il comunismo anti-bolscevico in germania paul mattick

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COMUNISMO ANTIBOLSCEVICO IN GERMANIA, di Paul Mattick Il processo di concentrazione di potere capitalistico e politico impone a ogni movimento di qualche importanza sociale l’obbligo o di distruggere il capitalismo o di porsi coerentemente al suo servizio. Il vecchio movimento operaio tedesco non poteva optare per la per la seconda alternativa, né voleva né era in grado di realizzare la prima. Esso non agì coerentemente alla sua ideologia originaria né in accordo con i suoi interessi reali e immediati. Per un certo periodo servì da strumento di controllo nelle mani della classe dominante. Perdendo prima la propria indipendenza, doveva ben presto perdere la sua effettiva esistenza. Essenzialmente la storia di questo movimento è la storia del mercato capitalistico considerata da un punto di vista ‘proletario’. Le cosiddette leggi di mercato dovevano essere utilizzate a vantaggio della merce forza lavoro. Le azioni collettive dovevano portare ai più elevati salari possibili. Il ‘potere economico’ conquistato in tal modo doveva essere difeso mediante riforme sociali. Anche i capitalisti accrebbero il controllo organizzato sul mercato. Da entrambi i lati si favorì la riorganizzazione monopolistica della società capitalista sebbene, senza dubbio, dietro le loro attività coscientemente concepite in ultima analisi non vi erano altro che le esigenze di sviluppo del capitale stesso. Le loro politiche e le loro aspirazioni, per quanto fondate su concrete considerazioni di fatti e di necessità particolari, erano tuttora determinate dal carattere feticistico del loro sistema di produzione. A parte il feticismo della merce, qualunque sia il significato che le leggi di mercato possano assumere rispetto ad arricchimenti o perdite particolari e per quanto possano essere manovrate da questo o quell’altro gruppo di interesse, in nessuna circostanza possono essere utilizzate a vantaggio della classe operaia considerata nel suo complesso. Non è il mercato che controlla gli individui e determina le relazioni sociali prevalenti ma piuttosto il fatto che nella società un gruppo separato possiede o controlla i mezzi di produzione e gli strumenti di repressione. Per sconfiggere il capitalismo sono necessarie azioni esterne alle relazioni di mercato tra lavoro e capitale, azioni che aboliscono entrambi, il mercato e le relazioni di classe. Limitando le azioni all’interno del perimetro capitalistico il vecchio movimento operaio doveva autodistruggersi o ad essere distrutto dall’esterno. Era destinato o ad essere scisso internamente dalla propria opposizione rivoluzionaria, che avrebbe dato origine a nuove organizzazioni, o condannato ad essere distrutto dalla trasformazione capitalistica di una economia di mercato in una economia di mercato controllata, e dai concomitanti mutamenti politici. I La prima guerra mondiale rivelò più di ogni altra cosa che il movimento operaio era parte e componente passiva della società borghese. Le varie organizzazioni di ogni nazione dimostrarono di non avere né l’intenzione né i mezzi per lottare contro il capitalismo, di essere interessate solo ad assicurare la propria esistenza all’interno delle struttura del capitale. In Germania ciò era particolarmente facile poiché nel movimento internazionale le organizzazioni tedesche erano le più grandi e le più unitarie. Al fine di tenersi aggrappati a quanto era stato costruito fin dall’epoca della legislazione anti-socialista di Bismarck, la minoranza di opposizione all’interno del partito socialista mostrò un’attitudine all’autolimitazione di una portata sconosciuta in altri paesi. Ma a quel tempo l’opposizione russa in esilio aveva meno da perdere; inoltre essa aveva rotto con i riformisti e i collaborazionisti di classe un decennio prima dello scoppio della guerra. Ed è molto difficile scorgere nei blandi argomenti pacifisti del partito laburista indipendente una qualsiasi opposizione reale al patriottismo socialista che aveva impregnato il movimento operaio britannico. Ma dalla sinistra tedesca ci si aspettava di più che da ogni altro gruppo della Internazionale e il suo comportamento al momento dello scoppio della guerra fu quindi particolarmente deludente. Oltre che della condizione psicologica degli individui questo comportamento fu il risultato del feticismo per l’organizzazione dominante nel movimento.


