Incontro ottobre 2013

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Per una Chiesa Viva Anno IX - N. 9 – Ottobre 2013 www.chiesaravello.it

P ERIODICO

DEL LA C OMU NITÀ E CCL ESIAL E DI RA VEL LO

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Una luce da riscoprire Quale luce? La luce della fede. “È urgente recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi, deve venire da una fonte più originaria, deve venire, in definitiva, da Dio.” È questo uno dei passaggi più significativi dell’Enciclica ”Lumen fidei” che Papa Francesco ci ha regalato in questo Anno della Fede che volge al termine, e, interpellando la nostra coscienza traccia anche il percorso dell’anno pastorale che iniziamo nel mese di ottobre. Riscoprire la luce della fede è l’idea centrale dell’Enciclica che sin dalle prime pagine sottolinea soprattutto la dimensione esistenziale della fede che,” nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita.” È dall’incontro con Gesù, il Dio vivente che rivela l’amore e conduce alla comunione con Dio e con gli uomini, che possiamo essere trasformati da questo amore, ricevere occhi nuovi, quelli di Dio e sperimentare che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. “La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo. Da una parte, essa procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti

grandi, e ci porta al di là del nostro "io" isolato verso l’ampiezza della comunione. Comprendiamo allora che la fede non abita nel buio; che essa è una luce per le nostre tenebre. Dante, nella Divina Commedia, dopo aver confessato la sua fede davanti a san Pietro, la descrive come una "favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla".[4] Proprio di questa luce della fede

vorrei parlare, perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce”. Nello stile nuovo del Papa, attraverso le omelie che Egli tiene nella messa quotidiana che celebra nella Cappella della Casa di Santa Marta, il Santo Padre con semplici ed originali riflessioni ci aiuta a scoprire la “Luce della fede”, e la strada che conduce a Colui che è “ la Luce venuta dall’Alto” Gesù ,il Dio vivente, e gli aspetti essenziali della fede cristiana. Recentemente Papa Francesco ha detto: «Non si può conoscere Gesù senza avere problemi. E

io oserò dire: “Ma se tu vuoi avere un problema, vai per la strada di conoscere Gesù. Non uno, tanti ne avrai!”. Ma è la strada per conoscere Gesù! Non si può conoscere Gesù in prima classe! Gesù si conosce nell’andare quotidiano di tutti i giorni. Non si può conoscere Gesù nella tranquillità, neppure nella biblioteca…». Certo, è bello conoscere «Gesù nel Catechismo», perché «il catechismo ci insegna tante cose su Gesù», tuttavia, quanti hanno letto il Catechismo della Chiesa Cattolica da quando è stato pubblicato oltre 20 anni fa? «Sì, si deve conoscere Gesù nel Catechismo. Ma non è sufficiente conoscerlo con la mente: è un passo. Ma Gesù è necessario conoscerlo nel dialogo con Lui, parlando con Lui, nella preghiera, in ginocchio. Se tu non preghi, se tu non parli con Gesù, non lo conosci. Tu sai cose di Gesù, ma non vai con quella conoscenza che ti dà il cuore nella preghiera. Conoscere Gesù con la mente, lo studio del Catechismo; conoscere Gesù col cuore, nella preghiera, nel dialogo con Lui. Questo ci aiuta abbastanza, ma non è sufficiente… C’è una terza strada per conoscere Gesù: è la sequela. Andare con Lui, camminare con Lui». Bisogna «andare, percorrere le sue strade, camminando». Bisogna «conoscere Gesù» attraverso tre linguaggi: della mente, del cuore e dell’azione». Se dunque «io conosco Gesù così mi coinvolgo con Lui. Non si può conoscerlo senza coinvolgersi con Lui, senza scommettere la vita per Lui. Quando tanta gente – anche noi – si fa questa domanda “Ma chi è questo?”, la Parola di Dio ci risponde: “Tu vuoi conoscere chi sia questo? Leggi quello che la Chiesa ti dice di Lui, parla con Lui nella preghiera e cammina sulla sua strada con Lui.

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Segue dalla prima pagina Così, tu conoscerai chi è quest’uomo”. Questa è la strada! Ognuno deve fare la sua scelta!». Conoscere Gesù sia la nostra strada. Scegliamo tutti di percorrerla con coraggio e decisione. Riconosciamo di aver bisogno di scoprire Gesù, di incontrare Gesù, perché abbiamo bisogno della sua luce. Invito a far nostre le parole che Giovanni Papini - ateo militante convertito clamorosamente alla fede nel 1921 – scrisse nello stesso anno della sua conversione, al termine della sua Storia di Cristo: “Gesù, sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre…Noi abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c’è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che lo sanno. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l’unica verità degna d’esser saputa; e chi s’affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro. La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall’Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d’una promessa e d’una minaccia s’è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d’un tuo ritorno… Noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d’ogni impossibile. E tutto l’amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore. (G. Papini, Storia di Cristo, 1921)

La Chiesa Madre dei cristiani

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! riprendiamo oggi le catechesi sulla Chiesa in questo "Anno della fede". Tra le immagini che il Concilio Vaticano II ha scelto per farci capire meglio la natura della Chiesa, c’è quella della "madre": la Chiesa è nostra madre nella fede, nella vita soprannaturale (cfr. C os t. d o gm . Lu me n ge n ti um , 6.14.15.41.42). E’ una delle immagini più usate dai Padri della Chiesa nei primi secoli e penso possa essere utile anche per noi. Per me è una delle immagini più belle della Chiesa: la Chiesa madre! In che senso e in che modo la Chiesa è madre? Partiamo dalla realtà umana della maternità: che cosa fa una mamma? 1. Anzitutto una mamma genera alla vita, porta nel suo grembo per nove mesi il proprio figlio e poi lo apre alla vita, generandolo. Così è la Chiesa: ci genera nella fede, per opera dello Spirito Santo che la rende feconda, come la Vergine Maria. La Chiesa e la Vergine Maria sono mamme, ambedue; quello che si dice della Chiesa si può dire anche della Madonna e quello che si dice della Madonna si può dire anche della Chiesa! Certo la fede è un atto personale: «io credo», io personalmente rispondo a Dio che si fa conoscere e vuole Don Giuseppe Imperato entrare in amicizia con me (cfr

Enc. Lumen fidei, n. 39). Ma la fede io la ricevo da altri, in una famiglia, in una comunità che mi insegna a dire «io credo», «noi crediamo». Un cristiano non è un’isola! Noi non diventiamo cristiani in laboratorio, noi non diventiamo cristiani da soli e con le nostre forze, ma la fede è un regalo, è un dono di Dio che ci viene dato nella Chiesa e attraverso la Chiesa. E la Chiesa ci dona la vita di fede nel Battesimo: quello è il momento in cui ci fa nascere come figli di Dio, il momento in cui ci dona la vita di Dio, ci genera come madre. Se andate al Battistero di San Giovanni in Laterano, presso la cattedrale del Papa, all’interno c’è un’iscrizione latina che dice più o meno così: "Qui nasce un popolo di stirpe divina, generato dallo Spirito Santo che feconda queste acque; la Madre Chiesa partorisce i suoi figli in queste onde". Questo ci fa capire una cosa importante: il nostro far parte della Chiesa non è un fatto esteriore e formale, non è compilare una carta che ci danno, ma è un atto interiore e vitale; non si appartiene alla Chiesa come si appartiene ad una società, ad un partito o ad una qualsiasi altra organizzazione. Il legame è vitale, come quello che si ha con la propria mamma, perché, come afferma sant’Agostino, "la Chiesa è realmente madre dei cristiani" (De moribus Ecclesiae,


