Alla ricerca di Buster Keaton

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CINEMA RITROVATO


Cura editoriale Cecilia Cenciarelli, Paola Cristalli Traduzione dall’inglese Gualtiero De Marinis Progetto grafico Lorenzo Osti, Mattia Di Leva per D-sign Impaginazione Caterina Martinelli Laddove non diversamente indicato, tutte le immagini di questo volume provengono dalla collezione privata di Kevin Brownlow. L’editore rimane comunque a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche non identificate. Per la foto tratta da Limelight © Roy Export SAS

© 2009 Edizioni Cineteca di Bologna via Riva di Reno 72 40122 Bologna

www.cinetecadibologna.it


Kevin Brownlow

Alla ricerca di Buster Keaton



INDICE

Introduzione

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Una rivelazione improbabile

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Occhio al ragazzino!

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La stangata

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Mai un momento di noia

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Ecco quel che accadde

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Verso la maturità

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Via di corsa

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Alla grande

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Salto in avanti

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Senza un attimo di tregua

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Piacere e paura

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“Il David W. Griffith del cinema comico”

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Calciando via lo sgabello

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La luce si spegne

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Perle ai porci

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Il peggio deve ancora venire

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La lunga risalita

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Attraverso lo specchio

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Ritorno in prima base

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Come ai vecchi tempi

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Il resto è storia

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Il racconto di Rohauer

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L’ultimo urrĂ

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Volumi citati

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Quando facevamo cinema, noi mangiavamo, dormivamo e sognavamo cinema. Buster Keaton



Introduzione

Questo libro è stato scritto più di vent’anni fa. All’inizio era semplicemente un modo per registrare tutto quello che venivo scoprendo durante la lavorazione di un documentario televisivo in tre parti intitolato Buster Keaton. A Hard Act to Follow, che io e David Gill realizzammo per Thames Television nel 1986. Da allora molte cose sono state scritte sull’argomento e buona parte di queste sono uscite su The Keaton Chronicles, la newsletter promossa dall’associazione Damfinos, conosciuta anche come International Buster Keaton Society. Nel riprendere in mano il mio scritto per questa edizione, ho segnalato alcuni di quei contributi, ma citarli tutti avrebbe voluto dire trasformare questo libro già troppo lungo in una pubblicazione a più volumi. Avrei voluto citare anche le affascinanti scoperte fatte da John Bengtson riguardo ai luoghi in cui Keaton ha girato, ma mi limito a segnalarvi il suo libro, Silent Echoes, uscito nel 1999. Nel frattempo Bengtson ha pubblicato un libro analogo dedicato a Chaplin, Silent Traces, e sta attualmente lavorando su Harold Lloyd. Segnalo inoltre la raccolta di interviste pubblicata da Kevin W. Sweeney in Buster Keaton Interviews, per la University Press of Mississippi. Buster Keaton è una delle figure più note del cinema muto e i suoi film attraggono un pubblico numeroso ed entusiasta. Da oltre sedici anni l’International Buster Keaton Society organizza a Iola, in Kansas (a una decina di chilometri da Piqua, città natia di Keaton), un festival a lui dedicato con omaggi a star come Douglas Fairbanks, Will Rogers e Harry Langdon. Scelta ammirevole, tutti gli appuntamenti del festival sono ad ingresso gratuito e aperti al pubblico. In Inghilterra i Damfinos hanno trovato un loro equivalente nell’associazione di ammiratori di Keaton denominata The Blinking Buzzards. Anche il gruppo Bristol Silent ha contribuito notevolmente alla promozione dell’opera di Keaton mostrando i suoi film durante lo Slapstick Festival, che permette a un nuovo pubblico di scoprire anche altri grandi (e meno grandi) attori comici. L’attore comico Paul Merton organizza delle tournée inglesi dei film di Keaton accompagnati dal pianista Neil Brand.

