City Life Magazine N8

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CITY LIFE MAGAZINE

ENERGIA E AMBIENTE PER LA CITTÀ DEL FUTURO

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CITY LIFE MAGAZINE ONLINE • MARZO/APRILE 2014 • ANNO II N.8 BIMESTRALE

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CITY LIFE MAGAZINE N.8

Somm

CITY LIFE MAGAZINE ONLINE • MARZO/

008 EDITORIALE Roberto Maietti

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Smart Grid culturale e interazione sociale Andrea Calatroni

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Un Green New Deal per le città

Efficienza energetica: le caratteristiche

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Pierapaolo Signorelli

Sistemi intelligenti per comunità energetiche Giambattista Gruosso

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Trasformare il verde in oro

Centro Studi SAFE

Alessandro Seregni

L’impronta di carbonio nel vino Guglielmo Mazzarelli

050 HIGHLIGHTS Redazione CLM


CITY LIFE MAGAZINE

mario

/APRILE 2013 ANNO II N.8 BIMESTRALE

060 THE CLEVELAND MUSEUM OF ART

FOTONOTIZIA Redazione CLM

062 SMART CITY Francesca Cipollone

064 FUELPOVERTY Alessandro Seregni

070 NEWS

Redazione CLM

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CITY LIFE MAGAZINE N.8

• Helsinki Smart City

Smart City

• Un Green New Deal per le città

• Sistemi intelligenti per comunità energetiche

• L’impronta di carbonio nel vino

• Trasformare il verde in oro

Articoli • Smart Gride culturale e interazione sociale

• Efficienza energetica: uno studio ne analizza le caratteristiche

Fuelpoverty • Un fenomeno tanto diffuso ma in Italia poco considerato

CONT


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• City Life Magazine

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Editoriale • E015: Scambio di beni e servizi

• Isola di Eigg: minuscola e isolata ma ...

Highlights

• Energia pulita dagli infrarossi

• Robot dirigono il traffico a Kinshasa, in Congo

TENUTI

• Ivanpah SEGS

• Bloomberg Mayors Challenge 2013-2014

• Network auto alimentati?

News • Nuova chimica dalla CO2 • La nuova app Android per il Moto360

Fotonotizia


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CITY LIFE MAGAZINE N.7 N.8

Direttore Responsabile Roberto Maietti Advisory Panel Giuliano Busetto, Vittorio Cossarini, Alessandro Ferrero, Alessandra Flammini, Alessandro Gasparetto, Diego Gavagnin, Giambattista Gruosso, Biagio Longo, Emanuele Martinelli, Umberto Sampieri, Marco Vecchio Direttore Editoriale Mauro Bozzola Coordinamento redazionale Alessandro Seregni Segreteria di redazione Francesca Cipollone Grafica Editoriale Fabrizio Maietti City Life Magazine Copyright© Ediplan Editrice Pubblicazione registrata presso il Registro della stampa del Tribunale di Milano N° 478 del 21 dicembre 2012 codice ISSN 2283-6950 Diffusione 68.000 copie È vietata la riproduzione totale o parziale della rivista senza l’autorizzazione dell’editore. Direzione e Redazione Via Olmetto, 17 20123 Milano TEL +39 02 84561856 redazione@citylifemagazine.net Pubblicità adv@citylifemagazine.net


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Editoriale di Roberto Maietti


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a crescita continua della popolazione mondiale comporta implicazioni sociali di grandissimo impatto; lo possiamo rilevare dalle tensioni razziali, religiose, etniche che si stanno accentuando sempre di più, ma anche dal fabbisogno alimentare che potrebbe a breve diventare un’emergenza. L’attenzione alla produzione di beni, siano essi di primaria necessità o voluttuari, ha ottenuto la massima attenzione e priorità da parte del mondo occidentale relegando l’agricoltura a una posizione di secondo piano rispetto a quella che l’ha caratterizzata nella storia. Il terreno è diventato economicamente più interessante per costruirvi abitazioni, uffici, capannoni, riducendo le aree a disposizione delle coltivazioni. La cultura dominante ha portato poi le nuove generazioni a dimenticarsi della “terra” sempre “troppo bassa” e quindi faticosa, a favore di un impiego in ufficio o in fabbrica. Pur avendo origini

contadine ci siamo dimenticati del valore dell’agricoltura: visto che ci sono i supermercati perchè preoccuparci? La situazione attuale non è scevra da rischi nè da possibili scenari molto pericolosi, soprattutto per le società occidentali tanto protese verso l’industria e i servizi, da dimenticarsi l’importanza delle coltivazioni delle derrate alimentari e dell’allevamento del bestiame. La produzione agricola mondiale è già oggi insufficiente e con i tassi di crescita che hanno le economie emergenti è molto probabile che la disponibilità per l’Occidente verrà limitata dai loro bisogni interni. Come dire che prima abbiamo perso il controllo della produzione industriale e ora anche quello della produzione agricola. Non vogliamo fare allarmismo, ma vorremmo essere certi che di questi argomenti si parli con maggiore attenzione e soprattutto si torni ad investire in agricoltura anche nel nostro Paese.

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SPS Italia cresce e raddoppia Communication Area Communication Area Conference Rooms

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UN GREEN NEW DEAL PER LE CITTÀ Pierpaolo Signorelli

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o scorso 27 febbraio nella sede centrale dell’ENEA a Roma, è stato presentato il Rapporto Green Economy 2013 intitolato “Un Green New Deal per l’Italia” e realizzato, oltre che dallo storico Ente di Ricerca, anche dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da Ecomondo. È stata l’occasione per fare il punto della situazione ambientale in Italia, consapevoli che il Paese è stato fiaccato, nelle finanze e nei rapporti sociali, dalla peggior crisi del dopoguerra e che, solo in questo scorcio di inizio anno, sembra offrire alcuni segnali di ripresa. Abbiamo voluto approfondire la tematica andando a intervistare il promotore del Rapporto, il presidente Edo Ronchi, già ministro per l’Ambiente e una delle massime autorità italiane nel settore ambientale.


FEATURES

A cura di Edo Ronchi, Roberto Morabito, Toni Federico, Grazia Barberio

GREEN ECONOMY RAPPORTO 2013

UN GREEN NEW DEAL PER L’ITALIA Presentazione di Simon Upton Introduzione di Tim Jackson

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21/10/13 16:04

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Edo Ronchi, nominato Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile nel settembre del 2008, è nato a Treviglio (BG) nel 1950, vive a Roma dal 1978, coniugato e con tre figli, è laureato in Sociologia all’Università di Trento.
Docente di progettazione ambientale, corso di laurea in Architettura del Paesaggio, presso l’Università la Sapienza di Roma, è stato parlamentare, e Ministro dell’ambiente. Fra i fondatori dei Verdi Arcobaleno alla fine degli anni ‘80 e della Federazione dei Verdi all’inizio degli anni’90. Nel 2000, attraverso la Sinistra ecologista, ha aderito al partito dei Democratici di sinistra, venendo successivamente nominato nella Segreteria nazionale. Fra i fondatori nel 2006 dell’associazione degli Ecologisti democratici, è stato eletto all’Assemblea costituente del Partito democratico. Dal 2008 ha lasciato il Senato e non si è ricandidato, nè ha più assunto incarichi politici, dedicandosi a tempo pieno ad attività di studio, ricerca e formazione, in particolare con la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Studioso ed esperto delle problematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile, ha pubblicato numerosi testi. Nel Giugno 2013 viene nominato dal Ministro dell’Ambiente Sub-Commissario ambientale dell’ILVA di Taranto.

Presidente, come nasce l’idea di un Green New Deal che parte dalle città? Si tratta di un approccio nuovo che predilige un’impostazione collaborativa, ma responsabilizzante, a una dirigista. È così? “L’idea di un Green New Deal viene mutuata dall’esperienza positiva che UNEP (United Nations Environment Programme) ha adottato in relazione alla crisi finanziaria e poi economica esplosa nel 2008 negli USA; l’idea, in analogia all’originale “New Deal” di Roosevltiana memoria, vuole promuovere un nuovo accordo fra tutte le componenti della Società per rifondare l’economia su un diverso modello di sviluppo ambientale, nel quale stimolare la crescita responsabile ed affermare tante nuove professionalità; un modello che, se implementato ed affinato con continuità, ci potrà accompagnare lungo tutto il corso del 21° secolo. Avendo poi di mira la qualità della vita, non si può non partire dalle città, impostazione che, nel caso italiano, è più che mai appropriata, essendo l’Italia il paese delle 100 province e degli 8000 comuni, e che perciò mal vestirebbe un’impostazione unicamente centralista e dirigista; meglio invece partire dal piccolo, cioè dal locale, per poi risalire verso l’aggregato maggiore”.


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Cominciamo ad affrontare la questione storicamente più arcigna, ossia la cementificazione “facile”: come mai in Italia si costruisce tanto, spesso malamente, quando la popolazione è cresciuta negli ultimi 50 anni di soli 10 milioni di abitanti? Abbiamo le più belle città del mondo, eppure le abbiamo abbruttite con mega-periferie invivibili, dai palazzoni con qualità energetica-ambientali scadente: perché non riusciamo a riqualificare le città senza consumare nuovo terreno? “Con tutta probabilità la causa prima di un simile exploit dell’edilizia è da ricercarsi nella rendita che il mattone ha sempre offerto, indifferente alle crisi energetiche, economiche o sociali. Per un paese di non grandi mezzi finanziari è stato l’investimento familiare per eccellenza, appena più insicuro dei titoli di Stato. Si pensava: intanto costruisco, ed investo sul sicuro, poi venderò! Peraltro, ha corroborato tale tendenza una fiscalità non particolarmente elevata, facilitando così le grandi costruzioni di periferia. Ragionamento analogo, ma con potenza ben più grande, ha contraddistinto l’abusivismo edilizio che, se ha consentito a molti di avere un tetto sulla testa, ha però devastato le zone costiere e collinari. È poi da ricordare – e si tratta del secondo elemento – che la legislazione in materia è stata poco rigorosa sia in fase progettuale, sia in quella riparatoria: il piano regolatore più che ottimizzare e riqualificare il territorio già impiegato, ha invece legalizzato sistematicamente l’uso di nuove porzioni di spazio e i condoni edilizi – rimedio populista di tanti governi per fare facilmente cassa – hanno fatto il resto. Il risultato complessivo è una cementificazione sfigurante il territorio nazionale, offeso nella sua bellezza e minato nella sicurezza. È di queste settimane la notizia che su 700.000 frane che avvengono in Europa, circa 500.000, più dei due terzi (!), hanno luogo in Italia. È un numero impressionante che dovrebbe metterci tutti in allarme”. Altra tematica “rovente”, su cui il rapporto si concentra a lungo, è quella dei rifiuti, sia in fase di produzione che di gestione. In Europa le città ospitano il 50% della popolazione e producono il 75% dei rifiuti, praticamente cumuli grandi come palazzine, quasi una seconda città. Il primo passo per evitare simili scenari apocalittici è la contrazione nella generazione del rifiuto: ci può spiegare in cosa consiste la prevenzione ecoefficiente? “La prevenzione è fra le priorità delle politiche europee in materia e la normativa vigente che disciplina la gestione dei rifiuti (dir. com. 98/2008) prevede, insieme al piano gestionale vero e proprio, anche un insieme di condotte precauzionali volte a contrarre l’impiego di materia, sin dalla fase di produzione, in modo da ridurre la generazione del rifiuto: se si economizza materiale tanto in fase di assemblaggio che di imballaggio, se ne dovrà poi scartare meno. Inoltre, quello comunque impiegato dovrà sempre più essere destinabile al riuso e quindi suscettibile di ampia riparabilità, seguendo perciò una filosofia opposta a quella del consumismo autoindotto dalla produzione, per il quale scaduti gli anni di garanzia il bene si rompe e va ricomprato. Infine, non vanno dimenticate le politiche di filiera: va ridotta la pratica della monodose pratica tipicissima nel caso delle bibite – facilitando invece quelle del riutilizzo, sempre allo scopo di reimpiegare il contenitore e limitare la sovrapproduzione. Adottando queste e altre pratiche, viene stimolato il consumo consapevole ossia quello che calibra l’acquisto secondo gli effettivi bisogni ed evita gli sprechi. La prevenzione efficiente costituisce la sintesi delle condotte, tanto dal lato Offerta che da quello della Domanda, volte a prevenire l’accumulo del rifiuto attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo del materiale di fabbricazione, pur mantenendo adeguati gli standard di consumo”.