Il feticismo esige disciplina e una stretta adesione alle regole della democrazia – la minoranza deve sottomettersi alla volontà della maggioranza. E sebbene risulti evidente che nelle condizioni del capitalismo tali prescrizioni ‘democratiche’ semplicemente occultano i fatti con il loro contrario, l’opposizione non riesce a rendersi conto che nel movimento operaio la democrazia non differisce dalla democrazia borghese in generale. Una minoranza ha la proprietà e il controllo delle organizzazioni allo stesso modo in cui la minoranza capitalista possiede e controlla i mezzi di produzione e l’apparato dello stato. In entrambi i casi le minoranze in virtù di questo controllo determinano il comportamento delle maggioranze. Ma, forzata da procedure tradizionali, in nome della disciplina e dell’unità, a disagio e contro le sue migliori convinzioni, la minoranza che si opponeva alla guerra finì per appoggiare lo sciovinismo dei socialdemocratici. Nell’agosto del 1914 vi fu solamente un uomo nel Richstag tedesco – Fritz Kunert - che non se la sentì di votare in favore dei crediti di guerra, ma che pure non seppe votare contro di essi e così, per tacitare la propria coscienza, si astenne affatto dalla votazione. Nella primavera del 1915 Liebknecht e Ruehle furono i primi a votare contro la concessione di crediti di guerra al governo. Essi rimasero isolati per un bel po’ di tempo e trovarono nuovi aderenti solo nella misura in cui le prospettive di una pace vittoriosa sfumavano in una situazione di stallo militare. Dopo il 1916 la corrente di opposizione radicale alla guerra venne appoggiata e presto fagocitata da un movimento borghese alla ricerca di un negoziato di pace, un movimento che infine doveva ereditare il bilancio fallimentare dell’imperialismo tedesco. Poiché avevano violato la disciplina di partito Liebknecht e Ruehle vennero espulsi dal gruppo socialdemocratico del Reichstag. Insieme a Rosa Luxemburg, Franz Mehring e altri, ora più o meno dimenticati, essi organizzarono il gruppo Internationale, pubblicando una rivista dello stesso nome, al fine di sostenere in un mondo in guerra l’idea dell’internazionalismo. Nel 1916 organizzarono la Spartakusbund che cooperò con altre formazioni di sinistra come la Internationale Socialisten, il cui portavoce era Julian Borchardt, e il gruppo che si raccoglieva attorno a Johann Knief e il giornale radicale di Brema Arbeiterpolitik. Retrospettivamente sembra che il gruppo citato per ultimo fosse il più avanzato, cioè avanzato in quanto lontano dalla tradizione della socialdemocrazia e rivolto verso un nuovo modo di rapportarsi con la lotta di classe proletaria. Quanto la Spartakusbund aderisse ancora al feticismo dell’organizzazione e dell’unità che dominava il movimento operaio tedesco divenne chiaro con il loro incerto comportamento rispetto ai primi tentativi di riorientamento del movimento socialista internazionale che ebbero luogo a Zimmerwald e Kienthal. Gli spartachisti non erano favorevoli ad una rottura netta con il vecchio movimento operaio, nella direzione mostrata dal precedente esempio bolscevico. Essi speravano ancora di conquistare il partito alle loro posizioni ed evitarono scrupolosamente linee politiche non mediabili. Nell’aprile del 1917 la Spartakusbund si fuse con i Socialisti indipendenti, che costituivano il centro del vecchio movimento operaio, ma che non era più disponibile a fornire una copertura allo sciovinismo della maggioranza conservatrice del partito socialdemocratico. Relativamente indipendente ma ancora all’interno del partito socialista indipendente, la Spartakusbund uscì da questa organizzazione solo alla fine del 1918. La posizione di Liebknecht e della Luxemburg all’interno della Spartakusbund era stata attaccata dai bolscevichi definendola incoerente. E incoerente era realmente ma per motivi pertinenti. A prima vista, il motivo principale sembrava riferirsi alla illusione che il partito socialdemocratico potesse essere riformato. Con un mutamento delle circostanze, così si sperava, le masse avrebbero cessato di seguire i loro dirigenti conservatori e avrebbero appoggiato la sinistra del partito. E sebbene tali illusioni esistessero realmente, prima rispetto al vecchio partito e più tardi riguardo i Socialisti indipendenti, esse non spiegano completamente l’esitazione mostrata dalla dirigenza spartachista nell’adottare la linea dei bolscevichi. Effettivamente gli spartachisti da qualsiasi parte si muovessero si trovavano di fronte a un dilemma. Non tentando - al momento giusto - di rompere risolutamente con la socialdemocrazia, persero l’occasione di costituire una forte organizzazione in grado di svolgere un ruolo decisivo nelle auspicate rivolte sociali. Tuttavia considerando la reale situazione della Germania e la storia del movimento operaio tedesco, era molto difficile credere nella possibilità di costituire rapidamente una organizzazione alternativa alle


organizzazioni operaie dominanti. Ovviamente sarebbe stato possibile costituire un partito alla maniera leninista, un partito di rivoluzionari professionali, intenzionati a usurpare il potere, se necessario, contro la volontà della maggioranza della classe operaia. Ma questo era esattamente ciò cui la gente intorno a Rosa Luxemburg non ambiva. In tutti gli anni della loro opposizione al riformismo e al revisionismo non avevano mai ridotto la distanza che li separava dalla ‘sinistra’ russa, dall’idea leninista di organizzazione e rivoluzione. Nel corso di aspre controversie Rosa Luxemburg aveva evidenziato che i concetti di Lenin erano di carattere giacobino e inapplicabili nell’Europa occidentale, dove non una rivoluzione borghese ma una proletaria era all’ordine del giorno. Sebbene anch’essa parlasse di dittatura del proletariato, per lei ciò significava, a differenza di Lenin, “il modo in cui la democrazia viene applicata, non la sua abolizione: deve essere opera di tutta la classe, non di una piccola minoranza in nome della classe.” Pur salutando entusiasticamente il rovesciamento dello zarismo, gli spartachisti non smarrirono le loro capacità critiche, né dimenticarono il carattere del partito bolscevico né i limiti storici della rivoluzione russa. Ma al di là delle realtà immediate e dell’esito finale di questa rivoluzione essa doveva essere difesa in quanto prima incrinatura nello schieramento imperialista e