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Per quanto riguarda gli incassi dei film di Keaton, ho usato i dati proposti da Tom Dardis nel suo Keaton. The Man Who Wouldn’t Lie Down, uscito nel 1989, e di altri, ma come fa notare David Weddle “probabilmente non conosceremo mai i dati reali dei film di Keaton, dal momento che la contabilità a Hollywood è stata sempre una questione di opinioni… Tutti sanno che i gestori di cinema dichiaravano incassi minori, che i distributori facevano lo stesso e che i produttori addomesticavano i bilanci in maniera tale che ne risultasse un profitto minimo, quando non nullo” (David Weddle, Show Us the Money part III, in The Keaton Chronicles, 2006). Possiamo aspettarci in futuro l’uscita di nuove biografie dedicate a Keaton, per questo ho deciso di rendere disponibili le mie ricerche ai loro autori. Ritornare su un proprio lavoro vent’anni dopo comporta alcune difficoltà. Soprattutto la fonte di alcune notizie, acquisite per lo più attraverso conversazioni con testimoni o colleghi, mi si è rivelata talora sfuggente. Il lettore vorrà perdonare se, nel corpo di un apparato di riferimenti che ho cercato di rendere il più preciso possibile, certi dati risulteranno comunque incompleti. Nel 1986 il mio intento era far sì che nulla di quello che mi avevano raccontato le persone che avevano conosciuto Keaton andasse perduto. E lo è ancora oggi. Kevin Brownlow, settembre 2009 p.s. Quando A Hard Act to Follow uscì per la prima volta in DVD, i distributori utilizzarono un master sbagliato, nel quale mancavano le sovrimpressioni con i titoli dei film, i nomi degli intervistati e anche diverse fotografie finali. Posso soltanto scusarmi a nome loro, e assicurarvi che il DVD allegato a questo libro non contiene errori di questo tipo. Personaggi intervistati Buster Keaton, Eleanor Keaton e Bob Rose, Gil Perkins, Rudi Blesh, Donald O’Connor, Bill Cox, Bob Borgen, John Wilson, Marion Mack, Gene Woodward, Grace Matteson, Harold Terry, Ronald Gilstrap, Kieth Fennell, Ivan Currin, William Collier Jr., Dean Riesner, Robert T. Gragg, Harold Goodwin, Frank Dugas, Sam Marx, Jean Delannoy, Claude Autant-Lara, John Montgomery, Eric Cross, Lupita Tovar, Charles Lamont, Jack Cummings, J.J. Cohn, James Karen, Al Rogell, Alexander Salkind, C.H. Schneider, Allen Funt, Billy Wilder, Jerome Medrano, Len Austin, Billy Beck, Dick Hurran, Peggy Mount, Jane Dulo, Jerry Epstein, Raymond Rohauer, Donald O’Connor, Anthony Simmons, Samuel Beckett, Rudy Behlmer, Gerry Potterton, John Spotton, Dick Lester, Mick Dillon, John Gillett, John Sebert. 10


Introduzione

Ringraziamenti Joe Adamson, Richard Bann, Bo Berglund, Lenny Borger, Melody Bunting, Erwin Dumbrille, Joel Goss, Alan Hoffman, Lobster Films, David and Graceann Macleod, Federico Magni, Marion Meade, Glenn Mitchell, Patty Tobias, David B. Pearson, Rajit Sandhu, David Shepard, Patricia Eliot Tobias, Ned Comstock.

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Ăˆ stata una delusione. Pensavo che fosse una persona vivace e creativa. Invece era un tipo qualunque. Nat Perrin, sceneggiatore (Sidewalks of New York) Anni fa, in Germania, caddi in depressione, una questione seria, patologica. Scoprii che davano una rassegna di film di Keaton. Non ne avevo mai visto neanche uno. Mi ripresi completamente. John Wells, attore


