XMAS TALES 2018

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Racconti di Natale

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ino, come si festeggiava il Natale quando tu eri piccolo?

Passato novembre e la commemorazione dei defunti e passato San Florido, patrono di Città di Castello, accompagnato dalle tradizionali fiere a lui dedicate, ormai il Natale era vicino, atteso con trepidazione, per festeggiare assieme ad amici e parenti la nascita del Redentore. Il Natale di quando ero bambino, intorno agli anni ’40, si annunciava con il profumo dei mandarini, che poi erano il regalo principale per noi bambini… perché il Bambin Gesù poco altro portava. Nei nove giorni che precedevano il Natale in città c’era la Novena: ogni sera si andava a Messa in Duomo, sempre pienissimo di gente, ed era un modo anche per noi ragazzi di uscire e per incontrare gli amici e le ragazzine...

Che aria si repirava a Città di Castello in quei giorni? In città certamente ancora non c’erano gli addobbi e le lucine, arriveranno solo in tempi più recenti. Solamente qualche bottega faceva il presepe in vetrina: tra i più belli sicuramente ricordo quelli della Pasticceria Brizi in Via Angeloni, di Beccari nel Corso e della Libreria Sacro Cuore. In casa invece, come la tradizione umbra voleva, tutti cercavano di realizzare il proprio presepe. Anche la famiglia più umile faceva in modo di avercelo pur non potendosi permettere i personaggi di terra cotta. Qui veniva in soccorso il “Corriere dei Piccoli” che nei numeri precedenti al Natale pubblicava le fotografie dei personaggi che venivano puntualmente ritagliate ed applicate al cartone: quello diventava il presepe per molte famiglie.

Cosa accadeva per la Vigilia? La sera della Vigilia ci si radunava in casa di amici o parenti, in genere quelli che avevano la cucina più capiente, oppure a casa di un falegname, e tutti insieme si cenava

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davanti al focolare dove ardeva il ceppo. Ognuno di noi che andava a veglia portava un fiasco di vino, o dei biscotti o il caffè d’orzo, o chi veniva dalle campagne anche una bottiglia di Vin Santo. Dopo cena si aspettava la mezzanotte giocando a tombola dove il tomboliere ad ogni numero che usciva si riferiva a qualcosa o a qualcuno: 77 le gambe delle donne, 23 la fortuna (ma era detta in modo più colorito), 28 il numero dei becchi, ecc. Nelle campagne invece era tradizione trattare le bestie con riguardo, dando loro un pasto più abbondante del solito, perché in quella notte gli animali avrebbero parlato e raccontato tutto, secondo un’antica leggenda, ad un angelo che sarebbe sceso dal cielo per interrogarli. Sempre in campagna, nel periodo natalizio, gruppi di giovani andavano di casolare in casolare a cantare la Pasquella, una tradizione antichissima (riproposta oggi dal Rione Mattonata) per augurare Buona Pasqua-Epifania ai contadini e per farsi donare qualcosa (capponi, galline e molte bisacce contenenti formaggi, uova o vino) in segno di amicizia. Alcuni che camminavano liberamente avevano la chitarra, la fisarmonica o il violino; arrivati presso la casa di conoscenti, la comitiva si fermava ed intonava una canzone improvvisata: ogni strofa in rima finiva con “Viva, Viva la Pasquella”. A mezzanotte in punto suonavano le campane. Allora da ogni casa le persone uscivano per andare alla Messa. Noi ragazzini si guardava il cielo e si sentiva l’odore della neve, ma spesso poi non nevicava, ma in cuor nostro avremmo voluto che accadesse anche se non l’avremmo mai potuto dire ad alta voce, altrimenti il babbo ci avrebbe dato un papagnone… perché al freddo, senza legne in casa, come avremmo fatto? La mia famiglia andava a Messa alla Madonna delle Grazie dove tutti noi sangiacomini ci ritrovavamo: la grande chiesa era sempre piena di gente, in quel periodo


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anche di militari in licenza, era tempo di guerra. Sulla destra, entrando c’era il grande presepe con personaggi fatti di cartapesta molto alti; gli avevamo messo i nomi delle persone dei vicoli: uno Avarino, forse era uno di braccino corto, un altro Stoppino, poi c’era Safava uno venuto da Scalocchio. La messa era celebrata da Don Giuseppe Pierangeli detto Tabacchino perché fumava sempre il sigaro. Dopo la Messa si tornava ognuno nelle proprie case e si andava a letto, scaldati dal Prete e dalla Pretina, niente di peccaminoso… perché uno era in legno e l’altra in coccio!