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I,30,62-63:PL32,1336). Chiediamoci: come vedo io la Chiesa? Se sono riconoscente anche ai miei genitori perché mi hanno dato la vita, sono riconoscente alla Chiesa perché mi ha generato nella fede attraverso il Battesimo? Quanti cristiani ricordano la data del proprio Battesimo? Io vorrei fare questa domanda qui a voi, ma ognuno risponda nel suo cuore: quanti di voi ricordano la data del proprio Battesimo? Alcuni alzano le mani, ma quanti non ricordano! Ma la data del Battesimo è la data della nostra nascita alla Chiesa, la data nella quale la nostra mamma Chiesa ci ha partorito! E adesso vi lascio un compito da fare a casa. Quando oggi tornate a casa, andate a cercare bene qual è la data del vostro Battesimo, e questo per festeggiarla, per ringraziare il Signore di questo dono. Lo farete? Amiamo la Chiesa come si ama la propria mamma, sapendo anche comprendere i suoi difetti? Tutte le mamme hanno difetti, tutti abbiamo difetti, ma quando si parla dei difetti della mamma noi li copriamo, li amiamo così. E la Chiesa ha pure i suoi difetti: la amiamo così come la mamma, la aiutiamo ad essere più bella, più autentica, più secondo il Signore? Vi lascio queste domande, ma non dimenticate i compiti: cercare la data del vostro Battesimo per averla nel cuore e festeggiarla. 2. Una mamma non si limita a dare la vita, ma con grande cura aiuta i suoi figli a crescere, dà loro il latte, li nutre, insegna il cammino della vita, li accompagna sempre con le sue attenzioni, con il suo affetto, con il suo amore, anche quando sono grandi. E in questo sa anche correggere, perdonare, comprendere, sa essere vicina nella malattia, nella sofferenza. In una parola, una buona mamma aiuta i figli a uscire da se stessi, a non rimanere comodamente sotto le ali materne, come una covata di pulcini sta sotto le ali della chioccia. La Chiesa come buona madre fa la stessa cosa: accompagna la nostra crescita trasmettendo la Parola di Dio, che è una luce che ci indica il cammino della vita cristiana; amministrando i Sacramenti. Ci nutre con l’Eucaristia, ci porta il perdono di Dio attraverso il Sacramento della Penitenza, ci sostiene nel momento della malattia con l’Unzione degli infermi.

La Chiesa ci accompagna in tutta la nostra vita di fede, in tutta la nostra vita cristiana. Possiamo farci allora delle altre domande: che rapporto ho io con la Chiesa? La sento come madre che mi aiuta a crescere da cristiano? Partecipo alla vita della Chiesa, mi sento parte di essa? Il mio rapporto è un rapporto formale o è vitale? 3. Un terzo breve pensiero. Nei primi secoli della Chiesa, era ben chiara una realtà: la Chiesa, mentre è madre dei cristiani, mentre "fa" i cristiani, è anche "fatta" da essi. La Chiesa non è qualcosa di diverso da noi stessi, ma va vista come la totalità dei credenti, come il «noi» dei cristiani: io, tu, tutti noi siamo parte della Chiesa. San Girolamo scriveva: «La Chiesa di Cristo altra cosa non è se non le anime di coloro che credono in Cristo» (Tract. Ps 86: PL26,1084). Allora la maternità della Chiesa la viviamo tutti, pastori e fedeli. A volte sento: "Io credo in Dio ma non nella Chiesa… Ho sentito che la Chiesa dice…i preti dicono...". Ma una cosa sono i preti, ma la Chiesa non è formata solo dai preti, la Chiesa siamo tutti! E se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso; e questo è una contraddizione. La Chiesa siamo tutti: dal bambino recentemente battezzato fino ai Vescovi, al Papa; tutti siamo Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio! Tutti siamo chiamati a collaborare alla nascita alla fede di nuovi cristiani, tutti siamo chiamati ad essere educatori nella fede, ad annunciare il Vangelo. Ciascuno di noi si chieda: che cosa faccio io perché altri possano condividere la fede cristiana? Sono fecondo nella mia fede o sono chiuso? Quando ripeto che amo una Chiesa non chiusa nel suo recinto, ma capace di uscire, di muoversi, anche con qualche rischio, per portare Cristo a tutti, penso a tutti, a me, a te, a ogni cristiano. Tutti partecipiamo della maternità della Chiesa, affinché la luce di Cristo raggiunga gli estremi confini della terra. Evviva la santa madre Chiesa!

4 ottobre 2013 Incontro storico

Il colore della spiritualità francescana che vorrei far brillare è quello dell’incontro. Mancano infatti pochi giorni alla visita ad Assisi del pontefice argentino venuto dalla “fine del mondo”. Il primo dopo 800 anni a prendere con audacia e coraggio il nome di Francesco, dopo 264 papi dalla storia della Chiesa e dopo 121 dalla nascita del Poverello d’Assisi. I media di tutto il mondo sono sintonizzati, pronti a registrare il minimo movimento, quasi come sismografi, perché sarà un momento che scuoterà la storia, sarà un incontro storico. Ma non è solo un incontro destinato agli archivi e a essere ricordato per sempre ma si tratta anche di un incontro povero. Il poverello d’Assisi incontra il poverello di Buenos Aires: due uomini che hanno messo al centro del loro cammino la bussola dell’essenzialità. Non è pauperismo, il papa ha usato anche il tablet e lo ha usato per inviare una preghiera a Francesco d’Assisi: era il 2 maggio alle 11.40 “Oh Francesco d’Assisi, intercedi per la pace dei nostri cuori”. Sarà un incontro anche fraterno. Forse non sapremo mai cosa si diranno i due protagonisti di questo momento nella cripta. Mi viene in mente un’affermazione del Cardinal John Henry Newman “Cor ad cor loquitur” il cuore parla al cuore. Sarà un momento così intimo che amo codificarlo solamente con l’immagine del cuore. Forse Papa Francesco gli confiderà le sue preoccupazioni, gli porterà i suoi poveri, gli dirà le difficoltà che incontra, gli dirà forse “vorrei la chiesa come l’hai immaginata tu, come l’hai vissuta tu, come l’hai comunicata tu”. E il Santo di Assisigli parlerà nell’intimo del suo cuore attraverso quell’emozione che solo i Santi e gli uomini di buona volontà sanno sperimentare. Inizierebbe con“ Oh Signor Papa”, così San Francesco lo chiamava e lo chiamerebbe. “E’ la chiesa degli ultimi che mi interessa, è la chiesa della fraternità che mi affascina, è la chiesa che chiama tutti e Papa Francesco tutto Fratello e Sorella, come l’ho immaCatechesi dell’Udienza Generale ginata nel Cantico delle Creature”. del 25 settembre 2013 Continua a pagina 3