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Sulla gestione dei rifiuti un grosso problema riguarda il criterio di pagamento: su una produzione collettiva, come individuare la responsabilità del singolo utente? In linea di massima dovrebbe vigere il principio di “chi inquina paga”. Tuttavia, soprattutto in una fase di crisi prolungata come quella che stiamo vivendo, una simile impostazione potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, dal momento che non c’è consumo che non comporti, in modo più o meno diretto, una qualche forma di inquinamento; perciò se facciamo pagare di più il consumo si potrebbe penalizzare la debole ripresa. “In questo caso gioca un ruolo fondamentale la consapevolezza e la maturità dell’utente: non si tratta di consumare meno ma in modo più attento. Quello che si chiede al consumatore medio italiano che, a ben vedere, è primo fruitore della bellezza paesaggistica del proprio Paese e della relativa salubrità – e che dunque ne dovrebbe avere il massimo interesse tutelativo – è quello di sostenere una spesa accessoria, incorporata nel prezzo del bene acquistato. Si tratta di un piccolo contributo, pochi punti percentuali del prezzo base, ma dal grande valore ambientale, effettuato nell’interesse di chi consuma, ma anche e soprattutto per le generazioni che verranno, poiché nel settore ambientale gli investimenti di oggi, specie se promossi dall’iniziativa dei singoli, si ricompongono a livello macro nella generazione successiva. In questa sorta di passaggio del testimone intergenerazionale si invita l’utenza alla responsabilità per i decenni futuri, ma partendo sin da subito, in quanto non si dispone più né di tempo, né di alibi: se vogliamo tutelare noi stessi, dobbiamo preservare l’ambiente in cui viviamo. Pertanto, nei consumi altamente inquinanti, ad esempio le gomme dell’automobile, viene apposto una sorta di tassa per l’ambiente ripartita fra il consumatore e la casa produttrice. L’operazione, oltre ai fini già detti, consente di perseguire un altro punto importantissimo e cioè la tracciabilità del bene divenuto rifiuto, per tutta la lunghezza della filiera, al fine di consentire la tempestiva ed esatta paternità dello stesso, senza la quale sarebbe un rifiuto figlio di nessuno. L’intento, invece, è esattamente l’opposto: risalire nella catena della produzione e distribuzione per individuare chi l’ha prodotto e a chi l’ha utilizzato in maniera non corretta, ed ancorarli alle proprie responsabilità ambientali”.


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Veniamo ad occuparci di un altro grande tema che l’opinione pubblica generale, ed in modo particolare i nostri lettori, avvertono come opprimente e la sperimentano tutti i giorni: la mobilità urbana. Per l’italiano medio, l’auto privata resta ancora uno status symbol e non la molla: su 100 abitanti, il numero di auto è costantemente superiore alla metà, con le punte di Roma (68 vetture per 100 abitanti) Torino (60) Napoli (57), là dove gli abitanti di Parigi, Barcellona o Vienna possiedono mediamente meno di un’autovettura ogni due, mentre addirittura quelli di Londra e Berlino una ogni tre. In un simile contesto come procedere? Con una normativa restringente? Con una premiante? Potenziando il trasporto pubblico sebbene ci si trovi in condizioni finanziarie disastrose? “La mobilità sostenibile è un pool di fattori e per attivarla ci vogliono due requisiti di fondo: la volontà politica che riconosca ed imponga la “mission” come una delle priorità da dover perseguire nel medio periodo; e poi, secondo fattore, un’elevata competenza tecnica, grazie alla quale si possono individuare e proporre le soluzioni più idonee per ogni dato territorio urbano. Va tenuto presente che la mobilità è un sistema complesso che richiede interventi simultanei su tante componenti. È infatti difficile che la soluzione del problema ricada su una singola voce, sebbene importante; al contrario è l’assemblaggio dei molteplici tasselli inseriti al loro posto che consente la ricomposizione dell’intero contesto. Possiamo ricordare lo sviluppo di piste ciclabili e pedonali, le zone pedonali oltre che nel centro storico anche nelle periferie, le corsie riservate per il mezzo pubblico in tutta la città e via dicendo. È l’integrazione dei diversi fattori la chiave di soluzione per la mobilità. Se invece dovessi enucleare un preponderante fattore di ostacolo alla circolazione, indicherei la consegna delle merci presso la piccola e media distribuzione, che quasi mai viene fatta con modalità ecocompatibili e sempre in orari di coincidenza con le punte di traffico. Sembra una cosa banale, ed invece ha un impatto grandissimo sulla fluidità della mobilità e sul livello di inquinamento atmosferico”.


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Molto aiuto potrebbe arrivare dall’uso massiccio dell’ITS (Intelligent Transport Systems), applicati nella gestione del traffico, nella sicurezza stradale, nell’integrazione fra i diversi mezzi di spostamento (pubblico o privato, su gomma o su ferro, due o quattro ruote). Tuttavia, in questo caso, si dovrebbero accumulare e processare moltissimi dati, necessari per far evolvere il tessuto urbano in chiave Smart City. Se, come probabile, si seguirà tale strada in considerazione dei costi più contenuti e del minor impatto operativo, che rischio si corre in termini di privacy e di sicurezza informatica? Non andiamo – poco consapevolmente – verso un “campo concentrazionario” dell’informazione, dove poche sale operative monitorano e registrano ogni spostamento di ciascuno di noi? “Il rischio c’è, ed è crescente al crescere dell’utilizzo in generale dell’ICT (Information and Communication Technology), quindi non solo l’applicazione sul traffico, ma anche, ad esempio nella raccolta e gestione di rifiuti, per cui, ipoteticamente, si potrebbe anche risalire alle scelte di spesa e consumo delle famiglie. Tuttavia vanno fatte due considerazioni importantissime: la prima è organizzare, di pari passo all’impiego della tecnologia “invasiva”, un sistema normativo e di controlli dal basso verso l’alto, cioè dell’utente verso il gestore, di modo che vi sia un controllo diffuso contro gli eventuali abusi. In altre parole la tecnologia deve essere “open” e non concentrata, di modo che il cittadino non sia mero soggetto passivo. E poi, per la parte che non può essere ovviata, il rischio lo si corre e lo si sopporta, in quanto i benefici che se ne ricavano rispetto all’applicazione diffusa delle nuove tecnologie sono talmente tanti che sicuramente il gioco vale la candela. Basti pensare quanto si guadagna in termini di tempo – probabilmente la variabile chiave – che finalmente non sperpereremo più imbottigliati nel traffico, ma che potremo rivolgere ad altre attività, peraltro con maggior resa da un punto di vista lavorativo ed economico. In un certo qual modo si accetta una sorta di scambio fra minor privacy, da una parte, contro una miglior qualità di vita: a ben vedere non sembra così svantaggioso!”


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Sistemi intelligenti per comunità energetiche Giambattista Gruosso

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er definire quelle che oggi sono chiamate “comunità energetiche” è necessario partire dai concetti di integrazione e gestione intelligente delle risorse. In primo luogo una rete di questo tipo è di fatto ottenuta dall’uso e dall’integrazione efficiente delle fonti energetiche convenzionali, che vengono condivise e pianificate secondo le esigenze della comunità. In secondo luogo, una comunità energetica intelligente si integra con il territorio, riconoscendo che scelte urbanistiche inadeguate possono introdurre sprechi di energia. In terzo luogo, una comunità energetica intelligente sa guardare alle opportunità energetiche locali e nello stesso tempo le sa utilizzare in modo efficiente.


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In questi contesti i sistemi di accumulo energetico combinati con altre fonti di energia permettono di aprire nuove opportunità di crescita, aumentando da un lato l’efficienza energetica e promuovendo dall’altro le tecnologie per l’autoconsumo. Le richieste di energia e la loro pianificazione, sono ad oggi un tema di interesse per tutte le comunità. In modo particolare in un contesto dove le fonti energetiche sono disponibili in forme differenti e non sempre pianificabili, diventa necessario prevedere sistemi in grado di pianificare e controllare il comportamento di sistemi interoperanti tra di loro. In particolare nell’ambito domestico o di piccole comunità energetiche diventa particolarmente interessante immaginare dei sistemi in grado di far interagire tra di loro analisi dei consumi, previsioni meteorologiche e costi di compravendita dell’energia, in modo da pianificare il giusto mix tra le fonti energetiche e l’opportunità di acquistare o immagazzinare energia. Sistemi innovativi in questo contesto sono basati su

supervisori in grado di ricevere in ingresso dati di contesto (meteo, fabbisogni, costi orari energetici) e nello stesso tempo in grado di controllare i flussi energetici, mentre i polmoni di questi sistemi sono i sistemi di accumulo energetico sia termico che elettrico. La supervisione si basa, di fatto, sulla stima del fabbisogno energetico in tempo reale attraverso un ciclo di controllo. In presenza di più fonti di produzione questi sistemi presentano molti gradi di libertà e di conseguenza possono operare una molteplicità di scelte che richiedono una strategia ben definita. La definizione della strategia operativa di gestione del sistema è localizzata in un’unità centrale che controlla le produzioni e gli accumuli in funzione dei fabbisogni e delle disponibilità delle fonti non controllabili, ad esempio la produzione di energia di un impianto fotovoltaico. In quest’ultimo caso le previsioni meteorologiche giocano un ruolo importante nella gestione. Sebbene si possano definire alcune strategie gestionali basate su un insieme di regole prestabilite, non sempre si è in grado di arrivare ad una gestione


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ottimale. Vale la pena di notare che si possono realizzare sistemi complessi anche su impianti di scala domestica o di piccola taglia dove convivono ad esempio una pompa di calore alimentata in parte da un impianto fotovoltaico, una caldaia a gas e un sistema di accumulo per energia termica ed elettrica: la strategia di utilizzo degli accumuli si modifica nel corso delle stagioni e in funzione delle condizioni meteo a breve termine. Codificare un insieme di regole di gestione in queste

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condizioni non risulta essere particolarmente affidabile. Una gestione del sistema che supera questi limiti e che si può adattare alle condizioni dinamiche di funzionamento può essere definita mediante: 1. un modello matematico che simula il comportamento del sistema; 2. una procedura di ottimizzazione che, nel rispetto dei fabbisogni del sistema e dei suoi limiti tecnici, ne modifica i parametri di controllo al fine di massimizzare una funzione di performance.


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Oltre ai sistemi intelligenti sopradescritti, il vero polmone del sistema sono i sistemi di accumulo. Questi sistemi permettono di rendere gli scambi energetici efficienti e nello stesso tempo di immagazzinare le energie prodotte a livello locale per differirne l’uso. Le principali caratteristiche dei sistemi di accumulo si possono riassumere nelle seguenti: 1. Capacità di immagazzinare energia per tempi lunghi. 2. Capacità di fornire energia continua per lunghi periodi di tempo. In questo contesto si considerano non solo i sistemi di accumulo di energia elettrica, ma anche i sistemi di stoccaggio di energia termica o di energia chimica. Mentre il mondo delle batterie per lo stoccaggio di energia elettrica rappresenta una realtà consolidata in cui le energie disponibili sono legate alla chimica del sistema, i sistemi di stoccaggio di energia, sotto forma di accumulo di energia termica o chimica, rappresentano la frontiera. I sistemi di batterie di flusso, sembrano essere in questo contesto, quelli più promettenti in quanto l’energia è immagazzinata sotto forma di reagenti chimici. Il principio di funzionamento di questi sistemi è basato sulla capacità di stoccare i due elettroliti in serbatoi quando vi è a disposizione energia dalla rete, e di far reagire i due sistemi per ottenere energia quando la rete è in carenza. Il tempo di stoccaggio dei due elettroliti è di fatto enorme, a differenza di quello delle batterie, in cui i fenomeni di auto-scarica ne limitano la capacità di conservare l’energia per tempi lunghi. Altri sistemi di accumulo promettenti in questi contesti sono i sistemi di energia termica, in grado di immagazzinare l’energia per renderla poi disponibile per usi differenti.