A Natale poi arrivava il Bambino... La mattina di Natale ci svegliavamo trepidanti per scoprire i regali che aveva portato il Bambino, la cui presenza era annunciata dal profumo di aranci e mandarini, come detto. Perché questi erano i regali che portava alla gente del popolo, quella nata e cresciuta nei vicoli: mandarini, merangole e una collana di fichi secchi… magari i più fortunati potevano avere bamboccini di zucchero o pinocchietti in legno comprati dai genitori per le Fiere di San Florido. Quel profumo di aranci e mandarini che tornava sempre ogni Natale... forse era questo il Bambino, quello vero.

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La preparazione del pranzo di Natale era un momento importante per ogni famiglia. Le donne di casa già lavoravano da giorni prima per fare i cappelletti. Il brodo si faceva con il cappone; magari non tutte le famiglie riuscivano a comprarne uno e quindi si divideva con i vicini di casa e alla mezza in punto la cucina si riempiva di vapore. Il pomeriggio si andava chi al cinema, ce ne erano molti in città sempre con belle programmazioni, chi al bar dove c’era la tipica gara a chi diceva di aver mangiato più cappelletti a pranzo, chi a visitare i presepi nelle chiese, il più famoso naturalmente era quello degli Zoccolanti che grazie ai suoi personaggi in movimento faceva incantare noi bambini... Poi, tutti infreddoliti, verso sera si tornava a casa e si mangiavano i cappelletti avanzati del pranzo.

Svelti svelti si arriva all’Epifania. Un’antica tradizione, oltre al classico travestimento da Befana che si faceva in famiglia, era quella di “mettere in Befana” chi durante l’anno era stato al centro di qualche appetibile pettegolezzo. La mattina dell’Epifania il soggetto in questione trovava la sua caricatura davanti alla porta di casa o nelle vicinanze, accompagnata da una pasquinata che esplicava il pettegolezzo.




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olando, come era il Natale di quando eri bambino?

Non posso raccontare del Natale di ieri senza parlare prima dell’ambiente e della quotidianità che vivevano le famiglie meno abbienti prima degli anni ’60 a Lama. Il nostro Natale era molto legato alle credenze e alle superstizioni e non aveva nulla a che vedere con quello di oggi. La notte della Vigilia era veramente “magica”, dove tutto poteva accadere, nel bene o nel male… Iniziamo dall’ambiente. Immagina dei campi con tanti filari nel mezzo, con l’acero campestre maritato alla vite; i fossati e il filo spinato lungo le strade imbrecciate. L’illuminazione nelle case era minima e giocava un ruolo fondamentale. Le uniche fonti di luce erano il lume a petrolio o a olio lampante, le candele e il lume “a carburo” che faceva una bella luce bianca, ma soprattutto la luce del fuoco… una bella “sbalordata” con fascine di ginepro ed ecco la luce! Un’altra cosa importante di cui parlare è il cibo. Esisteva un detto che ci fa capire tutto: “I ricchi mangiano quando hanno fame e i poveri quando ce l’hanno”, ma nel periodo natalizio mangiavamo tutti un po’ meglio. Per la Vigilia si mangiava di magro e senza carne: spaghetti con tonno, sarde o acciughe, il baccalà con erbetta e uva passa che per tradizione, anche se costoso, non mancava mai. E poi il cavolo per devozione e i gobbi perché erano buoni! Al pranzo di Natale c’era invece la pasta fatta in casa, con il sugo di carne in umido, la stracciata o i passatelli, i tagliolini in brodo di gallina o di vitella. La carne era invece, purtroppo, sempre poca. Per dolce un torcolino fatto in casa, perché panforte e panettone erano rarità, ma a volte ci si azzardava nel fare i crostini briachi.

Ora facci fare un tuffo nel passato, tra le vecchie tradizioni natalize… Allora il vero simbolo del Natale era il Ceppo, che doveva essere di quercia, e che ci accompagnava per un lungo periodo con credenze che duravano tutto l’anno.

