alcune considerazioni sull'organizzazione

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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ORGANIZZAZIONE Henri Simon

CONNESSIONI per la lotta di classe connessioni-connessioni.blogspot.com


Pubblichiamo questo scritto di Henri Simon, traduzione inedita in italiano, abbiamo precedentemente pubblicato altri suoi materiali (da Echanges e da Mondialisme) tra cui il suo scritto Il nuovo movimento. Il testo qui prodotto è un materiale che al di la del punto di vista storico di quando è stato scritto (il 1979) mette in rilievo il problema della spontaneità e della classe come oggetto/soggetto nella lotta stessa. Il raffronto tra l’organizzazione spontanea e volontarista in una dinamica vista come un processo. Dove le contraddizioni tra queste forme e la loro stessa esistenza è analizzata sulla base delle condizioni oggettive imposte dal capitale e non sulla base di giudizi morali o di prese di posizioni ideologiche. Quando Simon parla di repressione, è qui intesa in modo ampio non solo come violenza diretta ma come imposizione delle necessità capitaliste. Se il rapporto tra organizzazione volontarista e spontanea si da sempre, come sottolinea efficacemente Simon, l’efficacia dell’azione della classe e la sua capacità di rottura è tuttavia legata in ultima istanza ai meccanismi integratori o de-integratori del capitale stesso. Connessioni per la lotta di classe Febbraio 2012 connessionic@yahoo.it


ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ORGANIZZAZIONE Henri Simon, 1979 Tutte le citazioni e riferimenti sono stati volutamente tolti in questo articolo. Non ho dubbi che molte idee espresse qui sono già state scritte da molti altri e ci saranno ripetizioni, alcune volute, altre no. Ho anche volutamente cercato per quanto possibile, di allontanarmi dal linguaggio tradizionale. Certe parole, certi nomi producono un blocco mentale nel pensiero di questa o quella persona portandoli ad escludere tutta una parte dai loro processi di pensiero. Lo scopo di questo articolo è quello di cercare di far riflettere le persone circa l'esperienza: propria e degli altri. Non ho dubbi che questo obiettivo sarà soffi sfatto in modo imperfettamente e questo per due ragioni. La prima, e meno importante, è che ci sono coloro che ancora insistono a mettere etichette su tutto quanto e di esorcizzare ciò che si sospetta di eresia, perché le loro convinzioni non possono tollerarlo. La seconda, più essenziale, è che l'articolo dirà finalmente che le nostre convinzioni non sono quasi mai spazzate via solo per l'impatto shock con altre idee, ma dallo shock dello scontro con la realtà sociale. Possiamo eventualmente portarci fuori dalla cittadella del nostro sistema di pensiero verso una semplice considerazione dei fatti? E non solo fatti, ma tutto ciò che appartiene alla nostra esperienza di "militanti" o "non-militanti." L'esperienza, inoltre, che non va considerata isolata nel nostro mondo individuale, ma deve essere ricollocata nel contesto delle nostre relazioni sociali, vale a dire quello che abbiamo potuto sperimentare o quello che viviamo oggi in un mondo totalmente capitalista (da un'estremità del pianeta all'altra). Eppure anche questa esperienza e ciò che possiamo sapere di altre esperienze ci porta una conoscenza parziale. Ciò è già evidente per un dato momento. E' ancora più evidente se visto in una prospettiva storica. Anche se cerchiamo di generalizzare le esperienze, osservazioni, e riflessioni e di integrarli in un tutto più vasto, non necessariamente amplieremo il nostro campo visivo. Generalizzare è una pretesa del tutto giustificabile: lo facciamo per tutto il tempo, consapevoli o meno. Facciamo i collegamenti, confrontiamo e deduciamo da nozioni più generali, che integriamo in generalizzazioni già stabiliti, o utilizziamo per modificare tali generalizzazioni, o per crearne di nuove. Una generalizzazione può servire come apertura, poiché la curiosità porta a cercare altri fatti con cui riempire i nostri vuoti. Ma può risultare come una chiusura, un processo di blocco, in quanto può portare a ignorare o eliminare tutto ciò che sfida tale generalizzazione. CONOSCENZA PARZIALE DELLA VITA SOCIALE La nostra conoscenza è sempre parziale perché inevitabilmente all'inizio noi apparteniamo a una generazione, una famiglia, un ambiente, una classe, una