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Trasformare il “verde” in “oro” una sfida mondiale per il Brasile tra energie rinnovabili e sviluppo sostenibile A cura del Centro Studi SAFE

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el corso dell’ultimo decennio il Brasile è stato un indiscusso protagonista dello scenario economico internazionale trasformandosi da “Paese del futuro” in importante realtà del presente. Oggi rappresenta una delle dieci maggiori economie mondiali, il cui PIL, cresciuto a un tasso medio del 4% per anno fino al 2010, ha raggiunto 2.300 miliardi di dollari. Dal 2011 la crescita economica brasiliana ha però subito un rallentamento evidenziando anche alcuni nodi ancora irrisolti. Il rapporto sulla competitività del World Economic Forum per il 2013-

2014 riassume gli aspetti che facilitano e ostacolano la competitività brasiliana. Tra gli elementi presi in considerazione con un impatto positivo emergono: le dimensioni del mercato, la presenza di un settore finanziario sviluppato e moderno, una buona attitudine all’innovazione, la dinamicità del mercato del lavoro e lo sviluppo tecnologico. Tra i fattori che limitano il business emergono: lo sviluppo infrastrutturale, le imposte complessivamente alte, la burocrazia, le difficoltà di accesso al credito e la corruzione.


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Se è evidente lo sforzo ancora necessario per una crescita duratura e sostenibile, non sfuggono le opportunità che questo Paese può comunque offrire. Un ruolo trainante nella crescita economica brasiliana è sicuramente svolto dal settore energetico, essendo il Brasile eccezionalmente ricco di risorse sia rinnovabili che fossili. I consumi di energia primaria da fonti fossili e nucleare brasiliani hanno raggiunto nel 2011 quota 151 Mtep, il 56% del mix di energia primaria, mentre il restante 44% è stato coperto da FER con consumi pari a 116 Mtep. Tra le FER le bioenergie, che rappresentano il 67% del mix rinnovabile, sono prevalenti con una domanda di 78 Mtep. Nel campo dei biocarburanti il Brasile vanta infatti ancora oggi la maggiore flotta di veicoli ad etanolo al mondo, grazie ad un pioneristico programma di sviluppo del settore avviato alla fine degli anni ‘70. Anche nella generazione di energia elettrica (532 TWh) le rinnovabili sono fortemente prevalenti con 464 TWh prodotti (l’87% del mix) e tra le FER è dominante l’idroelettrico con una produzione pari a 429 TWh, il 92% nel mix da rinnovabili. Il trend di crescita delle FER in Brasile è destinato a continuare anche in futuro. Nel 2035 si prevede che i consumi di energie rinnovabili, pur mantenendo un peso sui consumi di energia primaria pari al 43%, aumenteranno in termini assoluti dell’80%, toccando quota 207 Mtep. Nella generazione elettrica si passerà dai 464 TWh attuali agli 862 TWh. Il Brasile è attualmente al centro di importanti investimenti anche nel settore delle fonti fossili. Le riserve provate di idrocarburi brasiliane sono infatti consistenti: circa 15 miliardi di barili di petrolio e 460 miliardi di metri cubi di gas naturale per una produzione di petrolio che, nel 2012, ha raggiunto 2,16 milioni di barili/giorno e una produzione di gas che è stata pari a 18 miliardi di mc. Anche in questo campo le prospettive sono positive:

secondo la IEA, la produzione di petrolio salirà a 6 milioni di barili/giorno nel 2035, una cifra che porterà il Brasile a divenire uno dei principali protagonisti del settore. Anche la produzione di gas aumenterà e toccherà quota 38 miliardi di metri cubi nel 2020 e 92 miliardi di metri cubi nel 2035. Dal punto di vista ambientale, il settore energetico brasiliano presenta una peculiarità che lo contraddistingue da molte economie mondiali: le maggiori fonti di emissioni del Paese sono legate infatti al settore agricolo (35% del totale) e non al comparto energia. In particolare, le emissioni di CO2 brasiliane, associate al settore energia, nel 2011 sono ammontate a 409 milioni di tonnellate equivalenti, un valore quasi pari a quello delle emissioni italiane (309 Mt), e largamente inferiore a quello dell’Unione europea (3.542 Mt), degli Stati Uniti (5.287 Mt) e di alcuni paesi BRICS come Cina (7.954 Mt), Russia (1.653 Mt) ed India (1.745 Mt). Coniugare il soddisfacimento della crescente domanda energetica nazionale (480 Mtep nel 2035 secondo il New Policies Scenario della IEA) con un duraturo trend di sviluppo delle fonti rinnovabili e di sostenibilità ambientale, trasformare quindi “il verde in oro”, sarà la vera sfida mondiale del Brasile per i prossimi anni. Vincerla richiederà anche il superamento di alcune criticità tra cui la presenza di ingenti investimenti in nuovi impianti, il rispetto dei vincoli ambientali e lo snellimento dell’attuale quadro autorizzativo sotto il profilo delle tempistiche. Gli obiettivi sono quindi ambiziosi e la gara è tutta da giocare ma, le quasi sconfinate potenzialità possedute dal Brasile, fanno sì che lo Stato verde-oro abbia in futuro ottime probabilità di laurearsi campione nel settore energia rappresentando una realtà rispetto alla quale anche l’Italia potrà continuare a trovare sbocchi e possibilità di partnership in termini di investimenti, tecnologie e conoscenze.


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Trasformare il “verde” in “oro”: una sfida mondiale per il Brasile tra energie rinnovabili e sviluppo sostenibile

The Global Competitiveness Report 2013–2014

Cerimonia di Apertura Master in Gestione delle Risorse Energetiche

Ambasciata del Brasile 17 febbraio 2014

Insight Report

The Global Competitiveness Report 2013–2014 Full Data Edition Klaus Schwab, World Economic Forum

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Schwab


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SMART GRID CULTURALE E INTERAZIONE SOCIALE: NO BOUNDARY Andrea Calatroni Cleveland Museum of Art, il primo museo del XXI secolo

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uando si parla o si scrive sulle Smart Grid il primo pensiero va all’energia, alla gestione e alla sostenibilità di una rete di trasporto e trasmissione delle risorse energetiche in generale. Nonostante il concetto di Smart Grid sia entrato nel linguaggio comune, esulando dal contesto energetico, ma legandosi a tutto il sistema dei mobile devices e alla comunicazione o condivisione super veloce di contenuti multimediali, la percezione e la produzione di Cultural Smart Grid è ancora molto bassa, prossima allo zero. È una questione, a mio giudizio, più culturale che tecnologica. La trasmissione della cultura viaggia, finalmente, velocissima sul www mediata da social network e smartphone, che permettono a chiunque di condividere (un verbo ormai usurato dall’abuso) e di diffondere, viralmente, ogni evento culturale che ritiene minimamente interessante.

THE CLE MUSEUM


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CULTURAL SMART GRID AND SOCIAL INTERACTION: NO BOUNDARY

EVELAND M OF ART

Cleveland Museum of Art, the XXI century first museum

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hen we speak or write about Smart Grid’s, first thought goes to energy, to the management and sustainability of a grid for transportation and transmission of energy resources in general. And this happens notwithstanding the concept of Smart Grid is today part of the common language well beyond the energy context, linking the whole system of mobile devices, communication and super-fast sharing of multimedia content. The perception and the realization of Cultural Smart Grid is still very low, close to zero. In my opinion it is more a cultural than technological matter. Finally, the transmission of culture travels fast on the www mediated by social networks and smart phones that allow anyone to share (a verb now worn by abuse) and to spread, virally, every cultural event, even those who are only of marginal interest. The consequence of this is that dissemination


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Questo ha comportato che la divulgazione e la promozione di mostre, eventi, reading o lectures da parte di Gallerie, Musei e altri è iniziata a passare attraverso i nuovi devices portatili, che si stanno diffondendo a perdita d’occhio. Questa estesa, forse eccessiva, propagazione dell’informazione mi ha portato a due considerazioni: in primo luogo, la volontà di estremizzare la diffusione abbassa la qualità del messaggio, per essere comprensibile alla maggior parte del pubblico deve avere parametri linguistici e contenutistici medio/bassi; in secondo luogo la difficoltà di metabolizzare l’imponente massa d’informazioni che quotidianamente arrivano alla nostra portata. Si corre il rischio di un overload culturale e della conseguente astensione di comprendere tutto quello che riceviamo. Fin qui i cosiddetti rischi, ma una rete smart della cultura può avere effetti altamente positivi sull’apprendimento, sull’amore per l’arte e i suoi valori, soprattutto per le nuove generazioni. Su questo tema lavora da qualche anno il Museo d’Arte Moderna di Cleveland, governato, da circa un anno, da Fred Bidwell e il suo team. Il Museo, fondato nel 1913, da subito si è dedicato alla formazione e istruzione dei propri cittadini, mediante programmi volti alla conoscenza dei segreti dell’arte e della manifattura, questo per volontà di Frederick Allen Whiting, suo primo direttore. Esattamente un secolo dopo, nel gennaio 2013, è stata aperta la nuova Gallery One, da un’idea dell’allora direttore David Franklin e perseguita dall’attuale Fred Bidwell, che comprende gli incredibili servizi multimediali offerti dal Museo, il nuovo cuore tecnologico da cui tutto parte. ArtLens, Collection Wall e Studio Play sono i tre stupefacenti strumenti IT che il CMA ha creato e messo a disposizione del pubblico, ideati per rendere l’esperienza dell’arte completa e interattiva, semplice

e funzionale soprattutto per chi ha sempre considerato l’arte come un fatto elitario, inaccessibile o incomprensibile. L’interazione tecnologia/arte funziona e demolisce tutte le barriere psicologiche e fisiche che nel tempo si sono stratificate attorno al tema Arte. Ho chiesto a Caroline Guscott, Communication Manager, di introdurci alle funzionalità di ArtLens: “Il Cleveland Art Museum per il 2013 ha annunciato il lancio della nuova ArtLens app per iPhone. Questa nuova versione aveva già vinto il premio come migliore app per iPad. ArtLens è adattabile ai diversi desideri e bisogni del visitatore e include ben 9 ore di contenuti audio visivi. Abbiamo creato una interfaccia mobile user friendly, che consente di scorrere le collezioni del Museo, preparare un tour visitando le proprie opere preferite e di conoscere le attività che si svolgono all’interno del Museo”. Al sistema descritto si aggiunge l’elemento più coinvolgente, emozionale del Museo, uno schermo unico al mondo per dimensioni e concezione: il Collection Wall. Questo è un multi-touch tiles wall lungo 12 metri, con oltre 4000 microtiles interattive, una per ogni oggetto, quadro o fotografia posseduta dal CMA. La singola microtiles può essere semplicemente visionata come un post-it su una bacheca, ma soprattutto permette di creare con la app dedicata di ArtLens il proprio tour all’interno del percorso museale, usando un semplice iPad. Ancora Caroline Guscott ci aiuta a capire le potenzialità del progetto:


FEATURES

and promotion of exhibitions, events, readings or lectures by museums, private galleries, and others began to flow through the new portable devices, which become more and more popular. This extensive, perhaps excessive propagation of information leads me to two considerations: first, the desire to exaggerate the diffusion could lower the quality of the message that, in order to be understood by the majority of the audience, have to be based on medium / low parameters of language and content; and second, the difficulty by the users in metabolizing the imposing mass of information that daily come within his reach. Hence, the risk of a cultural overload and the consequent failure to understand/appreciate what has been received. If these are the potential risks, the benefits that can result from a smart grid applied to culture shall be to induce tremendous positive effects on its understanding, the ability to inspire a love for art and its values, especially among the younger generations. The Cleveland Museum of Art (Ohio) is working on these issues since several years, now under the