UNA RIVELAZIONE IMPROBABILE

Avevamo appena finito Unknown Chaplin e stavamo pensando a un nuovo progetto. Ero a casa a lavorare quando squillò il telefono. Era David e sembrava emozionato. “Che ne diresti di Unknown Keaton?” mi chiese. Saltai subito alla conclusione più ovvia, e gridai: “Vuoi dire che...??” “No, non ci sono giornalieri, mi ha detto che è sicuro di questo”. “Ma almeno home movies?” “Sì, ha tutti gli home movies di Schenck. Cinquecento bobine”. “Sia lodato il cielo”. “E copie di lavorazione”. “Vuoi dire che ci sono sequenze che poi non compaiono nel film?” “In alcuni casi, sì”. Sentii che le ginocchia mi tremavano. “Ma non ha visto riprese con il ciak in campo1. Gli ho detto che avrebbe dovuto mostrarci qualcosa. Che quel che cercavamo erano sequenze inedite, significative e rivelatrici e lui mi ha detto di sì”. La prima cosa che feci fu trascrivere a macchina quella conversazione prima di dimenticarla. Si trattava di certo di un momento storico, almeno per noi. Anche se oltre all’eccitazione nutrivo qualche sospetto. La persona di cui stavamo parlando era Raymond Rohauer. Era piuttosto naturale che, dopo Unknown Chaplin, Rohauer pensasse a un lavoro simile su Keaton, di cui curava i diritti fin dagli anni Cinquanta. Ma dove diavolo aveva trovato questi nuovi materiali? Tante e tante volte avevamo ripetuto a Rohauer: “Se solo Keaton avesse tenuto il girato…”. E altrettante volte lui ci aveva risposto che non era così. Ma la situazione ora sembrava cambiata. Rohauer stava evidentemente per concludere un affare con gli eredi di Joseph M. Schenck, il produttore di Keaton, per l’acquisto di 150.000 metri di ‘filmati privati’, che dovevano contenere anche molto materiale keatoniano. Questo mi lasciava sperare. E

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il fatto che neppure Rohauer li avesse ancora visti aggiungeva qualcosa alle aspettative. Ora, lui doveva soltanto chiudere l’affare con uno degli avvocati più tignosi del mondo: Greg Bautzer. E a noi restava soltanto il compito di negoziare con uno dei più tignosi collezionisti del mondo: Raymond Rohauer. Come al solito, quest’ultimo compito toccò esclusivamente a David Gill. David era un regista televisivo. Lavoravamo insieme dal 1975, da quando Jeremy Isaacs aveva fatto partire la miniserie tv Hollywood. Io temevo che la televisione funzionasse solo come metadone rispetto alla mia vera passione, quella per il cinema muto, ma David era entusiasta quanto me e a volte anche più intransigente. È sempre stato un piacere lavorare con lui. Buster Keaton era incredibilmente popolare, almeno fra gli appassionati di cinema. Mentre lavoravamo su Chaplin continuavamo a incontrare gente che ci chiedeva: “Perché non fate qualcosa su Keaton? A me piace di più”. David di solito se la cavava chiedendo quale fosse il loro compositore preferito: Haydn, Mozart o Beethoven? Sono paragoni che non hanno senso. Perché Chaplin, Lloyd e Keaton non potevano coesistere tranquillamente? La mia passione per Keaton era vecchia di almeno trent’anni, dalla prima volta in cui avevo visto The General e The Navigator al National Film Theatre di Londra. Quando, per una serie di improbabili circostanze, mi trovai a Hollywood nel 1964, una delle prime persone che cercai di incontrare fu Buster Keaton. Immaginavo che una star del cinema abitasse in una di quelle enormi ville di Beverly Hills in finto stile Tudor o finto castigliane. Quando mi trovai nella San Fernando Valley, di fronte a un semplice bungalow in legno, pensai di aver sbagliato indirizzo. Ma il nome sulla porta era giusto: The Keatons. Mi aspettavo di incontrare un uomo cupo e amareggiato. Mi aspettavo di vederlo seduto tristemente in un angolo a parlare (a monosillabi) di tutti coloro che gli avevano rovinato la carriera. Prevedevo che sarebbe stata un’intervista difficile e mi tenevo già pronte tutte le scuse del caso: “Un grande artista… una vita tormentata”. Ma la realtà era completamente diversa. La signora Keaton mi aprì la porta e prima ancora di riuscire a entrare mi trovai addosso un enorme sanbernardo. Poi lei cercò di tirar via il cane, tener aperta la porta e stringermi la mano, tutto contemporaneamente. Dalla stanza accanto si sentivano rumori di zoccoli di cavalli e di sparatorie che provenivano da un televisore. “Buster!” gridò la signora Keaton. Il rumore si spense di colpo. “Lo studio ha dato un giorno di riposo a Buster” mi spiegò. “Se avessi avuto un numero per chiamarla, avrei disdetto l’appuntamento. Oggi non girano”. Dalla stanza accanto arrivò Buster Keaton. Era basso e tarchiato e sembrava più giovane rispetto alle fotografie che circolavano all’epoca. E rideva. L’ultima cosa al mondo che mi sarei aspettato da uno come lui. Più volte, durante l’intervista, il ricordo di un qualche episodio venne accompagnato