Stato ecc…, una piccola frazione di un mondo di centinaia di milioni di abitanti. E non è così facile, a meno che il sistema capitalista prenda questo in mano, per allargare il campo ristretto della"vita così come ci è stata data". Tuttavia questa conoscenza frazionaria non è così parziale, in questi giorni se guardiamo un po' più da vicino. L’uniforme processo accelerato delle condizioni sociali e degli stili di vita nell'esplosione capitalista degli ultimi 30 anni ha creato una certa uniformità di esperienze. Anche se le condizioni tecniche, economiche e politiche continuano a variare in misura considerevole oggi, le basi elementari, e meno elementari del sistema capitalista sono davvero identiche e inviolabili qualunque sia il regime in cui operano. E così le nostre esperienze ed i loro particolarismi si rispecchiano in quelli degli altri, in una conoscenza più generale. Molto spesso la nostra esperienza ha già trovato la sua giustificazione solo nell'incontro con esperienze identiche, prima del contatto con altre esperienze differenti. E molto spesso queste esperienze sono sintetizzate dallo stesso ambiente in sistemi di pensiero che sollevano questi particolarismi al livello di ideologie. Il percorso di conoscenze sempre più generali che è fatto dal confronto delle esperienze con quelle degli altri viene ostacolato dalle ideologie. A parte momenti di violente rottura, spesso strazianti, questa situazione ci lascia bloccati a metà percorso con un sistema di idee che non può che può solo tradursi in una conoscenza pratica e concreta imperfetta della vita sociale in tutte le sue forme. Rotture violente e laceranti con il passato non sono il risultato della nostra riflessione e conoscenza che ci porta a cambiare le nostre idee precedenti: sono ciò che la nostra "posizione sociale" ci porta a fare in certi momenti, (e questi momenti arrivano sempre) quando la nostra esperienza improvvisamente e bruscamente viene collegato e confrontata con esperienze diverse. Questa situazione ci libera da tutti gli schemi e gli ostacoli ideologici e ci fa agire, a volte all'insaputa alle nostre idee, in reazione agli elementi fondanti del sistema capitalista di cui sopra, cioè ci fa agire in base ai nostri interessi di classe. E 'chiaro che, secondo la nostra posizione nel sistema capitalista, l'azione ci porta da una parte o dall'altra, in una direzione che può concordare con le nostre idee precedenti, ma che spesso ha poco a che fare con loro. VOLONTARISMO CONTRO ORGANIZZAZIONE SPONTANEA Il "problema dell’organizzazione" è proprio una di quelle questioni più segnate da idee preconcette su ciò che alcuni chiamano "necessità". In relazione a quanto è stato detto, due poli si possono distinguere: - Volontarismo - Organizzazione spontanea


Il volontarismo è quello in cui vogliamo operare (per congiungerci o creare) in relazione ad alcune idee prestabilite provenienti dalla nostra appartenenza a un ambiente, per la difesa permanente di quello che pensiamo sia il nostro interesse. Per fare questo ci riuniamo con un numero limitato (spesso molto limitato) di persone aventi la stessa pre-occupazione. La natura di questa organizzazione è, nel suo obiettivo definito da coloro che lavorano insieme, per sé e per gli altri, permanente, in cui è inscritto un sistema di riferimenti da cui si può dedurre le modalità pratiche di funzionamento. In altre parole, un certo corpo di idee conduce a certe forme determinate di azione: il più delle volte una collettività limitata parla e agisce verso una più grande, in una direzione che è inevitabilmente quella di persone che "sanno" (o pensano di sapere) verso coloro "che non sanno" (o sanno in modo imperfetto) e che devono essere persuase. L’organizzazione spontanea è quella che deriva dall'azione di tutti i membri di una collettività in un dato momento, da una azione di difesa dei loro interessi immediati e concreti in un momento preciso nel tempo. Le forme e modi di funzionamento di tale organizzazione sono quelli della azione stessa, in risposta alle necessità pratiche di una situazione. Tali situazioni non sono solo il risultato di condizioni concrete che portano alla percezione degli interessi che devono essere difesi, ma anche del rapporto che possiamo avere in quel momento con tutti gli attivisti che sono al lavoro nella collettività. L’organizzazione spontanea è quindi l'azione comune della totalità di un gruppo sociale definito, non per sua scelta ma per il ruolo sociale di ogni individuo in quello stesso momento. Vedremo in seguito che tale organizzazione non ha alcun obiettivo da raggiungere, ma al contrario, gli obiettivi iniziali possono cambiare molto rapidamente. Vedremo anche che è la stessa cosa per le forme di azione stesse. La collettività iniziale che ha iniziato l'azione può anche cambiare molto rapidamente proprio in quel momento e in concomitanza con cambiamenti di obiettivi e forme di azione. Da questa distinzione tra volontarismo e organizzazione spontanea, si potrebbero moltiplicare le definizioni e differenze. Chiunque è libero di farlo. Ma devo sottolineare che sto parlando di "poli". Tra questi due estremi si possono trovare tutti i tipi di ibridi la cui complessità di natura e interazione è quella della vita sociale stessa. In particolare, partendo da una organizzazione basata sul volontarismo, si può finire in una serie di "slittamenti" per arrivare ad una identificazione con un organizzazione spontanea. Si potrebbe addirittura dire che è lo scopo, dichiarato o nascostodi tutte le organizzazioni di farci credere (è solo una questione di autopersuasione o propaganda) o di cercare di arrivare (questo è il mito di Sisifo) alla identificazione con l'organizzazione spontanea di una collettività determinata. All'estremità opposta, una forma di organizzazione spontanea che si è creato può trasformarsi in una organizzazione di stampo volontaristico quando le forze sociali che hanno creato mutano verso altre


