiuggi, piazzandosi al secondo posto su 49 finalisti. Continua la sua collezione di successi come finalista e vincitrice della categoria junior del concorso canoro "Paola in musica" nella provincia di Cosenza, in memoria di Paola Serpa scomparsa prematuramente. Non meno intenso è stato per Sonia Foti il 2015. A Gennaio viene invitata ad esibirsi al teatro Cilea di Reggio Calabria nel Memorial Mino Reitano. A febbraio si esibisce al palafiori di Sanremo davanti ai migliori discografici italiani ricevendo numerosi apprezzamenti dagli stessi. Ad aprile viene invitata come ospite ad esibirsi al palazzo della Regione di Reggio Calabria dall'associazione Ars musica. A luglio partecipa ad un importante concorso canoro contro la violenza sulle donne a Novara in "Una voce per sorridi ad una donna" con presidente di giuria Mara Ma-

Filomena Scarpati

ionchi, piazzandosi al primo posto categoria junior ed ottenendo una borsa di studio. Ad Agosto vince per il secondo anno consecutivo il "Campania festival categoria junior", l'unica della sua categoria ad aver vinto il concorso per due volte consecutive in 10 anni di festival. Il 9 Agosto riceve al cinema teatro di Oppido Mamertina dall'associazione Ars musica, il premio "Sirenetta" come riconoscimento per tutto quello che ha fatto in questi anni. La certezza di una brillante carriera scaturisce dalla sua voce e dalla sua professionalità, destinate a crescere negli anni a venire. Lo studio è fondamentale e servirà ad aumentare il suo modo di rendere tutto più autentico ed originale, ma va messa in evidenza la sua passione per il canto e la musica che trae origine sicuramente da un'inclinazione naturale, senza trascurare la completa dedizione a questi settori, oltre allo studio presso la Scuola Secondaria di primo grado di Oppido Mamertina. Come già detto più avanti gli studi di canto e di musica continua ad effettuarli a Milano con Loretta Martinez e presso la "Caracciolo Junior Musical School" di Salerno con sede principale a Roma, dove si reca periodicamente. Le giornate di Sonia Foti sono trascorse tra i libri di scuola e le esercitazioni di pianoforte e canto. Sacrifici che saranno sicuramente ricompensati se si considarano sia il talento che l'impegno della giovane artista, a cui vanno i più fervidi auguri dello staff del "Corriere della Piana".


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Caterina Riotto duetta con la figlia Martina Mattiani (al piano) in Say something (Foto Deborah Serratore)

di Deborah Serratore

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Da sinistra Caterina Riotto insegnante della Chloe Singing School con le sue allieve Martina Mattiani, Chiara Mazzaleo, Clorinda Morabito e Carmela Guerrisi (Foto Deborah Serratore)

Caterina e le sue allieve al The Harp

a musica, una delle migliori forme di dialogo tra esseri umani. Un dialogo che può elevarsi se si svolge tra anime pure dalle grandi doti artistiche, un gruppo di ragazze piene di sogni che entra in contatto col mondo attraverso la forza della voce e delle emozioni. Questa “conversazione in musica” doveva però realizzarsi nel luogo giusto, un posto in cui giovani menti dialogano tra loro facendo arte. Un posto come “The harp”, il locale più innovativo di Palmi, la sala da tè divenuta in breve tempo centro nevralgico della nuova Arte palmese. Il 23 Gennaio 2016 il locale gestito dal quartetto formato da Nerissa Lonergan, Emilio Crisafulli, Fabiana Leuzzi e Domenico Schipilliti ha calorosamente accolto, in uno dei tanti sabati musicali organizzati dalla tea room, le ragazze della “Chloe singing school”, diretta dalla docente palmese Caterina Riotto -mezzo soprano di fama internazionale- che si sono esibite nel concerto “Symphony at the harp”. Quattro giovani adolescenti dall’anima soul hanno riscaldato il già caloroso ambiente del caratteristico locale “made in Britain”: le palmesi Chiara Mazzaleo, Carmela Guerrisi e la molochiese Clorinda Morabito, accompagnate al piano dalla bravissima 14enne Martina Mattiani. Per le quattro talentuose “artiste in erba” è stata un’opportunità unica di compiere i primi passi su un palcoscenico: per gran parte del concerto senza la loro maestra, le allieve hanno dato prova di sicurezza scenica e bravura nell’intonazione in difficili brani soul pop e r’nb di Beyoncè, Bruno Mars, Christina Aguilera e soprattutto Adele. Ciascuna di loro ha reinterpretato questi pezzi in base alla propria personalità vocale: quella intensa e graffiante di Chiara, quella limpida e intonata di Carmela e quella dolce e potente di Clorinda. Gli occhi della 17enne di Molochio brillano di emozione: “La musica mi è servita a superare le mie paure. Caterina è una bravissima insegnante che valorizza la nostra voce e il nostro talento”. Arriva anche lei, a un certo punto del concerto, Caterina, la “maestra-mamma” che guida le sue ragazze “un palcoscenico per volta”. E’ il percorso obbligato da fare, un palco alla volta. E’ quello che ha fatto e continua a fare la stessa Riotto, che nonostante una carriera costellata di meritati successi, ammette di avere ancora tanto

da imparare. Anche lei è stata allieva, imparando i segreti delle sublimi vette liriche dal soprano Serenella Fraschini del Conservatorio di Reggio Calabria e dal mezzosoprano Gloria Scalchi. Ciascuno di noi è un perenne studente, e Caterina non lo ha dimenticato, neppure quando ha calcato i palcoscenici di Vienna nel “Trovatore” di Verdi (2010); o quando ha indossato i panni dell’amica fidata di Violetta ne “La Traviata” a Sabaudia nel 2011 o quelli di “Carmen” a Latina lo scorso anno. La sua voce è stata apprezzata in Francia (all’arena di Frejus, in occasione del concerto della fondazione Pavarotti) e recentemente in Ungheria. Una perenne studente che insegna ogni giorno alle sue allieve a cantare con umiltà: “Il palcoscenico non è per tutti.” -dichiara la Riotto al termine dello spettacolo delle sue ragazze- “Ci vogliono il talento, la voce, la professionalità”. E, rivolgendosi alle sue quattro giovani artiste: “Spero che possiate salire uno scalino alla volta e possiate realizzare i vostri sogni. Che voi ci riusciate o meno io vi darò tutto quello che è nelle mie possibilità per aiutarvi a farcela”. Spesso Caterina ha dovuto lottare, nei tre anni di vita della scuola di canto (a numero chiuso, bisogna superare delle audizioni per entrarvi) con tanti genitori che pretendono dai figli il “tutto e subito”, dimenticandosi che il canto non è un lavoro ma una passione. Passione che può portare a partecipare a importanti concorsi musicali come è successo ad alcune delle talentuose allieve della Chloe. Onoreficenze e concorsi che non vanno ostentati però. La stessa Riotto, due volte premio Anassilos Reggio Calabria (uno per la miglior voce e uno per la brillante carriera) e un premio Camera della Moda ritiene che la vittoria più importante mai raggiunta nella vita siano i suoi due figli. Con Martina, la pianista della serata al The Harp, vi è un rapporto di simbiosi assoluta, di fratellanza. Un rapporto talmente speciale da coinvolgere gli spettatori nel duetto finale con la canzone “Say Something” di A Great Big World e Christina Aguilera. Un “dialogo in musica” emozionante culminato con un abbraccio. Il nostro augurio è che le allieve delle Chloe Singing School continuino ad abbracciare il mondo col calore della loro voce, un palcoscenico per volta.


