Confronti di novembre 2016 (parziale)

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novembre 2016

MENSILE DI RELIGIONI · POLITICA · SOCIETÀ

“Albania,

alle porte d’Europa”

6 EURO TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB - contiene I.R.

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novembre 2016

ANNO XLIII NUMERO 11 Confronti, mensile di religioni, politica, società, è proprietà della cooperativa di lettori Com Nuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Amministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto Flavio Ghizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Piera Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente). DIRETTORE

Claudio Paravati CAPOREDATTORE

Mostafa El Ayoubi IN REDAZIONE

Luca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce, Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Ligabue,

Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano, Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi. COLLABORANO A CONFRONTI

Stefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena, Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognandi, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, Stefano Cavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Courtens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia, Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi, Monica Di Pietro, Piera Egidi,

Mahmoud Salem Elsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà, Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Garrone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio (direttore responsabile), Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Laura Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino, Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani, Franca Long, Maria Immacolata Macioti, Anna Maffei, Dafne Marzoli, Cristina Mattiello, Lidia Menapace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca Maria Negro, Silvana Nitti,

Enzo Nucci, Paolo Odello, Enzo Pace, Gianluca Polverari, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabbadini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi, Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Debora Spini, Valdo Spini, Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Vincenzo Vita, Cristina Zanazzo, Luca Zevi.

PROGRAMMI

Michele Lipori, Stefania Sarallo REDAZIONE TECNICA E GRAFICA

Publicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75, n.15476. ROC n. 6551.

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M. Correggia, R. Devole, R. Fileno, M. Grech, U. Melchionda, V. Nava, S. Zorzi.

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Michele Lipori

PROGRAMMI

(copertina e pagine 3,

Nicoletta Cocretoli

9, 11, 13, 14, 16-17, 25, 35, 39):

AMMINISTRAZIONE

Andrea Sabbadini

Gioia Guarna

(pagine 18-19, 22, 24).

RISERVATO AGLI ABBONATI

Chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a: info@confronti.net


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le immagini

ALBANIA, ALLE PORTE D’EUROPA Ci si è accorti dell’Albania negli anni Novanta, con le navi colme di migliaia di persone che attraversavano un sottile lembo di mare. Oggi quel Paese attende ancora che l’Europa se ne ricordi. Il servizio fotografico è di Michele Lipori, eseguito durante una missione di Confronti in Albania nel luglio 2016. Foto di Michele Lipori 3