precorritrice della attesa rivoluzione tedesca. Di quest’ultima molti segnali erano apparsi come scioperi, sommosse della fame, ammutinamenti e ogni genere di resistenza passiva. Ma la crescente opposizione alla guerra e alla dittatura di Ludendorff non riusciva a trovare sbocchi organizzativi di portata significativa. Invece di volgersi a sinistra le masse seguivano le loro vecchie organizzazioni, le quali erano allineate con la borghesia liberale. Le sommosse nella flotta tedesca e infine la ribellione di novembre erano continuate nello spirito della socialdemocrazia, cioè nello spirito della borghesia tedesca sconfitta. La rivoluzione tedesca apparve più significativa di quanto lo fosse nella realtà. L’entusiasmo spontaneo degli operai era rivolto più a terminare la guerra che a cambiare i rapporti sociali esistenti. Le loro rivendicazioni, espresse tramite consigli di operai e soldati, non trascendevano le possibilità della società borghese. Anche la minoranza rivoluzionaria, e qui in particolare la Spatakusbund, non riuscì a sviluppare un programma rivoluzionario coerente. Le sue richieste politiche ed economiche erano di duplice natura: erano formulate da una parte per servire come richieste sulle quali trovare un accordo con la borghesia e i suoi alleati della socialdemocrazia, e dall’altra come parole d’ordine di una rivoluzione con la quale farla finita sia con la borghesia che con i suoi difensori. Naturalmente, dentro quell’oceano di mediocrità politica rappresentato dalla rivoluzione tedesca vi furono correnti rivoluzionarie che scaldavano i cuori dei radicali e li spingevano a intraprendere azioni storicamente del tutto fuori luogo. Successi parziali, dovuti ad un temporaneo stordimento della classe dominante e alla generale passività delle grandi masse – esauste come erano da quattro anni di fame e guerra – alimentarono la speranza che la rivoluzione potesse sfociare in una società socialista. Solo che nessuno sapeva che cosa fosse una società socialista, quali passi si doveva compiere per portarla all’esistenza. “Tutto il potere ai consigli degli operai e dei soldati,” per quanto attraente come parola d’ordine, lasciava tuttavia aperte tutte le questioni essenziali. Le lotte rivoluzionarie successive al novembre 1918 furono così determinate non da piani coscientemente elaborati dalla minoranza rivoluzionaria, ma furono sospinte a ciò da un controrivoluzione che si sviluppava lentamente ed era sostenuta dalla maggioranza del popolo. Il fatto era che le grandi masse tedesche dentro e fuori il movimento operaio non guardavano avanti verso l’istituzione di una nuova società ma indietro verso la restaurazione del capitalismo liberale senza i suoi aspetti negativi, le sue diseguaglianze politiche, il suo militarismo e l’imperialismo. Essi semplicemente desideravano il completamento delle riforme iniziate prima della guerra che erano concepite per l’instaurazione di un capitalismo benevolo. L’ambiguità che caratterizzò la politica della Spatakusbund fu in gran parte il risultato del conservatorismo delle masse. I dirigenti spartachisti erano pronti, da una parte, a intraprendere il chiaro percorso rivoluzionario auspicato dalla cosiddetta ‘ultrasinistra’, e dall’altra erano persuasi che tale politica non


poteva avere successo considerando l’orientamento prevalente delle masse e la situazione internazionale. Gli effetti della rivoluzione russa sulla Germania difficilmente si possono considerare degni di nota. Né vi era motivo di attendersi che una svolta radicale in Germania avrebbe causato maggiori ripercussioni in Francia, Inghilterra e America. Se era stato arduo per gli Alleati intervenire in modo decisivo in Russia, avrebbero incontrato minori difficoltà a schiacciare una insurrezione comunista in Germania. Uscito vittorioso dalla guerra, il capitalismo di queste nazioni si era enormemente rafforzato: non vi era alcuna indicazione che le loro masse patriottiche avrebbero rifiutato di combattere contro una debole Germania rivoluzionaria. In ogni caso, non vi era motivo di credere che le masse tedesche, impegnate a sbarazzarsi delle loro armi, avrebbero rincominciato una guerra contro il capitalismo al fine di liberarsi del proprio capitalismo. La politica che era apparentemente la più realistica per gestire la situazione internazionale e che doveva essere presto proposta da Wolfheim e Lauffenberg con il nome di nazionalbolscevismo, era tuttavia irrealistica considerando i reali rapporti di forza esistenti nel dopoguerra. Il piano di riprendere la guerra contro il capitalismo degli Alleati con l’aiuto della Russia era inadeguato in quanto non prendeva in considerazione il fatto che i bolscevichi non erano preparati né in grado di partecipare ad una tale avventura. Naturalmente i bolscevichi non avversavano la Germania e qualsiasi altra nazione che suscitasse difficoltà all’imperialismo vittorioso, tuttavia non incoraggiavano l’idea di una di nuova guerra di equilibrio per portare avanti la ‘rivoluzione mondiale.’ Essi desideravano l’appoggio per il loro regime, la cui permanenza era ancora posta in dubbio dai bolscevichi stessi, ma non erano interessati a sostenere rivoluzioni in altri paesi con mezzi militari. Sia il perseguimento di una deriva nazionalistica, indipendente dal problema delle alleanze, sia la prospettiva di unirsi una volta ancora con la Germania per una guerra di ‘liberazione’ dall’oppressione straniera furono alternative fuori discussione per il motivo ulteriore che quegli strati sociali che i ‘rivoluzionari nazionali’ dovevano coinvolgere nella loro causa erano precisamente la gente che mise fine alla guerra prima della sconfitta completa delle armate tedesche allo scopo di prevenire una ulteriore diffusione del ‘bolscevismo.’ Incapaci di divenire i padroni del capitalismo internazionale, avevano preferito mantenere il ruolo dei suoi servitori più fedeli. Tuttavia non vi era modo di trattare i problemi internazionali della Germania che non implicasse una politica estera definita. Pertanto la rivoluzione tedesca radicale venne sconfitta anche prima che potesse iniziare, ad opera sia del proprio che del capitalismo mondiale. Tuttavia la necessità di considerare seriamente le relazioni internazionali non si presentò mai alla sinistra tedesca. Forse questo fu il più chiaro segno della sua irrilevanza. Neppure venne posta concretamente la questione di cosa fare del potere politico, una volta conquistato. Nessuno sembrava credere che a queste domande sarebbe stato necessario rispondere. Liebkneekt e la Luxemburg davano per certo che il proletariato tedesco dovesse fronteggiare un lungo periodo di lotta di classe senza alcuna prospettiva di una prossima vittoria. Essi vollero scegliere la soluzione migliore possibile, proponendo un ritorno in parlamento e all’attività sindacale. Tuttavia nella loro pratica precedente avevano già oltrepassato i confini della politica borghese; non potevano ritornare nella prigione della tradizione. Avevano radunato attorno a sé gli elementi più radicali del proletariato tedesco, i quali erano ora determinati a considerare ogni battaglia come lo scontro finale contro il capitalismo. Questi operai interpretavano la rivoluzione russa secondo le proprie esigenze e la loro mentalità; ad essi importava meno delle difficoltà celate nel futuro che di distruggere il più possibile le forze del passato. Di fronte ai rivoluzionari si aprivano solo due vie: o soccombere con forze la cui causa era persa in anticipo, oppure ritornare nell’ovile della democrazia borghese e svolgere attività sociale a vantaggio della classe dominante. Per un vero rivoluzionario naturalmente esisteva solo una strada: soccombere con i lavoratori in lotta. Per questo Eugene Levine parlò dei rivoluzionari come di ‘morti in licenza’ e per questo Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht andarono incontro alla morte quasi come sonnambuli.


III Il fatto che la borghesia internazionale potesse concludere la sua guerra con nulla di più che la perdita temporanea dell’area russa determinò l’intera storia del dopoguerra fino alla seconda guerra mondiale. Retrospettivamente la lotta del proletariato tedesco dal 1912 al 1923 appare come un attrito marginale concomitante il processo di riorganizzazione capitalistica successivo alla crisi bellica. Ma è sempre esistita la tendenza a considerare i sottoprodotti di mutamenti violenti nella struttura capitalistica come espressione della volontà rivoluzionaria del proletariato. Tuttavia i radicali ottimisti stavano semplicemente fischiando nel buio. Certamente l’oscurità era reale e lo schiamazzo incoraggiante, tuttavia a quell’ora tarda non era il caso di prendere ciò sul serio. Per quanto sia entusiasmante richiamare alla memoria i tempi delle azioni del proletariato in Germania – le assemblee di massa, le manifestazioni, gli scioperi, i combattimenti per le strade, le discussioni accalorate, le speranze, le paure e le delusioni, l’amarezza della sconfitta e le sofferenze della prigione e della morte – tuttavia da tutte queste imprese non si possono ora trarre che insegnamenti negativi. Tutta l’energia e tutto l’entusiasmo non erano sufficienti a provocare un cambiamento sociale o a modificare la mentalità corrente. La lezione appresa fu quella di come non si deve procedere. Ma il come realizzare i bisogni del proletariato non era stato scoperto. Lo sconvolgimento emotivo fornì un inesauribile incentivo alla ricerca. La rivoluzione, che così a lungo era stata una semplice teoria e una vaga speranza era apparsa per un momento come una possibilità pratica. L’occasione era stata mancata, nessun dubbio, ma sarebbe ritornata per essere meglio utilizzata la prossima volta. Se non gli individui almeno i ‘tempi’ erano rivoluzionari e le prevalenti condizioni che portavano alla crisi avrebbero presto o tardi rivoluzionato le menti degli operai. Se le azioni erano state bloccate dai pompieri della polizia socialdemocratica, se una volta ancora l’iniziativa degli operai era stata vanificata attraverso l’evirazione dei loro consigli mediante la legislazione, se i loro dirigenti stavano nuovamente operando nelle diverse istituzioni capitalistiche non con la classe ma ’in nome della classe’– nondimeno la guerra aveva chiarito che le contraddizioni capitalistiche fondamentali non potevano essere risolte e che le condizioni della crisi erano ora le condizioni ‘normali’ del capitalismo. Nuove azioni rivoluzionarie erano probabili e avrebbero trovato i rivoluzionari meglio preparati. Sebbene le rivoluzioni in Germania, Austria e Ungheria fossero fallite rimaneva ancora la rivoluzione russa a ricordare al mondo la realtà delle rivendicazioni proletarie. Tutte le discussioni gravitavano attorno a questa rivoluzione, ed a ragione, perché questa rivoluzione doveva determinare il corso futuro della sinistra tedesca. Nel dicembre del 1919 venne fondato il Partito comunista tedesco. Dopo l’assassinio di Liebknecht e della Luxemburg venne diretto da Paul Levi e Karl Radek. Questa nuova dirigenza venne subito attaccata da una opposizione di sinistra a causa della sua tendenza a sostenere il ritorno alle pratiche parlamentari. Al momento della fondazione del partito i suoi elementi radicali erano riusciti a conferirgli un carattere antiparlamentare e un ampio controllo democratico, a differenza del tipo di organizzazione leninista. Venne adottata anche una politica contraria al sindacalismo. Liebknecht e la Luxemburg subordinarono i loro diversi punti di vista a quelli della maggioranza radicale. Non altrettanto fecero Levi e Radek. Già nell’estate del 1919 manifestarono chiaramente l’intenzione di scindere il partito al fine di partecipare alle elezioni del parlamento. Al contempo essi si prodigarono a diffondere l’idea di un ritorno all’attività sindacale, non tenendo conto del fatto che il partito era già impegnato nella formazione di nuove organizzazioni non più fondate su i mestieri o anche sulle industrie ma sulle fabbriche. Queste organizzazioni di fabbrica erano unite in un’unica organizzazione di classe, l’Unione generale del lavoro (AAU). Nell’ottobre del 1919, al congresso di Heidelberg, furono espulsi tutti i delegati che erano in disaccordo con il nuovo comitato centrale e mantenevano la posizione adottata alla fondazione del Partito comunista. Il febbraio seguente il comitato centrale decise di sbarazzarsi di tutti i distretti controllati dall’opposizione di sinistra. L’opposizione aveva dalla sua parte l’ufficio di Amsterdam dell’Internazionale comunista, ciò che portò allo scioglimento di quell’ufficio da parte dell’Internazionale al fine di sostenere il gruppo Levi-Radek. Infine nell’aprile del 1920 la sinistra fondava il Partito comunista dei lavoratori.