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Maria Anedda di La danza della vita e Sabrina Collura di Linfovita si apprestano a far volare la loro lanterna. (Foto La danza della vita)

Suggestivo scorcio sulle lanterne volanti a Piazza Amendola (Foto Deborah Serratore)

Candelora Day Una luce per Palmi

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i può illuminare un intero paese con la sola forza dell’amore per la propria terra? L’associazione “Vivi Palmi”, nata da una costola di “Sei di Palmi se….” (il celebre gruppo Facebook creato da comuni palmesi che ogni giorno informa su ciò che accade all’ombra del Sant’Elia) ha dimostrato che si può dare una nuova luce, una nuova speranza, a una cittadina intorpidita da una pigrizia politica e mentale collettiva. Per dare luce a un paese di ventimila anime bastano fede, amore e… Qualche lanterna. Circa duecento, per la precisione: duecento lanterne cinesi che volano sul cielo di Palmi in occasione della Candelora. Una “pazza idea” partorita dalla mente di Dario Galletta, un vero “creatore di contenuti” per il paese. Le sue iniziative, semplici, fresche, -supportate dalla “ristretta” èlite di seimila contatti circa su “Sei di Palmi Se…”- riscuotono grandi e spontanei consensi. Con la “Lanternata” però c’è stato il boom. Perché una piccola idea è diventata anche una nuova “festa religiosa”: le lanterne sono state infatti benedette nella tradizionale Messa che celebra la presentazione di Gesù al Tempio, durante il quale si ha un “incontro affettivo dell’umanità nei confronti del Signore, ” come ha sostenuto il parroco don Silvio Mesiti durante l’omelia. Ci piace pensare che questo incontro affettivo della divinità con l’uomo sia uno “scambio di luce” Cristo è “luce per illuminare le genti”, e le “genti” ricambiano illuminando il cielo. Dopo la funzione infatti, centinaia di palmesi si sono spostati a Piazza Amendola, sul suggestivo proscenio della “Fontana della Palma”: erano tutti protagonisti, bambini, anziani, tutti pronti a far volare i propri sogni in alto, con una lanterna luminosa. Duecento idee, duecento sogni e preghiere hanno illuminato di calda luce una grigia sera di febbraio: una ragazza dona al cielo la sua lanterna in ricordo del nonno scomparso, una coppia prega per il nipote ammalato, bambini scrivono pensieri su post-it da attaccare al “Muro dei mille pensieri”. Un evento che non è fine a se stesso. C’è religiosità, lo abbiamo detto prima, e c’è solidarietà: a sostenere Galletta, nella riuscita del “Candelora Day” l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla); La Danza della Vita di quell’inesauribile pozzo di generosità che è Maria Anedda; e l’Associazione mbuttaturi della Varia di Palmi, impegnata durante la serata della luce nella raccolta fondi per la donazione di un’altalena per disabili. Iniziativa appoggiata anche dai commercianti locali: il bar Santa Rita ha infatti donato cento lanterne a “Vivi Palmi”. Chissà se Dario Galletta si ispira un po’ a Steve Jobs e al suo celebre mantra “stay foolish”, “siate folli”: perché non solo riesce ad avere idee, ma possiede la volontà e il carisma giusto per perseguirle e coinvolgere una buona fetta di Palmi, “bella addormentata” che (forse) è in procinto di svegliarsi. La sua “Vivi Palmi” ha contribuito a far conoscere la città ai palmesi con “Ogni Domenica un posto”: una serie di escursioni (15 in totale) alla portata di tutti e completamente gratuite; ha ridato vita ad antichi ed eterni giochi col festival dell’aquilone #aPianeta; ha regalato un sorriso donando circa trecento giocattoli a bambini provenienti da famiglie bisognose (a cui sono stati distribuiti 93 pacchi alimentari); ha dato possibilità a chiunque di sentirsi “fotografo per un giorno” col concorso “La tua Tonnara”; ha fatto respirare aria pulita ai più piccoli con le giornate ecologiche “Palmi in bici”. Iniziative che hanno un ampio seguito probabilmente perché coinvolgono la gente comune. Persone che per

di Deborah Serratore

qualche istante, hanno potuto contribuire a far volare un pensiero. Una somma di pensieri, di emozioni, ha illuminato un paese. Una somma di “mi piace” su Facebook a un progetto o iniziativa promossa da “Sei di Palmi se…” può portare alla sua realizzazione (come il ripristino della croce luminosa del Sant’Elia, recentemente approvato dall’amministrazione comunale). E’ una nuova Palmi, interattiva, social e popolare. Forse è proprio dalla gente che un paese può ripartire –visti i recenti traguardi raggiunti dai comitati di quartiere e dalle associazioni culturali- ed essere la luce, come sostiene lo stesso Galletta, dell’intera Piana. Una luce che per durare non ha bisogno di abbaglianti riflettori, ma di tante piccole lanterne illuminate dalla collettività. Perché una luce che illumina le genti è capace di illuminare le menti.


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Zervò il Sanatorio Comunità Incontro, Don Gelmini e Don Giovanni D'Ercole

di Antonio Violi

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Veduta di Zervò da Mesafumera con il Sanatorio

Da Spartaco, servo romano, a Zervò

ervò è un luogo molto conosciuto e frequentato dalla popolazione del circondario e specialmente dai cristinesi, perché ricadente, appunto, nel territorio del Comune di S. Cristina d’Aspromonte. Si trova a circa 1100 metri sul livello del mare, nel punto in cui, per chi sale in montagna dal paese e arriva nei piani, si presenta davanti a sé un pianura non molto grande, in parte priva di faggeta, che si allunga sulla sinistra fino allo Zillastro e sulla destra fino a Carmelia, ovviamente caratterizzata da torsioni e rientranze del territorio che danno origine ai costoni aspromontani che s’infossano verso valle. Un territorio molto fertile ed ancora oggi coltivato, che si allarga e poi s’innalza fino a formate i monti Misafumera, Scalone e Scorda, che fanno parte della cresta dell’Aspromonte, a nord della cima di Montalto. Zervò era rinomata fin dal 1455 quando una grande spedizione dovette prelevare in questa contrada il legname per costruire l’arsenale di Napoli. Allora la contrada veniva detta anche Czervo. Poi, passarono secoli di anonimato e, comunque, fu sempre un territorio molto utile alla popolazione. Qui si coltivavano il grano, le patate, i legumi e altri ortaggi e svariate erano le possibilità di caccia e di legnatico. Esisteva anche l’ultimo scaru, altri lo chiamano nivaru, cioè un deposito di neve prima dell’era del frigorifero. Una grande notorietà, Zervò, la raggiunse dal 1929 in poi, quando fu inaugurato l’antitubercolosario, denominato Sanatorio Vittorio Emanuele III, abilitato alle cure della TBC di cui si erano infettati i reduci della I Guerra Mondiale. In realtà, dobbiamo dire che il Sanatorio era stato costruito nella limitrofa contrada Ricanati, ma ha sempre predominato il toponimo Zervò per indicare la località. L’ospedale ebbe la breve durata i cinque anni e una

notorietà nazionale. Negli anni a seguire, lo squallore in cui furono ridotti gli edifici, diede soltanto la possibilità alle colonie estive e, più recentemente agli scout, di mantenere una modesta notorietà e un utilizzo sempre meno frequente. Rinnovate le fatiscenti strutture, nel 1996 si insediò la Comunità Incontro di don Gelmini che, in quanto a notoriètà, fece recuperare gli anni perduti. Anche questa comunità ebbe vita breve in quanto, alla morte del suo fondatore avvenuta nel 2014, chiuse a sua volta i battenti, perdendo il diritto di possesso pattuito per novantanove anni. Zervò, sinonimo di Sanatorio prima e di Comunità Incontro dopo, è tornato nel dimenticatoio. Per cui non ci rimane che chiederci: cosa vuol dire questo strano nome? Visto che la memoria popolare non ci aiuta per niente, per capire qualcosa in più facciamo una piccola indagine sull’etimologia di questo termine, senza esimerci dall’iniziare dal Rohlfs. Lo studioso tedesco riporta letteralmente: Z’erbό (Z’ervό), contrada (Piani) in montagna tra Delianuova e Platì (RC); contrada nei pressi di Molochio (RC); Zarvò contrada di Limbadi (CZ): greco ζερβ ‘mancino’. In questo caso viene saltata completamente S. Cristina e dà come significato “mancino”, che non ci

dice niente di nuovo. Essendo utile ogni riferimento facciamo presente che nella Platea di Sinopoli troviamo citato un certo Franciscus Zarvus e un’altra contrada di S. Cristina si chiama Zervu. Se indietreggiamo ancora nel tempo e precisamente al 72 a. C., troviamo una storia che ci riguarda. Spartaco, gladiatore Trace, si ribellò mettendosi a capo degli altri servi, quindi scappò da Capua con 70 gladiatori, dando inizio ad una cruentissima guerra chiamata “Guerra Servile”. Seppur col tempo riuscì a radunare molte migliaia di gladiatori con sé, fu costretto a rifugiarsi fino agli estremi della Calabria. Qui fu assediato da Marco Crasso, ma riuscì ugualmente a sfuggire durante una tempesta di neve. Lo scontro avvenne anche nei Piani di Zervò (servorum, cioè dei servi). Per lungo tempo riuscì a tenere in scacco l’esercito consolare fino a quando fu sconfitto sul fiume Sele in Campania. Opere murarie dell’epoca rimangono ancora sullo Zomaro, in contrada Palazzo di Oppido e sulla cima di Pistocchìo di Scido. Possiamo convenire che, siccome in latino servus significa servo, tutto possa avere origine dalla Guerra Servile combattuta anche in questo luogo, con l’evoluzione etimologica in: servorum, servus, zervus, zervo, zervò.