il sommario

novembre 2016

il sommario GLI EDITORIALI

I SERVIZI

La guerra contro lo Yemen e il silenzio del mondo

ALBANIA

Marinella Correggia 6

Cattolici e ortodossi. Quale ruolo del vescovo di Roma? Luigi Sandri 7

Gerusalemme, una risoluzione non ben ponderata Confronti 8

Ponti di conoscenza e di conflitto Rando Devole 10

Lo sguardo delle donne verso l’Europa Stefania Sarallo 12

La via del sufismo in Albania

MEDIO ORIENTE

Un’occupazione “temporanea” di 50 anni Giorgio Gomel 25

POLITICA

La roulette del Granduca Paolo Naso 27

GRAN BRETAGNA

(intervista a) Baba Edmond Brahimaj 15

L’incerta via dell’isolazionismo

ISLAM

SIRIA

Dall’islam in Europa all’islam europeo

Mostafa El Ayoubi 18

IMMIGRAZIONE

Accoglienza, integrazione, cittadinanza: tre sfide

Ugo Melchionda 21

Aprirsi al pluralismo religioso

Carmelo Russo 23

Michael Grech 29

La lacerazione di Aleppo (intervista a) Joseph Tobji 32

LE NOTIZIE

LE RUBRICHE

I LIBRI

Rifugiati

Diario africano La bomba umanitaria dei somali

Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria

In genere Gender: papa e mondo cattolico si dividono

Una nuova epoca per la spiritualità umana

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Scuola 36

Cdb 37

Chiesa cattolica 37-38

Dialogo 38

Enzo Nucci 40

Selene Zorzi 41

Salute e religioni I testimoni di Geova e le emotrasfusioni Renato Fileno 42

Note dal margine Santi e miracolo: abbinamento improprio

Giovanni Franzoni 43

Spigolature d’Europa L’identità felice della Francia di Juppé Adriano Gizzi 44

Luigi Sandri 45

David Gabrielli 46

LE IMMAGINI

Albania, alle porte dell’Europa

Michele Lipori


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invito alla lettura

La Riforma dell’Europa Claudio Paravati

I

l 2017 sarà un altro anno di anniversari. Due in particolare, tra gli altri, saranno significativi: i cinquecento anni della Riforma protestante (il 31 ottobre del 1517, fra’ Martin Lutero affisse le sue 95 tesi in piazza a Wittenberg) e i sessant’anni del Trattato di Roma, con cui nasceva la Comunità economica europea (Cee), marzo 1957, pilastro dell’odierna Unione europea (Ue). Anche papa Francesco è andato a Lund (Svezia), lo scorso 31 ottobre, per commemorare i Cinquecento anni della Riforma, con la Federazione luterana mondiale. Un gesto simbolico molto importante, non solo per il movimento ecumenico. Fin qui tutto bene. Come festeggiare però l’Europa di oggi? C’è poco da festeggiare, sembra, dopo il voto inglese della Brexit dello scorso 23 giugno e l’imbarazzo dell’Unione su molti fronti: in politica estera, nel dare risposta alle migrazioni e alle richieste di asilo dei profughi e dei rifugiati; sullo scarso affiatamento per far fronte alla crisi economica ancora in atto; sul pensare la cittadinanza europea in base a diritti e doveri, salvaguardando quindi le libertà, a partire da quella di religione e di coscienza. Qualche spunto di riflessione lo si trova in questo numero di Confronti: l’Albania, un Paese in parte dimenticato, che bussa all’Europa, e che, tra l’altro, conta la comunità migrante più numerosa in Italia, con oltre 500mila persone. Nel puzzle dei Balcani l’Albania giocherà un ruolo fondamentale, perché esempio di «pacifica coesistenza tra le diverse religioni», come ricordò Bergoglio nel settembre 2014; ma anche e soprattutto perché lì, per chi saprà attuare le giuste politiche (Unione Europea?), potrà giocarsi una partita economica, sociale, politica e culturale importante per tutto il “Vecchio continente” (si veda il servizio a pag. 10); l’islam in Europa (pag. 18); le migrazioni studiate con metodo, guardando i numeri e le stime (pag. 21); e ancora Brexit, referendum costituzionale e Siria. Senza solide basi politiche ed economiche, volte alla cooperazione e alla pace, non ci sarà Riforma adeguata. Allora gli eventi per i “Cinquecento anni” e per i “Sessant’anni” passeranno per il calendario, non lasciando traccia. Bisognerebbe invece pensare di prendere la palla al balzo... per un’altra, vera, Riforma europea.

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La guerra contro lo Yemen e il silenzio del mondo O

perazione “Tempesta decisiva”: da 19 mesi una coalizione di paesi guidati dall’Arabia Saudita bombarda lo Yemen, non risparmiando esequie funebri, ospedali segnalati, mercati. E un blocco navale – sempre saudita – rende difficilissimo l’arrivo degli indispensabili aiuti. Secondo le agenzie Onu, l’aggressione dei ricchi monarchi contro il paese (repubblicano) più povero del Medio Oriente ha già provocato: oltre 6.000 morti civili, e molti di più feriti e amputati; 3 milioni di sfollati; 7 milioni di persone a rischio carestia e 370mila bambini alla fame; l’azzeramento nelle infrastrutture vitali (acqua, energia, ponti...); la millenaria storia yemenita finisce in polvere anch’essa. In questa storia ci sono tanti peccatori e tanti ignavi. Gli Al Saud (la famiglia reale dell’Arabia Saudita) capeggiano una coalizione di monarchi del Golfo – a eccezione dell’Oman – con l’aggiunta di fanti di paesi sunniti che ricevono aiuti da Riad. Tuttavia, sono vari paesi occidentali a fornire aerei, armi e assistenza tecnico-militare. La condotta della guerra da parte della coalizione sunnita è così criminale che l’ignavia del mondo sconcerta. Perché questa complicità? «L’Arabia Saudita compra il silenzio del mondo», recitava un cartello durante una delle tante manifestazioni condotte in solitudine da Rete No War Roma. Vale l’antico motto: (turpis) pecunia non olet. I reami del Consiglio di cooperazione MARINELLA del Golfo (Cgg) CORREGGIA dispongono di giornalista e scrittrice. petrodollari a