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Segue da pagina 3 Infine, sarà un incontro orante. Si pregherà e si accenderà la Lampada che illumina le notti buie dell’uomo. E questo ci sarà dato sapere, perché sarà una preghiera pubblica, che punterà sul Padre Nostro, quel Padre Nostro che diventa la rivoluzione ecclesiale, sociale e politica. Concludo sapendo che l’incontro con Francesco porterà ad una consapevolezza nuova: “Voi continuate a costruire cattedrali e basiliche che hanno dei portali di bronzo, quasi sempre chiusi, e si entra lateralmente, invece dovrebbe esserci una soglia aperta perché i venti dello spirito escano nella società e la società anche nel suo grido, persino con le sue bestemmie entri nel tempio.” La loro opera, quella dell’assisiate prima e dell’argentino ora, coinvolgono i temi capitali dell’esistenza e della storia. Voglio terminare con Erri De Luca “Ti può bastare per una vita intera, un attimo, un incontro” . P. Enzo Fortunato

da Nazaret lo rendeva straniero in Giudea, ma anche a Nazaret l’origine da Betlemme non avrà evitato sospetti. L’uomo Gesù sapeva stare sulle strade perché per lui, così spesso straniero, nessuno era straniero davvero. Questa è anche la vicenda dei nostri missionari e missionarie su tante strade del mondo, comprese quelle del web, dei social network, senza dimenticare quelle di chi è messo ai mar“Sulle strade del mondo” gini, reso quasi invisibile. Questa diventa 20 ottobre 2013 la storia di ogni cristiano che non chiude Giornata Missionaria la fede in spazi e tempi “religiosi”, ma la porta in ogni respiro della vita. Viviamola Mondiale così e continuiamo ad accompagnare chi Professare la fede non è solo dire il Credo ne fa dono ad altri sulle strade del moncon la bocca, ma viverla nelle circostanze do. della vita: già conosciamo il legame tra Dal messaggio di Papa Francesco per la fede e missione, credere eparlare. Però non Giornata Missionaria Mondiale 2013 basta: affinché la fede diventi capace di “Benedetto XVI esortava: «"La Parola del ispirare e rinnovare il vivere quotidiano Signore corra e sia glorificata'’ (2Ts 3,1): occorre andare sulle strade del mondo. Le possa questo Anno della fede rendere semstrade evocano ogni spazio aperto e per- pre più saldo il rapporto con Cristo Sicorribile, ogni luogo, piazza, sentiero, gnore, poiché solo in Lui vi è la certezza dove l’altro può farsi vicino e dove si per guardare al futuro e la garanzia di un incrociano sguardi, parole, timori e amore autentico e duraturo» (Lett. ap. speranze, diffidenze e nuove amicizie. Le Porta fidei, 15). È il mio auspicio per la strade del mondo sono imprevedibili: Giornata Missionaria Mondiale di queoccorre la pazienza di camminare, ma st’anno. Benedico di cuore i missionari e anche di comprendere chi si incontra, di le missionarie e tutti coloro che accomvederlo come è, di impararne lingua e pagnano e sostengono questo fondamencultura, sentimenti e valori, restando tale impegno della Chiesa affinché l’aninsieme soprattutto nei tempi di crisi e di nuncio del Vangelo possa risuonare in smarrimento. Gesù ha percorso le strade tutti gli angoli della terra, e noi, ministri della Palestina, partendo dalla Galilea, del Vangelo e missionari, sperimenterezona di confine, e talvolta si è spinto ol- mo “la dolce e confortante gioia di evantre. Da bambino, come ebreo fu stranie- gelizzare” (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii ro in Egitto; nel suo ministero provenire nuntiandi, 80)”.

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Fondazione Banco Alimentare Onlus Le persone povere che si rivolgono alle strutture caritative in Italia sono sempre più nimerose. Molte di queste strutture caritative segnalano difficoltà a proseguire la loro azione nel futuro. Gli stessi segnali giungono anche dagli altri paesi Europei . La fine del Programme Européen d’aide Alimentaire aux plus Démunis (PEAD) nel 2014 crea ulteriore preoccupazione. In Italia esistono delle organizzazioni “no profit” che collaborano con le strutture caritative e istituzioni pubbliche al fine di contribuire al bene comune. Una delle

più valide è senz’altro la : “ Fondazione Banco Alimentare Onlus”. “La Fondazione Banco Alimentare Onlus (FBAO) si propone l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale nei settori dell’assistenza sociale e della beneficenza, nel solco della tradizione cristiana, della dottrina sociale della Chiesa e del suo Magistero, secondo il principio di sussidiarietà e secondo la concezione educativa del “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”. Per raggiungere i suoi obiettivi, provvede in particolare: alla raccolta delle eccedenze di produzione agricole, dell’industria alimentare, della Grande Distribuzione e della Ristorazione organizzata; alla raccolta di generi alimentari presso i centri della Grande Distribuzione nel corso della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare; alla ridistribuzione ad enti che si occupano di assistenza e di aiuto ai poveri, agli emarginati e, in generale, a tutte le persone in stato di bisogno”. Donando le eccedenze, le aziende restituiscono loro un valore economico e, se da un lato contengono i


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propri costi di stoccaggio e di smaltimento, dall’altro offrono un contributo in alimenti che ormai supera le centinaia di milioni di euro di valore commerciale. Il beneficio globale dell’azione della Rete Banco Alimentare è il cuore della sua azione sussidiaria in quanto offre gli strumenti per poter mettere in atto la propria iniziativa di responsabilità verso il prossimo, proprio nella logica dell’aiutare chi aiuta, senza pretendere di sostituirsi ad esso. Si crea così un circolo virtuoso che coinvolge tutti gli stakeholder: dalle aziende donatrici agli enti che ricevono; dai volontari, ai bisognosi; dagli amministratori pubblici ai singoli cittadini. La sua produzione di “valore”, non è dunque a beneficio di pochi soggetti, ma è prodotta da tutti per tutti. La storia del Banco Alimentare è prima di tutto la storia di tante persone.Dal 1989, data di nascita della Fondazione Banco Alimentare, queste singole, uniche storie hanno scritto, giorno dopo giorno, una storia più grande, condividendo l’ideale, la fatica e le soddisfazioni di quest’opera. Dopo oltre vent’anni di vita, ancor più del primo giorno, tutta l’attività della Rete Banco Alimentare è resa possibile dai volontari (oggi 1398) che, coordinati dal personale dipendente, svolgono quotidianamente il proprio compito. ”La Fondazione può altresì avvalersi della collaborazione di “Organizzazioni senza scopo di lucro” che, condividendo le finalità e la concezione educativa della Fondazione, nonché le modalità operative dalla stessa adottate, creano con essa la “Rete Banco Alimentare” per la ricezione e la ridistribuzione delle derrate alimentari, nonché per la promozione degli scopi e delle attività della Fondazione. Il rapporto tra la Fondazione e le Organizzazioni è regolamentato attraverso la stipula di una scrittura privata, il cui testo viene adottato dal Consiglio di Amministrazione. Tale scrittura privata, oltre a disciplinare le modalità del rapporto di collaborazione, prevede la concessione in uso gratuito e temporaneo della denominazione “BANCO ALIMENTARE” e del relativo logo, nonché della denominazione Giornata Nazionale della colletta alimentare e del relativo logo”. Fin dall’inizio la FBAO ha contribuito alla nascita e alla crescita di ogni Banco Alimentare costituitosi successivamente, così da diffondere in

modo sempre più capillare il suo modello di azione sociale.” I singoli Banchi Alimentari sono figure giuridiche autonome con propri organi direttivi a livello territoriale. La modalità con cui si è diffusa la Rete Banco Alimentare a livello nazionale mostra un altro elemento fondante e del tutto distintivo della sua cultura. La crescita è infatti avvenuta non in forma di federazione bensì con la valorizzazione e il coinvolgimento di risorse locali da parte della FBAO. Ogni organizzazione BA tende a svilupparsi e consolidarsi sul territorio anche in funzione delle proprie risorse (umane e finanziarie) e della propria creatività, riconoscendo nel contempo nella Fondazione, custode dell’eredità dei suoi Fondatori, il punto ultimo di riferimento e di richiamo alla fedeltà dell’idea originaria, oltre ad una guida strategica ed operativa finalizzata a ottimizzare sia gli sforzi che i risultati. La grande novità e peculiarità della Rete Banco Alimentare sta dunque nel modello “fondativo” che regola le relazioni al suo interno, a salvaguardia dell’origine dell’opera e dell’unità tra i suoi membri. Nel 2012 il Banco Alimentare Campania ha recuperato oltre 6000 tonnellate di prodotti alimentari per un valore commerciale che supera i 12 milioni di euro, servendo 280 Strutture Caritative (tra Parrocchie, Mense per i poveri, Case famiglia, Orfanotrofi, Associazioni, Case per recupero di tossicodipendenti, etc.) raggiungendo fisicamente ogni mese 139.000 persone che hanno bisogno di una mano per andare avanti. In provincia di Salerno sono serviti 114 Enti caritatevoli che assistono circa 40.000 persone in grave stato di bisogno. «Non è un’azione assistenziale fine a se stessa – precisa il direttore del Banco Alimentare Campania, Roberto Tuorto – ma un’azione educativa e dalla forte valenza sociale». Ogni mese, le famiglie assistite ricevono un "pacco alimentare" contenente generi di prima necessità. Fondazione Banco Alimentare Campania, sede operativa in via Ponte don Melillo, 33 – Fisciano (SA). Uffici regionali: via Amerigo Vespucci 9/ B – Napoli. La sede operativa aperti dal martedì al sabato dalle ore 8.30 alle 12.30 e dalle ore 14.30 alle ore 18.30 telefax 089/8426464 info@campania.bancoalimentare.it