forme di organizzazione e la precedente organizzazione cerca di sopravvivere con la sola volontà della minoranza, per bloccarsi in un quadro rigido di riferimenti. LA DEFINIZIONE DI SPONTANEITA’ Ci sono già state molte discussioni circa il termine "spontaneo" (come la parola "autonomo", che è diventata una parola politica nel senso cattivo del termine). "Spontaneo" non significa affatto out of de clear blue sky, una sorta di generazione spontanea, in cui si vede l’emergere dal nulla di strutture adeguate per ogni tipo di lotta. Siamo tutti esseri inevitabilmente sociali, vale a dire siamo immersi con forza in una organizzazione sociale a cui inevitabilmente opponiamo un'altra organizzazione, quella della nostra vita. Contrariamente a quanto normalmente supposto, questa organizzazione della nostra vita non è fondamentalmente una forma contro l'organizzazione sociale dominante. Questa organizzazione della nostra vita è soprattutto "per sé". E' solo "contro" come conseguenza della nostra auto attività. C'è una sensazione molto precisa in ognuno di noi di ciò che gli interessi della nostra vita sono e di ciò che ci impedisce l’auto-organizzazione delle nostre vite. Non sto usando la parola "coscienza" qui di proposito perché per troppi questa parola ha il senso di coscienza morale o, che è solo una variante della stessa cosa, di coscienza "politica". Per auto-organizzazione della nostra vita come per la sua autodifesa, il sistema capitalista è il miglior agente educatore. Sempre più sta mettendo nelle nostre mani una serie di strumenti che consentono questa auto-organizzazione e il suo passaggio da forme individuali a collettive. Aumentando le sue forme di repressione sempre più raffinate, incluse tutte le repressioni preventive delle lotte spontanee, sta ponendo per questa auto-organizzazione individuale o collettiva l'assoluta necessità di trovare "qualcos’altro" per sopravvivere. Ciò che è stato acquisito da una lotta precedente non può essere conosciuto attraverso esempi o discussioni, ma attraverso l'impatto shock delle esperienze di cui ho parlato in precedenza in questo articolo. Spontaneo significa, alla fine, solo l'emergere di un'organizzazione intessuta nella vita quotidiana che, in precise circostanze, e per la sua difesa, deve passare ad un'altra fase di organizzazione e di azione, pronta a ritornare al livello precedente in seguito, o a passare ad un altro stadio, diverso dai primi due. L’espressione "rapporto di forza" deve essere collocato nello stesso ragionamento, ma descrive solo la situazione senza definire nulla circa i contenuti, l’azione e l'organizzazione di tali forze. TERMINI VARIABILI E INTERESSI "Spontaneo" si riferisce anche ad un altro aspetto di azione e di organizzazione. L’ho toccato quando ho sottolineato, nella definizione di


organizzazione spontanea, che non ha obiettivi, forme prestabilite e che questa può essere rapidamente trasformata da un cambiamento nella collettività coinvolta. "Spontaneo" si oppone a una tattica che serve come una strategia orientata verso un obiettivo ben definito (all'interno di obiettivi secondari che definiscono fasi successive da raggiungere). Collettività, azione e organizzazione costituiscono termini variabili nella difesa degli interessi che sono anch’essi variabili. In ogni momento questi interessi variabili sembrano essere immediati così come l'azione e l'organizzazione per raggiungere gli obiettivi provvisori che appaiono necessari. Se tutto questo può accadere all'improvviso e il processo può evolvere molto rapidamente, questa spontaneità è tuttavia, e questo è stato sottolineato, prolungamento di una precedente auto-organizzazione e del suo confronto con una situazione cambiata. Le vicende di un'organizzazione di stampo volontaristico non sono interessanti di per sé, anche quando, come spesso fanno, le appesantiscono con discussioni sul "problema organizzativo". Sappiamo tutti bene che il tipo di organizzazione si intende, soprattutto tra quelli che di solito chiamiamo "militanti". Tuttavia, sarebbe possibile discuterne criticamente in una forma che rimane puramente ideologica, mascherando il problema essenziale. La storia delle organizzazioni e dell’ "organizzazione" in relazione al movimento tecnico, economico e sociale rimane da scrivere. LA FUNZIONE DEI GRUPPI VOLONTARISTI Non è lo scopo di questo articolo scrivere questa storia, anche se l'articolo mette in evidenza la distanza tra la teoria di questi gruppi e la loro pratica reale o semplicemente tra ciò che pretendono di fare e quello che fanno in realtà, tra la loro "vocazione" di universalità e il loro inserimento irrisorio nella società reale. Posso solo sottolineare alcuni possibili assi di riflessione quali: 1) La funzione dei volontaristi e dei loro gruppi. Cosa fanno nella attuale società capitalistista, imitando i partiti politici e i sindacati (i grandi modelli di questo tipo di organizzazione), indipendentemente dalla scuola politica a cui si riferiscono (comprese le più "moderne"), indipendentemente dalla loro radicalismo? (Il radicalismo non è mai fine a se stesso, ma spesso è un modo diverso di raggiungere lo stesso fine come per le organizzazioni legalitarie.) 2) Il comportamento di una organizzazione di volontaristi. E 'indipendente dalle sue finalità generali o particolari e della sua pratica (autoritario o "autonoma"). Inevitabilmente il mondo capitalista definisce la sua funzione (in relazione agli obiettivi e la prassi che ha scelto per sé). Questo stesso rapporto con un mondo capitalista impone una separazione che un partigiano di tale organizzazione volontaristi definirebbe "suo malgrado" come segue: "il problema di come mettere in relazione e attivizzare cioè teso a costruire