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volontà, investono nei paesi occidentali e sono il quarto mercato di sbocco – civile e militare – per l’Europa. Mentre le agenzie umanitarie dell’Onu denunciano una sequela lunghissima di possibili crimini di guerra, gli organi politici dove siedono i governi sono

Fra i bambini yemeniti e i petrodollari, il mondo sceglie i secondi e preferisce restare in silenzio di fronte all’aggressione dell’Arabia Saudita

paralizzati come dal veleno di un cobra. La risoluzione 2216 del Consiglio di sicurezza dell’Onu approvata (all’unanimità, salvo l’astensione della Russia) nell’aprile 2015 dopo due settimane di bombardamenti, pur non avallando l’aggressione saudita e chiedendo la cessazione delle ostilità, trattava ’Abd Rabbih Mansur Hadi (il presidente dello Yemen il cui mandato è scaduto, ma che viene tenuto in piedi dalla comunità internazionale) come legittimo presidente e imponeva un embargo sulle armi ai soli Houti (movimento di resistenza all’occupazione saudita). E, da allora, nessuna condanna del blocco navale affamante. Inoltre, l’Arabia Saudita continua a sedere nel Consiglio dei diritti umani dell’Onu, che conta 48 membri a rotazione (nel 2011 la Jamahiriya araba libica ne fu espulsa di gran carriera sulla base di accuse completamente false). A fine settembre 2016 non è stata approvata l’istituzione di una Commissione internazionale indipendente di inchiesta

gli editoriali

Marinella Correggia

sulla guerra in Yemen. Indaga invece una commissione interna saudodipendente, che a ogni nuovo massacro parla di «informazioni sbagliate», «il maggiordomo è il pilota». Nonostante le stragi e l’inedia, Stati Uniti e Unione europea continuano a vendere armi a profusione a Riad. E l’Italia? Trova negli Al Saud il suo primo acquirente di armi. Gli Al Saud e complici sarebbero fermati e costretti ad accordi di pace equi se il Consiglio di sicurezza dell’Onu o i paesi fornitori di armi imponessero un embargo militare. Il 25 febbraio 2016, una risoluzione del Parlamento europeo lo ha chiesto invano ai governi e all’alto rappresentante Mogherini. Considerando le gravi accuse di violazione del diritto umanitario da parte di Riad in Yemen, l’export di armi viola la posizione comune 2008/944/ Pesc del Consiglio europeo (8 dicembre 2008). Poi c’è la legge italiana: la 185 del 1990, all’articolo 1 vieta le forniture belliche a paesi in stato di conflitto armato fuori dall’articolo 51 della Carta Onu o per i quali sia in vigore un embargo Onu o europeo; ma anche verso i paesi responsabili di gravi violazioni delle convenzioni in materia di diritti umani. E con Riad e compari ci siamo, no? Ma il governo fa il gioco delle tre carte, invocando l’assenza di una sanzione internazionale nei confronti di Riad. Risoluzioni di denuncia giacciono mollemente in Parlamento. Renzi, Pinotti, Gentiloni e Mogherini: tutti in ginocchio dal Re. Quando diventerà impresentabile essere succubi dei turpi petrodollari? Dipende da tutti noi.


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gli editoriali

Cattolici e ortodossi. Quale ruolo del vescovo di Roma? L’

avviamento di una migliore comprensione, di cattolici romani e ortodossi, del “chi era” del papato, è pur sempre un passettino in avanti, rispetto a tempi non lontani, ma il cammino da compiere appare realisticamente ancora lunghissimo, e quasi disperante l’attesa di una felice conclusione di un viaggio storico e teologico assai complicato. Questa una prima, provvisoria valutazione dei risultati del quattordicesimo incontro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa (Cmico), svoltosi a Francavilla al Mare, Chieti, là invitata dall’arcivescovo della città monsignor Bruno Forte che, membro dello stesso board, generosamente ha ospitato ventisei delegati ortodossi e altrettanti cattolici. Delle quattordici Chiese autocefale ortodosse, mancava solo quella bulgara. Operativa dal 1980, in questi decenni la Cmico ha affrontato diversi temi – la Trinità, i sacramenti, l’Ordine... – arrivando facilmente, su di essi, a un sostanziale consenso. I lavori si sono rivelati difficili, invece, quando si è addentrata in questioni spinose, come, appunto, il “chi era?” nell’antichità, il ruolo del papato, per prepararsi a discutere, nei prossimi anni, il suo “chi è?”. In proposito, nel 2007 a Ravenna la Commissione discusse di “Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale,