Ecco…Ci

Domenica 22 settembre, in Angri, alla Cittadella, la Fraternità di Emmaus, ha inaugurato l’anno pastorale con la presentazione della lettera d’Amicizia che, Don Silvio Longobardi, custode della fraternità, annualmente, scrive appositamente per questa occasione, e anche la Comunità di Ravello è stata invitata a partecipare. Don Silvio ha esordito invitando i presenti, rappresentanza delle varie comunità sparse su tutto il territorio, a raccogliersi in ascolto della Parola e solo dopo l’intronizzazione e la lettura del Vangelo, accompagnati da un canto d’invocazione allo Spirito Santo, ha dato luogo alla consegna della lettera dal titolo “Date Voi stessi da mangiare”. Ogni cosa ha un inizio, ed in particolare gli anni pastorali hanno un riinizio, si ricomincia e per farlo è bene essere disposti, dichiarare l’”eccomi” che porterà all’impegno per l’intero anno. Eccomi e ricominciare sono due dei maggiori vocaboli della fede, il credente lo sa perché è da un “eccomi” che parte la storia del Risorto, che comincia il nuovo testamento. A pronunziarlo, oltre duemila anni fa’ è stata oltretutto una donna, Maria. L’Angelo le dà l’annuncio con gioia dicedoLe “Rallegrati”, non gli affida compiti, solo le comunica una lieta notizia, e Maria, per fede, per fiducia nella Divina Provvidenza, gli risponde “Eccomi”. Maria ci crede e da subito, non si pone domande, perché crede di essere figlia di Dio ed in Lui solo ripone la sua fiducia. Non fa come gran parte dell’incredula umanità che si affida al caso, o peggio alla fortuna, queste sono ipotesi proprie dell’essere uomo che collabora al bene e al male nella sua esistenza scaricando la responsabilità su ciò che è di per sé astratto. Come Maria, però siamo figli della Provvidenza e “Se Dio è per noi, chi, sarà contro di noi?” (San Paolo). Continua a pagina 6 Marco Rossetto


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Non c’è inquietudine che ci toglie la pace, non c’è paura che soffochi la speranza quando a guidare i nostri passi è la grazia di Dio. D’altro canto, tutti i giorni conviviamo con l’inquietudine e la paura, fanno parte del nostro vivere quotidiano, perché siamo portati a misurare ogni cosa contando solo sulle nostre forze (peccato originale), come se Dio non ci fosse. Ci sentiamo oppressi da quello che ci siamo obbligati a fare quando lo stimiamo superiore alle nostre forze, proprio come gli Apostoli nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mc 6,37), Gesù con sicurezza li invita a sfamare la folla, i discepoli stupiti, tuttavia fiduciosi, ci provano e ci riescono, anzi avanza anche… E tutti i giorni Dio ci sfama, proprio con il pane, il pane eucaristico, però se non siamo ai piedi del tabernacolo per riceverlo, non saremo in grado di darlo a chi c’è vicino. Non è questione da risolversi solo tra i ministri straordinari, a loro il compito della consegna materiale, a tutti gli altri, quello della carità benevola nella fede e nella gioia dell’annuncio. Non c’è desiderio di accogliere l’altro se non nella carità, che si esprime nell’amicizia, nei rapporti di coppia, nell’accoglienza dell’altro, sforzandosi di vedere la bellezza nascosta dalle apparenze, che solo la fede può farci cogliere. Annunciare con convinzione e gioia, portare la buona notizia e suscitare in chi ci

I NCONTRO PER UNA CHIESA VIVA ascolta la curiosità per questo Dio che è solo fede e amore. Gli apostoli hanno cominciato a credere veramente, quando hanno cominciato a fidarsi, lo stesso Pietro, ebbe una pesca miracolosa perché gettò le reti sulla Sua parola. La nostra natura umana ci porta sempre ad essere convinti di qualche cosa, e della nostra fede, siamo convinti? “Dio si è fatto uomo, perché l’uomo potesse diventare Dio”, a ricordarcelo è Sant’Agostino, un grande Santo, non certo nato tale, ma diventato così grazie all’Annuncio perseverante della Madre, Santa Monica. Dunque il primo annuncio è da fare in famiglia ed è proprio qui che lo ha trovato il Santo Padre Francesco, e tanti altri, solitamente da una donna, la madre, la nonna…, perfino l’Annuncio della Risurrezione è stato affidato ad una donna, Maria Maddalena… La pratica della preghiera domestica, crea l’annuncio, e da esso con coraggio e pazienza si arriva al Vangelo. Nessuno nasce esente dalle afflizioni, la natura umana le ha sempre dinanzi, ma non bisogna anteporre la propria tranquillità alle necessità della Chiesa, non c’è da temere nell’annunzio del Vangelo, perché anche per una sola vita condotta a Dio, ci sarà festa! “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” recita il Vangelo di Luca; “beati noi se avremo il coraggio di amare e servire fino alla fine” scrive Don Silvio; BEATI NOI, punto. Siamo nati e abbiamo ricevuto la grazia della purificazione; i sacramenti ci accompagnano ogni giorno e abbiamo la fortuna che l’Eucarestia si celebra quotidianamente; abbiamo ciascuno la sua croce e tutti la consolazione che non siamo soli e la certezza che Maria, veglia su di noi; siamo liberi di fare ogni giorno la nostra scelta, e allora eccoci, siamo pronti a ricominciare con le nostre debolezze e la gioia di un Amore, che siamo sicuri, non ha prezzo, né confini. Ancora non sappiamo come, però siamo pronti a “dare da mangiare”, sia pure il nostro niente.