La sua storia inizia però con l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, che coincide con la vigilia della giornata della Madonna di Loreto (9 dicembre). Nella serata dell’8 dicembre, proprio per festeggiare quest’ultima, si accendevano fuochi, altri sparavano con i fucili, alcuni facevano “i tonfi” con il “colorato” (miscela di clorato di potassio e zolfo) e alla mezzanotte il prete suonava le campane… era una festa! Ed è proprio in questa giornata che veniva tagliato il Ceppo da accendere la sera della Vigilia di Natale e da mantenere acceso fino al 6 gennaio, per ben 12 giorni. Quella del Ceppo era una tradizione molto forte presso le famiglie contadine, che facevano a gara per trovare il tronco più grosso. Veniva tagliato così presto perché doveva arrivare a Natale abbastanza asciutto per ardere, ma non troppo secco da consumarsi subito. Il giorno della Vigilia si preparava dunque il focolare per sistemare il tronco da accendere dopo cena facendolo ardere piano piano e la mattina dell’Epifania il Ceppo rimasto veniva legato con una corda e trascinato nell’aia fin dove arrivavano le galline, perché si credeva che la sua scia le difendesse dalle volpi. Doveva rimanerne sempre un pezzettino, un “tocchettino” che doveva essere poi conservato tutto l’anno perché, assieme alle palme benedette, serviva per proteggere la casa: se ne prendeva ad esempio la cenere per spargerla nell’orto e nei campi per rinvigorire la crescita dei raccolti e d’estate, durante i temporali, se ne prendeva un pezzetto e lo si faceva ardere, perché si credeva che i fulmini, così facendo, non colpissero la casa. Il Ceppo era dunque un simbolo significativo e non poteva mancare in questi giorni in nessuna famiglia per via dei suoi poteri… Da come ardeva si poteva sapere l’andamento del tempo; gettando tra le sue ceneri le foglie del bosso si poteva sapere se una ragazza si sarebbe sposata o no: se scoppiettavano era segno buono, ma soprattutto proteggeva dalle streghe! Eh sì, proprio dalle streghe! Dovete sapere che la sera della Vigilia di

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Natale le streghe si radunavano ai crocevia delle strade. Erano pericolose e per proteggersi dalla loro malevolenza bastava mantenere acceso il Ceppo per tutta la notte stando attenti a non farvi cadere sopra dell’acqua. Non doveva mai essere usata la cenere prodotta quella notte, perché portava disgrazie. Per proteggersi da loro, se le vedevi, bastava inoltre mettersi una forcella di fico sotto la gola e per evitare che entrassero nelle stalle si metteva un ramo di ginepro all’ingresso: prima di entrare le streghe dovevano contare tutte le sue spine prima del levar del sole… impossibile! Sempre riguardo le stalle, attorno alla mezzanotte della Vigilia non vi si poteva entrare perché si diceva che gli animali parlassero e se li avevi trattati male durante l’anno ti maledicevano. Quella sera e quella sera soltanto, prima dello scoccare della mezzanotte, potevano essere rivelate le formule magiche e gli scongiuri tramandati nel tempo: quello per gli “scompi”, contro il malocchio, quello dell’orzaiolo e soprattutto, andando nel luogo giusto e recitando delle frasi particolari, si poteva ricevere il Libro del Comando, un libro di formule magiche potentissimo. Io quelle frasi le conosco, ma non le dirò nemmeno sotto tortura!

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Ma il Natale era anche attesa, no? A parte tutto, il Natale era anche l’attesa del Bambino che portava qualche dono… il nostro Babbo Natale. In attesa del suo arrivo si vegliava attorno al fuoco raccontando qualche storiella ai più piccini mentre i grandi giocavano a carte e più tardi, quando anche i vicini di casa venivano a trovarci, si giocava a tombola. Prima di coricarci preparavamo davanti al camino, con il Ceppo acceso, tre seggiole: due con un cuscino per San Giuseppe e la Madonna e una con sopra un panno pulito, perché era lì che doveva riposare il Bambino, al calduccio. Con il pensiero che sarebbe arrivato, noi bimbi ci addormentavamo e la mattina dopo trovavamo i regali lasciati di fianco al Ceppo: il Bambino “c’aea cachèto” noci, merangole, bamboccini di zucchero, arance e poco più… ma per noi era già tanto! Il Ceppo era strettamente correlato ai regali, tanto che ai giovani si usava dire: “T’han fatto il Ceppo di Natale?” per sapere se un ragazzo aveva fatto il regalo alla propria fidanzata e viceversa. Il primo regalo che un giovane faceva alla sua amata era la rocca per filare la canapa con la quale, la sera stessa, doveva essere preparato il filo con cui legare l’ombelico al primogenito. Perchè l’augurio di buona vita era ed è sempre il più bel dono.








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lio, la tua passione per l’arte e la pittura è nata quando eri ancora un bambino; ma come era il Natale a quell’età?