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Nel Borgo delle meraviglie la fabbrica dei profumi

A San Giorgio Morgeto l’antica azienda Carpentieri

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na giovane donna, vestita in abito tipico della tradizione italica meridionale, raccoglie le ginestre in un campo dinanzi l’antico castello Normanno-Svevo di San Giorgio Morgeto: è il ritratto di un’antica favola calabrese, proposto dall’affermata pittrice polistenese Perla Panetta. Un ideale tramandato di generazione in generazione, sino a rappresentare il comune sentire e l’indole più autentica del popolo dell’antico Borgo italico di San Giorgio Morgeto. Un’immagine bucolica e pastorale, evocativa dell’ambiente dei campi, dei profumi, del suono del vento; elementi propri della vita campestre che rappresentano efficacemente quei valori di semplicità, genuinità, Amore e pace, e l’autentica bellezza di una terra selvatica ed accogliente al contempo. Non è un caso, che sia proprio questa l’immagine ideale che l’antica azienda Carpentieri, fondata nel 1967 dai fratelli Carpentieri, acquisì quale logo aziendale e forma di identità visiva per i propri prodotti. Una realtà aziendale preziosa, seppur piccola, affermatasi progressivamente su un mercato certamente ostico perché soggetto alle dinamiche di un’economia nazionale e regionale in continua trasformazione, nella quale la costante crescita dei volumi delle transazioni e dei consumi, non sempre è stata accompagnata da un corrispondente incremento dei volumi di fatturato per le imprese medie e piccole, le quali anzi, specialmente nei territori meridionali, hanno pagato maggiormente il prezzo di uno sviluppo economico incontrollato e dell’espansione per molti versi aggressiva dei grandi gruppi finanziari e commerciali. Costanza e sacrificio, tenacia e determinazione, e soprattutto: la qualità del prodotto. Questi gli elementi vincenti che, alla luce di tutte le circostanze avverse che hanno caratterizzato e caratterizzano tutt’ora il mercato, possono favorire la resistenza di una piccola unità imprenditoriale operante su un territorio difficile, in specie in un settore, quello della profumeria, nel quale la presenza delle multinazionali è preponderante, se non completamente esclusiva. I profumi calabri della fabbrica Carpentieri, Made in Italy al 100%, sono, anzitutto, espressione diretta ed immediata delle attitudini naturali del territorio. Dalle materie prime fornite, provenienti esclusivamente dai territori circostanti, il processo di produzione con metodo artigianale garantisce il risultato finale di un prodotto di grande impatto sensoriale ed emotivo, perché capace di catturare i sensi e stimolare l’immaginazione attraverso l’olfatto. Sicché il profumo non è più una semplice fragranza, ma diviene esso stesso un viaggio, un’esperienza, un ricordo, una poesia. Non più sensazione, dunque, ma sentimento. Questo il tratto caratteristico del prodotto della ditta Carpentieri Profumi, un esempio di perfetta integrazione tra uomo e natura. Le fragranze del bergamotto (agrume caratterizzante della vegetazione territoriale calabrese), della ginestra

di Francesca Agostino

e del gelsomino, sono sapientemente lavorate attraverso attente tecniche di miscelazione, rispondenti alle più stringenti regole di laboratorio e regolarmente sottoposte a rigidi controlli di qualità esterni. L’affidabilità dell’azienda e la fiducia che il consumatore in essa ripone, passano anche attraverso la filiera del controllo della qualità e della sicurezza dei prodotti, regolarmente testati e certificati. Il forte legame con il territorio si evince anche dalla scelta dei nomi dei profumi, che fanno espresso riferimento alla regione di produzione o ad elementi della tradizione: dalle acque di colonia “Magia di Calabria” e “Zagara di Calabria”, alla nota fragranza al Bergamotto denominata “Fata Morgana”. Una denominazione quest’ultima che trae ispirazione dalla leggenda tradizionale della “fata delle acque” e dal fenomeno ottico analogamente denominato, osservabile in pochi luoghi nel mondo e, in Italia, nelle acque marine dello Stretto di Messina: al di sopra dell’orizzonte, il miraggio di un fascio di luci e ombre si manifesta eccezionalmente, allorquando sussistono, simultaneamente, le circostanze fisiche dell’inversione termica e della formazione di un condotto atmosferico; secondo la leggenda ampliamente diffusa in tutta l’area dello Stretto, “durante le invasioni barbariche, in agosto, un Re barbaro giunto a Reggio Calabria vedendo all’orizzonte la Sicilia domandò come raggiungerla, quando una donna molto bella (la Fata Morgana) fece apparire l’isola a due passi dal re conquistatore che si gettò in acqua convinto di potervi arrivare in un paio di bracciate, ma l’incanto si ruppe e lui morì affogato”. Mito e leggenda, tradizione e natura si fondono così nei profumi di Carpentieri. Un’azienda che caratterizza storicamente l’economia locale sangiorgese ma che ha saputo anche guardare ad un mercato più amplio, regionale ed interregionale prima, nazionale e persino internazionale successivamente. Oggi la fabbrica di profumi appare come un luogo al contempo suggestivo ed affascinante, perché ha mantenuto intatta la propria struttura ed identità originaria, pur sapendosi rinnovare e reinventare. Così il padre Antonio ed i figli, lavorano fianco a fianco, consolidando da un lato l’esperienza della conduzione familiare, sperimentando dall’altro prodotti innovativi, come il “profumo solido” ed i nuovi profumatissimi deodoratori per ambiente. Tradizione e innovazione coesistono senza escludersi l’un l’altro per la realizzazione di prodotti esclusivi e di qualità che interpretano e soprattutto rispettano l’ambiente. Una unità produttiva per la quale, la tutela e rispetto per il consumatore sono ancora valori di riferimento. Valori aggiunti, da apprezzare e valorizzare perché affatto scontati all’epoca del materialismo, nella quale, la logica del profitto e la ricerca esclusiva dell’utile nella produzione, sembrano ormai aver completamente preso il sopravvento sull’etica e la responsabilità. *Per maggiori informazioni sui prodotti, visitare il sito www.carpentieriprofumi.it.