conciliarità e autorità”. Ma, in quella sede, vi fu un aspro scontro tra i delegati del patriarcato di Costantinopoli – il primus inter pares tra i gerarchi ortodossi, dal 1991 guidato da Bartolomeo I – e quelli del patriarcato russo che, per protesta, abbandonarono la riunione. Trascorsi alcuni anni i lavori sono ripresi, e dopo varie bozze, ora, dal 16 al 21 settembre in Abruzzo la Cmico ha approvato – con il dissenso della Chiesa georgiana su alcuni punti – un testo su “Sinodalità e primato nel primo millennio. Verso una comune comprensione nel servizio dell’unità della Chiesa”. Affermato che la sinodalità era la norma di agire nella Chiesa dei primissimi secoli, il testo prosegue: «Tra il quarto e il settimo secolo si iniziò a riconoscere l’ordine (taxis) delle cinque sedi patriarcali, basato sui Concili ecumenici e da essi sancito, con la sede di Roma al primo posto, esercitando un primato d’onore (presbéia tes timés) seguita da quella di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, in questo ordine preciso, secondo la tradizione canonica (15). In Occidente, il primato del vescovo di Roma fu compreso, specialmente a partire dal quarto secolo... come una prerogativa che gli apparteneva in quanto era successore di Pietro, primo tra gli apostoli. Questa comprensione non fu adottata in Oriente, che aveva su questo punto un’interpretazione diversa delle Scritture e dei Padri. Il nostro dialogo potrà ritornare su tale questione in futuro» (16).

Luigi Sandri

Sul primato del vescovo di Roma, come erede dell’apostolo Pietro, e rispetto agli altri vescovi, la dogmatica cattolica e quella ortodossa sono, per ora, inconciliabili

Questi due paragrafi-chiave fotografano il contrasto, per ora irriducibile, tra la comprensione cattolica e quella delle Chiese bizantine, o loro eredi, su “chi era?” nel primo millennio, il ruolo del papa romano. Tuttavia, senza accordo sulla comprensione del passato, diventa impossibile, nel prosieguo dei lavori, giungere ad un consenso sul “chi è?” oggi, il potere papale, con le definizioni del Concilio Vaticano I, nel 1870, sul primato pontificio e l’infallibilità papale: poteri della prima Roma inimmaginabili per la seconda Roma (Costantinopoli) e per la Terza (Mosca). Dove non arrivano, per ora, i teologi, spuntano nella prassi segni anticipativi del futuro. Bartolomeo più volte ha assistito ad una messa celebrata dal pontefice; e, viceversa, lo stesso ha fatto Bergoglio. Però quando questi, il primo ottobre scorso, ha celebrato messa a Tbilisi, Ilia II, catholikos (patriarca) della Chiesa georgiana, pur atteso, non si è fatto vedere. E all’Avana, il 12 febbraio scorso, il patriarca russo Kirill non ha pregato, ufficialmente, con il papa. Tutti gli sforzi di Francesco per dimostrarsi “servo dei servi di Dio” non smuovono, per ora, alcune Chiese autocefale ortodosse. 7