Celebrazione della 34a Giornata Nazionale del Turismo ad Amalfi

Il 27 e 28 settembre scorso Amalfi e il territorio della Diocesi di Amalfi – Cava dei Tirreni sono stati protagonisti di un importante appuntamento nazionale. Si è svolta, a cura dell’Ufficio diocesano per la pastorale del turismo e del tempo libero, la 34° Giornata Nazionale del Turismo sul tema “Turismo ed Acqua: proteggere il nostro comune futuro” con un intenso programma di appuntamenti che avrà la sua naturale conclusione nella celebrazione liturgica di domenica 6 ottobre nella Cattedrale di Amalfi, trasmessa su Rai 1 prima dell’Angelus domenicale. La giornata di venerdì 27 settembre è stata intensamente vissuta dai partecipanti al convegno nazionale attraverso le visite al nostro territorio; in mattinata Ravello con il Duomo e Villa Cimbrone attraverso i suoi tesori di fede e di arte ha avvolto con le atmosfere cariche di storia ma anche di pace e silenzio i convegnisti. Il pomeriggio è stato invece dedicato alla visita di Amalfi e di Positano con il suggestivo momento della benedizione del mare e della costa lungo la quale gli ospiti hanno potuto ammirare angoli suggestivi della nostra Costiera. Il sabato è stato dedicato ai lavori del convegno che ha visto la partecipazione di importanti personalità del mondo religioso e Patrizia Cioffi scientifico. Coordinati dalla Prof.sa A n to n ietta F al con e, d irettrice


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Le stagioni

dell’Ufficio diocesano per il Turismo, gli intervenuti, davanti ad una platea attenta e numerosa, hanno declinato il tema della giornata sia nella componente religiosa che in quella scientifica. La prima parte, aperta dal momento di preghiera e dal saluto dell’Arcivescovo, Mons. Orazio Soricelli, è stata arricchita dalla riflessione di Padre Enzo Fortunato sul rapporto di San Francesco e l’acqua attraverso il Cantico delle Creature, con un’identificazione delle caratteristiche dell’acqua (utile, umile, preziosa e casta) con quelle della vita cristiana. Subito dopo S. Em. za Cardinale Antonio Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio dei Migranti e Itineranti, ha ripreso il tema della preziosità dell’acqua nella vita di ogni uomo al pari della vita del cristiano nella storia del mondo. Ampia illustrazione delle ricchezze storiche e ambientali è seguita grazie all’intervento del Prof. Giuseppe Gargano, che ha chiuso la prima parte. La seconda parte, invece, è stata caratterizzata dagli interventi del Ing. Francesco Calomino, dell’Università della Calabria, che ha illustrato dettagliatamente il funzionamento dei servizi idrici e le problematiche nel le zone turistiche, del Dr. Andrea Babbi, Direttore dell’ENIT, che ha presentato, a corollario delle sue esperienze professionali nel campo della promozione turistica, il nuovo filmato che accompagnerà la promozione dell’Italia nel mondo, del Dr. Michele Vurro, Dirigente dell’Istituto di ricerca sulle acque

del CNE, che ha richiamato l’attenzione dei presenti sugli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Ma sicuramente l’intervento che più ha coinvolto emotivamente i presenti è stato quello del Sig. Antonio Mallardo,vicepresidente della Onlus I care, il quale ha illustrato le iniziative che riguardano la valorizzazione della componente idrica nei Paesi in via di sviluppo. Le immagini hanno mostrato il rispetto che le popolazioni di quei Paesi, dove l’acqua non è presente, hanno per questo elemento e ciò lo si ritrova non solo negli adulti ma anche nei bambini. La realizzazione di un pozzo è una festa per tutto il territorio. La conclusione dei lavori è stata affidata a Mons. Mario Lusek, Direttore dell’Ufficio Nazionale CEI per la Pastorale del Tempo Libero, Turismo e Sport, che ripercorrendo le più significative sollecitazioni dei contributi presentati ha posto l’attenzione sulla necessità di un turismo sostenibile come componente importante per un ulteriore arricchimento della persona umana. Dopo questa intensa due giorni sicuramente il messaggio che rimane nelle menti ma soprattutto nel cuore di tutti è il rispetto per il territorio e le risorse ambientali anche nei momenti di svago nella consapevolezza che siamo solo custodi di qualcosa che ci è stata affidata e che dobbiamo trasmettere alle future generazioni.

Anselmo è l’ultimo; e sta passando anche il suo tempo. Te ne accorgi subito, quando arrivi ai Pantani: l’erba non è più sempre rasa, il capannone di latta si è inclinato, le viti vengono potate in ritardo; e i tre grandi covoni di paglia che ha eretto negli anni passati sono ancora molto alti, e marci dalla parte esposta al nord. Abita ancora il suo casolare, ma questo appare come abbandonato. Il tetto di coppi è sfaldato e ricoperto di erbe, i muri di pietra e tufo cesati in più punti. All’interno, secchi e mastelli crivellati, cassette e vecchi vasi di coccio, ferraglia arrugginita e sacchi polverosi sono sparsi ovunque sul pavimento. Di fianco al camino, castagne e patate rinsecchite giacciono su una sdrucita coperta di lana. Le finestre hanno i vetri rotti, e sono le imposte a impedire all’acqua e al vento di entrare copiosamente. Solo il letto, discosto dal muro, è rifatto in buon ordine; Anselmo vi ha adagiato un largo telo di plastica, che lo copre per intero. Ma ci dorme sempre più di rado; appena annotta, col capo imbacuccato in uno straccio, risale l’erta che conduce in paese, quale sia il tempo. Non è un segno di forza: non può fare a meno di rintanarsi a casa, al caldo. Prima era la moglie a portargli la cena ogni sera; lui rimaneva nella bassura, pur di guadagnare l’alba e il crepuscolo. Ormai, un’invincibile abulia accorcia ogni giorno di più il suo discorrere. Mauro, il nipote più grande, gli ha chiesto perché è andato in montagna a recuperare due cavalli, tenendoli per tutto l’inverno ai Pantani. “Mi fanno compagnia…”, ha risposto fiaccamente, scoraggiando altre domande. Rare volte, è lui a parlare per primo, difendendo con tenacia le sue convinzioni. Come quando ha raccomandato a Giovanni Coccia, che è calvo, di premunirsi contro i malanni dell’età matura: “Comprati un cappello! Mettiti un cappello in testa! Perché i dolori vengono fuori quando sei vecchio, non adesso!” E siccome Giovanni non lo ha ascoltato, ogni volta che lo incontra insiste con la sua monotona cantilena: “Non m’hai dato retta, eh? Allora fa’ una cosa, scriviti la data di oggi.

Maria Carla Sorrentino

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Segue da pagina 7 Scrivila, così, fra vent’anni, quando i dolori t’ammazzeranno, ti ricorderai quello che t’aveva detto Anselmo. Fammi un favore, scrivila!” Forse parla così perché è più saggio, forse - dicono alcuni - perché la testa non lo assiste più come una volta. Da qualche settimana ha affisso un grande manifesto bianco sulla porta di casa, sul quale ha scritto a caratteri cubitali: “AMICO, RIPORTAMI LA TRIVELLA”. Come faceva da giovane, ogni tanto deposita sull’uscio di qualcuno un sacchetto di

castagne o di noci, senza che gliele abbiano richieste; ma ora non sa più scegliere le persone, e quasi tutti gliele ritornano a casa. Tempo fa, l’ho incontrato lungo la mulattiera che conduce in montagna. “Ciao, Anselmo, dove te ne vai?”. Mi ha risposto senza guardarmi: “Un vannino… è indebolito, tocca curarlo. E tu?” “Vado sul Ceraso, mi faccio una camminata”. Mi ha dato una breve occhiata, stupito, poi ha scrollato la testa: “Povera gente! Viene qui a divertirsi! Girati, guarda lassù. Lo vedi quell’albero secco? Lì, sotto i suoi rami, morì Biagio, lo sai? Lo colpì un fulmine mentre faceva la terra nera. E le vedi quelle vene della montagna? Una si staccò, e schiacciò il povero Memmo. Lo sai perché stava lì sotto? Perché non c’era altro posto per il suo gregge; era tutta un giardino, la montagna!” “Un giardino…” ripetei meccanicamente. Il suo volto si indurì: “Perché, non ci credi? Mi sa che tu sei come quelli che sfrattavano alle Frasche, figlio mio”. “Chi erano?”, chiesi per stornare l’imbarazzo. “Certi ragazzotti. Sfrattavano come forsennati, ih-ih! Dopo una settimana, gli spini sono più lunghi di prima!” “Era per un’escursione, una gita”, gli dissi. “Una gita? E che vanno a vedere? E’