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direction of Fred Bidwell and his team. The Museum was founded in 1913, and under the leadership of Frederick Allen Whiting, its first director, was dedicated since the beginning to the cultural formation and education of its citizens, through programs aimed at developing knowledge of the secrets of art and craftsmanship. Exactly a century later, in January 2013, was opened the new Gallery One, the brainchild of the then director David Franklin and developed at its completion by the actual director Fred Bidwell. Gallery One includes the incredible multimedia services offered by the Museum, the new core technology from where it all starts. ArtLens, Collection Wall, and Studio Play are the three amazing IT tools that the CMA has created and made available to the public, designed to make the experience of the art comprehensive, interactive, simple and practical especially for those who have always regarded the art as something elitist, inaccessible or incomprehensible. The interaction between technology/art work demolish all the physical and psychological barriers which over time are layered around the theme of Art. I asked Caroline Guscott, Communication Manager, to introduce us to the incredible functionality of ArtLens:“The Cleveland Museum of Art in 2013 announces the launch of the new ArtLens app for i-Phone. This new mobile version of the museum’s award-winning free i-Pad app, ArtLens, is adaptive to the varying needs and desires of museum visitors and includes over 9 hours of audiovisual content. Featuring a new, mobile-friendly


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“La nuova ArtLens app è integrata con il Collection Wall, uno schermo mutitouch di 12 metri composto da microtiles interattive, lo schermo dispone di 4000 microtiles che mostrano il contenuto delle varie gallerie. Il visitatore può selezionare sul Collection Wall un’opera e salvare i preferiti sulla app del proprio iPad. Le opere selezionate posso essere impiegate per creare un proprio personale tour all’interno del Museo” Il terzo strumento adottato dal CMA è dedicato ai bambini, alla loro voglia di giocare e di conoscere “il perché” dietro ogni cosa, com’è stata creata o realizzata, è lo straordinario Studio Play. Non è solo una fonte di conoscenza, ma soprattutto uno strumento d’interazione con l’opera d’arte. Consente, appoggiando il dito sullo schermo, di disegnare una

forma e attivare il matching con un’opera in collezione, un sistema interattivo di apprendimento e familiarità con il mondo della creatività umana, che coprono circa 6000 anni di evoluzione. Caroline Guscott ce ne illustra le possibilità: “Lo spazio colorato e luminoso dello Studio Play offre ai visitatori più piccoli e alle loro famiglie la possibilità di giocare e imparare attraverso l’arte. Il sistema comprende uno schermo 90x160 cm con interfaccia multitouch a microtiles, la quale permette al visitatore di disegnare e fare il matching tra lo schizzo e un’opera del museo; creare un teatrino di ombre e farle recitare, inoltre consente una libera interpretazione delle diverse collezioni presenti”. Prima di concludere questo viaggio nel CMA e nelle sue creature interattive, ho voluto inserire un breve


FEATURES

user interface, the ability to recommended related objects and a search function, users can easily browse the museum’s worldclass collections; take a tour or create their own tour of their favorite works of art; find visitor amenities; and learn about events and programs taking place at the museum”. The described system is completed with the most engaging and emotional element of the Museum: a gigantic screen, unique in the world for its size and design, the Wall Collection. This is a multi-touch wall tiles 12 meters long, with over 4,000 interactive microtiles, one for each object, painting or photograph owned by CMA. The single microtiles can be simply view as a post-it note on a board, but most of all allows a visitor to create - with the dedicated app for ArtLens – a personalized tour inside the museum, using a simple i-Pad. Again Caroline Guscott helps us to understand the potential of the project:“The ArtLens app also integrates with the museum’s Collection Wall, a 40-foot microtile, multitouch wall that displays over 4,000 objects currently on view in the museum’s galleries. Visitors can select objects on the wall and save them to their favorites in the ArtLens app. These favorites, as well as any others added while browsing, can be turned

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into a customized tour that leads visitors through the galleries”.The third instrument adopted by the CMA is dedicated to children and their desire to play and to get the “know why” behind everything, how it was created or made: it is the unique Studio Play. It is not only a source of knowledge, but above all it is a means of interaction with the artwork. By touching the screen with a finger it allows to draw a shape and then activate the matching with any artwork in the collection, an interactive system of learning and become familiar with the world of human creativity, which covers about 6,000 years of evolution. Ms. Guscott illustrates us the possibilities:“This bright and colorful space offers the museum’s youngest visitors and their families a chance to play and learn about art. Highlights include a shared interface (35” x 64” multi-touch microtile wall) which allows visitors to draw, and then matches their drawings with works of art; a shadow puppet theater where silhouettes of objects can be used as “actors” in plays; mobile and sculpture building stations where visitors can create their own interpretations of modern sculptures by Calder and Lipchitz; and a sorting and matching game featuring works from the permanent


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elenco di istituzioni museali mondiali che lo hanno preso ad esempio; è interessante e scoraggiante constatare che non figuri nessun ente culturale italiano: “La Gallery One del Cleveland Museum Art ha ricevuto numerose visite da varie istituzioni e musei, ad esempio la National Museum of Qatar, la Royal Collections e il Science Museum in London, la University of Cambridge (UK), il American Museum of Natural History, il Metropolitan Museum of Art di New York City e il J. Paul Getty Museum di Los Angeles e altre 50 musei nel mondo.” Alcune considerazioni su questo primo esempio concreto di Cultural Smart Grid, la prima riguarda l’aggettivo Smart, il quale indica un processo che favorisca, aiuti e supporti la nostra vita quotidiana, la renda più agevole o semplice; la seconda è connessa con il concetto di felicità, raggiungibile attraverso la conoscenza, senza pregiudizi; in ultima analisi la tecnologia non deve essere solo un oggetto da comprare e possedere, ma deve essere qualcosa da vivere in prima persona, senza timori. For more information, please contact: Caroline Guscott, 216-707-2261, cguscott@clevelandart.org

Cleveland Museum of Art Launches iPhone App

Smartphone version of acclaimed ArtLens iPad app now available for free download; app features multi-dimensional experience designed for varied visitor needs CLEVELAND (January 13, 2014) – The Cleveland Museum of Art announces the launch of the new ArtLens app for iPhone. This new mobile version of the museum’s award-winning free iPad app, ArtLens, is adaptive to the varying needs and desires of museum visitors and includes over 9 hours of audio-visual content. Featuring a new, mobile-friendly user interface, the ability to recommended related objects and a search function, users can easily browse the museum’s world-class collections; take a tour or create their own tour of their favorite works of art; find visitor amenities; and learn about events and programs taking place at the museum. Using indoor triangulation technology that provides location-based information, visitors to the museum can use the app for wayfinding, such as finding restrooms and other visitor amenities, and locating artworks of interest throughout their visit. Videos featuring museum staff and community members answer questions about select artworks and provide new perspectives. Additionally, users can scan twodimensional objects using their iPhone camera to utilize an augmented reality function to immediately recognize the artwork and display the corresponding information. The new iPhone app also recommends related artworks nearby. The ArtLens app also integrates with the museum’s Collection Wall, a 40-foot microtile, multitouch wall that displays over 4,000 objects currently on view in the museum’s galleries. Visitors can select objects on the wall and save them to their favorites in the ArtLens app. These favorites, as well as any others added while browsing, can be turned into a customized tour that leads visitors through the galleries. The iPhone version includes an easily accessible ‘Top 10 List’ of visitor and curator favorites. Favorites can also be shared on popular social media platforms. The museum will launch a corresponding app for Android devices in spring 2014. ArtLens was conceived by a multi-disciplinary team of museum staff members, including collections management, conservation, design, education and interpretation, information technology and management services and the Ingalls Library and Archives, in cooperation with Local Projects. It is supported by digital asset management from Piction and wayfinding technology from Navizon. ### About the Cleveland Museum of Art The Cleveland Museum of Art is renowned for the quality and breadth of its collection, which includes almost 45,000 objects and spans 6,000 years of achievement in the arts. The museum is a significant international forum for exhibitions, scholarship, performing arts and art education and recently completed an ambitious, multi-phase renovation and expansion

For more information, please contact: Caroline Guscott, 216-707-2261, cguscott@clevelandart.org

Gallery One Fact Sheet

Cleveland Museum of Art Dashboard now available online

A combination of informative and fun facts about the museum gives an insider perspective CLEVELAND (February 21, 2014) – The Cleveland Museum of Art announces its new online feature: a museum dashboard comprised of rotating sets of information exploring numerous facets of the museum’s work and history. The dashboard highlights six categories: Our Building; Our Community; Our Collection; Our People; Our Supporters; and Our Visitors. Each category contains a combination of informative and historical facts, along with more entertaining and “behind-the-scenes” knowledge, giving the community an insider’s look. The dashboard’s home page pulls facts from all the categories and rotates every few seconds. “We wanted to provide an additional platform for our visitors and the public to learn about the museum,” said Fred Bidwell, interim director at the Cleveland Museum of Art. “The dashboard offers the opportunity to present compelling data and fun facts in a manner that is easy to comprehend at a quick glance, but will also link you to other pages if you would like additional and more in-depth information about any topic.” The museum will modify the information as statistics and updates become available. Categories like “Total Works in the Collection” will change as new art acquisitions are made and “Last Month’s MIX at CMA attendees” will be updated each month as attendance figures are confirmed, for example. Presently, there are nearly 70 facts in total included in the Cleveland Museum of Art Dashboard, with plans to add more content over time. In addition, statistics can be queried using the “Find a Stat” box next to the category dropdown menu. The Cleveland Museum of Art Dashboard may be found under the “About” section in the navigation bar at the top of the clevelandart.org homepage. Dash.clevelandart.org will take you directly to the dashboard web page. ### About the Cleveland Museum of Art The Cleveland Museum of Art is renowned for the quality and breadth of its collection, which includes almost 45,000 objects and spans 6,000 years of achievement in the arts. The museum is a significant international forum for exhibitions, scholarship, performing arts and art education and recently completed an ambitious, multi-phase renovation and expansion project across its campus. One of the top comprehensive art museums in the nation and free of charge to all, the Cleveland Museum of Art is located in the dynamic University Circle neighborhood. The Cleveland Museum of Art is supported by a broad range of individuals, foundations and businesses in Cleveland and Northeast Ohio. The museum is generously funded by Cuyahoga County residents through Cuyahoga Arts and Culture. Additional support comes from the Ohio Arts Council, which helps fund the museum with state tax dollars to encourage economic growth, educational excellence and cultural enrichment for all Ohioans. For more information about the museum, its holdings, programs and events, call 888-CMA-0033 or visit www.ClevelandArt.org.

Image courtesy of Local Projects

Gallery One, a unique, interactive gallery that blends art, interpretation and technology, opened in January 2013. Visitors to Gallery One will discover new ways of interpreting the museum’s world-class collection through a variety of activities, including innovative technology such as the Collection Wall, the largest multi-touch screen in the United States, which displays all of the works of art in the permanent collection currently on view in the museum. Works from the permanent collection in the gallery encourages visitors to see and experience the actual objects while they utilize the technology as a tool to discover them on a whole new level. Gallery One is comprised of three major areas: • Studio Play –This bright and colorful space offers the museum’s youngest visitors and their families a chance to play and learn about art. Highlights include a shared interface (35” x 64” multi-touch microtile wall) which allows visitors to draw, and then matches their drawings with works of art; a shadow puppet theater where silhouettes of objects can be used as “actors” in plays; mobile and sculpture building stations where visitors can create their own

collection”. Before concluding our journey through the CMA and its interactive creatures, I like to mention a short list of worldwide museums who took the CMA as an example: the National Museum of Qatar, the Royal Collections and the Science Museum in London, the University of Cambridge (UK), the American Museum of Natural History, the Metropolitan Museum of Art in New York City, the J. Paul Getty Museum in Los Angeles, and 50 other museums in the world. It is interesting and disappointing that among them does not appear any Italian cultural organization. Some considerations on this first concrete example of Cultural Smart Grid: the first is related to the adjective Smart, which indicates a process that encourages, helps and supports our daily life, makes it more easy or simple; and the second is related to the concept for happiness, attainable through knowledge, without prejudice. Ultimately, the technology must not only be an object to buy or own, but it must be something to be experienced in person, fearless.