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Don Letterio affida all'intercessione della Beata Vergine Annunziata le vittime del terremoto e la cittá di Oppido

di Lucia Treccasi

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Una messa per ricordare le vittime de

“Il Grande Flagello”

a comunità si riunisce in Cattedrale per commemorare nella preghiera il 5 Febbraio 1783. Il 5 febbraio 1783 è una data nefasta per Oppido Mamertina, poiché riporta alla mente “Il Grande Flagello”, il terribile terremoto che ha sconvolto la tranquillità dei calabresi, in particolare dei cittadini oppidesi, visto che proprio Oppido rappresentava l’epicentro del moto tellurico. Il ricordo del “Grande Flagello” è ben vivo nella memoria degli oppidesi, nonostante siano passati più di due secoli. Infatti, il 5 Febbraio 2016 nella Cattedrale di Oppido Mamertina è stata celebrata una commemorazione del terremoto con la celebrazione di una messa in suffragio di quanti hanno perso la vita in quella terribile catastrofe. L’iniziativa evocativa è merito del parroco della Cattedrale di Oppido Mamertina, Don Letterio Festa, che ha voluto riprendere un’antica usanza praticata dai canonici della Cattedrale, che prevedeva l’affidamento nella preghiera delle vittime del terremoto e della città all’intercessione della Beata Vergine Annunziata. Una funzione che includeva l’ufficio delle letture, il canto dei salmi, le litanie e la recitazione della preghiera composta per il 5 Febbraio 1893 dal Vescovo di Oppido Mamertina, Mons. Antonio Maria Curcio: «Dio onnipotente ed eterno, che guardi la terra e fai tremare la sua faccia: abbi pietà di coloro che sono nel pericolo, sii propizio a quanti supplicano: dopo aver sperimentato l’ira della terra sconvolta dalle fondamenta, possiamo, contriti, sentire la tua clemenza. Non respingere, Dio onnipotente, il tuo popolo che ti chiama nel dolore: ma per la gloria del tuo nome, soccorri placato i tribolati. Concedi a noi tuoi fedeli, ti chiediamo, Signore Dio, di godere sempre la salute del corpo e dello spirito e per la gloriosa

intercessione della Beata sempre Vergine Maria, liberaci dai mali che ora ci rattristano e guidaci alla gloria senza fine. La nostra tribolazione, ti chiediamo, Signore, ascolta propizio e rimuovi l’indignazione della tua ira che giustamente meritiamo. Dio, nostro rifugio e nostra forza, ascolta le pie preghiere della tua Chiesa, tu autore della stessa pietà, e concedi a noi che fedelmente chiediamo, di conseguire efficacemente la salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore. AMEN.» Oppido Mamertina, cento anni dopo quella tragica catastrofe che aveva scosso la fisionomia del suo territorio dislocando gli abitanti e il paese nella contrada Tuba, celebrava il centenario del terremoto del 1783. Le giornate del 4 e 5 Febbraio vennero interamente dedicate alla commemorazione, come si desume dalla cronaca del periodico «La Calabria Cattolica», che descriveva la visita ai ruderi dell’Antica Oppido: «dopo cento anni le porte della distrutta città, scampate alla generale ruina delle fabbriche, non videro mai tanta folla entrare per esse. Le strade si ripopolano di gente, i ruderi offrono un panorama fantastico di svariati colori. È un affollarsi indistinto, un urtarsi, un pigiarsi alla lettera. Sembra che le vecchie mura crollate siansi come per incanti rifatte, e che la città con suo movimento, col suo mormorio cupo ed assordante di un giorno di pubblico mercato, abbia ripresa la sua vita. In un altare improvvisato sui ruderi della cattedrale il vescovo, cui fanno corona il clero e seminaristi, celebra messa con una pianeta appartenuta ai suoi antichi predecessori e pronunzia l’omelia di rito. Non mancano la benedizione ai punti nei quali sorgevano le varie chiese, con un’ultima assoluzione offerta nel sito dell’antico tempio dei frati paolotti. La musica offerta dal canto del clero e dal suono degli strumenti

della banda musicale solennizza i vari momenti. Sono presenti alla manifestazione il sindaco ed i carabinieri. La commemorazione sul luogo stesso della tragedia è seguita il giorno susseguente da altra in città. Una processione con a capo il vescovo e con la partecipazione del clero, dei seminaristi, dei componenti delle confraternite e numerosa popolazione, partitasi dalla cattedrale, percorre le vie cittadine. Rientrati nel duomo, viene a celebrarsi una messa pontificale di requiem con l’apporto ancora della banda cittadina. Il 6 ancora una processione a mò di ringraziamento con la statua della Patrona, la Madonna Annunziata». «La Calabria Cattolica», in occasione del primo centenario del terremoto del 1783, aveva voluto celebrare e ricordare il triste evento con diversi articoli per fornire ai lettori una memoria storica sull’argomento. Anzi per adempiere alla propria funzione informativa il giornale calabrese, nel numero 10, aveva riservato un articolo per fornire delle notizie storiche, tratte dalle relazioni degli studiosi dell’epoca, che ricostruivano la dinamica del terremoto. Sempre nel numero 10, in prima pagina, veniva pubblicata la pastorale del Vescovo di Oppido Mamertina, che recitava così: «Cotesta sciagura colpì a tal segno la pietà de’ nostri avi, che vollero consacrato il giorno 5 Febbraio a religiosa commemorazione degl’infelici trapassati e a memoria imperitura del tragico avvenimento per la lontana posterità. E noi stessi, che ci troviamo da parecchi anni al governo di questa nostra amatissima Diocesi, non abbiamo mancato, seguendo le antiche pietose tradizioni, di commemorare in ogni anno con iscrupolosa sollecitudine l’infausta ricorrenza». Monsignor Curcio, per ricordare le vittime del infausto evento del 1783 e per evitare il ripetersi di una


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tale tragedia, invitava alla preghiera e alla commemorazione con le seguenti parole: «Redimiamo pertanto con le buone opere le nostre passate iniquità e, memori di esser nipoti di coloro, su dei quali nel memorando giorno 5 Febbraio tutta si riversò la coppa ripiena dell’ira divina, facciam di profittare del terribile esempio e di mutare in meglio i nostri costumi. Solo così potremo stornare dal nostro capo i meritati castighi, e divenuti ostia accettevole al Signore, con gli atti di penitenza e col fervore della preghiera porgere efficace suffragio ai nostri antenati, che da noi se l’aspettano con amorosa impazienza ed a sollecitarlo sempre più ciascun di loro non cessa di provocarci incessantemente con le parole del Santo Giobbe: miseremini mei, saltem vos amici mei. Ordiniamo adunque che in tutte le Chiese principali della nostra Diocesi, il giorno 5 del prossimo Febbraio 1883 si esegua un solenne centenario funerale con l’intervento di tutto il Clero, delle rispettive corporazioni per suffragare le vittime del funestassimo flagello». L’invito del Vescovo Curcio venne accolto e rispettato dai paesi della Diocesi, che con celebrazioni civili e religiose ricordarono il “Grande Flagello”, come testimoniano gli articoli de «La Calabria Cattolica», che forniscono la cronaca di tali cerimonie. Infatti, nel numero 14 veniva fornito il «Programma per le feste commemorative del Flagello del 5 Febbraio 1783 nella ricorrenza del 1° centenario» per la città di Palmi. Le funzioni religiose dovevano svolgersi nella piazza maggiore, in cui vennero bruciati i corpi delle vittime del terremoto, e dove veniva eretto un altare con il quadro della Vergine della Sacra Lettera, San Nicola e San Rocco e celebrata una messa solenne, a cui avrebbero partecipato le

autorità civili e militari. Le celebrazioni civili, in virtù delle sofferenze patite dalla popolazione nel secolo precedente, prevedevano uno scopo benefico con la distribuzione di beni di prima necessità per i poveri della città, offerti dal Municipio e dalle Società di mutuo soccorso. Nel numero 15, l’articolo «Le feste commemorative del flagello» era dedicato alla cronaca della commemorazione con cui la città di Palmi ricordava il terremoto del 1783. Oppido Mamertina «fu il centro da cui si è irradiato il flagello desolatore» e, in occasione del primo centenario del terremoto, decise di tornare indietro di 100 anni con una visita ai ruderi di Oppido vecchia, come rende conto l’articolo «Pellegrinaggio all’antica Oppido» de «La Calabria Cattolica» pubblicato all’interno del numero 15. L’articolo «Funzioni religiose del 5 e 6 Febbraio 1883 in Oppido Mamertina» descriveva le cerimonie con cui la cittadina oppidese volle ricordare quel triste evento, che segnò la sua storia. «La Calabria Cattolica» era incantata dall’unione che una tale tragedia aveva creato ad Oppido e infatti scriveva: «In mezzo a questi fatti che dimostrano singolarmente la pietà dei superstiti verso i trapassati e la civiltà di questo popolo, che non sa dimenticare la sua Storia, una sola cosa ci ha più che mai colpiti, e si fu l’armonia dell’Autorità civica con l’Autorità religiosa». Il giornale calabrese, oltre alle celebrazioni di Oppido e Palmi, nel numero 17 pubblicava le cronache del centenario di Terranova, S. Cristina, Delianuova, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Polistena e Cittanova. “Il Grande Flagello” con la sua forza distruttrice non ha debilitato i cittadini oppidesi, ma ha rappresentato l’inizio per la ricostruzione di una nuova vita e continua a essere presente nella memoria storica della comunità.