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gli editoriali

Gerusalemme, una risoluzione non ben ponderata L

a risoluzione dell’Unesco, del 18 ottobre, sulla “tutela del patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est”, con la sua parzialità, ha mostrato come, a livello internazionale, non si possa e non si debba affrontare il problema. Il ventaglio di questioni irrisolte per realizzare il principio «Due popoli-due Stati» è così riassumibile: confini definitivi tra Israele e futura Palestina; profughi; insediamenti; spartizione delle acque; status di Gerusalemme. A proposito di quest’ultimo punto, al termine della prima guerra arabo-israeliana, nel 1949 la “Città santa” si trovò divisa in due: la parte ovest a Israele, alla Giordania la parte est. Nel giugno 1967, con la Guerra dei sei giorni, oltre la Striscia di Gaza e l’intera Cisgiordania (e le alture siriane del Golan), Israele occupò anche Gerusalemme Est. Nel 1980 la Knesset proclamò l’intera città «capitale unita e indivisibile» di Israele; decisione unilaterale, mai accolta dalle Nazioni Unite. Poi, di anno in anno è cresciuta la “ebraizzazione” della parte Est, a spese degli arabi. La Spianata delle moschee/Monte del Tempio si trova nella parte Est. Dal 1967 l’interno della Spianata è lasciato – di fatto – in mano musulmana, ma il “muro del pianto” (i resti del muraglione occidentale del perimetro della collina del Tempio) è sotto totale controllo israeliano. Gli arabi chiamano la Spianata alHaram al-Sharif (il nobile santuario), e in essa sorgono la moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia.

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Confronti

Secondo la credenza musulmana, con un misterioso viaggio notturno Muhammad dalla Mecca venne a pregare sulla Spianata, e poi da là ascese al cielo, vide il trono di Allah, e quindi tornò sulla terra. E la Cupola protegge la roccia sulla quale Abramo era pronto a sacrificare il figlio.

Una pace giusta a Gerusalemme e dintorni esige che siano garantiti i diritti d’Israele e quelli della costituenda Palestina

Da parte loro, basandosi sulla Bibbia e le promesse divine, gli ebrei rivendicano quel luogo ove sorgeva il loro Santuario; perciò lo chiamano Har haBayit, Monte del Tempio. E, prima che esso, nel 70 dell’era volgare, fosse distrutto dai romani, vi aveva pregato Gesù di Nazareth. La risoluzione dell’Unesco chiama tutti i luoghi indicati con il solo nome arabo; perciò vivacissime sono state le proteste del governo israeliano e del mondo ebraico. Israele da 49 anni occupa la Cisgiordania e Gerusalemme-est ma, quest’ultima, è rivendicata dai palestinesi come capitale del loro futuro Stato indipendente formato dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania. Tuttavia, in ogni ipotesi, Israele manterrà la sovranità almeno del quartiere ebraico della “Città santa” e, in esso, del “muro del pianto”, a motivo del suo eccezionale rilievo simbolico, storico, religioso e culturale per l’intero popolo ebraico. Ed è antistorico il Gran mufti di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Hussein, negando

che duemila anni fa sulla Spianata sorgesse il Tempio ebraico. La pace esige un arduo compromesso per garantire i diritti d’Israele e quelli della costituenda Palestina; e ambedue devono garantire l’accesso dei cristiani ai loro Luoghi santi. Un supplemento di saggezza è dunque necessario per la suddivisione e/o la condivisione della Spianata delle moschee/Monte del tempio. Ciò dovrà comportare il pieno accesso anche degli ebrei alla Spianata, a condizione che non compiano provocazioni (come fece Ariel Sharon il 28 settembre 2000, scatenando così la seconda “intifada” palestinese; o quei fondamentalisti che vorrebbero costruirvi il Terzo Tempio). Con calcolate dimenticanze, e scegliendo una terminologia di parte, l’Unesco non ha fatto un servizio alla pace. È sacrosanto difendere i diritti dei palestinesi; altrettanto lo è difendere quelli degli ebrei. D’altronde, nel voto del Board Committee, il 13 ottobre, su testo presentato dai palestinesi e da paesi arabi, e in quello dell’Executive Board dell’Unesco di cinque giorni dopo, molti paesi europei avevano votato contro quella risoluzione “di parte”; in ambedue i casi l’Italia si era invece distinta, scegliendo l’astensione – che, a cose fatte, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha giudicato “allucinante”. Si vedrà se, in futuro, l’Italia – come la comunità internazionale – su Gerusalemme e dintorni farà scelte ponderate ed eque per favorire la pace. Una difficilissima pace giusta che, oggi, appare un’utopia.


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i servizi

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i servizi | ALBANIA

Ponti di conoscenza e di confronto Rando Devole

In questi anni l’Albania è uscita a stento dalla povertà estrema in cui versava e, seppure tra mille difficoltà e contraddizioni, ha fatto molti progressi in vari campi. Una delegazione di Confronti ha compiuto un viaggio per ascoltare e comprendere le molte sfaccettature di un paese ancora poco conosciuto.