FEATURES

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Efficienza energetica: uno studio ne analizza le caratteristiche Alessandro Seregni

Vantaggi e necessità. Sono forse questi i motori più potenti che stanno alla base dell’adozione di politiche di efficienza energetica. In Europa si è cominciato a parlare di efficienza energetica a seguito dello choc petrolifero del 1973, quando i Paesi industrializzati e i loro abitanti scoprirono – nel modo più diretto e improvviso – che l’energia (e la sua principale fonte, il petrolio) non era né così abbondante né così sicura né così a buon mercato come avevano sempre creduto. Un episodio che fece sentire le società dell’epoca un po’ più deboli e vulnerabili. Come reazione, l’allora Comunità europea stilò un documento in cui, oltre al varo di una strategia energetica comune, si auspicava anche un uso “più razionale ed efficiente dell’energia” in maniera da arrivare a una sempre minore dipendenza dalle fonti fossili ed essere al riparo dalle turbolenze politiche delle zone del mondo da cui provenivano in maggior quantità. Già all’epoca, al concetto di efficienza era stato affiancato anche il tema della ricerca di fonti energetiche alternative in grado di ridurre l’incidenza del petrolio nel mix energetico (sebbene nel 1973 si pensasse soprattutto all’opzione nucleare). Si trattava, comunque, di un nuovo approccio

alla politica energetica, in particolare per realtà come il nostro Paese, energeticamente povere di fonti fossili e, pertanto, fortemente legate all’approvvigionamento dall’estero, con tutte le conseguenze negative che questo comporta sia a livello economico (di costo dell’energia) sia politico-strategico. Dal documento del 1973 sono passati più di quaranta anni. Anni in cui l’interesse per il tema dell’efficienza energetica non è cresciuto in maniera costante. Per molto tempo sopito, ha ripreso forza e vigore solo negli anni Duemila, quando un soggetto politicamente più coerente come l’Unione europea (almeno rispetto alla CEE degli anni Settanta) ha deciso di puntarvi in maniera netta, ponendo ai suoi membri degli obiettivi via via più ambiziosi. Nel frattempo, fattori come l’incertezza sulle riserve petrolifere e le nazioni che le detengono in maggiore quantità, la consapevolezza che i combustibili fossili non potranno sostenere e soddisfare la crescente domanda energetica futura, gli allarmi sull’inquinamento e il climate change, oltre alla crescita dei prezzi per l’energia, hanno condotto a prendere provvedimenti di una certa forza. La politica europea del 20-20-20 con lo specifico obiettivo da parte dei governi ad arrivare a un 20% di risparmio energetico


FEATURES

ne è un chiaro esempio. Temi di estrema attualità messi a fuoco da uno studio promosso dalla Fondazione EnergyLab e pubblicato da Ediplan Editrice. In particolare la ricerca si concentra sull’Italia, evidenziando la necessità che il nostro Paese ha di puntare sull’efficienza energetica. “L’attenzione europea al tema dell’efficienza – afferma il professor Luigi De Paoli, coordinatore dello studio – non poteva non riverberarsi anche sulla politica energetica nazionale”. Non a caso “la SEN (Strategia Energetica Nazionale) – continua De Paoli – che costituisce il primo documento onnicomprensivo di politica energetica approvato da un governo italiano dopo 25 anni, ha messo al primo posto tra le sette priorità d’azione proprio l’efficienza energetica”. L’Italia ha, infatti, una dipendenza energetica dall’estero tra le maggiori al mondo, con oltre l’85% di approvvigionamento (di gas, petrolio e anche elettricità) con l’aggravante di un problema di sicurezza degli approvvigionamenti e di bilanciamenti economici con altri Paesi.
Come spiega Silvio Bosetti, direttore generale della Fondazione EnergyLab “la situazione è strutturale e inconsueta, fonte delle ben note ripercussioni economiche e sociali, non facilmente

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mitigabili. Un’anomalia che assume aspetti anche grotteschi”. Quindi “importiamo elettricità dall’estero pur avendo il doppio di potenza installata rispetto al fabbisogno; abbiamo gli impianti termoelettrici con le tecnologie più performanti del mondo ma li facciamo funzionare la metà delle ore; abbiamo riempito ampi spazi di terreni con il fotovoltaico (come nessuno al mondo) ma riversando sulle utenze domestiche i costi ingenti per remunerare gli investimenti, cioè importazioni di tecnologie straniere”. Inoltre, “le nostre imprese pagano l’energia elettrica il 30% in più della media europea pur avendo la possibilità di scegliere un mercato dei fornitori competitivo e ampio; abbiamo i costi altissimi ma siamo oltretutto permanentemente aggravati da una fiscalità oppressiva sui prodotti energetici, a cominciare dai carburanti; non si riesce a tirare su nuovi tralicci anche se la rete di trasporto elettrico non consente di far circolare meglio l’energia e non collega alcune zone del Paese”. Dunque è tanto necessario quanto vantaggioso perseguire gli obiettivi dell’efficienza energetica per i benefici che può apportare a diversi livelli. A partire dall’ambiente, per passare alle imprese e alle famiglie, fino ad arrivare alla qualità di vita e alla crescita economica e sociale.


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Il volume collettaneo rispecchia l’approccio multidisciplinare dei Laboratori di EnergyLab, incontro di differenti culture universitarie, frutto dell’unione di ricercatori provenienti dalle 5 Università milanesi e da RSE. Lo studio si apre con un capitolo dedicato all’analisi dei consumi energetici italiani e agli obiettivi di risparmio energetico presentati nei documenti ufficiali. Il secondo capitolo esamina il quadro giuridico e istituzionale riguardante l’efficienza energetica. Il terzo capitolo, invece, è dedicato agli strumenti d’incentivazione e di finanziamento degli interventi di efficienza energetica. Il capitolo quarto si concentra su efficienza energetica e teleriscaldamento mentre quello successivo approfondisce un aspetto centrale dell’efficienza energetica nell’edilizia, vale a dire quello della riqualificazione degli edifici esistenti e della realizzazione di nuovi edifici a “energia quasi zero”. Nel capitolo sei si analizzano i modelli di finanziamento e policy pubbliche per l’efficienza energetica negli edifici. Nel settimo si discute come la rigenerazione urbana possa essere motore anche di sviluppo economico e sociale. L’ottavo capitolo si focalizza sull’importanza degli interventi di efficienza energetica nei processi industriali e il nono, molto più tecnico, fa un’ampia ricognizione delle tecnologie disponibili per rendere più efficienti i processi di trasformazione e uso dell’energia, riducendo ad esempio le dispersioni termiche. Il volume, variegato per le tematiche affrontate, si propone come uno strumento utile anche per chi è chiamato a compiere le scelte dei prossimi mesi: l’introduzione delle norme, le valutazioni sulle misure degli incentivi o degli obblighi, le decisioni su dove e come investire per contenere i consumi, gli orientamenti di mercato per chi vuole offrire i propri prodotti o servizi, gli strumenti per valutare la redditività finanziaria e le garanzie di ritorno di capitali investiti, le caratterizzazioni di processi virtuosi che aumentino l’imprenditoria e l’occupazione. Lo studio, pubblicato da Ediplan Editrice in versione cartacea e digitale, è disponibile sulle principali librerie on-line.

Efficienza energetica: governance, strumenti e mercato


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RIDUZIONE DELLE EMISSIONI CLIMALTERANTI E OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO DEL SETTORE

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’Impronta di Carbonio rappresenta l’ammontare delle emissioni di CO2 attribuibili a un prodotto, a un’organizzazione o a un individuo. Nelle realtà produttive, viene identificato l’impatto che le diverse attività hanno sul “cambiamento climatico” di origine antropica. Il valore di Carbon footprint è espresso in termini di kg di “CO2e” (“CO2 equivalente”) e viene rapportato a un’unità funzionale di prodotto. Il calcolo della Carbon footprint (CF) comprende la quantificazione delle emissioni di gas a effetto serra (GHG) lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento finale. La quantificazione della CF può essere effettuata sulla base di diversi standard riconosciuti a livello nazionale o internazionale. Nel caso affrontato in questo

articolo l’analisi riguarda il vino Frascati D.O.C., l’unità funzionale è la bottiglia, della tipologia “bordolese”, da 0,75 litri. Per il Frascati D.O.C. Cantine San Marco, il calcolo è stato effettuato seguendo il nuovo riferimento normativo univoco a livello internazionale: la ISO 14067. I risultati dello studio sono stati verificati da IMQ, che ha provveduto a emettere l’attestato di conformità alla norma (tra i primi di questo tipo in Italia per i prodotti vitivinicoli). Il progetto ha consentito di effettuare l’inventario, la quantificazione, l’analisi e la valutazione di tutte le emissioni di CO2 equivalente riconducibili al prodotto, in ciascuna fase del suo ciclo di vita (coltivazione, produzione, trasporto, uso e fine-vita) e per ogni singola attività a esso collegata. Quale esito della Carbon footprint, Cantine San Marco ha elaborato,

*Esperto di Politiche Ambientali, APRIambiente S.r.l., e Cultore della materia “Politica Economica Europea” presso la L.U.I.S.S. – Guido Carli


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L’IMPRONTA DI CARBONIO DEL VINO Guglielmo Mazzarelli*

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sulla base di apposite valutazioni di fattibilità tecnica ed economica, un programma di intervento contenente le misure da attuare, nel breve e nel medio periodo, per la riduzione delle emissioni nell’intero ciclo di vita del Frascati D.O.C. Inoltre sono state anche individuate alcune misure per la neutralizzazione delle emissioni residue e, in particolare, possibili interventi compensativi su scala locale e nazionale. L’inventario delle emissioni ha rappresentato un’operazione complessa, poiché ha implicato il controllo dell’intero sistema vitivinicolo facente capo alle Cantine San Marco e le attività in esso svolte. Le emissioni rendicontate, oltre alla CO2 stessa, sono state quelle dei gas climalteranti, i GHG (ad esempio, i gas utilizzati per la refrigerazione industriale); le emissioni sono state, poi, riportate in termini di CO2 equivalente. Oltre agli impatti relativi al processo, per la stima dell’impronta di carbonio sono stati disaggregati, a livello di prodotto, i dati riguardanti: • gli impatti e i consumi relativi all’energia elettrica importata nel sistema; • gli impatti e i consumi relativi al sistema dei trasporti; • gli impatti e i consumi relativi al sistema di smaltimento dei rifiuti prodotti.

più ampi per la riduzione delle emissioni si riscontrino nei seguenti ambiti di attività aziendale: • il packaging, con particolare riferimento al contenitore in vetro; • la refrigerazione industriale; • la distribuzione, in particolare verso l’esportazione (l’80% delle quantità di vino annualmente movimentate); • il sistema di trasporti da e verso lo stabilimento di produzione.

Le misure per la riduzione delle emissioni Il calcolo dell’impronta di carbonio ha costituito l’occasione per identificare, all’interno del ciclo di vita del Frascati D.O.C., le attività, interne ed esterne allo stabilimento, sulle quali è comparativamente più utile intervenire per ridurre le emissioni complessive. Le implicazioni tecniche ed economiche collegate alla realizzazione delle misure selezionate sono state dettagliatamente analizzate e descritte all’interno di specifici report. Le analisi di sostenibilità hanno costituito la base informativa necessaria all’elaborazione di un programma pluriennale di riduzione dell’impronta ambientale del Frascati D.O.C., che comprende le seguenti azioni: a) il recupero delle bottiglie per il riutilizzo nel processo produttivo (“riuso”); L’impronta di carbonio b) l’adeguamento della refrigerazione del Frascati D.O.C. industriale, tramite la sostituzione dei Le emissioni generate derivano in gruppi frigoriferi; grandissima parte dall’utilizzo dei prodotti c) l’impiego di mezzi ad emissioni ridotte e dalle attività al di fuori dei confini per la distribuzione in ambito locale; aziendali. Risulta di tutta evidenza che la d) l’elaborazione di criteri ambientali di gran parte delle emissioni (il 36% circa) è selezione dei fornitori e dei trasportatori inerente il packaging, escluso il trasporto incaricati della distribuzione del prodotto; dei diversi materiali per l’imbottigliamento e) la progressiva sostituzione di taluni e l’imballaggio (5,4%). Oltre l’80% delle materiali di packaging e imballo (cartoni, emissioni collegate al packaging (sempre etichette, etc.) con materiali a basso escludendo il trasporto dei materiali) deriva, impatto ambientale; invece, dall’utilizzo del vetro. f) la previsione di interventi per la riduzione I risultati conseguiti tramite l’analisi di dei consumi energetici nel processo sensibilità indicano come i margini di azione produttivo.