tutto ammacchiato! Adesso ti perdi, in montagna”.“E’ vero, ma non sarà sempre così. Gli esperti dicono che fra cinquant’anni si riformerà il bosco, come una volta”. “Il bosco… E non coltiveranno più niente, eh? Non taglieranno più una pianta, non faranno più legna, vero? Povera gente! Noi andavamo su e giù cinque volte al giorno, carichi come somari! Crescevano tonnellate di grano, in mezzo a questi sassi! Meno male, meno male che chiuderò gli occhi prima! Vai, vai, figlio mio, io prendo di qua, ho tanto da fare.” Fece due passi, poi, inaspettatamente, si voltò: “Senti”, disse storcendo la bocca, “si rifarà il bosco, va bene. Ma chi te l’ha detto? Quelle due signore che vengono a studiare i fiori quassù?” Feci cenno di no. “L’ho conosciute all’Ara di Valle. Hanno sempre in mano una zappettina. Cavano i fiori fino alla radice e li mettono dentro una busta di plastica. Ascolta, lo sai che mi dissero un giorno? Ih-ih! Mi dissero: non è vero che le stagioni sono cambiate, è solo un’impressione nostra. Sì, proprio così: non sono cambiate, è un’impressione nostra. Ih-ih-ih! Povera gente!” Rideva in modo buffo, esagerato, scoprendo le gengive e arricciando il naso, rivelando tutto il suo sprezzo, l’assoluto rigetto di quella affermazione. Scuotendo la testa si incamminò in fretta, con passo cadenzato, ma ancora lungo e sicuro. Quando si era allontanato, però, lo vidi arrestarsi di colpo e appoggiarsi a capo chino sopra una roccia sporgente sul sentiero. Allora tornai con la mente ai Pantani, al suo casolare, che assomiglia sempre di più agli altri, diruti nella campagna. Quella che un tempo era la sua fattoria rovinerà presto; il tetto si sfonderà, le crepe nei muri si allargherano; gli uccelli ne approfitteranno, e al tempo della cova dimoreranno lì. O forse no. Forse quel rudere servirà per ottenere una licenza edilizia, e al suo posto sorgerà una casa bianca e squadrata. Resterà vuota. Si vedrà da lontano, dai monti.

Emozioni di un fortunato incontro d’estate

Quando gli vado incontro il sole è dritto sulla piazza: sono le diciassette in punto, e tutto ciò che vedo, a parte il solito via vai dei turisti avido di informazioni , è un battaglio iridiscente che nella campana perfettamente azzurra del cielo, distribuisce rintocchi di calore omogenei da un lato all'altro del paese. Io indosso sandali con il tacco alto, cerco di essere svelta, fingo una forzata agilità, ma sono accaldata ed ho poco tempo. Il luogo dell'appuntamento è una sorta di giardino degli dei, lui è già lì, raccolto con la stessa concentrazione di un boxeur prima dell'inizio del match ed ascolta le indicazioni che gli vengono fornite, con calma e la testa leggermente piegata sulla spalla destra. Mi colpisce subito il suo sguardo: gli occhi, piccoli ed intelligenti, brillano di serenità, beata consuetudine che credo abbiano quasi tutte le persone anziane, almeno quelle felici. Sono due gomitoli scuri, due biglie color castagna un po' spaesate, ma leggere. Ha la leggerezza e la tranquillità di chi ha già trovato tante cose per cui non ha l'ansia di cercare altro, quella smania che solitamente ci sta dentro come una tenia perennemente affamata. Mi avvicino e con estrema cortesia gli chiedo se vuole attraversare la piazza, un anfiteatro in cui ogni raggio è un leone pronto ad attaccarci, o se preferisce incamminarsi per una strada più ombrosa,anche se in salita. Trascorreremo insieme pochi minuti, minuti che forse nemmeno si condenseranno in un quarto d'ora,gli indicherò la strada, il luogo in cui dovrà arrivare in tempo, poi tornerò nuovamente all'anfiteatro ed ai suoi leoni infuocati che continueranno a dilaniarci come prede. Mi risponde che preferisce la strada all'ombra: è lievemente sudato, la camicia a quadri che indossa di tanto in tanto manda un aroma lievemente acido misto all'orma di un profumo nebulizzato diverse ore prima, ma la mistura non è fastidiosa. Anzi, lo rende improvvisamente più umano, fragile. Al lato sinistro ha un bastone, non me ne ero accorta prima, vi si appoggia con sicurezza mentre nell'alArmando Santarelli tra mano regge un libro, mi offro di


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aiutarlo liberandolo da quel peso di pagine e parole, ma si dice tranquillo così. Non appena assaggiamo i primi gradini, ovviamente preferendo la metà coperta dagli alberi, noto la sua agilità, non si ferma nemmeno un istante per prendere fiato. Ogni tanto solleva solo la testa e si guarda intorno curioso, colpito, con la stesso ammirato stupore che hanno i bambini di fronte ai giocattoli nuovi o alle cose più semplici. Provo ad inziare un discorso così che quella breve pila di minuti insieme non resti asciutta. Ha avuto modo di vedere tutte le foto dei personaggi famosi arrivati a Ravello, alcuni di loro gli sono sembrati simpatici, anche un po' timidi, altri sembravano urlare dai manifesti tutta la loro superiorità, il loro " lei non sa chi sono io" . Sorride appena, scuotendo la testa: deve essere lontanissimo da quei volti patinati, da quei wanted di date e nomi altisontanti, lui è solo un signore accaldato che mi cammina di fianco con un'agilità a cui non so rispondere adeguatamente, lui è il suo bastone, bacchetta magica di un curioso rabdomante di destinazioni,e così procede sicuro, senza fermarsi. Continuo ad infittire il silenzio con domande forse banali, gli chiedo il programma per la serata che, si spera, raffredderà il battaglio. Lui non farà tardi, una cena leggera e poi la sveglia puntata alle cinque del mattino: l'albeggiare è la musa migliore per chi scrive, ore preziose che nessun altro momento può sostituire, ma bisogna tagliare in tempo la coda alla sera, suadente lucertola con le sue infinite possibilità,le sue distrazioni. Non andrà a letto oltre le ventuno e trenta, una regola ferrea che rispetta da anni. Anzi, di lì' a due giorni raggiungerà degli amici in montagna, lì si ritirerà a scrivere in tranquillità e quando me lo confida, la riga di un sorriso si apre nella barba bianca come una falla . Siamo arrivati, senza nemmeno accorgercene.

Gli tengo ancora un po' compagnia, beviamo del the insieme, il suo cellulare squilla, è sua figlia, e forse dall'altra parte sgambetta una bambina, una nipote lontana, consuma l'estate nella capitale, e adesso lo reclama, lo intuisco da come i gomitoli scuri che rendono il suo sguardo composto, si srotolano all'improvviso in gioia. Poi finalmente si lascia andare all'età e cerca un posto dove sedersi, e comincia a guardare il mare. Mi racconta di quando, giovane, negli anni '70, aveva avuto modo con un gruppo di amici di scoprire Ravello, di quanto fosse già speciale ed unica, una sorta di reginetta di bellezza destinata a superare le rivali. Poi mi guarda e, sorridendo ancora, riflette sul fatto che io , probabilmente, non ero nemmeno nata quando lui era un giovane girovago pieno di entusiasmi. Le diciotto ballano precise sul suo e sul mio orologio. Non so perchè ma iniziamo a parlare del mare, anche lui non lo ama molto : " Il Trentino, di questi tempi bisogna andare in Trentino: aria fresca, passeggiate nel verde" E guarda di nuovo in fondo, verso il mare. E' il momento di andare. Fa leva nuovamente sul suo bastone, un gruppo di amici lo saluta e gli viene incontro trafelato. Io mi scosto e lascio che si complimentino con lui. Poi si rivolge a me e chiede se resterò, scuoto la testa, io tornerò in piazza ed al sole puntato al centro del cielo: il mio compito, umile, breve, era solo quello di accompagnarlo. Mi saluta con un bacio sulla guancia e con il suo sorriso pieno di cose già trovate. E non so perchè, o forse si, in quel preciso istante desidero con tutta me stessa di possedere quella sua stessa pace così rumorosa da farsi sentire ovunque. Lui si allontana mentre tutti spezzano il silenzio con un applauso color pomeriggio. Dopo aver assaggiato il terreno con il bastone raggiunge il tavolo dove, al centro, come un ago, lo aspetta una sedia: quando mi volto per andare via riconosco il suo sorriso composto che occhieggia dalla copertina lucida di un libro. Quello che teneva nella mano destra a mo' di bussola e che ha stretto gelosamente lungo tutto il percorso fatto insieme.