Ho sempre avuto la necessità di esprimermi con disegno e pittura sin da bambino e crescendo sempre di più. La prima volta che mi sono accorto di sentire questo bisogno è stato in prima elementare quando un mio cugino mi ha regalato una custodia zip con dentro i colori di legno e il compasso. Lì ho deciso molto ingenuamente che avrei fatto il pittore da grande; è stata una promessa che ho mantenuto con me stesso. Non avendo frequentato una scuola mi esercitavo da solo, cercando di esprimermi al meglio, di tirare fuori, questo mio bisogno compulsivo, vagando per stili e cercando il mio modo di essere. Il Natale da bambino era molto povero: io abitavo con mia zia e con altri quattro cugini. Mia zia lavorava ai Tabacchi e già mantenere quattro figli era molto dura. Il nostro Natale era fatto di un alberino di ginepro con dei mandarini attaccati a mò di palline. Qualche volta si riceveva in dono qualche bastoncino di zucchero o qualche moneta di cioccolata, generalmente venivano appese all’albero ma il più alto possibile, in modo che noi più piccoli non le arrivassimo e in modo da farle durare tutte le feste.

Qual’è stato il regalo che ricordi con più affetto? Uno dei miei cugini mi regalò nel ’55 il mio primo libro “Le avventure di Tom Sawyer” che lessi ben sette volte, perché non avevo altro da leggere, ed ogni volta però scoprivo delle cose nuove che nelle prime letture, forse per foga, non avevo notato. L’ho ritirato fuori tutto impecettato per l’evento tifernate “Calibro” quando, a modo mio, andai a leggerlo nelle scuole: i ragazzi sono rimasti tutti affascinati! Le feste erano belle davvero e veri erano i rapporti interpresonali. I fidanzati delle mie cugine più grandi organizzavano delle belle feste in famiglia: ricordo quanto mi diverti-

va giocare al Mercante in Fiera, un gioco che negli anni ’50 poteva essere considerato già un lusso.

Oggi quali sono i doni di Natale che ti piace regalare agli amici? Agli amici regalo sempre qualcosa di mio, di orginale, fatto con le mie mani. Negli ultimi anni io e mia moglie doniamo alle persone più care delle particolari palline a forma di cuore realizzate con cartone pressato e nastri colorati, naturalmente dipinte nelle loro facciate con i miei colori... seguendo il mio stile.. A me e a mia moglie non piace molto arredare la casa con addobbi ed albero di Natale; mettiamo solo qualche simbolo quà e là durante il periodo delle feste.

Durante il servizio militare, proprio la Vigilia di Natale, ti è capitato un episodio che non dimenticherai mai. Da questa avventura hai sentito l’esigenza di scrivere una lettera a Gesù Bambino… Avevo vent’anni, facevo il carabiniere ausiliario in alternativa alla leva obbligatoria, mi diedero la licenza per le feste natalizie, era il 1966, ma allora mia zia non aveva ancora il telefono in casa e non potei nemmeno avvisarla del mio rientro. Arrivato alla stazione del treno di Ponte San Giovanni alle ore 22:35 persi l’ultima coincidenza con l’Altotevere… e quindi capii subito che avrei dovuto passare la notte della Vigilia in modo alquanto alternativo. Tutto quello che accadde quella sera però mi ha profondamente cambiato la vita… e il mio modo di rapportarmi e di giudicare le persone. Questa avventura l’ho trascritta in una lettera indirizzata a Gesù Bambino, ed è la prima volta che la rendo pubblica ma sono contento di farlo attraverso le vostre pagine: Caro Gesù Bambino, è la sera del 24 dicembre 1966 e sono

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appena entrato, infreddolito e nervoso, con il pesante cappotto d'ordinanza sulle spalle e una borsa da viaggio in mano, nella desolata sala d'aspetto della piccola stazione ferroviaria di Ponte San Giovanni. Mi siedo, poggiando il cappotto ripiegato in due, sul sedile di una panchina dallo schienale tremendamente scomodo perchè troppo verticale. La panchina di rimpetto alla mia è occupata dall'unica anima viva, che oltre me, popola la minuscola sala d'aspetto, in questa sfortunata notte di Natale: un vecchio barbone dal collo taurino e il viso da mastino napoletano. Il suo sguardo è dignitoso ma non scostante, e bonario, anche se non mansueto. La barba bianca, cresciuta non uniforme, contribuisce pesantemente, assieme al vestiario unto, bisunto e logoro, al suo aspetto di sfigato totale. È sdraiato sulla panchina e sorregge la grossa testa sulla mano aperta del braccio sinistro tenuto ad angolo poggiato sul sedile, le gambe distese una sopra l’altra proprio come un vecchio “Dominus” sul triclinio preferito e porta quell'aria di ragionevole padronanza dell'ambiente circostante che sente ormai suo quasi per “uso capione”. Mi guarda con aria divertita perchè sicuramente è la prima volta che gli capita di trovare, sulla panchina della piccola stazione, in un'ora in cui non partono più treni fino al mattino seguente, solo, maledettamente