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L’applicazione di questo mix di azioni consentirà di ridurre gradualmente le emissioni e, contestualmente, di migliorare i processi produttivi e distributivi nel ciclo di vita del Frascati D.O.C. Nel primo anno di attuazione del piano, si prevede di tagliare le emissioni di circa il 4% rispetto alla baseline del 2012. Un ambito particolarmente sensibile per la riduzione delle emissioni: il vetro Il ciclo di produzione, utilizzo e smaltimento del contenitore in vetro rappresenta la parte quantitativamente preponderante della footprint del vino e, più in generale, di molti prodotti food&beverage. Le bottiglie di vetro sono, infatti, utilizzate dalla stragrande maggioranza delle industrie per contenere molte bevande e, in particolare, il vino e la birra, ma anche l’olio alimentare, le conserve, etc. Per avere una misura sufficientemente attendibile dell’impatto ambientale, occorre considerare che, nell’anno 2012, sono state controllate e certificate 176 denominazioni (131 doc e 46 docg), corrispondenti al 60 per cento della produzione italiana, 41 vini igt e bio per un totale di 1.224.234.800 bottiglie di vino da 0,75 litri.. Si può facilmente immaginare l’incidenza che il riuso dei contenitori, ove costituisse una pratica estesa, avrebbe in termini di minori emissioni in atmosfera e quindi, di miglioramento dell’impronta ambientale. Il riuso costituisce di per sé un’innovazione così semplice che, probabilmente, non dovrebbe nemmeno essere considerata tale, visto che non richiede alcun cambiamento sostanziale nei processi produttivi e organizzativi, salvo qualche limitato aggiustamento nei sistemi di fornitura e di controllo qualità. Il classico “uovo di colombo”, dunque, che consentirebbe a decine di migliaia di produttori di vino italiani di ridurre tra il 30 e il 40 per cento i costi di approvvigionamento del vetro e di evitare

di emettere (salvo calcolare nel dettaglio alcune emissioni “aggiuntive” derivanti dai processi di recupero, lavaggio e sterilizzazione dei contenitori per il riuso) 0,890 tonnellate di CO2equivalente per tonnellata di prodotto (Fonte: Ecoinvent; Defra, UK). Comparativamente, il riuso del vetro potrebbe dar luogo a un risparmio in termini di emissioni ben superiore rispetto a quello che si otterrebbe dall’impiego di contenitori realizzati con vetro riciclato. Ciononostante, ancora oggi il riutilizzo dei contenitori in vetro incontra in Italia molte resistenze e viene ostacolato dalla mancanza di una seria politica di sensibilizzazione e, soprattutto, dall’assenza di un sistema di raccolta efficace, che sia cioè in grado di far ritornare indietro le bottiglie ai produttori di vino, birra o altre bevande e prodotti per chiudere il cerchio. Così, quando le bottiglie non finiscono direttamente in discarica, al più vengono riciclate, ossia subiscono un processo di frantumazione per essere utilizzabili di nuovo dai produttori di vetro, che possono evitare in tal modo di utilizzare una certa quantità di materiale vergine, ma non possono certo fare a meno di reimmettere il vetro nel processo, comunque emissivo, di fusione e trasformazione per creare nuove bottiglie o altri nuovi e differenti prodotti. Secondo quanto mostrato da diversi studi, la bottiglia di vetro riusato presenterebbe una minore impronta di carbonio anche rispetto ad altri contenitori, quali ad esempio il PET e il Tetra Pak, pur conteggiando nel calcolo della carbon footprint l’energia utilizzata per lavare e sterilizzare le bottiglie. Le misure per la neutralizzazione delle emissioni residue Oltre all’individuazione delle misure per la riduzione delle emissioni, con il progetto San Marco Carbon Footprint è stata anche valutata la fattibilità di eventuali


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azioni che possano consentire al Frascati D.O.C. il raggiungimento della cosiddetta “Carbon neutrality”. Tramite il principio della “compensazione”, le emissioni che non possono essere evitate in un determinato luogo o durante un determinato processo possono essere ridotte in un altro luogo della terra o annullate, appunto tramite interventi compensativi. A livello atmosferico, infatti, i gas serra si distribuiscono in modo uniforme, e quindi non è rilevante dove o come questi gas siano effettivamente rilasciati o assorbiti. Le azioni identificate all’interno della strategia di neutralizzazione per il Frascati D.O.C. sono state valutate sulla base della fattibilità economica e della comparazione tra costi e benefici delle stesse. In particolare, è stato individuato un possibile mix di azioni per creare un “portafoglio compensativo aziendale”, nell’ambito di due strategie improntate all’efficacia e alla trasparenza delle azioni di neutralizzazione: 1. l’acquisto di crediti di CO2 sul mercato regolamentato e/o su quello volontario; 2. le azioni compensative di piantumazione su scala locale e nazionale. Tali interventi sono, comunque, considerati in subordine rispetto agli interventi volti direttamente alla riduzione delle emissioni.


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I vantaggi commerciali derivanti dalla Carbon Footprint Il caso delle Cantine San Marco riveste un significativo interesse per il settore vitivinicolo italiano, che costituisce da qualche tempo un campo privilegiato di sperimentazione per la valutazione dell’impronta ambientale. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) coordina diversi programmi e progetti per la valutazione dell’Impronta Ambientale della filiera vitevino. Nell’ultimo triennio, il MATTM ha fornito a imprese grandi, medie e piccole, in autofinanziamento ovvero tramite bandi pubblici, un quadro metodologico e operativo. La possibilità di esporre in etichetta la carbon footprint rappresenta, infatti, un notevole vantaggio competitivo, soprattutto per le realtà produttive che esportano o che intendono esportare i propri prodotti in mercati ambientalmente

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FEATURES

consapevoli, quali ad esempio quelli Nord Europa. Gran Bretagna, Germania, Danimarca e altri Paesi attribuiscono, infatti, un elevato valore alla carbon footprint. Basti pensare che, nel 2010, in Gran Bretagna 9 famiglie su 10 hanno acquistato prodotti con l’etichettatura di carbonio. Sempre in Gran Bretagna, nello stesso anno, le vendite dei prodotti con etichettatura di carbonio hanno superato i 3 miliardi di dollari. Gli operatori della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) si stanno orientando decisamente verso programmi di sostenibilità che premiano, anche in termini di presenza nelle proprie reti di vendita, i prodotti in possesso di impronta di carbonio calcolata secondo i più rigorosi standard internazionali. In Gran Bretagna, ad esempio, il più grande operatore della GDO applica già a un numero rilevante e crescente di prodotti a marchio proprio (es.: pasta, succo

d’arancia, etc.) l’etichettatura di carbonio. Evidentemente, la tendenza dei distributori inglesi, come quella di molti altri grandi o piccoli distributori in Europa e nel mondo, è di inserire proprio l’impronta di carbonio tra gli elementi di qualificazione dei produttori e di selezione dei prodotti da esporre sugli scaffali. L’industria vitivinicola italiana e, in generale, le imprese operanti in tutti i settori dovranno necessariamente fare i conti con il crescente interesse dei consumatori e dei distributori verso l’impronta ambientale. Per rispondere a tale interesse, le filiere produttive dovranno attrezzarsi adeguatamente, promuovendo la diffusione delle conoscenze e l’adozione, in collaborazione con il settore pubblico, di modalità e strumenti appropriati per fare in modo che gli operatori possano comunicare informazioni oggettive, confrontabili e credibili relative alla prestazione ambientale dei propri prodotti.

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E015: scambio di beni e servizi, dall’Expo per il futuro Tra le iniziative dell’EXPO 2015 l’ecosistema digital E015, un’interessante piattaforma costruita per testare le soluzioni software integrate delle imprese a favore dei cittadini, basata su principi di competitività, non discriminazione e concorrenza. Un progetto nato dalla collaborazione tra la società Expo 2015 SpA e Confindustria, CCIAA di Milano, Confcommercio, Assolombarda e Unione del Commercio, con il coordinamento tecnicoscientifico di CEFRIEL - Politecnico di Milano, con l’obiettivo di rimanere un servizio di scambio tra offerta e domanda di beni e servizi, anche per gli anni successivi. Le imprese si possono registrare sottoscrivendo il contratto di adesione al

sistema di cooperazione e mettere a disposizione le proprie funzionalità o i propri contenuti; ciò nel rispetto delle linee guida predisposte dal digital ecosystem e con la supervisione delle attività di esposizione dei servizi o di realizzazione di applicazioni da parte di un Technical Management Board operativo. Le aziende hanno, infatti, la possibilità o di esporre o utilizzare servizi su un piano B2B, per costruire applicazioni e passare, così, al B2C. Per ogni servizio la piattaforma mette a disposizione informazioni di carattere generale, la policy di utilizzo (ovvero condizioni di utilizzo che dovranno rispettare le future applicazioni realizzate per sfruttare le funzionalità del

servizio stesso) e alcune informazioni tecniche, visibili ai soli soggetti aderenti. Fino ad ora sono stati esposti servizi e create conseguenti applicazioni soprattutto per le aree dell’Info-mobilità e del Turismo integrato. Per diffondere la presa di coscienza delle opportunità che regala il sistema è stato organizzato un Road Show che prevede una serie di incontri in diverse Camere di Commercio. Nel video un esempio di servizio virtuoso esposto da ATM, Around Me, che permette di conoscere i tempi di attesa dei mezzi di superficie in transito presso la fermata o la linea ATM che viene fornita in input al sistema. Offre inoltre informazioni sull’area circostante la fermata ATM d’interesse.


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Energia pulita dagli infraros grazie agli Emissive Energy Harvesters Secondo uno studio dell’Harvard School of Engineering and Applied Sciences ricavare energia pulita dalle radiazioni a infrarossi, emesse costantemente dalle Terra nello spazio, è possibile. Come spiegato nell’abstract pubblicato sul PNAS, i ricercatori di Harvard si sono cimentati nel creare dispositivi, chiamati EEH (Emissive Energy Harvester) in grado di sfruttare la differenza di temperatura tra il calore emesso dalla Terra e il freddo dello spazio circostante per generare un flusso di energia, una potenza DC (directcurrent). Federico Capasso, che è a capo del gruppo di ricercatori, ha spiegato che alla base della ricerca vi è stato lo studio sulla quantità di emissioni a infrarossi a Lamont, Oklahoma e che il componente resistore potrebbe essere un’antenna microscopica che emette in maniera molto efficiente le

radiazioni a infrarossi della Terra nel cielo, raffreddando gli elettroni solo in quella parte del circuito: si evita con questo processo di dover raffreddare un corpo macroscopico prelevando direttamente corrente elettrica dal processo di radiazione. Il primo dispositivo, macro, sarebbe analogo a un pannello solare termico, che invece di catturare energia dalla luce del sole, sfrutta le radiazioni termiche emanate verso l’alto. Consisterebbe in un corpo piano caldo (alla temperatura della Terra) e in un altro freddo appoggiato sopra quest’ultimo, che è rivolto verso l’alto e che si raffredda emettendo calore nel cielo. La differenza termica tra i due piatti può generare, secondo gli studiosi, qualche watt per metro quadro, di giorno e di notte. Il secondo prototipo di EEH, nano, invece sarebbe più come un pannello fotovoltaico e sfrutterebbe

la differenza di temperatura tra componenti elettronici della nanoscala e la temperatura esterna: il processo funziona come si può vedere nella tabella, confrontando un circuito in cui vi è un equilibrio termico e non viene prodotta energia – componenti elettronici, infatti, posti all’interno di un circuito spingono spontaneamente la corrente in ogni direzione – e quello convenzionale in cui è prodotta grazie al riscaldamento di un oggetto macroscopico. La soluzione pensata dai ricercatori (la terza nel diagramma) è basata sull’uso di un componente come il diodo che sia a temperatura più calda rispetto al resistore, così spingendo la corrente in un’unica direzione e producendo una tensione positiva. Tutto ciò necessita comunque ancora di sviluppi tecnologici, ma questa ricerca ne ha senz’altro individuato direzione ed esigenze.