Articolo dedicato dal giornale alla commemorazione del terremoto del 1783


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«La Calabria Cattolica» Frontespizio del primo numero

di Lucia Treccasi

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Un giornale ottocentesco in difesa delle questioni cattoliche

ons. Antonio Maria Curcio, Vescovo di Oppido, fu il promotore della fondazione del giornale La Calabria, dopo le speranze risorgimentali e un pesante tributo di sangue ed eroi alla causa libertaria, si trovò di fronte ad uno stato centralista, che, ben presto, avrebbe rivelato la propria inettitudine a sanare quello squilibrio nord-sud già rilevante ma, purtroppo destinato ad acuirsi. La stessa riforma elettorale del 1882, attuata dal governo di sinistra di Agostino Depretis, estendendo il suffragio a tutti i maschi maggiorenni, purché in possesso di licenza elementare o contribuenti alle casse dello Stato con una soglia minima di 19.80 lire, rivelò interamente la mancata volontà di coinvolgere le regioni meridionali, soffocate proprio da analfabetismo e povertà. Eppure, al di là di tutto, la maggiore libertà di stampa di cui godeva l’Italia unita e indipendente raggiunse pure la Calabria, facendo registrare tra la fine dell’Ottocento e il Novecento una costante fioritura di giornali. L’enciclica «Etsi nos» di Papa Leone XIII del 15 Febbraio 1882, indirizzata all’Episcopato italiano, di cui veniva riportato uno stralcio sia in latino che in italiano («È desiderabile che almeno in ogni Provincia si stabiliscano Giornali o periodici, e per quanto è possibile, cotidiani»), fornì lo spunto per la creazione di un giornale nel Circondario di Oppido - Palmi. Sostenitore dell’iniziativa fu il Vescovo di Oppido Mamertina, Monsignor Antonio Maria Curcio. Nel primo numero, la Redazione esponeva il programma che prevedeva la difesa della scienza, della religione e della civiltà. «La Calabria Cattolica» osservava che la Calabria aveva una propensione ridotta verso la stampa cattolica, una tendenza che il giornale attribuiva alla propaganda atea e liberale che screditava la stampa cristiana. Per questo motivo, il periodico calabrese sentiva il dovere di impugnare la penna per supplire alla carenza di informazione religiosa che si registrava nel Circondario di Oppido - Palmi, in modo che anche i cattolici calabresi avessero un periodico che si occupasse delle questioni cattoliche. L’effemeride calabrese dichiarava che avrebbe svolto il suo lavoro per amore della verità, riportando la realtà dei fatti senza mai rinnegare la fede «intransigenti non saremmo che nella verità, ma tradiremmo la coscienza nostra, falseremo il nostro programma se non dicessimo sempre pane il pane, mensogna la mensogna». («La Calabria Cattolica», a. I, n.1, 2 Novembre 1882). Era un settimanale cattolico, conservatore, che poteva essere letto quasi esclusivamente dalla gente colta e benestante. Veniva venduto in abbonamento e spedito come corrispondenza postale. Il prezzo oscillava tra i 5 centesimi (per un numero) e L. 4,00 (cifra richiesta per l’abbonamento di un anno). «La Calabria Cattolica», come buona parte dei giornali stampati in Calabria tra Ottocento e Novecento, presentava un modello unico. Quattro pagine con i testi di seguito distribuiti in colonne. La pagina iniziale era dedicata

all’editoriale e agli articoli più “importanti”, le due pagine interne alle rubriche e alle informazioni di carattere locale, l’ultima pagina era dedicata alla pubblicazione degli annunci pubblicitari e al bollettino meteorologico settimanale, compilato dall’Osservatorio Meteorologico di Oppido Mamertina. L’ufficio centrale della redazione si trovava presso la Curia Vescovile di Oppido Mamertina, mentre l’Amministrazione si suddivideva tra Palmi, dove il responsabile era l’abate Leone Gallucci, e la stessa Curia oppidese. Il direttore de «La Calabria Cattolica» era l’arciprete della Cattedrale can. Nicodemo Pacifico. Il gerente responsabile era Carmine Bagalà. Carmelo Pujia e Francesco Saverio Grillo erano i principali articolisti, che firmavano i loro scritti con delle iniziali o come «La Direzione». Il periodico calabrese si avvaleva della collaborazione di personaggi illustri, quali Diego Corso, Tancredi De Riso e P. Bernardo Antonio De Riso, che pubblicavano interessanti articoli di argomento storico - letterario. «La Calabria Cattolica» durante la sua attività editoriale dal 1882 al 1883 diede prova di voler uscire dalla situazione di marginalità e isolamento in cui era relegata la provincia di Reggio Calabria e con la compilazione di un giornale cattolico diede un sostegno fondamentale al giornalismo dell’epoca, soprattutto per la situazione in cui versava la Chiesa in quel periodo. Molti furono gli argomenti e i temi trattati in due anni di attività. Le questioni cattoliche erano predominati. Le lettere pastorali dei vescovi, le encicliche di Leone XIII, le cronache delle feste religiose locali, erano assidue nelle pagine del giornale. La Chiesa e il Papato qualificati come nemici, i preti accusati di ignoranza, le scarse vocazioni ecclesiastiche, l’exequatur, il preteso regio patronato dello Stato sulle nomine dei vescovi, la legge sul divorzio. Furono solo alcune delle battaglie che «La Calabria Cattolica» dovette combattere e in ogni articolo difese i pilastri della religione cattolica con argomentazioni argute e precise. «La Calabria Cattolica» seguiva con attenzione le vicende politiche italiane ed estere, ma si preoccupò anche di trattare questioni e problemi che riguardassero i cittadini calabresi. Il periodico calabrese riuscì a pubblicare solo 52 numeri tra il 1882 e il 1883. Anche se, nel numero 52, in un articolo dal titolo «Per il 2° anno della Calabria Cattolica» celebrava il primo anno di vita del giornale, un traguardo raggiunto con la partecipazione di validi collaboratori e con il sostegno di azionisti e associati. La Redazione avvisava i lettori dell’intenzione di ampliare l’organico redazionale e la rete di corrispondenti esterni e del proposito di riordinare l’attività amministrativa. Cambiamenti che richiedevano tempo e impegno, per cui la Redazione si vedeva costretta a terminare le pubblicazioni del 1883 il 25 Ottobre con il numero 52 e si congedava dai lettori con la promessa di riprendere le attività all’inizio del 1884. Una ripresa editoriale che probabilmente non è mai avvenuta o che il tempo ha sottratto alla consultazione dei posteri.