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solo, un giovane carabiniere in licenza che si accinge a trascorrere “la Notte Santa” con l'aria di chi si è fatto sorprendere da un colpevole ritardo per l'ultima coincidenza. “Salve capo” mi fa, alzando a mo' di saluto la mano destra che fino ad allora era rimasta distesa lungo il corpo, “è in licenza o in servizio?” “Un carabiniere è sempre in servizio anche quando è in licenza!” Rispondo freddamente, memore delle fresche lezioni da spirito di corpo dei miei superiori. “Si ma… lei è solo e ha la borsa da viaggio quindi è in licenza! E come mai...” “Ho perso la coincidenza per Città di Castello!” Taglio corto. “Ho capito, mi scusi sa! Sono un vecchio noioso, io… mi scusi tanto...” “Non c'è niente da scusare” faccio io, subito pentito del tono scostane che avevo usato. Il pover'uomo solleva dalla mano la grossa testa canina, e facendo leva sul braccio sul quale la poggiava, si gira, dolorante, verso lo schienale della panchina. “... E buon Natale...” mi dice con riguardo, come per scusarsi ancora. “Buon Natale anche a lei”, faccio io, questa volta addolcendo la voce... ”Che imbecille che sono”, mi dico, “è la notte di Natale, poi!” La piccola sala d'attesa sembra ancor più desolata, adesso. Tutti, ma proprio tutti meno io, festeggiano in questa fredda e odiosa notte di Natale del 66! Poi, preso


atto della ineluttabilità della sfortunata situazione mi distendo anch'io col viso verso lo schienale della panchina... ”imbecille, imbecille, imbecille che non sono altro! ... Adesso però dormo...”... È quasi giorno quando mi sveglio di soprassalto. “Ho dormito? Si ho dormito, meno male ero proprio stanco, ma che ora è?...” Ho la fatale sensazione di aver perso ancora la coincidenza...“ no, meno male, manca mezz'ora. Non ricordo però di essermi coperto con tanta cura col cappotto...”. Mi porto di istinto la mano destra al fianco in cerca della rivoltella di ordinanza... ”Oddio, è sparita!” Il lacciuolo di cuoio al quale era fissata con un moschettone, l'ho sento vuoto. Mi tiro su di scatto, in preda a una disperazione incontenibile... ”E adesso che faccio?” Mi guardo intorno smarrito, incapace di non pensare ad altro che al disonorevole biasimo che comporta l'accusa di “abbandono della propria arma” di cui sarei stato accusato, e quindi alla inevitabile, severa punizione che avrei subìto al mio rientro in caserma! Il vecchio è scomparso! Sono solo, solo e disperato... è sicuramente stato lui, il barbone, a rubarmela!... Non gli sarà parso il vero, al mercato nero una calibro 9 può essere venduta anche a cento mila lire! E adesso, dove lo cerco, come lo ritrovo? A quest'ora l'avrà già rivenduta, capirai, quella è gente che conosce bene certi ambienti...”

Poi, al colmo della disperazione, giro lo sguardo verso lo schienale... “Dio ti ringrazio, eccola!” La rivoltella maledetta, che non ho mai preso in grazia, a dir la verità, era lì, poggiata tranquillamente sul sedile, alla base delle doghe dello schienale. Tutto era chiaro adesso! Il vecchio barbone aveva letteralmente vegliato su di me. Mi ero addormentato con la pistola ingenuamente in bella vista, e che avrebbe potuto essere facile preda del primo malintenzionato che fosse entrato, e lui accortosi, prima di andarsene per la sua povera strada, l'aveva sganciata dal lacciuolo e riposta al fondo dello schienale della panchina, difesa dal mio stesso corpo che la nascondeva. Poi mi ha coperto, amorevolmente, col cappotto d'ordinanza, come avrebbe fatto ogni buon padre con un figlio sciagurato e ingenuo, ed è sparito tra la fitta nebbia di quell'alba santa. Caro Gesù Bambino, oggi dovrò riflettere e rifletterò, rifletterò a lungo su questo Natale del 1966, lo ricorderò per sempre, te lo assicuro! Ricorderò soprattutto la faccia da mastino napoletano e lo sguardo bonario di una persona povera ma capace di una paterna e disinteressata tenerezza nei confronti di un ingenuo giovane uomo che si stava affacciando alla vita con l' arroganza dei suoi vent'anni, e che non aveva mai visto, prima di quella sera...