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Robot dirigono il traffico a Kinshasa, in Congo Robot alti oltre due metri usati come vigili urbani ipertecnologici per dirigere il traffico di una delle metropoli più popolose della terra. L’idea non è uscita da un libro o film di fantascienza ma è un progetto reale, già operativo a Kinshasa, la popolosissima capitale della Repubblica Democratica del Congo. Un gruppo di ingegneri congolesi del Institut Supérieur Des Techniques Appliquées (ISTA), in accordo con le autorità cittadine, ha sviluppato questa soluzione per cercare di migliorare la situazione di oltre 10 milioni di abitanti e di un traffico caotico dove i semafori funzionanti sono pochi. Per ora due prototipi (uno più rudimentale e l’altro più sofisticato) si trovano agli incroci fra strade ad alto livello di percorrenza

come Asosa, Huileriese e Patrice Lubumba. E ce ne sarebbero altri 600 da tenere sotto controllo. I vigili urbani meccanici sono fatti in alluminio ed equipaggiati con 4 fotocamere in grado di monitorare i flussi veicolari e pedonali e di comunicare alla centrale della polizia stradale le eventuali infrazioni. Pannelli solari catturano l’energia che permette di accendere le luci rosse e verdi situate nel torace del robot, di far ruotare il suo torso e muovere le braccia meccaniche simulando il movimento di un uomo. Inoltre, un sistema di rilevazione della presenza di pedoni in attesa agli incroci facilita la regolazione del loro passaggio e ne aumenta la sicurezza quando si tratta di attraversare i grandi viali iper-trafficati.

I primi feedback sono positivi tanto a livello di autorità come a livello di cittadinanza che spesso si trova a che fare con vigili urbani, in certi casi, inclini alla corruzione e pronti a esercitare piccole estorsioni. L’idea, a un primo sguardo molto pittoresca per la forma che ricorda robot da b-movie, potrebbe in realtà diventare un’interessante soluzione per la mobilità delle metropoli di tutto il mondo, non solo africane. Il team di sviluppatori (partito da un piccolo laboratorio con nessun finanziamento alle spalle) ha partecipato a fiere internazionali dell’automazione per promuovere e presentare l’invenzione. Il costo di una di queste macchine si aggirerebbe intorno ai 10 mila euro.


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Isola di Eigg: minuscola e isolata ma ricca di fonti rinnovabili Dopo un percorso di 10 anni, nel Febbraio del 2008 l’isola di Eigg ha dato il via al suo progetto di elettrificazione, per una fornitura di energia, 24 ore su 24, basata sull’integrazione di più fonti rinnovabili (idroelettriche, eoliche e solari) nella rete. Il primo step è rappresentato, nel 1997, dall’acquisto della piccola isola (parte dell’arcipelago delle Isole Ebridi interne al largo della costa occidentale della Scozia) da parte dei suoi abitanti; successivamente dallo sviluppo del sistema di fornitura elettrica alternativo grazie a finanziamenti provenienti dall’Unione Europea e da altre fonti tra cui la lotteria nazionale della Gran Bretagna, programmi del governo scozzese, del Governo locale e regionale. Il sistema è dotato di un grande generatore idroelettrico supportato da due più piccoli, da quattro generatori eolici e alcune

celle solari. L’energia generata è accumulata e distribuita alle abitazioni e agli uffici tramite un cavo sotterraneo lungo 11 km. Due generatori diesel sono stati installati per la fornitura di emergenza e nei periodi di scarsità di fornitura dalle fonti naturali. Il controllo generale è poi affidato a una serie di batterie connesse alla rete di distribuzione dell’isola da alcuni inverters, che garantiscono il flusso di energia elettrica tra questa e le batterie stesse, garantendo un equilibrio tra richiesta e fornitura e gestendo la scorta di energia in modo da mantenere le batterie cariche. Essendo limitata la capacità del sistema, ciascun abitante ha deciso di adattarsi a vivere con un fabbisogno di 5Kw, 10Kw se si tratta di un’impresa di grandi dimensioni; è proprio dall’idea generale di una maggiore attenzione agli sprechi che è nato il progetto di un’isola

green ed energeticamente indipendente dal carburante fossile, da una parte e dai prezzi delle forniture della terraferma dall’altra, decidendo di prevedere per tutti la stessa quantità di energia allo stesso prezzo. Nel gennaio del 2010 l’isola di Eigg si è classificata al primo posto nella competizione promossa dal NESTA (National Endowment for Science, Technology and the Arts) con l’obiettivo di individuare il modo più efficace e innovativo per contrastare il cambiamento climatico. Più del 95% della richiesta energetica dell’isola è soddisfatta da fonti rinnovabili che interagiscono direttamente con la rete distributiva della comunità. Il progetto è seguito dalla Eigg Electric Ltd appositamente creata per costruire e manutenere la rete elettrica dell’isola, società partecipata della più grande Isle of Eigg Heritage Trust.


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Ivanpah SEGS

Ivanpah SEGS (Solar Electric Generating System) è il più grande impianto solare termodinamico del mondo. Situato sull’omonimo lago asciutto nel deserto del Mojave, California è nato grazie alla collaborazione tra Google, NRG Energy e BrightSource Energy, di cui è stata sfruttata la già comprovata tecnologia solare a specchi con torre centrale. A differenza dei sistemi fotovoltaici, le radiazione solari non vengono convertite direttamente in elettricità, ma in calore, con cicli simili a quelli di una centrale termoelettrica. Gli specchi solari, eliostati (circa 350mila) catturano i raggi del sole e li trasferiscono nei serbatoi delle tre torri centrali piene d’acqua. Riscaldando l’acqua delle torri si produce vapore ad alta temperatura, e ciò senza la necessità di bruciare combustibile; il vapore viene trasferito a una turbina convenzionale, per la generazione di elettricità che viene a sua volta trasportata ad abitazioni e aziende. L’ISEGS permette la produzione di elettricità pulita e anche di notte (grazie al processo di accumulo di calore) evita l’emissione di enormi quantità di CO2. Ciò oltre ad avere favorito la creazione di nuovi posti di lavoro, sia nella fase di costruzione dell’impianto sia nella fase di mantenimento dello stesso sia a livello di staff di supporto. Un progetto di poco più di 2 miliardi di dollari che rappresenta un modello durevole di impiego a lungo termine e un beneficio economico locale e nazionale. Il progetto è diventato realtà pochi mesi fa; si estende per 13 km quadrati ed è in grado di fornire elettricità a oltre 140,000 abitazioni, con una capacità di 377 megawatt.


FOTONOTIZIA

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Helsinki Smart City Francesca Cipollone

Helsinki, Smart City premiata nel IBM’s Smarter Cities™ Challenge nel 2011 è, secondo lo studio della Commissione ITRE del Parlamento Europeo, tra le città che hanno raggiunto i risultati più ragguardevoli. La città ha puntato maggiormente sull’apertura di un dialogo tra pubblica amministrazione e cittadini grazie all’implementazione di progetti che diffondono informazioni e dati pubblici alla comunità urbana e ponendo alla base di tali iniziative l’utilizzo di tecnologie e spesso del crowdsourcing. I molteplici progetti per fornire servizi e innovare il tessuto urbano sono stati sviluppati dal Forum Virium Helsinki, in collaborazione con la città di Helsinki, altre associazioni del settore pubblico e i residenti. Helsinki, all’interno della Smart City’s Project

Area, vuole sviluppare servizi digitali per migliorare la qualità di vita che rendano più semplice muoversi e vivere la metropoli, servizi che si esplicano attraverso dispositivi e attraverso le tecnologie che sono abitualmente utilizzate nella vita di tutti i giorni, le ubiquitous technologies. Importante in questo ambito lo sviluppo della Traffic Information Platform, un sistema di collezione e distribuzione di dati sul traffico che permettono di conoscerne l’andamento, gli incidenti che possono bloccarlo, il livello dell’acqua sulle strade e attraverso app, la possibilità di richiedere interventi o scoprire il tempo necessario per raggiungere un determinato punto della città; la piattaforma, sviluppata da Destia Traffic, ha creato l’occasione per la vendita dei prodotti di informazione sul traffico alla Scandinavia e


SMART CITY

ai Paesi Baltici. Ciò che forse più rende smart Helsinki è il progetto Smart Urban Spaces: un insieme di servizi basati sull’utilizzo di tecnologie Near Field (NFC), ovvero capaci di fornire servizi nelle modalità più semplici, usufruibili con un semplice tocco, per facilitare la vita metropolitana, sia per i turisti che per i cittadini. All’interno di questi, interessante la Helsinki Region TravelCard, uno smart badge, capace di svolgere la funzione di carta di identità, food voucher e abbonamento ai mezzi pubblici, già testata come pass per accedere alla gara, in occasione dell’European Sailing Championships. La città di Helsinki ha cercato anche nuovi modi per supportare gli sviluppatori con il programma Helsinki Loves Developers,

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all’interno del quale rientra Open Helsinki Hack at Home, lanciato nel giugno 2013 per incoraggiare gli sviluppatori a creare applicazioni utili, servendosi degli open data messi a disposizione per mettere a punto servizi digitali per i cittadini. Con questo programma insieme ad altri, la città si muove sul piano della trasparenza degli organi decisori attraverso gli open data; in quest’ambito, tra l’altro, Helsinki è stata premiata dalla Commissione Europea con l’European Prize for Innovation In Public Administration del 2013. Molte altre le iniziative intelligenti sviluppate dal Forum Virium Helsinki rivolte all’integrazione della vita del cittadino con il contesto urbano attraverso condivisione di dati e servizi urbani digitali, fruibili da dispositivi mobili.


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Fuel poverty. Un fenomeno tanto diffuso ma in Italia poco considerato Alessandro Seregni


FUEL POVERTY

Non riuscire a pagare le bollette energetiche o dover impiegare una quantità consistente delle proprie entrate mensili per saldarle, essere costretti a vivere in abitazioni mal riscaldate e poco illuminate per risparmiare sulle utenze, avere le forniture di luce, gas e riscaldamento tagliate per morosità... Queste sono alcune delle caratteristiche che fanno rientrare all’interno di una condizione di “fuel poverty”. Tuttavia, nonostante i contorni del fenomeno

siano chiari, non esiste una definizione univoca e condivisa a livello internazionale della Fuel Poverty. In Gran Bretagna, per esempio, l’hanno modificata l’anno scorso. Fino all’agosto del 2013 una famiglia si trovava in una condizione di fuel poverty quando spendeva “più del 10% del proprio reddito disponibile per i propri bisogni di energia, compreso l’utilizzo degli elettrodomestici, e per dotare la propria abitazione

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di un sufficiente livello di comfort e di salubrità”. Oggi un nucleo familiare rientra nella condizione di fuel poverty se spende per l’energia una cifra superiore alla media nazionale e se ciò che le rimane in tasca dopo il pagamento delle bollette la pone sotto la soglia ufficiale di povertà. Un cambio di prospettiva che ha generato polemiche. Gli oppositori al governo Cameron e alcune associazioni di volontariato, che si occupano delle fasce più deboli della


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popolazione, hanno criticato le conseguenze provocate dalla nuova definizione e dalla revisione dei sistemi di calcolo. Molte famiglie, infatti, pur spendendo una parte rilevante dei loro guadagni in riscaldamento (fino al 30%), non rientrano nella soglia di povertà per pochissime sterline. Con impatto negativo sulla possibilità di accedere ad aiuti e sussidi pubblici, ma positivo sulle percentuali di famiglie in condizione di fuel poverty (diminute rispetto agli anni passati). Appare evidente come il Regno Unito sia la nazione in cui il fenomeno non è solo studiato e attentamente monitorato, ma anche duramente contrastato con apposite politiche. Sono, infatti, numerosi gli interventi che enti pubblici e privati, nazionali e locali, realizzano annualmente per lottare

contro questo problema sociale. Da un’indagine dell’Istituto di Ricerca YouGov, del 2011, era emerso un dato preoccupante: oltre 6 milioni di famiglie, circa il 24% della popolazione britannica, non riuscivano a riscaldare adeguatamente le proprie abitazioni. I dati raccolti dal National Energy Action (NEA) dopo la ri-definizione del fenomeno, parlano di 4,5 milioni di famiglie in tutto il Regno Unito. Limitando l’analisi alla sola Inghilterra, un report pubblicato nell’agosto del 2013 dal Department of Energy & Climate Change, stima in 2 milioni e 400 mila le famiglie che vivono situazioni di fuel poverty. Da noi, in Italia, non esistono dati precisi. Sappiamo però che le persone “povere” o “a rischio” di povertà continuano ad aumentare in numero.