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De viris illustribus

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otrebbe sembrare presuntuoso il titolo di questo breve pensiero su Orazio Barrese, ma nel rammarico e nel rimprovero per tutte le volte che espressi il desiderio di incontrarlo, senza averlo mai fatto, per incauta trascuratezza, vorrei che venisse riconosciuto tra gli uomini illustri della nostra città. Alcuni anni fa, ancora ragazza, seppi del cugino Orazio che volle chiamarsi Barrese, perché Barrese era, appunto, il cognome di origine siciliana, trasformato chissà quando, in Barresi. Voglio approfittare dell’ospitalità offertami da questo periodico e dal suo direttore per lanciare un appello alle Associazioni culturali taurianovesi, alla Consulta delle Associazioni , a tutti coloro che, a Taurianova, promuovono cultura, affinché tra le attività future si consideri anche la possibilità di presentare, ricordare, far conoscere la figura di questo uomo che ha onorato le sue idee, la sua Calabria, la sua Radicena, città da dove partì pieno di speranza, per annoverarsi, in breve tempo, tra i giornalisti più liberi, libero, appunto, di cogliere, rilevare e denunciare ingiustizie, nefandezze, difficoltà di un meridione, legato da sempre ad intrecci i cui nodi, giusto quando sembra che si possano sciogliere, sempre

di Raffaella Barresi

più si stringono, ad una questione ormai non solo meridionale, a tutt’oggi irrisolta. Sarebbe cosa buona e giusta che la nuova generazione conoscesse l’impegno civile e morale di Orazio Barrese. Egli è da ricordare per il suo coraggio, la sua intelligenza,la sua sensibilità nello scrivere sugli avvenimenti e le vicende più intricate che interessarono la storia e la politica nostrana per decenni, su quegli anni difficili di cui ancora si parla, avvenimenti che si rinnovano in un corso e ricorso storico che lui, quale esempio di cronista coraggioso, interprete di quella realtà, seppe trasferire nei suoi scritti, nelle sceneggiature di film, come patrimonio civile di autentico giornalista, autentico uomo dietro la trincea con la sola arma del pensiero e della macchina da scrivere, autentico indagatore della verità. In un mondo che sempre più sfugge alla verità, interpretata a convenienza, raggirata ed usata; in un mondo in cui il merito e l’autenticità vengono continuamente calpestati in nome di un giornalismo, di una cronaca che, spesso, si trasformano in fumettoni, polpettoni difficili da digerire ma digeriti, assistere a qualche buona lezione, ricordare qualche valido esempio sarebbe ridare una ventata di sano ossigeno ad un malato che sta morendo: la società.


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Dialettando Nuova opera di Riccardo Carbone

di Giosofatto Pangallo

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l titolo Dialettando di questa raccolta di versi, satirici e non, in vernacolo ed in italiano sintetizza, in effetti, in maniera efficace lo stato d’animo e la disposizione del lettore che legge le divertenti e brevi composizioni poetiche, che presentano un’ottima scansione e un appropriato uso dei termini gergali e in lingua. È veramente, infatti, un diletto e un godimento passare da un verso ad un altro sempre con un naturale sorriso stampato in viso e senza alcun pregiudizio o riserva mentale. L’ingegnere Carbone scrive con la sua consueta ironia e colorisce l’opera con la sua connaturata bonomia, sia che si tratti di satira, infatti l’autore sottolinea “non prendere quindi parecchie pene / tanto lo sai: ti voglio bene”, sia che, invece, il componimento riguardi altri aspetti familiari o amicali “sunnu suli e senza fighhi / non mpararu di cunigghi!”. Versi, in ogni caso, mai offensivi o lesivi della dignità degli altri; essi rimarcano, in ogni occasione, anche quando esprimono, con fine tocco satirico, epiteti come “schiavatore di porte” o “cani du guccieri”, la predisposizione tranquilla e spensierata, seria e scherzosa dell’autore e ci evidenziano la sua gioia di vivere tra la gente, di cui riesce a cogliere, sempre sorridendo, gli aspetti che sembrano trascurabili e quelli anche più reconditi. È proprio questi aspetti egli con caratteristica personale e gioiosa verve, impreziosita d’arguzia culturale e d’allegria, ci trasmette con simpatia e tanta buona fede in tutti i gustosi raccontini espressi in versi. Il tono, scanzonato e alquanto distaccato, non è mai denigratorio delle persone, verso cui egli,

peraltro, ha profondo rispetto, anche quando coglie una loro défaillance che diventa, grazie alla sua penna e al suo modo di presentarla, un lazzo. Tutto, però, è espresso senza cattiveria, malevoli doppi sensi o intenti burleschi: si hanno così immagini e flash che non manifestano malizia ma solo momenti di letizia. Estemporanea e puntuale, come sempre, smorzata, benevola e felice è l’immancabile battuta, che, a volte, coglie anche situazioni di stupore, che lo portano ad affermare, riferendosi al singolare orologio di sua figlia, quasi a bocca aperta, “è l’ottava meravigghia…e non è ’na fisseria!”. Pronta, brillante e sottile essa è anche quando il nostro amico, “attempato e buontempone”, fa intendere, “’mmagàtu”, a una signorina, che tra l’altro, con generosità e quasi con sacrificio e dedizione, “se occorri puru, senza sconzu, / dinòcchiu e pettu subitu vi conzu!”. È un’ironia crescente che diventa sarcasmo quando Carbone, da navigato uomo di mondo, che certamente non “passau ’na vita ’nsipit’e fetenti”, ma che fu sempre pronto e intraprendente, constata, senza amarezza e con satirica fermezza, “ca non su ’bbonu mancu ’u ment’a chiavi / ’ndo bucu cu portuni apposta ’ndavi! / È megghiu pemmu dicu a tutti quanti / ch’è difettusu ’u bucu, ’ndo davanti!”. L’ironia benevola nei confronti di personaggi e su tante vicende quotidiane, Carbone la volge, con molto garbo, anche a se stesso; diventa così una simpatica e rassegnata autoironia, che gli fa dire “non facimu festa, / ca diventasti menzu rimbambitu …/ cangiàru i tempi, non su’ chji d’aieri”. Subito dopo, però, al di là delle circostanze conviviali, encomiastiche e augurali, per

i primi ‘anta’ di Salvatore e per una coppia di sposi, la giovanile passione politica e civile, mai scomparsa o sopita, prende il sopravvento sull’autore e con titanica fermezza gli fa affermare con forte tono oratorio, adesso senza spirito ironico, autoironico e satirico, “volìmu strati senza ’na fossa. / E li volìmu e a tutti l’uri / mu caminàmu sempri sicuri”. Non mancano, però, in questa raccolta i componimenti di carattere personale, che toccano l’intima sfera dei ricordi e che evidenziano momenti di profonda riflessione dell’autore sulle vicissitudini della vita che interrompono, per forza di cose, le abitudini e mutano gli atteggiamenti. A questo punto, una nota di nostalgica malinconia colloca Carbone in una dimensione diversa rispetto a quella ironico-satirica e denota la sua delicata sensibilità di uomo, buono, affettuoso e premuroso. Emerge, così, il valore degli affetti familiari, dell’amicizia, sincera, dell’attaccamento alle persone e alle cose, l’intima sofferenza per la recente perdita del fratello Gianni. I ricordi incalzano e l’ingegnere si duole, guardando, “’mpurbarata”, la sua chitarra, “cumpagna di ’na vita”, e ricordandosi dei “mumenti d’allegria”, assieme ad amici leali, si rende conto, con qualche disappunto, che molte cose sono cambiate e si chiede, tenendo gli occhi bassi, “a quandu ’na sonata?”. Il ricordo del fratello scomparso è, però, struggente e amaro, “’u cori batti forti d’intr’o pettu”, e tanta è la nostalgia, mista a desiderio, che Riccardo Carbone vorrebbe correre a riaprire l’ormai chiusa casa paterna, pensando, con dolce illusione, di rivedere con gli amici “Gianni assettatu ndo garaci…jà in prima fila”.