coscienza della storia attuale e il problema del rapporto tra rivoluzionari e masse rimangono aperti" 3) L'impossibilità delle organizzazioni volontariste di sviluppare se stesse, anche quando la pratica quotidiana delle lotte mostra le loro stesse idee. In più, lo sviluppo dell’organizzazione spontanea porta al rifiuto delle organizzazioni volontariste o alla loro distruzione, in alcune circostanze, anche quando queste organizzazioni volontariste si assegnano un ruolo. La conseguenza è che queste organizzazioni volontariste sono costantemente portate a respingere aree riformiste o capitaliste e costrette ad avere una pratica che è sempre più in contraddizione con i loro principi dichiarati. Proprio come quanto scritto di cui sopra dimostra che diventa sempre più difficile per queste organizzazioni di assegnarsi una funzione da identificare con l’azione e l'organizzazione spontanea. Alcuni si sforzano di "rivedere" alcune parti della loro azione, mantenendone altre (teoria, violenza, atti esemplari, la pratica della propria teoria, ecc.). Eppure non è una questione di revisione, ma di una sfida totale da parte del movimento stesso a tutte le nozioni "rivoluzionarie" sostenute per decenni, e anche per oltre un secolo ormai. Non sono in questione i dettagli, ma le idee fondamentali. L’IDEA DELLA COLLETTIVITA' Nella distinzione che è stata fatta tra l’organizzazione volontaristica e l'organizzazione spontanea, l'idea di collettività è essenziale. Di che collettività stiamo parlando e quali sono gli interessi attorno ai quali si manifestano azioni e organizzazioni? Una collettività può essere definita come tale da quanti volontariamente la formano, essi rendono espliciti i loro interessi comuni, gli obiettivi da raggiungere ed i mezzi della collettività, non nella azione, ma come preparazione all'azione. Qualunque siano le dimensioni e il carattere di una tale collettività, questa caratteristica è propria di tutte l'organizzazione volontaristiche. Oltre a coloro ai quali questo comportamento è indirizzato, la collettività può solo occuparsi di: (1) gli interessi dei suoi soli partecipanti (2) difendere gli interessi apparentemente comuni ai membri e non membri (3) difendere gli interessi dei suoi membri dominando i suoi non-membri, che immediatamente crea una comunità di interessi contrapposti ad un altra. Secondo la situazione, avremo anche per esempio una comunità di vita, come una comune, un movimento di tipo sindacale o un partito politico (molti gruppi sarebbero iscrivibili in questa categoria), o una impresa capitalistica (una cooperativa di produttori sarebbe inclusa in questa categoria anche se rimane esente dal dominio interno di una minoranza, ma sarebbe costretta, per poter funzionare, a ricorrere alla mediazione del mercato, che presuppone una relazione di dominio con i consumatori). Forme di


organizzazione volontarista, apparentemente molto diverse fra loro in realtà sono tutte contrassegnate da questo tipo di iniziativa volontaristica, che si concretizza in un certo tipo di relazione. La conseguenza di questa situazione è che tutte le organizzazioni volontaristiche devono, in un modo o nell'altro, essere conformi agli imperativi della società capitalistica in cui si vive e si opera. Questo è accettato da alcuni, pienamente assunto da altri, ma respinto da altri ancora che pensano di poter sfuggire o semplicemente non pensarci. In alcune situazioni cruciali, l'impresa capitalistica non ha altra scelta, se vuole sopravvivere, ma per fare ciò che il movimento dei capitali impone su di essa. Dal momento che esiste come organizzazione, la sua unica scelta è la morte o la sopravvivenza capitalista. In altre forme, ma allo stesso modo inesorabile, tutte le organizzazioni volontariste sono vincolate dagli stessi imperativi. Il dimenticare, il nascondere questa situazione o il rifiuto di guardarla in faccia crea violenti conflitti interni. Questi sono spesso nascosti dietro i conflitti personali o ideologici. Per un certo tempo possono anche essere dissimulate dietro una facciata di "unità", che viene sempre presentata, per ragioni di propaganda, ai non membri (da qui scaturisce la regola che all'interno di tali organizzazioni conflitti interni sono sempre risolti all'interno del organizzazione e mai in modo pubblico). E' possibile che collettività volontarista derivi da una organizzazione spontanea. Questa è una situazione frequente a seguito di una lotta. Il volontarismo qui consiste nel cercare di perpetuare sia gli organismi formali che la lotta ha creato o di tenere il passo ad un tipo di collegamento che la lotta aveva sviluppato in una specifica azione in testa. Tali origini non preservano in alcun modo l'organizzazione sviluppando le caratteristiche di una organizzazione volontarista. Al contrario, questa origine può apportare un contributo prezioso nel dare all’organizzazione volontarista la necessaria facciata ideologica per le sue azioni successive. La costruzione di una nuovo sindacato dopo uno sciopero è un buon esempio di questo tipo di cose. In opposizione alla collettività che si auto definisce, la collettività a cui, malgrado sé, uno appartiene, è definita da altri, dalle diverse forme che il dominio reale o formale del capitale ci impone. Noi non apparteniamo al risultato di una scelta, ma dall'obbligo (costrizione) della condizione in cui ci troviamo. Ogni persona è così sottomessa, chiusa in uno (o più) dei quadri istituzionali in cui si esercita la repressione. Lui fugge, se egli cerca di scappare, solo per essere messo in un'altra gabbia istituzionale (prigioni per esempio). Anche se abbandona la sua classe e il quadro di quella classe, è solo per entrare in un'altra classe dove è sottoposto alla gabbia di quella classe. All'interno di queste strutture un certo numero di individui si vede imporre le stesse regole e gli stessi vincoli. Coesione, azione, e organizzazione derivano dal fatto che è impossibile costruire la propria vita e auto-organizzarsi. Chiunque, qualunque sia il suo orientamento, si scontra con lo scoglio degli stessi limiti, degli stessi muri. Le risposte, cioè la