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Racconti di Natale

CLUB 8.3

IL NATALE È UNA BELLA TAVOLA CONDIVISA CON LA FAMIGLIA SIAMO STATI A CASA DI GIULIANA VESCHI CESAROTTI PRESIDENTE DELLA NOTA ASSOCIAZIONE “ROSA” TIFERNATE ED ASSIEME A LEI E ALLE SUE SOCIE ABBIAMO PARLATO DI ADDOBI E FATTO I CAPPELLETTI! di Stefano Rossi

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iuliana, parlaci del Club 8.3 e delle sue finalità...

Il Club 8.3 è nato con la finalità di aiutare le persone del territorio, siamo tante donne che si sono messe insieme per aiutare altre donne. Diamo una mano a persone che hanno delle difficoltà economiche e non riescono ad arrivare alla fine del mese oppure finalizziamo le nostre raccolte, radunate durante i nostri eventi o cene, per donarle alle famiglie bisognose.

Tra le varie iniziative, ogni anno, organizzate le “Tavole Natalizie”. Le “Tavole Natalizie”, giunte alla quinta edizione, si svolgeranno dal 2 al 16 dicembre presso Il Quadrilatero di Palazzo Bufalini. In quei giorni, singoli, privati o associazioni del territorio allestiscono una tavola secondo il proprio gusto o secondo un tema preferito e i visitatori prima, la giuria di esperti poi, decreteranno le tre tavole finaliste che saranno svelate durante la cena finale. I soldi raccolti durante i giorni di apertura verranno destinati come sempre per finalità benefiche.

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Come si preparava la tavola di Natale negli anni ’60, subito dopo il boom economico? Si cominciava ad avere le prime attenzioni per gli addobbi della casa e della tavola, perché in fondo le famiglie cominciavano ad avere più potere economico di acquisto. Erano gli anni in cui comparivano i primi alberi di Natale con le palline colorate di vetro soffiato e i primi fili di lucine. Si mettevano tanti angeli e tanti fiori in giro per la casa, si faceva il presepe tradizionale, ma il Gesù Bambino veniva messo nella culla rigorosamente allo scoccare della mezzanotte, si preparava il tutto qualche giorno prima del Santo Natale. La tavola di festa era magnifica a partire dalla tovaglia, o bianca o rossa, ma sicuramente di lino, di fiandra o di un buon cotone. Sopra si apparecchiava con i piatti più belli che si avevano in casa, in genere un classico Richard Ginori bianco con righino dorato, dei bei bicchieri di cristallo, tre per ogni commensale, delle posate importanti e al centro si metteva una bella composizione fatta con frutta o angeli assolutamente fatta a mano.


Come venivano realizzati gli attesissimi cappelletti in brodo?

Noi donne, in quegli anni, pur lavorando fuori casa, ci impegnavamo con tanto amore e dedizione, assieme alle nostre mamme e zie, alla preparazione del pranzo di Natale. Naturalmente in Altotevere non era Natale se non c’erano i cappelletti in brodo fatti in casa, preparati tutti a mano qualche sera prima. Si cominciava dal composto di carne di maiale e di vitella che si faceva cuocere con gli odori e poi macinato. Si aggiungevano il parmigiano, la noce moscata e le uova e si amalgamava

tutto‌ Per la sfoglia, stesa sapientemente a mano, si utilizzava la farina ed un uovo a testa e si impastava bene fino a far risultare la pasta giusta per essere spianata rigorosamente con il mattarello. Poi a catena, con la formina rotonda di ferro si facevano tanti cerchietti di pasta per poi metterci il composto; c’era chi faceva le forme, chi metteva il composto, chi li chiudeva; generalmente i piÚ piccoli della famiglia li contavano e li mettevano in fila uno ad uno ad asciugare sopra una tovaglia bianca e se qualcuno veniva male‌ si mangiava subito crudo! Per fare il brodo

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workshop, incontri con l’autore, visite alle mostre in giro per l'Italia.

Le collettive sono state sempre un momento fondamentale del CFT? Tante le serate passate a cercare idee, selezionare fotografie per allestire mostre: sono sempre l’occasione per condividere emozioni, in allegria e buona compagnia. In quasi 40 anni di attività il CFT ha proposto tante mostre collettive, diventate un appuntamento atteso e ospitate in vari luoghi della città: l’atrio del Palazzo Comunale o la storica sala al piano terra del Palazzo del Podestà, fino al Quadrilatero di Palazzo Bufalini. E poi spazi privati, le librerie, i negozi e persino le facciate dei palazzi.

Altro importante tassello è la Fototeca Tifernate Online. Si tratta di un importante archivio di immagini, creato con il sostegno del Comune di Città di Castello, del Lions Club, della Fondazione Cassa di Risparmio di Città di Castello e dell’Opera Pia “Officina Operaia G.O. Bufalini”. La Fototeca conta attualmente l'ingente patrimonio di oltre 10.000 immagini digitalizzate e scientificamente archiviate ed è consultabile via Internet all'indirizzo www.archiphoto.it.