Il Partito comunista dei lavoratori (KAPD) non aveva ancora compreso che lo scontro con il gruppo di Levi e Radek era la ripresa del vecchio conflitto della Sinistra tedesca contro il bolscevismo, e in senso lato contro la nuova struttura del capitalismo mondiale che stava lentamente prendendo forma. Esso decise di entrare nell’Internazionale comunista. Appariva più bolscevico dei bolscevichi stessi. Ma per l’Internazionale comunista non era necessario prendere nuovamente posizione contro l’ ‘ultrasinistra’; i suoi dirigenti avevano preso la loro decisione già vent’anni prima. Nondimeno il comitato esecutivo dell’Internazionale comunista tentava tuttora di mantenere i rapporti con il Partito comunista dei lavoratori, non solo perché esso comprendeva la maggioranza del vecchio Partito comunista, ma anche perché sia Levi che Radek, sebbene portassero avanti in Germania la politica bolscevica, erano stati i discepoli più vicini non a Lenin ma a Rosa Luxemburg. Al secondo congresso mondiale della Terza Internazionale del 1920 i bolscevichi russi erano già nella condizione di imporre la politica dell’Internazionale. Le reazioni del Partito comunista dei lavoratori sono riassunte nella ‘Lettera aperta a Lenin’ di Herman Gorter, che è la risposta a ‘L’estremismo, malattia infantile del comunismo’ di Lenin. Le azioni dell’Internazionale contro l’ ‘ultrasinistra’ furono i primi tentativi di intervento e controllo sulle varie sezioni nazionali. Le pressioni esercitate sul Partito comunista dei lavoratori perché ritornasse al parlamentarismo e al sindacalismo crebbero costantemente, ma il Partito comunista dei lavoratori uscì dall’Internazionale dopo il suo terzo congresso. IV Al secondo congresso mondiale i dirigenti sovietici, allo scopo di assicurarsi il controllo dell’Internazionale, proposero l’istituzione di ventuno condizioni di ammissione all’Internazionale comunista. Poiché controllavano il congresso non ebbero difficoltà a far adottare queste condizioni. Da quel momento lo scontro sulle questioni di organizzazione, che venti anni addietro aveva suscitato tante polemiche tra la Luxemburg e Lenin, fu ripreso apertamente. Dietro il dibattito sulle questioni organizzative vi erano naturalmente le fondamentali differenze che dividevano la rivoluzione bolscevica e gli operai dell’occidente. Queste ventun condizioni conferivano all’esecutivo dell’Internazionale, cioè ai dirigenti del partito russo, il controllo integrale e un’autorità completa su tutte le sezioni nazionali. Secondo l’opinione di Lenin non era possibile realizzare una dittatura su scala internazionale “senza un partito rigorosamente centralizzato, disciplinato, in grado di guidare e amministrare ogni branca, ogni sfera, ogni aspetto dell’attività politica e culturale.” Questo atteggiamento – che consisteva nell’ostinarsi ad applicare l’esperienza russa all’Europa occidentale, dove prevalevano condizioni del tutto differenti – appariva all’opposizione di sinistra come un errore, un fraintendimento politico, una mancanza di comprensione delle peculiarità del capitalismo occidentale, e il risultato della fanatica preoccupazione di Lenin per i problemi della Russia. La politica di Lenin sembrava essere determinata dall’arretratezza dello sviluppo capitalistico in Russia, e sebbene dovesse essere combattuta nell’Europa occidentale poiché tendeva a favorire la restaurazione capitalistica, non poteva essere considerata una forza completamente controrivoluzionaria. Questo benevolo giudizio verso la rivoluzione bolscevica doveva essere presto liquidato dalle ulteriori azioni dei bolscevichi stessi. I bolscevichi passarono da piccoli ‘errori’ ad ‘errori‘ sempre maggiori. Sebbene il Partito comunista tedesco, affiliato alla Terza Internazionale, crescesse costantemente, soprattutto dopo la sua unificazione con i Socialisti indipendenti, la classe proletaria, già sulla difensiva, perdeva una posizione dopo l’altra a vantaggio delle forze della reazione capitalista. Trovandosi a competere con il partito socialdemocratico, che rappresentava parte della classe media e della cosiddette aristocrazia operaia sindacalizzata, il partito comunista non poteva non crescere, poiché questi strati si impoverivano nella depressione permanente nella quale si trovava il capitalismo tedesco. Con una disoccupazione in crescita costante anche l’insoddisfazione verso lo status quo e i suoi più fedeli sostenitori, i socialdemocratici, aumentava.