comparsa di un preciso interesse comune, dipendono dalla forza e dalla violenza della repressione, ma non sono in alcun modo volontarie. Scaturiscono dalla necessità. Gli ostacoli incontrati e le possibilità offerte portano ad un'azione in una forma di organizzativa o in un altra. È questa stessa attività che produce le idee su cosa dovrebbe o non dovrebbe essere fatto. Tale organizzazione non significa una comune concertazione formale o consultazione e adozione di una forma definita di organizzazione. Sarebbe difficile descrivere in termini di struttura la generalizzazione dello sciopero maggio 68 in Francia, l'azione collettiva dei minatori inglesi nello sciopero del 1974, il saccheggio di negozi a New York nel recente blackout, il grado di assenteismo al lavoro il giorno dopo una festa nazionale, ecc. Tuttavia, queste, tra le altre, sono azioni che hanno un peso molto maggiore rispetto a molte forme "organizzate" di lotta costruite dalle organizzazioni volontariste. L’organizzazione spontanea può essere molto reale, esiste sempre in questa forma non strutturata e apparentemente secondo i criteri usuali, non "esiste". Questa organizzazione spontanea, nel corso dell’azione e secondo le necessità di questa azione, può darsi forme ben definite (sempre transitorie). Essa non è altro che il prolungamento di una organizzazione informale che esisteva prima e che può tornare in seguito, quando le circostanze che hanno portato alla nascita dell'organizzazione sono scomparse. Nell’organizzazione volontarista , ogni partecipante ha bisogno di sapere in anticipo se tutti gli altri partecipanti alla collettività hanno la stessa sua posizione. Le decisioni formali devono essere prese per sapere in ogni momento se quello che stiamo andando a fare è in accordo con i principi base e con gli obiettivi dell'organizzazione. Niente di tutto questo accade in una organizzazione spontanea. L’azione, che è una procedura comune senza adesione formale, è tessuta insieme attraverso stretti legami, da un tipo di comunicazione, il più delle volte senza parlarne (sarebbe spesso impossibile, considerando la rapidità del cambiamento degli obiettivi e delle forme di azione ). Spontaneamente, naturalmente, l'azione si dirige verso obiettivi necessari per raggiungere un punto comune, che un’oppressione comune assegna a tutti, perché tocca ciascuno nello stesso modo. Lo stesso vale per organismi specifici che possono sorgere per compiti precisi nel corso di questa azione. L'unità di pensiero e azione è la caratteristica essenziale di questa organizzazione, è questo che durante l'azione dà origine ad altre idee, altri obiettivi, altre forme che forse una persona o alcune persone hanno proposto, ma che hanno la stessa immediata approvazione entusiasta nell’avvio immediato dell’azione. Spesso l'idea non è formulata, ma è compreso da tutti per l’avvio dell’azione in un'altra direzione rispetto a quella seguita in precedenza. Spesso anche questa azione si verifica in molti luoghi traducendo allo stesso tempo l'unità di pensiero e di azione di fronte alla stessa repressione applicata agli stessi interessi. Mentre l’organizzazione volontarista è direttamente o indirettamente sottoposta alla pressione del sistema capitalista che impone su di essa una


linea piuttosto che una scelta, l’organizzazione spontanea rivela solo la sua azione e le sue forme apertamente aperte a tutti, se la repressione rende necessario difendere e attaccare. L’azione e le forme saranno tanto più visibili tanto più sarà importante l'impatto di queste sulla società e sul capitale. La posizione della collettività che agisce in questo modo nel processo di produzione sarà determinante. NON ESISTE FORMULA PER LA LOTTA Ogni lotta che cerca di strappare al capitalismo quello che non vuole dare ha molta più importanza di quanto costringe il capitale a cedere una parte del suo plusvalore e ridurre i suoi profitti. Si potrebbe pensare che una tale formula privilegi le lotte nelle aziende e nelle fabbriche dove c'è in effetti una stabile organizzazione spontanea che nasce direttamente con le proprie leggi nel cuore del sistema-il luogo di sfruttamento-, assumendo quindi la sua forma più aperta e chiara. Ma in un'epoca in cui la ridistribuzione dei profitti svolge un ruolo importante nel funzionamento del sistema e per la sua sopravvivenza, in un'epoca di dominio reale del capitale, le lotte esprimono l'organizzazione spontanea delle collettività in luoghi diversi dalle fabbriche, distribuzione e terziario risultano rivestire lo stesso ruolo per il sistema. I loro percorsi potrebbero essere molto diversi e meno legati a scontri diretti, ma la loro importanza non è inferiore. L'insurrezione dei lavoratori di Berlino Est nel 1953 era all'inizio un movimento spontaneo contro l'aumento delle norme di lavoro. L'organizzazione spontanea che nasce da questa collettività coinvolta, un gruppo di lavoratori edili, darà vita ad una collettività di tutti i lavoratori della Germania dell'Est. La semplice dimostrazione di una manciata di lavoratori diede il via all'attacco ad edifici pubblici, gli obiettivi di un semplice annullamento di un decreto provocò quasi la caduta del regime, gettando le basi per l’auto-organizzazione dei consigli dei lavoratori; tutto questo nel spazio di due giorni. L'insurrezione polacca del giugno 1976 era solo una protesta contro l'aumento dei prezzi, ma in due punti, la necessità di mostrare la loro forza in due occasioni ha portato in poche ore all'organizzazione spontanea dei lavoratori occupando Ursus e bloccando tutte le comunicazioni -una situazione pre- insurrezionale- incendiando il quartier generale del partito e saccheggiando Radom. Il governo ha ceduto subito e immediatamente l'organizzazione spontanea è ritornata alle posizioni precedenti. Il blackout di energia elettrica di New York immersa nel buio ha improvvisamente generato una organizzazione spontanea di una collettività di consumatori "frustrati" che immediatamente si diedero al saccheggio, ma è scomparsa con il ritorno della luce. Il problema dell’assenteismo è già stato menzionato. Questi grandi gruppi di persone che lavorano in un luogo ricorrono all’assenteismo in questo modo poichè la repressione diventa impossibile, si rivela una organizzazione spontanea in cui sono definite le