Propio in questi giorni si chiude il corso di fotografia 2018... Parte integrante della vita associativa sono i nostri corsi di fotografia aperti a tutti. “Fotografiamo Insieme - Focus” è un corso giunto alla sua diciannovesima edizione. Negli ultimi anni ha una particolare caratteristica: i corsisti, oltre ad affrontare in lezione frontale e in studio le basi della fotografia, sono coinvolti subito in un progetto nei luoghi più belli della città. L’ultimo “Focus” in ordine di tempo ha visto i corsisti lavorare all'interno degli spazi della Pinacoteca Comunale tifernate.

Progetti per il futuro? Tante sono le idee in cantiere ma il progetto più importante, che evidenzia anche lo stretto legame della nostra associazione con il territorio, è la mostra sulla E45 che si inaugurerà a marzo a Città di Castello. Un progetto impegnativo e articolato, con una lunga gestazione, che si è concretizzato nella selezione di alcune centinaia di immagini tra le migliaia prodotte da 20 fotografi del CFT, per raccontare il tratto Verghereto-Umbertide di una strada fondamentale per la nostra zona.

Presentaci invece la carrellata di foto che avremo modo di vedere nelle prossime pagine... Per il numero speciale “Xmas Tales” abbiamo chiesto ai nostri soci di regalare a “Concept” uno o più scatti natalizi realizzati in giro per la città, per scoprire e riscoprire come sono cambiate le nostre tradizioni durante le feste e gli addobbi nelle nostre piazze principali e nelle nostre case, partendo da tre scatti in bianco e nero risalenti agli inizi del secolo scorso. Insomma un vero e proprio racconto fotografico natalizio su Città di Castello...

Come è possibile contattare il Centro Fotografico Tifernate? Potete collegarvi su www.archiphoto.it oppure scriverci a cft1980@gmail.com o chiamarmi al 333.6718522. Siamo presenti anche su Facebook.

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Tazza con Piatto “Pip Studio” Alzatina Rossa e Candelabri “Clayre & Eef” Candele Verdi “EDG”

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enedetta, con te San Giustino e l’Altotevere in generale si riconfermano terra di talenti e di bellezze. Raccontaci la tua esperienza a Miss Italia 2018.

Sono stati mesi intensi ma bellissimi, ricchi di sorprese: nella mia routine quotidiana, tra lavoro e studio, è subentrata questa piacevole avventura, nata per gioco, inaspettata ma fantastica. Il concorso di Miss Italia mi ha dato la spinta per mettere in gioco le mie passioni, che magari in passato avevo sfuggito, forse perché ero ancora troppo piccola. Il 20 luglio durante la prima selezione regionale ad Acquasparta ho vinto la fascia di Miss Miluna Umbria che mi ha regalato l’accesso diretto alle semifinali nazionali di Jesolo, dove sono riuscita a classificarmi tra le ultime 60 ragazze rimaste in gara. Le emozioni che si provano durante il passaggio di giuria, tutta la fase di preparazione, le partenze e gli spostamenti, e poi le giornate passate a Jesolo tra interviste e shooting sono stati un’esperienza indimenticabile, nonostante ci siano stati anche momenti tosti...

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ed ho fatto i miei scatti fotografici tra Milano e Roma. Molto interessanti sono stati gli scatti realizzati dal fotografo ternano Alessandro Pellicciari che, notandomi sui social, mi ha contattata per fare uno shooting street style in centro a Milano durante la Fashion Week. Sono partita con la mia enorme valigia alla volta della capitale della moda, ma con la semplicità che mi contraddistingue da sempre. Poi, sempre a Milano, ho posato anche per il fotografo piemontese Luca Erbetta presso lo studio “Alzaia 192”. Non nascondo che mi piacerebbe molto provare ad intraprendere anche la strada della televisione e dello spettacolo. A fine estate poi, con grande piacere, sono stata la madrina di Tiferno Comics: una bella giornata trascorsa al fianco di Giorgio Cavazzano e Vincenzo Mollica, durante uno degli eventi più importanti di Città di Castello, città che io amo infinitamente e verso la quale sono e sarò sempre riconoscente… la città dove ho studiato, dove lavoro e dove sono cresciuta a fianco della mia famiglia a cui sono molto legata.

Che cosa hai raccolto da questa esperienza?