Solo il lato eroico della rivoluzione russa venne propagandato; il reale carattere della quotidianità sotto il regime bolscevico venne occultato sia dai suoi amici che dai nemici. Ciò in quanto, a quell’epoca, il capitalismo di stato, che stava dispiegandosi in Russia, era ancora sconosciuto alla borghesia, indottrinata dall’ideologia del laissez-faire, quanto il socialismo autentico. E il socialismo era concepito dalla maggioranza dei socialisti come una forma di controllo statale dell’industria e delle risorse naturali. La rivoluzione russa divenne un mito potente ed abilmente incoraggiato, accettato dai settori impoveriti del proletariato tedesco per compensare la loro crescente miseria. Il mito venne rafforzato dai reazionari per accrescere nei loro seguaci l’odio per gli operai tedeschi e in generale verso tutte le tendenze rivoluzionarie. Contro il mito, contro il poderoso apparato propagandistico dell’Internazionale comunista che costruiva il mito, accompagnato e sostenuto dalla offensiva del capitale contro il lavoro in tutto il mondo – contro tutto questo la ragione non poteva prevalere. Tutti i gruppi radicali alla sinistra del Partito comunista passarono dalla stagnazione alla disintegrazione. Non servì a nulla che questi gruppi avessero la linea politica ‘giusta’ e il Partito comunista quella ‘errata’ in quanto qui non erano in gioco questioni di strategia rivoluzionaria. Ciò che emergeva era che il capitalismo mondiale stava attraversando una fase di stabilizzazione e si stava sbarazzando di quei turbolenti elementi proletari che durante le condizioni di crisi della guerra e del collasso militare avevano tentato di affermarsi. La Russia, che fra tutte le nazioni era quella che più necessitava di essere stabilizzata, fu il primo paese a distruggere il suo movimento operaio mediante la dittatura del partito bolscevico. Tuttavia nelle condizioni dell’imperialismo la stabilizzazione interna è possibile solo perseguendo una politica di potenza verso l’esterno. Il carattere della politica estera russa sotto il bolscevismo fu determinato dalle peculiarità della situazione europea postbellica. L’imperialismo moderno non si limita più ad affermarsi semplicemente esercitando una pressione militare ed effettive operazioni belliche; la ‘quinta colonna’ è un’arma apprezzata da tutte le nazioni. Tuttavia quella che è oggi una virtù imperialistica per i bolscevichi, i quali stavano tentando di reggere il confronto in un mondo dominato dalla competizione imperialistica, era ancora una assoluta necessità. Non vi era nulla di contradditorio nella politica bolscevica che consisteva nel prendere tutto il potere ai lavoratori russi e allo stesso tempo tentare di costruire forti organizzazioni operaie nelle altre nazioni. Naturalmente i bolscevichi non consideravano le varie sezioni della loro Internazionale come semplici legioni straniere al servizio della ‘patria dei lavoratori’ ; credevano che ciò che era d’aiuto alla Russia favoriva il progresso anche altrove. Essi credevano, e a ragione, che la rivoluzione russa aveva dato inizio a un movimento generale e di portata mondiale dal capitalismo monopolistico al capitalismo di stato, e ritenevano che questo nuovo stato di cose costituisse un passo verso il socialismo. In altre parole, se non nella loro tattica almeno nella teoria essi erano ancora socialdemocratici e da loro punto di vista i dirigenti socialdemocratici erano realmente dei traditori della loro stessa causa quando favorivano la conservazione del capitalismo del laissez-faire di ieri. Nei confronti dei socialdemocratici si percepivano come i veri rivoluzionari, in rapporto all’ ‘ultrasinistra’ si ritenevano realisti, i veri rappresentanti del ‘socialismo scientifico’. Ma quello che pensavano di se stessi e quello che erano realmente sono due cose differenti. Nella misura in cui essi continuavano a fraintendere la loro missione storica essi operavano continuamente per il fallimento della loro causa; nella misura in cui erano obbligati ad essere all’altezza delle necessità oggettive della loro rivoluzione, divenivano la più grande forza controrivoluzionaria del capitalismo moderno. Lottando come veri socialdemocratici per l’egemonia nel movimento socialista del mondo, identificando gli angusti interessi nazionalistici della Russia del capitalismo di stato con gli interessi del proletariato mondiale, e tentando di mantenere a tutti i costi le posizioni di potere che avevano conquistate nel 1917, essi stavano semplicemente preparando la loro rovina, che si realizzò drammaticamente in numerose lotte tra fazioni, al