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ino agli anni Novanta, prima del crollo del regime totalitario e di conseguenza dell’apertura dei suoi confini impenetrabili, l’Albania era totalmente sconosciuta. Una ricerca ipotetica nell’immaginario collettivo occidentale avrebbe trovato poco o niente. Qualche immagine dal passato, ricordi frammentari, cliché sbiaditi. L’Albania per l’Italia era vicina e lontana nello stesso tempo. Una specie di ossimoro geografico. Questa situazione di mancata conoscenza di un paese da cui ci divide – o ci unisce – un lembo di mare è continuata per molto tempo. Fino a quando l’Albania, con l’esodo impressionante delle navi piene di profughi in Puglia all’inizio degli anni Novanta, ha bussato fragorosamente alle porte dell’Italia. D’improvviso l’opinione pubblica occidentale si svegliò dal torpore decennale e si accorse dell’esistenza di questo piccolo paese balcanico. Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti. L’Albania è uscita a stento dalla povertà estrema in cui versava, ha attraversato diverse crisi acute, è cresciuta da molti punti di vista e, seppure tra mille difficoltà e contraddizioni, ha cominciato il percorso di integrazione nella famiglia europea, a cui già appartiene geograficamente e culturalmente. Per certi versi l’Albania si trova già in casa nostra, visto che in Italia vivono regolarmente più di mezzo milione di immigrati albanesi, molti dei quali hanno acquisito la cittadinanza italiana. È quella parte della popolazione albanese che sta già in Europa. Ma cos’è cambiato sul fronte della conoscenza dell’Albania, noto nel mondo come «il paese ALBANIA Rando Devole Stefania Sarallo Baba Edmon Brahimaj (intervista)

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delle aquile»? Difficile dirlo con precisione, ma l’opinione pubblica rimane ancora piuttosto distratta nei suoi confronti e la conoscenza è ferma alla superficie. Certo, i media ne hanno parlato, talvolta anche bene, specialmente quando si tratta di mete alternative di turismo. Tuttavia, il velo esotico è rimasto ancora su questo paese, di cui si conosce ancora poco, anche se dista poche decine di miglia. Non sempre la conoscenza passa dal viaggio, ma il viaggio è sicuramente uno strumento di conoscenza. E un viaggio degno di questo nome deve includere non solo luoghi, ma anche persone. Infatti, non puoi conoscere un Paese se non conosci la sua gente e non puoi conoscere le persone se non conosci le città, i villaggi e la loro storia. LA STORIA CI AIUTA A COMPRENDERE IL PRESENTE

Nel caso albanese è necessario apprendere un po’ della loro storia antica, passando per le lotte gloriose dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Skanderbeg e i lunghi secoli di dominazione ottomana. Per arrivare infine agli ultimi due secoli: l’indipendenza dell’Albania, le varie occupazioni e, infine, la pagina oscura del regime totalitario. Con tutti i loro limiti di rappresentazione, i musei a Tirana ed altrove ti indicano comunque qualcosa. Se non altro, costituiscono un bel pretesto per parlare dell’Albania di ieri. Ma la sfida è passare dai luoghi comuni alle riflessioni approfondite, dalla spettacolarizzazione ai fatti della storia, evitando i rischi della superficialità e della banalizzazione. Una delle vie della conoscenza passa sicuramente dall’ascolto delle persone, lasciando alle spalle i pregiudizi di cui siamo talvolta portatori. E questo RANDO DEVOLE vale soprattutto se l’obietti- sociologo vo è il mondo femminile al- e giornalista albanese. banese.