possibilità di ogni persona dalla percezione comune di una situazione, dalle possibilità di ogni persona. Questa coesione si rivelerà all'improvviso se la direzione tenterà di sanzionare queste pratiche, attraverso l’apparizione di una lotta aperta spontanea e perfettamente organizzata. Potremmo citare molti esempi di eventi simili apparsi sotto forma di scioperi selvaggi per tutto ciò che riguarda i tempi di lavoro e la produttività, soprattutto in Gran Bretagna. Negli esempi appena citati l'organizzazione spontanea è interamente autoorganizzazione di una collettività senza che alcuna organizzazione volontarista interferisca. Nel guardare da più vicino possiamo vedere il costante flusso e riflusso delle azioni che hanno luogo, dall'organizzazione alla realizzazione degli obiettivi nel modo descritto sopra. Ma in molte altre lotte in cui l'organizzazione spontanea svolge un ruolo importante, l’organizzazione volontarista può coesistere con essa, e sembra andare nella stessa direzione dell'organizzazione spontanea. Il più delle volte lo fanno per giocare un ruolo repressivo nei confronti di questa organizzazione, ruolo che le strutture preposte normalmente dal sistema capitalista non possono assumere. Lo sciopero della durata di due mesi, di 57.000 lavoratori dell'auto della Ford apparentemente non ha rivelato alcuna forma di organizzazione al di fuori dello sciopero stesso. Al contrario, un esame superficiale farebbe dire che organizzazioni volontariste, come i sindacati, i delegati sindacali, ed anche alcuni gruppi politici hanno svolto un ruolo essenziale nello sciopero. Tuttavia, ciò non spiega come lo sciopero spontaneamente è iniziato a Halewood né la notevole coesione di 57.000 lavoratori, o l’effettiva solidarietà dei lavoratori dei trasporti che ha portato al blocco totale di tutti i prodotti Ford. La spiegazione è che l'organizzazione spontanea della lotta, se trova espressione nella non formalità e apparenza, a costantemente imposto la sua presenza e efficacia su tutte le strutture capitalistiche e soprattutto sui sindacati. Nel caso Ford, l'organizzazione spontanea non è stata osservata in particolari azioni eccetto, ed era singolarmente efficace in questa situazione, dall’assenza dal luogo di lavoro. Nella lotta dei minatori del 1974, troviamo la stessa coesione in uno sciopero coperto anche dal sindacato, ma se fosse rimasto lì l'efficacia della lotta sarebbe comunque stata ridotta a causa dell'esistenza di stock di energia. L'azione offensiva tramite l’organizzazione di picchetti volanti in tutto il paese ha rivelato una organizzazione spontanea, anche se questa auto-organizzazione ha beneficiato dell'aiuto della organizzazione volontarista. Senza l'efficacia, dell'organizzazione spontanea degli stessi minatori, questo supporto sarebbe stato ridotto a ben poco. In un identico campo, le miniere di carbone, abbiamo visto una simile autoorganizzazione da parte dei minatori americani la scorsa estate durante lo sciopero dei minatori degli Stati Uniti. D'altra parte, in una situazione diversa, i 4.000 minatori delle miniere di ferro di Kiruna in Svezia è andato in sciopero totale dal dicembre 1969, alla fine di