culminando nei processi di Mosca e concludendosi nella Russia stalinista attuale - una nazione imperialista fra le altre. In considerazione di questo sviluppo, ciò che fu più importante della critica delle effettive politiche dei bolscevichi, in Germania e nel mondo in generale, fu il riconoscimento della reale portata storica del movimento bolscevico, cioè della socialdemocrazia militante. Quello che il conservatore movimento socialdemocratico era in grado di fare o non fare, i partiti in Germania, Francia e Inghilterra lo avevano rivelato fin troppo chiaramente. I bolscevichi mostrarono che cosa costoro avrebbero fatto se fossero stati ancora un movimento sovversivo. Avrebbero tentato di organizzare il capitalismo disorganizzato e sostituito gli imprenditori individuali con burocrati. Essi non avevano altri piani e perfino questi erano solo una estensione del processo di cartellizzazione, trustificazione e centralizzazione in corso in tutto il mondo capitalistico. Nell’Europa occidentale i partiti socialisti non potevano più agire seguendo il bolscevismo, in quanto la loro borghesia stava già istituendo tale genere di ‘socializzazione’. Tutto quello che i socialisti potevano fare era dargli una mano; cioè ‘crescere lentamente’ nella ‘società socialista emergente’. Il significato del bolscevismo venne svelato completamente solo con la comparsa del fascismo. E alla luce del presente i gruppi dell’ ‘ultrasinistra’ in Germania e in Olanda devono essere considerati le prime organizzazioni antifasciste, avendo anticipato nella loro lotta contro i partiti comunisti la futura necessità per la classe operaia di combattere la forma fascista del capitalismo. I primi teorici dell’antifascismo sono da rintracciare tra i portavoce delle sette radicali: Gorter e Pannekoek in Olanda, Ruehle, Pfempfert, Broh e Fraenkel in Germania; ed essi possono essere considerati tali in ragione della loro lotta contro il concetto del partito-guida e del controllo statale, dei loro tentativi di attuare i contenuti del movimento dei consigli verso la determinazione diretta del proprio destino, per il loro sostegno alla lotta della Sinistra tedesca contro la socialdemocrazia e insieme contro la sua articolazione leninista. V I soviet russi e i consigli degli operai e dei soldati tedeschi rappresentavano l’elemento proletario sia nella rivoluzione russa che in quella tedesca. In entrambe le nazioni questi movimenti vennero prontamente soppressi con strumenti militari e legislativi. Ciò che rimaneva dei soviet russi dopo lo stabile radicamento della dittatura del partito bolscevico fu semplicemente la versione russa del posteriore fronte del lavoro nazista. Il movimento dei consigli tedesco venne legalizzato e si tramutò in una appendice dei sindacati e presto in una forma di controllo capitalistico. Finanche i consigli formatisi spontaneamente nel 1918 erano – la maggioranza di questi – lungi dall’essere rivoluzionari. La loro forma di organizzazione, fondata sulle esigenze della classe e non e non sui vari interessi particolari determinati dalla divisione capitalistica del lavoro, fu tutto ciò che di radicale vi era in essi. Ma qualunque fossero le loro carenze, va detto che non vi era nient’altro su cui fondare le speranze di una rivoluzione. Sebbene si volgessero frequentemente contro la sinistra, tuttavia c’era da attendersi che le necessità oggettive di tale movimento l’avrebbero portato inevitabilmente a confliggere con i poteri tradizionali. Questa forma di organizzazione doveva essere mantenuta nel suo carattere originario e costruita in preparazione delle lotte che si prospettavano Considerando la situazione nella prospettiva di una continuazione della rivoluzione tedesca, l’ ‘ultrasinistra’ era impegnata in una lotta all’ultimo sangue contro i sindacati e contro i partiti parlamentari esistenti; in breve contro tutte le forme di opportunismo e di compromesso. Considerando la situazione nella prospettiva di una probabile coesistenza a fianco delle vecchie potenze capitaliste, i bolscevichi russi non potevano pensare a una politica scevra da compromessi. Gli argomenti di Lenin a difesa delle posizioni bolsceviche in rapporto ai sindacati, al parlamentarismo e in generale all’opportunismo elevavano le esigenze del bolscevismo a falsi principi rivoluzionari. Tuttavia ciò non dimostrerebbe il carattere illogico delle argomentazioni dei bolscevichi, poiché per quanto tali argomenti siano illogici da un punto di vista rivoluzionario, questi scaturivano logicamente dal ruolo peculiare svolto dai bolscevichi all’interno


dell’emancipazione capitalistica della Russia, e dalla politica internazionale bolscevica che sosteneva gli interessi nazionali della Russia. Una parte del movimento dell’ ‘ultrasinistra’ andò un passo al di là dell’antibolscevismo del Partito comunista dei lavoratori e dei suoi aderenti all’interno della Unione generale del lavoro (AAU). Essa riteneva che la storia dei partiti socialdemocratici e le pratiche dei partiti bolscevichi provavano a sufficienza quanto fosse futile tentare di sostituire dei partiti reazionari, ciò per il motivo che il partito stesso come forma di organizzazione era divenuta inutile persino pericolosa. Il movimento si spaccò: una parte abbandonò del tutto la forma partito, l’altra restò come ‘organizzazione economica’ del Partito comunista dei lavoratori. La prima si avvicinò ai sindacati ed ai movimenti anarchici, senza tuttavia abbandonare la sua Weltanschauung marxiana. L’altra si considerò l’erede di tutto quanto vi era stato di rivoluzionario nel movimento marxista del passato. Tentò di realizzare una Quarta Internazionale, ma riuscì solo a creare una cooperazione più stretta con gruppi analoghi in pochi paesi europei. La storia passò a lato di entrambi i gruppi; essi discutevano nel vuoto. Né il Partito comunista dei lavoratori, né la frazione antipartitica della Unione generale del lavoro superò la loro condizione di essere sette dell’ ‘ultrasinistra’. I