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i servizi | ALBANIA

Un mondo ricco, caleidoscopico e incommensurabile per definizione, con tante diversità e sfumature, che si moltiplicano se viste dalla prospettiva storica. Il mondo femminile assomiglia alla realtà albanese di cui è parte, fatta quindi di successi, drammi, chiaroscuri, sofferenze, gioie, contraddizioni, aspirazioni, sogni. Tuttavia, si tratta di un mondo con grandi potenzialità. Discutere con le donne impegnate nell’imprenditoria, dal settore florovivaistico e quello turistico-ricreativo, ti fa capire tante cose delle sfide in campo, ma soprattutto comprendi l’energia e l’intelligenza femminile, in un contesto per nulla facile. Ma per capire le difficoltà di ieri e le problematiche di oggi sono necessari scambi di idee con componenti del movimento femminile, scrittrici di successo, giovani donne, attiviste con progetti sociali, culturali, imprenditoriali (si veda l’articolo nella pagina seguente). LE DISCRIMINAZIONI E LE VIOLENZE SULLE DONNE

Il mondo femminile non è fatto solo di luci da palcoscenico. La strada in salita non è ancora finita. Per questo bisogna conoscere le loro difficoltà nell’Albania attuale, sospesa tra passato e futuro, tra storia e modernità, tradizione e cambiamenti. Perché ci sono anche le donne che subiscono abusi, maltrattamenti e violenze di ogni genere: fisico, psicologico, sessuale, emozionale. Anche in famiglia, a Tirana come in villaggi di montagna. Spesso sono donne che non trovano la forza per ribellarsi per diversi motivi e hanno bisogno di sostegno, di accoglienza, di prospettiva futura. Anche per i loro figli. Per tutti serve informazione e formazione sulle questioni di genere, sui diritti delle donne e sul loro ruolo nella società. E poi ci sono le donne in prigione, che scontano la pena nella solitudine, nella sofferenza e nell’assenza di servizi essenziali. E proprio per questo non vanno dimenticate e vanno rispettate nella loro dignità. CULTURE E RELIGIONI CHE SI INCONTRANO

L’Albania si trova in un crocevia di culture e religioni. Vi sono passati tutti, dagli antichi romani ai turchi, dagli ottomani agli austriaci, dai bizantini ai veneziani... Infatti, nel paese coesistono tradizionalmente diverse comunità religiose: cattolici, ortodossi, musulmani sunniti e bektashi. Negli anni del totalitarismo, dopo la chiusura forzata di chiese e moschee (1967), è iniziata la cosiddetta “ateocrazia albanese”, messa in atto dal dittatore Enver Hoxha. Invece, attualmente, dopo anni di pluralismo politico e culturale, il panorama religioso sembrerebbe più variegato e dinamico. Un quadro sempre interessante da conoscere, così come destano curiosità i bektashi, i loro luoghi di culto e i loro rituali (si veda l’intervista a pagina 15). Fatto sta che gli alba-

nesi ripetono tuttora una frase famosa del poeta del Risorgimento, Vaso Pasha, secondo cui «la religione degli albanesi è l’albanesità». Un leitmotiv che va interpretato non in chiave nazionalistica, ma sotto il profilo della convivenza e del dialogo. Non è casuale che papa Francesco scelse l’Albania nel settembre del 2014, per svolgere il suo primo viaggio in Europa, sostenendo la convivenza pacifica delle religioni e il dialogo interreligioso. Nel settembre 2015, la Comunità di Sant’Egidio ha scelto Tirana come sede della Conferenza internazionale, nata per promuovere la cultura della pace. Il vero viaggio sta nella testa del viaggiatore, a cui può mancare tutto, dalla valigia ai vestiti, dalle scarpe al cappello, ma non l’apertura mentale e la curiosità verso l’Altro. Comunque, un vero viaggio non rispetta remissivamente gli itinerari addomesticati dagli operatori turistici e non segue docilmente i depliant patinati di una realtà “photoshoppata”. Ciò vale ancor di più per l’Albania. Infatti, per capire cosa succede nella giungla dei palazzi di Tirana bisogna passare dalle vie secondarie e perdersi tra i quartieri di periferia; per sentire l’umore dell’entroterra bisogna andare nelle città e nei paesi da cui la via principale non si vede. E poi parlare con la gente, mangiare con loro, assaggiare i piatti tradizionali. In fin dei conti, la capitale non è tutta l’Albania, così come Tirana non può essere ridotta nel boulevard principale o nel quartiere chic di Blloku. Basta un viaggio e tanti incontri per conoscere l’Albania e gli albanesi? Certamente no. Ma è un buon inizio per costruire ponti di conoscenza e di confronto. 11