Il segno della protezione di Dio

I discepoli erano entusiasti, facevano programmi, progetti per il futuro sull’organizzazione della Chiesa nascente, discutevano su chi fosse il più grande e impedivano di fare il bene in nome di Gesù a quanti non appartenevano al loro gruppo. Ma Gesù – spiega il Papa – li sorprende, spostando il centro della discussione dall’organizzazione ai bambini: “Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi – dice - questi è grande!”. Così, nella Lettura del profeta Zaccaria si parla dei segni della presenza di Dio: non “una bella organizzazione” né “un governo che vada avanti, tutto pulito e tutto perfetto”, ma gli anziani che siedono nelle piazze e i fanciulli che giocano. Il rischio è quello di scartare sia gli anziani che i bambini. E duro è il monito di Gesù verso chi scandalizza i più piccoli: “Il futuro di un popolo è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini. Un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa! I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo! Quanto è comune lasciarli da parte, no? I bambini, tranquillizzarli con una caramella, con un gioco: ‘Fai, fai; Vai, vai’. E i vecchi non lasciarli parlare, fare a meno del loro consiglio: ‘Sono vecchi, poveretti’…”. I discepoli – sottolinea il Papa - non capivano: “Io capisco, i discepoli volevano l’efficacia, volevano che la Chiesa andasse avanti senza problemi e questo può diventare una tentazione per la Chiesa: la Chiesa del funzionalismo! La Chiesa ben organizzata! Tutto a posto, ma senza memoria e senza promessa! Questa Chiesa, così, non andrà: sarà la Chiesa della lotta per il potere, sarà la Chiesa delle gelosie fra i battezzati e tante altre cose che ci sono quando non c’è memoria e non c’è promessa”. Dunque, la “vitalità della Chiesa” non è data da documenti e riunioni “per pianificare e far bene le cose”: queste sono realtà necessarie, ma non sono “il segno della presenza di Dio”: “Il segno della presenza di Dio è questo, così disse il Signore: ‘Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e fanciulle che giocheranno sulle sue piazze’. Gioco ci fa pensare a gioia: è la gioia del Signore. E questi anziani, seduti col bastone in mano, tranquilEmilia Filocamo li, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia: questa è l’aria della Chiesa!”. (Francesco)


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8° Giornata per la Salvaguardia del Creato “La famiglia educa alla custodia del creato”. Questo è stato il tema dell’8° Giornata per la Custodia del Creato, celebrata dalla Chiesa italiana il 1° settembre scorso. La volontà dei Vescovi di trovare nella famiglia il primo luogo di educazione anche ambientale riporta all’importanza che assume la famiglia come speranza e futuro per la società italiana, tema centrale della 47° Settimana Sociale che si è svolta a Torino a metà settembre. Il documento dei Vescovi per la Giornata sul Creato insiste sul ruolo che hanno i genitori nell’indicare ai figli una strada che, se da un lato, porti al rispetto per l’ambiente, dall’altro generi comportamenti virtuosi nei confronti del prossimo. Ha sottolineato, infatti, Papa Francesco in un incontro con i fedeli a Piazza San Pietro: “coltivare e custodire il creato: è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti …”; ma ancora più importante è quello che aggiunge quando parla di un’ecologia umana, cioè di un corretto rapporto da ristabilire tra le persone. La cultura attuale è improntata allo “scarto” sia delle materie prime, dei cibi e delle risorse, sia degli uomini. La disabilità, la povertà e la debolezza sono sentite come aspetti negativi della società umana da allontanare o ancora peggio da scartare, con la stessa facilità con cui scartiamo il cibo in più. Quali concetti devono trasferire i genitori ai propri figli, ammesso che essi stessi abbiano acquisito un modo di agire rispettoso della dignità dell’uomo, in quanto creatura di Dio? Il primo aspetto da comunicare è la “gratuità”: tutto è dono di Dio, che deve essere trasferito agli altri come dono. Da questo aspetto nasce la gratitudine verso Dio ma anche il rispetto per quanto abbiamo; basti pensare all’acqua e al suo

spreco o alle risorse energetiche non rinnovabili e al loro sfruttamento insensato. Poi occorre formare i figli alla “reciprocità”. Essa nasce dalla presa di coscienza della diversità; se si riconosce che non tutti siamo uguali e proprio in questo c’è la ricchezza della società, allora si genera il rispetto e il senso della cooperazione, che “si fa tessuto vitale per la custodia del creato, in quella logica preziosa che sa intrecciare sussidiarietà e solidarietà, per la costruzione del bene comune.” Infine, va mediata la “riparazione del male”. Come in famiglia ci si perdona, si riparano le ferite, a patto della presa di coscienza del male commesso, dell’erro-

re fatto, così nella società e nell’ambiente occorre “un serio e tenace impegno a riparare i danni provocati dalle catastrofi naturali e a compiere scelte di pace e di rifiuto della violenza e delle sue logiche.” Come ultimo suggerimento da parte dei Vescovi perché la famiglia diventi luogo di educazione ambientale ed umana vi è il recupero dell’idea di domenica come giorno da dedicare alla riscoperta del Signore. Oggi, troppo spesso, giorno in cui ci si dedica a quanto non si riesce a fare durante la settimana, la domenica deve essere, invece, il momento in cui la famiglia, nell’incontro con il Signore, trasferisca ai figli quegli aspetti che concorrono a custodire il creato, mostrando come occorre esserne attenti custodi e non avidi utilizzatori. Per riunire anche la

nostra Diocesi nella consapevolezza dell’importanza della custodia del creato, la Commissione diocesana per l’Ambiente, con la collaborazione degli altri uffici e commissioni diocesane, ha organizzato ad Agerola, il 31 agosto scorso, un momento di preghiera e riflessione. In un’atmosfera arricchita dalla visione di una natura incontaminata e dalle ultime luci della giornata, nella frazione Bomerano, alla Piazza dei Villeggianti, sotto lo sguardo della Vergine, presente in una piccola cappellina, la comunità diocesana, guidata dall’Arcivescovo, Mons. Orazio Soricelli, si è fermata a pregare e riflettere. L’incontro, infatti, ha visto una prima parte durante la quale, aiutati dai canti, eseguiti con la profondità della preghiera dal coro di Bomerano, diretto da Lella Laudano, e nel ricordo di Francesca Mansi, morta durante l’alluvione di Atrani nel 2010, abbiamo ascoltato il racconto della Genesi sulla creazione del mondo e il Vangelo di Matteo che ricorda il discorso di Gesù ai discepoli sulle opere di carità fatte ai fratelli (“In verità, io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”). Prima della conclusione della prima parte, l’Arcivescovo ha chiesto ai presenti, non molto numerosi come avviene purtroppo spesso, quando si organizzano occasioni di preghiera fuori dalla propria parrocchia, di fermare l’attenzione su quanto fa ognuno per essere custode responsabile del creato a fronte di tanti piccoli atteggiamenti che concorrono a mettere in serio pericolo l’ambiente che ci circonda. Lo spreco dell’acqua, inoltre, per la carenza che caratterizza alcune parti del mondo, deve essere il primo atteggiamento da correggere. La seconda parte, aperta dall’omaggio a Maria con il canto del Magnificat e dal saluto del Sindaco di Agerola, ha visto appuntarsi la riflessione su alcuni aspetti importanti del Messaggio dei Vescovi per la Giornata del Creato attraverso le