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UNA RIVELAZIONE IMPROBABILE

dalla sua risata spontanea e contagiosa. La voce invece assomigliava al suono che fa la catena di un’ancora gettata in mare. Elmer, il sanbernardo, lo annusò speranzoso. “Ho un cane che si siede sul divano per guardare la televisione” disse. Sapendo di doversi esibire, Elmer si diresse verso il divano e tirò su le zampe posteriori, lasciando quelle anteriori ben piantate a terra. Quindi rimase lì, impassibile, a guardare non tanto il televisore, quanto l’albero di Natale dei Keaton. “Andiamo” mi disse Buster ridacchiando. “Per chiacchierare va meglio l’altra stanza”. Preceduti dal cane, entrammo nella stanza. Quando attaccai il registratore, il suo ansimare entrava nettamente nel microfono. Posta più in basso rispetto al resto della casa, la stanza era piena di foto, certificati e premi. Un tavolo da biliardo occupava totalmente uno dei due lati. L’altro invece era attrezzato a saloon, con tanto di porte a spinta e della migliore birra in città. Il tutto in uno spazio grande quanto una cabina telefonica. Due cappelli da cowboy, uno dell’Associazione allevatori di Forth Worth nel Texas, l’altro proveniente dall’Oklahoma, stavano appesi in un angolo, accanto a un casco da pompiere, a ricordo del fatto che Keaton era stato nominato membro dei pompieri di Buffalo, nello stato di New York. Su tavolo era appoggiato un Oscar: “A Buster Keaton per il suo inimitabile talento, che ha regalato allo schermo commedie indimenticabili”. Accanto a quello, un George, premio della Eastman House, di cui Keaton sembrava particolarmente fiero. La grande foto di un Arbuckle sorridente che dominava un’intera parete mi colse di sorpresa. Ero ancora vittima, allora, di tutta quella propaganda che dava per scontata la colpevolezza di Roscoe ‘Fatty’Arbuckle. Una litografia originale del manifesto di The General dominava l’altra parete. Sotto, era appesa una buffa istantanea di tre Buster seduti a imitazione delle tre scimmiette. C’era anche una foto di Joe Keaton alla guida della locomotiva di Our Hospitality e, sorprendentemente, anche una di Natalie Talmadge, la prima moglie di Keaton, e dei loro due figli. Un’immagine più recente mostrava Buster Keaton con Harold Lloyd e Jacques Tati. Infine, un assegno da sette dollari e cinquanta ricevuto per aver fatto da controfigura a Lew Cody in The Baby Cyclone, nel 1928. Ho riascoltato recentemente la registrazione di quell’intervista e, per quanto trovi imbarazzante la mia ingenuità, capisco che dev’essere stata proprio quella a stimolare l’interesse di Keaton. Molte delle risposte sono le solite, già sentite in tante altre interviste, ma molte cose sono invece originali. Keaton era una persona affascinante ed entusiasta. Occasionalmente Eleanor s’intrometteva per aggiungere qualche informazione. Il momento più toccante fu quando lei gli chiese di raccontare la storia del leone in Sherlock Jr. Keaton ridacchiò. “Sono alla Universal, nella gabbia in cui tenevano all’epoca gli animali che sarebbero serviti per le varie produzioni. È una grande gabbia circo-