febbraio 1970. La loro organizzazione spontanea ha trovato espressione in un comitato di sciopero eletto dalle maestranze escludendo tutti i rappresentanti sindacali. La fine dello sciopero poteva essere ottenuto solo dopo la distruzione di questa commissione e il ritorno a forme di autoorganizzazione precedenti alla lotta stessa. Lo sciopero della LIP in Francia nel 1973 ha avuto un'eco enorme tra gli altri lavoratori, perché 1.200 persone hanno osato fare una cosa insolita: rubare prodotti e materiali dell’impresa per pagare il loro salario durante lo sciopero. Questo è stato possibile solo grazie all’organizzazione spontanea della lotta, ma questa organizzazione spontanea è stata interamente mascherata da una organizzazione volontarista interna (l'Inter-Union Committee) e da quelle esterne (i molti comitati di sostegno). Nel corso degli ultimi anni, l'organizzazione spontanea è stata a poco a poco dissolta, spesso a prezzo di tensioni durissime fra due organizzazioni, nel quadro istituzionale del Capitale, -una organizzazione formale e l’altra informale-, tranne in rari momenti. Anche un'altra situazione, il maggio 68 in Francia ha visto l'arrivo di diversi tipi di organizzazione. Molto è stato detto circa i movimenti volontaristi, il Movimento 22 marzo, i comitati d'azione, i comitati di quartiere, i comitati di lavoratori-studenti, ecc Molto meno è stato detto dell'informale auto-organizzazione della lotta che è stata molto forte nell’estendere lo sciopero in pochi giorni, ma che ripiegò su se stesso con la stessa rapidità, senza che si esprimesse in organizzazioni o azioni specifiche, lasciando così il via libera a varie organizzazioni volontariste, per la maggior parte, i sindacati o partiti. L'Italia dal 1968 fino ad oggi e la Spagna tra il 1976-1977, hanno visto situazioni simili a quelle sviluppate nel maggio 68 in Francia, in cui esiste la co-esistenza di organizzazioni spontanee, con quelle tradizionali (partiti e sindacati), ma anche con organizzazioni volontariste di una nuovo tipo, con forme nate dalla situazione creata dal movimento spontaneo. I movimenti possono svilupparsi spontaneamente in categorie sociali soggette alle stesse condizioni, senza essere tutti coinvolti in un primo momento, ma senza essere organizzazioni volontariste per tutti loro. Esse sono l'embrione di un movimento spontaneo più grande che a seconda delle circostanze si attesterà giornalmente al livello di quel giorno o darà luogo ad una organizzazione formale, se si diffonderà su scala molto più ampia. Gli ammutinamenti degli eserciti inglesi, francesi, tedeschi e russi nella guerra del 1914-18 ha avuto queste caratteristiche e ha avuto conseguenze molto diverse. Il movimento di diserzione e di resistenza alla guerra in Vietnam nell'esercito americano era qualcos'altro che divenne alla fine uno degli agenti più potenti per la fine di quella guerra. Tutti possono provare in questo modo in tutti i movimenti di lotta a determinare il ruolo svolto da un'organizzazione spontanea e quello giocato dall’organizzazione volontarista. E 'solo una delimitazione per categorie, per nulla facile, che ci permette di capire le dinamiche dei conflitti e delle lotte interne ad esse. E


così la frase che ho citato più indietro, rivelando uno irrisolto "problema" tra "rivoluzionari e masse" assume il suo significato complesso. Il problema è quello di un conflitto permanente tra "rivoluzionari e le masse", vale a dire tra l'organizzazione spontanea e organizzazione volontarista. Naturalmente questo conflitto esprime una contraddizione che esiste, malgrado sia molto diverso da quello che le organizzazioni volontariste vorrebbero che fosse. Questo conflitto è mantenuto in gran parte nel fatto che, in una lotta, organizzazioni volontariste e organizzazioni spontanee coesistono, ma il rapporto non è lo stesso in entrambe le direzioni. Per l'organizzazione spontanea, quella volontarista può essere uno strumento temporaneo in una scena d'azione. Necessita solo della dichiarazione dell’organizzazione volontarista di non essere risolutamente opposta a ciò che vuole la spontanea. E' spesso così con un delegato sindacale o con i diversi comitati creati parallelamente alla organizzazione spontanea intorno a un'idea o un obiettivo. Se l'organizzazione spontanea non trova utile un tale strumento crea i suoi propri organismi temporanei per raggiungere l'obiettivo del momento. Se lo strumento rifiuta la funzione assegnatagli dall'organizzazione spontanea, o diventa inadeguata perché la lotta ha spostato il terreno e le richieste con altri strumenti, l'organizzazione volontarista è abbandonata. E' la stessa cosa per la forma definita di un momento specifico dell’organizzazione spontanea. MASSE COME SOGGETTO/OGGETTO Per l'organizzazione volontarista, le "masse", vale a dire l'organizzazione spontanea, comprese le sue forme definite temporanee, è un oggetto. Ecco perché si cercano di dargli il ruolo che essi hanno definito. Quando una organizzazione spontanea utilizza una organizzazione volontarista, quest'ultima cerca di mantenere l'ambiguità di base il più a lungo possibile, mentre allo stesso tempo cerca di piegare l'organizzazione spontanea verso la propria ideologia e i propri obiettivi. Quando l'organizzazione spontanea è abbandonata cercherà con tutti i mezzi in suo possesso per di portarla sotto la sua ala. I metodi utilizzati certamente variano a seconda dell'importanza della organizzazione volontarista e del potere che detiene nel sistema capitalista. Nel volume di propaganda di alcune organizzazioni e di commandos sindacali statunitensi che attaccano gli scioperi, per esempio, c'è solo una differenza di dimensioni. Questa dimensione è ancora più tragica quando l'organizzazione spontanea crea i suoi propri organismi di lotta, la cui esistenza implica la morte delle organizzazioni volontariste e dell'intero sistema capitalistico con esse. Dalla Germania socialdemocratica alla Russia bolscevica, dalla Barcellona dei ministri anarchici da cui viene la distruzione dei consigli operai, a Kronstadt e i giorni di maggio 1937. Tra assemblee, comitati di sciopero, consigli e collettività da un lato e organizzazioni