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i servizi | ALBANIA

Lo sguardo delle donne verso l’Europa Stefania Sarallo

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arlare delle donne albanesi oggi, delle loro vite fatte di speranze, sfide, drammi, gioie e disillusioni, non è impresa semplice. Necessita, anzitutto, di una comprensione di ciò che le donne albanesi sono state ieri e, quindi, dei cambiamenti sociali e politici che hanno investito il paese a partire dalla prima metà degli anni Novanta. Come in tutti i paesi ex socialisti, anche in Albania il crollo del regime ha avuto come conseguenza immediata il regresso socio-economico delle donne, nuovamente relegate ai ruoli tradizionali, e il loro eclissarsi di fronte a una società investita da innumerevoli trasformazioni e dalla conseguente crisi dei valori. La privaLe tizzazione selvaggia, l’aumento del tasso testimonianze di disoccupazione, la migrazione interna (dalle campagne verso le città) e la totadelle donne le assenza di diritti sindacali sono tra i incontrate fattori che contribuirono a dar vita a un nel corso nuovo sistema, il quale spazzò via con un del viaggio di Confronti colpo di spugna quell’accesso egualitario al lavoro, all’istruzione e ai diritti di cui il in Albania regime si era fatto fino ad allora garante. Di fronte a un’emigrazione quasi totalmente maschile (quella con la quale abbiamo fatto i conti noi italiani, memori dei barconi stipati di uomini che invasero le nostre coste costringendoci a confrontarci con un popolo sino ad allora quasi sconosciuto) alle donne spettava ora il compito di lavorare la terra e far crescere i figli, trasmettendo loro i codici tradizionali, nell’attesa del ritorno (o meno) del capofamiglia. Ma cosa è accaduto nel corso di questi ultimi due decenni? Come hanno reagito le donne alla deprivazione subita? Abbiamo cercato risposte a queste domande, raccogliendo le testimonianze, le voci (spesso stridenti tra loro) delle donne incontrate nel corso del viaggio che una delegazione di Confronti ha fatto in Albania lo scorso luglio. Politiche, imprenditrici, dirigenti e attiviste, ma anche operaie e detenute: ciascuna di loro ci ha aiutato ad aggiungere un tassello grazie al quale è stato possibile abbozzare un quadro d’insieme dell’attuale situazione delle donne albanesi.

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L’impressione ricavata è stata quella di un paese in cui le donne stanno ancora facendo i conti con un passato prossimo che non ha fatto sconti a nessuno, tanto meno a loro. Donne che vivono sulla propria pelle il peso e le contraddizioni di una società in bilico tra tradizione e modernità, che subiscono discriminazioni (l’accesso alla giustizia è solo uno degli ambiti in cui tale disparità è più visibile, e proprio per questo nel mese di luglio è stata approvata la riforma della giustizia, considerata da Bruxelles una condizione fondamentale per l’entrata nell’Unione europea) seppure con maggior consapevolezza del percorso compiuto, degli errori commessi e delle battaglie ancora da combattere. Donne piene di energia, con un buon potenziale, mosse non più o non solo dalla necessità di restare a galla, ma anche dal desiderio di emergere e realizzarsi al pari delle altre donne europee. Perché è all’Europa che guardano oggi, quell’Europa che pone all’Albania come condizione fondamentale per il suo allargamento la definizione di obiettivi concreti per il perseguimento della parità di genere e l’emancipazione delle donne. IL FEMMINISMO IN ALBANIA E LA “RESISTENZA ALLA DISPERAZIONE”

A guidarci nel nostro viaggio finalizzato all’esplorazione dell’universo femminile albanese una testimone privilegiata, la scrittrice Diana Çuli. Ben nota al femminismo italiano, con il quale ha avuto modo di confrontarsi sin dagli inizi degli anni Novanta, Diana è tra i fondatori del Forum indipendente delle donne albanesi, organizzazione nata nel 1991 per la difesa dei diritti delle donne, il loro sviluppo sociale e la loro presenza nelle istituzioni. È stata lei a raccontarci di quei primi segni di «resistenza alla disperazione»: i nuovi gruppi politici e di pressione che si ponevano come obiettivo il varo di leggi per il perseguimento della parità di genere, la creazione di reti extranazionali composte da donne che iniziavano a lavorare congiuntamente a progetti di cooperazione europei, le prime pubblicazioni del pensiero femminista albanese. Fu in quel mo-


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