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lare, di circa venti/venticinque metri di diametro, piena di arbusti tropicali. Munito di frusta, sedia e pistola, il domatore mette i due leoni in posizione. Anch’io mi dirigo verso la posizione prefissata. L’operatore è fuori e riprende attraverso le inferriate della gabbia. Il domatore mi dice: ‘Non correre, non fare movimenti bruschi e non rifugiarti in un angolo’. Ma non ci sono angoli in una gabbia circolare!” Sempre ridendo, scostò il tavolo e si mise a interpretare la scena. La replica esatta di quella che si vede in Sherlock Jr., con Keaton che attraversa la stanza fischiettando con indifferenza. Ero così abituato a vederlo nei film muti che rimasi sorpreso di sentirlo effettivamente fischiare. “Comincio ad allontanarmi da uno dei due leoni e… lì accanto ce n’è un altro uguale! Faccio ancora qualche passo, mi guardo indietro e tutti e due i leoni sono dietro di me a tanto così, mi seguono!” Keaton era in preda a un’incontenibile risata. “E io non so nulla di questi leoni, capisci. Sono entrambi degli sconosciuti per me. A quel punto l’operatore dice ‘Dobbiamo farne un’altra per la versione straniera’. E io dico: ‘Vuol dire che gli europei questa scena non la vedranno mai!’ ”. Tra le risate Keaton si sedette di nuovo. “Anni dopo Will Rogers usò proprio quella frase come didascalia in un suo film. Di quella scena fu fatto poi soltanto un controtipo. Da quella volta in poi ho lavorato con diversi leoni, alcuni dei quali piuttosto gentili”. Alla fine dell’intervista presi commiato controvoglia. Keaton chiamò ad alta voce Eleanor: “Mademoiselle!” “Non hai dato da mangiare alle ragazze” rispose lei. “Sì, un minuto fa” disse lui. “Ho dato da mangiare alle galline nel cortile con quarantacinque minuti di ritardo” mi spiegò. “Erano tutte affacciate al cancello così”. E lì Keaton si trasformò istantaneamente in una gallina, con lo sguardo triste rivolto al cielo e il piede che batteva nervosamente in terra per l’impazienza. È stata l’unica volta che ho incontrato Buster Keaton. Sarebbe morto circa un anno dopo, nel febbraio del 1966. Ho usato quell’intervista nel mio libro The Parade’s Gone By… e in parte anche in questo libro, insieme ad altre interviste rilasciate da Keaton tra il 1921 e il 1965.

NOTE C’era in effetti una bobina lunga 150 metri del girato di Go West, ma non conteneva nulla di interessante se non un momento in

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cui la mucca, seguendo il mulo di Keaton, usciva di campo per rientrare subito dopo nell’inquadratura.


OCCHIO AL RAGAZZINO!

Dalla morte di Buster Keaton in poi, vari festival in giro per il mondo, i passaggi televisivi dei suoi film, le versioni in cassetta o DVD avevano contribuito a mantenere vivo il suo ricordo. Erano apparse anche diverse biografie, un’autobiografia (scritta con l’aiuto di un ghostwriter), svariati libri, film e anche lavori teatrali. Ora che io e David eravamo decisi ad aggiungerci a quella folla, la nostra prima aspettativa era di produrre una cosa il più possibile autentica. Speravamo di poter usare la voce stessa di Keaton nella colonna sonora. La mia vecchia intervista si dimostrò purtroppo al di sotto degli standard qualitativi di trasmissione (mea culpa!). Ricordavo però che Joan Franklin aveva intervistato, insieme a suo marito Robert, un buon numero di pionieri del cinema. Era stata lei a fornirci l’intervista a Eddie Sutherland che avevamo usato in Unknown Chaplin. Franklin, gentile come sempre, ci fece avere un nastro e David si trascinò in ufficio il suo vecchio, ingombrante Truvox per poterlo ascoltare. Fu un momento emozionante per noi quello in cui ascoltammo una voce bassa pronunciare la frase “È Buster Keaton che parla”. Il nastro cominciava con una descrizione dettagliata della carriera nel vaudeville dei suoi genitori. “Non avevo ancora un anno1. I miei si erano lasciati alle spalle i baracconi delle fiere per salire su, fino al gradino più basso del vaudeville. I tempi erano duri. Appena possibile cominciarono a truccarmi e a mandarmi in scena. All’età di quattro anni facevo già parte a pieno titolo dello spettacolo con tanto di abiti larghissimi, una cuffia in testa per sembrare calvo, una barba irlandese e delle galosce ai piedi. A Wilmington, nel Delaware, l’impresario ci dice: ‘Se lo tenete nello spettacolo vi aumento il salario di dieci dollari a settimana’. È così che ho cominciato. […] All’età di sette, otto anni avevamo il più chiassoso e movimentato spettacolo che si fosse mai visto nell’intera storia del teatro, e non solo americano, ma anche europeo. Il mio vecchio finiva in galera una settimana sì e una no. […] Il circuito di B.F. Keith per cui lavoravamo mi aveva già in passato