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I sette vizi Capitali

”La superbia”

nella letteratura e nel folklore di Domenico Caruso I Superbi di A. Nattini

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ono trascorsi 750 anni dalla nascita e l’universalità di Dante è ancora attuale, in quanto si ha sempre bisogno di vivere tra ragione e religione. Il senso allegorico della Divina Commedia è l’uomo nel quale il Poeta stesso si rappresenta. Così nell’Inferno egli considera il vizio, nel Purgatorio il passaggio tra il vizio e la virtù, nel Paradiso la perfezione. Al bene e al male corrispondono i premi ed i castighi dell’Aldilà. Nell’aspetto figurale, il venerdì santo (8 aprile) del 1300 Dante intraprende un viaggio immaginario ultraterreno. In senso allegorico è la sua conversione dallo smarrimento temporale nella selva oscura (il mondo dei vizi e delle passioni) in cui viene a trovarsi ogni persona. Nella Divina Commedia il Poeta si trova sbarrata la via della salvezza da tre fiere: una lonza (leopardo, un leone e una lupa simboleggianti la lussuria, la superbia (oppure, la prepotenza della monarchia francese di Filippo IV il Bello) e l’avarizia. In particolare, il leone diffondeva nell’aria un angoscioso spavento: Questi parea che contra me venesse con la test’alta e con rabbiosa fame, sí che parea che l’aere ne temesse. (Inf. I, 46-48) E’ nel Purgatorio (vera storia di Dante) dove, curvi sotto enormi massi, avanzano per la prima cornice i superbi. Applicando

per contrasto la dura legge del contrappasso essi, che in vita tennero alto il capo, ora sono costretti ad abbassarlo. Il Poeta molesta il loro orgoglio esortandoli all’umiltà, dalla quale nascono i meriti che trasformano i miseri vermi in angeliche farfalle: O superbi cristian, miseri lassi, che, della vista della mente infermi, fidanza avete ne’ retrosi passi, non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla, che vola alla giustizia senza schermi? (Purg. X, 121-126) Fra i vizi capitali, la superbia ha avuto inizio prima della creazione del mondo. Lucifero, ribellandosi a Dio, ha trascinato Adamo nella colpa e nella caduta per cui soltanto il sacrificio di Cristo ha potuto redimerci. I nostri avi conoscevano a fondo il peccato,che hanno espresso nei proverbi: ‘A supèrvia partìu a cavadu e tornau a ppedi. (La superbia è partita a cavallo ed è tornata a piedi). L’orgoglio è un vizio abietto e solitario che esige un alto prezzo da pagare: Cu’ gatu si teni, prestu ‘nterra cadi! (Chi è arrogante ben presto crolla). Lo ammonisce anche il Vangelo. Il leggendario favolista greco, Esopo, racconta che la volpe non potendo raggiungere l’uva dice che è acerba: ‘A gurpi chi no’ ‘rrivau ‘a rocina dissi ch’è acerba!. Giustamente, il superbo è paragonato al gatto: Cchjù l’accarìzzi e cchjù jìza ‘a cuda!

(Più si accarezza e più solleva la coda!). La morale è magistralmente descritta nella poesia: ‘A superbia non regna, dell’avv. Pasquale Rombolà (1918 - 1991) di San Ferdinando (R.C). Una rana, di buon mattino, si mostrava felice e spavalda nel vedersi seguita dalla sua famigliola: La mamma buffa cu’ li figghjazzuni dassò la tana di prima matina. Li figghi la seguivanu a ‘zzumpuni: era filici comu ‘na rigina. Di subbra a ‘nu gigghiuni s’ascialava mu guarda la famìgghia soi crisciuta; ‘u chippu o’ suli ‘i marzu s’arrajava, a nudhu dava cuntu ‘nsuperbuta. E mentre gli uccelli guardavano incuriositi, un grillo la richiamò al dovere ricordandole che siamo un soffio di nulla: Guardàvanu l’acedhi ‘dha spaccuna, dha storta ch’era povira arriccuta; di scherzi chi ‘ndi faci la furtuna la menti soi non era provviduta. ‘Nu gridhu ‘ncissi allura strafuttenti: ‹‹Abbàscia l’ali e non tanta ‘mportanza; non sai ca simu ‘nu hjùhhju di nenti, ca Sorti cala e ‘nchiana la vilanza!››. Il monito che Anchise dà ad Enea, circa la sua missione futura, è attuale più che mai: Parcere subiectis et debellare superbos. (Eneide VI, 853). (Perdonare a chi si sottomette e abbattere i superbi). (1 - continua)

AICol

ENTel

ALS

FEDER.Agri

CAA

Federazione Pensionati M.C.L.

CAF

PATRONATO SIAS

CEFA Ong

SNAP

Centro Europeo di Formazione Agraria

Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati

EFAL

Gioia Tauro Via Monacelli, 8 Taurianova Via Benedetto Croce, 2

Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori

Associazione Lavoratori Stranieri

Centro Assistenza Agricola

Centro Assistenza Fiscale

Ente Formazione Addestramento Lavoratori

Ente Nazionale Tempo Libero

Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura

Servizio Italiano Assistenza Sociale


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MARIA LACTANS San Luca che dipinge Maria Lactans

Madonna che allatta

di Filippo Marino

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e di Maria - come ebbe a dire Bernardo di Chiaravalle “numquam satis”, della amabilissima Genitrice del Salvatore, Vergine e Madre, noi abbiamo grazie alla dovizia di testimonianze, devozioni e preghiere della prima Cristianità un fulcro più che attendibile capace di conferirLe il titolo di “LACTANS”. Se in proposito l’iconografia bizantina ci propone con originalità questo singolare Titolo,

che quel naturale elemento materno portava con sé. Siamo stati abituati a pensare Maria, a vedere la Madonna, a riceverne insegnamenti, consigli, parole sotto l’immensa miriade di Titoli di cui essa è coronata: Gorgoepikoos, Panaghiu, Odigitria, del Carmine, Immacolata, del Rosario, del Soccorso, dello schiaffo, Raccomandata, del cardellino, del fiore, della Vita, Addolorata, Assunta, Virgo virginum, Janua Coeli, etc. ma abbiamo fatto poco

nell’Europa del Tardo Medioevo e del Rinascimento quando si affievoliva la visione regale del Cristo e l’Uomo-Dio veniva “umanizzato” (sic!) nei panni del fratello e dell’amico, proprio allora, dunque dicevamo la figura dolce della “Madre che allatta il suo bambino” cominciò a farsi strada e ad imporsi alla considerazione dei teologi e degli studiosi. Dice, in proposito, il Di Cuffa: “I vari Santuari consacrati in Europa alla Madonna del latte divennero quindi luogo di preghiera anche da parte delle donne che desideravano la maternità”. Basta allora quest’osservazione dello studioso a spiegare l’influenza popolare della diffusione di questo culto che non precede né offusca quello del Bambinello Gesù sorretto nelle mani della Mamma, pronto ad assimilarne il latte e con latte la bontà dell’insegnamento, dei buoni propositi e - perché no - della SAPIENTIA

caso a quello del Latte, di Maria Lactans, della Vergine che allatta il suo Gesù, il Redentore che salva, il Dio della Croce e della Risurrezione… In Italia, a Maranola (LT), nei pressi di Formia, è stata scoperta per caso e di recente restaurata una Cripta ipogea septiformis dedicata alla Madonna del Latte dove la delicatezza dell’atteggiamento materno non configge affatto con la policromia dei dipinti protesa ad esaltare l’intus della Madre-Vergine pronta ad offrire il primigenio nutrimento al Signore venuto al mondo per la redenzione di noi tutti. Ecco, per espansione, il latte di cui si nutre il Salvatore è GESU’ stesso… Il Dio che nasce, che vive, che patisce, che muore sulla croce, che risorge per noi, che ascende al Cielo, che manda lo Spirito per non lasciarci orfani!... Meraviglioso! Un Dio così grande che ha bisogno di un elemento umano piccolo e definito, naturale,

essenziale…materno! Si potrebbe spiegare anche per via di questi risvolti, ragionando e non ragionando de re, le “affermazioni materne” di Papa Luciani sull’essenza divina di Dio! Ma non è questo lo scopo contenuto di queste righe; vogliamo affermare - questo sì! - che tutti i titoli mariani di qualsivoglia epoca o latitudine sono titoli cristologici che nell’esaltare la dignità della Donna, esaltano la dignità della “mia” Donna e, perciò, avvalorano in ognuno di noi il “sensus Christi”. La Chiesa, nel corso dei tempi, ha dato giusto valore al “Culto mariano” legandolo ora alla riflessione di teologi e mariologi, ora al sentimento reale popolare delle genti, ora ai risvolti dottrinari dei concili, ora anche alle conquiste dello spazio e delle tecnologie: ha fatto sempre bene l’Autorità Ecclesiale perché col rinnovarsi delle tradizioni e delle devozioni mariane in effetti ha ingrandito e ingrandisce sempre più il “campo d’azione”(leggi, il campo di grazie) della Regina dell’Universo. A Gerusalemme sono rimasto stupito del grandioso dipinto di N.S. Regina dell’Universo in cui il richiamo evangelico all’Apocalissi celebrava in effetti la storia di due Bambini che erano nel pancione di due donne: lì lì m’è parso di udire un gioioso lamento che ancora non era un vero e proprio “vagito”: ecco la perenne attesa della creatio, ecco l’espresso desiderio di coloro che “devono” stare zitti e “in eterno” contano per uno. Ma verrà il latte e verrà molto presto e il suo candore segnerà la dimensione della purezza verginale, di quel seno di Maria che allatta e allatterà per sempre il Signore, il Re delle genti. Pensiamolo allora questo latte materno perché al di là della stitichezza dei giorni attuali esso possa irrorare i pascoli della nostra libertà e i sentieri del nostro essere imperfetti. Pensiamolo dunque questo bianco elemento non solo nelle nostre chiese e nelle nostre cattedrali, ma anche nei dialoghi e nei soliloqui delle nostre persone, nell’ire ad Jesum sentimento ineffabile del nostro pensiero, nella gioia, nella malattia, nel dolore perché neppure con un solo istante di ritardo possiamo renderci conto della profezia di Lc.”Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato”.