loro problemi interni divennero del tutto artificiosi poiché, per quanto concerne l’attività pratica non esistevano differenze effettive tra loro. Queste organizzazioni – residui del tentativo proletario di giocare un ruolo nelle sommosse del 1918 – tentarono di indirizzare le loro esperienze nell’ambito di uno sviluppo che si stava muovendo costantemente nella direzione opposta a quella in cui queste esperienze avevano avuto origine. Solo il Partito comunista, grazie al controllo russo, poteva realmente crescere nell’ambito di una situazione che andava verso il fascismo. Ma rappresentando il fascismo russo, non quello tedesco, doveva anch’esso soccombere al movimento nazista emergente il quale, riconoscendo ed accettando le tendenze capitaliste prevalenti, ereditò infine il vecchio movimento operaio tedesco nella sua totalità. Dopo il 1923 il movimento dell’ ‘ultrasinistra’ tedesca cessa di costituire un serio fattore politico nel movimento operaio della Germania. Il suo ultimo tentativo di forzare la linea di tendenza dello sviluppo nella sua direzione venne dissipato nell’effimera azione del marzo del 1921, intrapresa sotto la guida popolare di Max Hoelz. I suoi militanti, costretti a darsi alla clandestinità, introdussero nel movimento pratiche cospiratorie ed espropriatorie, accelerandone così la dissoluzione. Sebbene organizzativamente i gruppi dell’ ‘ultrasinistra’ continuassero ad esistere fino all’inizio della dittatura di Hitler, la loro attività si restrinsero a quelle di gruppi di discussione che tentavano di capire i propri fallimenti e quello della rivoluzione in Germania. VI Il declino del movimento dell’ ‘ultrasinistra’, i cambiamenti in Russia e nella composizione dei partiti bolscevichi, la nascita del fascismo in Italia e in Germania avevano ripristinato i vecchi rapporti tra economia e politica, che erano stati turbati durante e posteriormente la prima guerra mondiale. In tutto il mondo il capitalismo si era stabilizzato in misura sufficiente a determinare la linea di tendenza principale. Fascismo e bolscevismo, prodotti delle condizioni della crisi, erano – come la crisi stessa – anche gli strumenti per una rinnovata prosperità, per una nuova espansione del capitale e una ripresa delle lotte concorrenziali dell’imperialismo. Ma proprio come ogni grande crisi appare a coloro che più soffrono come la crisi ‘finale’, così i concomitanti cambiamenti politici apparivano come sintomi del crollo del capitalismo. Ma il divario . tra apparenza e realtà presto o tardi trasforma un eccessivo ottimismo riguardo le possibilità rivoluzionarie in eccessivo pessimismo. Allora a un rivoluzionario rimangono aperte due strade: può capitolare di fronte ai processi politici dominanti, oppure può ritirarsi in una vita contemplativa e attendere un cambiamento di prospettiva.


Fino al collasso definitivo del movimento operaio in Germania, la ritirata dell’ ‘ultrasinistra’ apparve come un ritorno all’attività teorica. Le organizzazioni esistevano nella forma di pubblicazioni settimanali e mensili, opuscoli e libri. Le pubblicazioni garantivano l’esistenza delle organizzazioni, le organizzazioni quella delle pubblicazioni. Mentre le organizzazioni di massa erano la servizio di ristrette minoranze capitalistiche, le masse dei lavoratori erano rappresentate da individui. La contraddizione tra le teorie dell’ ‘ultrasinistra’ e le condizioni dominanti diveniva insostenibile. Più ognuno pensava in termini collettivi e più si trovava nell’isolamento. Il capitalismo, nella forma del fascismo, appariva come il solo collettivismo reale, e l’antifascismo un ritorno al precedente individualismo borghese. La mediocrità dell’uomo capitalista, e quindi del rivoluzionario nelle condizioni del capitalismo, diveniva dolorosamente evidente nelle piccole organizzazioni stagnanti. Sempre più persone, partendo dalla premessa che le ‘condizioni oggettive’ erano mature per la rivoluzione, spiegavano la sua assenza con ‘fattori soggettivi’ quali la carenza di coscienza di classe e la mancanza di comprensione e di carattere da parte degli operai. Queste carenze stesse necessitavano a loro volta di essere spiegate mediante ‘condizioni oggettive’, perché tale inadeguatezza del proletariato era senza dubbio un prodotto della sua particolare posizione all’interno delle relazioni sociali del capitalismo. La necessità di limitare l’attività ad un intervento didascalico divenne virtù: sviluppare la coscienza di classe degli operai venne considerato come il più essenziale dei compiti rivoluzionari. Ma il vecchio motto socialdemocratico che ‘sapere è potere’ non era più persuasivo in quanto non vi è un rapporto diretto tra la conoscenza e la sua applicazione. Il trionfo del fascismo in Germania mise fine al lungo periodo di scoraggiamento, disinganno e disperazione rivoluzionarie. Tutto divenne una volta ancora estremamente chiaro; il futuro immediato venne delineato in tutta la sua brutalità. Il movimento operaio comprovò per l’ultima volta che la critica che gli veniva ad esso dai rivoluzionari era più che giustificata. La lotta dell’ ‘ultrasinistra’ contro il movimento operaio ufficiale si dimostrò essere stata la sola lotta coerente contro il capitalismo fin allora intrapresa.


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