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aumentato l’età di un paio di anni. La legge diceva infatti che i bambini al di sotto dei cinque anni non potevano neppure assistere a uno spettacolo. Men che meno farne parte. Così dichiararono che ne avevo sette. La legge diceva anche che un bambino non può fare acrobazie, camminare sul filo o fare il giocoliere, ma non stava scritto da nessuna parte che non potesse ricevere un calcio in faccia o essere lanciato da un lato all’altro del palcoscenico. Grazie a questa sottigliezza potevo lavorare, cosa che non impediva che venissimo denunciati una settimana su due dalla Gerry Society, la società che combatteva il lavoro minorile”. Il periodo del vaudeville viene descritto adeguatamente nel libro di Rudi Blesh2, ma c’è una cosa, ritrovata fra i ritagli conservati da Myra, la madre di Keaton, che vale la pena di citare. È la recensione di uno spettacolo che si era tenuto alla Fifty-Eighth Street House: “Un altro bel numero è quello dei Three Keatons, compreso Buster, lo straccio umano. La maniera con cui quel ragazzino viene lanciato da una parte all’altra del palco senza riportare danni, se non ai vestiti, è già una cosa emozionante. E dire che Keaton dichiara di aver addolcito il numero per timore della Gerry Society. Il ragazzino dovrebbe sorridere un po’. Ha uno sguardo cupo che non cambia mai”. La Gerry Society poi intervenne lo stesso. “Il piccolo e buffo Buster era disperato perché la Humane Society l’aveva costretto a tagliare quelli che vengono definiti i numeri di acrobazia. Nonostante questo è riuscito a dimostrare, con una serie di argute imitazioni di celebri personaggi del palcoscenico, di essere uno dei giovani più svegli del panorama del vaudeville”. Svariate recensioni si riferiscono a Buster come a un mini-attore decisamente in gamba. Altre individuano in lui un punto centrale di tutto lo spettacolo. “I suoi vecchi sono abbastanza bravi a modo loro, ma vengono eclissati quando il loro giovane e promettente Buster prende il centro del palco. È un mix di misurata allegria, agilità, clowneria e vero talento. Per quanto suo padre lo lanci da una parte all’altra della scena, Buster casca sempre in piedi”3. Non avevamo speranze di riuscire trovare riprese cinematografiche di quei numeri di vaudeville. Però a un certo punto qualcuno ci segnalò di aver visto i Three Keatons all’inizio di un documentario. Sapevamo che a Joe Keaton il cinema non piaceva – “Lavoriamo anni a perfezionare uno spettacolo e ora voi volete mostrarlo, a un nickel a testa, su un lurido pezzo di pellicola” – per questo la cosa non ci sembrava molto probabile. E infatti venne fuori che quel documentario dichiarava soltanto, ma di fatto non aveva, immagini dei Three Keatons. Magari il materiale che doveva arrivarci da Schenck poteva contenere riprese dello spettacolo rimesso in scena da Keaton, giusto come ricordo fami-

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OCCHIO AL RAGAZZINO!