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Il Cav. Teodoro Rotolo premia il M° Carmelo Raco

Il M° Raco con moglie e figli, alle spalle la tela presentata

Arte: originale rappresentazione dell’Arcangelo San Michele

di Domenico De Angelis

L’imponente Opera è stata realizzata dal Maestro Carmelo Raco

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tupore. Meraviglia. Incanto. Sono alcuni stati d’animo che si provano ammirando la tela raffigurante l’Arcangelo San Michele. È Opera del poliedrico Artista gioiese, Carmelo Raco. È stata presentata al pubblico, per la prima volta, nell’ormai celebre “Befana del Ferroviere”. L’encomiabile iniziativa è arrivata alla sua XXXV edizione, organizzata minuziosamente dal vulcanico Cav. Teodoro Rotolo a Gioia Tauro. In tale occasione, inoltre, il Maestro Raco è stato omaggiato del premio “Cultura Mick Bagalà 2016”. Il dipinto, olio su tela cotonata, di dimensioni 220 x 110, è stato realizzato, per devozione, tra marzo-aprile del 2014, in circa 34 giorni di instancabile lavoro. La tela, fruibile da tutti, è un viaggio teologico-artistico di elevato livello. L’osservatore viene immerso e calamitato dagli occhi dell’Arcangelo che intercettano, da qualsiasi angolazione, il suo sguardo. In stato di riposo, si possono apprezzare le bianche ali, ben ordinate e folte, che rimandano alla purezza ed all’abbondanza. Le stesse servono per indicare il volo in uno spazio metafisico e spirituale cui l’Arcangelo, abitante di un tempo eterno, è abituato. Uno spazio senza dimensioni, né distanze. La mano destra poggia sull’elsa della spada, nel cui pomolo è inciso il Crocifisso. Rappresenta il centro della fede nell’incarnazione del Figlio, motivo della prima battaglia celeste. È stato proprio l’Arcangelo San Michele, Principe della milizia celeste, invincibile difensore della fede nella parola di Dio, a combattere la prima battaglia. La spada sguainata e poggiata con la punta a terra, è dorata (colore del metallo più nobile), così come la corazza e lo scudo. Quest’ultimo è ondeggiato. Rappresenta la multiforme difesa dal male che il cristiano è chiamato a operare. Nella spalla sinistra è legato un mantello color rosso vivo che, mantenuto dal braccio destro, ondeggia

per rappresentare la fluttuante difficoltà della vita terrena. Il carnato è di colore chiaro, molto tenue specialmente nelle parti che interessano il volto. Questo per rappresentare la freschezza e soprattutto l’espressione genuina di santità pura di chi come Dio (Mi Ka El) possiede. La figura è equilibrata e proporzionata in ogni sua parte. Le spallette, volute frangiate ed in cuoio, proteggono le braccia – punto di forza in battaglia – sono flessibili ai movimenti e concedono libertà di rotazione. L’ondeggiamento, indica il continuo movimento, dovuto quest’ultimo alle varie azioni dell'Arcangelo in continua lotta contro il maligno. Da vicino è possibile notare la venatura minuziosamente disegnata. L’Artista dimostra così di avere una profonda conoscenza dell’anatomia umana. I piedi sono fermamente poggiati sulla nuda terra, per indicare un contatto fisico con essa e per ricordare che nel cammino dell’uomo, la terra è la strada verso il cielo. Di conseguenza, sono le azioni terrene a caratterizzare l’operato dell’uomo. Vicino ai piedi nudi, poco distante, si trova una pietra a forma cuspidale, dai mille significati. La pietra scartata dai costruttori divenuta pietra angolare, la pietra mai scagliata contro la Maddalena, la pietra d’inciampo, ma anche la materialità ed il pericolo. Ancora, la sua forma sembra alludere alla Chiesa costruita sulla roccia. Questa pietra viene indicata dall’Arcangelo per rimarcarne l’importanza. Un altro importante elemento è la sottile ombra, quasi evanescente, per indicare che l’Arcangelo San Michele è puro spirito. L’esile ombra non appartiene alla sua figura, ma all’evidenza della sua azione. Dai pochi elementi presentati, cui il lettore è invitato a colmare con la propria sensibilità, già si percepisce che la tela fuoriesce dai classici schemi di rappresentazione della figura dell’Arcangelo San Michele. A tal motivo è necessario filtrare l’Opera attraverso la lente dello sguardo moderno caratterizzato da accesi colori, e

che sia, esso stesso, aderente al nostro presente. La tela è imponente. Ora è auspicabile che possa trovare presto una stabile collocazione. Potranno farsi sentire, in particolare, la città di Gioia Tauro (in quanto l’Artista è gioiese), la Diocesi di Oppido-Palmi, la Calabria, l’Italia o addirittura il Vaticano (considerato che il 5 luglio 2013, papa Francesco insieme al papa Emerito, Benedetto XVI, ha voluto consacrare la città del Vaticano a San Giuseppe e all’Arcangelo San Michele). Ovviamente collocarla nella Piana, è motivo di sano orgoglio, ma in ogni caso, l’Opera merita di essere sempre più e meglio apprezzata e valorizzata.

Dipinto - olio su tela 220 x 110: l'Arcangelo San Michele


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Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana La Madonna della Visitazione in Delianuova a cura di Diego Demaio

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ull’altare maggiore dell’architettonica chiesa di San Nicola in Pedavoli (Delianuova) è posta la Madonna della Visitazione, pregevole opera in marmo di Carrara attribuita a Giovambattista Mazzolo e risalente al terzo-quarto decennio del XVI secolo. La degnissima ma, nel contempo, piuttosto alta collocazione della scultura impedirà la completa visione dello scannello poligonale che raffigura mirabilmente la Visitazione di Maria ad Elisabetta, al centro, affiancata dai riquadri del genuflesso Arcangelo Gabriele e dell’Annunciata. La stessa artistica base, che misura 30 cm di altezza, presenta sulle due facce laterali due scudi, uno dei quali recante le armi degli Spinelli, feudatari e probabili committenti della statua. La significativa iconografia della bella scultura, alta 140 cm, rappresenta la Vergine, con in braccio il Figlio, mentre tiene nella mano destra, purtroppo mutila di tre dita, la ricorrente mela a ricordo del peccato originale. Anche il divino Pargolo benedicente, scolpito dal medesimo artista carrarese nella quasi somigliante, per alcuni aspetti, Madonna col Bambino di Galatro (già trattata nel 4° numero della nostra rubrica), tiene nella mano sinistra un uccellino (a differenza della probabile colombina acefala foriera di pace del paese del Metramo), simbolo spesso attinente alla purezza dell’anima ma anche alla predestinata passione e redenzione. Particolare interesse desterà infine, nel riguardante, il raffinato panneggio del mantello che, avvolgendo dinamicamente Maria, dona alla statua deliese eleganza e regalità. La Madonna della Visitazione (Foto Dr. Diego Demaio - Riproduzione vietata)


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