volontariste, dall'altro, le frontiere sono ben disegnate nello stesso modo di quelle tra organizzazioni spontanee e volontariste. La creazione stessa di organizzazioni spontanee può conoscere lo stesso destino delle organizzazioni volontariste. Le circostanze di una lotta quasi sempre guidano il movimento dell’organizzazione spontanea a ripiegare su se stessa, per tornare a forme più sotterranee, a forme più primitive si potrebbe dire, anche se queste forme sotterranee sono ricche e utile tanto quanto le altre. Qui siamo spesso tentati di rintracciare una gerarchia tra diverse forme di organizzazione, quando in realtà sono solo lo specchio del legame, l’una all'altra, del costante adattamento alla situazione, cioè alla pressione e alla repressione. Lo spostamento delle organizzazioni spontanee lascia dietro di sé sulla sabbia, senza vita, le forme definite che hanno creato. Se non muoiono tutti insieme e cercano di sopravvivere con l'azione volontaria di alcune persone, si trovano esattamente nella stessa posizione delle organizzazioni volontariste. Essi possono anche eventualmente fare uno sviluppo notevole in questa direzione, perché possono costituire una forma di organizzazione volontarista, se l'ultimo, quella spontanea, ha raggiunto un livello pericoloso per il sistema capitalista. NON ESISTONO RICETTE DAL PASSATO In questo senso non esiste una ricetta dal passato per la creazione dell’organizzazione spontanea per la sua manifestazione in futuro. Non possiamo dire in anticipo quale forma determinata di organizzazione spontanea assumerà per raggiungere i propri obiettivi del momento. Nei suoi diversi livelli di esistenza e manifestazione, l'organizzazione spontanea ha un rapporto dialettico con tutto ciò che si trova sottoposto alle regole del sistema (tutto ciò che cerca di sopravvivere nel sistema) e finisce presto o tardi essendo per essere opposto ad esso, compresa l’opposizione all’organizzazione volontarista creata per lavorare nel proprio interesse, e contro le organizzazioni che sono sorte dalle organizzazioni spontanee che nel sistema capitalista si accumulano in organismi permanenti. Per concludere su queste brevi considerazioni sull’organizzazione si è portati a credere che uno sguardo realistico sul problema è stato dato e che può essere fatta una conclusione provvisoria o definitiva. Lo lascio alle organizzazioni volonariste. Come il movimento spontaneo di lotta, la discussione su di esso non ha frontiere definite né conclusioni. LA CRISI DELL’ORGANIZZAZIONE TRADIZIONALE Sarebbe anche una contraddizione del movimento spontaneo considerare che lo schematismo necessario all’analisi contenga un qualche giudizio di valore delle idee e una condanna dell'azione dell’organizzazione volontarista.


Le persone coinvolte in tali organizzazioni esistono perché il sistema di idee offerto corrisponde al livello delle relazioni tra la loro esperienza e quelle delle persone che li circondano e di quelle che conoscono. L'unico problema in questione è di collocare il loro posto in questa organizzazione, il posto di questa organizzazione nella società capitalistica, la funzione di questa in eventi in cui l'organizzazione può essere coinvolta. Queste sono precisamente le circostanze che attraverso l'impatto shock di esperienze portano una persona a fare ciò che il suo interesse dominante impone in un dato momento. Al fine di inquadrare meglio la questione, vediamo le crisi delle "grandi" organizzazioni volontariste, perché sono ben note e mal mimetizzate (e ricorrono sempre), ad esempio nel Partito Comunista Francese. Negli ultimi anni le crisi interne sono state provocate nel PCF dall'esplosione di organizzazioni spontanee in eventi come l'insurrezione ungherese (1956), la lotta contro la guerra d'Algeria (1956-1962) e il maggio 68. L’organizzazione spontanea non si afferma tutta in una volta, secondo lo schema tradizionale delle organizzazioni volontariste. Si ricostruisce all'infinito e, secondo le necessità della lotta, sembra scomparire, per riapparire in un'altra forma. Questo carattere incerto e sfuggente è allo stesso tempo un segno della forza della repressione (la forza del capitalismo) e di un periodo di affermazione che esiste da decenni e che può essere molto lungo. In tale periodo intermedio le incertezze trovano espressione nelle esperienze limitate di ciascuno di noi, nella parcellizzazione di idee e azioni, e la tentazione è quella di mantenere una "acquisizione" delle lotte. La stessa incertezza è spesso interpretata come una debolezza che porta alla necessità di trovaci con altri che hanno la stessa esperienza limitata in organizzazioni volontariste. Ma tali organizzazioni, tuttavia, non differiscono molto da quelle del passato. Quando guardiamo alle "grandi" organizzazioni volontariste di mezzo secolo fa e più, alcune persone rammaricano la dispersione e la polverizzazione di tali organizzazioni. Ma essi esprimono solo, tuttavia, il declino dell'organizzazione volontarista e il sorgere dell'organizzazione spontanea,-una fase transitoria in cui le due forme di organizzazione spalla a spalla si confrontano in un rapporto dialettico-. Ogni persona si pone, se può e quando può, in rapporto con questo processo, cercando di capire che le sue delusioni sono le ricchezze di un mondo a venire e i suoi fallimenti sono la vittoria di qualcos'altro molto più grande di ciò che deve abbandonare (e che ha poco a che fare con la "vittoria del nemico di classe" temporaneo). Qui la conclusione è l'inizio di un dibattito molto più grande che è quello dell’idea di rivoluzione e di un processo rivoluzionario in sé, un dibattito che in effetti non si pone come preambolo all’organizzazione spontanea, ma che si pone, come azione, come condizione e fine di azione in azione.


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