liare. Ma intanto le settimane passavano e noi cominciavamo a porci il dubbio: esistevano davvero quei filmati di Schenck? Rohauer aveva recuperato del materiale sbalorditivo per Unknown Chaplin. Sapevamo benissimo che non sarebbe riuscito a fare altrettanto con Keaton, ma non potevamo fare a meno di coltivare qualche speranza. David fece il massimo per semplificargli il lavoro. La Thames Television sborsò 75.000 dollari come garanzia e Rohauer fissò una data per farci vedere qualcosa a Los Angeles. La data poi venne posposta, quindi cancellata. Apparentemente il contratto con Schenck non era stato ancora firmato. Per tirarci su il morale, Rohauer fece in modo che potessimo vedere un frammento di Hard Luck (1921), un cortometraggio di Keaton considerato perduto, che lui aveva personalmente cercato per almeno trent’anni. Le scene che vedemmo non erano esaltanti: un frammento di bassa qualità a 16mm in cui Buster cerca con difficoltà di montare a cavallo. C’era una buona gag, quella in cui lui smonta a terra con le gambe incrociate e il cavallo lo imita e incrocia anche lui le zampe. E un’altra in cui cerca di traghettare a remi il cavallo attraverso un lago. Misterioso come sempre, Rohauer non ci spiegò da dove provenisse quel materiale, ma ci assicurò che sperava di trovare anche il resto del film. Quindi ci mostrò un breve 16mm a colori, piuttosto sbiaditi, di Keaton che va a visitare la Cinémathèque Française nel 1960. C’erano un paio di primi piani di Buster, per strada e in un parco, e qualche smorfia a beneficio della camera. Nell’inquadratura finale salutava tutti e faceva un gran sorriso. Interessante, ma nulla in confronto ai 150.000 metri di pellicola che stavamo aspettando. David ed io non potevamo restare per sempre in attesa senza far nulla. Così Thames Television ci dirottò su una serie intitolata British Cinema, pensata per commemorare l’Anno del Cinema Inglese. Il che voleva dire, con nostra grande delusione, rimandare Keaton. Rohauer sembrò sollevato: “Avete troppa fretta” ci disse. “Bisogna lavorare con calma, così come avete fatto con Unkown Chaplin”. La notizia della morte di James Mason fu un duro colpo per noi, per la serie British Cinema e soprattutto per il nostro lavoro su Keaton. Gli avevamo parlato del nostro nuovo progetto e lui si era detto felicissimo di partecipare. Non soltanto Mason aveva vissuto nella Italian Villa di Keaton, ma era stato lui a ritrovare tutti i film che Keaton vi aveva lasciato. Alcuni di questi si rivelarono poi copie uniche. Se Mason non li avesse recuperati (e se Rohauer poi non li avesse ristampati) sarebbero andati persi per sempre. Avremmo potuto realizzare facilmente un’intervista a Mason per farci raccontare quell’episodio. Il rimpianto per non averlo fatto era devastante. Sia io che David abbiamo un senso della mortalità sviluppato in modo che definirei

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quasi malsano. Purtroppo in questo caso non bastò a metterci sull’avviso. Senza contare che questo diede di lì in poi la possibilità a Rohauer, ogni volta che avevamo critiche da rivolgergli, di risponderci con: “E voi potevate intervistare James Mason”. David mise a segno un buon colpo per la causa Keaton: riuscì a persuadere Rohauer a darci una copia in nitrato di Our Hospitality (1923) per una serie di film muti che proponevamo su Channel 4. Quando confrontammo la prima copia di Rohauer con l’originale in nitrato scoprimmo che le didascalie mostravano diverse discrepanze4. Rohauer era decisamente più interessato ai problemi legali che a quelli artistici. Per questo aveva rifatto tutte le didascalie, cambiando il carattere e aggiungendo una cornice che le rendeva più simili alle cartoline d’auguri della Hallmark che a una vera didascalia Keaton, normalmente piuttosto sobria. Per evitare che collezionisti poco scrupolosi potessero copiargli il film era arrivato a cambiare anche qualche parola nelle didascalie (in Steamboat Bill, Jr., un film del 1924, riuscì a cambiare perfino il nome della protagonista!). Così che, se fosse saltata fuori una copia pirata con quelle piccole alterazioni, lui avrebbe potuto immediatamente denunciare i colpevoli. Un’operazione nel nostro caso particolarmente infelice, perché finiva per mescolare indebitamente il prologo con la storia principale. Ma avendo la copia nitrato come riferimento riuscimmo a superare il problema5. Carl Davis non era esattamente entusiasta di comporre una colonna sonora per Our Hospitality. Non aveva dubbi sul fatto che fosse un film vivace e appassionante. Davis è uno che ama Keaton. Ma considerava estremamente difficile riuscire a trovare la musica giusta. Il risultato, alla fine, fu comunque fantastico. La prospettiva di aver a disposizione del materiale inedito era un sollievo per noi, anche perché dal punto di vista delle interviste le cose non promettevano bene. Nel 1984 il numero di persone ancora in vita che avevano lavorato con Keaton era diventato estremamente esiguo. L’elenco, battuto a macchina, non avrebbe oltrepassato la singola pagina, e questo includendo anche tutti quelli che avevano lavorato con lui solo negli anni Sessanta. Controllando però su quell’insostituibile rivista che è Film Dope la filmografia di Keaton, notai che un paio dei primi film parlati erano stati rigirati, per la versione francese, da Claude Autant-Lara, che sarebbe diventato in seguito uno dei maggiori registi francesi (Il diavolo in corpo rimane probabilmente il suo film più famoso). Gli scrissi e in risposta ottenni una breve nota sui problemi che lui aveva incontrato lavorando per la MGM.

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