Congiuntura economica globale che s’innesta su una situazione economica italiana già indebolita, perdita del posto di lavoro e difficoltà ad accedervi, stretta creditizia e aumento dei beni di consumo sono i principali responsabili di questa continua discesa verso il basso di quella che un tempo era la classe media. Secondo i dati ISTAT, nel 2012 il 12,7% delle famiglie (3 milioni e 200 mila) poteva definirsi relativamente povero mentre il 6,8% lo era in termini assoluti (quasi 2 milioni). Numeri che sono cresciuti rispetto agli anni precedenti di oltre un punto percentuale. Tra il 2011 e il 2012 è aumentata sia l’incidenza della cosiddetta povertà relativa (dall’11,1% al 12,7%) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2% al 6,8%), al nord, al


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centro come al sud d’Italia. Tuttavia, non esiste un’azione a livello nazionale (ma nemmeno locale) di una certa forza e coerenza in grado di mettere a fuoco il problema e la sua dimensione e di porre in essere azioni di contrasto. L’Europa, dopo alcune indagini, a livello di gruppi di Paesi, ha dato vita nel 2011 al Fuel Poverty Network, che ha come obiettivi porre attenzione e far crescere la consapevolezza intorno a questo problema a livello comunitario. Ma come si interviene per superare o almeno ridurre la gravità del fenomeno? Sicuramente non ci si può fermare ai sussidi in denaro erogati da enti pubblici o ad interventi caritatevoli delle singole associazioni di volontariato. Misure di questo tipo possono tamponare e

trovare soluzioni – e solo temporanee – per un numero limitato di casi. Fondamentale, invece, è intervenire in maniera duratura su una delle radici del problema. Se ridurre i prezzi del carburante può essere un’azione troppo complessa da mettere in pratica (per le implicazioni che porta con sé), allora la via migliore è quella di rendere più efficienti le abitazioni. Sostituzione di vecchi infissi, interventi di coibentazione, sostituzioni di caldaie e scaldabagni, installazione di sistemi che sfruttano le energie rinnovabili: una casa che disperde meno è una casa che necessita di meno calore per essere riscaldata (oltre a essere più confortevole e ambientalmente più sostenibile). Torniamo al Regno Unito. Di

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recente il governo scozzese ha stabilito che – per il biennio 2014-2015 – utilizzerà una parte del denaro proveniente dal Home Energy Efficiency Programme for Scotland, per migliorare l’efficienza energetica di appartamenti o edifici di famiglie in difficoltà economica. Si tratta di
un fondo di 60 milioni di sterline (circa 72 milioni di euro) per la maggioir parte a disposizione dei cosiddetti Council (aree amministrative in cui è divisa la Scozia) mentre, per la parte restante, delle autorità locali. L’iniziativa rientra in un programma più ampio di lotta alla fuel poverty che vede proprio nell’efficientamento degli edifici la risposta più seria a questo fenomeno con un piano di finanziamenti di oltre 250 milioni di sterline (circa 298 milioni di euro) da realizzare in tre anni.


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Bloomberg Mayors Challenge 2013-2014 Il Mayors Challenge è una competizione tra i sindaci europei per le soluzioni intelligenti e innovative rivolte al benessere della propria città. Organizzato da Bloomberg Philantropies, l’anno scorso ha coinvolto oltre 300 città degli Stati Uniti, ora tocca all’Europa e sono 155 i sindaci che partecipano. Un’apposita Commissione è stata creata per valutare i piani di cambiamento di 155 città, in 28 Paesi e con la copertura in tutto di 71 milioni di cittadini, che si sono concentrate soprattutto sulle problematiche della disoccupazione e dello spreco di energia, utilizzando in primis tecnologia e metodi di co-creation. La Spagna e la Gran Bretagna sono i Paesi con il maggior numero di città che hanno preso parte al concorso. La competizione è nata con l’idea di creare motivi per voltarsi a guardare ed emulare iniziative virtuose dei colleghi europei e diffondere questa spinta a progetti smart e migliorativi della qualità di vita dei propri cittadini. Il vincitore avrà in premio 5.000.000 euro e un milione di euro per ognuna delle quattro altre città seguenti in ordine di iniziative risolutive idonee. Inoltre la partecipazione, e a maggior ragione la vittoria, permette di entrare in una rete internazionale di città creative che si scambiano soluzioni e affrontano i problemi del nostro secolo insieme, condividendo la propria esperienza virtuosa con le altre. Oltre a essere celebrate attraverso l’Europa e il mondo come leader dell’innovazione. I venti finalisti scelti a breve, dopo la partecipazione a un workshop per rafforzare il proprio progetto, presenteranno la loro idea definitiva a luglio e a ottobre 5 di essi saranno proclamati vincitori.


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Network auto alimentati? La rete di telecomunicazione cellulare consuma, divora considerevoli quantità di energia, questo è un problema molto sentito soprattutto nei paesi poveri, dove il consumo elettrico è strettamente collegato con quello di petrolio. La produzione di energia, in questi paesi, non solo è inquinante ma obsoleta, poco sostenibile sul medio/lungo periodo, non essendolo già ora è impensabile procrastinare interventi a sostegno e risolutivi. Harpreet Dhillon, posto alla University of Southern California, ha ipotizzato e costruito un modello di auto alimentazione basato su un sistema chiamato small cells (piccole cellule) che provvederanno a generare energia per i futuri network di comunicazione. Al momento è tutto in fase teorica, sperimentale, che richiede ancora una dimostrazione pratica, ma solo il fatto che funzioni è di per sé importante. In un futuro molto vicino, dove la comunicazione veloce e la condivisione dati sarà alla base delle prossime smart extended city grid, in cui metropoli e abitanti saranno totalmente connessi, in un unicum organico e funzionale, l’approvvigionamento e lo stoc-

caggio dell’energia sarà fondamentale per il mantenimento dei nuovi standard. Il nuovo sistema, teorizzato da Dhillon e Samsung, porterà a un minor consumo energetico, e quindi una maggiore efficienza dei network comunicativi. Jeff Reed, della Virginia Tech, conferma la validità del nuovo processo energetico: “Uno degli ostacoli principali alla creazione di comunicazioni moderne, veloci nei paesi emergenti è la ricerca di una fonte di energia costante. Dhillon ha mostrato, in via teorica, un meccanismo che consente un’alimentazione di rete derivante dalle sole energie rinnovabili”. È stato stimato che il mantenimento dell’attuale sistema di telecomunicazioni contribuisce circa per 1% della produzione di emissioni di CO2, nei prossimi anni con il continuo aumento delle reti e dei devices collegati, si arriverà ad un incremento pari a tre volte. L’idea di Dhillon avvicinerà un numero crescente di persone a una tecnologia ricaricabile e rinnovabile con pochi watt e renderà le fonti di energia rinnovabili, solare o ventosa, le principali sorgenti cui attingere.


NEWS

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Nuova chimica dalla CO2 Nascono ogni giorno, ogni ora centinaia di start-up, ma solo qualcuna arriva a risultati degni di essere osservati con attenzione, soprattutto in questi mesi di agitazione transnazionale. Una di queste è la Liquid Lights Chemicals di Monmouth, NJ che ha ideato, processato e realizzato un metodo per impiegare la CO2 di scarto in ingredienti base per la produzione di agenti chimici. Un sistema, segreto nei suoi processi centrali, che permette e, sempre più permetterà, di liberarsi dal fossile per la produzione e lo stoccaggio di materie prima plastiche (vedi schema allegato). La compagnia stima che attualmente per produrre 1 tonnellata di agenti chimici servono $600 di combustibile fossile (gas naturale o petrolio), mentre con il nuovo trattamento del rifiuto gassoso il costo

scenda a $125. Circa 1/5 dei costi economici attuali, senza calcolare quelli ambientali, difficili da stimare ma sicuramente incisivi e determinanti nel lungo/lunghissimo periodo. Joel Rosenthal (assistant professor University of Delaware) sostiene che “if they can make ethylene glycol from CO2 with components kinetics and without using a ton of energy, that’s potentially a very big deal”. E molto probabilmente lo sarà, i maggiori partner della nuova azienda del NJ c’è una tra le multinazionali più potenti del pianeta, la BP Ventures. Se una delle “sette sorelle del petrolio” ci crede e investe, significa che la strada aperta ha un importante futuro, per il pianeta azzurro.

La nuova app Android per il Moto360 In estate arriverà il nuovo, atteso e ricercato, mobile devices, la frontiera tra tecnologia e uomo viene spinta un passo avanti verso la completa, costante connessione e condivisione della nostra vita con il mondo che ci circonda. Dopo aver passato il test più importante, il cosiddetto fashion test l’inedito Moto360 entrerà nel nostro quotidiano. Le app definite per lo smart watch includeranno un trip planner e speed-reading email service, quest’ultimo permetterà una veloce prima lettura della posta elettronica e uno stoccaggio in uno speciale folder del proprio smartphone. La creazione di nuove app è conseguente allo studio di una piattaforma dedicata, nella quale Google conta molto, tanto da spingersi a credere che altri produttori di smart watch lo useranno per i propri prodotti. Le prestazioni dello smart watch si estendono anche al recente sviluppo di Google Now con l’integrazio-

ne del voice-driven personal assistant (assistente personale a guida vocale), al contrario di tutti i mobile devices Moto360 non avrà telecamere, come conferma Jim Wicks (team leader designer): “We did not see it as essential”. Un’affermazione coraggiosa e molto impegnativa, in un mondo sempre più selfie, non considerare essenziale la ripresa video è un’ulteriore sfida alle convenzioni. Anche la super tecnologia è, alla fine, convenzionale. Con questo affascinante accessorio la “guerra di posizione” tra Apple e Samsung riprende senza esclusione di colpi, con l’arrivo del Moto360 l’azienda asiatica mette all’angolo il colosso americano. Quale sarà la prossima mossa? Una partita a scacchi lenta e appassionante.


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Credits Photos© Shutterstock Features

1. Un green new deal per le città -----

Photo © greendeal-news.co.uk Photo © solidplatform.co.uk Photo © tropo.co.uk Photo © veganipsum.com

2. Sistemi energetici intelligenti per comunità energetiche -- Photo© wallstreetdaily.com -- Photo © pocketmeta.com

4. Trasformare il verde in oro -- Photo© italianiingiro.co -- Photo © seier+seier+seier

5. Cultural smart grid and social interaction -- Photos © Local Projects -- Photo © David Brichford -- Video © Cleveland Museum of Art

6. L’impronta di carbonio del vino -- Photo © touringclub.com

Highlights 1. E015

-- Video © E015 digitalecosystem -- Photos ©

2. Robot dirigono il traffico a Kinshasa

-- Photo © Junior D. Kannah/AFP/Getty Images

4. Isola di Eigg

-- Video © Ashden -- Photo © Neil Roger

Fotonotizia

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Smart City

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Fuel Poverty -----

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News

La nuova app Android per il Moto 360 -- Photo © moto360.motorola.com


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