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poesie sulla famiglia e l’ambiente, proclamate da Luigi Fusco, Francesco Tassielli e Lello Mansi, ma anche attraverso testimonianze importanti: quella dei coniugi rappresentanti dell’Ufficio diocesano per la Pastorale Familiare, che hanno sottolineato come ogni occasione deve essere utilizzata dai genitori per educare i figli alla cultura del rispetto dell’ambiente e degli altri (anche la spesa al supermercato deve essere un momento in cui i ragazzi devono comprendere l’importanza delle risorse alimentari ed energetiche), la testimonianza di Enzo De Feo, referente diocesano delle Confraternite, che ha sottolineato come i rischi ambientali sono stati generati da comportamenti sbagliati messi in atto dagli uomini, che spesso dimenticano che l’ambiente è un sistema di elementi in equilibrio. In chiusura c’è stato l’intervento dell’avvocato Cristoforo Senatore, della Commissione diocesana della Caritas, che ha presentato l’iniziativa, organizzata in Diocesi, di impegnarsi a dedicare la domenica al riposo e all’incontro con Gesù, evitando attività contrarie a questa dimensione spirituale dell’uomo. Dopo un altro momento di preghiera, guidato dal Comandante del Corpo Forestale, che ha letto la preghiera al patrono delle Guardie forestali, San Giovanni Gualberto, e il canto dell’Ave Maria, si è concluso l’incontro con la consapevolezza che ognuno deve essere portatore di questo messaggio di responsabilità verso l’ambiente e il prossimo.

Maria Carla Sorrentino

Il Papa ai catechisti: "Siate testimoni del Vangelo, creativi, non codardi o statue da museo" Ripartire da Cristo, avere familiarità con Lui, imitarlo nell’uscire da sé, non avere paura di andare con Lui nelle periferie. E’ quanto Papa Francesco raccomanda ai circa 2mila catechisti ricevuti nell'Aula Paolo VI e partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi organizzato in Vaticano. L’evento è promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione in occasione dell’Anno della Fede. Il Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e amare sempre più il Signore – spiega Papa Fran-

cesco, autodefinendosi un “catechista”- è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa: ma occorre “essere”, non “fare” i catechisti o “lavorare da catechisti”. Il Santo Padre cita Benedetto XVI: “la Chiesa non cresce per proselitismo, ciò che attrae è la testimonianza”, quindi ricorda le parole di Francesco d’Assisi: “predicate il Vangelo e se fosse necessario con le parole, ma prima con la testimonianza”. “La gente – aggiunge – legga il Vangelo nella vostra vita”. Per ripartire da Cristo bisogna avere familiarità con Lui, lasciarsi guardare da Lui, un cammino che dura tutta la vita: "Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore! Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lascia guardare dal Signore? 'Ma come si fa?'. Guardi il Tabernacolo e lasciati guardare… E’ semplice! 'E’ un po’ noioso, mi addormento…'. Addormentati! Addormentati! Lui ti guarderà lo stesso. Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante che il titolo di catechista: è parte dell’essere catechista". Il Papa poi si rivolge a quei catechisti, padri o madri, i cui impegni di famiglia poco si conciliano con una vita contemplativa: "Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita". Chi mette Cristo al centro della propria vita – spiega Papa Francesco – si decentra e si apre agli altri in un dinamismo d’amore, il cui movimento è simile al battito cardiaco: "Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di 'sistole - diastole': unione con Gesù - incontro con l’altro. Sistole - diastole. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non vive". Il Kerigma, ovvero l’annuncio della Resurrezione di Cristo, è un dono che genera missione, che spinge oltre se

stessi. "Il catechista è cosciente che ha ricevuto un dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello… E non se ne prende per sé la percentuale, eh? Tutto quello che riceve, lo dà! Questo non è un affare! Non è un affare! E’ puro dono: dono ricevuto e dono trasmesso". Il Papa esorta a non aver paura di andare con Gesù alle periferie: cita l’esempio di Giona raccontato nell’Antico Testamento, spaventato dall’invito di Dio di andare a predicare nella città di Ninive, così al di fuori delle sue sicurezze, dei suoi schemi, alle periferie del suo mondo. Per essere fedeli – esorta il Papa – occorre “saper cambiare”: "Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo finisce per essere una statua da museo; se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile?". Tanta creatività e nessuna paura di uscire fuori dai propri schemi: questo caratterizza un catechista. Quando restiamo chiusi nei nostri schemi, nei nostri gruppi, nelle nostre parrocchie, nei nostri movimenti– spiega – il Papa - ci succede quello che accade ad una persona chiusa nella propria stanza: ci ammaliamo. "Preferisco mille volte un catechista che abbia il coraggio di correre il rischio di uscire piuttosto che un catechista che studi, sappia tutto, ma sia chiuso sempre e ammalato. E alle volte è malato nella testa….". La certezza che deve accompagnare ogni catechista – aggiunge Papa Francesco – è che Gesù cammina con noi, ci precede. “Quando pensiamo di andare lontano, in un’estrema periferia, Gesù è là. "Ma voi sapete una delle periferie che mi fa male tanto, che sento dolore? E’ quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. Questa è una periferia, eh! Bisogna andare là! E Gesù è là lì, ti aspetta per aiutare a quel bambino a farsi il Segno della Croce". Fonte: www.news.va


CELEBRAZIONI DEL MESE DI OTTOBRE In questo mese, si richiama la natura e l’importanza della preghiera del Rosario Mariano. È concessa l’indulgenza plenaria a coloro che recitano una terza parte del Rosario in chiesa, in famiglia, in una comunità religiosa, in una pia associazione o in un incontro spirituale; nella altre circostanze è concessa l’indulgenza parziale. GIORNI FERIALI FINO AL 26 OTTOBRE Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa PREFESTIVI E FESTIVI FINO AL 26 OTTOBRE Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa

DAL 27 OTTOBRE GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa PREFESTIVI E FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 3-10-17-24-31 Al termine della Santa Messa si terrà l’ Adorazione Eucaristica 1 OTTOBRE - SANTA TERESA DI GESU’ BAMBINO 2 OTTOBRE - SS. ANGELI CUSTODI 4 OTTOBRE - SAN FRANCESCO D’ASSISI PATRONO D’ITALIA 6 OTTOBRE - XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-11.15– 19.00: Sante Messe Ore 12.00: Supplica alla B.V. del S. Rosario di Pompei 7 OTTOBRE – BEATA VERGINE DEL ROSARIO 8 OTTOBRE - ANNIV. DELLA DEDICAZIONE DELLA CATTEDRALE 13 OTTOBRE - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe 15 OTTOBRE - SANTA TERESA DI GESU’ 18 OTTOBRE - SAN LUCA EVANGELISTA 20 OTTOBRE - XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe 25 OTTOBRE - ANNIVERSARIO DELLA DEDICAZIONE DELLE CHIESE DELL’ARCIDIOCESI 26 OTTOBRE - BEATO BONAVENTURA DA POTENZA 27 OTTOBRE - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 28 OTTOBRE - FESTA DEI SS. SIMONE E GIUDA APOSTOLI


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