E se parliamo di affetti, non posso non chiederti come era il tuo Natale in famiglia da bambina…

Miss Italia ha dato il via a tanti miei sogni. Sto iniziando a lavorare come fotomodella

A sentire la parola Natale già mi brillano gli occhi come quando ero piccolina. Già alla




XIX Mostra Internazionale di Arte Presepiale

CAV. LUCIO CIARABELLI

L’ARTE PRESEPIALE TRIONFA A CITTÀ DI CASTELLO IL NUOVO PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE AMICI DEL PRESEPIO CI PRESENTA IL “PERCORSO EMOZIONALE” DELLA MOSTRA CHE SI TERRÀ NELLA SPLENDIDA BASILICA INFERIORE.

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i sono ritrovato, con grande sorpresa, su richiesta unanime di tutti i Soci, ad accettare con rinnovata passione l’eredità recente della Presidente Donatella Antinori, alla quale va tutto il mio personale ringraziamento, ma ancor più quella del compianto Gualtiero Angelini che troppo presto ci ha lasciati ed al quale tutti noi dobbiamo fare sempre riferimento. Sarà mia premura, come nuovo Presidente, mantenere, rafforzare e diffondere l’Arte Presepiale in tutte le sue molteplici forme ed espressioni e curare l’allestimento della mostra che come

sempre rappresenterà il culmine delle nostre attività. La XIX edizione si presenta con un catalogo ricchissimo di nuove proposte e lavori grazie al sempre più solido e costruttivo rapporto con le varie associazioni presepistiche Italiane. Saranno presenti prestigiose associazioni come l’Associazione Italiana Amici del Presepe di Napoli, storica partecipante sin dalla prima edizione, con 25 autori e l’Associazione Presepistica Napoletana, da anni punto fermo della manifestazione con la sua preziosa presenza all’interno della mostra, alla quale parteciperà con le creazioni di 20 autori ed il presepe monumentale che è stato esposto lo scorso anno nei saloni del Quirinale. Verranno esposte due grandi rappresentazioni dell’Associazione Presepistica Irpina, la quale ha anche partecipato con il contributo di alcuni autori. Potrete ammirare, nella suggestiva cornice della Basilica Inferiore del Duomo di Città di Castello, i lavori di numerosi artisti e collezionisti provenienti da ogni parte d’Italia: dalla Campania, dalle città di Siena, Terni, San Giovanni Val d’Arno, Maddaloni, Eboli, Perugia, Gubbio e Umbertide. Una sezione verrà dedicata agli artisti Tifernati, la Pro-Loco di Gricignano presen-

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Giulio Mariucci. Natale in Via Santo Stefano. Città di Castello.

terà un lavoro di grandi dimensioni eseguito per l’occasione, ritorneranno i “Tappetari” di Camaiore con una splendida opera e l’Associazione Fabio Carbonari di Cascia che, dopo il terremoto, ha avuto la forza di preparare un lavoro per Città di Castello, oltre alle scuole, ai cittadini e agli amici. Abbiamo anche convocato una riunione generale con Pro-Loco e Società Rionali di tutto il Comune di Città di Castello, promuovendo questa importante iniziativa, finalizzata a dare lustro alla nostra manifestazione nel circuito di Arte Presepiale di tutta l’Alta valle del Tevere, in modo tale da rafforzare sempre di più la nostra presenta nel territorio. Una parte della mostra sarà dedicata come sempre alla nostra Associazione Amici del Presepe e ai contributi dei nostri artisti e appassionati, al centro della quale sarà presente una selezione della collezione di Gualtiero Angelini, messa a disposizione dalla famiglia. In conclusione abbiamo cercato di offrire al visitatore quanto di più bello ci possa essere nel panorama dell’Arte Presepiale italiana ed internazionale con la speranza che il viaggiatore possa sentirsi coinvolto in questo affascinante percorso emozionale. Rivolgo un sentito ringraziamento al Vescovo di Città di Castello S.E. Domenico Cancian, a Don Giancarlo Lepri che per anni ci ha sopportati e supportati e al

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nuovo Parroco Don Alberto Gildoni, oltre che a tutta la Diocesi, per aver concesso la disponibilità di una sede così suggestiva e prestigiosa come la Basilica Inferiore della Cattedrale di Città di Castello. Voglio ringraziare in modo particolare anche le Istituzioni: il Comune di Città di Castello, la Regione Umbria, la Camera di Commercio di Perugia, la Fondazione Cassa di Risparmio di Città di Castello e i tanti sostenitori che, con rinnovato e convinto aiuto, ci permettono di realizzare l’evento. Infine permettetemi di ringraziare uno ad uno tutti gli associati di Città di Castello per il loro costruttivo, incondizionato e inestimabile contributo. Un caloroso augurio di Buon Natale a tutti”.








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